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DIRITTO DEL LAVORO – LEZ 4

Abbiamo detto che il contratto collettivo ha EFFICACIA OBBLIGATORIA e non erga omnes, e il fondamento
giuridico di questo è l’art 39 commi 2-3-4 Cost che prevedeva che affinché il contratto avesse efficacia erga
omnes, e quindi per poter realizzare un unico contratto collettivo di categoria, si dovesse seguire uno
specifico procedimento, ma per una serie di scelte politiche delle organizzazioni sindacali questa seconda
parte dell’art 39 non è stato attuato. Quindi in mancanza, vigendo libertà come secondo il comma 1°, di
norma l’efficacia del contratto collettivo che attualmente le organizzazioni sindacali stipulano è
obbligatoria, come un contratto di diritto privato, e vincola le parti, che potrebbero essere organizzazione di
lavoratori e organizzazione dei datori, o i datori di lavoro. Bisogna capire A CHI SI APPLICA IL CONTRATTO,
chi sono i lavoratori rispetto a cui produce effetto il contratto? Efficacia obbligatoria significherebbe che
questi sono gli iscritti alle organizzazioni che stipulano questi contratti. Questa è la regola generale, ma si
tenta di estendere l’ambito di efficacia di applicazione soggettiva del contratto si realizza attraverso
modalità legate alla prassi delle relazioni contrattuali, legate ad alcuni orientamenti giurisprudenziali o
discendono da interventi legislativi volti a promuovere l’applicazione di determinati contratti collettivi.

Abbiamo visto ieri la modalità più semplice e frequente attraverso cui si verifica l’estensione degli effetti del
contratto collettivo a soggetti non iscritti, cioè attraverso il rimando alla trattazione collettiva nel
CONTRATTO INDIVIDUALE, che prevede una clausola che rimanda a questi per tutto ciò che non è
espressamente previsto nel contratto. E abbiamo distinto la clausola che rimanda a un singolo contratto
collettivo o alla serie di contratti collettivi destinati a succedersi nel tempo la differenza degli effetti prodotti
è rilevante: rinvio statico  problema: cosa succede quando il contratto collettivo cessa di avere efficacia,
essendo questi contratti a tempo determinato? Appunto il rinvio dinamico risolve il problema;

per quanto riguarda la GIURISPRUDENZA, fin dagli anni ’50 i giudici del lavoro hanno ritenuto che l’art 36
Cost (“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in
ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.…”) attribuirebbe in
capo al singolo lavoratore un diritto soggettivo perfetto, e quindi, il lavoratore laddove ritenga che il suo
livello contributivo non sia adeguato al principio costituzionale può rivolgersi al giudice. Di fatto però i
giudici anche per garantire uniformità di decisioni si sono orientati a presumere che il livello di retribuzione
conforme al parametro costituzionale sia quello stabilito dai contratti collettivi e ciò ha reso obbligatorio di
fatto a tutti i datori di lavoro assicurare un minimo nel trattamento retributivo  estensione di efficacia del
contratto collettivo nella parte che riguarda il trattamento retributivo, in particolare quello necessario o di
base cioè che compensa l’attività svolta dal lavoratore.

L’altro grande filone giurisprudenziale che ha portato all’estensione dell’efficacia del contratto è quello per
cui si prende in considerazione il comportamento di fatto di quel datore non iscritto a un’organizzazione e
quindi non tenuto a rispettare il contratto collettivo, che però applica in misura rilevante le clausole di un
certo contratto collettivo ai suoi dipendenti, secondo la giurisprudenza qua c’è una adesione implicita al
contratto, sottolineando che perché questa possa configurarsi occorre che il datore non si limiti ad
applicare qualche parte del contratto, ma lo applichi se non nella sua totalità, quantomeno in misura
prevalente, tenendo conto che non può assumere rilevanza l’applicazione della parte economica del
contratto che è vincolante per l’interpretazione dell’art 36.

Abbiamo accennato infine che ci sono delle MODALITÀ LEGISLATIVE attraverso cui il legislatore spinge ad
applicare un contratto collettivo.

STATUTO DEI LAVORATORI, LEGGE 20 maggio 1970, n. 300 “Norme sulla tutela della libertà e dignità del
lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nel luoghi di lavoro e norme sul collocamento.”

Ha costituito fino alla fine del ‘900 il più importante intervento normativo a tutela dei lavoratori e
soprattutto quel provvedimento legislativo che ha realizzato una promozione delle organizzazioni sindacali,
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queste norme hanno dato attuazione all’art 39 comma 1° Costituzione (“L’organizzazione sindacale è
libera.”), dando la possibilità alle organizzazioni sindacali di svolgere la propria funzione anche all’interno
dei luoghi di lavoro, garantendo una presenza delle organizzazioni dentro i luoghi di lavoro. Fino al 1970 le
organizzazioni sindacali l’azione di proselitismo si svolgeva fuori dai cancelli delle fabbriche, raccontano
questi all’epoca che si alzavano la mattina per parlare coi lavoratori fuori dalle fabbriche per coinvolgerli
nell’attività sindacale. Questa legge finalmente rende effettivo quel principio sancito dalla Costituzione,
garantendo alle organizzazioni alcuni diritti come appunto quello che abbiamo citato.

Nel testo troviamo tra le altre, questa disposizione, art 36 intitolato “Obblighi dei titolari di benefici
accordati dallo Stato e degli appaltatori di opere pubbliche.” dice che:

“Nei provvedimenti di concessione di benefici accordati ai sensi delle vigenti leggi dallo Stato a favore di
imprenditori che esercitano professionalmente un'attività economica organizzata e nei capitolati di
appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, deve essere inserita la clausola esplicita determinante
l'obbligo per il beneficiario o appaltatore di applicare o di far applicare nei confronti dei lavoratori
dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della
zona.

Tale obbligo deve essere osservato sia nella fase di realizzazione degli impianti o delle opere che in quella
successiva, per tutto il tempo in cui l'imprenditore beneficia delle agevolazioni finanziarie e creditizie
concesse dallo Stato ai sensi delle vigenti disposizioni di legge.”

Perché diciamo che questa disposizione è volta a favorire l’applicazione del contratto collettivo? Dove
ritroviamo nel testo letto questa funzione promozionale? Si parla di due ipotesi distinte, l’appalto (contratto
con cui un imprenditore con organizzazione a proprio rischio si obbliga nei confronti del committente a
realizzare un’opera o servizio) dove il soggetto appaltante è una PA, e affianco a questa ipotesi ce n’è
un’altra cioè l’ipotesi in cui l’imprenditore sia destinatario di provvedimenti di concessione di benefici.
Quindi si individua una fattispecie ampia dove potrebbero rientrare fattispecie molto diverse. La situazione
più frequente e conosciuta è quella in cui la legge preveda sgravi contributivi; una situazione utilizzata
amplissimamente in questo periodo di emergenza, la legislazione emergenziale relativa alla tutela del
lavoro ha utilizzato come strumento in modo massiccio la riduzione del costo del lavoro, in quanto il costo
che il datore sopporta per singolo lavoratore non solo è la retribuzione, ma anche una quota di
contribuzione previdenziale, per finanziare il sistema previdenziale, le tutele previdenziali, pensione,
indennità di malattia e disoccupazione, maternità, cassa integrazione, malattie professionali e infortuni,
tutte queste sono finanziate almeno in parte da lui. Ciò significa che il datore di lavoro dovrà soffrire un
costo molto più alto rispetto a ogni singolo lavoratore, ciò incide sulla capacità dell’azienda e sulle scelte
occupazionali del datore di lavoro che dovrà valutare il costo legato all’assunzione di nuovi lavoratori. Lo
strumento più frequente che rientra in provvedimenti di concessioni di benefici da parte dello Stato è
quello con cui si prevede l’abbattimento degli obblighi contributivi, magari se assumi uno per tre anni non
paghi o li paghi in forma ridotta questi contributi. In tal caso la legge dice che c’è un obbligo per il
beneficiario di tali provvedimenti o per l’appaltatore di applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti
condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria della zona. Come
mai il legislatore utilizza questa formula “condizioni non inferiori…”? non poteva scrivere “deve applicare i
contratti collettivi di categoria”? Sarebbe stato più semplice, ma non poteva perché imporre direttamente
l’obbligo di applicazione dei contratti collettivi si pone in contrasto con la seconda parte dell’art 39 che
comunque è norma valida ed efficace e impedisce il realizzarsi dell’efficacia erga omnes con modalità
diverse da quelle previste dalla norma costituzionale. Quindi per evitare censure di incostituzionali, il
legislatore non prevede direttamente di applicar il contratto collettivo ma l’obbligo di applicare condizioni
non inferiori, quindi almeno equivalenti, a quelle previste nei contratti collettivi. Ovviamente davanti a
questo è più sicuro applicare direttamente i contratti di categoria per un datore di lavoro, per evitare di
vedermi contestato o revocato dall’INPS il beneficio, lo sgravio. Così si crea una spinta sul datore di lavoro
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perché applichi il contratto, anche se la giurisprudenza della Cassazione ha detto che non c’è obbligo, ma è
un onere (in capo a chi intenda beneficiare) perché si tratta di risorse pubbliche, il legislatore ha diritto a
condizionare il godimento di queste a determinati vincoli e il datore può scegliere se goderne e rispettare le
condizioni, o meno.

Un’altra norma diversa dalla precedente è prevista all’art 1 del DL 338/89, convertito in L 389/89, qui la
materia è previdenziale perché dice che

“1. La retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza
sociale non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti
collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi
collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello
previsto dal contratto collettivo.”
Qual è l’obiettivo di questa legge? Cosa vuole realizzare attraverso la previsione di questa disposizione il
legislatore? Vuole imporre il minimale di contribuzione cioè la norma stabilisce che tutti i datori di lavoro
devono pagare la contribuzione a finanziamento della previdenza sociale, assumendo come parametro per
calcolare l’entità dei contributi dovuti la retribuzione prevista dal contratto collettivo stabilito dalle
organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, o se la retribuzione è più alta, da questi
contratti. Cioè se un datore di lavoro non applica il contratto collettivo nazionale, non posso importi di farlo
per l’art 39 della costituzione, però la contribuzione la paghi comunque su una base minima, se la
retribuzione che applichi in base ai contratti collettivi o individuali è più alta di quella prevista dal contratto
di riferimento, cioè quello nazionale, paghi la contribuzione sulla base della retribuzione cui sei obbligato,
se invece la retribuzione è più bassa, la contribuzione la paghi sulla base di quanto previsto da questo
contratto. La norma non incide sulla retribuzione, perché questa è prevista dai contratti collettivi o
individuali applicati dal datore, incide sulla misura della contribuzione previdenziale. Perché dico che anche
questa norma sostanzialmente realizza un effetto promozionale o di incentivo al contratto collettivo?
Perché anche qui se voglio avere la certezza di aver correttamente adempiuto alla obbligazione
contributiva, farò riferimento al contratto collettivo nazionale stipulato dalle organizzazioni sindacali più
rappresentative, diversamente dovrò andare a fare una verifica se quanto dovuto è o non è maggiore di
quanto previsto da questo contratto. Anche questa disposizione non obbliga e non si pone in contrasto con
l’art 39 Cost, ma realizza una pressione sul datore. La giurisprudenza della Cassazione ha negli anni offerto
un’interpretazione rigida della disposizione, arrivando quest’anno a un esito non condivisibile del tutto, ma
comunque questa linea non fa che aumentare la forza promozionale della norma.

Ricapitolando, questa norma dice che il datore è libero di applicare un qualsiasi contratto collettivo,
nazionale e non ai propri lavoratori, o non applicarlo, per definire i profili retributivi, ma per quanto
riguarda l’obbligo di contribuzione (finanziamento previdenza sociale), il minimale di contribuzione è
stabilito, e il datore non può versare una contribuzione inferiore a quella che risulta prendendo come
parametro quanto previsto dal contratto collettivo nazionale stipulato dalle organizzazioni più
rappresentative. Normalmente questo si stabilisce in percentuale alla retribuzione del lavoratore.

Esempio: sono un datore di lavoro che paga i dipendenti 100 per retribuzione, mentre il contratto collettivo
nazionale prevede 120, allora dovrò pagare la contribuzione sulla base di 120, cioè applicare quella
percentuale a questo 120 e non a 100.
Oppure sono un datore di lavoro che sulla base del contratto individuale riconosco al lavoratore una
retribuzione di 150, la retribuzione prevista dal contratto nazionale è 120, pagherò contribuzioni sulla base
di 150 perché più alta del minimale.

Ieri abbiamo aperto la parentesi sul contratto collettivo perché ci interessa per vedere come esso si
inserisce nella disciplina del rapporto di lavoro.
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CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE DI LAVORO PER I LAVORATORI ADDETTI ALL’INDUSTRIA


METALMECCANICA privata e alla installazione di impianti del 2008 (
https://www.univa.va.it/web_v4/site.nsf/dx/Contratto%20collettivo%20nazionale%20di%20lavoro
%2020.1.2008%20metalmeccanici.pdf/$file/Contratto%20collettivo%20nazionale%20di%20lavoro
%2020.1.2008%20metalmeccanici.pdf )

Sappiamo che i contratti collettivi sono contratti a termine però c’è un fenomeno della contrattazione
collettiva per dare l’idea della dinamica continuativa delle relazioni fra organizzazioni sindacali dei
lavoratori e quelle dei datori, normalmente le organizzazioni in vista della scadenza contrattano le
modifiche al contratto collettivo e stipulano un nuovo accordo che è un contratto collettivo che
normalmente modifica il testo precedente stabilendo variazioni a certi istituti regolati, soprattutto i livelli
retributivi. Il contratto collettivo dei metalmeccanici oggi vigente è stato rinnovato l’anno scorso non
cambia molto da questo che vedremo, giusto per avere un’idea di come sia fatto un contratto collettivo. La
struttura dei contratti collettiva è perlopiù identica, e i metalmeccanici sono una delle categorie più
importanti e anche delle organizzazioni sindacali, e infatti il contratto è di 300 pagine ed è complesso.
Scorrendo in fondo c’è un indice generale dove possiamo vedere com’è strutturato. Nell’epoca fascista
sappiamo che cerano delle categorie e quindi organizzazioni stabilite dalla legge, invece, art 39 Cost parla di
libertà. A chi si applica questo contratto, cioè quali sono le aziende (e i lavoratori) che sono vincolate dal
contratto? Ce lo dice il contratto stesso, non è più vincolato da legge, lo decidono le organizzazioni con i
contratti stessi: c’è una elencazione piuttosto lunga neanche esaustiva

https://www.univa.va.it/web_v4/site.nsf/dx/Contratto%20collettivo%20nazionale%20di%20lavoro
%2020.1.2008%20metalmeccanici.pdf/$file/Contratto%20collettivo%20nazionale%20di%20lavoro
%2020.1.2008%20metalmeccanici.pdf

Dopo questa parte generale che serve a individuare il campo di applicazione, abbiamo una struttura che
ricorda in parte quella di una legge cioè abbiamo la divisione in sezioni, che raccolgono profili omogenei
dettandone la disciplina, cioè per esempio, sezione prima – sistema di relazioni sindacali, sezione seconda -
diritti sindacali, sezione terza – sistema di regole contrattuali, sezione quarta – disciplina del rapporto
individuale di lavoro, ecc., questo ci dà idea della complessità del contratto collettivo. Abbiamo sempre
parlato del contratto collettivo come dello strumento attraverso cui si regola il rapporto di lavoro, ma qui
come abbiamo visto non c’è soltanto questo, c’è molto di più. Ci sono diverse sezioni, e le prime 3 sezioni
non riguardano la disciplina del rapporto, non pone obblighi o diritti in capo alle parti, ma riguarda le
relazioni e quindi i diritti o gli obblighi delle organizzazioni sindacali. Nella prima sezione si regolano i
rapporti fra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e quelle dei datori, si prevede l’obbligo di istituire degli
osservatori, obblighi di informazione da parte del datore a favore dell’organizzazione sindacale, nella
seconda sezione si regolano i diritti sindacali, e questa parte specifica quei diritti che lo Statuto dei
lavoratori ha riconosciuto alle organizzazioni sindacali nei luoghi di lavoro. L’ultima, le clausole riguardanti
la contrattazione collettiva, cioè la procedura di rinnovo, durata del contratto.

Quindi il contratto collettivo si costituisce di una parte obbligatoria e gestionale, che significa che le
clausole del contratto sono destinate a regolare i rapporti tra le organizzazioni sindacali, le parti che
stipulano il contratto, e pongono diritti ed obblighi in capo ai datori e lavoratori o le organizzazioni sindacali,
poi c’è una parte prevalente che è la funzione propria e tipica del contratto cioè di tutela dei lavoratori, la
parte normativa che contiene una serie di clausole che regolano il rapporto di lavoro quindi stabiliscono
diritti e obblighi di entrambi, e stabiliscono anche la classificazione del personale cioè individuano con
questo cosa il lavoratore si obbliga a fare, quindi l’oggetto della prestazione lavorativa, e quindi anche la
corrispettiva retribuzione che cambia da caso a caso.
Perché si chiama parte normativa? Perché il contratto collettivo assolve a una funzione che è analoga a
quella di una norma di legge, che tradizionalmente contiene disposizioni generali ed astratte che si
applicano a categoria aperta e indefinita di soggetti. Questa caratteristica è tipica della legge, il contratto
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collettivo contiene clausole che hanno la stessa caratteristica nella parte normativa ed operano
analogamente alla legge.

Esempio: prendiamo una clausola del contratto, questa è una regola generale ed astratta, la clausola non
riguarda un lavoratore in particolare ma una categoria di lavoratori che rispondono a quelle caratteristiche.

La struttura è lessicalmente e funzionalmente quella di una norma di legge, perché il contratto è destinato a
regolare una serie indefinita e aperta di rapporti individuali di lavoro. Quindi il contratto collettivo ha una
funzione normativa, simile alla legge

Quello che abbiamo detto finora sul contratto collettivo ci serve per comprendere non solo la struttura
delle fonti del diritto del valoro, ma anche per la comprensione di tutta la parte relativa al diritto del lavoro
in senso stretto cioè la regolazione del rapporto di lavoro. Quando parliamo di fonti sappiamo che facciamo
riferimento a norme che hanno un’efficacia generalizzata ma che sono previste dalla legge, e sovraordinate
ad atti di autonomia privata. L’art 1 Codice civile ci dà un’elencazione delle fonti inadeguata oggi rispetto
alla complessità dell’ordinamento giuridico italiano da un lato, e anche degli altri ordinamenti giuridici
esistenti a livello nazionale e sovranazionale, come il diritto dell’UE.

“Sono fonti del diritto:


1) le leggi;
2) i regolamenti;
3) le norme corporative
4) gli usi.”

Parlava delle norme corporative ormai abrogate nel 1944. Se guardiamo l’ordinamento nazionale la
struttura delle fonti con riferimento anche al diritto del lavoro oggi è molto più complessa perché sopra la
legge ordinaria c’è la Costituzione cioè le norme di cui abbiamo parlato già. Ieri abbiamo visto un
particolare effetto che deriva dal fatto che una di queste norme è efficace ma inattuata. Le leggi all’epoca
erano davvero poche, mentre per esempio oggi oltre al Codice, abbiamo una prolissa normativa speciale,
soprattutto per quanto riguarda il diritto del lavoro. Dal 2001, quando è stata fatta la Riforma del Titolo V
della costituzione non si parla più solo di leggi perché è generico, a fianco delle leggi nazionali, atti aventi
forza di legge di rilevanza nazionale emanati da Parlamento o Governo, c’è anche un livello regionale con
competenze legislative riconosciute anche alle regioni. La riforma si è mossa in una prospettiva federalista,
anche se l’Italia non è federazione, ma ha riconosciuta maggior spazio di autonomia alle regioni attribuendo
loro anche competenze legislative prima riservate allo stato, ampliando le materie in cui le regioni hanno
competenza legislativa e anche lo spazio di questa potestà, i contenuti, cioè non sono più solo leggi che
specificano la normativa nazionale, ma ci sono materie in cui le regioni hanno potestà molto ampia. Questa
riforma come ha inciso sulla legislazione del diritto del lavoro? È esclusivamente nazionale o anche le
regioni hanno spazio di azione? L’art 117 cost prevede il riparto di competenze tra stato e regioni, prevede
una tripartizione:

- materie di competenza esclusiva dello Stato, dove le regioni non intervengono


- materie di competenza concorrente tra Stato e regione, cioè lo Stato fissa i principi generali della
materia ma la legislazione spetta alle regioni

gli ambiti materiali di concorrenza esclusiva o concorrente sono elencati, ma poi ci sono materie che non
sono contemplate né nelle competenze esclusive né concorrenti. Questi sono di competenza residuale e
attribuiti in via generale alle regioni. La differenza è che nella competenza residuale non ci sono vincoli
derivanti dal rispetto dei principi fondamentali dello Stato. C’è però tra le materie elencate l’art 117 una
che non è una vera e propria materia, ma piuttosto competenza trasversale che può riguardare sia materie
di competenza concorrente sia quella di competenza residuale. Art 117 comma 2° lettera m):
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“m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale;”

Non c’è la definizione di un’area più o meno puntuale, laddove quindi ci siano diritti sociali, e il diritto del
lavoro lo è, anzi è stato considerato il primo, si esplica questa competenza dello stato che dovrebbe definire
i livelli essenziali delle prestazioni, dove si intendono delle garanzie uniformi su tutto il territorio nazionale,
volte a garantire l’uguaglianza dei cittadini, anche laddove vi siano differenze dal punto di vista della
regolazione delle singole materie perché di competenza regionale. Dobbiamo domandarci in questo quadro
a chi spetta la competenza in materia di diritto lavoro in senso stretto, cioè regolazione del rapporto di
lavoro, a chi la competenza in materia di diritto sindacale, cioè disciplinare le relazioni fra le organizzazioni,
ecc.?

Queste risposte le troviamo analizzando l’art 117, in particolare le competenze in via esclusiva e
concorrente. L’art 117 comma 2°, troviamo una serie di materie non riferibili al diritto del lavoro o
sindacale:

“Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:

a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di
asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema
tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale;
n) norme generali sull’istruzione;
o) previdenza sociale;
p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città
metropolitane;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati
dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno;
s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.”

Nelle materie concorrenti troviamo un riferimento alla tutela e sicurezza del lavoro, inoltre seppure la
previdenza sociale venga detta competenza esclusiva, la previdenza complementare e integrativa è tra
quelle concorrenti, questa cosa possiamo leggerla così: tutto ciò che è previdenza obbligatoria (rientra art
38 comma 2°: “infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”) è di competenza
statale esclusiva, le regioni conserverebbero potere di prevedere interventi per prestazioni aggiuntive e
ulteriori da garantire ai propri cittadini oltre a quelle obbligatorie.

Il diritto del lavoro inteso nel senso del rapporto e il diritto sindacale dove li mettiamo? Sono competenza
esclusiva, concorrente o residuale? Quando si parla di tutela e sicurezza del lavoro al 117, questa può
comprendere il diritto del lavoro in senso ampio, cioè tutta la materia? Questo interrogativo si è posto nel
2001 quando c’è stata la riforma della costituzione, la formula in questione è ambigua e sconosciuta fino a
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quel momento dalla costituzione. La formula presenta due poli, la tutela del lavoro e la sicurezza del lavoro,
questi indicano due cose diverse, perché la tutela del lavoro è prevista all’art 35 Cost, il concetto è molto
ampio e potenzialmente idoneo a ricomprendere tutta la disciplina inerente al lavoro; la sicurezza invece è
un segmento della disciplina perché indica quelle norme destinate a proteggere l’indennità psico-fisica dei
lavoratori. Quindi a fronte del silenzio tenuto dal 1° comma, di questa formula ci si è detti, ma la materia
del diritto del lavoro è regionalizzata? Quindi salvo i principi fondamentali fissati dallo stato potremmo
avere 21 discipline diverse sul licenziamento, retribuzione ecc.? Questa soluzione ha incontrato la critica e
opposizione unanime, poiché una differenziazione legislativa così ampia non è utile allo sviluppo
dell’occupazione, poiché un’azienda che magari opera in diverse regioni dovrà applicare regole diverse in
base al posto in cui opera. Quindi in linea di massima ciò è stato escluso, che le regioni potessero legiferare
sulla base del titolo indicato nel comma 3° art 117 sull’intero diritto del lavoro. Questa formula è stata
intesa come riferita ad un ambito più delimitato, quell’ambito chiamato diritto del mercato del lavoro. Dal
1997 era in corso una riforma dell’amministrazione pubblica tramite le Leggi Bassanini. Una riforma che
aveva come centro d’ispirazione la trasformazione della PA con una funzione di servizio al cittadino, ispirata
anche al principio di sussidiarietà cioè al principio che è già presente all’art 2 Cost anche senza essere
espressamente formulato, e richiamato anche nei trattati dell’UE. Il contenuto è che debbano essere
valorizzati ai fini di una più efficacie risposta ai bisogni dei cittadini da parte della PA, i livelli territoriali più
prossimi e vicini ai cittadini, dove è più facilmente apprezzabile il bisogno e le situazioni concrete che sono
diversificate; questa riforma si basava su tale idea, e aveva tra i suoi criteri direttivi il rispetto del principio di
sussidiarietà e di adeguatezza, cioè l’allocazione delle funzioni amministrative doveva avvenire ai livelli più
bassi della PA purché questa risposta fosse adeguata alle esigenze esistenti. In questa prospettiva la riforma
ampliò le competenze amministrative delle regioni, attribuendo loro dei compiti prima esclusivi dello stato
in tema di mercato del lavoro, in tema di incontro di domanda e offerta di lavoro, ecc. attribuendo anche
una funzione legislativa ma solo attuativa delle norme nazionali. Leggendo insieme questa evoluzione del
sistema della PA con la riforma della seconda parte della costituzione, la dottrina ha detto che ciò che
compete alle regioni, come tutela e sicurezza del lavoro è sostanzialmente la disciplina del mercato del
lavoro. Questa ricostruzione ha avuto l’avvallo della Corte costituzionale con la sentenza 50/2005, che ha
detto che spetta alle regioni la competenza in materia di mercato di lavoro, quindi della pubblicistica, delle
strutture, delle modalità con cui si realizza incontro tra domanda e offerta di lavoro, e anche in materia di
formazione professionale. Non spetta alle regioni la competenza sul rapporto di lavoro e sul diritto
sindacale, questi ambiti sono ricondotti alla competenza esclusiva dello stato, in particolare alla materia
dell’ordinamento civile, nella lettera l). La disciplina dei rapporti interprivati e quindi riconducibili alla
regolazione di interessi tra privati, è di competenza esclusiva statale e ricondotta nell’ordinamento civile,
per cui nel riparto delle fonti legislative abbiamo competenza statale sul diritto del lavoro e diritto
sindacale, competenza statale sulla previdenza obbligatoria, competenza regionale concorrente sul
mercato del lavoro, e residuale sull’assistenza sociale.

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