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CAPITOLO VIII - LATIN AMERICA: FIGHTING THE COLD WAR

Una volta emersi come superpotenza dalla seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti erano
intenzionati ad imporre la propria egemonia sull’emisfero occidentale: con l’avvento della guerra
fredda, questa necessità di difendere il modello liberal-capitalista si fa ancora più marcata, e viene
declinata in una lotta globale contro l’avanzata del comunismo, in cui l’America Latina viene
invariabilmente coinvolta. Il continente diviene infatti un vero e proprio campo di battaglia nel
contesto della lotta bipolare, con interventi da parte degli Stati Uniti sempre più invasivi.
Reagire all’interventismo nord-americano sembrava più complicato in quel periodo: non era più
plausibile ricorrere alla protezione da parte di uno stato europeo; era inutile formulare dottrine
diplomatiche basate sul diritto internazionale e/o appellarsi ad un’azione restrittiva ad opera delle
organizzazioni internazionali; allo stesso tempo, non si poteva ambire al raggiungimento di
un’egemonia sub-regionale per garantirsi sicurezza e stabilità.
Quindi, rimanevano tre strategie per far fronte alla guerra fredda:
1) Sfidare gli Usa e intraprendere la strada del socialismo;
2) Cercare il supporto degli Stati Uniti, appellandosi a una solidarietà anticomunista;
3) Tentare una terza strategia, evitando l’allineamento o con l’Est o con l’Ovest così da potersi
assicurare l’indipendenza economica, politica e culturale.
Opzione 1: la strada socialista
Vi sono vari motivi che spiegano il successo dell’ideologia marxista in America Latina:
- Il conflitto di classe era facilmente applicabile alle disuguaglianze della regione;
- Il riferimento all’azione rivoluzionaria dava speranza ai lavoratori e contadini oppressi;
- I marxisti e i nazionalisti latino-americani avevano un nemico in comune, ovvero gli Stati
Uniti, leader del capitalismo mondiale e potenza dominante nell’emisfero occidentale;
- Le attenzioni verso la condizione degli oppressi del pensiero marxista-leninista si sposavano
bene con le tradizioni di resistenza latino-americane.
Partiti ed elezioni
Durante gli anni ’20, cominciarono a comparire primi partiti ispirati al marxismo, sostenitori di un
approccio pacifico piuttosto che insurrezionale. Durante gli anni ’30, questi partiti svilupparono
relazioni quasi servili con l’Unione Sovietica, e, con l’avvento della Guerra Fredda, i partiti si
divisero ancor di più, si indebolirono, oppure persero contatti con le proprie basi elettorali. In
particolare, si dimostrarono più interessati a confermare il proprio appoggio all’Unione Sovietica
piuttosto che al portar avanti una lotta al potere a livello nazionale. Tra gli anni ’60 e ’70 i partiti
comunisti erano diventati osservatori passivi della politica nazionale.
Fu solo in Guatemala (amministrazione Arbenz) che i partiti comunisti esercitarono una forte
influenza sulle politiche nazionali. In altri paesi, i partiti comunisti esercitavano un ruolo marginale
all’interno dei governi, e o non erano partecipi dei movimenti rivoluzionari oppure vi si
opponevano attivamente. La sfortuna dei partiti comunisti è anche legata al contesto della
competizione bipolare, dove la moderazione era svantaggiosa: per la destra, era impossibile fidarsi
della moderazione dei partiti comunisti; allo stesso modo, a causa di questa moderazione, non era
possibile per la sinistra estremista allearsi con i partiti comunisti.
Al contrario, i partiti socialisti riuscirono a giocare un ruolo più importante nel dopoguerra. Questi
partiti risultavano più credibili ed affidabili dei partiti comunisti, perché coniugavano l’analisi della
lotta di classe marxista con le istanza nazionaliste di difesa della sovranità e di denuncia
dell’imperialismo statunitense.
I più grandi successi dei partiti socialisti si verificarono nel Guatemala di Arbenz e nel Cile di
Allende. La sorte di questi paesi dimostrò, però, l’impossibilità di giungere pacificamente al
socialismo. In collaborazione con alleati locali, gli Stati Uniti rovesciarono Arbenz nel ’54 e
Allende nel ’73: questi avvenimenti confermarono come le elezioni non potessero essere una
modalità valida per l’affermazione del socialismo, l’unica possibilità era la rivoluzione armata.

Guerrilla movements (movimenti di lotta armata)


Tra gli anni ‘50 e ‘80, in America Latina, nacquero circa trenta movimenti di guerriglia, tutti
dichiaratamente marxisti, e molti, tra questi, sostenitori della causa nazionalista/ populista. Spicca
tra tutti il movimento fidelista cubano, cui si sono poi ispirati molti altri movementi di lotta armata.
Esempi di questi guerrilla movements erano presenti negli anni 60 in Guatemala, Venezuela,
Colombia, e Bolivia. Fu proprio in Bolivia che, con la morte di Che, ebbe fine la prima ondata dei
movimenti di lotta armata in America Latina. Nonostante la sconfitta in Bolivia, la rivoluzione
Cubana continuò ad rappresentare un’ispirazione per la sinistra continentale: la rivoluzione cubana
aveva infatti dimostrato che i movimenti radicali potevano abbracciare l’ideologia marxista e al
contempo prendere potere; contrastare gli USA e al contempo sopravvivere – il tutto continuando a
promuovere l’avvento della rivoluzione socialista in America Latina. Seguire l’esempio di Cuba
però voleva dire ispirarsi alle tattiche di guerriglia di Che degli anni ’60, e non replicare l’enfasi di
Castro su riforme politiche.
Una seconda ondata di guerriglie si ebbe tra gli anni ‘70 e ‘80 in Guatemala, Colombia (Movimento
del 19 Aprile), Perù (Sendero Luminoso). Particolarmente rilevanti in questo periodo sono i
movimenti di guerriglia che si sviluppano in America centrale.
- In El Salvador, l’alleanza tra l’oligarchia locale e i governanti militari generava malcontento
e, a partire dagli anni ’70, si vennero a formare diversi guerrilla movements (Farabundo
Martì, FARN, ERP) che poi si unirono nel Fronte di Liberazione Nazionale Farabundo
Martì. La resistenza divenne ancora più forte dopo che una giunta militare riformista salì al
potere nel ’79, ma non riuscì a realizzare le proprie promesse: l’attacco finale da parte dei
gruppi di guerriglia non riuscì a rovesciare il governo, causando uno stallo che fu poi risolto
solo grazie all’intervento delle Nazioni Unite. Questa situazione è paradigmatica.
- In Nicaragua, si creò un’opposizione armata contro la famiglia Somoza, che deteneva il
potere da 30 anni. Negli anni ’60 la resistenza è guidata dal Sadinista National Liberation
Front (FSNL), che però si divide in tre fazioni separate negli anni ’70. Durante quegli ani,
persino apparteneti ai ceti medi e imprenditori risultavano scontenti di Somoza, e il fronte di
opposizione divenne quasi unitario. Con l’aumento di pressioni dal basso e il proseguimento
dell’insurrezione armata, Samoza fu costretto all’esilio nel 1979. Lo stesso anno, i sadinisti
entravano nella capitale, Managua.
Di tutti i movimenti di guerriglia nati in America Latina durante la guerra fredda, solo due
riuscirono a prendere il potere: i sadinisti e i fidelisti. Il loro successo si spiega attraverso diversi
fattori: il livello di supporto che questi movimenti di lotta armata riuscivano ad ottenere; la forza
militare dei governi cui si opponevano; la natura dei governi al potere, in entrambi i casi dittature
corrotte e basate su un sistema patrimoniale, che avevano perso il supporto di imprenditori,
proprietari terrieri, e persino degli Stati Uniti (disposti solo ad un appoggio di facciata).
Stati rivoluzionari
Sarebbe stato perfettamente possibile per i governi rivoluzionari raggiungere accordi con gli USA: i
nuovi regimi a Cuba e in Nicaragua non rappresentavano una minaccia per gli USA; inoltre, Cuba e
Nicaragua potevano giovare da relazioni economiche con gli USA. Istaurare legami positivi con gli
Stati Uniti si rivelò però impossibile: i movimenti rivoluzionari nella regione erano anche anti-
imperialisti, e quindi necessariamente opposti agli USA - Cuba e Nicaragua, per di più, avevamo
subito la dominazione statunitense. Questi movimenti, inoltre, erano dichiaratamente marxisti, e in
quanto tali, pronti a supportare il blocco comunista: anti-imperialismo e marxismo comportavano
appoggiare l’Unione Sovietica.
Fu anche l’azione degli USA a portare questi stati a sostenere sempre di più le forze di sinistra e
cadere sempre di più tra le braccia dell’Unione Sovietica. A Cuba, prima ancora che Castro si
dichiarasse apertamente socialista, Eisenhower tentò di tenere Batista al potere; poi trattò Fidel con
ostilità, utilizzando la CIA per portare avanti missioni segrete di destabilizzazione (tra queste si
ricorda l’invasione della baia dei porci del 1961). In Nicaragua, i sadinisti, che vollero mantenere il
monopolio sul potere politico, provarono a creare un’economia mista e perseguire una politica
estera. In entrambi i casi, il tentativo statunitense di isolare, spaventare e tormentare i governi
rivoluzionari in America Latina ebbe effetti controproducenti perché spinse quei governi ad
affidarsi e allearsi con l’Unione Sovietica.
Opzione 2: la crociata anti-comunista
La guerra fredda rinforzò non solo le forze estremiste di sinistra, ma anche la destra autoritaria nella
regione. Dopo la seconda guerra mondiale, la strategia statunitense si concentrava sulla promozione
del modello democratico: nel ’45, il segretario di stato di Truman, Byrnes, dichiarò che la politica di
non intervento non prevedeva l’accettazione delle tirannie locali; lo stesso Byrnes, sottoscrisse la
richiesta uruguayana di azione contro i regimi autocratici; sempre all’interno del governo
statunitense si faceva strada l’idea che gli Stati Uniti dovessero sostenere governi democratici. La
Guerra Fredda offriva alle forze della destra autoritaria una nuova possibilità di garantirsi
l’appoggio statunitense: la crociata anti-comunista. Non solo opponendosi all’avanzata del
comunismo, i dittatori in America Latina avevano la possibilità di mantenere/istaurare rapporti con
gli Stati Uniti, ma potevano persino liberarsi di nemici interni. Le dinamiche della guerra fredda
portarono quindi ad una ridefinizione dei termini della lotta politica: non si trattava più di dittatura
vs democrazia (come sembrava alla fine della seconda guerra mondiale), ma di comunismo vs
anticomunismo.
Regimi dittatoriali
Diverse dittature nel paese beneficiarono della situazione:
- Somoza in Nicaragua. Qui inizialmente il governo statunitense tendeva per un cambio di
regime, e voleva riuscire a facilitare una svolta democratica nel paese. Un’operazione che
riuscì solo in parte, perche pochi giorni dopo l’inizio del governo di Arguello, Somoza
riprese il potere e i rapporti con gli Stati Uniti vennero momentaneamente interrotti. Con lo
scoppio della guerra fredda, Somoza divenne un ferventi anti-comunista nonché sostenitore
degli Stati Uniti nei forum internazionali, riguadagnandosi così il loro favore e
riconoscimento de facto. Nel 1954, Somoza aiutò gli Stati Uniti a rovesciare il governo
Arbenz in Guatemala, confermando l’appoggio agli Stati Uniti, le proprie convinzioni anti-
comuniste e, allo stesso tempo, indebolendo una potenziale minaccia a livello regionale.
- Batista a Cuba. Batista prese potere nel ’52, garantendo immediatamente a Washington che
avrebbe tutelato gli interessi (anti-comunisti) statunitensi. Per fare ciò, interruppe le
relazioni con l’Unione Sovietica; dichiarò illegale il partito comunista; nel 1953, denunciò
attacco alla Moncada di Fidel Castro come comunista ed antiamericano.
- Trujillo nella Repubblica Dominicana. Inizialmente vi furono pressioni verso la
liberalizzazione del regime, ma con l’avvento della guerra fredda si schierò anche lui contro
il comunismo, utilizzando questa posizione sia per guadagnarsi il favore degli Stati Uniti (e
di alcuni membri del Congresso) sia per isolare nemici politici nel contesto locale.
Durante la guerra fredda, quindi, i governi autoritari in America Latina interessati a mantenere il
proprio potere dovevano agire in un determinato modo:
- Dichiarare la propria opposizione al comunismo;
- Abbracciare la dottrina Monroe;
- Denunciare gli oppositori come comunisti e mettere fuorilegge i partiti comunisti;
- Aprire la propria economia al commercio con gli Usa e tutelarne gli interessi;
- Supportare le forze militari statunitensi e le loro missioni segrete contro le minacce del
comunismo;
- Mantenere un rapporto di amicizia con i membri del Congresso;
- Coltivare relazioni personali con gli ambasciatori statunitensi.
Nonostante molti governi autoritari della regione si siano alleati con gli Stati Uniti, in molti casi
sono stati gli stessi USA a determinarne la fine. A Cuba, nella Repubblica Dominicana e in
Nicaragua, fu sempre Washington a persuadere il governo in carica a lasciare il potere, proprio
quando quest’ultimo si trovava in difficoltà. Questi ‘tradimenti’ vanno letti alla luce delle
dinamiche di potere bipolare: in questi casi, infatti, il proseguimento del regime dittatoriale avrebbe
significato un incremento dei consensi per il fronte comunista, mentre la rimozione dei regimi li
avrebbe tenuti a bada.
Dottrine sulla sicurezza nazionale
In America Latina, tra il 1960 e il 1980, si formarono anche ‘governi burocratici autoritari,’
composti da forze armate e che rappresentavano gli interessi di multinazionali, capitale locale e
interessi statali. Questi reprimevano con la forza e con tattiche oppressive qualsiasi tipo di ribellione
da parte della classe lavoratrice, e rappresentavano pertanto importanti alleati nella lotta statunitense
contro l’avanzata del comunismo. Per giustificare queste politiche, i governi burocratici-autoritari
hanno formulato delle dottrine di sicurezza nazionali che enfatizzavano le minacce interne e le
rivoluzioni. Tre casi:
 Brasile: qui il generale Golbery do Couto e Silva (che prese potere nel ‘64) cominciò a parlare
della possibilità di un attacco indiretto da parte dell’Unione Sovietica, e coniò l’idea di una
guerra permanente, per cui i nemici del Brasile avrebbe utilizzato la sovversione domestica e la
guerriglia rivoluzionaria. Per portare avanti quest’ultima non sarebbe stato necessario utilizzare
la forza armata; i nemici del Brasile si sarebbero serviti di armi psicologiche molto più subdole.
Alla luce di quest’interpretazione l’unico modo per garantire la sicurezza nazionale era di
concentrarsi sulla sicurezza interna. Golbery introdusse anche due novità: l’idea che il Brasile
fosse il paese più importante dell’America Latina (e che potesse in quanto tale sviluppare una
politica estera propria e indipendente), e la centralità dell’industrializzazione, vista come chiave
per la sovranità e l’indipendenza del paese perché lo sviluppo economico poteva garantire
l’integrazione e la promozione del territorio nazionale. Una volta al potere, la giunta militare
centralizzò l’autorità politica, eliminò l’immunità parlamentare, e lanciò indagini contro i
sospetti rivoluzionari (ex: Operation Cleanup).
 Cile: qui nel ’73 avviene il colpo di stato da parte del generale Pinochet, sempre giustificato
dalla necessità di salvare il paese dal marxismo attraverso una guerra permanente. Durante il
regime di Pinochet l’anti-comunismo assunse un aspetto quasi religioso, e nel ’74 venne creata
l’agenzia di intelligence DINA, con lo scopo di sterminare il marxismo.
 Argentina: nel ’76, un colpo di stato militare prese il potere al posto di Peron, promettendo di
combattere contro la sovversione, attraverso una ‘dirty war.’ I generali argentini decisero di
portare avanti una campagna di repressione contro tutti i civili, anche se innocenti e non armati,
con lo scopo di intimidire un’intera società; tantissimi (alcuni parlano di 20,000) scomparirono
e/o vennero uccisi arbitrariamente – si tratta dei desaparecidos.
In tutti questi casi, i governi portavano avanti politiche autoritarie repressive e violente
presentandole come necessarie per fermare avanzata del comunismo, e guadagnandosi l’appoggio
degli Stati Uniti. In generale, quindi, la Guerra Fredda incoraggiò la radicalizzazione di forze
estremiste a spese di quelle centriste.
Diritti umani e Stati Uniti
La politica degli USA durante la Guerra Fredda fu piuttosto contraddittoria, in quanto perseguiva
due obiettivi spesso in contraddizione l’uno con l’altro – anticomunismo e democrazia. Solo in un
secondo momento, a partire dagli anni ’70, i diritti umani divennero un aspetto centrale della sua
politica. Questo cambiamento fu dovuto a due fattori. Il primo è legato agli scandali del Vietnam e
Watergate, che portarono ad un forte attivismo nel Congresso. Nel 1975, fu varata una modifica ad
un emendamento che portò alla sospensione degli aiuti economici ai paesi soggetti a grosse
violazioni dei diritti umani. Il secondo fattore fu l’elezione di Carter, fortemente impegnato nella
tutela dei diritti umani (“our committment to HR must be absolute”), ripetutamente violati in diversi
paesi dell’AL. L’attenzione verso gli standard democratici in America Latina aumentava: al
contempo, i governi autoritari nella regione mettevano in chiaro di essere disposti a rinunciare
all’alleanza con gli Stati Uniti pur di portar avanti politiche anti-comuniste.

Opzione 3: cercare una terza via


La terza alternativa per i paesi dell’America Latina consisteva nello sfuggire alle dinamiche della
guerra fredda, focalizzandosi sullo sviluppo economico oppure sulla politica estera.
Lo sviluppo economico era divenuto un ambito centrale per molti paesi che, dopo la
decolonizzazione avevano raggiunto l’indipendenza; e, proprio in quest’area l’America Latina
comincia a giocare un ruolo più attivo. Nel 1948 l’ONU creò la Commissione Economica per
l’America Latina (CEPAL). Questa, sotto la leadership del brillante economista argentino Prébisch,
formulò un’interessante interpretazione dell’economia mondiale. Secondo Prébisch, la divisione
internazionale del lavoro, dove i paesi in via di sviluppo esportavano materie prime e i paesi
sviluppati importavano prodotti manifatturieri, era svantaggiosa per tutti i paesi nella periferia
mondiale, inclusa l’America Latina. Le soluzioni al problema erano due:
a. Industrializzazione: due guerre mondiali e la crisi economica avevano fatto sì che
l’industrializzazione si fosse imposta sui paesi in via di sviluppo. Questi ultimi, attraverso
una pianificazione statale, potevano eliminare le perdite dovute a termini di scambio
svantaggiosi, stimolare l’occupazione, e incrementare la propria sovranità economica.
b. Integrazione regionale: a questo proposito, nel 1960, venne creata un area per il libero
scambio a livello regionale, la LAFTA (poi divenuta ALADI). L’integrazione regionale non
ebbe però mai un elevato successo.
Gli studi di Prébisch erano focalizzati solo sulla regione dell’America Latina, ma potevano essere
applicati a tutti i paesi in via sviluppo. Le divergenze tra paesi in via di sviluppo e industrializzati
continuavano a divenire sempre più evidenti, e grazie all’azione dei delegati latino-americani, nel
1964 si tenne la prima Conferenza delle Nazioni Unite per lo sviluppo a Ginevra. I paesi in via di
sviluppo decisero poi di affermare ulteriormente la loro unità costituendo il Gruppo 77,
un’organizzazione degli stati in via di sviluppo che si ponevano come obiettivo il perseguimento
della giustizia sociale e lo sviluppo economico. Tra i primi membri del Gruppo 77 (che poi si
allargò fino ad integrare circa 100 membri) vi erano tutti i paesi dell’America Latina.
Con l’arrivo degli anni ’70, le crisi petrolifere, e la disdetta degli accordi di Bretton Woods, i paesi
del terzo mondo raggiunsero un consenso: la giustizia economica poteva essere raggiunta solo
attraverso una redistribuzione globale di risorse e ricchezza. Con questo spirito, il G-77 adottò nel
‘74 la dichiarazione per stabilire un nuovo ordine economico internazionale, il cui obiettivo era di
modificare i pattern della distribuzione della ricchezza e far convergere quest’ultima nelle nazioni
povere del sud del mondo.
Queste iniziative internazionali non conobbero un vasto successo sia a causa delle differenze tra i
100 membri del gruppo che impedivano di raggiungere un consenso, sia perché i membri del G-77
avevano rapporti variabili con le grandi potenze e livelli variabili di integrazione nel sistema
economico mondiale – più erano integrati e vicini a grandi potenze, meno erano interessati a
sovvertire l’ordine esistente.
Non-allineamento e politica estera
Uno degli obiettivi dei paesi dell’America Latina era quello di evitare di rimanere incastrati, dal
punto di vista diplomatico, nelle dinamiche della guerra fredda. Prendere posizione significava
subordinarsi ad una delle due grandi potenze, rinunciando alla propria sovranità ed alla possibilità
di formulare una politica estera indipendente. Intorno a questi propositi, e con la conferenza di
Bandung del ’55 si formò il movimento dei paesi non-allineati. Il MNA rappresentava la voce
politica del Gruppo 77, e gli obiettivi erano:
- non allineamento con Est o Ovest;
- affermazione internazionale degli ex paesi coloniali;
- anticolonialismo: questo tema venne presentato in una conferenza al Cairo nel 1964, e da
allora assunse un’importanza fondamentale.
Il ruolo dell’America Latina all’interno di questo movimento si fece più prominente nel corso degli
anni: il partecipante più attivo fu Cuba (che con Castro tentò di presentare l’Unione Sovietica come
alleato naturale del MNA, fallendo), poi si aggiunsero Perù, Nicaragua, Bolivia e Colombia. Gli
unici Paesi dell’America Latina che decisero di non aderire furono il Brasile e Messico.
Probabilmente il contributo più significativo del MNA per l’America Latina è stato il supporto nei
confronti del NIEO (il programma per un nuovo ordine economico internazionale, promosso dal
Gruppo 77). Con questo appoggio, il MNA andava a trattare argomenti economici, sempre
ribadendo la necessità di unità tra paesi nel sud del mondo e lamentando lo sperperamento delle
risorse nel contesto della competizione bipolare – risorse che sarebbe stato saggio spendere per
sostenere le economie dei paesi in via sviluppo.
Negli anni ‘80, il MNA aveva circa 100 membri, e questo ampliamento rappresentava, come per il
Gruppo 77, un’arma a doppio taglio: se da un lato donava maggiore potere nelle arene della
diplomazia internazionale, dall’altro determinava anche la necessità di giungere a compromessi
politici. Inoltre, il MNA non fu mai in grado di agire come blocco unico e imporre le proprie
posizioni politiche.
I paesi dell’America latina non formulavano però le proprie politiche estere solo nel contesto del
MNA: il Brasile intensificò unilateralmente le relazioni con il Giappone, mentre il Messico cercò di
creare solidarietà con i paesi arabi e del terzo mondo.
From Contadora to Esquipulas
Nel Dicembre 1982, il presidente messicano Miguel de la Madrid propose un piano per avviare la
negoziazione multilaterale e nel 1983, il Messico assieme al Contadora Group, composto da
Colombia, Panama, Venezuela, per valutare possibilità di mediazione regionale per i conflitti del
Centro America. Il grupo de apoyo (Argentina, Perù, Brasile, Uruguay) diede il suo supporto e
contribuì alla riflessione e al raggiungimento di accordi pacifici nella regione.
Questi sforzi comunitari a livello regionale non erano ben visti dall’amministrazione Reagan, che
lanciò il suo programma per il perseguimento della pace e l’instaurazione della democrazia con
l’auspicio di Honduras e Costa Rica. Nonostante la mancanza di supporto regionale determinò però
il fallimento dello sforzo statunitense, gli Stati Uniti si rifiutarono di riconoscere i meriti del
Contadora group, e non sembravano disposti a delegare la risoluzione dei conflitti ad attori
regionali: “the US cannot use the Contadora Group as a substitute for its own policies.”
Il Contadora Group continuava però il proprio lavoro, e, nel 1983, il gruppo adottò un documento
che ne specificava gli obiettivi. A questo seguì, nel 1984, il Contadora Act for Peace and
Cooperation in Central America, con cui si dichiarava l'intenzione di promuovere la
democratizzazione e di metter fine al conflitto armato nella regione, di agire nel rispetto del diritto
internazionale, per rivitalizzare e ripristinare lo sviluppo economico e la cooperazione in America
Centrale, e di negoziare un migliore accesso ai mercati internazionali.
In altre parole, con il trattato Contadora si stabiliva che il Nicaragua doveva rimpatriare i militari
cubani e permettere un’ispezione interna da parte delle proprie istituzioni militari; che Honduras
avrebbe dovuto vietare manovre e presidi americani; che El Salvador avrebbe dovuto espellere i
militari statunitensi presenti sul proprio territorio. Quindi, il trattato Contadora chiedeva il ritiro
dall’America centrale da parte di Cuba, Unione Sovietica e Usa.
Il trattavo sembrava avere buone possibilità di riuscita: era stato accettato da Guatemala, Costa
Rica, Honduras, Nicaragua, ed era supportato da Nazioni Unite. Comunità Europea e OAS. Gli Stati
Uniti, che da sempre si erano opposti al gruppo, riuscirono però a bloccare l’accordo esercitando
pressioni su Costa Rica e Honduras. Il vero motivo dietro l’opposizione al gruppo è di natura
politica: l’accordo di Contadora implicava accettare il potere sadinista e rappresentava quindi una
minaccia all’egemonia statunitense nella regione.
Quando l’accordo del gruppo Contadora entrò in una fase di stallo, gli Stati Uniti intesificarono le
proprie attività di interferenza: incrementarono l’aiuto militare a El Salvador, cominciarono
programmi di training militare a Panama e Honduras, e in Nicaragua rafforzaro l’appoggio ai gruppi
di opposizione. Arias Sanchez, eletto presidente della Costa Rica nell’86, decise di affrontare la
situazione, e, con determinazione e grande abilità diplomatica, riuscì a convincere i presidenti
dell’America Centrale a continuare la negoziazione. Il risultato fu l’accordo Esquipulas, che
chiedeva ai paesi coinvolti di:
- cessare il fuoco
- dialogare con i movimenti di opposizione
- prevenire l’uso del proprio territorio per l’aggressione di altri Stati
- cessare e proibire l’aiuto da parte di forze irregolari o da parte di movimenti insurrezionali
- elezioni libere e la democratizzazione di tutte le nazioni.
Si trattava di un accordo ambizioso, che incorporava i principi dei documenti del gruppo Contadora
e che aveva il merito di presentare soluzioni regionali a problemi dell’America centrale. In qualche
modo, riuscì a facilitare il processo di pace nella regione.

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