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Jean Cocteau

ORFEO
Traduzione di Marisa Zini
Nota di Gian Renzo Morteo

Giulio Einaudi editore


Orfeo, scritto nell’estate del 1925 a Villefranche-sur-Mer e rappresentato
nel giugno dell’anno successivo al Théâtre des Arts di Parigi dai Pitoëff,
costituisce il primo punto fermo nella produzione teatrale di Jean Cocteau.
In questa minuscola e misteriosa tragedia confluiscono, certo, le
esperienze ed i tentativi anteriori, le estrosità bizzarre, talora astratte e
gratuite di una Parade o di un Mariés de la Tour Eiffel, che al pubblico
erano apparsi festosi ed insolenti giuochi di prestigio scenici; come le
sollecitazioni classiche, le fascinazioni del mito che avevano indotto il
poeta a tradurre, o meglio a riscrivere un’Antigone e un Edipo re. Cosí in
Orfeo, su una tessitura di racconto mitico, trasposto in termini di
volutamente ambigua modernità, quella stessa che nell’opera grafica di
Cocteau conferisce alle forme reali, mediante un fluido e continuo tratto, la
purezza sovrumana e algebrica del geroglifico, si affaccia il mondo
inquietante del circo: dal cavallo sapiente ai personaggi sospesi a mezz’aria,
dagli specchi che inghiottono con l’immagine la persona alle colombe
addomesticate, alla testa parlante dell’uomo decapitato. D’altronde nella
didascalia iniziale lo stesso Cocteau ci avverte che la scena è molto
somigliante ai «salotti dei prestidigitatori», aggiungendo poco oltre che essa
in nulla può essere mutata in quanto si tratta di «uno scenario “utile” in cui
il minimo particolare ha la sua funzione come i dispositivi di un numero di
acrobati». Per parte sua il prologo, a nome degli interpreti, dichiara, proprio
come accade prima dei numeri particolarmente pericolosi: attenzione,
«lavoriamo molto in alto e senza rete di soccorso».
Le esperienze ed i tentativi anteriori qui però si compongono in una unità
che li supera e rinnova sostanzialmente. Il giuoco diventa magia. Le stesse
intrusioni e movenze di sapore clownesco, da provocatorie che erano nel
primo Cocteau, pur senza perdere un certo valore di choc, si fanno
funzionali, elementi drammatici che nella loro tensione verso una
perfezione extralogica sfiorano il mistero, il limite umano, lasciando al
medesimo tempo trasparire il sovrannaturale. E in effetti questo Orfeo è un
esercizio acrobatico ai confini tra la vita e la morte, un tentativo di mettersi
in contatto con l’aldilà.
La traccia è chiaramente ed esplicitamente fornita dal mito antico, uno
dei piú suggestivi, incentrato sulla discesa del divino cantore negli inferi per
strappare la sposa Euridice alla morte con la forza irresistibile della poesia,
la quale aveva già ammansito le fiere, fermati i corsi d’acqua e mosso a
seguire il canto il popolo degli alberi. Occorre però avvertire che nella
tragedia di Cocteau la peripezia esteriore, diciamo cosí «fisica», perde gran
parte del suo valore, sacrificata a vantaggio di un’avventura prettamente
intellettuale, concentrata nella figura di Orfeo che ci appare diviso tra due
forze misteriose (il cavallo e l’angelo-vetraio Heurtebise), mentre ad
Euridice è riservata soltanto una funzione catalizzatrice sul piano dello
sviluppo drammatico dell’azione.
Tutta la vicenda – e quindi non soltanto la scena ad hoc – è una calata
agli inferi. Disgustato del contingente pigramente pago di sé («la mia vita
incominciava a infracidirsi…»), Orfeo cerca l’assoluto e tenta l’immersione
nel mistero. È questo un bisogno profondo dello spirito, dell’intelligenza e
della sua forma piú sottile e medianica, la poesia; bisogno che,
cronologicamente, nella storia personale di Cocteau (la cosa non è senza
importanza per la retta comprensione dell’opera), sappiamo esasperato sino
allo spasimo e sino al ricorso all’oppio proprio nell’anno che precedette la
stesura dell’Orfeo e ciò come conseguenza della morte dell’amico, e piú
che tale, Raymond Radiguet. La metabasi che dà forza e significato alla
tragedia è costituita, nella ricerca dell’assoluto, da un passaggio dal
demoniaco al divino, il primo adombrato nel cavallo sapiente, il secondo in
Heurtebise, come chiarisce la preghiera conclusiva recitata dal protagonista.
Per quanto possa apparire strano, a noi sembra che Orfeo sia opera
sostanzialmente religiosa, quantunque di una religiosità allusiva,
disincarnata e contorta (una linea retta può essere sinuosa, ha ripetuto piú
volte lo scrittore) quale ci si può aspettare da un Cocteau. La chiave, a
nostro modo di vedere, è proprio qui. E non si deve dimenticare che Orfeo è
stato scritto nel periodo in cui l’autore fu sotto l’influenza di Jacques
Maritain, al quale nella famosa lettera datata ottobre 1925 egli scriveva: «Je
voudrais que l’intelligence fût reprise au démon et rendue à Dieu». Di
questa restituzione Orfeo è un tentativo.
Ovviamente è imprudente e pericoloso voler precisare troppo
l’interpretazione dei simboli cui il drammaturgo fa ricorso per esprimersi,
giacché essi racchiudono l’ambiguità dei talismani e degli ingredienti
magici, con rapporti di simpatia, nell’autore, anche contraddittori, massime
nel caso del cavallo. In Cocteau affiora sempre una componente di distacco
e di giuoco, anche quando l’opera nasce dalla sofferenza, un timore di
partecipazione troppo scoperta, quello che tre anni prima, ne Le Grand
Ecart, gli aveva fatto sentenziare: «le cœur ne se porte plus». Ci muoviamo
in un giuoco di specchi in cui la farsa risponde al dramma, la tragedia alla
commedia, la realtà alla fantasia e viceversa. In questi simboli sedimentano
reminiscenze del mito, esperienze dada, annotazioni di costume, gusto di
sorprendere, trasposizione di procedimenti stilistici. A questo proposito si
veda ad esempio il personaggio della Morte che si presenta in aspetto di
giovane donna bellissima e gelida, giacché se comparisse come tutti la
vogliono vedere – scheletro, sudario e falce – tutti la riconoscerebbero ed
ella non potrebbe piú giungere inattesa; non è forse lo stesso trattamento
che, sempre in quegli anni, ne Le Secret professionnel (1922) Cocteau si
riprometteva di far subire alla poesia, ossia liberarla «des épithètes et des
images d’après quoi le monde a coutume de la reconnaître»? Se le
interpretazioni troppo esatte sono pericolose, è d’altro canto fuori dubbio
che in questa singolare tragedia circolano i temi del tempo, della poesia,
dell’aldiqua e dell’aldilà, della vita e della morte, delle forze misteriose che
si agitano nell’animo umano. E non è certo un caso che Rainer Maria Rilke,
forse memore dei suoi Sonette an Orpheus, si fosse accinto, poco prima
della morte, a tradurre il testo di Cocteau.
Cocteau, si sa, si è sempre fatto un punto d’onore a non scrivere due
opere per qualità di fattura sovrapponibili, tali da rivelare una medesima
mano, a rinnovarsi continuamente, cosí come fa nello stesso ambito
dell’Orfeo, fedele al suo principio che «le poète meurt sans cesse et doit,
pareil au Phénix, renaître de ses cendres» (Le Cordon ombilical, 1962).
Tanta versatilità, per non dire trasformismo, ha spesso stupito, talora
irritato. Si è parlato di mistificazione. Il discorso è complesso e non si può
certo affrontare in questa sede, dove ci limiteremo a ricordare il giuoco di
specchi cui abbiamo accennato piú sopra e l’unità inquietante che
dall’insieme ne deriva. Indubbiamente un’avventura. Ad ogni modo, se a
facilitare la lettura di questo Orfeo può riuscire utile un’indicazione di
poetica, ricorderemo che nella prefazione ai Mariés de la Tour Eiffel
Cocteau affermava che il suo scopo era sostituire una «poesia di teatro» alla
«poesia a teatro». E precisava: «La poésie au théâtre est une dentelle
délicate impossible à voir de loin. La poésie de théâtre serait une grosse
dentelle; une dentelle en cordage, un navire sur la mer». Certo, su questa
via si può giungere a un melodramma come L’Aigle à deux têtes. Ma su
questa via si può anche arrivare a molta parte dell’avanguardia teatrale
contemporanea.
GIAN RENZO MORTEO

Jean Cocteau nacque il 5 luglio 1889 a Maison-Laffitte (Seine-et-Oise),


da una famiglia dell’alta borghesia. Poeta, romanziere, saggista,
drammaturgo, attore, giornalista, pittore, musicista, regista teatrale e
cinematografico, ecc., per decenni fu al centro della vita mondana e artistica
della capitale francese. Dal 1955 fece parte dell’Accademia reale belga e
dell’Accademia di Francia. Dottore honoris causa dell’Università di Oxford
(1956). La sua produzione è sterminata. Ci limiteremo quindi a ricordare le
opere di teatro: Le Dieu bleu, balletto (1912, Théâtre du Châtelet); Parade
(1917, Th. du Châtelet); Roméo et Juliette, adattamento da Shakespeare
(1918; rappr. 1924, Th. de la Cigale); Le Bœuf sur le toit, mimo (1920, Th.
des Champs-Elysées); Le Gendarme incompris, atto buffo, in
collaborazione con Radiguet e Francis Poulenc (1921, Th. Michel); Les
Mariés de la Tour Eiffel (1921, Th. des Champs-Elysées); Antigone,
adattamento da Sofocle (1922, Th. de l’Atelier; scene di Picasso; 1927,
Honegger usa il testo come libretto per la sua opera omonima); Œdipe-Roi,
adattamento da Sofocle (1922; rappr. 1937, Th. Antoine); Le Train bleu,
balletto (1924, Th. des Champs-Elysées); Orphée (1925; rappr. 1926, Th.
des Arts); Œdipus-Rex, testo per l’oratorio di Stravinsky (1926; esecuzione
1927, Th. Sarah-Bernhardt; rappr. in prosa 1952, Th. des Champs-Elysées);
Le Pauvre Matelot, testo per l’opera di Milhaud (1926; esecuzione 1927,
Opéra-Comique); La Voix humaine (1930, Comédie-Française); La
Machine infernale (1932; rappr. 1934, Th. Louis-Jouvet); L’Ecole des
veuves (1936, Th. A.B.C.); Les Chevaliers de la Table Ronde (1937, Th. de
l’Œuvre); Les Parents terribles (1938, Th. des Ambassadeurs); Les
Monstres sacrés (1940, Th. Michel); Le Bel indifférent (1940, Th. des
Bouffes Parisiens); La Machine à écrire (1941, Th. Hébertot); Renaud et
Armide (1941; rappr. 1943, Th. Français); Le Jeune Homme et la Mort,
balletto (1946, Th. des Champs-Elysées); L’Aigle à deux têtes (1946, Th.
Hébertot); Phèdre, balletto (1950, Th. de l’Opéra); Bacchus (1951, Th.
Marigny); La Dame à la licorne, balletto (1953, Monaco di Baviera); Le
Poète et sa muse, mimodramma (1959, Festival di Spoleto). Cocteau è
morto l’11 ottobre 1963 nella sua villa di Milly-la-Forêt, nei pressi di
Parigi.
DEDICA

Caro Pitoëff,

un pittore può buttarsi dal quinto piano: l’amatore dirà ancora «sí; una
bella macchia di colore». Voi sapete a che cosa si espone un autore
drammatico spellato vivo. Ma, a teatro, il pubblico riserba delle sorprese e
non anticipa il giudizio; invece la critica, tranne alcune eccezioni, non serba
sorprese. La vostra indifferenza per quest’ordine di cose supera la mia, e,
nonostante la critica, ottenemmo ogni sera una platea che collaborava con
noi. Platee commoventi per un temperamento che resta imperturbabile di
fronte all’ammirazione e mira soltanto ad essere libero. Una domenica
vennero i vostri bambini, di cui il maggiore ha sette anni. Provengono
intatti dalla morte verso la quale ritornano i grandi. Sono pertanto allo
stesso livello del mistero. Da allora, la minestra si mangia per Orfeo, per
Euridice, per Heurtebise; Sacha imita il cavallo e Ludmilla attraversa gli
specchi. I critici citano il mio testo tutto storpiato; loro lo ricordano, lo
recitano, ci giocano. Se lo cambiano, è come il sogno che cambia i nostri
atti. Insomma, riescono il miracolo dell’ultima scena: una casa ch’è salita in
cielo. Offro il mio lavoro ai vostri bambini, e auguro che non perdano mai
l’infanzia o la ritrovino grazie al cuore, all’intelligenza, ereditati da vostra
moglie e da voi.

JEAN

1° luglio 1926.
ORFEO

Tragedia in un atto e un intervallo

Com’è brutta la felicità che desideriamo


Com’è bella l’infelicità che abbiamo.

L’A. H.
Costumi.

Si devono adottare i costumi del tempo in cui è rappresentata la tragedia.


Orfeo ed Euridice in abiti da campagna, i piú semplici e i meno vistosi.
Heurtebise con la tuta azzurra degli operai, un fazzoletto scuro al collo e
ciabatte bianche. È abbronzato, a capo scoperto. Ha sempre con sé
l’attrezzatura da vetraio.
Il Commissario e l’Usciere portano uno stifelius nero, il panama, scarpe
abbottonate; hanno la barbetta.
La Morte è una giovane bellissima in abito da ballo rosa acceso e
mantello di pelliccia. Capelli, abito, mantello, scarpe, gesti, andatura
all’ultima moda. Ha grandi occhi azzurri dipinti su una mezza mascherina;
parla in fretta, con voce secca e distratta. Anche il suo camice da infermiera
deve essere il non plus ultra dell’eleganza.
I suoi aiutanti hanno l’uniforme, la maschera bianca, i guanti di gomma
dei chirurghi quando operano.

Scenario.

Un salotto nella villa d’Orfeo, piuttosto originale e parecchio somigliante


ai salotti dei prestidigitatori. Nonostante il cielo d’aprile dalla luce decisa,
s’intuisce che questo salotto è attorniato da forze misteriose. Anche gli
oggetti familiari paiono sospetti.
Scenario.

Piano dello scenario.

Prima di tutto in un box a forma di nicchia, proprio in centro, sta un


cavallo bianco, le cui gambe rassomigliano moltissimo a gambe umane. A
sinistra del cavallo un’altra nicchietta, incorniciata di alloro, nella quale si
erge un piedestallo vuoto. Dopo il piedestallo, all’estrema sinistra una porta
che dà sul giardino; quand’essa è aperta il battente nasconde lo zoccolo. A
destra del cavallo un lavabo di maiolica e quindi, all’estrema destra, una
porta finestra, di cui si scorge la vetrata socchiusa verso l’esterno; dà su una
terrazza che circonda la villa.
In prima quinta, a sinistra, contro il muro, un grande specchio; in
seconda quinta, una biblioteca. Al centro della parete di destra, porta aperta
sulla camera di Euridice. Un soffitto inclinato chiude la scena come una
scatola.
Due tavoli e tre sedie bianche ammobigliano la stanza; a sinistra una
scrivania e una delle seggiole.
A destra della scena, frutta, piatti, una caraffa, vari bicchieri, simili agli
oggetti di cartone dei giocolieri, sul secondo tavolo ricoperto da una
tovaglia che sfiora per terra. Dietro al tavolo, di faccia, una seggiola; a
sinistra e vicino, un’altra.
Non si può aggiungere o togliere una seggiola, né distribuire altrimenti le
aperture, perché questo scenario è uno scenario «utile» in cui il minimo
particolare ha la sua funzione come i dispositivi di un numero di acrobati.
Nessun colore, tranne l’azzurro del cielo, la balza di velluto rosso scuro
che profila in alto la porticina del box, per cui il mezzo del corpo del
cavallo, rimane dissimulato.
Lo scenario suggerirà quei falsi aeroplani o bastimenti dei fotografi da
fiera: d’altronde esso si fonde con i personaggi e con gli avvenimenti nello
stesso modo ingenuo e duro con cui modello e tela dipinta si mescolano sul
chiaroscuro delle fotografie formato cartolina.
PERSONAGGI

Orfeo
Heurtebise
Il Commissario di polizia
Il Cancelliere
Il cavallo
Voce del Portalettere
Azraele primo aiutante della Morte
Raffaele secondo aiutante della Morte
Euridice
La Morte

In Tracia, in casa di Orfeo.

Orfeo fu rappresentato la prima volta al Théâtre des Arts, a Parigi, il 17


giugno 1926. Regia di Jean Victor-Hugo, costumi di Gabrielle Chanel.
PROLOGO

L’attore che recita Orfeo compare davanti al sipario.

Signore, signori, questo prologo non è dell’autore. Certo egli si


meraviglierà nell’udirmi. La tragedia di cui ci ha affidato le parti ha uno
svolgimento assai delicato. Vi chiederò pertanto di aspettare la fine per
pronunciarvi nel caso non foste soddisfatti del nostro lavoro. Ecco la
ragione della mia richiesta; lavoriamo molto in alto e senza rete di soccorso.
Il piú piccolo rumore intempestivo rischierebbe di ucciderci, i miei
compagni e me. (Esce).
SCENA PRIMA

Orfeo, Euridice, il cavallo.

Orfeo dietro la scrivania; consulta un alfabeto spiritico. Euridice seduta a


destra, accanto alla tavola preparata.

EURIDICE Posso muovermi?


ORFEO Aspetta ancora un attimo.
EURIDICE Non batte piú.
ORFEO Talvolta c’impiega molto tra la prima lettera e le altre.
EURIDICE Le altre si prevedono!
ORFEO Te ne prego!
EURIDICE Ammetti che quella parola ritorna sempre!
ORFEO M. M… Cavallo, continua. Su, presto, dopo la lettera M… ti ascolto!
EURIDICE Che pazienza! Tu che non hai nessuna fermezza, ne trovi per il
tuo cavallo.
ORFEO Ascolto! Su, cavallo! M. M , dopo M. (Il cavallo si muove). Ti
muovi; ora parlerai. Parla. Dettaci la lettera dopo la M. (Il cavallo picchia
con lo zoccolo. Orfeo conta) A. B. C . D. E. E , è la lettera E ?

Il cavallo scuote la testa dall’alto in basso.

EURIDICE Naturalmente.
ORFEO (furente) Zitta! (Il cavallo batte). A. B. C. D. E. F. G. H. I . L. M. N. O.
P. Q . R. (A Euridice) Ti proibisco di ridere. R , è proprio la lettera R ? M , E ,
R , mer? Ho contato male. Cavallo! è la lettera R ? Se è sí, batti un colpo,
se è no: due.

Il cavallo batte un colpo.

EURIDICE Non insistere.


ORFEO Senti, ti supplico di stare ferma. Niente disturba questo cavallo
come gli increduli. Va’ in camera tua oppure taci.
EURIDICE Non aprirò piú bocca.
ORFEO Tanto meglio. (Al cavallo) Mer. Mer… e dopo mer? M. E. R. , mer.
Ascolto. Parla. Parlami, cavallo. Cavallo! Su, un po’ di coraggio. Dopo
la lettera R ? (Il cavallo batte. Orfeo conta) A . B. C. (Silenzio). C . La
lettera C . La lettera C , cara signora! (Il cavallo batte). A. B. C. D. E. F. G. H.
I. Merci. Merci! Era Merci! 1. E basta: nient’altro? (Il cavallo abbassa la
testa). È stra-or-di-na-rio; vedi, Euridice, tu, con la tua malignità; avrei
potuto crederti, avrei potuto avere la debolezza di lasciarmi
convincere… Merci e basta, è stra-or-di-na-rio!
EURIDICE Perché?
ORFEO Come, perché?
EURIDICE Perché è straordinario? Quel grazie è insensato.
ORFEO Ma sentila! Questo cavallo la settimana scorsa mi detta una delle
frasi piú commoventi che esistano.
EURIDICE Oh!…
ORFEO … Mi detta una delle frasi piú commoventi che esistano. Io mi
propongo di adoperarla per trasfigurare la poesia. Rendo immortale il
mio cavallo e tu ti stupisci di sentirlo che mi dice «grazie». Quel
«grazie» è un capolavoro di tatto. E io che credevo… (Abbraccia il collo
del cavallo).
EURIDICE Senti, Orfeo, amor mio, non rimproverarmi. Sii giusto, ammetti
che dopo quella famosa frase tu hai ottenuto una parola, una sola, e
questa non è affatto poetica.
ORFEO Chi sa mai che cosa sia poetico o che cosa non lo sia.
EURIDICE Aglaonice faceva ballare i tavolini e il suo rispondeva sempre
quella parola.
ORFEO Suvvia! Non ci mancava altro che immischiare quella là nei nostri
affari. Ti ho già detto che non volevo piú che mi si parlasse di lei. Una
donna che con il suo ascendente per poco non ti rovinava! Una che beve,
che porta a spasso delle tigri, che fa girare la testa alle nostre mogli e
impedisce alle ragazze di maritarsi.
EURIDICE Ma è il culto della luna.
ORFEO Brava! E tu, difendila. Torna dalle Baccanti visto che i loro
costumi ti vanno a genio.
EURIDICE Ti stuzzico; sai benissimo che amo te solo e che ti è bastato un
solo cenno perché io abbandonassi quell’ambiente.
ORFEO Bell’ambiente. Non dimenticherò mai la voce con cui Aglaonice
mi disse: «Portatevela via, visto che lei è d’accordo. Le donne stupide
adorano gli artisti. Riderà bene chi riderà l’ultimo».
EURIDICE Mi corse un brivido per la schiena.
ORFEO Se la ritrovo! (Batte il calamaio sul tavolo).
EURIDICE Orfeo, mio poeta… Guarda come sei nervoso con quella storia
del cavallo. Prima ridevi, mi baciavi, mi coccolavi; avevi una posizione
splendida. Eri carico di gloria, di ricchezza. Scrivevi poemi che tutti si
strappavano e che tutta la Tracia recitava a memoria. Glorificavi il sole,
eri il suo sacerdote e un capo. Ma dal cavallo in poi tutto è finito.
Abitiamo in campagna; hai abbandonato il tuo posto e ti rifiuti di
scrivere. Passi la vita a far moine al cavallo, a interrogarlo, a sperare che
ti risponda. Non è serio.
ORFEO Non è serio? La mia vita incominciava a infracidirsi, a essere a
punto, a puzzare di successo e di morte. Metto il sole e la luna nello
stesso sacco; mi resta la notte; e non la notte degli altri! La mia notte.
Questo cavallo s’immerge nella mia notte e ne esce come un tuffatore;
ne porta su delle frasi. Non senti che una brevissima frase è piú
sbalorditiva di tutti i poemi? Darei le mie opere complete per una sola di
queste frasette in cui io mi ascolto come si ascolta il mare in una
conchiglia. Non serio? Che cosa ti ci vuole, piccola mia! Io scopro un
mondo. Rivolto la mia pelle; do la caccia all’ignoto.
EURIDICE Adesso mi citerai la famosa frase.
ORFEO (serio) Sí. (Si dirige verso il cavallo e recita) Madama Euridice
ritornerà dall’Ade.
EURIDICE È priva di senso quella frase.
ORFEO Altro che del senso si tratta. Appoggia bene l’orecchio contro
questa frase. Cogline il mistero. «Euridice ritornerà» sarebbe
comunissimo… ma madama Euridice! madama Euridice ritornerà…
quel ritornerà! quel futuro! e la caduta: dall’Ade. Dovresti essere
contenta che parlo di te.
EURIDICE Non sei tu che ne parli… (Additando il cavallo) È lui.
ORFEO Né lui, né io, né nessuno. Che sappiamo noi? Chi parla? Cozziamo
nel buio; siamo nel soprannaturale fino al collo. Giochiamo a
moscacieca con gli dèi; non sappiamo nulla, nulla, nulla. «Madama
Euridice ritornerà dall’Ade» non è una frase. È un poema, un poema del
sogno, un fiore dal fondo della morte.
EURIDICE E tu speri convincere il mondo? Fare ammettere che la poesia
consista nello scrivere una frase; acquistare gloria con la tua frase da
cavallo.
ORFEO Non si tratta di gloria, né di cavallo, né di convincere il mondo.
D’altronde non sono piú solo.
EURIDICE Non parlarmi del tuo pubblico. Quattro o cinque giovani stolidi
senza cuore che ti credono un anarchico e una dozzina d’idioti che
cercano di farsi notare.
ORFEO Avrò di meglio. Spero un giorno di affascinare gli animali veri.
EURIDICE Visto che disprezzi la gloria, perché mandare quella frase al
concorso di Tracia? Perché annettere tanta importanza al premio?
ORFEO Occorre buttare una bomba; occorre suscitare uno scandalo; ci
vuole uno di quegli uragani che rinfrescano l’aria. Si soffoca, non si può
piú respirare.
EURIDICE Eravamo cosí tranquilli.
ORFEO Troppo.
EURIDICE Mi amavi.
ORFEO Ti amo.
EURIDICE Ami il cavallo, io passo in seconda linea.
ORFEO Sei stupida. Non c’è nessun rapporto. (Bacia distrattamente
Euridice e si accosta al cavallo) Nevvero, vecchio mio? Nevvero, mio
vecchio fratello? Eh? Vuoi bene al tuo amico? Vuoi uno zuccherino? Su,
baciami. No, meglio. Oh! oh… quant’è bello! Prendi. (Trae dello
zucchero di tasca e lo porge al cavallo) È buono.
EURIDICE Io non esisto piú. Potrei morire che non te ne accorgeresti
neppure.
ORFEO Eravamo morti senz’accorgercene.
EURIDICE Vienmi vicino.
ORFEO Peccato! Devo uscire. Vado in città a mettermi in regola per il
concorso; domani è la scadenza: non ho un minuto da perdere.
EURIDICE (con ardore) Orfeo! o mio Orfeo!…
ORFEO Vedi quel basamento vuoto; vi poserò soltanto un busto degno di
me.
EURIDICE Ti scaglieranno pietre.
ORFEO Ci farò il mio busto.
EURIDICE Diffida delle Baccanti.
ORFEO Le ignoro.
EURIDICE Esistono; piacciono; ne conosco i sistemi. Aglaonice ti odia.
Deve partecipare al concorso.
ORFEO Ah! quella donna! quella donna!
EURIDICE Sii giusto… Ha molta disposizione.
ORFEO Eh?
EURIDICE Per un genere bruttissimo, d’accordo; ma sotto un certo angolo,
su un certo piano, ha disposizione. Ha bellissime immagini.
ORFEO Ma guarda un po’. Sotto un certo angolo… su un certo piano…
l’hai imparato dalle Baccanti questo gergo? Dunque su un certo piano le
sue immagini ti piacciono. Sotto un certo angolo tu approvi i miei
mortali nemici. E tu mi ami, e affermi di amarmi. Ebbene da questo
angolo e da questo piano, dichiaro che sono stufo di essere perseguitato,
e che questo cavallo è l’unico essere che qui sappia prendermi per il mio
verso. (Picchia il pugno sul tavolo).
EURIDICE Non vale la spesa di fracassare tutto.
ORFEO Fracassare tutto! È il colmo! La signora rompe un vetro al giorno e
adesso sono io che fracasso tutto.
EURIDICE Prima di tutto…
ORFEO (passeggiando in lungo e in largo) Lo so quello che vuoi dire; mi
dirai che oggi non hai ancora rotto vetri.
EURIDICE Ma…
ORFEO Ebbene, rompilo, rompilo, rompi il vetro.
EURIDICE Perché ti metti in uno stato simile?
ORFEO Guarda la furbona. Tu non rompi dei vetri perché io esco…
EURIDICE (violenta) Cosa vuoi insinuare?
ORFEO Mi credi proprio cieco! Ogni giorno tu rompi un vetro perché
venga qui il vetraio.
EURIDICE Ebbene sí, rompo un vetro per far salire il vetraio; è un bravo
ragazzo, di cuore; mi ascolta e ti ammira.
ORFEO Troppo gentile.
EURIDICE E quando tu interroghi il cavallo e mi lasci sola, io rompo il
vetro. Non sei mica geloso, suppongo?
ORFEO Geloso, io? geloso di un vetraio? Perché non sarei anche geloso di
Aglaonice! Questa poi! To’, visto che ti rifiuti di rompere il vetro, lo
romperò io. Cosí mi sfogo. (Eseguisce. Si sente: «Vetraio! Vetraio!
Vetraio!») Eh! Vetraio! – Sale. Geloso?

SCENA SECONDA

Gli stessi, Heurtebise.

Compare Heurtebise sul balcone; il sole batte sui vetri; egli entra, piega
un ginocchio e incrocia le mani sul cuore.

HEURTEBISE Buongiorno, signori e signore.


ORFEO Buongiorno, amico. Sono io, io, che ho rotto il vetro. Sostituitelo.
Vi lascio. (A Euridice) Mia cara, sorveglierete il lavoro. (Al cavallo)
Vogliamo bene, nevvero, al nostro poeta? (lo bacia). A stassera. (Esce).

SCENA TERZA

Euridice, Heurtebise.

EURIDICE Vedete, non invento nulla.


HEURTEBISE Inaudito.
EURIDICE Voi mi capite.
HEURTEBISE Povera signora.
EURIDICE Dacché questo cavallo lo ha seguito per istrada, dacché Orfeo
l’ha portato a casa, da quando sta con noi, da quando loro due si
parlano…
HEURTEBISE Il cavallo gli ha ancora parlato?
EURIDICE Gli ha detto grazie.
HEURTEBISE Sa prenderlo.
EURIDICE Insomma, da un mese, la nostra esistenza è diventata un
supplizio.
HEURTEBISE Non sarete mica gelosa di un cavallo?
EURIDICE Preferirei sapere che ha un’amante.
HEURTEBISE Lo dite…
EURIDICE Senza di voi, senza la vostra amicizia, sarei già impazzita.
HEURTEBISE Cara Euridice.
EURIDICE (si guarda nello specchio. Sorriso) Pensate, c’è un barlume di
speranza. Si è reso conto che rompevo un vetro al giorno; allora, invece
di dirgli che rompo un vetro per portarmi fortuna, ho detto che lo
rompevo affinché voi saliste a trovarmi.
HEURTEBISE Avrei creduto…
EURIDICE Aspettate. Mi ha fatto una scenata e ha rotto il vetro. Lo credo
ancora geloso.
HEURTEBISE Come l’amate…
EURIDICE Piú lui mi bistratta e piú io l’amo. Mi era già parso che fosse
geloso di Aglaonice.
HEURTEBISE Di Aglaonice?
EURIDICE Lui esecra tutto quello che si riferisce al mio vecchio ambiente.
Ecco perché temo che stiamo commettendo una terribile imprudenza.
Parliamo piano; ho sempre paura che il cavallo mi ascolti.

Risalgono in punta di piedi fino alla nicchia.

HEURTEBISE Dorme.

Ridiscendono. Tornano verso il proscenio.

EURIDICE Avete veduto Aglaonice?


HEURTEBISE Sí.
EURIDICE Orfeo vi ucciderebbe se lo sapesse.
HEURTEBISE Non lo saprà.
EURIDICE (lo trascina ancora piú lontano dal cavallo verso la sua
camera) Avete… quella cosa?
HEURTEBISE Ce l’ho.
EURIDICE Sotto che forma?
HEURTEBISE Sotto forma di una zolletta di zucchero.
EURIDICE Come si è comportata?
HEURTEBISE Con molta naturalezza. Mi ha detto: Do ut des. Ecco il
veleno, riportatemi la lettera.
EURIDICE È una lettera molto seccante per lei.
HEURTEBISE Anzi ha aggiunto: Perché la piccina non si comprometta, vi
consegno una busta; l’indirizzo è di mio pugno; basta che lei vi introduca
la lettera e suggelli; non rimarrà traccia alcuna del nostro scambio.
EURIDICE Orfeo è ingiusto. Aglaonice sa essere molto a modo. Era sola?
HEURTEBISE Con un’amica; non era ambiente per voi.
EURIDICE Certo. Ma non trovo che Aglaonice sia una cattiva ragazza.
HEURTEBISE Diffidate delle ragazze per bene e dei bravi ragazzi. Ecco lo
zucchero.
EURIDICE Grazie… (Prende lo zucchero timorosa e si accosta al cavallo)
Ho paura.
HEURTEBISE Indietreggiate?
EURIDICE No, ma ho paura; a freddo, faccia a faccia con l’azione,
confesso che mi manca il coraggio. (Ritorna davanti alla scrivania)
Heurtebise?
HEURTEBISE Cosa?
EURIDICE Mio piccolo Heurtebise. Non acconsentireste…
HEURTEBISE Oh! oh! mi chiedete un gesto ben grave.
EURIDICE Mi avete detto che fareste qualunque cosa per rendermi
servizio.
HEURTEBISE Lo ripeto, ma…
EURIDICE Oh! caro, se ciò vi disturba minimamente, non parliamone piú.
HEURTEBISE Datemi lo zucchero.
EURIDICE Grazie. Siete generoso.
HEURTEBISE Però, lo accetterà dalla mia mano?
EURIDICE Provateci.
HEURTEBISE (vicino al cavallo) Vi confesso di sentirmi una certa
tremarella alle gambe.
EURIDICE Siate uomo! (Passa a destra e si ferma vicino alla porta della
sua camera).
HEURTEBISE Avanti. (Con voce flebile) Cavallo… cavallo…
EURIDICE (guardando dalla finestra) Cielo, Orfeo! rientra. Attraversa il
giardino. Presto, presto, fate finta di lavorare. (Heurtebise butta lo
zucchero sulla tavola preparata e la spinge contro il muro tra la finestra
e la porta della stanza). Salite su questa seggiola.

Heurtebise sale sulla sedia nell’intelaiatura della porta-finestra fingendo


di pigliare le misure. Euridice si butta sulla seggiola della scrivania.

SCENA QUARTA

Gli stessi, Orfeo.


ORFEO Ho dimenticato la fede di nascita; dove l’ho messa?
EURIDICE In alto della biblioteca, a sinistra. Vuoi che la cerchi?
ORFEO Sta’ seduta. La troverò da me. (Passa davanti al cavallo, lo
accarezza, afferra la seggiola sulla quale sta ritto Heurtebise e la porta
via).

Heurtebise rimane nello stesso atteggiamento, sospeso in aria. Euridice


trattiene un grido. Orfeo, senza accorgersi di nulla, sale sulla seggiola
davanti alla biblioteca, dice: «Eccola», prende il documento, scende
dalla sedia, la riporta al posto sotto i piedi di Heurtebise ed esce.

SCENA QUINTA

Euridice, Heurtebise.

EURIDICE Heurtebise! spiegatemi quel prodigio!


HEURTEBISE Quale?
EURIDICE Non mi direte che non vi siete accorto di nulla e che è naturale
che uno a cui venga tolta la seggiola di sotto, resti sospeso in aria invece
di cadere.
HEURTEBISE Sospeso in aria?
EURIDICE Fingete la sorpresa, vi ho veduto. Stavate per aria: eravate
sospeso a mezzo metro da terra; intorno c’era il vuoto.
HEURTEBISE Mi meravigliate assai.
EURIDICE Siete rimasto almeno un minuto fra terra e cielo.
HEURTEBISE Impossibile.
EURIDICE Proprio perché è impossibile, mi dovete una spiegazione.
HEURTEBISE Voi affermate che io stavo senza appoggio tra il pavimento e
il soffitto?
EURIDICE Non mentite, Heurtebise! Vi ho veduto, veduto con i miei occhi.
Ce n’è voluto perché non gridassi! In questa casa di pazzi, eravate il mio
ultimo rifugio, l’unica persona che non mi spaventasse, vicino alla quale
ritrovavo il mio equilibrio. Ma per quanto uno viva con un cavallo
parlante, un amico librato nell’aria per forza diventa sospetto. Non
accostatevi! Fino a nuovo ordine, anche la vostra luce sulla schiena mi fa
venire la pelle d’oca. Spiegatevi, Heurtebise: vi ascolto.
HEURTEBISE Non ho da difendermi. O io sogno, o voi avete sognato.
EURIDICE Sí, in sogno, capita che uno faccia quel che avete fatto, ma non
dormivamo né l’uno né l’altra.
HEURTEBISE Sarete stata vittima di un miraggio fra i miei e i vostri vetri.
A volte gli oggetti mentiscono. Alla fiera ho veduto una donna nuda
camminare sul soffitto.
EURIDICE Non si trattava di un trucco; era bello e terribile; nello spazio di
un secondo vi ho veduto terribile come una disgrazia e bello come
l’arcobaleno. Eravate l’urlo di uno che precipita dalla finestra e il
silenzio delle stelle. Mi fate paura. Sono troppo sincera per non dirvelo.
Se volete tacere, tacete; ma i nostri rapporti non possono piú essere gli
stessi. Vi credevo semplice, siete complicato; vi credevo della mia razza,
appartenete a quella del cavallo.
HEURTEBISE Euridice, non torturatemi… avete una voce da sonnambula.
Siete voi a farmi paura.
EURIDICE Non adoperate il metodo di Orfeo, non invertite le parti; non
tentate di farmi credere ch’io sia pazza.
HEURTEBISE Euridice, vi giuro…
EURIDICE Inutile, Heurtebise; ho perduto la fiducia in voi.
HEURTEBISE Che fare?
EURIDICE Aspettate. (Si dirige alla biblioteca, sale sulla seggiola, prende
un libro, lo apre, ne trae una lettera e lo rimette a posto) Datemi la busta
di Aglaonice. (Heurtebise gliela dà). Grazie. (Infila la lettera nella
busta, lecca la gomma) Oh!
HEURTEBISE Vi siete tagliata la lingua?
EURIDICE No, ma la gomma ha un sapore strano; prendete la busta, la
porterete a Aglaonice. Andate.
HEURTEBISE Non ho rimesso il vetro.
EURIDICE Ne farò a meno. Andate.
HEURTEBISE Volete che me ne vada.
EURIDICE Ho bisogno di restar sola.
HEURTEBISE Siete cattiva.
EURIDICE Non mi piacciono i fornitori che volano 2.
HEURTEBISE Questo doppio senso crudele è indegno di voi.
EURIDICE Non è un doppio senso.
HEURTEBISE (raccoglie la borsa) Rimpiangerete di avermi fatto del male.
(Pausa). Mi scacciate?
EURIDICE Il mistero è mio nemico. Sono decisa a combatterlo.
HEURTEBISE Vado via. Voglio piacervi per la mia obbedienza. Addio,
signora.
EURIDICE Addio. (S’incrociano. Euridice si dirige verso la sua camera.
Heurtebise apre la porta ed esce; la porta rimane aperta. Se ne vede la
schiena brillare immobile al sole; d’improvviso Euridice si ferma e
cambia viso; vacilla, si porta la mano al cuore e si mette a gridare)
Heurtebise! Heurtebise! presto, presto…
HEURTEBISE (rientrando) Che c’è?
EURIDICE Aiuto!…
HEURTEBISE Siete gelata, siete livida!
EURIDICE Mi prende la paralisi; il cuore mi balza; il ventre mi brucia.
HEURTEBISE La busta!
EURIDICE Cosa, la busta?
HEURTEBISE (urla) La busta di Aglaonice; l’avete leccata, dicevate che
aveva uno strano sapore.
EURIDICE Ah! la miserabile! Correte presto! Portatemi qui Orfeo. Muoio.
Voglio rivedere Orfeo. Orfeo! Orfeo!
HEURTEBISE Non posso lasciarvi sola. Ci sarà pur qualcosa da fare, un
contravveleno da prendere.
EURIDICE Conosco il veleno delle Baccanti; paralizza; nulla mi salverà.
Correte presto. Riconducetemi Orfeo. Voglio rivederlo. Voglio che mi
perdoni. Io l’amo, Heurtebise. Soffro; se esitate, sarà troppo tardi. Ve lo
chiedo in ginocchio. Heurtebise, Heurtebise, voi siete buono, voi mi
compiangete. Ah! mi conficcano degli aghi fra le costole. Presto, presto,
correte, volate! Prendete la scorciatoia; se rientra, lo incontrerete per
strada. Vado a sdraiarmi in camera mia per aspettarvi. Aiutatemi.
(Heurtebise l’accompagna fino alla sua camera). Presto, presto, presto.
(Euridice scompare; proprio mentre Heurtebise sta aprendo la porta, lei
esce dalla stanza) Heurtebise, ascoltatemi: se sapete certe cose… sí…
certe cose come poco fa… che permettano di trasportarsi
istantaneamente da un punto all’altro… Non siate offeso con me, ero
nervosa, ero sciocca… Vi amo tanto, Heurtebise… tentate tutto. Ah!
(Rientra nella camera).
HEURTEBISE Lo riporterò qua, ve lo prometto. (Esce).

La scena rimane vuota un momento; cambia la luce. Rullio sincopato di


tamburi che accompagnano in sordina tutta la scena seguente.

SCENA SESTA

La Morte, Azraele, Raffaele.

La Morte entra in scena attraverso lo specchio, seguita dai suoi due


aiutanti; porta sotto un mantello l’abito da ballo. Gli aiutanti sono in
tenuta da chirurghi: se ne intravedono gli occhi; il resto del volto è
ricoperto da un lino. Guanti di gomma. Portano due grosse valige nere
elegantissime. La Morte cammina svelta e si ferma in mezzo alla stanza.

MORTE Sbrighiamoci.
RAFFAELE Dove desidera la signora che deponiamo le valige?
MORTE Per terra, in qualunque posto. Azraele vi spiegherà. Azraele, il mio
mantello.

Azraele toglie il mantello.

RAFFAELE Per timore di sbagliare faccio delle sciocchezze.


MORTE Non potete imparare in due giorni il mestiere di Azraele; lui è al
mio servizio da parecchi secoli. Agli inizi era come voi. Il mio camice.
Azraele trae da una delle borse il camice bianco e aiuta la Morte a
infilarselo sull’abito da ballo.

AZRAELE (a Raffaele) Prendi le scatole di metallo e mettile sulla tavola.


No, prima i tovaglioli; copri il tavolo con i tovaglioli.
MORTE (dirigendosi al lavabo) Azraele vi dirà che esigo l’ordine e la
pulizia come su una nave.
RAFFAELE Sí, signora. La signora mi scusi… ma ero distratto: guardavo
quel cavallo.
MORTE (mentre si lava le mani) Vi piace quel cavallo?
RAFFAELE Oh! sí, signora, molto.
MORTE Che bambino! Sono certa che vorreste averlo. È semplicissimo.
Azraele, l’alcool. (A Raffaele) Troverete una zolletta di zucchero
sull’altro tavolo.
RAFFAELE Sí, signora, eccola.
MORTE Dategliela; se rifiuta gliela darò io stessa. Azraele, i guanti di
gomma. Grazie. (Infila il guanto destro).
RAFFAELE Signora, il cavallo rifiuta lo zucchero.
MORTE (prende lo zucchero) Mangia, cavallo, lo voglio. (Il cavallo
mangia, arretra e scompare. Una tenda nera chiude la nicchia). Ecco
fatto. (A Raffaele) È vostro.
RAFFAELE La signora è troppo buona.
MORTE (infilandosi il guanto sinistro) Una settimana fa pensavate che io
fossi uno scheletro con un sudario e una falce. Mi vedevate come un
babau, uno spauracchio…
RAFFAELE Oh! signora…

Durante queste battute, Azraele nasconde lo specchio con un panno


bianco.

MORTE (mentre va a prendere la sedia lasciata da Heurtebise nel vano della


porta-finestra) Sí, sí, sí. Tutti lo credono. Ma, mio povero ragazzo, se
fossi come tutti vogliono vedermi, mi vedrebbero; e io devo entrare da
loro senza essere veduta. (Depone la seggiola vicino ai lumi della
ribalta, al centro) Azraele, prova il contatto.
AZRAELE Funziona, signora.

Cupo rumore di una macchina elettrica.

MORTE (trae dal camice un fazzoletto) Benissimo. Raffaele, volete essere


tanto cortese da bendarmi gli occhi con questo fazzoletto. (Mentre
Raffaele eseguisce) Abbiamo un’onda sette e una zona sette-dodici.
Regolate tutto su quattro. Se aumento, arriverete fino a cinque. Per
nessun motivo non oltrepassate il cinque. Stringete forte. Fate un doppio
nodo. Grazie. Siete ai vostri posti? (Azraele e Raffaele stanno dietro al
tavolo, in piedi, l’uno accanto all’altro, le mani nell’interno delle scatole
metalliche). Incomincio. (Si avvicina alla seggiola. Lenti gesti da
massaggiatrice e da ipnotizzatore intorno a un invisibile capo).
RAFFAELE (pianissimo) Azraele…
AZRAELE (stessa mimica) Sst…
MORTE Parlate, parlate, non mi disturbate.
RAFFAELE Azraele, dov’è Euridice?
MORTE Me l’aspettavo. Vedi, Azraele, tutti la stessa domanda! Spiegagli.
AZRAELE La Morte, per toccare le cose della vita, attraversa un elemento
che le deforma e le sposta. I nostri apparecchi le consentono di toccarle
dove le vede, il che risparmia molti calcoli e una notevole perdita di
tempo.
RAFFAELE È come per mirare a un pesce nell’acqua con un’arma da fuoco.
MORTE (ridendo) Press’a poco. (Seria) Azraele, preparami la bobina.
AZRAELE Sí, signora… La signora sa dov’è Heurtebise?
MORTE Riconduce Orfeo dalla città.
RAFFAELE Se corrono, avremo tempo di finire?
MORTE Questo riguarda Azraele; lui cambia le nostre velocità. Un’ora per
me dev’essere un minuto per loro.
AZRAELE L’ago oltrepassa cinque; la signora vuole la bobina?
MORTE Innescala e dammela.

Azraele va in camera di Euridice e rientra in scena con la bobina; la


Morte conta i passi tra la sedia e la camera. Poi si ferma di fronte alla
porta; Azraele le consegna la bobina, una specie di metro automatico
intorno al quale s’avvolge un filo bianco che esce dalla camera.

AZRAELE Raffaele, avete il cronometro?


RAFFAELE L’ho dimenticato!
AZRAELE Adesso stiamo freschi!
MORTE Non innervositevi; c’è un mezzo semplicissimo. (Parla sottovoce
ad Azraele) 3.
AZRAELE (si accosta alla ribalta) Signore, signori. La Morte m’incarica di
chiedere al pubblico se uno spettatore sarebbe tanto gentile da prestargli
un orologio. (A un tale in prima fila, che alza la mano) Grazie, signore.
Raffaele, per piacere, prendete l’orologio del signore.

Gioco scenico.

MORTE Ci siete?
AZRAELE Andate! (Rullio di tamburo. Il filo sfugge dalla camera ed entra
nella scatola che la Morte tiene. In fondo, Azraele e Raffaele volgono le
spalle. Azraele conta con una mano in aria come un arbitro di boxe.
Raffaele eseguisce lentamente dei segnali simili a quelli del codice
navale). Hop!

Tace il rullio del tamburo; Raffaele sta immobile. Il filo resiste. La Morte
si precipita nella camera; ne esce senza la benda sugli occhi con una
colomba che si dibatte, legata all’estremità del filo. Non si sente piú la
macchina.

MORTE Uff! Presto, presto, Raffaele, le forbici. (Corre sul balcone) Venite
qui, tagliate (taglia il filo; la colomba vola via). Mettete a posto.
Azraele, insegnagli. È facilissimo; lascialo fare, deve imparare.

Azraele e Raffaele richiudono le scatole metalliche, il camice, ecc… La


Morte si appoggia al tavolo di destra; guarda il vuoto con profonda
stanchezza; si passa adagio il braccio destro e la mano sulla fronte come
un sonnambulo che si svegli, come per scuotersi dall’ipnosi.
AZRAELE Tutto è a posto, signora.
MORTE E adesso, chiudete, sigillate. Sono pronta. Il mio mantello.
(Azraele le pone il mantello sulle spalle mentre Raffaele chiude le
valige). Non dimentichiamo niente?
AZRAELE No, signora.
MORTE Su, in cammino.
SIGNORE DELLA PLATEA Pss!
AZRAELE Già, è vero.
MORTE Cosa c’è?
AZRAELE L’orologio. Raffaele, restituite l’orologio al signore e
ringraziatelo.

Gioco scenico.

MORTE Raffaele, spicciatevi, spicciatevi.


RAFFAELE Ecco, signora, vengo.

La Morte si affretta e sta immobile, con le braccia tese, dinanzi allo


specchio; poi vi penetra, seguita dagli aiutanti, che compiono la stessa
manovra. Sul tavolo di destra, in grande evidenza, ha dimenticato i
guanti di gomma.

SCENA SETTIMA

Orfeo, Heurtebise.

Subito dopo l’ultima battuta della Morte, si sente la voce di Orfeo in


giardino.

VOCE DI ORFEO Voi non la conoscete; non sapete di cosa sia capace; sono
commedie per farmi tornare a casa.
Si apre la porta e i due entrano. Heurtebise si precipita verso la camera,
guarda, indietreggia e s’inginocchia sulla soglia.

ORFEO Dov’è? Euridice!… Fa il broncio. Questa poi… Impazzisco! Il


cavallo! dov’è il cavallo? (Toglie il drappo dalla nicchia) Se n’è andato!
Sono perduto. Gli avranno aperta la porta, l’avranno spaventato;
dev’essere un tiro di Euridice. Me la pagherà! (Si precipita).
HEURTEBISE Alt!
ORFEO M’impedite di entrare da mia moglie.
HEURTEBISE Guardate.
ORFEO Dove?
HEURTEBISE Guardate attraverso i miei vetri.
ORFEO (guarda) È seduta. Dorme.
HEURTEBISE È morta.
ORFEO Cosa?
HEURTEBISE Morta; siamo giunti troppo tardi.
ORFEO Impossibile. (Picchia sui vetri) Euridice! mia diletta! rispondimi!
HEURTEBISE Inutile.
ORFEO Voi! lasciatemi entrare. (Scosta Heurtebise) Dov’è? (Verso
l’interno) L’ho appena vista, seduta, vicino al letto. La camera è vuota.
(Rientra in scena) Euridice!
HEURTEBISE Vi siete illuso di vederla! Euridice abita presso la Morte.
ORFEO Ah! Poco importa il cavallo! Voglio rivedere Euridice. Voglio che
mi perdoni di averla trascurata, mal compresa. Aiutatemi; salvatemi. Che
fare? Perdiamo del tempo prezioso.
HEURTEBISE Queste buone parole vi salvano, Orfeo…
ORFEO (piangente, si accascia sul tavolo) Morta. Euridice è morta. (Si
alza) Ebbene… la strapperò alla morte! Se è necessario, andrò a
prenderla fino agli inferi!
HEURTEBISE Orfeo… ascoltatemi. Calma. Mi ascolterete…
ORFEO Sí… sarò calmo. Riflettiamo. Escogitiamo un piano…
HEURTEBISE Conosco un mezzo.
ORFEO Voi!
HEURTEBISE Ma bisogna obbedirmi e non perdere un attimo.
ORFEO Sí.

Tutte queste battute Orfeo le pronuncia febbrilmente e docilmente. La


scena si svolge con rapidità estrema.

HEURTEBISE La Morte è entrata in casa vostra a prendere Euridice.


ORFEO Sí…
HEURTEBISE Ha dimenticato i guanti di gomma. (Una pausa. Si accosta al
tavolo, esita e prende i guanti da lontano come si tocca un oggetto
sacro).
ORFEO (atterrito) Ah!
HEURTEBISE Ve li infilerete.
ORFEO Bene.
HEURTEBISE Metteteveli. (Glieli passa. Orfeo li infila). Andrete a trovare
la Morte con il pretesto di restituirglieli e grazie a questi potrete arrivare
fino a lei.
ORFEO Bene…
HEURTEBISE La Morte cercherà i guanti; se glieli riportate, vi
ricompenserà. È avara, preferisce prendere che dare, e siccome non
restituisce mai ciò che le lasciano prendere, il vostro passo la
meraviglierà moltissimo. Certo, otterrete poco, però otterrete sempre
qualcosa.
ORFEO Bene.
HEURTEBISE (lo guida davanti allo specchio) Ecco la vostra strada.
ORFEO Quello specchio?
HEURTEBISE Vi svelo il mistero dei misteri. Gli specchi sono le porte
attraverso le quali la Morte va e viene. Non ditelo a nessuno. D’altronde
guardatevi per tutta la vita in uno specchio e vedrete la Morte lavorare
come le api in un alveare di vetro. Addio. Buona fortuna!
ORFEO Ma uno specchio, è solido.
HEURTEBISE (con la mano alzata) Con questi guanti attraverserete gli
specchi come acqua.
ORFEO Dove avete imparato tutte queste cose paurose?
HEURTEBISE (la mano gli ricade) Gli specchi, sapete, hanno un po’ a che
fare con il vetro. È il nostro mestiere.
ORFEO E una volta oltrepassata quella… porta…
HEURTEBISE Respirate adagio, regolare. Camminate senza timore dinanzi
a voi. Prendete a destra, poi a sinistra, poi a destra, poi diritto. Una volta
là, come spiegarvi… non c’è piú direzione… si gira; sulle prime è un po’
faticoso.
ORFEO E poi?
HEURTEBISE Poi? Nessuno al mondo può illuminarvi. Incomincia la
Morte.
ORFEO Non la temo.
HEURTEBISE Addio. Vi aspetto all’uscita.
ORFEO Forse ci metterò molto.
HEURTEBISE Molto… per voi. Per noi, non farete altro che entrare e
uscire.
ORFEO Non posso credere che questo specchio sia tenero. Be’, ci provo.
HEURTEBISE Provate. (Orfeo si avvia). Prima le mani!

Orfeo con le mani in avanti, inguantate di rosso, s’annega nello specchio.

ORFEO Euridice!… (Scompare).

SCENA OTTAVA

a)

Heurtebise solo, poi il Portalettere.

Heurtebise, rimasto solo, s’inginocchia davanti alla nicchia del cavallo.


Bussano.

HEURTEBISE Cosa c’è?


VOCE DEL PORTALETTERE Il portalettere. Ho una lettera per voi.
HEURTEBISE Il signore non c’è.
VOCE DEL PORTALETTERE E la signora?
HEURTEBISE Neppure; infilate la lettera sotto la porta.

Una lettera passa sotto la porta.

VOCE DEL PORTALETTERE Sono usciti?


HEURTEBISE No… dormono.

Il sipario dell’intervallo cala lentamente e subito si rialza.

b)

Heurtebise, il Portalettere.

HEURTEBISE Cosa c’è?


VOCE DEL PORTALETTERE Il portalettere. Ho una lettera per voi.
HEURTEBISE Il signore non c’è.
VOCE DEL PORTALETTERE E la signora?
HEURTEBISE Neppure; infilate la lettera sotto la porta.
VOCE DEL PORTALETTERE Sono usciti?
HEURTEBISE No… dormono.

SCENA NONA

Heurtebise, Orfeo, poi Euridice.

Orfeo emerge dallo specchio.

ORFEO Siete ancora lí?


HEURTEBISE Su, presto, raccontate.
ORFEO Mio caro, siete un angelo.
HEURTEBISE Niente affatto.
ORFEO Sí, sí, un angelo, un angelo vero: mi avete salvato.
HEURTEBISE Euridice?
ORFEO Una sorpresa. Guardate bene.
HEURTEBISE Dove?
ORFEO Lo specchio. Uno, due, tre.

Euridice viene fuori dallo specchio.

HEURTEBISE Lei!
EURIDICE Sí, io. Io, la piú felice delle mogli, io la prima donna che suo
marito abbia avuto l’audacia di venire a riprendere dalla dimora dei
morti.
ORFEO «Madama Euridice ritornerà dall’Ade». E noi che negavamo un
significato a quella frase.
EURIDICE Zitto, tesoro: ricordati la promessa. Non si parlerà mai piú del
cavallo.
ORFEO Dove avevo la testa?
EURIDICE E sapete, Heurtebise, ha scoperto la strada da solo, senza esitare
un attimo. Ha avuto l’idea geniale d’infilarsi i guanti della Morte.
HEURTEBISE Se non sbaglio, è quel che si suol dire trattare con i guanti.
ORFEO (rapido) Insomma… l’essenziale era riuscire. (Fa l’atto di volgersi
a Euridice).
EURIDICE Attento!
ORFEO Oh! (S’irrigidisce).
HEURTEBISE Che avete?
ORFEO Un’inezia; soltanto un’inezia; sulle prime sembra una cosa
terribile, ma con un po’ di prudenza tutto si accomoderà.
EURIDICE Sarà questione di abitudine.
HEURTEBISE Di che si tratta?
ORFEO Di un patto. Ho il diritto di riprendere Euridice, non ho il diritto di
guardarla. Se la guardo, lei scompare.
HEURTEBISE Mostruoso!
EURIDICE Furbo davvero, scoraggiare mio marito!
ORFEO (facendosi passare innanzi Heurtebise) Lascia stare, io non mi
scoraggio. Succede a lui quello che è successo a noi. Potete
immaginarlo; dopo avere accettato quella clausola – era necessario ad
ogni costo – siamo passati attraverso tutti i vostri spasimi. Ora, lo ripeto,
è fattibile; certo, non facile, ma fattibile. Lo ritengo meno terribile che
diventare cieco.
EURIDICE O perdere una gamba.
ORFEO E poi… non avevamo scelta.
EURIDICE Ci sono perfino dei vantaggi. Orfeo non vedrà le mie rughe.
HEURTEBISE Benone! Non mi resta che augurarvi buona fortuna.
ORFEO Ci lasciate?
HEURTEBISE Temo che la mia presenza vi disturbi. Avrete tante cose da
dirvi.
ORFEO Ce le diremo dopo colazione; la tavola è pronta: ho molto appetito;
avete avuto troppa parte nella nostra avventura per non fermarvi a
desinare con noi.
HEURTEBISE Temo che la presenza di un estraneo contrari vostra moglie.
EURIDICE No, Heurtebise. (Calcando sulle parole) Il viaggio donde
ritorno trasforma la faccia del mondo; ho imparato molto; ho vergogna di
me. D’ora in poi Orfeo avrà una moglie irriconoscibile, una sposa da
luna di miele.
ORFEO Euridice! La tua promessa. Non si parlerà mai piú della luna.
EURIDICE Adesso sono io la sventata. A tavola! a tavola! Heurtebise alla
mia destra. Accomodatevi. Orfeo in faccia a me.
HEURTEBISE Non in faccia!
ORFEO Santi numi! Ho avuto ragione a trattenere Heurtebise. Mi installo
alla tua sinistra e ti volto la schiena. Mangio sulle ginocchia.

Euridice li serve.

HEURTEBISE Fremo dall’impazienza di sentire il racconto del vostro


viaggio.
ORFEO Davvero, stenterei a ripeterlo; mi pare di uscire da un’operazione.
Ho il vago ricordo di un mio poema che io recito per tenermi sveglio e di
bestie immonde che si addormentano; poi un buco nero; finalmente ho
parlato con un’invisibile signora, che mi ha ringraziato dei guanti. Una
specie di chirurgo è venuto a riprenderli e mi ha ingiunto di andarmene:
Euridice mi avrebbe seguito e io non dovevo guardarla per nessun
motivo. Ho sete! (Prende il bicchiere e si volta).
EURIDICE e HEURTEBISE (insieme) Attento!
EURIDICE Che paura ho avuta! Non voltarti, tesoro, ma tocca come mi
batte il cuore!
ORFEO È idiota. Se mi bendassi gli occhi?
HEURTEBISE Non ve lo consiglio. Non conoscete le regole precise; se
barate, tutto è perduto.
ORFEO Non ci si può immaginare la difficoltà, la tensione mentale che una
simile idiozia esige.
EURIDICE Che vuoi, amor mio, sei sempre nella luna…
ORFEO Di nuovo la luna! Tanto vale trattarmi da idiota.
EURIDICE Orfeo!
ORFEO Lascio la luna alle tue ex compagne.

Pausa.

HEURTEBISE Signor Orfeo!


ORFEO Sono ierofante del sole.
EURIDICE Non lo sei piú, amore.
ORFEO Sia pure. Ma proibisco che si parli di luna in casa mia.

Pausa.

EURIDICE Se sapessi come quelle storie di luna e di sole hanno poca


importanza.
ORFEO La signora è superiore a queste cose.
EURIDICE Se potessi parlare…
ORFEO Mi pare che per una che non può parlare, parli molto. Molto!
Troppo!

Euridice piange. Pausa.


HEURTEBISE Fate piangere vostra moglie.
ORFEO (minaccioso) Voi! (Si volta).
EURIDICE Ah!
HEURTEBISE State attento!
ORFEO È colpa sua; farebbe voltare un morto.
EURIDICE Era meglio restare morta.

Pausa.

ORFEO La luna! Se la lasciassi dire, dove andremmo? Ve lo chiedo.


Ricomincerebbe il periodo del cavallo.
HEURTEBISE Esagerate…
ORFEO Esagero?
HEURTEBISE Sí.
ORFEO E anche ammettendo che io esageri. (Si volta).
EURIDICE Attento!
HEURTEBISE (a Euridice) Calma; non piangete. La difficoltà vi
innervosisce. (A Orfeo) Mettetevi un po’ d’impegno; finirete per
provocare un guaio.
ORFEO E anche ammettendo che io esageri, chi incomincia?
EURIDICE Io no.
ORFEO Tu no! tu no! (Si volta).
EURIDICE e HEURTEBISE Oh!
HEURTEBISE Siete pericoloso, mio caro.
ORFEO Avete ragione; la cosa piú semplice è che io me ne vada da tavola e
che vi liberi dalla mia presenza, visto che mi trovate pericoloso. (Si
alza).

Euridice e Heurtebise lo trattengono per la giacca.

EURIDICE Amor mio…


HEURTEBISE Orfeo…
ORFEO No, no: lasciatemi.
HEURTEBISE Siate ragionevole.
ORFEO Sarò quel che mi conviene di essere.
EURIDICE Rimani.

Lei lo tira, Orfeo perde l’equilibrio e la guarda. Grido di lui. Euridice,


impietrita, si alza; sul volto le si legge il terrore; la luce cala. Euridice
sprofonda lentamente e scompare; torna la luce.

HEURTEBISE Era fatale.


ORFEO (pallido, senza forze, con una smorfia falsamente disinvolta) Uff!
ci si sente meglio.
HEURTEBISE Cosa?
ORFEO (stessa mimica) Si respira.
HEURTEBISE È pazzo!
ORFEO (celando sempre piú l’imbarazzo sotto la collera) Con le donne
bisogna mostrarsi duri; bisogna dimostrare che non ci teniamo; non
bisogna lasciarsi condurre per il naso.
HEURTEBISE Questa è enorme! Volete darmi a intendere che avete
guardato Euridice apposta?
ORFEO Sono un tipo da distrazioni, io?
HEURTEBISE Non mancate di faccia tosta! Avete guardato per distrazione;
avete perso l’equilibrio; avete voltato il capo per distrazione; vi ho
veduto.
ORFEO Ho perso l’equilibrio apposta, ho voltato la testa apposta, e
proibisco che mi si contraddica.

Pausa.

HEURTEBISE Ebbene, se avete voltato la testa apposta, non mi rallegro con


voi.
ORFEO Faccio a meno dei vostri rallegramenti. Mi rallegro, io, di avere
girato la testa apposta verso mia moglie. Sempre meglio che il tentativo
di far girare la testa alle mogli degli altri.
HEURTEBISE È per me questa frase?
ORFEO Prendetela come vi piace.
HEURTEBISE Siete troppo ingiusto. Non mi sarei mai permesso di fare la
corte a vostra moglie; mi avrebbe mandato subito a quel paese. Vostra
moglie era una moglie modello. Vi è stato necessario perderla una prima
volta per rendervene conto, e ora l’avete perduta una seconda volta,
perduta vilmente e perduta tragicamente, e vi siete perduto, avete ucciso
una morta e commesso con estrema leggerezza un atto irreparabile.
Perché lei è morta, morta, rimorta. Non tornerà piú.
ORFEO Non esageriamo!
HEURTEBISE Come, non esageriamo?
ORFEO Dove mai avete veduto una donna lasciare la tavola strillando e
non ritornare a tavola.
HEURTEBISE Vi lascio cinque minuti per capire la vostra sciagura.

Orfeo getta a terra il tovagliolo, si alza, gira intorno al tavolo, va a


guardare lo specchio, lo tocca, si dirige alla porta e raccoglie la lettera.

ORFEO (apre la lettera) Cos’è questo?


HEURTEBISE Una cattiva notizia?
ORFEO Non posso leggere, la lettera è scritta alla rovescia.
HEURTEBISE È un modo di mascherare la scrittura. Leggete nello
specchio.
ORFEO (dinanzi allo specchio, legge) «Signore, perdonatemi di conservare
l’incognito. Aglaonice ha scoperto che l’insieme delle iniziali della
vostra frase: “Madama Euridice ritornerà dall’Ade”, compone una parola
offensiva per il tribunale del concorso; essa ha persuaso la giuria che
eravate un impostore: e ha aizzato contro di voi metà delle donne della
città. Insomma, queste energumene, in massa imponente, si dirigono
sotto il suo comando alla vostra casa. Le Baccanti aprono la marcia e
chiedono a gran voce la vostra morte. Mettetevi in salvo, nascondetevi.
Non perdete un minuto. – Una persona che vi vuole bene».
HEURTEBISE Non deve esserci una parola di vero.

Di lontano si odono i tamburi che si avvicinano e rullano con ritmo


furibondo.
ORFEO Ascoltate.
HEURTEBISE I tamburi.
ORFEO I loro tamburi. Euridice vedeva giusto. Heurtebise, il cavallo mi ha
ingannato!
HEURTEBISE Non si fa a pezzi un uomo per una parola.
ORFEO La parola è un pretesto che nasconde un odio profondo, un odio
religioso. Aglaonice aspettava il suo momento. Sono perduto.
HEURTEBISE I tamburi s’avvicinano.
ORFEO Come mai non ho veduto la lettera? Da quando è stata infilata
sotto la porta?
HEURTEBISE Orfeo, sono io il colpevole: hanno infilato la lettera durante
la vostra visita presso i morti. Il ritorno di vostra moglie mi ha sconvolto;
ho dimenticato di avvertirvi. Fuggite!
ORFEO Troppo tardi.

La magia del cavallo è cessata. Orfeo si trasfigura.

HEURTEBISE Nascondetevi dietro i cespugli: dirò che siete in viaggio…


ORFEO Inutile, Heurtebise. Le cose succedono come devono succedere.
HEURTEBISE Vi salverò di forza!
ORFEO Rifiuto.
HEURTEBISE È insensato!
ORFEO Lo specchio è solido; esso mi ha letto la lettera; so quel che mi
resta da fare.
HEURTEBISE Che volete fare?
ORFEO Raggiungere Euridice.
HEURTEBISE Non lo potete piú.
ORFEO Lo posso.
HEURTEBISE Anche se ci riusciste, tra voi ricomincerebbero i litigi.
ORFEO (in estasi) Non là, dove mi fa cenno di raggiungerla.
HEURTEBISE Voi soffrite. Il volto vi si contrae; non vi permetterò di
perdervi volontariamente.
ORFEO Oh! quei tamburi, quei tamburi! Si avvicinano, Heurtebise,
rimbombano, rullano, fra poco saranno qui.
HEURTEBISE Avete già fatto l’impossibile.
ORFEO Sono tenuto all’impossibile.
HEURTEBISE Avete resistito ad altri raggiri.
ORFEO Non ho ancora resistito fino al sangue.
HEURTEBISE Mi spaventate… (Il volto di Heurtebise esprime una gioia
sovrumana).
ORFEO Che pensa il marmo nel quale uno scultore sbozza un capolavoro?
Pensa: mi scalpellano, mi sciupano, mi offendono, mi spezzano, sono
perduto. Quel marmo è cretino. La vita mi scolpisce, Heurtebise! Crea
un capolavoro; devo subire i suoi colpi senza capirli; devo irrigidirmi.
Devo accettare, mantenermi calmo, aiutarla, collaborare, lasciarle
compiere l’opera.
HEURTEBISE Le pietre!

Alcune pietre frantumano i vetri e cadono nella stanza.

ORFEO Vetro. È la fortuna! la fortuna! Avrò il busto che desideravo.

Una pietra fracassa lo specchio.

HEURTEBISE Lo specchio!
ORFEO Lo specchio no! (Si precipita sul balcone).
HEURTEBISE Vi dilanieranno.

Si sentono urla e rullio di tamburi.

ORFEO (di schiena sul balcone si affaccia) Signore! (Rullare di tamburi).


Signore! (Rullare di tamburi). Signore!

Rullare di tamburi. Si precipita a destra, parte invisibile del balcone. I


tamburi ne coprono la voce. Tenebre. Heurtebise cade in ginocchio
coprendosi il viso. D’un tratto un oggetto vola dalla finestra e piomba
nella stanza. È il capo di Orfeo, che rotola sulla destra fermandosi al
proscenio. Heurtebise emette un debole grido. I tamburi si allontanano.
SCENA DECIMA

Heurtebise, testa di Orfeo, poi Euridice.

TESTA DI ORFEO (parla con la voce di un ferito grave) Dove sono? Com’è
buio… come ho la testa pesante. E il mio corpo, il mio corpo mi duole
tanto. Sono caduto dal balcone; devo essere caduto da molto alto, molto
alto, molto alto, picchiando la testa. E la testa…? Ah, già… parlo della
testa… dov’è la mia testa? Euridice, Heurtebise! Aiutatemi! dove siete?
Accendete la lampada. Euridice! Non vedo il mio corpo; non trovo piú la
testa. Non ho piú né testa né corpo. Non capisco piú. E ho il vuoto, il
vuoto dappertutto. Spiegatemi. Svegliatemi. Aiuto! aiuto! Euridice!
(Come un gemito) Euridice… Euridice… Euridice… Euridice…
EURIDICE (entra, proveniente dallo specchio; sta lí ferma) Amore mio?
TESTA DI ORFEO Euridice… sei tu?
EURIDICE Sono io.
TESTA DI ORFEO Dov’è il mio corpo? Dove ho messo il mio corpo?
EURIDICE Non cercare. Non t’irritare. Dammi la mano…
TESTA DI ORFEO Dov’è la mia testa?…
EURIDICE (prendendo per la mano il corpo invisibile) Ho la tua mano
nella mia. Cammina, non avere paura. Lasciati guidare…
TESTA DI ORFEO Dov’è il mio corpo?
EURIDICE Vicino a me; contro di me. Adesso, tu non puoi piú vedermi e
ho il permesso di condurti con me.
TESTA DI ORFEO E la mia testa, Euridice… la mia testa… dove ho messo
la testa?
EURIDICE Lascia stare, amor mio, non occuparti piú della testa…

Euridice e il corpo invisibile di Orfeo sprofondano nello specchio.

SCENA UNDICESIMA

Heurtebise, testa di Orfeo, poi il Commissario di polizia, il Cancelliere.


Bussano alla porta. Silenzio. Bussano. Silenzio.

VOCE DEL COMMISSARIO In nome della legge, aprite.


HEURTEBISE Chi siete?
VOCE DEL COMMISSARIO La polizia. Aprite o sfondo la porta.
HEURTEBISE Apro. (Si precipita verso il capo di Orfeo, lo raccoglie, esita,
lo appoggia sul piedestallo e apre la porta, il cui battente nasconde il
piedestallo).

In quel momento l’attore che fa la parte di Orfeo sostituisce la sua alla


testa di cartone.

COMMISSARIO Perché non avete risposto alla mia prima intimazione?


HEURTEBISE Signor giudice…
COMMISSARIO Commissario.
HEURTEBISE Signor commissario, sono un amico di famiglia… Ero ancora
sotto la scossa di un’impressione comprensibile…
COMMISSARIO Una scossa; e quale?
HEURTEBISE Devo dirvi che ero solo con Orfeo al momento del dramma.
COMMISSARIO Quale dramma?
HEURTEBISE L’uccisione di Orfeo per opera delle Baccanti.
COMMISSARIO (volgendosi al Cancelliere) Questa versione me
l’aspettavo. E… la moglie della vittima… Dov’è? Vorrei metterla a
confronto con voi.
HEURTEBISE È assente.
COMMISSARIO Di bene in meglio.
HEURTEBISE Anzi aveva abbandonato il tetto coniugale.
COMMISSARIO Ma sentite! (Al Cancelliere) Mettetevi a quel tavolo, per
favore, e prendete nota (indica il tavolo di sinistra).

Il Cancelliere s’insedia. Carta, penna. Volge le spalle allo specchio.


Heurtebise è in piedi accanto allo specchio. Per maggiore comodità il
Cancelliere tira indietro il tavolo in modo da rendere impossibile
l’accesso della porta.
HEURTEBISE Io ho…
CANCELLIERE Silenzio.
COMMISSARIO Procediamo per ordine: parlate soltanto se vi si interroga.
Dov’è il corpo?
HEURTEBISE Quale corpo?
COMMISSARIO Quando c’è reato, c’è il corpo. Vi chiedo dove si trova il
corpo?
HEURTEBISE Ma, signor commissario, il corpo non c’è. È stato dilaniato,
decapitato, portato via da quelle forsennate!
COMMISSARIO Primo, vi dispenso dal formulare un giudizio offensivo su
donne che esercitano un sacerdozio. Secondo, la vostra versione è
contraddetta da cinquecento testimoni oculari.
HEURTEBISE Voi insinuate…
COMMISSARIO Silenzio!
HEURTEBISE Io…
COMMISSARIO (con fare pretenzioso) Silenzio, ascoltatemi bene,
giovanotto. Oggi siamo in giorno di eclissi; questo eclissi di sole provoca
uno straordinario mutamento popolare in favore di Orfeo. Tutti portano il
lutto, dispongono per il suo trionfo. Le autorità ne reclamano le spoglie
mortali. Orbene, le Baccanti hanno veduto Orfeo apparire al balcone
tutto insanguinato e invocante aiuto. Sbalordimento, perché esse
venivano sotto le sue finestre con il solo intento di fargli una chiassata, e
sarebbero volate in suo soccorso, cosí dicono, e lo raccontano
cinquecento bocche, s’egli non fosse, dicevo, caduto morto sotto i loro
occhi. Riassumo. Quelle signore organizzano un corteo; arrivano qui al
grido di: «Abbasso Orfeo». D’un tratto si apre la finestra: Orfeo
insanguinato si precipita fuori e invoca aiuto. Quelle signore si
accingono a salire i gradini: troppo tardi! Orfeo cade, e tutta la banda,
non dimentichiamo che sono donne… donne cui piace strillare, ma che si
spaventano alla vista del sangue, tutta la banda, dico, fa dietrofront.
Eclissi. La città vede nell’eclissi la collera del sole perché si schernisce
uno dei suoi ex sacerdoti. Le autorità si fanno incontro alle donne e
quelle, tramite Aglaonice, raccontano il misterioso delitto di cui sono
state testimoni. L’intera città voleva fare irruzione qui; furono adottate
severe misure per reprimere il disordine e sono stato inviato io, il capo
della polizia, io che v’interrogo e che non sopporterei di essere trattato
come una guardia campestre. Tenetevelo per detto.
HEURTEBISE Ma io non vi…
CANCELLIERE Silenzio. Non siete interrogato.
COMMISSARIO Procediamo per ordine. (Al Cancelliere) Dov’ero rimasto?
CANCELLIERE Il busto; mi permetto di ricordarvi il busto…
COMMISSARIO Ah! Già. (A Heurtebise) Siete di casa?
HEURTEBISE Un amico di casa.
COMMISSARIO Chiedono un busto di Orfeo per il trionfo. Ne conoscete
uno? (Heurtebise si dirige alla porta e la chiude. Si vede la testa sul
piedestallo. Il Commissario e il Cancelliere si voltano). Non è
somigliante.
HEURTEBISE È una cosa bellissima.
COMMISSARIO Di chi?
HEURTEBISE Lo ignoro.
COMMISSARIO Non è firmato, questo busto?
HEURTEBISE No.
COMMISSARIO (al Cancelliere) Prendete nota: presunta testa di Orfeo.
HEURTEBISE No, no. È Orfeo; di questo si è sicuri; il dubbio riguarda
soltanto l’autore.
COMMISSARIO Su, allora, scrivete: testa di Orfeo, di X. (A Heurtebise) I
vostri nomi.
HEURTEBISE Come?
CANCELLIERE Vi si chiedono i nomi.
COMMISSARIO Perché, su quanto riguarda il mio mestiere, non
m’imbrogliano. Ho l’occhio clinico. (Si avvicina e tamburella sui vetri)
Siete vetraio, giovanotto!
HEURTEBISE (sorridendo) Vetraio, lo confesso.
COMMISSARIO Confessate, confessate, è ancora l’unico sistema di difesa
che regga.
CANCELLIERE Scusatemi, signor commissario, ma, se gli chiedessimo i
documenti…
COMMISSARIO Giustissimo. (Si siede) I vostri documenti.
HEURTEBISE Non… non ne ho.
COMMISSARIO Eh?
CANCELLIERE Oh! Oh!
COMMISSARIO Andate in giro senza documenti? Dove sono? Dove
abitate?
HEURTEBISE Abito… ossia, ecco: abitavo…
COMMISSARIO Non vi chiedo dove abitavate. Vi chiedo l’indirizzo del
vostro attuale domicilio.
HEURTEBISE Attuale?… attualmente sono… senza domicilio.
COMMISSARIO Senza documenti, senza domicilio. Magnifico.
Vagabondaggio. Un ambulante! La vostra situazione è lampante, amico
mio. Età?
HEURTEBISE Ho… (Esita).
COMMISSARIO (interroga volgendo le spalle, gli occhi al cielo, dondolando
un piede come gli esaminatori) Suppongo che almeno abbiate un’età…
TESTA DI ORFEO Diciott’anni.
CANCELLIERE (scrive) Diciassette.
TESTA DI ORFEO Diciotto.
COMMISSARIO Nato a…
CANCELLIERE Un attimo, signor commissario. Cancello il numero.
(Eseguisce).

Euridice esce a metà dallo specchio.

EURIDICE Heurtebise,… Heurtebise. So chi siete. Venite, entrate, vi


aspettavamo. Non mancate piú che voi.

Heurtebise, esita.

TESTA DI ORFEO Sbrigatevi, Heurtebise. Seguite mia moglie. Risponderò


in vostra vece. Inventerò una cosa qualsiasi.

Heurtebise si tuffa nello specchio.


SCENA DODICESIMA

Testa di Orfeo, il Commissario, il Cancelliere.

CANCELLIERE Signor commissario, ai vostri ordini.


COMMISSARIO Nato a…
TESTA DI ORFEO Maison-Laffitte.
COMMISSARIO Maison, cosa?
TESTA DI ORFEO Laffitte, doppia f, doppia t.
COMMISSARIO Giacché mi dite il vostro luogo di nascita, non vi rifiuterete
di dirmi il nome. Vi chiamate…
TESTA DI ORFEO Jean.
COMMISSARIO Jean come?
TESTA DI ORFEO Jean Cocteau.
COMMISSARIO Coc…
TESTA DI ORFEO C.O.C.T.E.A.U. Cocteau.
COMMISSARIO È un nome da senzatetto; è vero che voi siete un senzatetto;
a meno che adesso non vi decidiate a indicare il vostro domicilio…
TESTA DI ORFEO Rue d’Anjou, 10.
COMMISSARIO Diventate ragionevole.
CANCELLIERE La firma…
COMMISSARIO Preparate una penna. (A Heurtebise) Avvicinatevi,
avvicinatevi, non vi mangeremo. (Si volta) Oh!
CANCELLIERE Che c’è?
COMMISSARIO Perbacco! L’accusato è scomparso.
CANCELLIERE Prodigioso!
COMMISSARIO Prodigioso… prodigioso… non c’è nulla di prodigioso. (Va
su e giú per la scena) Non credo ai prodigi. Un eclissi è un eclissi; un
tavolo è un tavolo. Un accusato è un accusato. Andiamo per ordine.
Quella porta…
CANCELLIERE Impossibile, signor commissario, per uscire da quella porta
bisognava rovesciare la mia sedia.
COMMISSARIO Rimane la finestra.
CANCELLIERE Be’, allora, bisognava passarci davanti; d’altronde
l’accusato rispondeva. Ha risposto fino all’ultimo momento.
COMMISSARIO E allora?
CANCELLIERE Allora, non ci capisco nulla.
COMMISSARIO Certo esiste qualche uscita segreta, di cui l’assassino,
perché tale fuga ci dà la prova del delitto, di cui l’assassino, ripeto,
conosceva l’esistenza. Ispezionate la parete!

Il Cancelliere batte. Ricerche.

CANCELLIERE La parete dà un suono pieno.


COMMISSARIO Benissimo; visto che quel giovanotto ci ha piantato in asso
e si nasconde, non diamogli la soddisfazione di cercarlo sotto i suoi
stessi occhi. (A squarciagola) Ho i miei uomini intorno alla casa. Non
può fare due passi fuori senza essere preso, e, se si ostina, lo
accerchieremo fino a che la fame non lo costringa a uscire. Venite.
CANCELLIERE Che complicazione!
COMMISSARIO Non c’è nessuna complicazione. Voi vedete sempre
complicazioni dappertutto. (Escono: nel frattempo, siccome il battente
della porta nasconde il busto, l’attore sostituisce alla sua la finta testa.
La scena rimane vuota. Il Commissario rientra) Dimenticavamo il busto.
CANCELLIERE Non bisogna tornare a mani vuote.
COMMISSARIO Prendetelo.

Il Cancelliere prende la testa. Escono.

SCENA TREDICESIMA

Lo scenario sale al soffitto. Dallo specchio entrano Euridice e Orfeo,


guidati da Heurtebise. Guardano la casa come se la vedessero per la
prima volta. Siedono a tavola. Euridice indica la sua destra a Heurtebise.
Sorridono; da loro spira tranquillità.

EURIDICE Mi pare che tu volessi del vino, tesoro.


ORFEO Aspetta. Prima la preghiera. (Si alza imitato da Euridice e da
Heurtebise. Recita) Mio Dio, vi ringraziamo di averci assegnato la nostra
dimora e la nostra unione come unico paradiso e di averci aperto il
vostro paradiso. Vi ringraziamo di averci mandato Heurtebise e ci
accusiamo di non avere riconosciuto il nostro angelo custode. Vi
ringraziamo di avere salvato Euridice perché, per amore, essa ha ucciso
il diavolo in sembianze di cavallo, e di questo ella è morta. Vi
ringraziamo di avermi salvato perché adoravo la poesia, e la poesia siete
voi. Cosí sia.

Si siedono di nuovo.

HEURTEBISE Vi servo?
ORFEO (rispettoso) Lasciate che Euridice…

Euridice gli versa da bere.

HEURTEBISE Forse potremo finalmente pranzare.

Sipario.

Villefranche-sur-Mer, 24 settembre 1925.

1
Grazie [N. d. T.].
2
Intraducibile il duplice significato del verbo francese voler (volare, rubare).
3
Il regista che temesse di lacerare un velo di mistero con un gesto fra la scena e la sala può
sostituire a questo passaggio un oscuro conciliabolo.
a):
MORTE C’è un mezzo semplicissimo. (Parla sottovoce ad Azraele. Questi torna al tavolo e
sussurra qualcosa a Raffaele). Ci siete?
b):
MORTE Su, in cammino.
AZRAELE Raffaele!
MORTE Che c’è?
RAFFAELE È giusto. (Entra nella camera di Euridice).
MORTE Raffaele, sbrigatevi, sbrigatevi… [N. d. A.].
Il libro

O
RFEO, SCRITTO N E L L ’ E S TAT E DEL 192 5 A VILLEFRANCHE-SUR-
Mer e rappresentato nel giugno dell’anno successivo al Théâtre des Arts di
Parigi dai Pitoëff, costituisce il primo punto fermo nella produzione teatrale
di Jean Cocteau. In questa minuscola e misteriosa tragedia confluiscono, certo, le
esperienze ed i tentativi anteriori, le estrosità bizzarre, talora astratte e gratuite di una
Parade o di un Mariés de la Tour Eiffel, che al pubblico erano apparsi festosi ed
insolenti fuochi di prestigio scenici; come le sollecitazioni classiche, le fascinazioni
del mito che avevano indotto il poeta a tradurre, o meglio a riscrivere un’Antigone e
un Edipo re. Cosí in Orfeo, su una tessitura di racconto mitico, trasposto in termini di
volutamente ambigua modernità, quella stessa che nell’opera grafica di Cocteau
conferisce alle forme reali, mediante un fluido e continuo tratto, la purezza
sovrumana e algebrica del geroglifico, si affaccia il mondo inquietante del circo: dal
cavallo sapiente ai personaggi sospesi a mezz’aria, dagli specchi che inghiottono con
l’immagine la persona alle colombe addomesticate, alla testa parlante dell’uomo
decapitato. D’altronde nella didascalia iniziale lo stesso Cocteau ci avverte che la
scena è molto somigliante ai “salotti dei prestidigitatori”, aggiungendo poco oltre che
essa in nulla può essere mutata in quanto si tratta di «uno scenario “utile” in cui il
minimo particolare ha la sua funzione come i dispositivi di un numero di acrobati».
Per parte sua il prologo, a nome degli interpreti, dichiara, proprio come accade prima
dei numeri particolarmente pericolosi: attenzione, «lavoriamo molto in alto e senza
rete di soccorso».
L’autore

Di Jean Cocteau (1889-1963), Einaudi ha pubblicato, nella «Collezione di teatro»,


La voce umana, La macchina infernale, Orfeo.
Dello stesso autore

I parenti terribili
La voce umana e La macchina infernale
Titolo originale Orphée
© 1927, 1957, 1986, 1991, 1994, 1998, 2005 Éditions Stock, Paris
Remerciements au Comité Jean Cocteau
COMITÉ

© 1963 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino

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Ebook ISBN 9788858416877

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