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LA LIBERTA’ SINDACALE

Il principio costituzionale della libertà sindacale


Il diritto sindacale poggia sul principio giuridico fondamentale delle art. 39 Cost., ove si stabilisce
che l’organizzazione sindacale è libera. Tale principio si contrappone a quello proprio del periodo
corporativo fascista(1926-1944) il quale, inquadrando le organizzazioni sindacali nello Stato
sottoponendole ad un penetrante controllo, prevedeva un sistema di composizione degli interessi
collettivi estraneo ad una libera e diretta partecipazione dei soggetti interessanti. Il diritto di
organizzarsi liberamente sancito dall’art. 39 si esplica come diritto soggettivo pubblico di libertà ,
inibendo allo Stato di compiere atti che risultino lesivi di tale libertà. Sarebbe incostituzionale una
legge ordinaria che limitasse le forme organizzative sindacali.

La libertà di organizzazione sindacale


Differenze tra l’art. 39 e l’art 18 Cost. L’art. 18 sancisce il riconoscimento della libertà di
associazione: tale diritto non è incondizionato ma può venir meno quando l’associazione persegua
fini vietati ai singoli della legge penale. Il fine sindacale tipizzato riconosciuto dall’art. 39, invece,
non può essere vietato da una legge penale ordinaria.
Un’altra differenza emerge dal termine organizzazione in luogo di quello di associazione utilizzato
nell’art. 18. Il termine organizzazione implica forme più ampie, tali da comprendere forme
organizzative diverse da quelle associative, purchè idonee a ricevere la qualificazione “sindacale”.
Al termine organizzazione fa seguito il predicato sindacale. Il suo significato può essere inteso sia
in senso teleologico che in senso strutturale. Dal primo punto di vista, sindacale è un atto o
un’attività diretta all’autotutela di interessi connessi a relazioni giuridiche in cui sia dedotta
l’attività di lavoro. Sotto il secondo profilo, la qualificazione sindacale presuppone un’aggregazione
di soggetti, almeno potenziale. Su questo punto vi sono due opinioni: una ritiene che anche un
singolo può svolgere un’attività sindacale, secondo altri è necessaria una forma solidale. Una volta
constatato che la Costituzione impiega il termine organizzazione è arduo schierarsi a favore della
seconda soluzione. La fattispecie sindacale contempla una pluralità di soggetti organizzati in una
coalizione. Ciò non significa che il titolare della libertà sindacale sia solo il gruppo e non anche il
singolo individuo.

La normativa comunitaria
Dal punto di vista comunitaria si registra una grave insufficienza normativa. La Carta dei diritti
fondamentali sottoscritta a Nizza (2000) contempla si all’art. 12 la libertà sindacale ma la sostanzia
come semplice libertà di associazione, menzionando il predicato sindacale in senso meramente
esemplificativo.
Numerose norme comunitarie riconoscono le organizzazioni sindacali e attribuiscono alle stesse un
ruolo nella dinamica del relativo ordinamento o degli ordinamenti degli Stati membri. Va
menzionata l’istituzione del Comitato economico e sociale, che è rappresentativo delle parti
sociale ed ha funzioni consultive, il riconoscimento che l’attuazione delle direttive può essere
affidata alla contrattazione collettiva, la garanzia dei diritti all’informazione e alla consultazione dei
lavoratori ecc.

La libertà sindacale nelle convenzioni internazionali


Vanno menzionate le convenzioni nn. 87 e 98 dell’OIL, che, nel nostro ordinamento interno,
hanno ricevuto ratifica nel 1958. La convenzione n. 87 si intitola “alla libertà sindacale”,
garantndola nei confronti dello Stato; la convenzione n.98 “al diritto di organizzazione e di
contrattazione collettiva”, garantendola anche nei rapporti interprivati. La convenzione n.87
dispone che i lavoratori e i datori, senza discriminazione di sorta, hanno diritto a costituire senza
autorizzazione preventiva dello Stato, organizzazioni sindacali e di aderire alle stesse. La stessa
esclude che tali organizzazioni possano essere sciolte o sospese. La convenzione n.98 stabilisce
che i lavoratori debbano godere di una protezione adeguata contro qualsiasi atto di
discriminazione antisindacale posto in essere dai datori di lavoro. La stessa garanzia è riconosciuta
a favore delle organizzazioni sindacali, prevedendo come illecito ogni atto di ingerenza di
un’associazione di datori di lavoro nei confronti delle associazioni di lavoro e viceversa.
Nell’ambito Europeo vanno menzionale la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali del 1950,il cui art. 11 garantisce l’associazione sindacale e soprattutto
la Carta sociale europea (Torino 1961) nella qual e non solo viene ribadito il principio di libertà e
organizzazione sindacale ma lo stesso viene coerentemente svolto nel riconoscimento del diritto
alla contrattazione collettiva e del diritto di autotutela compreso il diritto di sciopero.

Il divieto di atti discriminatori


La fonte interna più incisiva di tutela della libertà sindacale è costituita dalla legge 20 maggio 1970
n.300 , c.d. Statuto dei Lavoratori, il cui titolo II è espressamente intitolato “alla libertà sindacale”.
Tale legge persegue treobietivi.
1) Tutela della libertà e della dignità del lavoratore con riferimento a situazioni repressive che
possono verificarsi nell’impresa. Essendo quest’ultima un’organizzazione basata sul
principio di autorità , in essa possono verificarsi situazioni di compressione delle libertà e
della dignità dei lavoratori i quali si trovano in una situazione subalterna. Nella fattispecie
- Art. 2 : uso della polizia privata nelle fabbriche
- Art. 6 : perquisizioni personali
- Art. 4 : uso di strumenti di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori
- Art. 7 : l’esercizio del potere disciplinare
- Art. 8 : assunzione di informazioni sui lavoratori

2) Rafforzare l’effettività del principio di libertà sindacale all’interno dei luoghi di lavoro
vietando all’imprenditore di utilizzare poteri che gli derivano dal contratto di lavoro per
ostacolare, anche indirettamente, i lavoratori nell’esercizio dell’attività di autotutela dei
propri interessi

3) Attuare una politica di sostegno delle organizzazioni sindacali dei lavoratori. Il conflitto tra
lavoratori e datori è un processo dinamico che richiede da parte dei protagonisti continue
valutazioni di fronte all’incessante mutare delle situazioni concrete

Le norme per attuare questi obiettivi dello Sdl, vanno tenute distinte, ma, attuate insieme creano
un effetto sinergico per cui ciascun gruppo di norme rafforza gli altri due.
Esaminiamo le norme del titolo II:
L’ art. 14 afferma che il “il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività
sindacale è garantito a tutti i lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro” . Ciò ribadisce il principio
evidente dell’art. 39 e perciò la norma potrebbe apparire superflua se non fosse chiara
l’intenzione di garantire la libertà sindacale e di renderla effettiva soprattutto nei luoghi di lavoro e
nei confronti del datore di lavoro. In tal modo viene imposta l’efficacia della norma costituzionale.
L’art. 15 sancisce la nullità degli atti discriminatori riproducendo ,con opportune integrazioni la
disposizione dell’art. 1 della convenzione OIL n.98. Esso fissa due punti:
- Stabilisce la nullità di qualsiasi atto o patto diretto a subordinare l’occupazione di un
lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad un’associazione sindacale,
ovvero che cessi di farne parte. Oltre alla nullità dell’atto è prevista una sanzione
penale.
- Sancisce la nullità di qualsiasi atto o patto diretto a licenziare un lavoratore, a
discriminarlo nell’assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei
provvedimenti disciplinari, o a recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua
affiliazione o attività sindacale, ovvero alla sua partecipazione ad uno sciopero. Per tali
atti non è disposta la sanzione penale.
La discriminazione di carattere sindacale può avvenire non solo privando il prestatore di lavoro di
benefici o arrecandogli danno, bensì anche più sottilmente attribuendo particolari benefici ai
lavoratori che tengano un determinato comportamento e così’ condizionandoli nell’esercizio della
libertà sindacale. E questa la previsione contenuta nell’art. 16 il quale sancisce il divieto di
concedere trattamenti economici di favore ad una pluralità di persone. Trattamento economico
collettivo discriminatorio si può considerare anche quello corrisposto per agevolare l’adesione a
particolari organizzazioni sindacati che incontrino il favore del datore di lavoro. Inoltre si intende
non solo trattamenti “monetari” discriminatori, ma anche di trattamento in genere (ex. Ferie più
lunghe). Il meccanismo direazione previsto è una sanzione civile.
L’art. 15 e l’art. 16 (che lo richiama) non si applica solo alle discriminazioni per ragioni sindacale
ma anche a quelle per motivi politici o religiosi e una legge successiva ha aggiunto motivi di razza,
lingua e sesso, handicap, orientamento sessuale e convinzioni personali.
Il sindacato di comodo
L’ art 17 Sdl , vieta la costituzione di sindacati di comodo , cioè sindacati di lavoratori costituiti e
sostenuti, qualunque sia il mezzo a tal fine adoperato, dai datori di lavoro o dalle loro associazioni.
L’esistenza di tali sindacati, chiamati sindacati gialli, costituisce un modo indiretto per comprimere
la libertà sindacale, limitando lo spazio dell’organizzazione genuina ed effettivamente
rappresentativa. I modi di tali sostegni sfugge ad una precisa tipizzazione: possono andare dal
finanziamento, a favoreggiamenti sottili ( che pongono al giudice delicati problemi di valutazione
dei fatti). Tuttavia le valutazioni dei fatti non devono essere confuse, evitando di travisare il senso
dei comportamenti che rientrano nella normale dialettica delle relazioni industriali.

La libertà sindacale negativa


E’ controverso se debba considerarsi tutelata la cosiddetta libertà sindacale negativa, cioè la
libertà del lavoratore di non aderire ad alcuna organizzazione sindacale. Le fonti internazionali e
comunitarie sono ambigue su questo punto. Tale ambiguità è dovuta al fatto che in alcune
tradizioni sindacali, come quella del Paesi anglosassoni, sono state caratterizzate in passaato da
clausole contrattuali dirette a rafforzare la presenza sindacale in azienda, obbligando
l’imprenditore ad assumere solo lavoratori iscritti al sindacato closed shop.
In Italia, salvo alcuni casi nel periodo prefascista, la questione non si è mai posta concretamente.
Sono clausole praticamente sconosciute, sia perché difficilmente compatibili con il pluralismo
sindacale in atto , sia per la tradizione di solidarietà di classe radicata nel movimento operaio
italiano che non vuole discriminazioni ai danni di chi non aderisce al sindacato. Nell’art. 15 Sdl lett.
a) si dichiara illecita la discriminazione ai danni del lavoratore che non aderisca ad un’associazione
sindacale. La norma utilizza il termine occupazione e non assunzione (termine più ampio): la
norma rende illecite non solo le discriminazioni ai danni dei lavoratori che non vogliono aderire al
sindacato al momento dell’assunzione (closed shop) , ma anche quelle che derivano dalla
subordinazione della continuazione del rapporto di lavoro alla iscrizione al sindacato (union shop)

L’organizzazione sindacale dei militari e della polizia


La questione della titolarità del diritto di libertà sindacale si è posta storicamente , anche a
riguardo ai pubblici dipendenti. Nel tempo tale libertà ha trovato una sua legittimazione senza
momenti traumatici a seguito dell’affermarsi di ben accette dalla controparte pubblica forme di
sindacalismo ritenute più acquiescenti. I limiti vigenti riguardano i militari e gli appartenenti ai
corpi di polizia.
Per i primi l’art 3 legge 11 luglio del 1978 n.382 dopo aver premesso che ai militari spettano i
diritti che la costituzione riconosce ai cittadini, aggiunge: “ per garantire l’assolvimento dei compiti
propri delle forze armate la legge impone ai militari limitazioni nell’esercizio di alcuni di tali diritti” .
In questa linea l’art.8 sancisce che “i militari non possono esercitare diritto di sciopero, costituire
associazioni professionali a carattere sindacale, aderire ad altre associazioni sindacali”. In parziale
compensazione si legittima l’istituzione di organi elettivi di rappresentanza al cui vertice sono posti
i Consigli centrali di Rappresentanza (Cocer) i quali partecipano al procedimento di determinazione
del trattamento economico e normativo.
Diversa è la condizione del personale appartenente ai corpi di polizia non militari: Polizia di Stato,
Corpo Forestale dello Stato e Polizia Penitenziaria. Con la legge 1 aprile 1981 n. 121 , la prima fu
smilitarizzata e fu riconosciuto il diritto del personale di associarsi in sindacati, ma in regime di
separatezza. Infatti questo personale può aderire solo ai sindacati che, come precisa l’art. 83 della
legge, siano formati, diretti e rappresentanti esclusivamente da appartenenti alla polizia di Stato.
La stessa norma vieta l’affilazione di questi sindacati a più ampie organizzazioni. La legittimità
costituzionale di questo divieto, in relazione all’art. 39 Cost. è dubbia, in quanto l’affiliazione
costituisce anch’essa espressione di libertà sindacale. Il divieto di affiliazione organizzativa alle
confederazioni, proprio in quanto norma limitativa di un diritto fondamentale e quindi
eccezionale, non può però essere interpretata estensivamente: non se ne può dedurre, quindi, il
divieto di intrattenere rapporti politici privilegiati con una di esse , né rapporti convenzionali che
consentano agli iscritti al sindacato di polizia di usufruire degli stessi servizi degli altri lavoratori.

La libertà sindacale degli imprenditori


Il nodo principale consiste nella possibilità di qualificare come sindacale l’attività da questi svolta
per la soddisfazione di interessi attinenti ai rapporti di lavoro. Il problema sorge perché mentre
l’attività sindacale dei lavoratori è sempre riferita ad un termine collettivo (attività organizzata),
l’imprenditore può agire come singolo nella contrattazione aziendale o con la serrata ,o con
qualsivoglia comportamento individuale. D’altra parte il sindacalismo imprenditoriale si è
storicamente configurato come un sindacalismo di risposta che si forma in funzione di resistenza
neo confronti dell’organizzazione dei lavoratori.
Alcuni autori hanno fatto notare che la Repubblica si fonda sul diritto al lavoro e su un’effettiva
partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica economica e sociale del Paese. D’altra
parte la stessa Costituzione sancisce la libertà dell’impresa. L’attività di queste organizzazioni,
pertanto, potrebbe essere assoggettata ai limiti che , in generale , attengono all’iniziativa
economica. Questa soluzione, che supera la concezione simmetrica tramandata in ultima analisi,
dall’ordinamento corporativo, ma , comunque ampiamente diffusa anche all’estero, appare in
effetti come la più rispondente al dato storico e costituzionale.
La dottrina della libertà sindacale unilaterale valorizza i caratteri specifici dell’esperienza sindacale
dei lavoratori, considerata cime libertà collettiva anche quando esercitata singolarmente; di contro
la libertà sindacale degli imprenditori può assumere aspetti collettivi o di coalizione, ma essa è pur
sempre una proiezione dell’iniziativa economica privata e come tale è essenzialmente una libertà
individuale.

La libertà sindacale dei lavoratori autonomi


Esiste un sindacalismo di lavoratori autonomi agevolmente riferibile all’autotutela finalizzata alla
promozione di condizioni di uguaglianza effettiva e il segno principale di esso, anche se non
essenziale, potrà essere ravvisato nello svolgimento di attività contrattuale collettiva a fronte di
una controparte: tale sarà principalmente il caso del cosiddetto parasubordinato. Al contrario ,
quando non emergano indici rilevatori di condizioni di squilibrio economico sociale (ex. Avvocati),
si rientrerà nel campo delle comuni garanzie di libertà associativa, non qualificabile in senso
giuridico come libertà sindacale.

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