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E
ora Yemen, Siria...
L'inesorabile
avanzata delle rivoluzioni arabe
di Riccardo Bocchese
Arabia Saudita
Yemen
Oman
Iraq
Bahrein
Siria
In queste
ore, serata del 29 marzo 2011, mentre scriviamo, il governo siriano si è dimesso
in blocco Formalmente la Siria è una repubblica retta dal gruppo
etnico-religioso degli alauiti, al cui vertice è dal 1970 la famiglia Asad,
titolare della Presidenza della Repubblica in forma ormai ereditaria. Di fatto
dal colpo di Stato del 1996 è in vigore la legge marziale, che sospende la
maggior parte delle garanzie costituzionali e aumenta i poteri del presidente,
legge marziale ufficialmente motivata dallo stato di guerra e dalla minaccia del
terrorismo. Le proteste sono iniziate una settimana fa nella città agricola di
Dara’a, vicino al confine con la Giordania, a causa dell’arresto d’alcuni
studenti delle scuole superiori che avevano disegnato sui muri graffiti
antigovernativi. Tali dimostrazioni sono rapidamente aumentate, con migliaia di
persone che hanno aderito alle proteste, ispirate dall’ondata di rivoluzioni che
hanno scosso il mondo arabo, chiedendo le libertà politiche e la fine dello
stato d’emergenza e della corruzione. Il governo ha risposto uccidendo decine di
dimostranti e ferendone molti altri. Raccapriccianti video della repressione,
diffusi via Internet nei giorni scorsi, hanno fatto aumentare lo sdegno e la
furia della popolazione siriana da un capo all’altro del Paese.
Nel
pomeriggio di giovedì 24 marzo l’ufficio del presidente Bashar al-Assad ha
annunciato concessioni senza precedenti alle richieste popolari: aumenti di
stipendio fino al 30% per i dipendenti statali e la liberazione di tutti gli
attivisti arrestati nelle scorse settimane, la promessa di nuovi posti di
lavoro, la libertà di stampa, il permesso di formare partiti d’opposizione e la
revoca delle leggi d’emergenza in vigore da 48 anni. Le promesse non hanno
placato le rivendicazioni dei manifestanti e alle promesse, com’era prevedibile,
sono seguiti i fatti con gli spari sulla folla che manifestava. A Tafas, poco
lontano da Dera´a, i dimostranti hanno dato fuoco al palazzo del Baath, il
partito al potere in Siria da mezzo secolo. Il bilancio degli scontri è pesante:
almeno un centinaio le vittime. In questo momento l’obiettivo dei manifestanti,
dopo le dimissioni del governo, è la cacciata del presidente Bashar
al-Assad.
A fuoco i
palazzi del potere
Le guerre
imperialiste, camuffate da aiuti umanitari e dichiarate sull’onda dello sdegno
popolare contro i tiranni, saranno riconosciute dalle popolazioni in rivolta per
quello che sono: il tentativo di soffocare, con i bombardamenti, ancora una
volta, ogni speranza di una reale alternativa di sistema.