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“Io sono d'accordo con Yoshi-san” disse Utani.

Ma se lo dite con una strizzatina d'occhi lei capisce il doppio senso: Come va? Come sta la tua gola d'oro,

come i cinesi chiamano questo passaggio verso il paradiso. Era un uomo piccolo e sottile con gli occhi dolci e il

volto scarno. “Anch'io penso che andandocene perderemmo la faccia per sempre.” Yoshi gli sorrise. Utani gli

piaceva; i daimyo del feudo di Watasa erano alleati con i Toranaga fin da prima di Sekigahara. Il giorno

precedente aveva incontrato il francese in uno dei negozietti del villaggio che vendeva i generi di prima

necessità per gli stranieri. I negozietti erano tutti concentrati sulla strada principale, dietro High Street, che

partendo dal mare collegava l'Insediamento con la Città Ubriaca e dove tutti sembravano vendere le stesse

mercanzie locali: cibo e attrezzature per la pesca, spade da due soldi e curiosità. Era una struttura a due piani, in

stile britannico e circondata da un'alta cancellata i cui lavori di edificazione erano cominciati tre mesi dopo la

firma del Trattato. Tutti i bonzi erano accesi xenofobi e disprezzavano gli stranieri i quali, ai loro occhi, erano

tutt'uno con i gesuiti, il nemico più odiato e temuto. “E io sono di Choshu e il mio nome è Shodan Moto.

Sonno-joi” gridò Hiraga, e si slanciò contro Watanabe che si ritrasse senza paura. Le finestre si affacciavano sui

giardini posteriori dell'edificio, estesi e grandi e dalla fitta vegetazione. “Troppo gentile da parte vostra. No,

tutt'altro che correntemente, ma mi sforzo.” Si strinse nelle spalle con aria divertita. “L'ho imparato con

pazienza e con l'aiuto dei nostri santi padri che lo parlano.” Arrossì ricordando come il suo interesse era stato

risvegliato dalle parole di André e si vergognò di quella debolezza. “Sembrate ladri. Cos'avete in quella borsa

eh? Presentatevi!” La spalla di Ori doleva. Quando si era accorto della suppurazione non ne aveva fatto cenno a

Hiraga e gli aveva taciuto anche il dolore. La testa gli girava all'idea di doversi battere ma pensò che in fondo

rischiava soltanto una morte ammirevole.


Poi Ori si slanciò verso un altro uomo che battè in ritirata. Provò con un terzo che a sua volta si ritirò. “Non

credo che qualcuno di loro abbia dei veri e propri allievi, comunque potrei chiedere. Partite con la flotta

domani?” “Non ci entreremo mai di notte, Ori” sussurrò. “Né di giorno. Non hanno colpito nessun obiettivo.

La flotta non ci bombarderà e l'incontro di domani avrà luogo, come previsto. Sfogliò il libro in fretta. “Io... io

no... no... io, ehm, non ci sono ancora andato.” Nel giro di pochi anni il numero di daimyo convertiti al

cattolicesimo insieme ai loro sudditi era cresciuto a tal punto da permettere al dittatore Goroda di farsene

schermo per massacrare migliaia di monaci buddisti che all'epoca gli erano apertamente ostili e avevano un

certo seguito nella popolazione. “Staremo a vedere.” “Come fai a essere così cieco? Se le nostre posizioni

fossero capovolte e tu comandassi quell'invincibile flotta, esiteresti forse un solo istante ad annientarci?”

“Tu non vuoi capire!” Sono così saggi i cinesi, perchè è certo che le sue pareti sono lastricate d'oro, l'oro vi

scorre e soltanto l'oro ve ne consente l'accesso, in un modo o nell'altro...” Tyrer si lasciò ricadere sul giaciglio

dimentico del taccuino, la mente in subbuglio. Quasi senza rendersene conto aveva aperto il libriccino delle

ukiyo-e nascosto nella valigetta e ne stava studiando le immagini. La seguivano venti soldati scelti della marina.

Il capitano diede l'ordine e il corteo parti con le bandiere al vento e i soldati tutt'intorno, preceduti da uno

splendente tambur maggiore alto più di due metri, e i portatori cinesi di Yokohama in retroguardia che, infelici,

trascinavano i carretti carichi di bagagli. Sul ponte dell'ammiraglia francese, Henry Seratard fumava la pipa

ridacchiando con il ministro russo. Nessun'ombra nei giardini pattugliati dagli highlander che illuminavano i

sentieri con le lampade a olio. Al riparo di una baracca, Hiraga si fermò in un angolo protetto. Hiraga ripulì la

sua spada con grande cura usando uno straccio di seta con cui tutti i samurai avevano l'abitudine di proteggere le

loro lame e poi infilò l'arma nel fodero. “Quando si crea un vuoto è nostro dovere diplomatico riempirlo...”
“Oh, in questo caso posso avere l'onore di farvi da guida?” Quelli che si rifiutarono di abiurare vennero

crocifissi o passati a fil di spada come criminali comuni. Soltanto uno sparuto gruppetto scelse l'abiura.

Essendo vietato l'uso di veicoli a ruote tutti si affrettavano a piedi terrorizzati all'idea che le palle

fiammeggianti e i razzi di cui avevano sentito parlare potessero da un momento all'altro far cadere una pioggia

di fuoco che avrebbe bruciato la città trasformandola in cenere insieme a loro. Gli scettici rimasti si unirono alle

masse che affollavano strade, ponti e vicoli fuggendo con i pochi averi che riuscivano a trasportare. L'uomo

giaceva morto ai suoi piedi. “No, certo che no! Ma loro non sono al nostro posto e noi non ci troviamo al loro,

ed è per questo e soltanto per questo che riusciremo a tenerli in pugno.” “Staremo a vedere.” Entro le mura del

castello lo shògun Nobusada e la principessa Yazu si erano fatti piccoli piccoli dietro un fragile paravento e

stavano rannicchiati uno tra le braccia dell'altra mentre le loro guardie, i camerieri personali e la corte si

tenevano pronti a una partenza immediata e aspettavano solo il permesso del Guardiano. “Non si fa?” Hiraga

ripulì la sua spada con grande cura usando uno straccio di seta con cui tutti i samurai avevano l'abitudine di

proteggere le loro lame e poi infilò l'arma nel fodero.

“Io Lun numero due, padrone, Lun numero uno viene sera.” “Non credo, penso che fosse soltanto una maniera

arrogante di annunciare il loro arrivo. Erano ormai quasi giunti al nascondiglio, una locanda che sorgeva a

oriente del castello. L'alba era prossima, il cielo più luminoso e le nubi meno fitte del giorno precedente.

Davanti a loro la strada era deserta. I soldati della marina, avvezzi a maneggiare i cannoni negli angusti spazi

sotto coperta, si diedero a spingere e tirare e imprecando sollevavano di peso la carrozza facendole superare gli

ostacoli che incontravano. Il samurai mosse un passo in avanti incerto su quello che avrebbero fatto i compagni,

la spada sempre sguainata. Ori e Hiraga lo guardarono, poi si guardarono l'un l'altro. Si mosse anche un altro

uomo. Benché le spade fossero ancora tutte sguainate i samurai avevano aperto un varco per lasciarli passare.
Nelle case migliori la mama-san sottopone il cliente a un vero e proprio esame, considera se abbia i titoli per

onorare la sua casa e tutto ciò che contiene, in sostanza vuole scoprire se lui può permetterselo o se poi non avrà

il denaro per pagare il conto. In Giappone un buon cliente ottiene un enorme credito, monsieur Tyrer, ma peste

lo colga se non paga o se paga in ritardo quando con discrezione gli verrà presentato il conto. “Troppo gentile

da parte vostra. No, tutt'altro che correntemente, ma mi sforzo.” Si strinse nelle spalle con aria divertita. “L'ho

imparato con pazienza e con l'aiuto dei nostri santi padri che lo parlano.” Aveva avuto un effetto benefico sui

nervi di Tyrer, altri nella Legazione avevano invece fischiato e gridato ai monaci di tacere.

Tuttavia tacque rendendosi conto che se avesse parlato sarebbe sembrato soltanto una brutta copia del padre.

In tutto il castello gli uomini si preparavano alla difesa o bardavano i cavalli e impacchettavano i beni più

preziosi degli Anziani in vista dell'eventuale evacuazione che avrebbe avuto inizio se fosse cominciato il

cannoneggiamento o se al Consiglio fosse stata comunicata la notizia dello sbarco delle truppe nemiche. Non

c'è nessun futuro nel guardare immagini sconce, pensò disgustato. La fiamma della candela cominciava a

tremolare. La spense e si allungò, i lombi appesantiti da quel dolore familiare. La Legazione sorgeva su una

leggera altura nel sobborgo di Gotenyama, accanto a un tempio buddista. Toyama digrignò i denti in un sorriso.

“Che vuoi dire con questo?” Tyrer si irrigidì. Erano rimasti a spiare la Legazione fin dal primo mattino. I

bonzi, i preti buddisti, li avevano ignorati quando Hiraga si era svelato spiegando il motivo della loro presenza.

Nella carriera del Consiglio dove gli Anziani si erano riuniti in gran fretta parlava Yoshi. Il tairò Nakamura che

succedette a Goroda ne ampliò ulteriormente i poteri e mise i bonzi e i gesuiti gli uni contro gli altri ricorrendo

all'inganno, alle persecuzioni, alle torture e alle uccisioni. Poi venne Toranaga. Sono così saggi i cinesi, perchè

è certo che le sue pareti sono lastricate d'oro, l'oro vi scorre e soltanto l'oro ve ne consente l'accesso, in un modo

o nell'altro...” Tyrer si lasciò ricadere sul giaciglio dimentico del taccuino, la mente in subbuglio. Quasi senza
rendersene conto aveva aperto il libriccino delle ukiyo-e nascosto nella valigetta e ne stava studiando le

immagini.

Non ci sarà più nessuna casa in tutto il Giappone che accetterà di farlo entrare.” “Ovviamente libri del genere

non esistono da queste parti, anche se con un'ottima imitazione della sincerità questo tizio vi risponderà: Ah so

desu ka, gomen nasai, eccetera cioè: Oh, molto spiacente, oggi non ne ho ma se tornate domani... Ovviamente

non dice il vero, o meglio vi dice ciò che secondo lui voi volete sentire, una consuetudine giapponese dalla quale

è impossibile prescindere. Hiraga precedeva. Un cane li vide; ringhiando cercò di ostacolare la loro corsa e

morì. Il breve arco tracciato dalla spada di Hiraga fu fulmineo; continuarono a correre con le lame sguainate

addentrandosi sempre più nelle viscere della città. Ori seguiva Hiraga con cautela. La ferita aveva cominciato a

infettarsi. Toyama digrignò i denti in un sorriso. “Che vuoi dire con questo?” (”Una fonte di grave

preoccupazione nei più altolocati circoli britannici” aveva scritto il “Times”, “poiché la volgarità francese non

ha limite insieme a quella loro deprecabile ostentazione della ricchezza e a quelle scandalose danze moderne

come il cancan, dove, ci viene comunicato da fonte certa, le ballerine evitano, per scelta personale o dietro

sollecitazione di altri, di indossare la biancheria intima”.) Poi Yoshi guardò gli altri due che erano entrambi

membri del clan Toranaga. Nessuno ricambiò il suo sguardo. “Faccio issare la bandiera, signore? Occupiamo la

Legazione?” Mio Dio, quanto si beve da queste parti! Cominciano a bere al mattino e sono tutti ubriachi entro

l'ora di pranzo. Il reverendo non mi sarà di nessuna utilità e per di più puzza da far girar la testa. Che colpo di

fortuna invece aver incontrato André Poncin!

Aveva una trentina d'anni, gli occhi marroni e i capelli castani e ondulati, un bel naso gallico e vestiti eleganti.

Il predecessore di sir William l'aveva abbandonata l'anno prima, quando i ronin nottetempo avevano assassinato

i due uomini a guardia della sua camera da letto facendo infiammare gli animi degli inglesi ma esultare quelli
dei giapponesi. Sdraiato sul pagliericcio sistemato sopra un tappeto, si rigirava senza sosta agitato dalle

preoccupazioni. “Morte ai gai-jin” era l'imprecazione che correva di bocca in bocca. Sdraiato sul pagliericcio

sistemato sopra un tappeto, si rigirava senza sosta agitato dalle preoccupazioni. Kilt, colbacchi, tuniche

scarlatte, fucili. “Toko Fujita è stato uno dei miei sensei” rispose Hiraga preparandosi a uccidere ancora. Poi

ripeté l'esercizio partendo dal termine inglese e pronunciando a voce alta la traduzione in giapponese e con

grande soddisfazione scoprì di non aver fatto errori. Aveva avuto soltanto un'esperienza: due anni prima, dopo

gli esami finali, si era vergognosamente ubriacato con alcuni compagni nel pub Star and Garter di Pont Street.

“Capitano, se per passare dovete abbattere qualche casa non esitate” gridò.

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