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12 luglio 2008 / 2 Commenti / in Carta Straccia / da Pino


Nicotri

di Benito Li Vigni

L’accordo algerino e il progetto


europeo

Non era un mistero che Mattei teneva


stretti rapporti con il governo provvisorio
della Repubblica algerina, che allora
combatteva per l’indipendenza dalla
Francia. Era cominciata nel ’56 la lotta di
liberazione del popolo algerino contro i
francesi: la casbah di Algeri divenne un
fronte di guerra sconvolto da lampi di fuoco
e di morte. Crebbe in quei giorni la rabbia
dei rivoltosi sotto lo sguardo assente di
un’Europa lontana e sembrò, come cantò
Garcia Lorca nella sua “Danza della morte”,
che «mezzo lato del mondo era d’arena, di
mercurio e di sole addormentato l’altro
lato». Mille e mille fotogrammi di violenza
ci giunsero nel ’66 con le immagini
sconvolgenti della “Battaglia di Algeri” di
Gillo Pontecorvo. Si videro molte donne
algerine dalle chiome corvine diventar
bionde, per confondersi tra le donne
francesi e seminare, inosservate, bombe e
terrore nella città sconvolta. Poi gli scontri
casa per casa e i segnali degli insorti come
grida d’uccello ferito sotto il fuoco di morte

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dei parà francesi. E le scene struggenti dei


rivoltosi fatti torturare dal colonnello
Mathieu sbarcato in Algeria per sradicare il
Fronte di liberazione. E i labirinti della
casbah, come selva di pietra stretta
d’assedio con la morte annidata tra le
rovine delle case dei rivoltosi che non si
vogliono arrendere. Esaltante, infine, il
dilagare per strade e piazze delle masse in
trionfo, con canti e bandiere improvvisate
nel giorno della vittoria.

Per il partigiano Mattei non c’era


scampo. Prendere o lasciare. Lui si
considerava uomo con una visione organica
delle cose, per cui da una concezione di
libertà discendeva una sola opzione di
solidarietà che lo spinse a intervenire a
sostegno di quel popolo in rivolta. Insediò a
tal fine una sede a Tunisi e creò, come
copertura di questa attività, un ufficio per i
rapporti con la stampa dell’Africa del Nord,
affidandone la responsabilità a Mario
Pirani; e a Roma l’Eni mise a disposizione
un locale che ospitò la rappresentanza del
movimento di liberazione algerino presso il
governo italiano. In quel momento, il corpo
diplomatico italiano era diviso e c’era tutta
una vecchia parte della Farnesina che era
strettamente filo-francese e condannava le
posizioni dell’Eni. Tra le azioni svolte,
facilitare i passaggi diplomatici degli
algerini in Italia, i loro viaggi in Europa e
formare i loro quadri petroliferi
mandandoli alle scuole superiori di
idrocarburi. L’Eni si offrì anche di rifornire
il carburante all’armata algerina comandata
da Boumedienne alla frontiera tunisina e
alla frontiera marocchina, ma la Shell e la
Esso avevano già assicurato i rifornimenti.

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Il sostegno più importante offerto da


Mattei fu quello di preparare la parte
algerina a elaborare le proposte, le
posizioni, i suggerimenti delle trattative con
i francesi per quanto riguardava tutto il
contenzioso petrolifero con la Francia sullo
sfruttamento dei giacimenti del Sahara.
Tutte le norme furono suggerite dall’Eni,
soprattutto quelle che prevedevano il
mantenimento di una collaborazione
francese, ma con una titolarità diretta
algerina del sottosuolo e con una loro
azienda di Stato che, in qualche modo,
trovassero una cooperazione con i francesi
aperta anche all’Eni. Da questa idea nacque
la società algerina Sonatrach, e l’Office du
Pétrol Saharien, dove c’erano i francesi e gli
algerini. La cosa che più interessava a
Mattei erano i giacimenti di metano,
seguita dalla collaborazione per lo
sfruttamento delle risorse petrolifere.
Obiettivo raggiungibile poiché l’Eni
appariva in quel momento agli algerini e in
genere a tutti i movimenti del Terzo
Mondo, di recente indipendenza, come
punto di riferimento dirompente nei
confronti delle vecchie strutture coloniali.

A Evian, intanto, il 20 maggio 1961,


iniziava la lunga trattativa franco-algerina
che aveva per obiettivo, oltre all’armistizio,
la cooperazione tra i due paesi. «La
consegna di De Gaulle», ha scritto Italo
Pietra, «è che il petrolio è la Francia, e
unicamente la Francia. E che il Sahara
algerino è una finzione giuridica e
nazionalistica senza fondamento storico …
Quanto al petrolio», continua Pietra,
«Bularuf, delegato del Fronte nazionale di
liberazione algerino a Roma, si trovava qui
coi dossier preparati dall’Eni in vista della

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trattativa per la valorizzazione delle risorse


del Sahara. E’ più probabile che i servizi
segreti francesi e americani fossero al
corrente della cosa. Sta il fatto che, dopo
poche settimane, Mattei è invitato a entrare
nel pool in via di costituzione tra petrolieri
americani, inglesi e francesi. E risponde di
no». Irritata da questa risposta la
diplomazia francese interveniva a Roma sul
ministro degli esteri, Antonio Segni, con
una nota di protesta contro l’attività
dell’Eni che ostacolava le trattative in corso
tra francesi e algerini, favorendo
l’irrigidimento del governo provvisorio
della Repubblica algerina in ordine a un
problema che era considerato dalla Francia
essenziale alla sua economia e alla sua
sicurezza. Pochi giorni dopo, il 25 luglio
1961, la lettera dell’Oas con la minaccia di
morte a Mattei e alla sua famiglia.

La volontà del generale De Gaulle di


porre infine termine al conflitto aveva
indotto Mattei a modificare il suo
atteggiamento. Adesso che l’Algeria aveva
ottenuto (marzo 1962) il riconoscimento
della propria indipendenza egli prospettava
un accordo a tre – Francia, Algeria, Italia –
secondo la formula a lui gradita del
rapporto tra industrie pubbliche. Furono
presi alcuni contatti ai quali partecipò per i
francesi un alto funzionario, quel Claude
Cheysson che diventerà ministro degli
esteri di Mitterrand. Doveva essere una
partecipazione italiana, insieme a quella
francese in alcuni giacimenti petroliferi,
una raffineria italo-algerina da fare in
Algeria, soprattutto una grossa fornitura di
metano. «Fu una sfida vinta e che apriva
grosse possibilità perchè», ha spiegato
Pirani, «i francesi e gli algerini pensavano

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che assieme a Mattei avrebbero potuto


realizzare un gasdotto intercontinentale che
partendo dai ricchi giacimenti metaniferi
del Sahara, passando lo stretto di Gibilterra
e attraversando la Spagna, arrivasse fino
alla Francia e all’Italia. Ritenevano anche
che a questo primo progetto avrebbero
potuto seguire analoghe iniziative che
coinvolgessero altri paesi del Terzo Mondo.
Nella loro strategia i francesi tenevano
molto ad avere agli occhi dei paesi ex
coloniali la “copertura” dell’Eni il quale, a
sua volta, era interessato a questo tipo di
intesa in quanto da un lato necessitava di
petrolio e dall’altro voleva aumentare la
propria disponibilità di gas naturale di cui
cresceva continuamente la domanda per il
mercato italiano». Mattei pensava che il
ruolo della Francia, in questo quadro
complessivo, dovesse essere svolto da una
industria pubblica francese che si
accordasse con l’Eni per fare una politica di
tipo europeo. Questo indirizzo trovò
coerente riscontro nella politica di De
Gaulle che volle ampliare l’intervento
pubblico nel campo degli idrocarburi
trasformando l’azienda petrolifera francese
Erap in un ente nel quale riunire tutte le
partecipazioni dello Stato nel settore
petrolifero. Nacque così l’Elf, a capo della
quale egli mise Guillomat, già ministro
della difesa e grosso personaggio gollista
del quale voleva fare il “Mattei francese”. Le
intese avviate avrebbero dovuto essere
ratificate nell’incontro con Ben Bella del 6
novembre 1962 e completate da un accordo
franco-italiano, per il quale era già previsto
un viaggio di Mattei a Parigi a metà
novembre.

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Mario Pirani, che seguiva da vicino la


vicenda, continua così nella sua
testimonianza: «Il discorso stava
diventando molto interessante ma
l’improvvisa morte del nostro presidente
segnò una battuta d’arresto. Infatti, pur
essendo stato nominato suo successore alla
presidenza dell’Eni il professor Marcello
Boldrini l’effettivo potere gestionale era
esercitato dal vice presidente Eugenio
Cefis…». In queste nomine il governo aveva
dichiarato di voler garantire la continuità
formale e sostanziale della linea che Mattei
aveva imposto all’Eni. In realtà le cose
andarono in modo diverso e si operò in una
direzione che di fatto cambiò la politica
dell’ente, da sempre contraria al cartello
petrolifero internazionale. A sostegno di
questa scelta si disse che Mattei seguiva un
nuovo orientamento che lo avrebbe portato
ad accordarsi con gli americani. In verità,
proprio alla vigilia della sua morte, Mattei
stava per concludere l’accordo algerino,
evidentemente in aperto contrasto con le
compagnie petrolifere americane.

Il progetto venne portato avanti ancora per


un certo periodo ma poi, come racconta
Mario Pirani, le cose andarono
diversamente: «Con il benestare di Cefis si
cominciò a elaborare nell’ambito dell’Eni il
testo di un vero e proprio contratto
riguardante oltre all’accennato gasdotto
tripartito e alla costruzione degli impianti
connessi e di una raffineria, anche il rilascio
all’Eni di alcuni permessi di ricerca di
idrocarburi nel Sahara algerino. Da parte
loro, gli algerini si dichiararono interessati
ad acquisire una partecipazione nella
nostra rete commerciale di idrocarburi in
Italia. Questa prospettiva, però, non fu

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considerata con favore dall’Agip,


probabilmente dominata da una visione
angusta e contingente del problema … In
un primo tempo Cefis, essendo favorevole a
proseguire il discorso iniziato da Mattei, si
era recato ad Algeri per trattare con Ben
Bella e Cheysson. A seguito di questi
incontri, era venuto a Roma Guillomat per
approfondire in sede Eni il problema del
gas, prospettando anche l’allargamento
dell’intesa ad altri paesi. Si discusse pure la
proposta di effettuare in “joint venture”
ricerche petrolifere in Iraq. I francesi
tenevano molto ad ampliare i termini di
una collaborazione con l’Eni ma nel nostro
gruppo, particolarmente nell’ambito
dell’Agip, persisteva un forte pregiudizio
antifrancese e questa prospettiva era vista
con molta tiepidezza per non dire con
scarso favore».

Si arrivò dunque al cambio improvviso di


rotta che così descrive Pirani: «D’altra
parte, Cefis aveva evidentemente interesse
ad accordarsi con gli americani, con la Esso
in particolare. Così, dopo una prima fase in
cui sembrava che l’intesa per il gas algerino
su base tripartita andasse in porto, egli
annunciò all’improvviso di aver stipulato
un accordo con detta compagnia americana
(rappresentata in Italia da Vincenzo
Cazzaniga; n.d.a.) per l’acquisto di gas dalla
Libia, nullificando d’un colpo tutto il
delicato lavoro che avevamo fatto con gli
algerini e con gli stessi francesi. [Cefis
firmò a Madrid, nel febbraio del 1963, la
formalizzazione dell’accordo pluriennale
con la Esso concluso da Mattei a Roma
nell’estate del 1962 (n.d.a.)]. La reazione fu
durissima in Algeria e in tutto il Terzo
Mondo. Sui giornali uscirono articoli di

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fuoco nei quali si tacciava di “tradimento”


l’Eni che, dopo la morte di Mattei,
abbandonava l’Algeria e se l’intendeva con
gli americani. Molto del credito acquistato
dal nostro gruppo andò perduto non solo
per il fatto ma anche per il modo di questo
accordo con la Esso. Ne soffrì molto
l’immagine dell’Eni il cui comportamento
suonò come una porta sbattuta in faccia
non solo agli algerini ma anche ai francesi».
In merito alle ragioni adottate dall’Eni per
il mancato accordo algerino, lo stesso
Pirani così conclude, accennando a
improbabili motivazioni di mercato: «Cefis,
persona peraltro intelligentissima e uomo
d’affari di grande levatura, valutava la
situazione e misurava l’interesse dell’Eni
guardando al breve periodo: siccome il
greggio si poteva acquistare sul mercato
mondiale a un prezzo vantaggioso – mi
pare fosse, allora, di due dollari e venti cent
al barile – non ritenne conveniente
effettuare grossi investimenti in Algeria. La
stessa logica – o strategia che si voglia dire
– a un certo momento prevalse anche per
l’importazione del gas».

«Alcuni anni dopo, nel 1972», hanno scritto


Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani in
“Razza Padrona”, «venne fuori che
Cazzaniga e Cefis s’erano talmente invaghiti
l’uno dell’altro da diventare di fatto soci
mentre avrebbero dovuti essere
concorrenti. La cosa non piacque affatto ai
dirigenti della Standard Oil New Jersey, che
infatti mandarono a Roma uno stuolo di
revisori dei conti per mettere sotto
inchiesta le operazioni di Cazzaniga. Il
quale, per quello che se n’è saputo, ne uscì
con le ossa rotte». In merito, poi, alla
facilità con cui Cefis abbandonò la politica

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di Mattei, nel caso dell’accordo per il gas


algerino e più in generale dei rapporti
internazionale, Giorgio Galli, nel suo libro
“La Regia Occulta”, ha scritto: «L’Eni era
una “banda” formata da un solo uomo. E i
rapporti nell’ambito dell’Eni non erano
rapporti di gruppo. Erano rapporti
bilaterali col capo … Per questa ragione, era
possibile liquidare una politica liquidando
Mattei, soprattutto se il suo successore
conosceva adeguatamente la macchina
dell’organizzazione negli aspetti più delicati
e anche più oscuri …».
****

Preoccupato della politica delle


grandi compagnie petrolifere, Mattei
coltivava l’idea di un’alleanza di tipo
europeo fra le imprese statali del settore, in
sostanza fra l’Eni e le corrispondenti
strutture pubbliche francesi, tedesche ecc.
Si trattava di una strategia a largo raggio
che mirava ad acquisire una posizione di
forza che gli permettesse di avere un nuovo
rapporto con i tradizionali avversari. Ma
l’accordo fra l’Eni e le altre aziende
petrolifere statali europee, nonché l’intesa
con la Esso, preoccupavano gli inglesi per
gli aspetti commerciali e soprattutto per i
risvolti politici che ne sarebbero derivati
anche in relazione ai rapporti di forza
all’interno dell’Europa. Nel presentare
l’iniziativa per la costruzione di una rete di
oleodotti da Genova ad Aigle, in Svizzera, a
Ingolstadt, in Baviera, e a Stoccarda, nella
Germania meridionale, Mattei parlò di
«condizioni di sostanziale convenienza, ai
fini della competizione per il rifornimento
petrolifero del centro Europa». Affermò che
il sistema di oleodotti progettato, per uno

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sviluppo di circa 1100 chilometri e una


capacità annua di trasporto da 14 a 18
milioni di tonnellate di greggio e di olio
combustibile, avrebbe avvantaggiato
economicamente e in misura notevole
ciascuno degli utenti. Accennò, poi, alle
combinazioni finanziarie predisposte per la
realizzazione dell’opera, attraverso
l’apporto di capitali dei paesi attraversati.

Con la progettazione di un sistema di


oleodotti che portasse il petrolio
dall’Algeria all’Italia e all’Europa centrale,
si aprivano prospettive formidabili a cui
Mattei aveva già iniziato a lavorare per
coinvolgere la Francia di De Gaulle e la
Germania di Adenauer. Allora si credeva
che le maggiori riserve di petrolio si
trovassero in Algeria, e non in Libia. C’è
motivo di ritenere che Mattei puntasse su
due obiettivi di notevole importanza
politica e strategica. Il primo, mettere
assieme la modesta quantità di petrolio che
poteva trovare nel Sinai con il grosso
volume che prendeva in Russia e con
quello, si pensava elevatissimo, che poteva
trovare in Algeria, per raggiungere quei
70-80 milioni di tonnellate che, secondo la
legge della marginalità dei costi, avrebbero
messo in crisi i prezzi del cartello. Il
secondo, puntare a un’intesa con il
presidente americano, con cui si sarebbe
dovuto incontrare negli Stati Uniti,
probabilmente entro il 1962, per ottenere il
riconoscimento del ruolo internazionale che
spettava all’Eni. La convergenza di Stati
Uniti, Francia, Germania e Italia in una
prospettiva strategica di sviluppo
economico avrebbe isolato e sconfitto
definitivamente il centro del colonialismo,
istaurando un periodo di stabilità senza

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precedenti.

Era chiaro che l’attuazione di questi grossi


obiettivi rappresentava un pericolo che
minacciava in profondità il potere del
cartello internazionale del petrolio che
aveva a Londra, nella British Petroleum e
nella Royal Dutch Shell, il centro
decisionale e strategico. L’allora ministro
dell’Economia bavarese, Otto Schedl, che
trattò con Mattei per la costruzione
dell’oleodotto e della raffineria in Baviera,
ha dichiarato: «Eravamo d’accordo
soprattutto nella valutazione che in futuro
per l’economia di ciascun paese avrebbe
assunto enorme importanza il costo
dell’energia in generale e in particolare il
prezzo dei prodotti petroliferi. I petrolieri
erano preoccupati che con l’aiuto di Mattei
potessi riuscire nel mio scopo di far
giungere per la strada più breve il petrolio,
via Mediterraneo, dal vicino Medio
Oriente». Secondo la relazione tenuta da
Mattei all’assemblea dell’Anic del 1962, i 18
milioni di tonnellate di greggio trasportati
annualmente dall’oleodotto Genova-Aigle-
Ingolstadt-Stoccarda avrebbero dovuto
alimentare per 4 milioni la raffineria di
Sannazzaro de Burgundi, per due quella di
Aigle e per altri due un nuovo impianto da
costruirsi in Italia. I rimanenti dieci milioni
sarebbero stati utilizzati per alimentare
nuove raffinerie da costruire in Germania, a
Monaco di Baviera e Ingolstadt, in
associazione con la società tedesca
Sudpetrol. Il piano di Mattei per la
Germania, infine, contemplava la rapida
realizzazione di una rete di moderne
stazioni di servizio sotto il simbolo del
“cane a sei zampe”.

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Le apprensioni suscitate dal progetto


Centro Europa tra le società del cartello più
direttamente interessate alle strategie
dell’Eni si acuirono fortemente alla notizia
di un possibile nuovo fronte che Mattei
avrebbe aperto, a più lontana scadenza, non
appena l’oleodotto Genova-Inglostadt fosse
stato completato. A creare nuovi timori era
stato il progetto di un secondo tronco che
da Trieste trasportasse il greggio sempre
nella zona di Ingolstadt. La scelta della
località adriatica quale punto di partenza di
un nuovo oleodotto aveva messo in allarme
i capi delle grandi compagnie petrolifere
che fecero coincidere tale decisione con la
costruzione, allora in corso, del gigantesco
oleodotto sovietico Druzba, lungo oltre
quattromila chilometri, che avrebbe portato
nei paesi comunisti dell’Europa notevoli
quantitativi di petrolio proveniente dai
grandi giacimenti degli Urali e del Volga. Il
fatto che il ramo sud del Druzba si fermasse
a Szazhalombatta, in Ungheria, a poche
centinaia di chilometri dalla Venezia Giulia,
rendeva probabile un futuro allacciamento
di Trieste al terminale sud del grande
oleodotto sovietico. A rendere
straordinariamente possibile tale soluzione
era, secondo il cartello, la linea di condotta
di Mattei e, soprattutto, la decisione di
Mosca di far penetrare il proprio greggio
sui mercati occidentali attraverso
l’organizzazione integrata dell’azienda di
Stato italiana.

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