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Conoscenza

consapevolezza e comprensione di fatti,


verità o informazioni ottenute attraverso
l'esperienza o l'apprendimento

«Fatti non foste a viver come bruti,

ma per seguir virtute e canoscenza.»

(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno XXVI, 119-120)

La conoscenza è la consapevolezza e la comprensione di verità, fatti o informazioni ottenute


attraverso l'esperienza o l'apprendimento (a posteriori), ovvero tramite l'introspezione (a
priori).[1] La conoscenza è l'autocoscienza del possesso di informazioni connesse tra di loro,
le quali, prese singolarmente, hanno un valore e un'utilità inferiori.[2]
Lucas Cranach il Vecchio, Der Baum der Erkenntnis von Gut und Böse, quadro che rappresenta il mito biblico
dell'albero della conoscenza del bene e del male

Descrizione

Una biblioteca in Austria, luogo adibito alla raccolta del sapere

"Conoscenza" è un termine che può assumere significati diversi a seconda del contesto, ma
ha in qualche modo a che fare con i concetti di significato, informazione, istruzione,
comunicazione, rappresentazione, apprendimento e stimolo mentale.

La conoscenza è qualcosa di diverso dalla semplice informazione. Entrambe si nutrono di


affermazioni vere, ma la conoscenza è una particolare forma di sapere, dotata di una sua
utilità. Mentre l'informazione può esistere indipendentemente da chi la possa utilizzare, e
quindi può in qualche modo essere preservata su un qualche tipo di supporto (cartaceo,
informatico, ecc.), la conoscenza esiste solo in quanto c'è una mente in grado di possederla.
In effetti, quando si afferma di aver esplicitato una conoscenza, in realtà si stanno
preservando le informazioni che la compongono insieme alle correlazioni che intercorrono
fra di loro, ma la conoscenza vera e propria si ha solo in presenza di un utilizzatore che
ricolleghi tali informazioni alla propria esperienza personale. Fondamentalmente la
conoscenza esiste solo quando un'intelligenza possa essere in grado di utilizzarla.

In filosofia si descrive spesso la conoscenza come informazione associata all'intenzionalità.


Lo studio della conoscenza in filosofia è affidato all'epistemologia (che si interessa della
conoscenza come esperienza o scienza ed è quindi orientata ai metodi ed alle condizioni
della conoscenza) ed alla gnoseologia (che si ritrova nella tradizione filosofica classica e
riguarda i problemi a priori della conoscenza in senso universale).

Scetticismo, conoscenza ed emozioni

Ralph Waldo Emerson

Quando si risponde di no alla domanda se sia veramente possibile raggiungere la


conoscenza, o se sia mai possibile giustificare abbastanza le nostre convinzioni da poterle
chiamare "conoscenza", si approda allo scetticismo filosofico, a cui oggi aderiscono alcuni
scienziati e filosofi. Lo scetticismo filosofico è la prospettiva che indaga criticamente se la
conoscenza degli uomini sia rispondente al vero; i suoi seguaci sostengono che non è
possibile ottenere una conoscenza "vera", o quantomeno fondata, poiché la giustificazione
non è mai del tutto certa.[3] Questa posizione differisce dallo scetticismo scientifico, che è
invece la prospettiva per la quale non sarebbe possibile accettare la veridicità di
un'affermazione se non dopo averla controllata sperimentalmente.[4]

Ad ogni modo, la conoscenza è spesso vista anche come una sorta di antidoto
all'irrazionalità delle pulsioni ed emozioni umane. Come dice Ralph Waldo Emerson: «La
conoscenza è l'antidoto della paura; Conoscenza, Uso e Ragione, coi loro ausili più elevati. Il
bambino su una scala, o un graticolato, o in una vasca da bagno, o con un gatto, è in pericolo
quanto il soldato davanti al cannone o a un'imboscata. Ciascuno sormonta le paure non
appena comprende precisamente il pericolo e impara i mezzi di resistenza. Ciascuno è
soggetto al panico, che è, esattamente, il terrore dell'ignoranza arresa all'immaginazione».[5]

Distinzione tra conoscere la cosa e conoscere il come

Lo stesso argomento in dettaglio: Know-how.

Facciamo un esempio. Quando una persona, Mimma, dice: «Il modo di nuotare più veloce è lo
stile libero: si tratta di agitare le gambe a turno, muovendo al contempo le braccia più o meno in
circolo attorno alla spalla», ella dispone di una conoscenza proposizionale del nuoto e del
come nuotare in stile libero.

Quando Mimma acquisisce questa conoscenza proposizionale tramite un'enciclopedia, non


acquisisce al contempo la capacità di nuotare: ella dispone, certo, di una conoscenza
proposizionale, ma non di quella procedurale, ovvero del cosiddetto know-how. In generale,
mentre è facile mettere in pratica un certo know-how (basta eseguire le operazioni in
questione), non è altrettanto facile dimostrare la validità di una conoscenza meramente
proposizionale.[6] In questo caso si tratta di quella forma di conoscenza tacita indagata da
Michael Polanyi.

La conoscenza quindi non è solo la capacità di interpretare messaggi sensoriali provenienti


dal mondo esterno, saper immaginare, inventare, risolvere problemi ma è anche la capacità di
intraprendere una certa azione oppure, a seconda delle esigenze, di non intraprenderla. Nel
caso di Mimma, sopra riportato, ella, dopo essere saltata nella piscina, comincerà a nuotare
nel modo che le è noto (il che le consentirà di non affogare). Viceversa, saltare in una piscina
avendo letto qualcosa sul nuoto, ma senza conoscere realmente il metodo, può essere fatale.

Differenze tra conoscenza inferenziale e conoscenza fattuale

La conoscenza viene anche distinta in fattuale o inferenziale. La prima si basa


sull'osservazione diretta; non è esente da una certa dose di incertezza, a causa dei possibili
errori di osservazione e di interpretazione, oltre che dalla possibilità che i sensi possano
essere ingannati da una illusione.

La conoscenza inferenziale è invece basata sul ragionamento a partire non da un'esperienza


ma da un fatto acquisito, o da un'ulteriore conoscenza inferenziale, quale ad esempio una
teoria. Una tale conoscenza può essere o meno verificabile tramite l'osservazione o
l'esperimento. Per esempio, tutta la conoscenza relativa all'atomo è di tipo inferenziale. La
distinzione tra conoscenza fattuale ed inferenziale è studiata dalla semantica generale.[7]

Attraverso l'esperienza, l'osservazione e l'inferenza, gli individui e le culture ottengono una


conoscenza sempre maggiore. Il modo in cui questa conoscenza si diffonde dagli uni agli
altri è esaminata dalla "teoria antropologica della diffusione". Questa esplora i fattori che
portano gli uomini a divenire consapevoli, esperti, e ad adottare idee e pratiche nuove.

In proposito, alcuni studiosi mettono in rilievo come si abbia conoscenza solo grazie alla
memoria, ad esempio Gustav Meyrink.

Forme di conoscenza

Nella disciplina chiamata "gestione della conoscenza", o Knowledge Management, si


distinguono vari tipi di conoscenza: quella tacita, quella esplicita e quella incorporata.[8]

Conoscenza esplicita

È quella forma di conoscenza che può in qualche modo essere rappresentata, o meglio, che
può essere trasferita da un individuo ad altri tramite un supporto fisico, quale può essere un
libro o un filmato, o direttamente, attraverso una conversazione o una lezione. Un
documentario, un manuale, un corso, un’enciclopedia, sono tutti contenitori di conoscenza
esplicita.[9]

Conoscenza tacita

È quella forma di conoscenza che ci è più propria, ovvero ciò che sappiamo, anche se a volte
non siamo capaci di esplicitarlo. Non tutta la conoscenza tacita è in effetti esplicitabile, e
quando lo è, non è detto che lo possa essere completamente. Il «saper fare» qualcosa è
conoscenza tacita, così come lo è quella particolare forma di conoscenza al quale diamo il
nome di «intuizione», e che altro non è che la capacità di utilizzare in modo inconscio la
propria esperienza per risolvere in modo apparentemente magico e inspiegabile problemi
anche molto complessi.[10]

La maggior parte della conoscenza di un individuo o di un gruppo di individui è tacita e non


può essere esplicitata in toto o in parte. In un sistema di conoscenza, quindi, gli esseri umani
non sono semplici utenti, ma parte integrante del sistema.

Conoscenza incorporata
È quella forma di conoscenza che, pur esplicitata, non lo è in forma immediatamente
riutilizzabile, ma richiede a sua volta conoscenza per essere estratta. Ad esempio, un
processo nasce dalla formalizzazione di un'esperienza, ma pur essendo consapevoli di quali
siano i passi per eseguirlo, si può ignorare il perché debbano essere eseguiti in quella
determinata maniera. Solo chi ha una certa esperienza può comprendere perché quel
processo è stato definito in quel modo. Un oggetto può avere la conoscenza incorporata
nell'ergonomia del design, oppure nella realizzazione delle sue funzionalità.[11]

L'esempio del libro

Un libro è un contenitore di tutti e tre i tipi di conoscenza: quella esplicita è nel contenuto, in
ciò che dice; quella incorporata è nello stile di scrittura, o nel modo in cui il libro è stato
realizzato, non solo come testo, ma come oggetto fisico (rilegatura); quella tacita è in tutto
ciò che non è stato scritto, ovvero nel lavoro preparatorio che solo l'autore del testo potrebbe
cercare di raccontare, nelle scelte fatte e nella capacità stessa di averlo scritto.

La conoscenza in filosofia e il problema della


giustificazione

Democrito e Protagora

Lo stesso argomento in dettaglio: Gnoseologia ed Epistemologia.

Una diffusa definizione di conoscenza la vuole come "teoria della giustificazione" della verità
delle convinzioni. Questa definizione, che deriva dal dialogo platonico Teeteto, pone in primo
piano l'importanza delle condizioni necessarie, anche se non sufficienti, affinché
un'affermazione possa rientrare nella conoscenza.
Non esiste un accordo universale su ciò che costituisce la conoscenza, la certezza e la
verità. Si tratta di questioni ancora dibattute dai filosofi, dagli studiosi di scienze sociali e
dagli storici.[12] Ludwig Wittgenstein ha scritto un trattato (Della certezza) che indaga appunto
le relazioni tra la conoscenza e la certezza. Un ramo di questa indagine è successivamente
diventato un'intera branca, la "filosofia dell'azione".

Il problema principale indagato dai filosofi è il seguente: come avere la certezza che le nostre
convinzioni costituiscono effettivamente una "conoscenza"? Quand'è che si ha vera
conoscenza?

Sia la certezza che l'evidenza sono caratteristiche epistemiche appartenenti nient'altro che
alla convinzione stessa. In altre parole, esse non affermano altro che la convinzione è vera. È
dunque necessario ricorrere ad altre caratteristiche epistemiche, come la razionalità o il
criterio logico, per avere garanzia che una certa conoscenza sia giustificata, cioè corrisponda
al vero: questa non dev'essere arbitraria, né casuale né irrazionale. Aristotele, ad esempio,
giudicava erroneo il detto di Protagora secondo cui «l'uomo è misura di tutte le cose», proprio
perché contraddittorio:[13] se fosse vero ciò che ad ogni uomo appare certo, la conoscenza
verrebbe svuotata del suo significato razionale; conoscere significherebbe soltanto
"percepire" o "sentire", indipendentemente da ogni criterio oggettivo.

Si può notare come il problema della divergenza tra soggettività e oggettività, tra verità e
certezza, che al giorno d'oggi è affrontato dettagliatamente dalla "teoria della giustificazione",
vertesse sin da allora sulla contrapposizione tra sensi e intelletto, o tra verità e opinione. Si
tratta di un problema col quale si sono cimentati dapprima gli antichi greci e poi i filosofi a
loro successivi.

La contrapposizione tra sensi e intelletto

Parmenide
A grandi linee, nella storia della filosofia occidentale si sono spesso contrapposte (e a volte
sovrapposte) due linee di pensiero: coloro che considerano la conoscenza un prodotto della
mente e dell'indagine introspettiva, e coloro invece secondo cui la conoscenza deriva
unicamente dai sensi, cioè dall'esterno.

Connessa a tale questione è se la conoscenza sia il risultato di meccanismi automatici, o se


invece dipenda da un atto creativo del soggetto, che coinvolga in qualche modo la sua
libertà.

Tra i primi a contrapporre la conoscenza intellettiva a quella sensoriale fu Pitagora, che


faceva del numero e della sapienza matematica l'oggetto principale del conoscere. Da
questa contrapposizione scaturì il carattere nascosto della conoscenza, che si riteneva
riservata a una cerchia ristretta di iniziati, i soli capaci di comprendere la natura intellettiva
della realtà.

In seguito anche la scuola eleatica, in particolare Parmenide, svalutò la conoscenza


sensoriale, affermando l'importanza di un sapere dedotto esclusivamente dalla ragione. Un
tale sapere però risultava poco accessibile ai più, perché non oggettivabile: dell'Essere infatti
si può dire soltanto che esso è, e nient'altro.

Ai pitagorici e agli eleati si contrapposero le teorie atomiste dei seguaci di Democrito,


secondo il quale la conoscenza è il frutto di processi meccanici, cioè della combinazione
degli atomi che colpendo i nostri organi di senso producono in noi l'apprendimento.

Socrate

Socrate

Con Socrate la conoscenza acquista una valenza etica, venendo d'ora in poi ricondotta
essenzialmente al primato della riflessione individuale. Per Socrate infatti ogni conoscenza è
vana se non è ricondotta alla propria autocoscienza, a quella voce dell'anima dotata di
consapevolezza, in grado di esaminare criticamente e smascherare il falso sapere dei sofisti,
le nozioni "irriflesse" di coloro che si credono sapienti ma in realtà non lo sono. La vera
sapienza nasce dunque dal conoscere se stessi; una tale conoscenza però non è insegnabile,
né trasmissibile a parole, perché non è una tecnica. Il maestro può solo aiutare l'allievo a
partorirla da sé.[14]

Platone e i neoplatonici

Platone

Platone seguì gli insegnamenti di Pitagora, Parmenide, e Socrate, tuttavia rivalutando in parte
l'esperienza sensibile. I sensi infatti, secondo Platone, servono a risvegliare in noi il ricordo
delle idee, ossia di quelle forme universali con cui è stato plasmato il mondo e che ci
permettono di conoscerlo. Conoscere significa dunque ricordare: la conoscenza è un
processo di reminiscenza di un sapere che giace già all'interno della nostra anima, ed è
perciò "innato". L'innatismo della conoscenza è ciò che più contraddistingue il platonismo
dall'empirismo.

Con Platone la conoscenza resta un'esperienza dal valore essenzialmente etico, poiché
riguarda la decisione dell'anima di accostarsi alla visione eidetica del Bene risvegliandone in
sé il ricordo.

Presso il neoplatonismo verrà mantenuta l'idea che la vera conoscenza non è quella che
deriva dall'esperienza, come crede il senso comune, ma nasce da una superiore attività
intellettiva che ha come oggetto le idee spirituali. La conoscenza è pertanto qualcosa di
"nascosto" ai più, che si lasciano abbagliare dagli inganni dei sensi. Questa concezione sarà
fatta propria anche da varie correnti neopitagoriche, gnostiche, esoteriche, e magiche, che
approderanno alla filosofia rinascimentale. Secondo Giordano Bruno bisogna nascondere la
conoscenza alla plebe perché questa non la potrà mai capire, ed è persino rischioso
elargirgliela.

L'aristotelismo

Aristotele

Rispetto a Platone, Aristotele aveva ulteriormente rivalutato l'esperienza sensibile, ma come il


suo predecessore aveva mantenuto fermo il presupposto secondo cui la conoscenza nasce
anzitutto dal soggetto.[15] Una conoscenza che si limiti a recepire le impressioni dei sensi,
infatti, è passiva; perché vi sia vera conoscenza occorre che l'intelletto umano svolga un
ruolo attivo che gli consenta di andare oltre le particolarità transitorie degli oggetti e di
coglierne l'essenza in atto. Il passaggio all'intelletto attivo implica che questo sia capace di
pensare se stesso, cioè sia dotato di consapevolezza e libertà, che è la caratteristica
fondamentale che distingue l'uomo dagli altri animali.

Aristotele distinse così vari gradi del conoscere: al livello più basso c'è la sensazione, che ha
per oggetto entità particolari, mentre a quello più alto c'è l'intuizione intellettuale, capace di
"astrarre" l'universale dalle realtà empiriche.[16] Conoscere significa dunque astrarre.

Aristotele fu anche il padre della logica formale, che egli teorizzò nella forma deduttiva del
sillogismo. Va precisato però che l'intuizione restava per lui superiore anche a quest'ultimo,
perché in grado di fornire quei princìpi di partenza da cui il sillogismo trarrà soltanto delle
conclusioni coerenti con le premesse. Essa si trova dunque al vertice della conoscenza,
culminando alla fine in un'esperienza contemplativa, tipica di un sapere fine a sé stesso, che
per Aristotele rappresentava l'essenza della saggezza.[17] Ritorna così anche in lui il valore
etico della conoscenza.

L'empirismo anglo-sassone
John Locke

I capisaldi del processo conoscitivo, così com'erano stati enunciati da Aristotele, rimasero
invariati per tutto il Medioevo, ribaditi e valorizzati in particolare da Tommaso d'Aquino. Fu
agli inizi dell'età moderna che in Inghilterra iniziò a prodursi una corrente filosofica secondo
cui, invece, la conoscenza deriva unicamente dall'esperienza sensibile. I principali esponenti
di questa corrente, che ebbe come precursori Francesco Bacone e Thomas Hobbes, furono
John Locke, George Berkeley e David Hume. I princìpi a cui essi intendevano ricondurre ogni
forma di conoscenza umana erano essenzialmente due:[18]

La verificabilità, secondo cui ha senso conoscere soltanto ciò che è verificabile


sperimentalmente; ciò che non è verificabile non esiste o non ha valore oggettivo.

Il meccanicismo, in base al quale ogni fenomeno (compresa la conoscenza umana)


avviene secondo leggi meccaniche di causa-effetto.

Quest'ultimo punto fu fatto proprio soprattutto da Hobbes, e si connette alla convinzione


degli empiristi per cui la mente umana è una tabula rasa al momento della nascita, cioè priva
di idee innate. Dopo la nascita, le impressioni dei sensi prenderebbero ad agire
meccanicamente sulla nostra mente, plasmandola e facendo sorgere in essa dei concetti.

Leibniz e Kant
Kant

L'empirismo così espresso venne criticato dapprima da Leibniz, il quale riaffermò che la
conoscenza non è un mero processo meccanico: in noi sono già presenti dei concetti latenti,
che l'esperienza può risvegliare, ma non creare dal nulla.[19] Leibniz si espresse così a favore
dell'innatismo delle idee, ma contestò anche Cartesio, secondo cui esistevano solo quelle
idee di cui si ha una conoscenza chiara e oggettiva, deducibili a priori dalla ragione: per
Leibniz, invece, esistono anche pensieri di cui non si ha coscienza, e che agiscono a un livello
inconscio. Ci sono cioè varie gradazioni della conoscenza, da quella più oscura fino a quella
più distinta, che è l'"appercezione" di me o autocoscienza.[20]

In seguito anche Kant criticò l'empirismo, e affermò che la conoscenza è un processo


essenzialmente critico, in cui la mente umana svolge un ruolo fortemente attivo. Operando
una sorta di rivoluzione copernicana del pensiero, Kant mise in rilievo come le leggi
scientifiche con cui conosciamo il mondo siano modellate dalla nostra mente anziché essere
ricavate induttivamente dall'esperienza. La vera conoscenza si ha per Kant quando
formuliamo i cosiddetti giudizi "sintetici a priori": questi sono da un lato a priori, perché
nascono dall'attività delle nostre categorie mentali; dall'altro però tali categorie si attivano
solo quando ricevono dati empirici da trattare, ottenuti passivamente dai sensi. In tal modo
egli ritenne di poter conciliare empirismo e razionalismo.

Al vertice della conoscenza si trova l'io penso, un'attività suprema che ha la capacità di
connettere in maniera critica e consapevole le informazioni provenienti dal mondo esterno.
La conoscenza non è dunque una semplice raccolta di nozioni, ma significa "collegare".[21] Ne
deriva che la riflessione critica basata sulla propria autocoscienza è per Kant l'unico
presupposto di una conoscenza valida.[22]

Karl Popper

Karl Popper
Karl Popper, ricollegandosi alla tradizione aristotelica e kantiana, sostenne che la
conoscenza è un processo esclusivamente deduttivo, comune sia agli uomini che agli
animali, e che esso si basa sul metodo dei tentativi e della confutazione. L'apprendimento
non deriva dall'osservazione induttiva della realtà, bensì dalla nostra immaginazione creativa,
cioè da anticipazioni ingiustificate della realtà stessa (le congetture) che di volta in volta noi
mettiamo alla prova. La vera conoscenza deve essere dunque falsificabile, formulata cioè in
modo tale che la sua sottomissione ad un esperimento possa eventualmente attestarne la
falsità.[23]

Conoscenza ed esoterismo

Nelle correnti più recenti dell'esoterismo si rileva come nell'epoca attuale, contraddistinta da
un approccio individualistico-sperimentale, la conoscenza umana sia maggiormente
orientata ad avvalersi del metodo induttivo, mentre nell'età antica e medievale prediligeva
quello deduttivo.[24] Questi due procedimenti conoscitivi, contrapposti ma complementari,
riproducono la dinamica intercorrente a livello cosmico tra particolare e universale,
percezione e concetto, discesa nella materia e risalita allo spirito, come riflesso di una
creazione strutturata gerarchicamente in cui vigono relazioni di analogia, cioè rapporti di
similitudine o metaforici, tra le sue parti.[25] I filosofi ermetici, in particolare, vedevano
nell'analogia lo strumento principe per arrivare a conoscere in chiave unitaria gli aspetti
molteplici della natura, essendo questa basata sull'occulta corrispondenza tra macrocosmo
e microcosmo, secondo il loro celebre motto «come in alto così in basso».[26]

La tendenza dell'epoca attuale, ribadisce Steiner, è di basarsi quasi esclusivamente sui fatti
empirici trascurando la portata oggettiva delle idee, le quali non sono qualcosa di astratto,
ma sono costitutive della realtà stessa, modelli spirituali che si sono condensati nei
fenomeni sensibili.

«Quando l'uomo si forma un pensiero sulle cose, la sua interiorità si volge dalla forma
fisica all'archetipo spirituale delle cose stesse. Il comprendere una data cosa mediante il
pensiero è un processo che possiamo paragonare a quello mediante il quale un corpo
solido viene dapprima liquefatto nel fuoco, affinché il chimico possa poi studiarlo nella
sua forma liquida.»

(Rudolf Steiner, Teosofia. Un'introduzione alla conoscenza sovrasensibile del mondo e del
destino dell'uomo (1918)[27])

Note
1. ^ L'etimologia deriva dalla particella latina cum + il vocabolo greco antico gnòsis (cfr.
dizionario etimologico (http://www.etimo.it/?term=conoscere&find=Cerca) ). Termini
arcaici sono cognoscenzia, canoscenza, cognoscenza (cfr. dizionario italiano (http://www.
sapere.it/sapere/dizionari/dizionari/Italiano/C/CO/conoscenza.html?q_search=conosce
nza) ).

2. ^ Diceva in proposito Aristotele che «il tutto è maggiore della somma delle parti».

3. ^ Le prime connotazioni dello scetticismo filosofico, così inteso, si sono avute col
pirronismo antico (cfr. Giovanni Reale, Il dubbio di Pirrone. Ipotesi sullo scetticismo, Il
Prato, Padova 2009).

4. ^ Tra gli esponenti dello scetticismo scientifico si trova Carl Sagan, autore de Il mondo
infestato dai demoni, trad. it., Baldini & Castoldi, Milano 1997.

5. ^ R. W. Emerson, tratto da Coraggio, in Society and Solitude, 1870.

6. ^ Gilbert Ryle, The Concept of Mind, 1949.

7. ^ Sulla differenza tra conoscenza fattuale e inferenziale, cfr. ad esempio Giulio Preti, Praxis
ed empirismo (1957), Mondadori, 2007, pag. 125. Cfr. anche Nicla Vassallo, Teoria della
conoscenza, op. cit. in bibliografia.

8. ^ A. Riviezzo, M. R. Napolitano, G. Maggiore, Acquisizioni nei settori ad alta intensità di


conoscenza, pp. 24-25, FrancoAngeli, 2011.

9. ^ Sulla differenza tra conoscenza esplicita e tacita, cfr. D. Campisi e G. Passiante,


Fondamenti di knowledge management: conoscenza e vantaggio competitivo (http://www.
aracneeditrice.it/pdf/9788854813373.pdf) , pagg. 17, 33-34, Aracne, 2007.

10. ^ Michael Polanyi, The tacit dimension, 1966 (trad. it. La conoscenza inespressa, Armando,
Roma 1979).

11. ^ Ikujiro Nonaka utilizza il termine giapponese «Ba» per definire lo spazio o il contesto
condiviso in cui la conoscenza è incorporata (cfr. Modelli teorici di organization learning (h
ttp://www.diegm.uniud.it/detoni/download/didattica/CGCon/2-ModOrg.pdf) Archiviato
(https://web.archive.org/web/20150202174235/http://www.diegm.uniud.it/detoni/downlo
ad/didattica/CGCon/2-ModOrg.pdf) il 2 febbraio 2015 in Internet Archive., pag. 11, a cura
di Alberto F. De Toni, 2007).

12. ^ Conoscenza culturale e storica (http://www.ub.edu/histofilosofia/gmayos/5presentaci


o.htm) Archiviato (https://web.archive.org/web/20120104175223/http://www.ub.edu/his
tofilosofia/gmayos/5presentacio.htm) il 4 gennaio 2012 in Internet Archive. di G. Mayos.

13. ^ Aristotele, Metafisica, 1062 b 14


14. ^ Reale, Il pensiero antico (http://books.google.it/books?id=Y9nYrAAtVcEC&printsec=front
cover&source=gbs_navlinks_s#v=onepage&q=&f=false) , pag. 83, Vita e Pensiero, 2001.

15. ^ Pur rinnegando l'innatismo di Platone, Aristotele afferma che «la sensazione in atto ha
per oggetto cose particolari, mentre la scienza ha per oggetto gli universali e questi sono,
in certo senso, nell'anima stessa» (Sull'anima II, V, 417b).

16. ^ Di seguito alcuni passi da cui emerge come i princìpi primi su cui Aristotele intende
fondare la conoscenza non sono ricavabili dall'esperienza, né da un ragionamento
dimostrativo; l'induzione originata dai sensi non ha per lui alcun carattere di universalità:

«[...] principio di tutto è l'essenza: dall'essenza, infatti, partono i sillogismi»

(Aristotele - Metafisica VII, 9, 1034a, 30-31)

«Colui che definisce, allora, come potrà dunque provare [...] l'essenza? [...] non si può
dire che il definire qualcosa consista nello sviluppare un'induzione attraverso i singoli
casi manifesti, stabilendo cioè che l'oggetto nella sua totalità deve comportarsi in un
certo modo [...] Chi sviluppa un'induzione, infatti, non prova cos'è un oggetto, ma
mostra che esso è, oppure che non è. In realtà, non si proverà certo l'essenza con la
sensazione, né la si mostrerà con un dito [...] oltre a ciò, pare che l'essenza di un
oggetto non possa venir conosciuta né mediante un'espressione definitoria, né
mediante dimostrazione»

(Aristotele - Analitici secondi II, 7, 92a-92b)

17. ^ Articolo di Paolo Scroccaro (http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=173


2) , Arianna editrice, 2006

18. ^ Abbagnano, Storia della filosofia, vol. 2, UTET, 2005.

19. ^ «Il nostro egregio autore [J. Locke] sembra invece affermare che in noi non c'è nulla di
virtuale e di cui non abbiamo sempre un'appercezione attuale. Ma egli non può sostenere
ciò fino in fondo, perché altrimenti la sua opinione sarebbe troppo paradossale, in quanto
le abitudini acquisite e gli stessi contenuti della nostra memoria non sono sempre
appercepiti e non vengono sempre in nostro soccorso quando ne abbiamo bisogno,
benché spesso noi li ricollochiamo agevolmente nello spirito quando una pur leggera
occasione ce li faccia ricordare, come il semplice inizio ci fa ricordare tutta una canzone»
(G. W. Leibniz, Nuovi saggi sull'intelletto umano, prefazione, in Scritti filosofici, vol. II, UTET,
Torino, 1967, pagg. 171-172).

20. ^ Leibniz, Monadologia, in Scritti filosofici, a cura di D. O. Bianca, UTET, Torino, 1967.
21. ^ «[Per conoscere la realtà delle cose] occorre non già la coscienza immediata dell'oggetto
stesso, la cui esistenza si vuole conoscere, ma la coscienza del collegamento tra l'oggetto
e una qualche percezione reale, in base alle analogie dell'esperienza, che espongono ogni
connessione reale in un'esperienza in generale» (Kant, Critica della ragione pura, Berlino,
1904: 289 sgg., trad. it. di Giorgio Colli, Torino 1957). «Se noi indaghiamo quale nuova
natura sia data alle nostre rappresentazioni dal riferimento ad un oggetto, e quale sia la
dignità che esse ricevono con ciò, troviamo allora che questo riferimento consiste soltanto
nel rendere necessaria la congiunzione delle rappresentazioni in un determinato modo»
(Kant, 1904: 269, ibidem).

22. ^ Kant, Critica della ragion pura, ed. a cura di P. Chiodi, UTET, 2005.

23. ^ Intervista a Karl Popper sul metodo ipotetico deduttivo (https://web.archive.org/web/20


111011102655/http://www.emsf.rai.it/scripts/interviste.asp?d=78#) , su emsf.rai.it.
URL consultato il 22 febbraio 2009 (archiviato dall'url originale l'11 ottobre 2011).

24. ^ Rudolf Steiner, La filosofia della libertà (1894), pag. 39, trad. it. di Ugo Tommasini, Milano,
Fratelli Bocca Editori, 1946 (http://commoningtimes.org/texts/rs_la_filosofia_della_libert
a.pdf) . Cfr. analisi in Moto pendolare vivente (http://www.ospi.it/ospi/libro/incontro_2
2.doc) Archiviato (https://web.archive.org/web/20130108202608/http://www.ospi.it/osp
i/libro/incontro_22.doc) l'8 gennaio 2013 in Internet Archive., e Induzione e deduzione (ht
tp://www.ospi.it/ospi/Tutti%20gli%20articoli/Induzione%20e%20deduzione.doc)
Archiviato (https://web.archive.org/web/20060510013625/http://www.ospi.it/ospi/Tutti%2
0gli%20articoli/Induzione%20e%20deduzione.doc) il 10 maggio 2006 in Internet Archive..

25. ^ "Analogia" in dizionario di filosofia Treccani (http://www.treccani.it/enciclopedia/analogia


_(Dizionario-di-filosofia)/) .

26. ^ Testo inciso sulla Tavola di smeraldo attribuita ad Ermete Trismegisto.

27. ^ Trad. it. di Emmelina de Renzis, Milano, Carlo Aliprandi editore, 1922 (http://media.liberac
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Voci correlate

Albero della conoscenza del bene e del male

Conoscenza accidentale

Economia della conoscenza

Epistemologia

Ermeneutica

Far uscire il genio dalla bottiglia

Gnoseologia

Knowledge management
Ignoranza

Informazione

Problema di Gettier

Saggezza

Verità

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Collegamenti esterni

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