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RAPPRESENTANZA E RAPPRESENTATIVITA’ SINDACALE

Concetti generali
Sappiamo quindi che al sindacato in quanto organizzazione dei lavoratori è portatrice di un
interesse collettivo + ascrivibile una sfera di autonomia propria e non derivata da quella
individuale dei singoli lavoratori. Il gruppo organizzato è qualcosa di diverso dalla somma degli
individui che lo compongono, così come l’interesse collettivo è qualcosa di diverso dalla somma
degli interessi individuali dei suoi membri. Ciò impedisce di ricondurre il legame tra il sindacato e i
lavoratori all’istituto del mandato con rappresentanza art. 1387 c.c. e 1704 c.c. In questo istituto il
rappresentante, infatti, il rappresentante agisce in nome e nell’interesse del soggetto
rappresentato; il sindacato, invece agisce in nome proprio perseguendo l’interesse collettivo di cui
è titolare. Il rapporto di rappresentanza sindacale è nel linguaggio giuridico corrente il nesso che
lega l’organizzazione sindacale ai lavoratori di un gruppo professionale.
Diversa è la nozione di rappresentatività, definibile come la capacità dell’organizzazione di
unificare i comportamenti dei lavoratori in modo che gli stessi operino non ciascuno secondo
scelte proprie ma, appunto, come gruppo. E’ una nozione pregiuridica (appartenente alla
sociologia) assunta nel mondo regolare alcuni aspetti della concreta dinamica delle relazioni
industriali; per realizzare questo obiettivo, le posizioni giuridiche che così vengono create non
sono attribuite a tutte le organizzazioni.

La ratio della selezione tra i sindacati


Il tema della rappresentatività acquisì un ruolo centrale con il Titolo III dello Sdl art. 19 e ss. In
queste norme il legislatore non si limita a ribadire che i lavoratori hanno diritto di esercitare la
propria libertà sindacale anche all’interno dei luoghi di lavoro e che il datore di lavoro deve
rispettare tale libertà (ponendo in essere quella che è stata definita una legislazione di sostegno o
promozionale dell’attività sindacale) ma riconosce alle organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative diritti che favoriscono il rapporto tra l’organizzazione e i lavoratori rappresentati.
A questi diritti corrispondono precise posizioni debitorie dell’imprenditore: ad esempio al diritto di
assemblea (art.20) corrisponde l’obbligo dell’imprenditore di porre a disposizione dei lavoratori il
locale in cui svolgerla, il riscaldamento, la luce elettrica ecc… Al contrario, per rispettare la libertà
sindacale , l’imprenditore è tenuto solo ad un generico obbligo negativo di astensione
dall’interferire nella libertà stessa. Sono queste le ragioni per le quali i diritti sindacali non sono
riconosciuti a tutte le associazioni, ma solo a quelle effettivamente rappresentative: scopo del
legislatore del 1970 è favorire l’attività sindacale all’interno dei luoghi di lavoro e, per realizzarlo,
deve comprimere alcuni diritti dell’imprenditore.

I criteri di selezione
L’art 19 Sdl nella sua formulazione originaria, individuava come soggetti titolari dei diritti sindacali
le rappresentanze sindacali aziendali (rsa) costituite ad iniziativa dei lavoratori, operanti
nell’ambito:
1) Associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano
nazionale
2) Associazioni, non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti
collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva.
Si introducevano due criteri di selezione , il secondo dei quali era residuale, essendo introdotto
solo al fine di non escludere alcuni sindacati che pur non essendo inquadrati nelle grandi
confederazioni partecipavano alla contrattazione collettiva nazionale o perlomeno locale.
Il criterio principale era quello riassunto nella formula “confederazioni maggiormente
rappresentativeE. Esso implica un giudizio di rappresentatività storica poiché basato sul dato
storico dell’effettività dell’azione sindacale delle confederazioni in quel contesto: al momento
dell’approvazione dello Sdl, vi erano pochi dubbi, infatti, sul fatto che la storia e la realtà del
sindacalismo italiano coincidesse con la realtà e la storia delle confederazioni. La genericità delle
formula ha posto il problema di ricercare indici utilizzabili per individuare tali organizzazioni. La
dottrina e la giurisprudenza sul testo originario hanno enucleato i seguenti elementi:
- Consistenza del numero degli iscritti
- Equilibrata presenza in un ampio arco di settori produttivi e di territori
- Svolgimento di un’attività di contrattazione: in generale autotutela con caratteri di
effettività, continuità e sistematicità.

La giurisprudenza costituzionale prima del referendum del 1995


Era ineluttabile che l’art. 19 Sdl venisse sottoposto al vaglio di costituzionalità dalla Corte
costituzionale. Analizziamo gli avvenimenti prima del referendum del 1995.
La sentenza della Corte n.54 del 1974 affermò con chiarezza che la selezione tra i sindacati non
ciola l’art. 39 Cost se non tocca la libertà sindacale, ma è funzionale all’attribuzione di diritti o
poteri aggiuntivi che vanno oltre la stessa: è questo il caso dell’art. 19 Sdl la cui funzione è quella
di identificare i soggetti titolari dei diritti previsti dal titolo III e non di limitare la libertà di costituire
rappresentanze sindacali all’interno dei luoghi di lavoro.
La questione di legittimità fu posta dalla Corte anche in relazione all’art 3 Cost.: la selezione tra i
sindacati per accedere ai diritti sindacali crea infatti, una differenza di trattamento che richiedeva il
vaglio di legittimità in relazione al principio di eguaglianza. La Corte confermò il proprio
orientamento secondo il quale il principio di eguaglianza risulta violato non i presenza di una
qualsiasi diversità di trattamento, ma quando la stessa non abbia giustificazione e non risponda a
criteri di ragionevolezza. La scelta del legislatore di non conferire a tutti i diritti sindacali è
razionale e consapevole, evitando così di creare un numero imprevedibile di organismi che
interferendo con la vita aziendale porterebbero a danni e limiterebbero la forza contrattuale dei
gruppi di lavoratori.
Il referendum del 1995
L’art. 19 è stato oggetto di due referendum abrogativi, che si sono svolti l’ 11 giugno 1995 ed
hanno avuto un esito negativo e l’altro positivo. Il primo mirava ad eliminare entrambi i criteri
selettivi. Se avesse avuto esito positivo, titolari dei diritti sindacali del Titolo III dello Statuto
sarebbero state tutte le rappresentanze sindacali aziendali costituite su semplice iniziativa dei
lavoratori, senza necessità che ciò avvenisse nell’ambito delle confederazioni maggiormente
rappresentative. L’esito negativo ha confermato invece, la scelta legislativa di una selezione dei
sindacati che hanno accesso alle condizioni di favore previste da questo titolo dello Statuto.
E’ stato, invece, approvato il secondo quesito referendario, volto ad abrogare il primo criterio,
eliminando l’intera lettera a), e a modificare il secondo, eliminando le parole “nazionali e
provinciali”. Il risultato è che il criterio selettivo dellarappresentatività è oggi unico: la RSA deve
essere costituita dai lavoratori nell’ambito di un sindacato che non deve essere necessariamente a
struttura confederale, ma cha abbia stipulato un contratto collettivo applicato nell’unità
produttiva, quale che sia il livello di tale contratto, compreso quello aziendale che in precedenza
non era sufficiente a tal fine. Quest’ultimo è anch’esso un aspetto non secondario: il favore che il
legislatore del 1970 voleva attribuire alle forme organizzative più a,pie e che si era espresso senza
reticenze nella lettera a) a vantaggio del sindacalismo confederale, nella versione originaria del
punto , b) si esprimeva in un forma attenuata, ma tutt’altro che insignificante, dal momento che i
contratti collettivi la cui stipulazione consentiba di accedere al titolo III dovevano essere “nazionali
o provinciali”. Di conseguenza per poter essere considerato rappresentativo ai sensi dell’art. 19,
un sindacato doveva svolgere la propria attività non in una singola azienda, ma in una pluralità di
esse, comprese in un ambito nazionale o perlomeno provinciale. L’abrogazione referendaria della
qualificazione come nazionali o provinciali dei contratti collettivi la cui stipulazione dava titolo alla
costituzione delle RSA ha, dunque, allargato le maglie selettive, consentendo l’accesso ai diritto
dell titolo III anche a sindacati che siano in grado di operare solo in un’azienda.
Le conseguenze pratiche di questa modifica non sono di grande rilievo, perché i sindacati che
firmano i contratti appartengono, normalmente, alle confederazioni maggiormente
rappresentative. A ben guardare, la novità è nel senso che la materia passa tutta alla competenza
della contrattazione: è come dire che da questo momento lo Statuto dei lavoratori, con una vera
petizione di principio, promuove, sostiene ed agevola l’attività contrattuale dei sindacati che
hanno già stipulato il contratto: consolido, cioè, una posizione di forza contrattuale già conseguita,
ma non può promuoveral laddove manchi.
Se spostiamo l’ottica dalle conseguenze pratiche a quelle di sistema, l’effetto più rilevante del
referendum è che il criterio della maggiore rappresentativa presunta nello Statuto dei lavoratori
viene sostituito da un criterio di rappresentatività fondato su di un elemento di fatto accertabile (il
sindacato ha sottoscritto un c.c. applicato nell’unità produttiva in cui pretende di costituire la
propria RSA) e non più su valitazioni che si prestano ad un elevato soggettivismo.

La giurisprudenza costituzionale sull’art. 19 dopo il referendum


La Corte costituzionale si espressa anche dopo il rferendum. Si è pronunciata con la sentenza n.
244 del 1996. Nelle ordinanze che avevano sollevato la questione si era affermato che la nuova
formulazione della norma, in sostanza, rimette il riconoscimento della rappresentatività ell
sindacato all’arbitrio del datore di lavoro, che è libero di accettare o meno come controparte
contrattuale il sindacato stesso: di qui la violazione sia del principio di libertà sindacale, sia di
quello di eguaglianza per l’irragionevolezza del criterio posto.
La Corte ha respinto ambedue le eccezioni, affermando che anche nella nuova formulzione non
viola l’art. 39 Cost. perché “le norme di sostegno dell’azione sindacale nelle unità produttive, in
quanto sopravanzano la garanzia costituzionale della libertà sindacale, ben possono essere
riservate a certi sindacati identificati mediante criteri scelti discrezionalmente nei limiti della
razionalità; né violato l’art. 3 perché le associazioni sindacali vengono differenziate in base a
ragionevoli criteri prestabiliti per legge. Nell’affermare la conformita al sistema costituzionale
dell’art.19 , la Corte ha precisato che tale coerenza sussiste se della norma viene data una
interpretazione rigorosa, che risponda al principio della rappresentatività effettiva.
In particolare l’interpretazione deve garantire che il meccanismo basato sulla sottoscrizione di un
c.c., anche solo azienda, risponda la fine di misurare la consistenza reale del sindacato e non
finisca per condizionare il riconoscimento della rappresentatività alla scelta del datore di lavoro di
sottoscrivere un contratto con quello specifico sindacato. La sottoscrizione del c.c. deve essere
indice della capacità el sindacato di imporsi al datore di lavoro, direttamente o attraverso la sua
associazione, come controparte contrattuale.
Da tale premessa derivano alcuni corollari. Il primo è che non è sufficiente la mera adesione
formale ad un contratto negoziato da altri sindacati, ma occorre una partecipazione attiva al
processo di formazione del contratto. La seconda è che nemmeno è sufficiente la stipulazione di
un contratto qualsiasi, ma deve trattarsi di un contratto normativo che regoli in modo organico i
rapporti di lavoro, almeno per un settore o un istituto importante della loro disciplina, anche in
via integrativa, a livello aziendale, di un contratto nazionale o provinciale già applicato nella stessa
unità produttiva.

Altre leggi di selezione tra i sindacati

Vi furono una nutrita serie di leggi che presentarono un’esigenza di selezione tra i sindacati. Tali
leggi sono identificabili in due categorie: la prima riguarda le disposizioni che attribuiscono ad
alcuni sindacati il potere di designare i rappresentanti dei lavoratori in organi collegiali espressivi
degli interesse delle parti sociali. La seconda categoria di leggi riguarda norme che riservano ai
sindacati selezionati la legittimazione a stipulare particolari tipi di c.c. ovvero contratti collettivi che
producono particolari effetti.
L’esempio più rilevante della prima categoria è il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro
(CNEL) organo previsto dalla Costituzione repubblicana con funzioni di consulenza del Parlamento
e del Governa e di iniziativa legislativa in materia di economia e lavoro. Ne fanno parte esperti e
rappresentanti delle categorie produttive in misura che tenga conto della loro importanza
numerica e qualitativa e tali rappresentanti sono designati dalle confederazioni sindacali
maggiormente rappresentative.
L’esempio più rilevante della seconda categoria è la regolamentazione della c.c. delle pubbliche
amministrazioni pubbliche, perché riserva in via esclusiva ai sindacati maggiormente
rappresentativi la legittimazione a negoziare in rappresentanza dei dipendenti pubblici.

La rappresentatività ponderata nel settore pubblico


Per i rapporti di lavoro alle dipendenze dello Stato e degli altri enti pubblici, la riforma degli anni
’90 ha introdotto una disciplina compiuta della rappresentatività sindacale che occorre esaminare.
Va segnalato che nella regolamentazione giuridica delle relazioni sindacali nelle P.A., la nozione di
sindacato maggiormente rappresentativo non assolve solo alla funzione di selezionare i soggetti
titolari dei diritti sindacale, ma quella di individuare i sindacati abilitati all’attività di c.c. nazionale.
Si tratta di una differenza fondamentale con il settore privato, nel quale, al contrario, la selzionedei
soggetti ammessi al tavolo della trattativa contrattuale non è giuridicamente regolata ed è affidata
ai rapporti di forza.
L’art. d. lgs. N. 165/2001 dispone che siano ammessi alla contrattazione collettiva nazionale di
comparto o di area i sindacati che realizzino un indice di rappresentatività non inferiore 5%,
calcolato come media tra il dato associativo e il dato ettorale. Il primo si ricava dalla percentuale
delle deleghe per il pagamento dei contributi associativi in favore di ogni singolo sindacato sul
totale delle deleghe a tutti i sindacati rilasciate dai lavoratori nell’ambito cui si applica il contratto
da stipulare. Il secondo è calcolato dalla percentuale dei voti ottenuti dalla lista espressa da
ciascun sindacato sul totale dei voti espressi per l’elezione delle rappresentanza sindacali unitarie.
Come può facilmente rilevarsi, con questa disciplina la rappresentatività non è più determinata
sulla base di indici discrezionalmente valutati, in ultima istanza ,dai giudici, ma viene misurata sulla
base di dati numerici accertabili e che devono essere accertati secondo una procedura
espressamente regolata.
Tutti e solo i sindacati che realizzino la soglia indicata del 5% sono ammessi alla trattativa
contrattuale: sembra, dunque, che il legislatore del’97 abbia fatto propria la proposta avanzata nel
dibattito in materia di individuare una soglia minima di rappresentatività, varcata la quale ciascun
soggetto sindacale si ritrovi in posizione di eguaglianza con gli altri che abbiano, parimenti,
superato quella soglia. Sotto altri profili, lo stesso legislatore ha accolto la soluzine
opposta,consistente nel proporzionare i diritti al grado di rappresentatività. In primo luogo, a
garanzia dell’effettiva chiusura del conflitto, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle
pubbliche amministrazioni (Aran) non po’ sottoscrivere i contratti nazionali se non acquisisce il
consenso di organizzazioni sindacali che rappresentino almeno il 51% dei lavoratori, calcolato
come media tra dato associativo e dato elettorale, oppure il 60%, calcolando il solo dato elettorale.
In questo settore si è, insomma realizzato il superamento completo del criterio della
rappresentatività presunta a favore di un sistema legale di misurazione della rappresentatività.
Maggiore rappresentatività presunta o ponderata
La legge ha l’esigenza di non affidare certi diritti e certi poteri a tutti i indacati, ma solo a quei
sindacati che dimostrino la loro capacità di essere effettivamente rappresentativi. Su questo
punto, un aoarila definitiva è stata detta dalla Corte costituzionale che, fin dalla sentenza n.
54/1974 ha riconosciuto la legittimità costituzionale di una selezione tra i soggetti sindacali,
purchè siano rispettate due condizioni: a) che si tratti di diritti e poteri che vadano oltre la libertà
sindacale, che non può non spettare a tutti i sindacati; b) che la selezione tra i soggetti sindacali sia
giustificata e risponda a criteri ragionevoli. Dall’altro lato , i criteri di selezione, con l’importante
eccezione dei sindacati dei dipendenti delle P.A., rimangono ancorati ad indici generici di maggiore
rappresentatività, le che attribuiscono un’ampia discrezionalità all’interprete e che, comunque,
privilegiano le grandi Confederazioni: è per questo si è parlato di maggiore rappresentatività
presunta. La crisi di questo metodo di selezione dei soggetti sindacali è stata denunciata almeno
dalla seconda metà degli anni ’80. Infatti le trasformazioni del processo produttivo e il
superamento del modello organizzativo tayloristico hanno segmentato la forza lavoro in gruppi in
gruppi di interesse diversi, talvolta in conflitto tra loro.
(*aggiungere il sidacato comparativamente più rappresentativo).

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