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PARAFRASI CARONTE

Da quella parte inizia la strada che porta alle onde del fiume Acheronte. Il suo gorgo è una fangosa voragine
enorme che bolle e si riversa nel Cocito. Caronte, spaventoso e orrendo nocchiere, custodisce questi fiumi:
a esso una barca bianca, lunga folta e non curata invade il mento, gli occhi infuocati e stralunati sono fermi
ed ha un mantello sporco che gli pende dalle spalle. Lui stesso spinge la barca con un palo, e governa le
vele, traghettando i morti sullo scafo scuro: quel dio appare vecchio, ma in realtà è vigoroso. Moltissima
gente correva verso le rive: uomini e donne, corpi di grandi eroi morti, fanciulli e fanciulli, giovani posti al
fuoco di fronte ai genitori; come le foglie, che cadono nel bosco a milioni dopo il primo gelo d’autunno, o
come gli uccelli che si ammassano a schiere fittissimi sulla spiaggia venendo dal profondo mare, quando la
stagione fredda li spinge oltre l’oceani verso paesi illuminati dal sole. Pregavano di essere i primi a passare
quell’acqua, con il desiderio di raggiungere la riva opposta. Ma il malvagio traghettatore scelse solo
qualcuno e allontana gli altri dalla sponda di sabbia. Enea, stupito e commosso da questa confusione, disse:
“Vergine, cosa significa quest’affollamento? Che cosa vogliono queste anime? E perché alcune sono
costrette ad abbandonare la riva mentre altre attraversano con i remi il fiume dal colore scuro?” l’anziana
sacerdotessa gli rispose con poche parole: “Enea, figlio di venere, tu vedi i profondi fiumi paludosi di Cocito
e della Stigia, invocata dagli Dei nei grandi giuramenti che non osavano davanti a questi fiumi affermare il
falso davanti a questi fiumi. La gente cacciata dal fiume sono i morti non sepolti, i morti accettati sono
invece quelli sepolti: il nocchiero è Caronte. Non si possono attraversare le cupe rive e le correnti prima che
le ossa si trovino nella tomba. Chi non è seppellito commetterà errore per cento anni intorno a queste
coste; in seguito è finalmente accolto nella barca e rivede le desiderate paludi”. Enea si fermò esterrefatto,
pensando a molte cose, commiserando il destino triste di quelle anime.

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