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Descrizione
"Conoscenza" è un termine che può assumere significati diversi a seconda del contesto, ma
ha in qualche modo a che fare con i concetti di significato, informazione, istruzione,
comunicazione, rappresentazione, apprendimento e stimolo mentale.
Ad ogni modo, la conoscenza è spesso vista anche come una sorta di antidoto
all'irrazionalità delle pulsioni ed emozioni umane. Come dice Ralph Waldo Emerson: «La
conoscenza è l'antidoto della paura; Conoscenza, Uso e Ragione, coi loro ausili più elevati. Il
bambino su una scala, o un graticolato, o in una vasca da bagno, o con un gatto, è in pericolo
quanto il soldato davanti al cannone o a un'imboscata. Ciascuno sormonta le paure non
appena comprende precisamente il pericolo e impara i mezzi di resistenza. Ciascuno è
soggetto al panico, che è, esattamente, il terrore dell'ignoranza arresa all'immaginazione».[5]
Facciamo un esempio. Quando una persona, Mimma, dice: «Il modo di nuotare più veloce è lo
stile libero: si tratta di agitare le gambe a turno, muovendo al contempo le braccia più o meno in
circolo attorno alla spalla», ella dispone di una conoscenza proposizionale del nuoto e del
come nuotare in stile libero.
In proposito, alcuni studiosi mettono in rilievo come si abbia conoscenza solo grazie alla
memoria, ad esempio Gustav Meyrink.
Forme di conoscenza
Conoscenza esplicita
È quella forma di conoscenza che può in qualche modo essere rappresentata, o meglio, che
può essere trasferita da un individuo ad altri tramite un supporto fisico, quale può essere un
libro o un filmato, o direttamente, attraverso una conversazione o una lezione. Un
documentario, un manuale, un corso, un’enciclopedia, sono tutti contenitori di conoscenza
esplicita.[9]
Conoscenza tacita
È quella forma di conoscenza che ci è più propria, ovvero ciò che sappiamo, anche se a volte
non siamo capaci di esplicitarlo. Non tutta la conoscenza tacita è in effetti esplicitabile, e
quando lo è, non è detto che lo possa essere completamente. Il «saper fare» qualcosa è
conoscenza tacita, così come lo è quella particolare forma di conoscenza al quale diamo il
nome di «intuizione», e che altro non è che la capacità di utilizzare in modo inconscio la
propria esperienza per risolvere in modo apparentemente magico e inspiegabile problemi
anche molto complessi.[10]
Conoscenza incorporata
È quella forma di conoscenza che, pur esplicitata, non lo è in forma immediatamente
riutilizzabile, ma richiede a sua volta conoscenza per essere estratta. Ad esempio, un
processo nasce dalla formalizzazione di un'esperienza, ma pur essendo consapevoli di quali
siano i passi per eseguirlo, si può ignorare il perché debbano essere eseguiti in quella
determinata maniera. Solo chi ha una certa esperienza può comprendere perché quel
processo è stato definito in quel modo. Un oggetto può avere la conoscenza incorporata
nell'ergonomia del design, oppure nella realizzazione delle sue funzionalità.[11]
Un libro è un contenitore di tutti e tre i tipi di conoscenza: quella esplicita è nel contenuto, in
ciò che dice; quella incorporata è nello stile di scrittura, o nel modo in cui il libro è stato
realizzato, non solo come testo, ma come oggetto fisico (rilegatura); quella tacita è in tutto
ciò che non è stato scritto, ovvero nel lavoro preparatorio che solo l'autore del testo potrebbe
cercare di raccontare, nelle scelte fatte e nella capacità stessa di averlo scritto.
Democrito e Protagora
Una diffusa definizione di conoscenza la vuole come "teoria della giustificazione" della verità
delle convinzioni. Questa definizione, che deriva dal dialogo platonico Teeteto, pone in primo
piano l'importanza delle condizioni necessarie, anche se non sufficienti, affinché
un'affermazione possa rientrare nella conoscenza.
Non esiste un accordo universale su ciò che costituisce la conoscenza, la certezza e la
verità. Si tratta di questioni ancora dibattute dai filosofi, dagli studiosi di scienze sociali e
dagli storici.[12] Ludwig Wittgenstein ha scritto un trattato (Della certezza) che indaga appunto
le relazioni tra la conoscenza e la certezza. Un ramo di questa indagine è successivamente
diventato un'intera branca, la "filosofia dell'azione".
Il problema principale indagato dai filosofi è il seguente: come avere la certezza che le nostre
convinzioni costituiscono effettivamente una "conoscenza"? Quand'è che si ha vera
conoscenza?
Sia la certezza che l'evidenza sono caratteristiche epistemiche appartenenti nient'altro che
alla convinzione stessa. In altre parole, esse non affermano altro che la convinzione è vera. È
dunque necessario ricorrere ad altre caratteristiche epistemiche, come la razionalità o il
criterio logico, per avere garanzia che una certa conoscenza sia giustificata, cioè corrisponda
al vero: questa non dev'essere arbitraria, né casuale né irrazionale. Aristotele, ad esempio,
giudicava erroneo il detto di Protagora secondo cui «l'uomo è misura di tutte le cose», proprio
perché contraddittorio:[13] se fosse vero ciò che ad ogni uomo appare certo, la conoscenza
verrebbe svuotata del suo significato razionale; conoscere significherebbe soltanto
"percepire" o "sentire", indipendentemente da ogni criterio oggettivo.
Si può notare come il problema della divergenza tra soggettività e oggettività, tra verità e
certezza, che al giorno d'oggi è affrontato dettagliatamente dalla "teoria della giustificazione",
vertesse sin da allora sulla contrapposizione tra sensi e intelletto, o tra verità e opinione. Si
tratta di un problema col quale si sono cimentati dapprima gli antichi greci e poi i filosofi a
loro successivi.
Parmenide
A grandi linee, nella storia della filosofia occidentale si sono spesso contrapposte (e a volte
sovrapposte) due linee di pensiero: coloro che considerano la conoscenza un prodotto della
mente e dell'indagine introspettiva, e coloro invece secondo cui la conoscenza deriva
unicamente dai sensi, cioè dall'esterno.
Socrate
Socrate
Con Socrate la conoscenza acquista una valenza etica, venendo d'ora in poi ricondotta
essenzialmente al primato della riflessione individuale. Per Socrate infatti ogni conoscenza è
vana se non è ricondotta alla propria autocoscienza, a quella voce dell'anima dotata di
consapevolezza, in grado di esaminare criticamente e smascherare il falso sapere dei sofisti,
le nozioni "irriflesse" di coloro che si credono sapienti ma in realtà non lo sono. La vera
sapienza nasce dunque dal conoscere se stessi; una tale conoscenza però non è insegnabile,
né trasmissibile a parole, perché non è una tecnica. Il maestro può solo aiutare l'allievo a
partorirla da sé.[14]
Platone e i neoplatonici
Platone
Platone seguì gli insegnamenti di Pitagora, Parmenide, e Socrate, tuttavia rivalutando in parte
l'esperienza sensibile. I sensi infatti, secondo Platone, servono a risvegliare in noi il ricordo
delle idee, ossia di quelle forme universali con cui è stato plasmato il mondo e che ci
permettono di conoscerlo. Conoscere significa dunque ricordare: la conoscenza è un
processo di reminiscenza di un sapere che giace già all'interno della nostra anima, ed è
perciò "innato". L'innatismo della conoscenza è ciò che più contraddistingue il platonismo
dall'empirismo.
Con Platone la conoscenza resta un'esperienza dal valore essenzialmente etico, poiché
riguarda la decisione dell'anima di accostarsi alla visione eidetica del Bene risvegliandone in
sé il ricordo.
Presso il neoplatonismo verrà mantenuta l'idea che la vera conoscenza non è quella che
deriva dall'esperienza, come crede il senso comune, ma nasce da una superiore attività
intellettiva che ha come oggetto le idee spirituali. La conoscenza è pertanto qualcosa di
"nascosto" ai più, che si lasciano abbagliare dagli inganni dei sensi. Questa concezione sarà
fatta propria anche da varie correnti neopitagoriche, gnostiche, esoteriche, e magiche, che
approderanno alla filosofia rinascimentale. Secondo Giordano Bruno bisogna nascondere la
conoscenza alla plebe perché questa non la potrà mai capire, ed è persino rischioso
elargirgliela.
L'aristotelismo
Aristotele
Aristotele distinse così vari gradi del conoscere: al livello più basso c'è la sensazione, che ha
per oggetto entità particolari, mentre a quello più alto c'è l'intuizione intellettuale, capace di
"astrarre" l'universale dalle realtà empiriche.[16] Conoscere significa dunque astrarre.
Aristotele fu anche il padre della logica formale, che egli teorizzò nella forma deduttiva del
sillogismo. Va precisato però che l'intuizione restava per lui superiore anche a quest'ultimo,
perché in grado di fornire quei princìpi di partenza da cui il sillogismo trarrà soltanto delle
conclusioni coerenti con le premesse. Essa si trova dunque al vertice della conoscenza,
culminando alla fine in un'esperienza contemplativa, tipica di un sapere fine a sé stesso, che
per Aristotele rappresentava l'essenza della saggezza.[17] Ritorna così anche in lui il valore
etico della conoscenza.
L'empirismo anglo-sassone
John Locke
I capisaldi del processo conoscitivo, così com'erano stati enunciati da Aristotele, rimasero
invariati per tutto il Medioevo, ribaditi e valorizzati in particolare da Tommaso d'Aquino. Fu
agli inizi dell'età moderna che in Inghilterra iniziò a prodursi una corrente filosofica secondo
cui, invece, la conoscenza deriva unicamente dall'esperienza sensibile. I principali esponenti
di questa corrente, che ebbe come precursori Francesco Bacone e Thomas Hobbes, furono
John Locke, George Berkeley e David Hume. I princìpi a cui essi intendevano ricondurre ogni
forma di conoscenza umana erano essenzialmente due:[18]
Leibniz e Kant
Kant
L'empirismo così espresso venne criticato dapprima da Leibniz, il quale riaffermò che la
conoscenza non è un mero processo meccanico: in noi sono già presenti dei concetti latenti,
che l'esperienza può risvegliare, ma non creare dal nulla.[19] Leibniz si espresse così a favore
dell'innatismo delle idee, ma contestò anche Cartesio, secondo cui esistevano solo quelle
idee di cui si ha una conoscenza chiara e oggettiva, deducibili a priori dalla ragione: per
Leibniz, invece, esistono anche pensieri di cui non si ha coscienza, e che agiscono a un livello
inconscio. Ci sono cioè varie gradazioni della conoscenza, da quella più oscura fino a quella
più distinta, che è l'"appercezione" di me o autocoscienza.[20]
Al vertice della conoscenza si trova l'io penso, un'attività suprema che ha la capacità di
connettere in maniera critica e consapevole le informazioni provenienti dal mondo esterno.
La conoscenza non è dunque una semplice raccolta di nozioni, ma significa "collegare".[21] Ne
deriva che la riflessione critica basata sulla propria autocoscienza è per Kant l'unico
presupposto di una conoscenza valida.[22]
Karl Popper
Karl Popper
Karl Popper, ricollegandosi alla tradizione aristotelica e kantiana, sostenne che la
conoscenza è un processo esclusivamente deduttivo, comune sia agli uomini che agli
animali, e che esso si basa sul metodo dei tentativi e della confutazione. L'apprendimento
non deriva dall'osservazione induttiva della realtà, bensì dalla nostra immaginazione creativa,
cioè da anticipazioni ingiustificate della realtà stessa (le congetture) che di volta in volta noi
mettiamo alla prova. La vera conoscenza deve essere dunque falsificabile, formulata cioè in
modo tale che la sua sottomissione ad un esperimento possa eventualmente attestarne la
falsità.[23]
Conoscenza ed esoterismo
Nelle correnti più recenti dell'esoterismo si rileva come nell'epoca attuale, contraddistinta da
un approccio individualistico-sperimentale, la conoscenza umana sia maggiormente
orientata ad avvalersi del metodo induttivo, mentre nell'età antica e medievale prediligeva
quello deduttivo.[24] Questi due procedimenti conoscitivi, contrapposti ma complementari,
riproducono la dinamica intercorrente a livello cosmico tra particolare e universale,
percezione e concetto, discesa nella materia e risalita allo spirito, come riflesso di una
creazione strutturata gerarchicamente in cui vigono relazioni di analogia, cioè rapporti di
similitudine o metaforici, tra le sue parti.[25] I filosofi ermetici, in particolare, vedevano
nell'analogia lo strumento principe per arrivare a conoscere in chiave unitaria gli aspetti
molteplici della natura, essendo questa basata sull'occulta corrispondenza tra macrocosmo
e microcosmo, secondo il loro celebre motto «come in alto così in basso».[26]
La tendenza dell'epoca attuale, ribadisce Steiner, è di basarsi quasi esclusivamente sui fatti
empirici trascurando la portata oggettiva delle idee, le quali non sono qualcosa di astratto,
ma sono costitutive della realtà stessa, modelli spirituali che si sono condensati nei
fenomeni sensibili.
«Quando l'uomo si forma un pensiero sulle cose, la sua interiorità si volge dalla forma
fisica all'archetipo spirituale delle cose stesse. Il comprendere una data cosa mediante il
pensiero è un processo che possiamo paragonare a quello mediante il quale un corpo
solido viene dapprima liquefatto nel fuoco, affinché il chimico possa poi studiarlo nella
sua forma liquida.»
(Rudolf Steiner, Teosofia. Un'introduzione alla conoscenza sovrasensibile del mondo e del
destino dell'uomo (1918)[27])
Note
1. ^ L'etimologia deriva dalla particella latina cum + il vocabolo greco antico gnòsis (cfr.
dizionario etimologico (http://www.etimo.it/?term=conoscere&find=Cerca) ). Termini
arcaici sono cognoscenzia, canoscenza, cognoscenza (cfr. dizionario italiano (http://www.
sapere.it/sapere/dizionari/dizionari/Italiano/C/CO/conoscenza.html?q_search=conosce
nza) ).
2. ^ Diceva in proposito Aristotele che «il tutto è maggiore della somma delle parti».
3. ^ Le prime connotazioni dello scetticismo filosofico, così inteso, si sono avute col
pirronismo antico (cfr. Giovanni Reale, Il dubbio di Pirrone. Ipotesi sullo scetticismo, Il
Prato, Padova 2009).
4. ^ Tra gli esponenti dello scetticismo scientifico si trova Carl Sagan, autore de Il mondo
infestato dai demoni, trad. it., Baldini & Castoldi, Milano 1997.
7. ^ Sulla differenza tra conoscenza fattuale e inferenziale, cfr. ad esempio Giulio Preti, Praxis
ed empirismo (1957), Mondadori, 2007, pag. 125. Cfr. anche Nicla Vassallo, Teoria della
conoscenza, op. cit. in bibliografia.
10. ^ Michael Polanyi, The tacit dimension, 1966 (trad. it. La conoscenza inespressa, Armando,
Roma 1979).
11. ^ Ikujiro Nonaka utilizza il termine giapponese «Ba» per definire lo spazio o il contesto
condiviso in cui la conoscenza è incorporata (cfr. Modelli teorici di organization learning (h
ttp://www.diegm.uniud.it/detoni/download/didattica/CGCon/2-ModOrg.pdf) Archiviato
(https://web.archive.org/web/20150202174235/http://www.diegm.uniud.it/detoni/downlo
ad/didattica/CGCon/2-ModOrg.pdf) il 2 febbraio 2015 in Internet Archive., pag. 11, a cura
di Alberto F. De Toni, 2007).
15. ^ Pur rinnegando l'innatismo di Platone, Aristotele afferma che «la sensazione in atto ha
per oggetto cose particolari, mentre la scienza ha per oggetto gli universali e questi sono,
in certo senso, nell'anima stessa» (Sull'anima II, V, 417b).
16. ^ Di seguito alcuni passi da cui emerge come i princìpi primi su cui Aristotele intende
fondare la conoscenza non sono ricavabili dall'esperienza, né da un ragionamento
dimostrativo; l'induzione originata dai sensi non ha per lui alcun carattere di universalità:
«Colui che definisce, allora, come potrà dunque provare [...] l'essenza? [...] non si può
dire che il definire qualcosa consista nello sviluppare un'induzione attraverso i singoli
casi manifesti, stabilendo cioè che l'oggetto nella sua totalità deve comportarsi in un
certo modo [...] Chi sviluppa un'induzione, infatti, non prova cos'è un oggetto, ma
mostra che esso è, oppure che non è. In realtà, non si proverà certo l'essenza con la
sensazione, né la si mostrerà con un dito [...] oltre a ciò, pare che l'essenza di un
oggetto non possa venir conosciuta né mediante un'espressione definitoria, né
mediante dimostrazione»
19. ^ «Il nostro egregio autore [J. Locke] sembra invece affermare che in noi non c'è nulla di
virtuale e di cui non abbiamo sempre un'appercezione attuale. Ma egli non può sostenere
ciò fino in fondo, perché altrimenti la sua opinione sarebbe troppo paradossale, in quanto
le abitudini acquisite e gli stessi contenuti della nostra memoria non sono sempre
appercepiti e non vengono sempre in nostro soccorso quando ne abbiamo bisogno,
benché spesso noi li ricollochiamo agevolmente nello spirito quando una pur leggera
occasione ce li faccia ricordare, come il semplice inizio ci fa ricordare tutta una canzone»
(G. W. Leibniz, Nuovi saggi sull'intelletto umano, prefazione, in Scritti filosofici, vol. II, UTET,
Torino, 1967, pagg. 171-172).
20. ^ Leibniz, Monadologia, in Scritti filosofici, a cura di D. O. Bianca, UTET, Torino, 1967.
21. ^ «[Per conoscere la realtà delle cose] occorre non già la coscienza immediata dell'oggetto
stesso, la cui esistenza si vuole conoscere, ma la coscienza del collegamento tra l'oggetto
e una qualche percezione reale, in base alle analogie dell'esperienza, che espongono ogni
connessione reale in un'esperienza in generale» (Kant, Critica della ragione pura, Berlino,
1904: 289 sgg., trad. it. di Giorgio Colli, Torino 1957). «Se noi indaghiamo quale nuova
natura sia data alle nostre rappresentazioni dal riferimento ad un oggetto, e quale sia la
dignità che esse ricevono con ciò, troviamo allora che questo riferimento consiste soltanto
nel rendere necessaria la congiunzione delle rappresentazioni in un determinato modo»
(Kant, 1904: 269, ibidem).
22. ^ Kant, Critica della ragion pura, ed. a cura di P. Chiodi, UTET, 2005.
24. ^ Rudolf Steiner, La filosofia della libertà (1894), pag. 39, trad. it. di Ugo Tommasini, Milano,
Fratelli Bocca Editori, 1946 (http://commoningtimes.org/texts/rs_la_filosofia_della_libert
a.pdf) . Cfr. analisi in Moto pendolare vivente (http://www.ospi.it/ospi/libro/incontro_2
2.doc) Archiviato (https://web.archive.org/web/20130108202608/http://www.ospi.it/osp
i/libro/incontro_22.doc) l'8 gennaio 2013 in Internet Archive., e Induzione e deduzione (ht
tp://www.ospi.it/ospi/Tutti%20gli%20articoli/Induzione%20e%20deduzione.doc)
Archiviato (https://web.archive.org/web/20060510013625/http://www.ospi.it/ospi/Tutti%2
0gli%20articoli/Induzione%20e%20deduzione.doc) il 10 maggio 2006 in Internet Archive..
27. ^ Trad. it. di Emmelina de Renzis, Milano, Carlo Aliprandi editore, 1922 (http://media.liberac
onoscenza.net/ebook/rudolf%20steiner%20-%20teosofia%20%28o.o.%209%29.pdf) , pag.
55.
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Collegamenti esterni
conoscenza (http://www.treccani.it/enciclopedia/conoscenza_(Dizionario-di-filosofia)/) ,
in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009.
(EN) Jonathan Jenkins Ichikawa e Matthias Steup), The Analysis of Knowledge (http://plato.
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(EN) Duncan Pritchard, John Turri, J. Adam Carter, The Value of Knowledge (http://plato.stan
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of Philosophy, Center for the Study of Language and Information (CSLI), Università di
Stanford.
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