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» Sistemi Giuridici Comparati «

Il diritto è un insieme di regole di condotta osservate da un gruppo o da una società. Esso è preesistente
all’uomo poiché esiste anche in società non composte da uomini: le regole di condotta, infatti, esistono
anche nel mondo animale, dove, all’interno del branco, l’animale che si comporta in maniera deviante
viene aggredito o isolato (viene, quindi, sanzionato).

La differenza tra una regola animale e una regola dell’uomo è la capacità di programmazione nel futuro,
ovvero la necessità di creare regole che non si esauriscano nel momento attuale, ma che consentano di
affrontare problematiche che si presentano sia nell’immediato che nel futuro.
La programmazione è una capacità comunicativa che richiede un certo tipo di verbalizzazione che soltanto il
diritto dell’uomo possiede: infatti, nel mondo animale non esiste l’idea di punizione, poiché questa è una
forma di programmazione (si sanziona per evitare che il colpevole, o altri, commetta lo stesso crimine).

La sanzione penale (la reclusione in carcere) è un tipo di programmazione, poiché ha una finalità di
prevenzione generale speciale:
- speciale perché riguarda il singolo che, dopo essere stato recluso, non vuole ripetere l’esperienza,
per cui ci si aspetta che non reiteri;
- generale perché è un esempio per tutti coloro che possono vedere che un certo comportamento
causa un certo tipo di sanzione e, per questo, sono intimati a commetterlo a loro volta.

» I tipi di società
Oggi pensiamo al diritto come al prodotto di uno Stato e delle sue articolazioni. La regola viene prodotta da
strutture prefissate, che possono essere costituzionali o pubbliche. Queste, possono essere elaborate da un
dittatore, un partito oppure un Parlamento, i quali fanno parte di una struttura centralizzata.

Le società a potere diffuso


Tuttavia, esistono alcune realtà, chiamate società tradizionali, le quali esistono in un contesto territoriale
limitato, dove i comportamenti della società hanno spesso legami familiari e che vivono solitamente
cacciando o coltivando. Questa era la realtà del pianeta prima dell’apparizione dello Stato centralizzato.
In queste società, dette società a potere diffuso (ancora esistenti, ad esempio in alcuni paesi dell’Africa), il
potere è centrato nelle tribù o nelle famiglie che compongono la società: le regole, infatti, vengono fissate
dalla comunità e non da un potere centrale. Nei sistemi a potere diffuso, infatti, non c’è alcun potere
superiore che si occupa di legiferare, applicare e giudicare l’osservanza delle leggi stesse.
Queste erano società legate a un potere spirituale, il quale legittimava persino gli imperatori. Il rapporto tra
soprannaturale e giuridico era, infatti, molto stretto.

La logica interna di queste società è quella della forza (militare e lavorativa): l’equilibrio esiste quando la
spartizione delle risorse è proporzionale alle forze in campo. Ciò che è importante in queste società, infatti,
è l’equilibrio interno dei gruppi.
La regola applicata in questi contesti, infatti, è “la legge del taglione”: la legge del taglione era un rito (e,
nelle società tradizionali tutto è ritualizzato); con determinate forme, che utilizza determinati strumenti,
proprio perché era una regola che doveva rispettare formalità specifiche.

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Considerata la mancanza di un centro che fissasse una regola di condotta singolare, il capo d’imputazione
non può essere un singolo: il centro d’imputazione è il gruppo stesso.
Questo significa che, nel caso in cui un individuo di un certo gruppo venga ucciso da un individuo di un altro
gruppo, qualcuno del secondo gruppo dovrà pagare con la propria vita; è irrilevante chi questa persona sia
(se colui che ha commesso l’omicidio o meno), a patto che venga ricostituito l’equilibrio tra i gruppi.

La lacuna maggiore di questo sistema riguarda le faide familiari, dove il sistema fibrilla, poiché non ci sono
possibilità di riequilibrare. Per questo motivo i sistemi a potere diffuso, con il tempo, cedono ai sistemi a
potere centralizzato.

Le società a potere centralizzato


I sistemi a potere diffuso si trovano fino alla nascita della Lega delle Nazioni: prima della nascita dell’ONU
(1919), infatti, non esisteva arbitrio e i rapporti fra Stati erano chiaramente un sistema a potere diffuso,
poiché ogni Stato poteva essere considerato un clan.

A un certo punto nella storia si passa da sistemi a potere diffuso a sistemi a potere centralizzato. Questo
tipo di processo è causato dalla complessità dell’età del bronzo: rame e stagno, due materiali necessari per
ottenere il bronzo, si trovavano spesso in luoghi diversi e andavano estratti e trasportati; per permettere
questo processo era necessario che un’aliquota di soggetti si dedicasse a questa attività.
Per questo motivo, una parte di ciò che veniva raccolto doveva essere destinato a nutrire quest’aliquota di
persone che si occupava di estrazione e trasporto. Per permettere questo tipo di processo, la società deve
dotarsi di un sistema di individuazione di quei soggetti che devono versare il cibo e di quelli che devono
riceverlo. A questo punto nascono, quindi, gli scriba, i quali si occupano di ripartire le razioni e conservare
tutti i dati relativi alle imposte.
Tuttavia, tutte queste persone (lavoratori, scriba, ricercatori, eccetera) necessitano di essere sfamate. I
contadini cominciano a diventare riottosi e il sistema deve dotarsi di una milizia per tenerli sotto controllo.
Si crea in questo modo una realtà sociale complessa che richiede un’organizzazione centrale.

Nei sistemi a potere centralizzato esiste un soggetto che si occupa di creare e le regole e farle rispettare.
Più il sistema è raffinato più c’è una divisione di poteri.

Nasce, in questo contesto, un torto sconosciuto prima, ovvero il reato contro il potere centralizzato: la
regola cardine del sistema a potere centrato è, infatti, l’autolegittimazione. Il potere centralizzato vieta di
contestare il potere stesso: il centro elabora e i consociati devono osservare la regola. Per rendere possibile
tutto questo esistono degli strumenti specifici: precetto e sanzione.
Nel caso specifico, si tratta di un precetto con una sanzione gravissima: non si può, in alcun modo,
contestare il potere, poiché se qualcuno iniziasse a farlo l’esistenza stessa del potere centralizzato potrebbe
venire a meno. Proprio da questo sono nate le più grandi rivoluzioni.
Anche il potere centrale, tuttavia, mostra un punto debole: uno Stato potrebbe violare le sue stesse leggi.
Per evitare che il potere centrale inizi a violare le regole del sistema viene istituito un organo di controllo,
che applica una sanzione al potere centrale.
Nel caso del sistema italiano, per esempio, se il Parlamento dovesse elaborare una regola al di fuori del
compito che gli è stato assegnato dalla Costituzione, la risposta verrebbe dalla Corte Costituzionale, la
quale valuta se il Parlamento si stia comportando correttamente o meno.

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Il contatto fra i due sistemi
Il periodo coloniale fu il periodo di contatto fra i due mondi: tra i due sistemi vi è incomunicabilità, poiché lo
Stato coloniale non si adegua alla realtà che trova, ma pretende che quella realtà si adegui a lui.
Nel caso delle colonizzazioni europee, il diritto non venne direttamente imposto, ma lo si applicò a quegli
europei che si trovavano nel luogo. Gli autoctoni, infatti, poterono mantenere il loro diritto. Tuttavia, le
regole locali non potevano sovrapporsi a quelle delle colonie e il diritto penale viene imposto.
Si verificano, quindi, delle sovrapposizioni: all’interno dei gruppi, i crimini continuano a essere regolati
secondo il sistema locale, ma sopraggiunge anche l’intervento della regola del potere centralizzato.
Un esempio lo si ha con la legge del taglione: il soggetto del gruppo che era stato ridotto in termini
numerici che si muove uccidere un componente dell’altro gruppo viene incarcerato, poiché interviene lo
Stato centrale con le sue regole; per cui, l’equilibrio non viene ristabilito.
Il contatto tra i due dà quindi origine a situazioni di incomprensione, proprio perché si tratta di due logiche
appartenenti a due realtà completamente diverse.

» La comparazione
Comparando i due sistemi a potere diffuso e a potere centralizzato si nota come le differenze siano marcate,
al punto che alcuni principi che per alcuni risultano naturali per altri sono completamente sconosciuti.
Non è assolutamente possibile, infatti, applicare le regole di una società centralizzata a una società
tradizionale, in quanto verrebbe a mancare l’equilibrio che tiene in piedi la società.
Si scoprirà, comparando i vari sistemi, che in un determinato paese una regola di condotta può trattare un
determinato problema che potrebbe, invece, avere soluzioni diverse in un altro paese. Il motivo per il quale
ogni paese opera in maniera diversa è che queste regole si sono evolute a causa delle ondate culturali che
hanno inciso sui singoli territori.
La comparazione porta la sua attenzione sulle regole appartenenti ai vari sistemi giuridici, per stabilire
similitudini e differenze. Lo studio della comparazione:
- aiuta a scoprire la discontinuità tra regola e definizione;
- affronta la ricerca di un modello giuridico migliore;
- insegna a capire il diritto di altri paesi.

Il comparatista mette a confronto i sistemi fra loro: egli ha infatti il compito di coglierne somiglianze e
differenze. Con la comparazione si possono avvicinare due popoli e uniformare due diversi tipi di diritto:
oltre a individuare le somiglianze, quindi, un comparatista deve anche uniformare le differenze.
La comparazione serve a scoprire i modelli giuridici che sono migliori e più efficaci.

Il comparatista deve, prima di tutto, verificare perché regole declamate in un certo modo vengono
applicate diversamente dai giudici. Ciò che rileva è, quindi, la regola pratica, non la regola declamata.

Il problema della lingua e la traduzione


In alcuni sistemi non esiste un giurista: ad esempio, nella Cina tradizionale, il potere era centralizzato, ma
non proveniva da un giurista (per prevenire i conflitti, infatti, si ricorreva a un pacificatore). Tuttavia, anche
in questi sistemi il diritto continua a esistere.
In quei sistemi dove esiste un giurista c’è anche un linguaggio tecnico e specializzato, che deve essere
tradotto o, perlomeno, compreso da un comparatista.

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Per questo motivo, il primo problema di chi compara è la lingua: non è sufficiente conoscere una lingua per
capire il diritto, ma occorre anche sapere che cos’è il diritto. Il diritto è, infatti, strettamente legato alla
cultura di un paese (per esempio, nei paesi islamici dove la religione ha una posizione preminente il diritto
è fortemente influenzato da essa).

Uno dei problemi da affrontare è quello di riuscire a comprendere e tradurre un testo: un testo di diritto,
oltre ad essere un testo accademico è anche una legge elaborata da un determinato Parlamento.
Questa legge dovrà poi essere applicata da un giudice, il quale la interpreterà a seconda del caso: il giudice,
quindi, “modifica” la legge, la quale avrà, infine, due interpretazioni diverse. Traducendo una legge come
questa è stata scritta sul testo si fornirà, quindi, un’interpretazione errata.
In altri casi (per esempio nei contesti dittatoriali), tuttavia, la legge non potrà essere interpretata, ma verrà
insegnato a rispettare le regole così come sono.
A seconda del contesto, dunque, la legge elaborata potrà essere applicata così com’è stata scritta oppure
potrà essere interpretata. Quando si studia un determinato sistema, leggendo esclusivamente il prodotto
legislativo si avrà, quindi, un’informazione molto limitata di ciò che la legge è effettivamente.

Il contratto
Un contratto nasce da un accordo e l’accordo è lo strumento più ricorrente, sin dall’inizio dei tempi, su cui sono
regolati i rapporti umani. Tuttavia, nonostante la sua antichità e il suo uso comune, non è detto che quando si
parla di contratto si intenda la stessa cosa in ogni paese: l’idea di fondo è la stessa – il contratto è un accordo,
ma le caratteristiche di questo accordo possono cambiare. Un esempio è la traduzione classica della parola
inglese contract che, se incontrata in un testo di diritto, può creare problemi, in quanto traducendo la parola, il
significato, nella lingua italiana, differisce da quello che ha nella lingua inglese.

Uno dei problemi della traduzione, è quello di trovare un modo di interpretare anche dove non c’è un
corrispettivo linguistico: si tratta di un problema concettuale.
Ad esempio, quando si parla di Italia e Svizzera Italiana si considera un diritto che opera nella stessa lingua,
tuttavia, lo stesso termine giuridico può avere un significato diverso nei due paesi (per esempio, per
possesso, in Italia si intende il potere materiale su una cosa, mentre in Svizzera manca l’idea di essere
proprietario di qualcosa). I problemi, dunque, si pongono nel momento in cui due sistemi hanno i medesimi
termini, ma un diverso concetto a essi sotteso.

Se la lingua dei due paesi è differente, traducendo un testo ci si troverà a dover spiegare ai propri
connazionali un termine tecnico e si dovrà cercare un termine più vicino possibile al concetto enunciato.
Sfortunatamente è possibile che non ci sia alcun termine comune o vicino a quel concetto. In questo caso si
hanno due soluzioni:
- introdurre un neologismo: ovvero, introdurre una parola nuova nella lingua di destinazione, che
serve a tradurre la specifica parola dell’altra lingua.
 È il caso del “negozio giuridico”: fino al 1930, in Italia, nel matrimonio, gli accordi personali
e gli accordi patrimoniali erano distinti. In Germania, invece, esisteva il negozio giuridico,
cioè un insieme più grande che comprende nel matrimonio sia gli accordi personali che
quelli patrimoniali, con regole che si applicano ad entrambi;
- non tradurre il termine: in questi casi, si riprodurrà un termine così com’è, inserendolo in corsivo
all’interno del testo. Chi leggerà il testo, capirà che il termine si riferisce a qualcosa che accade in
un altro paese, sapendo che non è simile a nessun termine esistente nella lingua in cui legge.
 È il caso del termine trust, importato in Italia senza essere tradotto.
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Esistono alcuni casi eccezionali in cui termini espressi in lingue diverse sottendono dei concetti identici. È il
caso dei paesi plurilingue: ad esempio, in Italia, dove in Trentino Alto Adige si parla la lingua tedesca, cui gli
avvocati utilizzeranno testi in lingua tedesca, ma saranno testi che illustrano il diritto italiano, poiché la
realtà storico-giuridica è la stessa.

» I livelli del diritto


Anche se una legge è il prodotto di un sistema, non è sempre indicativa di ciò che succede nel concreto in
quel sistema. Questo perché essa viene influenzata da più fattori, i quali sono suddivisibili in tre livelli:
- il livello legislativo, formato da colui che legifera (un dittatore, un Parlamento o un partito politico).
In paesi come la Russia sovietica, il legislatore è l’unico che può modificare le legge, poiché i giudici
sono obbligati ad attenersi alla lettera alla legge; in paesi come l’Inghilterra, il giudice è colui che
governa il diritto e le leggi;
- il livello giurisprudenziale, ovvero il giudice, che applica la legge elaborata dal legislatore nella
maniera in cui gli è stato insegnato (alla lettera in contesti dittatoriali, interpretandola in alcuni e
modificandola in altri);
- il livello dottrinale o accademico, ovvero i professori e gli studiosi, che influenzano i futuri giudici
all’interno delle università.

Il diritto, tuttavia, può essere influenzato anche da altri fattori, come le norme interne che regolano
determinate situazioni, oppure da determinate aziende, come le multinazionali, che modificano le regole
generali con le loro azioni. Una legge, in sostanza, non è cristallina come viene elaborata, ma ha una serie di
attori che la influenzano.

I formanti del diritto


I tre modelli di influenza del diritto sono chiamati formanti. Il formante è una convenzione che si riferisce
all’insieme di influenze che un ambito ha nel mondo del diritto:
- il formante legale è il legislatore con le sue leggi;
- il formante giurisprudenziale è la categoria dei giudici e le tendenze nel decidere i singoli casi;
- il formante dottrinale è l’accademico con le sue tendenze.

Formanti compatti e formanti dissociati


Si può dire che in un determinato ordinamento i formanti possono assumere atteggiamenti diversi:
- possono essere vicini (formanti compatti): un legislatore dice una cosa, il giudice procede sulla
stessa linea e l’accademia segue l’ordinamento del legislatore. In questo caso si creano dei
formanti compatti, poiché il diritto di quell’ordinamento è ribadito da tutti e tre i formanti;
- possono essere lontani (formanti dissociati): il legislatore dice una cosa, il giudice dice un’altra cosa
(poiché penserà di avere l’autorità per farlo). In questo caso si creano dei formanti dissociati: la
dissociazione avviene quando il giudice si sente abbastanza prestigioso da potersi allontanare dalla
legislazione. È l’esempio dell’Inghilterra, dove il giudice “strattona” la legge a proprio piacimento.

L’art. 39 della Costituzione Italiana


L’art. 39 della Costituzione Italiana si riferisce all’organizzazione sindacale: ogni sindacato deve essere registrato
presso uffici locali. Tuttavia, questi uffici non sono mai stati previsti, ma i sindacati possono comunque stipulare

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contratti collettivi con valore nazionale. Non esistendo questi uffici e non essendo registrati, i contratti stipulati dai
sindacati dovrebbero avere valore nullo.
Basandosi esclusivamente sulla Costituzione, i sindacati dovrebbero essere registrati per poter concludere un certo
tipo di accordo; tuttavia, nessun sindacato è registrato, quindi si dovrebbe supporre che, in Italia, i contratti collettivi
nazionali non abbiano alcun effetto vincolante.
Nella realtà ci si dissocia dalla declamazione originale e dalla norma, ma la legge rimane vincolante poiché il giudice ha
ritenuto che questa fosse valida comunque. Questo perché il giudice ha ritenuto di potersi dissociare dalla norma: la
legge è stata istituita perché si voleva che i lavoratori fossero tutelati, e non potendo aspettare che lo Stato prendesse
atto della norma e istituisse uffici per la registrazione dei sindacati, il giudice di applicare comunque la norma per
tutelare il lavoratore, rendendo validi tutti i contratti collettivi nazionali istituiti dai sindacati.
Questo è il lavoro di un interprete: spingersi oltre il dato testuale, modificandolo a seconda dell’obiettivo.

Si può dire, quindi, che una Costituzione può essere “addomesticata” da un giudice, per poter arrivare a un
risultato diverso, inizialmente non previsto. Questo significa che persino una norma costituzionale con una
regola ben precisa può essere disattesa. Se persino la carta fondamentale può essere disattesa, allora il solo
formante legale non è sufficiente per poter valutare la situazione, ma è necessario anche conoscere il
formante giurisprudenziale (ovvero ciò che, nel concreto, viene applicato dal giudice) e il formante
accademico (ovvero ciò che gli studenti imparano).
Questo è il caso più eclatante di dissociazione fra formati, cioè la dissociazione tra ciò che prevede la legge
e ciò che effettivamente si verifica.

Il Jobs Act
In alcuni casi, tuttavia, l’interpretazione del giudice può creare situazioni difficili. Per esempio, nel contesto
italiano, nel caso del Jobs Act, il giudice, sebbene la legge sui lavoratori sia cambiata, non cambia il suo
atteggiamento da un giorno all’altro e, oggi, nelle aule di tribunale, si possono trovare giudici che si dissociano
dal Job Act, perché il loro retaggio culturale è più vicino a ciò che succedeva nel passato e non riescono ad
evolversi culturalmente abbastanza in fretta da potersi allineare con le nuove tendenze. Questo crea delle
difficoltà sia a chi ha creato la legge, sia a chi fa affidamento su questa nuova legge.
Per impedire che un giudice interpreti la legge a suo piacimento, si dovrebbe essere il più dettagliati possibile,
ma non è possibile dettagliare il futuro, quindi, legiferare diventa difficile.

I crittotipi
Sebbene alcuni formanti del diritto nascano già verbalizzato, esistono alcuni formanti che non vengono
espressi: i crittotipi. Si tratta di formanti nascosti, ma sempre presenti all’interno di un sistema. Essi, infatti,
non sono riprodotti in alcun testo, ma possono essere colti osservando il diritto di un ordinamento, poiché
il loro insieme incide, in modo rilevante, sulla mentalità dell’ambiente giuridico.
Nel concreto, non è possibile sapere se un giudice sia portato ad attenersi alla norma letteralmente o se
segua un suo percorso argomentativo spinto dalle sue pulsioni. La tendenza di un giudice ad allontanarsi da
una norma per via della sua mentalità è un crittotipo, un formante nascosto di quale si deve tenere conto,
ma che non viene verbalizzato, ed è il più eclatante dei formanti nascosti, poiché:
- esistono soggetti che partono dalle categorie generali per poi risolvere il caso concreto nel piccolo
in maniera deduttiva (come i giudici italiani o francesi);
- esistono soggetti che operano in maniera induttiva, andando dal piccolo problema alla regola
generale (come i giudici inglesi, americani o australiani).
Si tratta di modi di ragionare diversi, di un crittotipo che non viene verbalizzato, ma è nascosto.

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» Le mutazioni del diritto
Una società evoluta che vuole progredire deve modificare le regole del suo diritto. Di fronte a ogni modifica
socio economica, tuttavia, non avviene per forza una modifica del diritto: il diritto, infatti, si muove
tendenzialmente in base a una circolazione di idee giuridiche e la mutazione colpisce dapprima uno dei
formanti dell’ordinamento e poi potrà diffondersi sugli altri. Ogni formante può quindi indurre gli altri
formanti a recepire la nuova mutazione.
Le cause di un mutamento possono essere:
- prossime nel caso di un fenomeno appartenente al mondo del diritto stesso;
- remote, consistendo in un dato extra-giuridico.
Alcune mutazioni sono correlate con mutazioni sociali, come l’avvento dell’uso della parola, il ricorso al
soprannaturale o la nascita di un potere centralizzato. L’innovazione giuridica, infine, può essere dovuta a
una radicale trasformazione della società oppure da una scelta politica o un’attitudine del giurista.
Per capire appieno il diritto bisogna, quindi, distinguere il diritto (inteso come insieme di regole in continuo
movimento) da quei movimenti che hanno ricadute che incidono sui formanti.

Prima di interrogarsi sulle cause di queste mutazioni, bisogna considerare che in un diritto in costante
mutamento, la regola di condotta è costantemente oggetto di mutazione e, alcune di queste mutazioni,
permangono. Esistono due tipi di mutazioni:
- la mutazione originaria, ovvero l’innovazione, qualcosa di nuovo che viene prodotto: questo tipo di
mutazione avviene, per esempio, quando si ha un sovvertimento economico o sociale in un paese,
che porterà anche a un sovvertimento della regola di condotta. La condizione fondamentale per
questa soluzione è che essa sia oggetto di valutazione di un’autorità che la fa propria, emanando
delle leggi. Sebbene anche il formante dottrinale possa coniare un nuovo modello giuridico,
l’innovazione deve necessariamente provenire da un’autorità. Nel caso in cui sia il formante
dottrinale a fornire la nuova idea, ci vorrebbe molto tempo perché questa riesca a circolare e
cominci ad essere accettata.
 È il caso della Rivoluzione Russa del 1917, quando il nuovo potere stabilito instaurò, fra le tante
regole, la proprietà dello Stato dei mezzi pubblici, che non erano più dei privati cittadini, ma, da quel
momento, appartenevano allo Stato.
- la mutazione derivativa, ovvero l’imitazione, riproduce una soluzione giuridica di un altro
ordinamento, di fatto imitandola o copiandola completamente.
 Un tipo di imitazione è l’imposizione per occupazione militare: insieme alla presenza di
truppe militari sul territorio, vengono importante anche le regole dello Stato occupante.
 Un tipico esempio è il caso del colonialismo, quando determinati modelli sono stati
importati nei paesi colonizzati e il diritto autoctono del paese è stato sostituito.
 Un altro tipo di imitazione avviene per prestigio: quando un modello è abbastanza
prestigioso un legislatore è portato a prenderlo come riferimento. Importare nuovi modelli
vuol dire accrescere il proprio diritto, perfezionarlo e adattare le nuove regole alle proprie.
Il diritto, in questo caso, cambia a favore di quelle nuove regole.
 In alcuni casi, dopo una mutazione a causa di imposizione (per esempio, come
accadde dopo l’occupazione francese in Europa) il modello persiste, poiché i giuristi,
sebbene non abbiano più una ragione per imporre tale modello, ne comprendono
la bontà e lo trattengono: da imposizione si passa a un’importazione per prestigio.

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Alla fine di questa spiegazione, viene automatico pensare che sia più semplice imitare ordinamenti più
simili e vicini all’ordinamento di origine. Quando si parla di un sovvertimento storico-sociale, infatti, è
possibile che passi l’idea di una vicinanza tra i diritti di paesi che si trovano nella stessa posizione socio-
economica, tuttavia, non è proprio così: per esempio, tra Inghilterra, Scozia, Olanda e Bolivia, il paese più
lontano giuridicamente è l’Inghilterra, nonostante tre di questi paesi siano vicini a livello socio-economico.

Il dialogo tra i formanti


Sebbene una delle forme di importazione sia la modifica delle modalità con cui si insegna il diritto a coloro
che diventeranno giudici, la circolazione del diritto avviene solo tra formanti omologhi.
Tra formanti omologhi, infatti, c’è una tendenza a uno scambio:
- il formante dottrinale, prende informazioni e acquisisce conoscenza da un modello straniero,
leggendone i formanti dottrinali di riferimento (ad esempio, un accademico italiano che volesse
informarsi sulle leggi della Norvegia, si rivolgerebbe al formante accademico norvegese);
- il formante legale, possiede una certa forma di dialogo, poiché si ha la tendenza ad essere più
generali nella formazione;
- il formante giurisprudenziale, invece, non ha una forma di dialogo, ma guarda al formante
dottrinale, dal quale il giudice stesso si forma.

Il caso dei giudici italiani e francesi


Può avvenire, comunque, che i formanti di un medesimo ordinamento tendano a dialogare tra loro:
l’elaborazione di una legge, per esempio, può passare attraverso la lettura di un professore, creando così
dialogo tra formante legislativo e formante dottrinale.
Un esempio pratico prende in considerazione ciò che è avvenuto intorno agli anni ’30 in Italia, quando i
giudici italiani avevano adottato, per casi analoghi, soluzioni uguali a quelle dei giudici francesi e qualcuno
sostenne che ci fosse stata una sorta di copiatura delle sentenze francesi. Tuttavia, in realtà, non esistendo
alcun dialogo fra i vari giudici, ciò che era accaduto era semplicemente che gli accademici italiani, leggendo
gli accademici francesi, si erano fatti influenzare da queste decisioni, influenzando la lettura di altri giudici
italiani, i quali cominciarono, indirettamente, a emettere sentenze simili a quelle francesi, seppur non
avendo avuto nessun tipo di contatto diretto con i giudici francesi.

I vantaggi dell’imitazione
Essendo una mutazione originaria estremamente rara, ciò che avviene quotidianamente nel mondo del
diritto è la pura imitazione: copiare, infatti, non è mal visto nel caso del diritto, poiché significa perfezionare
sempre di più il modello originale. L’imitazione rende più sofisticato il modello di partenza.
Un esempio pratico è quello delle leggi per tutelare i risparmiatori, nate lo scorso secolo negli USA: queste
leggi continuano ad essere modificate ancora oggi, in una sorta di “ping-pong” fra Europa e Stati Uniti.

La pluralità di modelli e le sue difficoltà


È chiaro che per avere una buona imitazione è necessario avere a disposizione tanti modelli, poiché meno
sono i modelli di riferimento più povera sarà l’imitazione. Tuttavia, la pluralità di modelli comporta anche
l’esistenza di moltissime leggi diverse in un solo Stato, le quali possono creare potenziali conflitti fra leggi.
Per fare un esempio pratico: un uomo benestante nasce in Italia, si sposa in Inghilterra, vive a Londra per
quasi tutta la sua vita e fa nascere suo figlio in Russia. Alla fine della sua vita, l’uomo muore in Portogallo. Il

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figlio legittimo, il quale vorrebbe richiedere l’eredità, vive in Giappone. Durante la sua vita, però, l’uomo ha
avuto un figlio illegittimo, il quale richiama a sé l’eredità tanto quanto il primo figlio.
In questo caso, durante la causa, il primo figlio cercherà la legge del paese che potrà essere più favorevole a
lui; tuttavia, anche il figlio illegittimo tenterà di far applicare la regola a lui più favorevole, la quale può
essere diversa da quella scelta dal primo figlio. In questo caso, si creerà un conflitto fra le varie leggi.

L’uniformazione del diritto


Per risolvere questo problema, si è proposto di uniformare il diritto. L’uniformazione del diritto risulta
importante soprattutto nell’ambito commerciale, poiché, a causa delle leggi diverse, i produttori sono
costretti ad appellarsi a diversi avvocati, con costi maggiori e aumenti di prezzi.
L’unificazione delle norme, infine, evita le pericolose contraddizioni create dai conflitti di norme e incentiva
gli scambi. Tuttavia, essa sacrifica l’identità culturale e la riduzione del numero dei modelli in vigore,
restringendo i punti possibili di partenza e impedendo la concorrenza.

Il caso dell’Unione Europea


All’interno dell’Unione Europea, si vorrebbe cercare di giungere all’uniformazione del diritto (soprattutto
quanto riguarda le transazioni commerciali), in modo da eliminare il conflitto tra leggi diverse nello spazio.
Tuttavia, l’uniformazione del diritto presenta notevoli svantaggi:
- si riduce la possibilità di un miglioramento dell’ordinamento (venendo a mancare il dialogo tra
dottrine diverse) e nuove soluzioni si avranno solo con estrema lentezza;
- si andrebbe verso la necessità di sacrificare il diritto della minoranza in nome di un diritto comune,
sottraendo così soggetti a una regola che per questi era sempre stata applicata, creando un
processo di “deculturizzazione”;
- nel momento in cui il diritto viene uniformato, inoltre, non è detto che i giudici si adeguino alle
nuove regole e potrebbero (dovendo dare conto alla loro esperienza e al loro vissuto) trascinare le
nuove norme verso le vecchie norme. Un modo per superare questo ostacolo sarebbe quello di
avere un’unica corte, formata da moltissimi giudici: tuttavia, anche in questo caso non c’è la
sicurezza che questi aderiscano alle nuove norme senza farsi influenzare dalla loro formazione.
In ogni caso, non è necessario avere un diritto uniforme per cogliere dei vantaggi economici. Basti pensare
alla situazione degli Stati Uniti d’America: si tratta di uno Stato federale con diritti diversi, eppure il suo
mercato è il più integrato al mondo. Questo perché negli Stati Uniti c’è una tradizione giuridica comune:
ovunque si insegna un unico diritto e i principi cardine sono gli stessi per tutti.
In Europa, si insegna un diritto particolare in ogni Stato. Per questa ragione, molti sostengono che l’unica
soluzione possibile non sia tanto l’uniformazione del diritto, quanto avere una tradizione giuridica comune.

Un diritto unitario per l’Unione Europea


L’Unione Europea ha istituito molte commissioni con lo scopo di cercare un modo per avere un diritto
unitario, che non svantaggiasse gli scambi e che fosse unico e non frammentato. Creare un mercato interno,
ovvero un mercato in cui le merci possano circolare liberamente senza il bisogno di particolari norme e che
non abbia barriere, è lo scopo di queste commissioni. Tuttavia, rimane il problema di come far adottare
questo diritto a tutti gli stati membri dell’UE. Sono state viste due soluzioni plausibili:
- la soluzione più aggressiva è quella di avviare l’uniformazione dall’oggi al domani: con questa
soluzione, Bruxelles deciderà che il diritto sui contratti europei non sarà più quello dei singoli Stati,
ma apparterà a un nuovo codice.
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 Tuttavia, non si è comunque sicuri che sarà sufficiente per un imprenditore rivolgersi a un
solo avvocato per poter commerciare all’estero: la legge elaborata, infatti, non è
esattamente quella che poi viene applicata nel concreto, ma il concreto è influenzato da
altri elementi, dai formanti e dai giudici, i quali possono applicare la legge alla lettera
oppure interpretarla a seconda del loro retaggio culturale. Con l’andare degli anni,
formante giurisprudenziale e formante legale tenderanno a dissociarsi e ogni Stato si
dissocerà in maniera differente dall’altro, rendendo inutile l’uniformazione del diritto;
- la soluzione meno aggressiva è quella di avviare l’uniformazione dal basso: partendo dal basso ogni
giudice tenterà di aderire a quella particolare legge, poiché la sentirà come culturalmente sua.
Questo tipo di percorso è possibile uniformando la formazione del giurista, intervenendo sulle
università e insegnando un diritto uniformato: una volta che gli studenti, diventati ormai giudici, si
troveranno a praticare, applicheranno il diritto unitario che gli è stato insegnato, essendo parte
integrande del loro percorso di formazione.
 Il lato negativo di questa soluzione è che questo tipo di percorso richiederebbe moltissimi
anni. Per sopperire a questo problema tempistico, sono state create soluzioni intermedie,
che partano dall’alto facendo pressione anche sull’attuale generazione di giuristi.
Questo è l’obiettivo dell’UE, quello di creare un mercato interno (ovvero, un mercato in cui le merci
possono circolare liberamente) che sia uguale per tutti e che non abbia barriere. Questo mercato permette
alle merci di circolare con libertà anche da un punto di vista giuridico, senza necessità di costi aggiuntivi
(detti costi transattivi, ovvero costi di ricerca, esecuzione e negoziazione) derivanti dall’esistenza di più
diritti diversi necessari per far circolare i beni fuori dal territorio di origine.

Sono, comunque, da fare alcune considerazioni:


- se il diritto progredisce al punto di uniformarsi, avviene una riduzione radicale dei modelli con cui
potersi confrontare, portando a un rallentamento nel miglioramento del diritto, poiché non
esisteranno più ordinamenti con cui confrontarsi. Lo svantaggio dell’uniformazione è che questa
rende più difficile l’imitazione, la quale serve a migliorare il diritto e a migliorare il diritto
complessivo dell’ordinamento europeo.
- l’uniformazione ha come unica finalità il miglioramento del mercato, tuttavia, la situazione non si
può semplicemente concludere dicendo che una maggiore identità dei diritti equivale a una
maggiore funzionalità del mercato. Negli Stati Uniti, per esempio, esistono moltissimi ordinamenti
diversi con normative differenti, eppure, il sistema statunitense è tra i più efficienti dal punto di
vista economico. Tuttavia, nelle università statunitensi viene insegnato un diritto americano
comune e ogni studente conoscerà il diritto di tutti gli Stati americani. Per questo motivo, si può
concludere dicendo che un’identità di diritto porti una grande efficienza all’interno del mercato.

» La classificazione: raccogliere i sistemi in famiglie


Se si imita un diritto è chiaro che si penserà di importare un diritto applicabile nel proprio paese, quindi un
diritto più simile possibile a quello originario. Sarebbe, infatti, estremamente difficile cercare di importare e
adattare una regola che viene da un sistema lontano (ad esempio, sarebbe difficile importare in Italia le
leggi della Cina tradizionale, a causa del fatto che i due ordinamenti sono molto differenti).
È necessario, quindi, avere un’idea di come i sistemi sia aggregati, in modo da capire quali tra questi siano
simili tra loro e quali più lontani.

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Nella tradizione giuridica occidentale possiamo distinguere i sistemi in due grandi realtà:
- quella anglosassone, che riunisce Inghilterra, America e paesi affini;
- quella continentale, tipica dell’Europa Continentale.
Per raggruppare i sistemi e le traduzioni giuridiche si può ricorrere alla comunanza tra regole di condotta,
ad esempio, tutti i paesi in cui si guida a destra, ma queste scelte possono mutare, quindi è necessario un
sistema di raggruppamento più stabile.
È determinante, quindi, osservare la modalità e autorità dei formanti di un sistema che creano il diritto. Si
può, infatti, raggruppare i sistemi in base alla preponderanza del formante legislativo sugli altri o, come nel
caso del Common Law, la preponderanza del formante giurisprudenziale.
I formanti caratterizzano il sistema giuridico e, in particolare, caratterizzano i crittotipi. A seconda dei
processi mentali secondo cui opera un giurista, infatti, lo si può allocare in un sistema.

Molti sistemi simili tra loro vengono allocati in una famiglia di sistemi. La classificazione, tipica della
sistemologia (la scienza che studia i sistemi nel loro complesso) ha creato i primi tipi di classificazione
intorno agli inizi del Novecento, e i sistemi erano divisi in:
- famiglia romano-germanica: sistema in cui i giuristi si formano in università e il diritto insegnato è
quello giustinianeo e canonico, tipica dell’Europa Continentale;
- famiglia socialista: dopo che Lenin indirizza il paese verso un’indipendenza socialista questo
modello si diffonde prima Unione Sovietica poi in Cina, Vietnam, Cuba e altri paesi.
- La famiglia dei sistemi inglesi del Common Law: nato in Inghilterra, questo diritto si è radicato in via
consuetudinaria e il giurista inglese si formava a contatto con la pratica, tipica dei paesi come Stati
Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda e molti altri;
- sistemi misti: hanno soluzioni di altra origine, con elementi sia romanistici che anglosassoni;
- tutti gli altri sistemi, cioè le concezioni di ordine sociale e giuridico diverse dalle altre famiglie, come
la Cina classica, i sistemi tradizionali o i sistemi a regola religiosa.
Tuttavia, ogni classificazione è estremamente instabile, poiché ogni sistema muta in continuazione e nessun
sistema combacia strettamente con un solo modello.

La classificazione moderna
Oggi come oggi si hanno degli strumenti più adeguati per poter classificare le varie famiglie. Il metodo più
conforme alla valutazione del diritto è quello che verifica quando il diritto di un singolo ordinamento sia
influenzato dalla politica o dalla religione.
Volendo usare questo sistema, oggi si avrebbero:
- sistemi che non sono influenzati né dalla politica né dalla religione. Questo non significa che la
politica non intervenga, ma che, semplicemente, un sistema non è permeato su un’idea politica,
come può essere nel caso della vecchia Unione Sovietica. In questo tipo di paesi, politica e religione
sono elementi importanti, ma non hanno un’influenza forte nel sistema del diritto.
È chiaro che la politica interverrà all’interno della formazione del diritto, poiché un Parlamento è
formato da gruppi di partiti, i quali possono avere un certo tipo di ideologia che verrà trasmessa
alle leggi che verranno emanate. Allo stesso modo, nei paesi con un’influenza religiosa forte, certe
idee avranno un certo impatto sulle leggi prodotte, ma non ci sarà una sudditanza a una regola del
diritto rispetto alla regola politica o religiosa.
A questo gruppo appartengono tutti i paesi occidentali.

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- sistemi influenzati dalla politica: per esempio, esistono, tutt’oggi, paesi in cui il modello sovietico ha
grande influenza, come la Cina o la Corea del Nord;
- sistemi influenzati dalla religione: un esempio classico sono i paesi di matrice islamica, dove la
religione influenza radicalmente il diritto.

» Il Diritto Romano
Il diritto romano ha dato l’imprinting a tutto il mondo occidentale, in maniera più marcata nell’Europa
continentale e meno marcata nel mondo Anglo-Americano. Questo diritto, più primitivo rispetto ad altri
codici, esisteva già prima della fondazione di Roma, ma si evolve successivamente nell’età classica.
Si può fare una suddivisione temporale in tre macro-periodi:
- dalla fondazione di Roma nel 753 a.C. al 242 a.C.: in questo periodo, il diritto è essenziale e povero,
adatto al sistema economico rurale, di formazione prevalentemente consuetudinaria;
- il periodo preclassico e classico, dal 242 a.C. al 240 a.C.: in questo periodo, Roma diventa una
potenza egemone nel Mediterraneo e la società si evolve; oltre ai mores e alle leges, nascono gli
editti del pretore; le nuove fonti giuridiche sono i senatoconsulti e le costituzioni imperiali;
- il periodo post-classico, da 240 a.C. al 565 d.C., ovvero l’epoca di Giustiniano.

Del 753 a.C., cioè dopo la nascita di Roma, il diritto romano cominciò sempre più ad allontanarsi dal sistema
tradizionale (dalle tribù, gli sciamani e i conflitti rimessi al profilo sacrale) per muoversi verso una realtà
centralizzata embrionale, dove il diritto era orale e tramandato di generazione in generazione.
Le regole di condotta erano chiamate mores ed erano delle consuetudini, usi e costumi di quelle tribù che
diedero vita alla città di Roma. Nel mondo romano, la regola di condotta era la consuetudine, che non
aveva nulla di scritto e, per questo motivo, esistevano dei soggetti che avevano il compito di conoscere,
tramandare, applicare e fondere queste regole: il Re e i sacerdoti.

Le consuetudini
Le consuetudini sono regole orali che prendono vita con il reiterato comportamento che una
comunità osserva: si tratta di un comportamento reiterato e constante all’interno della comunità,
la quale è convinta che quel comportamento sia obbligatorio e che, nel momento in cui quel
comportamento non viene rispettato, ci sia un’eventuale sanzione.

Le Dodici Tavole
Nell’antica Roma, tra plebei e patrizi, soltanto i patrizi, che poi formarono il Senato, avevano il diritto di
intervenire, modificare o creare i mores, a seconda delle necessità della città. La società era organizzata in
famiglie, aveva un rex alla guida e la risoluzione dei casi era legata alla legge del taglione e ai mores.

Tuttavia, nel 450 a.C., la pressione delle classi più deboli fece sì che il Senato acconsentì a mettere per
iscritto le regole di condotta, in modo che esse fossero conoscibili da tutti. Nacquero così le Dodici Tavole.
Vengono nominati dieci magistrati, detti Decemviri, il cui compito era quello di raccogliere e mettere per
iscritto queste consuetudini.

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Le Dodici Tavole sono il primo diritto scritto di Roma e consentono di individuare i germi di un sistema
giuridico, che cerca di organizzarsi su una base nazionale. Esse contenevano regole di ogni tipo, ma
presentavano ancora alcune lacune, colmate ancora dal ricorso ai mores.

La categorie: diritto pubblico, privato e processuale


Anche se le Dodici Tavole non erano altro che un insieme di regole messe tutte insieme, considerato che i
romani, nel 450 a.C., non erano in grado di regolarizzare tutti i tipi di rapporti, oggi, siamo in grado di
dividere le regole presenti in più macro-categorie:
- il diritto pubblico: l’insieme di regole di condotta dove almeno uno dei destinatari è qualcosa di
“pubblico”, inteso come uno Stato nel suo complesso. Esso disciplina quali sono le responsabilità
dei singoli rispetto ai suoi rapporti con lo Stato e la pubblica amministrazione. Si tratta, infatti, della
normativa che disciplina i rapporti tra le persone e la pubblica amministrazione (come il
provveditorato, la sovraintendenza, la regione, il Comune o lo Stato).
Del diritto pubblico fanno parte anche:
 il diritto penale: lo Stato ritiene che alcuni comportamenti debbano essere sanzionati con
una sanzione più grave, ovvero la limitazione della libertà personale.
 quelle normative in cui lo Stato promuove alcune iniziative, come la costruzione di
un’opera pubblica, perché da una parte si trova lo Stato e dall’altra un soggetto privato che
si occupa dei lavori.
 il diritto costituzionale: il diritto della legge dello Stato. Questo perché la Costituzione
contiene le norme di tutto lo Stato, come il diritto singolo delle persone, il diritto alla parola
o il diritto di aggregazione, ma anche le norme di articolazione dello Stato, ovvero i diritti e
i doveri dei singoli organi statali.
 il diritto amministrativo: stabilisce le specifiche norme di rapporto tra pubblico e
amministrazione statale.
- il diritto privato: riguarda soltanto il privato, ovvero tutte quelle regole di condotta che riguardano
il comportamento che coinvolge soltanto i singoli privati, ma non il pubblico. Convenzionalmente, il
diritto privato viene diviso in:
 diritto commerciale: dedicato alle imprese. Di questa categoria fanno parte tutti i rapporti
tra società ed enti commerciali;
 diritto civile: dedicato ai singoli cittadini. Di questa categoria fanno parte i matrimoni, i
contratti, i divorzi e tutte quei rapporti che non hanno rilevanza commerciale;
Questo perché anche se cittadini privati, alcuni di questi svolgono un’attività commerciale specifica
ed è giusto che debbano sottostare a regole specifiche data la loro posizione. Esiste quindi un
diritto dedicato alle imprese e un diritto dedicato ai singoli cittadini.
- il diritto processuale: si rivolge a quelle regole dedicate a quei rapporti che fanno scatenare il
contenzioso che, in una realtà centralizzata e moderna, è affidato al giudice. Il giudice e le parti che
sono in causa possono risolvere il caso all’interno di una maglia di regole predefinita, ovvero il
diritto processuale stesso.

Il contenuto delle Dodici Tavole


La prima tavola tratta quello che oggi chiameremmo diritto processuale:

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1) Se un cittadino è chiamato a giudizio è obbligato a presentarsi, se non si presenta deve essere
catturato, se si sottrae o fugge dev’essere imprigionato, se è impossibilitato a presentarsi che gli sia
dato un mulo o una lettiga.
Ovviamente, questa regola oggi sembra arcaica, ma all’epoca si trattava di una regola molto sofisticata,
poiché mostra come si prestasse già attenzione a chi era chiamato in giudizio, pensando che fosse magari
impossibilitato a muoversi o camminare.

2) Per un debito riconosciuto, una volta emessa una sentenza, il termine di legge sarà 30 giorni, dopo i
quali il debitore sarà portato a giudizio. Se il debitore non paga, il creditore può prendere il debitore
come schiavo e venderlo al mercato. Se dopo tre giorni di mercato nessuno compra lo schiavo, il
creditore può fare a pezzi il debitore.
In una realtà come Roma, possiamo notare di avere già una biforcazione professionale: ci si accerta
dell’esistenza di un debito, si danno 30 giorni per eseguire il pagamento, e, passati questi 30 giorni, si
ritorna dal giudice. Anche se si tratta di regole processuali del 450 a.C., si può notare una raffinatezza che
non si trova altrove. Proprio grazie alla sua raffinatezza il diritto romano viene imposto e circola ovunque,
anche dopo la fine dell’Impero.

3) Se qualcuno impazzisce, il suo parente più prossimo maschio, e quelli della sa famiglia avranno il
contatto più prossimo di lui e della sua proprietà.
Anche se si tratta di una cosa che oggi può sembrare banale (quando qualcuno è incapace di intendere e di
volere è chiaro che verrà nominato un tutore per lui), bisogna ricordare che questo avveniva nella Roma
antica e ciò lo rendeva un diritto estremamente raffinato.

4) Quando qualcuno fa un accordo o un trasferimento lo annuncia oralmente e quindi potrà essere


tutelato in giudizio.
La formalità di questo tipo di regola è data dall’urlare una frase particolare, “Spondes?” (“Prometti?”) a cui
la risposta da dare era “Spondeo!” (“Prometto!”). In questo modo, al momento dell’accordo, si poteva
avere un testimone, il quale poteva dire di aver sentito le due parti accordarsi.

Dalla formalità all’informalità


Quando una società è raffinata, il diritto tende verso l’informalità più assoluta; più una società è
economicamente avanzata, più si andrà verso l’informalità. Questo succede perché le formalità
nascondono la necessità del diritto di comprendere cosa avviene con precisione.
Ad esempio, se gli antichi romani dovevano trasferire un oggetto, usavano la formula “Spondes?”
“Spondeo”, poiché si trattava di uno scambio con promesse rituali: questo tipo di scambio nasconde
l’incapacità del diritto romano di poter cogliere dei segni diversi dall’urlo di parole sacrali. Ciò significa che
la società romana aveva una velocità negli scambi che gli permettesse tale modalità. La società moderna,
infatti, non renderebbe possibile questo tipo di rito, in quanto richiede troppo tempo.
In sostanza, più una società è avanzata più si ha un diritto raffinato, in grado di comprendere se vi è stato
uno scambio anche senza che le parti si siano dette nulla.
In una società molto arretrata, invece, il trasferimento di beni incide sull’equilibrio della società stessa e,
per questo motivo, il trasferimento deve essere accompagnato dalla formalità: non può esistere incertezza,
ma deve essere tutto estremamente chiaro, perché si va ad incidere sull’equilibrio dell’intero sistema.

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Da un diritto orale a un diritto scritto
Dal momento in cui le Tavole prendono vita, la legge orale diventa una legge scritta: si tratta di un evento
epocale che si riproporrà soltanto intorno al XV secolo, in Francia.
La legge, ora, discende sempre meno dai mores, dalle consuetudini, e discende sempre di più dai legis, le
decisioni del senato, o dai plebiscita, i tribunali della plebe.
Il diritto scritto è qualcosa che caratterizza il diritto romano, ma che non è la normalità. Infatti, dalla caduta
dell’Impero Romano fino al XV secolo, in Europa, non si troverà un diritto scritto, ma si ripiomberà in un
diritto consuetudinario, orale e fatto di mores.

La figura del pretor


Dal 450 a.C. in poi il prevalere del diritto elaborato da un senato e dai plebiscita vede l’incrementarsi di
magistrati, consoli, censori e altre figure, tra le quali appare il pretore: il pretor (che oggi chiamiamo
giudice) era un magistrato che restava in carica circa un anno e, in quell’anno, aveva il compito di dirimere
le controversie fra cittadini. Si tratta del primo giudice con una funzione specifica.

All’interno dei sistemi a potere centralizzato si possono distinguere dei sistemi in cui vi è una scarsa
presenza di giudici e dei sistemi in cui vi è una consistente presenza di giudici, cioè soggetti che,
istituzionalmente, applicano il diritto elaborato da un potere centrale. Più sofisticato è il sistema, più i
giudici saranno presenti, meno sofisticato è il sistema, meno giudici ci saranno.
Il sistema più semplice, quindi, è quello dove il Re stesso risolve le controversie ed è l’iniziale sistema
romano. Tuttavia, quando questa funzione cominci a essere assegnata ad altri, vuol dire che inizia a esserci
una separazione di poteri all’interno del potere centralizzato, che manifesta un momento di sofisticatezza.

Gli edicta
Una delle questioni che accerta la presenza del diritto è la prevedibilità della decisione di un giudice: se si
conosce il comportamento del giudice, quella prevedibilità porta serenità e si capisce esattamente come
comportarsi. È essenziale, in un sistema che funzioni, che le decisioni del giudice siano prevedibili.
Per questa ragione il pretor, che veniva eletto ogni anno, forniva a tutti i cittadini romani informazioni su
come avrebbe risolto le varie questioni che sarebbero state poste alla sua attenzione. Informava, quindi, i
cittadini, su come avrebbero dovuto comportarsi e quali regole avrebbero dovuto rispettare.
Questo documento, che veniva fornito dal pretor, era chiamato edittum (editto) e ogni pretor ne elaborava
uno nuovo all’inizio di ogni mandato.
Con il passare del tempo, gli edicta di tutti i magistrati precedenti cominciarono ad essere raccolti dal
singolo magistrato all’inizio del suo mandato, che faceva sue tutte le soluzioni e le prospettive dei suoi
predecessori, aggiungendo modifiche personali riguardo a regole passate o novità che lui avrebbe applicato
durante il suo mandato.
Questo tipo di attività andò a formare un insieme sedimentato di decisioni e di informazioni che venivano
replicate, raffinate e modificate di volta in volta. Si tratta di un modo intuitivo di creare il diritto: il pretor
partiva da un particolare e da queste decisioni faceva emergere regole più o meno generali.
Il diritto romano, quindi, è stato parzialmente creato attraverso l’opera dei pretor.

Il diritto nato dal basso e il diritto nato dall’alto


Il diritto può essere creato dal basso o dall’alto:

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- può nascere dal basso, dalle decisioni dei giudici che si moltiplicano quotidianamente e si
sedimentano nel corso dei secoli, fornendo, alla fine, un insieme di tante piccole regole che fanno
ravvisare l’esistenza di regole più ampie;
- può partire dall’alto, con regole generali e astratte, le quali verranno poi applicate al caso concreto.
Queste sono le uniche due modalità possibili per formare un diritto.
In alcuni ambiti dell’Europa Continentale il diritto si è formato dall’alto, con una serie di regole generali e
astratte che poi servono a risolvere problemi concreti. Tuttavia, nell’ambito dell’Europa Insulare,
specificatamente in Inghilterra, le cose sono andate in maniera diversa: il diritto si è formato dal basso, da
tante piccole decisioni, come quelle prese dai pretor romani.

La nascita dell’Impero Romano


Durante il I secolo, la lotta fra Principe e Senato vede il Principe prevalere: nasce l’Impero Romano. La
vittoria porta alla sostituzione dell’autorità del Senato in favore dell’Imperatore: ora è lui a legiferare.
Al momento della salita al trono di un nuovo Imperatore, ogni volta, ciascuno di essi voleva elaborare un
diritto per l’intero mondo romano: da Adriano in poi, ogni Imperatore raccoglierà quelle che verranno
chiamate le Costituzioni, ovvero tutte quelle regole di condotta che dovevano governare il mondo romano.
Queste regole, che trovavano origine nelle Dodici Tavole, nelle elaborazioni dei pretor e nelle leggi
elaborate dal Senato, venivano sistemate dal singolo Imperatore che, successivamente, aggiungeva le
proprie regole. Da quel momento fino al periodo Giustinianeo, le Costituzioni si sono sedimentate, una
dopo l’altra, sono state ampliate, raffinate ed estese da ogni nuovo Imperatore.

Il Corpus Iuris Civilis o Corpus Iuris Iustinianeum


Dopo la caduta dell’Impero Romano, l’imperatore bizantino Giustiniano inserì, nel suo programma di
restaurazione della grandezza romana in tutti i possibili ambiti, anche il progetto di un generale recupero
della tradizione legislativa e giurisprudenziale precedente, finalizzato a un pieno riordino sia della prassi
giudiziaria sia dello studio universitario del diritto. Per questo motivo decise di elaborare una raccolta, che
potesse contenere l’intero corpo della giurisprudenza romana: si tratta del Corpus Iuris Civilis (anche detto
Corpus Iuris Iustunianeum o Corpus Iuris Giustiniano).
Il testo, redatto nel V secolo, rimase nascosto fino all’anno 1000, quando, a Bologna, dove venne fondata la
prima Università del mondo conosciuto, venne riscoperto dal giurista Irnerio, il quale decise di studiarlo e di
insegnarlo ai suoi discepoli.

Il Corpus è costituito da quattro parti o libri:


1. Institutiones – diviso in quattro libri, si tratta di un testo con funzione didattica: infatti, il suo
compito è quello di insegnare il diritto a coloro che erano dediti allo studio giuridico;
2. Digesto (o Pandectae, Pandette) – cinquanta libri che formano una grande antologia giuridica, che
raccoglie tutte le leggi e le decisioni dei giudici romani;
3. Codex – una raccolta di tutte le costituzioni imperiali, da Adriano a Giustiniano stesso;
4. Novellae Costitutiones – le costituzioni che Giustiniano aveva emanato successivamente al Codex.
Questi quattro libri formano il cuore del diritto romano. Trattandosi, infatti, di una raccolta principalmente
didattica, forniva, a coloro che si avvicinavano al mondo del diritto, delle preziose indicazioni su come era
strutturato il diritto romano.

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La struttura del diritto romano
Nel Corpus Iuris Civilis ritroviamo le tracce di una struttura che è ancora oggi presente in tutti i paesi
dell’Europa Continentale: il diritto romano, infatti, veniva diviso in quattro diverse porzioni, quattro libri,
quattro tipi di relazioni che dovevano essere disciplinate dal diritto:
1. la relazione tra persone: i poteri, i diritti e i doveri di una persona; come si relaziona con un’altra
persona dal punto di vista matrimoniale; cosa succede quando nasce o muore. Ci sono diversi tipi di
relazioni tra persone:
a. una relazione che non avesse contenuto patrimoniale: si tratta di norme che stabiliscono
quando una persona può essere considerata un soggetto del diritto, un’entità che può
esercitare dei diritti e avere pretese giuridiche (oggi si direbbe la maggiore età, ovvero quel
momento in cui si può essere effettivamente considerati soggetti autonomi di diritto);
b. una relazione interpersonale che non ha naturale patrimoniale, ovvero il matrimonio:
venivano qui raccolte tutte le formalità, le condizioni, per potersi sposare, le conseguenze
del matrimonio, gli obblighi giuridici e le conseguenze della procreazione;
c. la normativa sul venir meno di una persona: tutte quelle situazioni che danno luogo alla
possibilità di distribuire un patrimonio in favore di altri soggetti;
2. la relazione tra cose e persone: si occupa dei rapporti di appartenenza, cosa significa essere il
proprietario di qualcosa, avere dominio su un oggetto, fin dove si estende questo dominio e fin
dove questo si può limitare. Ad esempio, può disciplinare il rapporto tra due vicini, quando la mela
dell’albero del vicino A cade nel giardino del vicino B;
3. obbligazioni e contratti: una raccolta di tutte quelle situazioni che danno luogo a obbligazioni. Il
contratto è un accordo, un’obbligazione, invece, è qualcosa di più ampio, è un vincolo giuridico che
può costringere qualcuno all’adempimento di una prestazione specifica. I due sono molto simili, in
quanto il contratto è la fonte dell’obbligazione (ad esempio, nel momento in cui firmo un contratto
con un idraulico, sarò costretto a pagare a fine del lavoro e l’idraulico sarà costretto a terminare il
lavoro, poiché si è creato un vincolo giuridico, ovvero un’obbligazione).
a. Tuttavia, per i romani, il rapporto tra i due era qualcosa di più di quanto non sia oggi per
noi: l’obbligazione, infatti, non discendeva soltanto dal contratto, ma anche da altri eventi.
Dando corso a una certa attività, infatti, si era obbligati a terminare quell’attività, in quanto
il non terminarla poteva essere fonte di danno per l’altra parte. Ad esempio, se il vicino A
avesse cominciato a riparare il tetto del vicino B, sarebbe stato costretto a terminare il
lavoro, poiché una volta cominciato si sarebbe creata un’obbligazione.
4. azioni (responsabilità extra-contrattuali): sono inserite qui tutte le regole che danno luogo a un
obbligo di prestazione in assenza di tutto ciò che è presente nel terzo libro. Oggi, si tratterebbe di
una responsabilità extra-contrattuale, per danni cagionati a terzi con i quali non abbiamo obblighi
contrattuali. Per esempio, se un idraulico che non rispetta l’appuntamento dato a un cliente e la
casa del cliente si allaga, crea un danno al cliente stesso. Questo è un danno contrattuale, perché
gli obblighi non sono stati rispettati. Se, invece, un guidatore investe qualcuno per strada, non
esiste un contratto, ma si crea comunque un danno che, però, è extra-contrattuale. Il quarto libro,
quindi, contiene questo tipo di regole di condotta, che disciplinano tutti quegli eventi che sono
considerati extra-contrattuali.

Le regole, in conclusione, sono così ripartite:

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- Primo libro: regole riguardanti le persone;
- Secondo libro: regole riguardanti le cose;
- Terzo libro: regole riguardanti contratti e obbligazioni;
- Quarto libro: regole riguardanti le responsabilità extra-contrattuali;

La differenza fra il diritto dell’Europa Continentale e il diritto anglo-americano


In un caso concreto, un giudice che si trovasse a dover risolvere un caso fra due persone, guarderebbe nel
libro dei contratti, poiché i due potrebbero avere stipulato un contratto o avere un obbligo extra-
contrattuale. Tuttavia, non è sempre così, poiché il giudice potrebbe agire in due modi diversi:
- metodo induttivo: non esistendo regole di condotta e non avendo alcuna esperienza, il giudice si
trova a dover decidere cosa fare: in questo caso il diritto parte dal basso e il giudice deve risolvere
la questione con i suoi criteri di giustizia. Quando si troverà a dover risolvere un caso simile,
applicherà lo stesso criterio (modificandolo a seconda del caso);
- metodo deduttivo: esistendo un testo in cui si può cercare la regola, la prima attività da fare sarà
quella di ricercare a quale libro appartiene il caso da risolvere. Il modo di operare di questo giudice
sarà differente, poiché prenderà la regola generale e la applicherà nel particolare. È un’attività di
sussunzione: si prende il caso concreto, lo si mette in una categoria più ampia e, da quella categoria
più ampia, si scende nel dettaglio.
Questa è la differenza sostanziale fra il diritto dell’Europa Continentale, che usa un metodo deduttivo, e il
diritto del mondo Anglo-Americano, che usa un metodo induttivo.

La scuola di Bologna
Per molti secoli il diritto romano viene dimenticato, fino a quando, nell’anno 1000, a Bologna, viene
riscoperta la scienza giuridica. Nella prima Università europea, un giurista italiano di nome Irnerio, comincia
a insegnare ai suoi discepoli il Corpus Iuris Civilis.
Il Corpus racchiude un diritto ricco e articolato, in grado di soddisfare i bisogni di una società anche più
sviluppata e complessa di quella medievale. Tuttavia, dovendo farsi carico di problemi concreti,
l’interpretazione del testo non poteva essere letterale. Per questo motivo, i giuristi medievali, non
cercarono mai di individuare la vera regola di diritto romano, ma sia accaparrarono grande libertà verso il
testo, attribuendogli interpretazioni proprie a seconda dei casi. Mentre Irnerio e i suoi discepoli leggevano il
Corpus, infatti, il loro scopo non era quello di far nascere pratici del diritto, ma quello di formare dei
sapienti e diffondere l’esistenza del diritto romano.
Con l’andare del tempo, i discepoli di Irnerio si diffusero in tutta Europa, andando ad insegnare, nelle nuove
università (principalmente fondate da loro) il diritto romano.

Il Corpus comincia, quindi, a circolare in tutta Europa. C’è un grande fascino nei confronti del mondo
romano e, quindi, anche verso il suo diritto, soprattutto perché, sebbene esistesse un diritto medievale, si
trattava di un diritto orale, mentre il diritto romano era scritto. Inoltre, mentre il diritto dei popoli barbari
era estremamente frammentario, il diritto romano era un unico diritto per tutto il territorio.
In aggiunta, i monarchi dell’epoca non avevano interessi nel disciplinare i rapporti tra privati, poiché si
trattava di realtà orientate verso il feudalesimo. Non si avevano, quindi, delle leggi che regolassero i
rapporti tra privati, mentre, il diritto romano, era già munito di questa disciplina, nel dettaglio.
Tutto questo permette al diritto romano di circolare liberamente. Nel 1200, in Europa Continentale, quindi,
esistono due livelli di diritto: il diritto che circola nel mondo colto e accademico è il diritto romano.
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Dal diritto romano al giurista moderno
Il testo che, nell’anno 1000, viene riscoperto, permette di attingere alle regole di condotta necessarie per
un caso concreto. Questo testo è diviso in quattro libri e, queste macro-categorie, permettono di trovare
altre sotto-categorie per poter arrivare a una regola di condotta per un caso concreto.
Questa è la genesi del giurista dell’Europa Continentale: ha un testo prestigioso, si abitua
all’interpretazione di tale testo, opera secondo ragionamenti deduttivi.
Dal quel momento in poi, fino alla Rivoluzione Francese, il diritto romano verrà usato come un diritto
sussidiario, ovvero nei momenti in cui la consuetudine sarà carente.

Il diritto romano in Inghilterra


Anche in Inghilterra comincia a circolare il diritto romano, tuttavia, in Inghilterra esiste un diritto
locale particolarmente prestigioso, il quale impedisce al diritto romano di prendere il sopravvento.
Nel 1066, con la Battaglia di Hastings e l’arrivo di Guglielmo il Conquistatore e dei Normanni, il
mondo inglese vedrà dei risvolti diversi dal resto d’Europa: avverrà una centralizzazione del
potere delle corti centrali che andranno a elaborare un diritto ormai prestigioso. Per questo
motivo, in Inghilterra, si svilupperà una situazione diversa.

Il diritto romano e il diritto canonico


Oltre agli studiosi di Bologna, ciò che aiuta il diritto romano a circolare è la Chiesa, diffusasi in tutta Europa.
La Chiesa è uno Stato a sé, con le sue regole e le sue leggi, racchiuse nel diritto canonico, riformato nel XI
secolo con la Riforma Gregoriana.

La Chiesa pretende di regolare tutti i rapporti umani, di avere una giurisdizione esclusiva su di essi (ad
esempio, sul matrimonio). Quando si trovò a dover disciplinare i fenomeni umani che voleva controllare,
invece di creare delle nuove regole di condotta di punto in bianco, la Chiesa decise di fare sue le soluzioni
del mondo romano, adattandole alla realtà cristiana. Questo perché, a guardare attentamente, non c’è
molta differenza tra un contratto e un matrimonio, poiché ci dovevano essere comunque una serie di
condizioni perché questo fosse efficace. Il diritto canonico, quindi, plasma soluzioni e regole che
provengono dal diritto romano.

La circolazione del diritto canonico è molto più semplice rispetto a quella del diritto romano, poiché mentre
quest’ultimo circola in un contesto limitato (quello colto e delle Università), il diritto canonico circola
ovunque, e persino il popolo può conoscerlo. Tuttavia, prendendo spunto da regole del diritto romano, la
Chiesa diventa un veicolo di informazione inconsapevole del diritto romano stesso.

La Chiesa è una struttura capillare e molto ben organizzata, che si estende in tutta Europa. Mentre, nella
struttura federale dell’epoca, mancava la gestione della giustizia presso una corte centrale (la giustizia,
infatti, si limitava a iniziare e finire nel feudo di provenienza e non c’era alcun modo per qualcuno di
arrivare alla corte centrale), all’interno della Chiesa, i problemi potevano essere portati fino alla corte
centrale di Roma. La Chiesa, infatti, ha sempre messo per iscritto i suoi processi, su dei “documenti”, in cui
venivano inserite tutte le prove raccolte, le testimonianze e le informazioni sul caso in questione, che
dovevano viaggiare dal luogo di origine fino a Roma, dove il Papa o il vescovo gli avrebbero letti.

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Il processo romano canonico è quindi un processo scritto, che permette a Roma di dare una risposta a una
questione che era sorta a centinaia di chilometri di distanza.
La grande differenza, tra processo romano canonico e il diritto del mondo quotidiano, fatto di consuetudini
locali, si ha proprio in questo: la giustizia romano canonica era molto più sofisticata, era una giustizia vicina
a regole scritte, che permetteva ai problemi di “viaggiare”, senza che lo facesse il giudice.

La Magna Glossa
Gli allievi delle università Bolognesi, tornati nei loro paesi, cominciano a diffondere lo studio del diritto
romano, studiando e commentando il Corpus. I nuovi docenti avevano il compito di spiegare le singole
regole, a seguito di uno studio accompagnato da aggiunte, illustrazioni e commenti, che spesso venivano
segnati a fianco del testo. Questi commenti erano chiamati glosse, ovvero commenti fatti accanto al testo.
In questo periodo, in tutte le università europee, andò avanti questo processo di “commentare” le singole
regole, fino a quando non si arrivò alla compilazione di un testo intero, la Magna Glossa, per opera di
Accursio, il quale raggruppa tutte le glosse scritte dai più grandi studiosi di diritto romano, all’interno di un
unico grande testo di spiegazione.

La scuola dei commentatori


La scuola dell’epoca, chiamata Scuola dei Glossatori, ebbe il primo compito di illustrare i passaggi del
Corpus, per renderli comprensibili a chi li leggeva. Esaurita la spinta di questa scuola l’intento si spostò: una
volta commentato ogni singolo passaggio era necessario capire se i passaggi comunicassero fra di loro. A
questo punto, l’opera doveva essere sistematizzata. Nacque la Scuola dei commentatori, i quali avevano il
compito di sistematizzare meglio quella che era già la divisione base del Corpus (la divisione in persone,
cose, contratti e relazioni extra-contrattuali).

Conclusioni
Il XV e il XVI secolo furono secoli importantissimi per il diritto romano, in quanto questo venne reso più
sofisticato e diventò un insieme di regole utilizzabili e non più qualcosa di bloccato all’epoca dell’Impero
Romano, ma qualcosa di utilizzabile anche nella modernità.
Con il passare del tempo, anche l’ultima scuola perdette vigore. Fuori dalle università si sviluppò un
tentativo di gerarchizzare il diritto all’interno degli Stati stessi. Lo Stato del V e VI secolo ha ormai
un’amministrazione più organizzata e strutturata rispetto a prima: ciò che prima erano le corti feudali
vengono sostituite da corti organizzate dallo Stato, da grandi tribunali che si rivolgono a una corte centrale.
Scompaiono le consuetudini locali e il diritto romano viene utilizzato in via sussidiaria come strumento
ultimo per risolvere problemi che non trovano soluzione nella regola esistente o nel diritto consuetudinario.
Lo studioso accademico è sempre più interessato a ciò che avviene nelle corti e meno interessato a
studiare: si passa dalla competenza finalizzata al sapere accademico a una competenza finalizzata all’uso
all’interno dei processi. Questi, ormai non più gestiti da signori locali, necessitavano di qualcuno che
difendesse le varie parti, qualcuno che avesse una conoscenza delle regole e di come applicarle: nasce la
figura del consulente, che diventa, lentamente, la figura dell’avvocato.

» Il Sistema Francese
La Francia fu il primo paese a elaborare un codice civile che potesse essere definito “moderno”. Un codice
civile, infatti, è un testo che contiene tutte quelle regole che disciplinano i rapporti tra privati. Non è

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semplicemente un testo in cui si trovano delle regole, comunque, ma un testo in cui le regole sono disposte
in maniera sistematica, in questo caso, secondo il criterio delle istituzioni romane.

Dopo la caduta dell’Impero Romano, diversi popoli occupano la Francia:


- a sud si stabiliscono i visigoti e i burgundi, i quali rimangono particolarmente legati alle tradizioni
romane, mantenendo quel diritto come un diritto locale, poiché questo ormai è diventato un diritto
consuetudinario, per quella particolare zona.
 In realtà, per il sud, questa fu più che altro una scelta di comodo, in quanto le popolazioni
della zona erano abituate al diritto scritto e i visigoti e i burgundi, per non creare possibili
conflitto, decisero di permettere l’utilizzo di quel diritto scritto;
- a nord si stabiliscono i franchi, che cercano in ogni modo di applicare le loro consuetudini. Il nord,
infatti, risultò già più difficile per i romani da conquistare ed era, quindi, più impermeabile
all’influenza romana, permettendo alle abitudini dei franchi di attecchire con più facilità.
 Le consuetudini adottate a nord, tuttavia, erano quelle di un popolo nomade e questo
rendeva difficile il commercio. Per questa ragione, il mondo mercantile continuò ad usare il
diritto romano, in quanto più funzionale. Di conseguenza, gli abitanti del nord decisero di
usare il diritto romano nei rapporti mercantili e quello consuetudinario nei rapporti privati.
Tra il X e l’XI secolo, questa spaccatura si consolida sempre di più: nel sud della Francia vigeva una realtà
con un diritto romano ancora importante, un diritto scritto; nel nord della Francia, soltanto il diritto
consuetudinario era presente e il diritto romano veniva usato soltanto per il commercio.
Quello che avviene, in sostanza, è che a sud ci fu un’immediata assunzione delle regole del diritto romano,
mentre a nord il processo risultò più lento e spesso ostacolato dai barbari (che, addirittura, ne bandiscono
lo studio). Tuttavia, quando il diritto consuetudinario non trovava soluzioni, si applicavano anche a nord le
regole del diritto romano, il quale era applicato in maniera sussidiaria.
La Francia era quindi caratterizzata da questa spaccatura tra paesi del diritto delle consuetudini e paesi del
diritto scritto.

Il diritto commerciale e marittimo


Ad un certo punto, c’è volontà di uniformare diversi settori del diritto, in quanto diventava sempre più
difficile individuare la regola da seguire ogni qual volta ci si scontrava con delle diversità. Dal momento in
cui si usciva da un ambito territoriale, dove si applicava una determinata consuetudine, ci si doveva
scontrare con la diversa consuetudine applicata sullo stesso argomento.
Tra il ‘600 e il ‘700, quindi, vengono rese uniformi talune materie del diritto commerciale e marittimo, con
una serie di ordinanze regie atte a regolamentarle. Il diritto, dal punto di vista civilistico, continua però ad
essere frammentato. Prima della Rivoluzione Francese si può parlare di diritto comune, anche se non
uniforme e con una serie di punti di contatto che riguardano tutta la Francia.

L’Ordinanza di Montil-les-Tours
La situazione prosegue fino alla fine del XV secolo, quando la compresenza di moltitudini di regole differenti,
comincia a creare un’eccessiva confusione.
Nel 1454, Carlo VII, re di Francia, con l’Ordinanza di Montil-les-Tours, dà disposizione che tutte le
consuetudini del regno (chiamate costumes) venissero raccolte e messe per iscritto: le regole non furono né
modificate, né cancellate, ma scritte come già erano. Questo tipo di lavoro crea molteplici conseguenze:

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- l’accesso al diritto è più agevolato: mentre prima per conoscere una consuetudine era necessari
recarsi nel preciso posto in cui questa era in uso, per poterla giudicare, ora che le consuetudini
erano tutte scritte, era molto più semplice capire la regola in uso;
- avviene una cristallizzazione delle regole: la consuetudine è lo spirito di un popolo e con esso
cambia e continua ad aggiornarsi. Mettendo le regole per iscritto, questa capacità di evolversi viene
a mancare, sedimentando la regola così com’è.

Così, le corti francesi iniziano ad avere a disposizione uno strumento scritto. Tuttavia, questo tipo di lavoro
ha qualcosa di più sostanziale dell’essere semplicemente “scritto”, ovvero la capacità di creare un’unica
legge sistematica per tutto il territorio francese. Tuttavia, questo richiese un certo processo.

La soluzione parigina
Le regole del diritto consuetudinario, tra il XV e il XVI secolo, erano preferiti presso le corti francesi. Le corti
francesi, ovvero i Parlements, erano inizialmente quattro, ma ne furono, successivamente, creati altri.
All’interno di queste corti operavano gli aristocratici, giuristi che venivano chiamati “la nobiltà di toga”, i
quali erano considerati come funzionari a cui doveva essere demandata l’applicazione del diritto.
Uno di questi parlamenti, situato a Parigi, era quello più vicino al re: non si trattava, comunque, di una
corte centrale, ma essa si occupava esclusivamente di ciò che accadeva a Parigi (così come le altre corti si
occupavano delle proprie giurisdizioni). La classe dei giuristi era considerata la classe più prestigiosa
dell’epoca e legittimava questo parlamento, poiché soltanto così il sistema a potere centralizzato poteva
funzionare. Iniziano a nascere famiglie intere di avvocati e giuristi, legittimate addirittura dal re stesso, il
quale traeva vantaggio nella legittimazione della corte.
La sua vicinanza al re, rendeva la Corte Parigina estremamente prestigiosa. Questo fece sì che tutte le
decisioni assunte da Parigi diventassero decisioni di prestigio, un prestigio dato dal riverbero del potere
regio. Questa Corte assume, quindi, un certo livello di prestigio agli occhi di tutta la Francia.
A questo punto, i giudici di tutta la Francia cominciarono a imitare le scelte della Corte Parigina, poiché, a
causa del suo prestigio, questi ne facevano una guida da seguire.
Si arriva al punto in cui, mentre prima il procedimento normale per applicare una soluzione era interpellare
il re e poi applicare consuetudini locali e/o diritto romano in via sussidiaria, ora, invece di applicare il diritto
romano, viene presa come riferimento la soluzione parigina: si utilizzano, quindi, le regole consuetudinarie
della Corte di Parigi come punti di riferimento, finché, lentamente, in tutte le corti di Francia si inizia ad
applicare la lettura della Corte Parigina.

A ridosso della Rivoluzione Francese, il diritto francese è più o meno del tutto omogeneizzato in tutto il
territorio. Si trattava di un diritto ormai scritto, non più consuetudinario e orale. L’omogeneizzazione è la
conseguenza del prestigio della Corte Parigina, le cui consuetudini vennero prese a esempio da altri giudici,
che presero le stesse regole e le applicarono su tutto il territorio.
Questo moto di unificazione del diritto francese è di natura politica: la Francia, infatti, fu l’unico paese con
un forte potere centrale, grazie al quale si è potuto disporre della raccolta di consuetudini. Sempre grazie al
potere centrale, è stato possibile che il Parlamento di Parigi ottenesse la legittimazione anche sulle altre
corti e ha fatto anche sì che si disponesse di ordinanze uniche in campo commerciale.

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La Rivoluzione Francese
Con l’arrivo della Rivoluzione Francese c’è un momento di sovvertimento sociale ed economico. Con la
distruzione dell’Ancien Régime, l’Assemblea Costituente pensa di elaborare delle regole nuove, che vadano
a sostituire quelle che garantivano i privilegi dell’Ancien Régime:
- elimina le rendite feudali;
- elimina i privilegi del primogenito;
- elimina la possibilità di fare testamento e/o donazioni.
Queste regole erano dirette a sottrarre la ricchezza dalle mani delle poche famiglie che la detenevano.
Inoltre, queste regole facevano sì che non ci fosse possibilità di fossilizzare le ricchezze all’interno di
famiglie singole.

Uguaglianza e libertà
Tra le parole d’ordine della Rivoluzione ci sarà quella di uguaglianza: uguaglianza dal punto di vista giuridico
e di fronte a una legge che vede tutti uguali. Mentre durante l’Ancien Régime il diritto si basava sulla
persona e la legge era diversa a seconda del destinatario, con la Rivoluzione Francese si demolisce questo
principio in favore di un principio di uguaglianza per tutti di fronte alla legge.
Accanto al principio di uguaglianza, appare il principio di libertà, la libertà di poter fare ciò che si vuole,
essere ciò che si vuole, senza essere più legati o limitato dallo Stato.
Entrambi i principi hanno un profilo socio-economico e culturale estremamente positivo, perché
permettono il venir meno dell’idea che alcune persone siano diverse da altre o che alcune persone siano
soggette a limitazioni nell’espressione delle proprie potenzialità.
Tuttavia, hanno anche degli aspetti negativi: essendo tutti uguali davanti alla legge, questo vuol dire che il
diritto non può più dedicare leggi particolari e che ogni legge è uguale per tutti. Purtroppo, però, non
esistendo un principio di uguaglianza sostanziale fra tutte le persone, è inevitabile che qualcuno finisca per
sfruttare a proprio vantaggio l’uguaglianza di fronte alla legge e che approfitterà della sua libertà di
rapportarsi con gli altri senza l’intervento dello Stato.
Dicendo che siamo tutti uguali davanti alla legge, si implica che nessuno ha alcun tipo di protezione
differente dagli altri (ad esempio, un lavoratore sarà trattato ugualmente al so datore di lavoro, nonostante
la loro posizione sia differente) e chi si troverà in una posizione sociale di forza approfitterà di questa
uguaglianza a favore dei propri interessi.
Si dovrà aspettare la fine del 1800 perché ci si accorga che l’idea di uguaglianza assoluta crea problematiche
sociali e che è necessario che sia ripensare.

Le soluzioni della Rivoluzione


Per capire come sia possibile tradurre nel concreto i concetti di libertà e uguaglianza, occorre fare alcuni
paragoni sulle consuetudini del precedente Ancien Régime:
- il primo provvedimento riguardava la primogenitura: nell’Ancien Régime era normale che l’eredità
venisse trasferita solo al primo figlio maschio: in questa maniera la ricchezza non usciva dalla
famiglia. Inoltre, i figli illegittimi non erano presi in considerazione, poiché la religione non
riconosceva i figli che erano stati avuti fuori dal matrimonio.
Per scardinare questa regola i rivoluzionari fecero sì che la ricchezza fosse distribuita equamente fra
tutti i figli, sia legittimi che illegittimi. In questa maniera, la ricchezza si sarebbe dispersa fra tutti i
figli, i nipoti e, infine, a tutta la popolazione.

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Ovviamente questa mossa non fu vista di buon occhio e persino i giudici, abituati alle consuetudini
in vigore fino a poco prima, non applicarono le regole come avrebbero dovuto. Ci furono, infatti,
moltissimi tentativi di eludere la regola: tra questi il testamento, che permetteva di scegliere a chi
lasciare il proprio patrimonio, e la donazione, che permetteva di donare il proprio patrimonio a chi
si desiderava. La soluzione dei riformatori parigini fu quella di bandire anche testamenti e donazioni.
Occorre fare due considerazioni a riguardo:
 per assicurare che la ricchezza venisse distribuita equamente si interviene con una
normativa molto forte, che vieta sia la donazione sia il testamento e tutto sarà distribuito in
maniera automatica;
 per evitare che la regola venisse elusa, il legislatore doveva prevedere le forme elusive che
potevano essere messe in atto per evitare di incorrere nel divieto e doveva essere, quindi,
molto cauto.
- un secondo provvedimento prevedeva la parità di trattamento dei figli: illegittimi o legittimi, tutti i
figli erano uguali. Questa cosa scontentò moltissimo la Chiesa, che, tuttavia, era stato uno dei
soggetti nei cui confronti era stato operato il sovvertimento economico-sociale e alla quale erano
stati sottratti e perquisiti tutti i beni;
- un terzo provvedimento vede la parità di uomo e donna all’interno della famiglia, per cui decade il
concetto di patria potestà;
- un altro importante provvedimento fu quello adoperato nei confronti delle proprietà: all’epoca, la
proprietà era una sorta di facoltà di ottenere la terra. Questa era suddivisa tra molte persone: c’era
chi possedeva effettivamente la terra e c’era chi, pagando un’aliquota al “proprietario”, poteva
coltivare quella terra. Si trattava di una proprietà frammentata, divisa tra coloro che ne usufruivano.
Con la Rivoluzione Francese la proprietà diventa qualcosa di unico: il proprietario era l’unica
persona che poteva esercitare la proprietà su quel bene e aveva tutti i diritti di godimento e
disposizione; poteva addirittura distruggere il bene, cosa che non poteva essere fatta in una
proprietà frammentata, in quanto molti soggetti usufruivano di tale bene.

Il Tribunale di Cassazione
Con le nuove riforme, i nuovi legiferatori si trovarono davanti a un grosso problema: essi legiferavano
ancora all’interno di un ambiente ostile, ancora legato a regole di condotta completamente diverse.
Trattandosi di una rivoluzione, i giudici si trovarono a dover applicare regole diverse da un giorno all’altro,
con il risultato che molti non attendevano alla nuova regola, ma continuavano ad applicare quella vecchia.
La situazione preoccupò i riformatori al punto di spingerli a istituire un organo che avesse il compito di
verificare che il giudice applicasse la nuova regola di condotta. Il nuovo organo (che non era un organo
giudiziario, quindi non aveva né una corte né un giudice) prese il nome di Tribunale di Cassazione.
L’assonanza con quella che è oggi la Corte di Cassazione italiana e francese è molto forte, infatti, entrambe
sono una derivazione di questo organo. Ancora oggi, sebbene ora formata da giudici e non da semplici
“controllori”, la Corte di Cassazione si occupa ci controllare che i giudici applichino la legge correttamente.
In una divisione classica dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), il Tribunale si trovava a metà fra il
giudiziario e legislativo, poiché controllava se il potere giudiziario avesse applicato correttamente ciò che
era stato elaborato dal potere legislativo.

Il Tribunale di Cassazione, comunque, non applicava la legge corretta qualora si fosse rivelata scorretta la
soluzione applicata dal giudice, ma, semplicemente, si occupava di informare il giudice del fatto che la legge
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era stata applicata male. Infatti, il compito del Tribunale era prevalentemente didattico, in quanto
insegnava ai giudici come applicare la legge.
In termini strettamente tecnici, il Tribunale re-inviava il fascicolo del caso che aveva controllato al giudice
che aveva sbagliato l’applicazione, affinché egli provvedesse ad applicare la legge correttamente.
La Corte di Cassazione moderna ha lo stesso compito e lo adempie allo stesso modo: non solo valuta se la
legge è stata applicata in maniera corretta, ma procede anche a rinviare il fascicolo al giudice.

È chiaro, comunque, che questo sistema non è per niente efficiente, in quanto, in un sistema con carenze in
termini di tempistica di assolvimento all’obbligo di assicurare la giustizia, così facendo i tempi si allungano
considerevolmente. Tuttavia, eliminare questo meccanismo non è facile, in quanto esiste ormai una
tradizione culturale, secondo la quale ci si aspetta che il giudice di Cassazione si occupi di controllare se la
legge viene applicata correttamente.

Il Codice Napoleonico
Nel 1799, il colpo di Stato da parte di Napoleone Bonaparte cambia di nuovo la situazione francese.
Napoleone, tra i suoi obiettivi, ha quello di portare assolutamente all’uniformazione il diritto privato
francese (quello mercantile era stato uniformato grazie alle numerose ordinanze regie, nel corso degli anni).
Prima di lui, molti tentativi vennero fatti a riguardo, ma nessuno di questi andò a buon fine.
Nel 1804, finalmente, Napoleone diventa console e riesce a promulgare un Codice Civile, detto anche
Codice Napoleonico, il quale riprende dal diritto romano per quanto riguarda la categorizzazione.

Napoleone, che seguiva ancora la logica di fondo della rivoluzione, ripudiava l’idea che le regole fossero
appannaggio soltanto dei giuristi accademici colti e, per questa ragione, decise che il codice doveva essere
redatto in un lessico particolarmente accessibile a tutti, in modo che ogni cittadino potesse comprenderlo.
Il linguaggio del codice, infatti, era coeso ed elegante, i principi generali erano espressi efficacemente e fu
redatto nella lingua francese dell’epoca, supponendo istituita una lingua nazionale tra sovrano e cittadini.

La struttura del Code Civil


Il Codice Napoleonico è suddiviso in circa 2000 articoli, divisi in 3 libri:
- persone;
- beni e proprietà;
- modalità di compravendita delle proprietà (il volume più importante).
Questi tre libri richiamano chiaramente i libri del Corpus Iuris, che riproduceva la divisione tra settori
all’interno del diritto romano.

Nel redigere un testo di legge si possono incontrare due tipi di problemi:


- il primo è quello di essere esageratamente generici, astratti al massimo grado;
- il secondo è quello di essere estremamente concreti, scendendo nei particolari con molti dettagli.
Il Codice Napoleonico trova una soluzione intermedia: ci saranno, infatti, regole con un grado di astrazione
molto ridotto, ma che non saranno del tutto casistiche, poiché, avendo come destinatari tutti i cittadini, il
cittadino singolo potrebbe avere difficoltà a capire quale comportamento tenere di fronte a una regola
esageratamente astratta; se, invece, si è esageratamente casistici, probabilmente il cittadino saprà come
comportarsi per un aspetto, ma non saprà come farlo per molti altri.

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Il Codice Napoleonico è considerato il primo codice dell’età moderna, perché fa proprie quelle regole che
l’Ancien Régime non conosceva, regole elaborate, in parte, durante il periodo rivoluzionario.
Proprio perché fu il primo codice, non ebbe modelli di riferimento, ma sarà un modello di riferimento per
molti altri codici che verranno dopo.
Proprio a causa del fatto che non ebbe alcun modello di riferimento, ha uno stile particolarmente semplice
ed è molto impreciso. Si tratta di un codice lacunoso, che non scende troppo nel dettaglio e che lascia al
giudice la libertà di interpretare. Tuttavia, la sua imprecisione è la sua caratteristica principale:
- ci sono molte regole, molte eccezioni, non si tratta di un codice “geometrico”;
- in esso si possono trovare termini che hanno un’eccezione in un articolo e un’eccezione in un altro;
- è un codice lacunoso, con alcuni settori disciplinati adeguatamente e altri soltanto tratteggiati;
Proprio grazie a queste sue caratteristiche, il codice è vigente tutt’oggi in Francia, dove non è mai stato
ritoccato ed è ancora il testo del diritto.

I compromessi di Napoleone
Nel redigere il Codice, Napoleone non abbandonerà i principi della Rivoluzione; infatti, manterrà l’idea che
il centro d’imputazione è il cittadino singolo, ai quali il Codice si applica a prescindere dal loro status sociale.
Durante la redazione del Codice, Napoleone si accorse che l’idea dei rivoluzionari di ridistribuzione era
eccessiva e cercò una via di mezzo, scendendo ad alcuni compromessi:
- reintrodusse il testamento e le donazioni, a patto che la ricchezza del defunto fosse ripartita: figli,
coniugi o parenti vicini, dovranno obbligatoriamente ereditare una quota del patrimonio di colui
che muore, a seconda del numero degli eredi. Non sarà più, quindi, la ridistribuzione dell’intero
patrimonio, ma soltanto una quota di esso, mentre il resto rimarrà libero di essere oggetto di
testamento o donazione. Si tratta di una soluzione di compromesso valida ancora oggi nel Codice
Civile Italiano e nei tanti codici influenzati dal modello francese;
- rivisitò la questione del matrimonio: il matrimonio, durante l’Ancien Régime, era appannaggio delle
corti ecclesiastiche, le quali si occupavano di gestirne ogni problematica; esso era indissolubile e
non poteva finire se non per morte o annullamento disposto da una corte ecclesiastica. I
rivoluzionari, nel loro moto contro la Chiesa, disposero la possibilità di dissolvere il matrimonio,
come se questo fosse un normale contratto tra persone. Napoleone, sotto le pressioni della Chiesa,
non eliminerà la possibilità di dissolvere il matrimonio, ma la renderà più complicata;
- allo stesso modo, sempre sotto le pressioni della Chiesa, reintrodurrà la differenza tra figli legittimi
e illegittimi, non più considerati ora sullo stesso piano;
- ancora, un compromesso con la Chiesa, fu quello di rimettere la famiglia sotto il controllo del padre,
reintroducendo la patria potestà.
Per poter mantenere il suo potere, Napoleone fu, quindi, costretto ad accontentare una serie di persone
rimaste scontente dopo la rivoluzione e, per questo motivo, durante la redazione del Codice Civile fu
costretto ad introdurre questi mutamenti.

Il principio consensualistico - L’art. 1583 e la proprietà


Una delle cose più importanti del Codice Napoleonico riguarda la proprietà.
Il contratto, fin dall’antichità, è il modo in cui è possibile cedere la proprietà di un bene verso altri. Durante
il periodo romano, proprio perché il trasferimento di beni trovava origine in un momento tradizionale, il
fatto che un oggetto passasse fisicamente a un’altra persona era fondamentale affinché questa ne potesse
assumere la proprietà. Era importantissimo che il segnale di scambio fosse chiaro, che ci fossero testimoni e
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che il passaggio fosse fisico (ad esempio, per trasferire un terreno era necessario mettere nelle mani
dell’altra persona una zolla di terra).
Tuttavia, questo tipo di processo comportava dei rischi, in quanto, c’è dissociazione temporale fra il
momento in ci si accorda e il momento in cui la persona diventa effettivamente proprietaria del bene. La
ritualità, infatti, portava con sé la sicurezza che l’accordo fosse avvenuto, ma richiedeva una lentezza nel
trasferimento dei beni e un appesantimento della circolazione di questi ultimi. Inoltre, il bene si sarebbe
potuto danneggiare prima dello scambio effettivo, comportando rischi non indifferenti.
Questa situazione, che poteva andare bene per una società tradizionale come quella romana, era un
problema enorme per una società moderna come quella francese post-rivoluzione. Per questo motivo,
Napoleone eliminò la dissociazione temporale tra i due momenti, rendendo il momento dello scambio del
consenso il momento in cui si trasferisce effettivamente la proprietà.
Introduce, quindi, l’art-1583 del Codice Napoleonico, il quale oggi riguarda anche altri ordinamenti:
Il passaggio della proprietà si ha con lo scambio del consenso, è perfetta tra le parti e la proprietà si
acquista di diritto dal compratore una volta convenuto l’oggetto della vendita e il prezzo, ancorché la
cosa non sia stata consegnata e il prezzo non sia stato pagato.
Il principio consensualistico è un principio nuovo, rivoluzionario rispetto alla tradizione romanistica per cui
c’era un momento di scambio del consenso e un momento di consegna. Con il Codice Napoleonico, il
passaggio di proprietà avviene con lo scambio del consenso: una volta convenuti l’oggetto e il prezzo, in
quel preciso momento, la proprietà passa all’acquirente.

Alcuni articoli del Code Civil


Vediamo alcuni articoli del Codice, per mostrare come si legiferava all’epoca:
1. Nelle città e nelle campagne, tutti i muri che sono di separazione tra edifici, si presumono di
comproprietà tra i vari proprietari, se non risulta diversamente. Se la sommità del muro devia, la
proprietà dell’edificio è verso cui la sommità devia.
La proprietà del muro serviva soltanto a stabilire di chi fossero eventuali spese.

2. Tutte le volte che una siepe si trova a confine, i prodotti appartengono a entrambi i proprietari.
Uno dei problemi di questa regola è la divisione nel concreto: non è possibile capire se si dovesse dividere
l’intero ricavato o si dovesse dividere ogni prodotto singolarmente. Il Codice fissa il principio di
comproprietà, ma non spiega come si applica la divisione.

3. Il contratto di mandato è il contratto in forza al quale una persona compie (…) alcuni atti, in nome e
per conto di un’altra. Il contratto si perfeziona con l’accettazione del mandatario. L’accettazione del
mandato può anche essere tacita e risultare dall’attività che si esegue.
Con un mandato è possibile compiere atti o attività a nome o per conto di qualcuno. L’accettazione di un
mandato deve essere formale, esplicita. È necessario, comunque, valutare i fatti e, se sono concludenti per
quanto è stato richiesto dal mandatario, anche senza l’accettazione esplicita, il contratto è stato concluso.

I problemi dell’interpretazione
Il Codice Napoleonico è stilisticamente perfetto, non usa tecnicismi ed è appannaggio di tutte le classi, con
il suo stile semplice che lo rese accessibile a tutti. Siamo davanti a un diritto raffinato, chiaro, dove le
problematiche risultano deducibili dal testo.

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Tuttavia, in quanto primo codice mai prodotto, possedeva anche delle limitazioni: ci sono delle lacune
marcate, ambiti trattati in maniera incompleta e ambiti neanche trattati.

L’interpretazione di una norma può avere varie accezioni:


- può essere interpretata letteralmente;
- può avere un’interpretazione estensiva, restrittiva o analogica: nel momento in cui si nota una
lacuna nella norma, e si trova una norma elaborata per un caso simile, si suppone che il legislatore,
qualora si fosse espresso anche sulla norma mancante, si sarebbe espresso allo stesso modo. Si usa,
quindi, un’analogia;
- può essere interpretata in maniera realistica: si cerca di capire la finalità della norma e, sulla base di
quella, la si estende o la si riduce.

I rivoluzionari, inevitabilmente, pretendevano che le norme fossero interpretate in maniera letterale:


avendo sovvertito un ordine precedente, cercarono di sovvertire anche il diritto.
Per evitare che un giudice interpreti la norma a suo piacimento, un’interpretazione legale era l’unica
opzione possibile, poiché assicurava che ogni giudice applicasse la regola alla lettera senza strattonarla.
La preoccupazione dei rivoluzionari era tale da far si che questi istituissero un organo, il Tribunale di
Cassazione, il quale si occupava di verificare che i giudici applicassero la norma correttamente.

Anche Napoleone, sebbene non fosse un rivoluzionario, voleva che il suo codice venisse interpretato alla
lettera e non voleva che alcun tipo di interpretazione fosse possibile.
Quest’obbligo di interpretazione letterale veniva chiamato la grandeur francese, ovvero l’ostentazione della
presunta perfezione del popolo francese. Nell’ottica di Napoleone, infatti, che sosteneva la perfezione
assoluta del suo Codice, non era necessario interpretarlo in maniera differente da come lui l’aveva scritto,
poiché questo era il prodotto del popolo francese, un popolo perfetto, sintetizzato da una commissione
nominata da lui stesso, che era il dittatore perfetto.

La Scuola dell’Esegesi
Si ripropone, a questo punto, la stessa cosa che si diceva del diritto romano: il Corpus Iuris era un testo
completo, che permetteva di trovare una soluzione per qualsiasi caso si presentasse.
I commentatori del Codice, comunque, si dimostrarono più estremisti dei redattori, i quali si resero conto
che il codice non poteva regolare ogni cosa e che fosse necessario lasciare un certo spazio ai giudici. Per i
commentatori, invece, il Codice era completo e non si potevano tollerare rivendicazioni di autonomia da
parte degli interpreti, altrimenti ci sarebbe stata una discontinuità fra legge e diritto.
Questi commentatori formarono una scuola, chiamata Scuola dell’Esegesi (L'Ecole de l'Exégèse) (“esegesi”
significa interpretazione e lettura di un testo), la quale propugna l’idea che il Code Civil fosse un codice
perfetto, che non richiedeva alcuna interpretazione, e le quali regole dovevano essere applicate alla lettera.
Il loro lavoro contribuì ad eliminare le lacune del testo, a precisare il significato di alcune disposizioni legali
e a dotare di un senso altre che ne mancavano del tutto.

Questa scuola non scompare con Napoleone, proprio perché l’idea è il prodotto di un’intera cultura, e
continuerà a produrre adepti e soluzioni fino alla fine dell’Ottocento. Per tutto l’Ottocento, infatti, i giuristi
francesi affermeranno che il Codice Napoleonico è un codice perfetto, che non richiede interpretazione.

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Naturalmente, il Codice non forniva una soluzione per ogni problematica che potesse emergere e questo
creava non pochi problemi ai giudici, i quali si ritrovavano a dover decidere per forza, con una legge che
spesso non metteva a disposizione una soluzione puntuale. I giudici si trovavano tra l’incudine e il martello:
da una parte, l’ordine tassativo di applicare una legge alla lettera, dall’altra situazioni in cui necessitavano di
poter estendere l’interpretazione, senza poterlo però fare.

L’art. 1382
Il più interessante di tutti gli articoli è l’art. 1382, il quale tratta l’ambito della responsabilità extra-
contrattuale, cioè quella che si occupa dei casi in cui un danno cagiona qualcuno al di fuori del contratto.

Qualunque fatto dell’uomo che arreca danno ad altri, obbliga colui per la colpa del quale è avvenuto il
fatto a risarcirlo.

In questa regola si parla di colpa, per cui si deve intendere uno stato soggettivo: gli stati soggettivi odierni
sono il dolo e la colpa: il dolo è l’intenzionalità; la colpa è un comportamento disattento che ha cagionato
danno. Un fatto commesso in maniera disattenta, può dare luogo a una responsabilità extra-contrattuale.
- Esempio 1: una carrozza travolge distrattamente una persona: la colpa sarebbe non opinabile;
- Esempio 2: due operai lavorano in un cantiere e si stanno passando dei mattoni, uno dei due si
allontana dal suo posto senza avvertire il primo, il quale continua a passare i mattoni, che finiscono
per colpire un’altra persona: l’operaio che si è allontanato ha contribuito in maniera “fattuale”
all’incidente, ma il giudice dovrà decidere se ci può essere concorso nella sua attività omissiva.
La legge francese, in questo senso, non considera le omissioni e c’è, quindi, una lacuna nel codice, che egli
però non può interpretare come farebbe qualsiasi altro giudice.
Il giudice francese si troverà, quindi, a dover applicare l’art. 1382 anche a ipotesi non previste, a tutte
quelle situazioni in cui si parla di omissione, ancorché dell’omissione non si dica nulla. Non è possibile
aspettarsi che il giudice francese faccia un’applicazione interpretativa, poiché non gli è concesso, ma può
fare un’applicazione piana dell’articolo.
Nel caso dell’art. 1382, il giudice disporrà che “ai sensi dell’art. 1382” l’omissione ha cagionato danno a
qualcuno ed è stata fatta per colpa di colui che ha omesso, che dovrà pagare i danni. Il giudice, in questo
caso, non sta effettivamente applicando l’articolo, ma sta applicando una norma che tratta un caso
commissivo per un caso che è, invece, omissivo.

Con questa tecnica si cerca di coprire quel buco lasciato dal legislatore, il quale non ha pensato che,
accanto alle commissioni, potessero esistere anche le omissioni.
Ovviamente, il giudice non dirà mai di aver interpretato la norma in maniera analogica, poiché il Codice è
perfetto e ammettere la necessità di interpretarlo vuol dire ammettere che non è così perfetto come si dice.
Il giudice, allora, si limiterà a limare le imprecisioni del codice, senza ammetterne l’interpretazione.

Le sentenze francesi, quindi saranno estremamente brevi, perché più ci si dilunga più sarà possibile
illustrare al lettore le imperfezione della legge che è stata applicata. Si potrà leggere, in queste sentenze
anche di una sola frase, un’applicazione formale in modo testuale del Codice.
Proprio per questo motivo, nella Francia di questo periodo, le sentenze saranno chiamate “sentenze a frase
unica”, a causa del fatto che un giudice non poteva, e non doveva, fornire argomenti interpretativi per far
capire il proprio percorso argomentativo, poiché interpretare una legge non gli era consentito.

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Ancora oggi le sentenze francesi sono lunghe soltanto qualche riga: non perché ci sia ancora l’obbligo di
interpretare le norme alla lettera, ma perché esiste un retaggio culturale di centinaia di anni.

Il Codice nell’Ottocento
Napoleone riesce, quindi, a imporre la sua scelta di un’interpretazione letterale, al punto che l’accademia
propugna l’idea di un giudice fedele al testo di legge fino alle fine dell’Ottocento.
Tuttavia, più passa il tempo, più il Codice invecchia, più ci si trova in situazioni in cui si ha difficoltà ad
applicare in maniera letterale l’articolo di legge. Il Codice, comunque, continua a essere applicato e, per
oltre cento anni, i giudici continuano a sostenere che il codice sia perfetto.
Ovviamente, i giudici che riescono a tenere questo comportamento vengono apprezzati, perché rimangono
fedeli al proprio legislatore e alla scuola accademica, guadagnando prestigio, un prestigio dovuto alla
difficoltà di mantenere un atteggiamento interpretativo alla lettera.

Alla fine dell’Ottocento, l’esigenza dell’attenzione alla legge comincia a perdersi, poiché si affaccia sulla
scena un nuovo problema.
Con la Rivoluzione Francese e con Napoleone, scompare lo status sociale: si ottiene un’uguaglianza formale,
che elimina le classi sociali, rendendo tutti uguali cittadini davanti alla legge. Tuttavia, alla fine
dell’Ottocento, questo diventa un fardello, perché non esiste un’uguaglianza sostanziale, poiché non tutte
le persone hanno gli stessi strumenti per potersi difendere (ad esempio, in un rapporto tra datore di lavoro
e lavoratore, il lavoratore sarà sempre più esposto a pericoli).

La Scuola Scientifica
Agli inizi del Novecento, da un movimento che percorrerà tutti i paesi europei, nasce la cosiddetta Scuola
Scientifica, la quale cercherà di valorizzare la posizione di coloro che, liberati dall’idea di un diritto
personale, sono sottoposti all’idea di un diritto uguale per tutti che non è tale.
Il quadro economico cambia e si passa da una prevalenza del formante legale ad una prevalenza del
formante giurisprudenziale: la legge, secondo la scuola dell’esegesi, è sufficiente a coprire qualunque caso,
e solo con la Scuola Scientifica, si comincia a comprendere che la legge del Codice non può più essere
sufficiente e ci si muove verso un passaggio del testimone tra formante legale e formante giurisprudenziale.
In ogni caso, questo tipo di decisione, prima di essere effettiva deve passare dai giudici, i quali risolvono i
casi nel concreto: è chiaro che, però, è difficile trovare un giudice disposto ad abbandonare anni di
tradizione giuridica e ad andare contro le logiche dei principi del Codice Napoleonico.
Infatti, i giudici, che possono vantare di aver fatto tesoro di centinaia di anni di lettura del codice,
acquistano prestigio, un elemento che gli permette di allontanarsi dall’applicazione della legge.

Ci si trova di fronte a una Francia dove il formante accademico risulta importante, ma non tanto quanto
quello giurisprudenziale, che ha l’autorità di modificare il diritto, un’autorità così forte che ha fatto sì che il
Codice Napoleonico, un codice impreciso e lacunoso, sopravvivesse a lungo, grazie a interpreti in grado di
renderlo moderno ogni giorno che passava.
Le teorie della Scuola dell’Esegesi avevano isolato il giurista, tuttavia, nonostante le grandi limitazioni che i
giudici avevano a livello interpretativo, fu grazie al loro che fu mantenuto aggiornato nel tempo un
ordinamento formalmente basato su codici invecchiati di oltre un secolo.

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La Francia moderna
Il sistema francese di oggi è un sistema piramidale, formato da:
- il Codice Civile Napoleonico, il quale ha subito massicce modifiche negli anni;
- un codice commerciale, una normativa fatta esclusivamente per i mercanti, costituita di ordinanze
regie emesse nel corso degli anni:
 il diritto commerciale, in tutti i paesi, si uniforma prima del diritto civile, poiché i
commercianti faranno enormi pressioni per proteggere i loro interessi, inducendo i sovrani
a dare conto alle loro esigenze e riuscendo a ottenere un diritto uniformato. In Francia,
come in altri paesi, si prese ad accettare per valido il diritto romano mercantile,
semplicemente perché risultava essere il più efficiente.
 Il diritto commerciale francese, è uniforme dal 1007; nel 1806, Napoleone emette un suo
codice commerciale, ma di fatto dà semplicemente forma a soluzioni già presenti nel diritto
commerciale francese, che era lo stesso da oltre un secolo.
- un formante legale con un formante giurisprudenziale piuttosto prestigioso: il contesto francese è
un contesto dove il formante giurisprudenziale ha il prestigio più elevato d’Europa. In Francia,
infatti, oggi sono le corti a modificare le grosse correnti di pensiero giuridico.

Il sistema giudiziario francese è formato da:


- Tribunali di Primo Grado: sparsi su tutto il territorio francese, sono i primi soggetti a conoscere il
caso. I giudici di primo grado possono dividersi a seconda della materia: commerciale, civile o
rapporti di lavoro.
- Tribunale di Secondo Grado, o Corte d’appello: si tratta di Corti con competenza territoriale, non
specializzate. Queste Corti ricevono tutte le questioni presentate ai tribunali di primo grado della
loro zona di competenza, a cui viene fatto ricorso;
- Corte di Cassazione: questa ha sede a Parigi ed opera con rinvio. Si occupa soltanto di verificare se
il giudice d’appello si è attenuto alla legge e se, più che applicare il codice, abbia seguito delle
interpretazioni scorrette. La Corte di Cassazione dà giudizio costante su un determinato argomento.
L’idea sottesa a tutta la struttura è che il giudice dell’Europa Continentale sia tenuto a osservare i
precedenti della Corte di Cassazione: non è un obbligo, ma sarebbe “anti-economico”, per un
giudice di primo grado, applicare un giudizio differente da quanto espresso dalla Corte di
Cassazione in casi omologhi. La Corte di Cassazione, comunque, ha l’obbligo di decidere e non può
astenersi, anche se si tratta di ripetere un parere appena espresso.

Governo e Parlamento
La legge determina i princìpi fondamentali in materia di proprietà e diritti reali, nonché in tema di
obbligazioni civili e commerciali. Riservate alla legge, quindi, sono i settori più eclatanti del diritto
dell’organizzazione pubblica. Al Governo vengono affidate le funzioni legislative e il controllo contro
sconfinamenti da parte del Parlamento.
La complessità della macchina amministrativa comporta di per sé la preminenza operativa della fonte
regolamentare rispetto a ogni altra, ovvero la preminenza della struttura burocratica che ha le conoscenze
tecniche e le informazioni necessarie per promuovere i mutamenti normativi.

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La novità della Costituzione del 1958, sta nell’aver spostato l’asse di equilibrio a favore della normazione
tecnico burocratica. Ciononostante, al momento attuale, la fonte principale della modernizzazione del
diritto privato francese è tornata a essere la legislazione.

Il Controllo di Costituzionalità in Francia


Mentre, inizialmente, princìpi come libertà e uguaglianza si sono radicati più nella situazione di fatto che
dentro la Costituzione, da quando si è voluto imbrigliare un po’ di più il regime parlamentare a livello
costituzionale, fu necessario introdurre un altro organo che imponesse al Parlamento il rispetto della
Costituzione: il Conseil Costitutionnel o Consiglio Costituzionale.

Oggi, tuttavia, il controllo di costituzionalità è solo preventivo e, quindi, non riguarda le leggi già in vigore:
in sede di stesura di legge, 60 deputati hanno la possibilità di richiedere la verifica della costituzionalità al
Consiglio. Una volta promulgata la legge, essa non è più sottoposta ad un vaglio di costituzionalità, se non
ad opera del governo che voglia accertarne il carattere regolamentare.
Il vantaggio del controllo preventivo sta nel fatto che quando una legge viene consolidata, soltanto il potere
legislativo può metterla in discussione, assicurando una certezza nel diritto.
Tuttavia, non si può sapere come una legge verrà interpretata e c’è il rischio che alcuni giudici si orientino in
una lettura anticostituzionale.

Gli operatori del diritto


In Francia, per diventare giudice di professione è necessario passare un concorso: nel periodo universitario,
la formazione del giudice è la stessa dell’avvocato, ma, dopo la laurea, chi volesse diventare giudice
dovrebbe accedere per concorso alla scuola per magistrati, per poi essere assegnato a un tribunale.
La professionalità del giudice permette anche un progresso di carriera per meriti e per anzianità: un giudice,
infatti, può progredire da giudice di primo grado a giudice di tribunale d’Appello, e così via.

Il giudice francese è caratterizzato da una estrema indipendenza e la magistratura è, di conseguenza,


assolutamente indipendente. Questa indipendenza è data anche dal fatto che ogni giudice opera in
maniera assolutamente anonima: infatti, la sentenza definitiva non raccoglie i pareri dei singoli giudici.

Per proseguire la professione di avvocato, invece, terminata la formazione universitaria ci si reca a fare
pratica per sostenere l’esame di stato, il quale differisce dal concorso: mentre il concorso assegna dei posti
limitati, l’esame di stato è semplicemente una verifica delle competenze.

Fino al 1971, in Francia, esistevano due tipi di avvocati, con diversi compiti:
- l’Avocat, che aveva il compito di dialogare con la corte-;
- l’Avoué, il quale era specializzato nella gestione del processo, si occupava dei pagamenti e
riassumeva un compito più operativo.
Tuttavia, nel 1971, si opera una riduzione dei ruoli e, per tutte le cause di primo grado, opera soltanto
l’avocat, mentre gli avoués restano soltanto per le Corti d’Appello e per la Corte di Cassazione.

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» Il Sistema Tedesco
I modelli di riferimento fondamentali per l’Europa Continentale sono due: il modello francese e il modello
tedesco. Entrambi i sistemi costituiscono i pilastri del blocco del Civil Law dell’Europa Continentale. Tuttavia,
i due modelli hanno avuto un’evoluzione nettamente differente.

La situazione tedesca e il diritto romano


La storia della Germania ne influenza enormemente l’evoluzione del diritto. Fino al XV secolo, infatti, il
potere centrale in Germania è praticamente inesistente e l’imperatore perde progressivamente potere a
favore dei principi locali. In un sistema fortemente federale simile non può esistere un potere forte.
Se, contemporaneamente, in Francia si assiste a una prima raccolta di un codice scritto, in Germania
l’assenza di una corte centrale determina anche l’assenza di giuristi.

In Germania, convivono, in questo periodo, due realtà giuridiche: quella delle consuetudini e il diritto
romano. Lo scontro determina la recessione del primo nei confronti del secondo, in quanto l’evoluzione
delle realtà sociali rende le consuetudini locali sempre più inadeguate.
Mentre in Francia il diritto romano non è riuscito a farsi spazio, in Germania, infatti, il diritto romano è stato
preso enormemente in considerazione. Le ragioni di questo vanno cercate nel fatto che in Germania non
esistevano strutture di difesa nei confronti delle consuetudini, che non erano mai state raccolte. Il diritto
romano, quindi, è l’unico che può rispondere in maniera chiara e dettagliata ai nuovi quesiti di giustizia.
Inoltre, siccome si tratta del Sacro Romano Impero Germanico, l’orientamento verso il diritto romano è
vissuto come una ideale continuazione dell’Impero Romano.
Gli studenti tedeschi all’università di Bologna studiavano il diritto romano e, quando anche nelle università
tedesche si inizia a studiare ed insegnare diritto, è ovvio che sia il diritto romano a essere insegnato.
Si trova così da una parte una crescita lenta, ma costante, del diritto comune, quella dei francesi, e dall’altra
un’invasione del diritto romano, che viene preferito sempre di più ai diritti autoctoni.

Le prime codificazioni: il Codice Prussiano


Con i primi moti di codificazione in Francia, con la Rivoluzione e con il pensiero Illuminista, anche in
Germania si accenna ai primi tentativi di codificazione, poiché anche il mondo giuridico viene influenzato
dall’Illuminismo, il quale richiede che il razionalismo coinvolga anche il diritto.
Federico II di Prussia raccoglie queste nuove esigenze e dispone una prima codificazione, anteriore a quella
Napoleonica. L’Allgemein Land Recht, o Codice Prussiano, è un codice estremamente complesso, che ebbe
una vita molto breve.
Il Code Civil Francese ha influenzato tutta l’Europa e tutt’ora influenza buona parte degli ordinamenti
mondiali. Si potrebbe pensare che tale incidenza derivi dal fatto che è il primo codice organico, ma non è
così, in quanto la codificazione prussiana arriva prima.
Tuttavia, la realtà sociale prussiana era soggetta al potere assoluto di Federico II, il quale credeva in uno
stato onnipresente, per cui esso necessita di una codificazione per i giuristi che sono burocrati, di
conseguenza il codice è estremamente casistico e il dettaglio è portato all’esasperazione.
Con un codice così dettagliato non si vuole assolutamente consentire al giudice di poter interpretare: infatti,
più un codice è dettagliato, più il giudice incontra difficoltà nell’interpretare.

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A causa di queste motivazioni, questo codice non ha avuto circolazione ed è morto nel giro di pochissimo
tempo. La legge prussiana nasce, dunque, già vecchia, in quanto una legge esageratamente dettagliata
difficilmente può stare dietro alle modifiche della realtà.

Il fallimento della codificazione, tuttavia, ha anche una ragione politica: la situazione tedesca è, infatti,
frammentaria, e mancando un forte potere centrale non era possibile istituire un diritto unico, poiché
mancava un organo in grado di imporre una legge formulata comune.
La situazione dei giuristi, inoltre, è complicata: il mondo dei giuristi, infatti, si divide tra chi è contro e chi è a
favore di una codificazione unitaria, ma con i giuristi di maggior prestigio schierati con gli oppositori.
L’unico elemento comune, sul piano giuridico, del territorio tedesco, era l’influenza del diritto romano, il
quale si contrapponeva al diritto consuetudinario. La riscoperta delle consuetudini avrebbe dovuto
allontanare il paese dal diritto romano, ma questo non avvenne, perché si ravvisò, da parte della cosiddetta
Scuola Storica, nel diritto romano, un altro elemento da riscoprire.

La Scuola Storica
Nei primi dell’Ottocento, l’Impero Napoleonico entrò in conflitto con il regno germanico, fino ad arrivare
alla Battaglia di Jena, nel 1806, quando i territori tedeschi vengono liberati dalla dominazione francese.
A seguito della liberazione, si cominciò ad avanzare la proposta di dotare la Germania di un codice civile
unitario che prendesse come modello quello francese. A farsi promotore di questa realtà fu il giurista
tedesco Anton Thibaut che, nel 1814, partendo da un sentimento di disprezzo per la frammentazione e la
confusione del diritto vigente in Germania, auspica l’introduzione di un Codice Civile Unitario. Sebbene la
possibilità di pratica attuazione fosse tuttavia scarsa, a causa della frammentazione politica della Germania,
la quale era ancora un territorio feudale, esisteva la possibilità da un punto di vista normativo.
Tuttavia, l’idea di Thibaut trova un immediato ostracismo da parte di uno dei più influenti giuristi dell’epoca,
Friedrich Carl Von Savigny, il quale era convinto che il problema della Germania non era solo il dotarsi o
meno di una codificazione unitaria, ma il fatto che il diritto non era indipendente dal potere politico. La
Germania, infatti, era troppo divisa dal punto di vista culturale.
Von Savigny propone, quindi, di trovare le radici comuni del popolo tedesco, per poi delineare un quadro in
cui una normativa può essere efficace, facendo un esame della società. Lo studioso, infatti, sosteneva che il
diritto era la manifestazione della cultura di un popolo e lo studio di tale popolo permetteva, di capire lo
spirito del diritto di una popolazione: un concetto chiamato Volksgeist, ovvero “il sentire del popolo”.
Il pensiero di Von Savigny diede vita a quella che viene chiamata la Scuola Storica, che si occupava di
studiare le radici comuni del diritto di un paese.
Secondo Von Savigny, inoltre, cristallizzare una regola (quindi redigere un codice) vuol dire avere maggiore
certezza nel diritto, poiché leggendo un codice si può sapere come ci si deve comportare in certi casi, ma
vuole anche dire che si impedisce alla regola di progredire. Una consuetudine è tale perché risponde a una
comunità e a una realtà. Il diritto, quindi, progredisce da solo con l’evolversi della società. Questa
spontanea crescita si perde se si verbalizza il diritto.
Gli esponenti della Scuola Storica si occupano del primo diritto romano, quello che si fondava sulle
consuetudini di Roma, e non quello diluito dai commenti dei glossatori. Non si limita, quindi, a scavare nelle
consuetudini tedesche, ma si spinge a riscoprire il primo diritto romano, quello prodotto da Giustiniano.

34
La “piramide concettuale”
Il lavoro di Von Savigny viene sviluppato soprattutto da Georg Friedrich Puchta, un altro giurista tedesco,
nonché suo allievo, che reinterpretò il concetto di spirito del popolo. Secondo Puctha, è necessario tornare
ai concetti base del diritto, per poi trarre delle categorie giuridiche generali, dalle quali si può ricavare la
fattispecie (il caso nel dettaglio).
Famosa è la sua metafora della “piramide dei concetti”, secondo la quale i concetti giuridici possono essere
organizzati secondo una scala, a partire dai più generali ai più dettagliati.
Per il giurista tedesco ci deve essere un apice nella piramide, dove sono situate alcune regole di base, le cui
caratteristiche potranno servire ogni volta che si “scende” di livello nella piramide.
L’idea è quella di cercare di capire quale siano quei teoremi iniziali che reggono l’intero diritto. Ci deve
essere un apice della piramide, dove vi sono poche regole, che dovranno servire ogni volta che si scende di
livello nella piramide, per spiegare altri ambiti di studio.

Un sistema geometrico
Il diritto romano era già un diritto raffinato, suddiviso per categorie ed era un sistema che aveva funzionato
per anni per un Impero. Di questo Corpus, la Scuola riscopre tutto l’apparato concettuale, il quale consente
di ritrovare l’insieme di categorie e concetti, come elaborate dai romani, su cui lavorare.
Il secondo obiettivo della Scuola Storica è, dunque, quello di portare il diritto romani alle più estreme
conseguenze. Il giurista tedesco tende a portare al paradosso l’idea che il diritto sia un procedimento
scientifico-matematico, che non ha confini labili come nel codice francese. I nuovi giuristi tedeschi vogliono
un diritto geometrico, matematico, preciso e rigoroso che segua una struttura concettualmente piramidale.
Si parte, dunque, da principi generalissimi, con confini marcati e precisi, al di sotto dei quali discendono
sotto-regole a loro volta espresse secondo un sistema logico e rigoroso.
Questo rigore estremo, che avvicina il procedimento giuridico a quello matematico, è il progetto di quella
che prende il nome di Scuola Pandettistica.

La Pandettistica
La piramide dei concetti, quindi, parte da delle categorie, stabilite grazie allo studio della società tedesca,
dallo studio della scientia iuris propria del popolo tedesco, la quale può essere individuata attraverso uno
studio del diritto romano.
Sebbene fosse normale, all’epoca, prendere ad esempio il Codice Napoleonico come fonte di ispirazione
per la propria codificazione, in Germania, subito dopo la liberazione dalla dominazione francese, era chiaro
che non si poteva proporre, al popolo tedesco, il diritto degli invasori.
Essendo la codificazione una restaurazione del potere tedesco, era impossibile prendere il diritto romano
così com’era, poiché esso era il diritto degli stati potenti, del Regno Prussiano e dell’Impero Asburgico. Per
questa ragione, il diritto romano divenne, per lo più, una forte influenza e venne ampliato dalla
Pandettistica, la quale prendeva il suo nome dal Digesto (o Pandette) del Corpus Iuris Iustinianeum.
L’elemento di differenza fra il diritto romano classico e quello della Scuola Pandettistica è lo studio della
sistematicità: benché il diritto romano fosse un diritto completo, esso non era sistematico come avrebbero
voluto i tedeschi, poiché era un diritto arretrato. Ciò che fa la Pandettistica è creare delle categorie
giuridiche, partendo dal diritto romano. Queste categorie e questi concetti astratti, sono una fonte di
autoproduzione propria, poiché con essi si può integrare il sistema di fonti del diritto romano, il quale
poteva essere carente o incompleto sotto alcuni punti di vista.

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Il concetto fu quello di sviluppare delle categorie giuridiche partendo dal Volksgeist e dal diritto romano,
riprendendo la piramide concettuale di Puchta, che potessero generare altri concetti, i quali arrivarono a
creare dei diversi sistemi nell’intero ordinamento.
L’intento della Pandettistica era, infatti, quello di creare concetti che producessero concetti: da una
categoria giuridica principale ne derivano altre.
Questo tipo di ragionamento, comunque, aveva due regole principali:
- la regola non ammette eccezioni: una regola è tale perché è utilizzabile più spesso, rispetto
all’eccezione. L’eccezione è una scappatoia, non soltanto del giurista, ma anche del potere statale,
e si trattava di una prerogativa che soltanto il sovrano poteva avere;
- una concezione scientifica questo tipo, scientifica, produceva una terminologia nuova, tecnica, e
non potevano essere ammessi termini equivalenti in un testo: in questo periodo, infatti, prende
vita la grandissima produzione lessicale tedesca.

Spiegare la piramide dei concetti


Mentre, secondo i francesi, il matrimonio è un contratto, i tedeschi rifiutano uno schema che mette vicini
elementi come contratti, matrimoni e successioni, in quanto non c’è vicinanza, per esempio, tra contratti di
compravendita e conseguenze della morte di una persona: sono due situazioni diverse, che non possono
essere regolamentate dalla stessa categoria di leggi.
Secondo la Scuola, bisogna prevedere una categoria ampia, che contenga tutte le situazioni, nelle quali
inserire delle sottocategorie a loro volta coerenti con la principale a cui afferiscono, ad esempio una
categoria dove i soggetti manifestano una volontà che porta con sé degli effetti: come il negozio giuridico.
Al primo livello del negozio giuridico possiamo trovare la manifestazione delle volontà e volontà degli
effetti; al secondo livello si trovano le sottocategorie, come matrimonio, contratto e testamento; al terzo
livello ci sarà una ripartizione tra i vari contratti, quindi compravendita, locazione e così via.

Il negozio giuridico
Se in un’ipotetica piramide concettuale francese, troveremmo all’apice contratto, matrimonio e
testamento (ovvero degli atti: l’atto di trasferire, l’atto di dichiararsi e l’atto di donare qualcosa),
nella piramide tedesca non troveremmo degli atti, poiché il concetto base tedesco vede, in cima,
una manifestazione di volontà che porta con sé una volontà degli effetti: il negozio giuridico.
Il negozio giuridico (o atto negoziale), è un atto di autonomia privata ed l’atto mediante il quale
una persona è autorizzata a regolare interessi individuali nei rapporti con altri soggetti.
Mettendo all’apice della piramide il negozio giuridico, è possibile fare un passaggio nella piramide
e concettualizzare tutto ciò che viene sotto, separando tutti i concetti.
Ad esempio, c’è il negozio giuridico che accede a un rapporto senza contenuto patrimoniale,
quindi il matrimonio; se ha contenuto patrimoniale, come il contratto, si troverà in uno “spazio”
separato. La donazione è un caso particolare, in quanto ha natura patrimoniale, ma non c’è
controprestazione, quindi si troverà in un altro spazio della piramide.
Si scende in questo modo, finché, nella piramide, non vengono inseriti tutti i comportamenti
umani, partendo da un punto in comune, il negozio giuridico.
Questa è la concettualizzazione a livello piramidale: si parte da concetti base e, scendendo
sempre di più, si arriva a mappare tutti i comportamenti umani.

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Le caratteristiche del diritto tedesco
L’elaborazione del diritto romano in Germania, è un’elaborazione scientifica: esso è stato ripensato
secondo uno schema più geometrico e rigoroso.
Quello che inizialmente era un sistema completo, in cui erano, comunque, presenti delle lacune, la massa
informe di regole che era sistemata nel Corpus Iuris, è stata cristallizzata in maniera puntuale.
A differenza del codice francese, non esiste alcuna lacuna nel sistema tedesco, in quanto questo viene
immaginato come un codice che possa contenere tutte le regole utilizzabili in una determinata realtà e non
esiste che si siano eccezioni, poiché, a livello geometrico, non esistono eccezioni, ma esistono soltanto
regole che hanno confini predefiniti che, una volta superati, fanno sì che si presenti una regola nuova.

Il contratto e il negozio giuridico


Per spiegare meglio il concetto di un diritto geometrico e preciso, come quello tedesco, si può prendere ad
esempio il contratto. Con il contratto, avviene un perfezionamento dell’idea dello stesso: il contratto resta
uno strumento per disciplinare i rapporti patrimoniali, ma bisogna pensare a una differenza, ovvero l’idea
della patrimonialità come elemento caratterizzante del contratto, tipica del mondo tedesco: esistono,
infatti, una serie di rapporti che si traducono in un contratto, che però non conoscono patrimonialità.

I tedeschi, con la loro elaborazione piramidale, pensano di poter arrivare a un “teorema primo”, nell’ambito
contrattuale, ovvero il negozio giuridico: tutte le volte in cui si afferma una volontà da parte del singolo, che
vuole con effetti quel tipo di manifestazione di volontà.
Ad esempio: se un soggetto fosse su un palcoscenico, e mettesse in atto una scena che si conclude con un
contratto, è chiaro che, anche se ne manifesta la volontà, non vorrebbe mai gli effetti di quel contratto, in
quanto si tratta di una recita. Il negozio giuridico è quella manifestazione di volontà a cui si affianca una
volontà degli effetti: si manifesta quella volontà e si vogliono gli effetti di quella volontà.

Questo tipo di manifestazione di volontà è possibile trovarla in una serie di ambiti che non sono solo parte
del mondo contrattuale, per esempio il matrimonio.
Per i tedeschi, anche se non c’è contenuto patrimoniale, il contratto è comunque una manifestazione di
volontà che pretende anche gli effetti ed è quindi un negozio giuridico.

Il contratto: dal mondo romano al mondo tedesco


Nel mondo romano, il contratto era il prodotto di una ritualità e ha molte cose in comune con il modello
tedesco. Il trasferimento di proprietà, nel mondo romano, avviene, infatti, in due momenti diversi: uno
scambio di consenso e un trasferimento di proprietà. Nel mondo tedesco esiste ancora questa differenza,
che è venuta meno nel mondo francese.
Nel mondo romano si trattava di un momento di ritualità atto a far si che ci fosse certezza nello scambio,
ma nel mondo tedesco ha una giustificazione di fondo diversa: devono esistere due momenti separati
perché concettualmente esistono due momenti separati. Esistono, infatti, un momento in cui entrambe le
parti si obbligano alla transazione (uno si obbliga a pagare e quindi vuole gli effetti del trasferimento e
l’altro si obbliga a ricevere il denaro) e un momento di trasferimento, che non può verificarsi con lo
scambio di un consenso, ma dev’essere un atto a sé, che non ha nulla a che vedere con l’atto con il quale ci
si vuole obbligare a prendere o ricevere un bene. Deve, per forza, esserci un momento separato in cui l’atto
che esprime la volontà con degli effetti viene eseguito.

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Si è trasformato, quindi, qualcosa che aveva delle caratteristiche conosciute, ma con ritualità diverse. Nel
diritto romano, infatti, il momento separato era dovuto ad assicurare la consapevolezza di colui che
abbandonava qualcosa di ottenere un compenso. Nel mondo tedesco, invece, si tratta di una questione di
scientificità: se si unissero i due atti, si semplificherebbe e si sarebbe poco scientifici.

La donazione
La donazione ha delle caratteristiche particolari: il contratto è sempre reciproco, mentre la donazione non
lo è. Questo fa fibrillare un po’ tutti i sistemi, in quanto un trasferimento di ricchezza senza nulla in cambio,
vuol dire un sistema che appoggia uno scambio di ricchezza non giustificabile, che non permette al sistema
di arricchirsi. Se, invece, si spendessero dei soldi per acquistare una casa, si arricchirebbe il sistema,
permettendo al bene e al denaro di circolare.

Per il legislatore francese la donazione non mostra problemi, in quanto sarebbe un contratto normalissimo
(qualcuno dona qualcosa a qualcun altro che accetta questo dono, quindi c’è uno scambio di consensi), ma
per i tedeschi ci sono delle differenze che devono essere approfondite.
I francesi, in cima alla “piramide concettuale” vedono degli atti (l’atto di trasferire, di regalare o del fare
testamento); i tedeschi, invece, vedono dei concetti in cima alla piramide, vedono il negozio giuridico,
ovvero qualcosa che ha una manifestazione di volontà che porta con sé anche la volontà degli effetti
(ovviamente, esistono anche una serie di manifestazioni di volontà in cui non c’è l’accompagnamento del
volere degli effetti, che non sono negozi giuridici).
Sotto al negozio giuridico i tedeschi separano in:
- negozio giuridico che accede a un rapporto senza contenuto patrimoniale (come il matrimonio);
- negozio giuridico che accede a un rapporto con contenuto patrimoniale (come il contratto).
Il problema sta nel fatto che nella donazione si può parlare di naturale patrimoniale, poiché c’è un
trasferimento di patrimonio, ma è una realtà in cui non esiste una contro-prestazione, quindi è un’ulteriore
casella separata della piramide, dove esiste un negozio giuridico che accede a un atto patrimoniale che
verrà caratterizzato da un’assenza di contro-prestazione.

Il testamento
Il testamento è un atto patrimoniale, nel quale si può manifestare di voler lasciare tutto a una persona
specifica e si vogliono quei particolari effetti.
La caratteristica del testamento è che non richiede una manifestazione di volontà. Per questo motivo, il
testamento, dovrebbe essere inserito in un altro punto della piramide, poiché esso è del tutto unilaterale.
Esistono, quindi:
- negozi giuridici unilaterali, con natura patrimoniale, allocati in un certo punto;
- negozi giuridici unilaterali senza natura patrimoniale, che vengono allocati dalla parte opposta.

Conclusioni sulla piramide concettuale


Si scende, quindi, costantemente, all’interno della piramide: tutti i comportamenti umani vengono
nettamente inseriti, partendo da un punto iniziale comune: il negozio giuridico (il quale viene articolato con
una serie di caratteristiche, come la presenza di uno scambio univoco).
Questo è il modo in si porta avanti una piramide concettuale, la quale parte da alcuni concetti,
successivamente utilizzati senza che questi vengano ripetuti.

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La concettualizzazione a livello piramidale è quindi questo: si parte da alcuni concetti base e, utilizzandoli,
tra di loro si arriva sempre più giù, riuscendo a mappare i comportamenti umani.

Il BGB (Bürgerliches Gesetzbuch)


Nel 1848, in Germania, avviene la prima uniformazione sui traffici commerciali e una prima legge uniforme
sui titoli di credito; nel 1861, c’è un’uniformazione del diritto commerciale.
Nel 1871, con la salita al potere di Bismark e la Republica di Weimar, per la prima volta nella storia della
Germania il paese è un territorio unico, anche dal punto di vista politico. Vengono unificate tutte le corti e,
finalmente, viene istituita, quindi, una commissione che produce il Bürgerliches Gesetzbuch, comunemente
chiamato BGB (Codice Civile Tedesco), il quale entra in vigore il 1° gennaio del 1900.
Il BGB si divide in cinque libri:
1. Concetti generali: il più importante dei cinque, contiene tutti i criteri generali di interpretazione e di
applicazione e, in esso, possiamo ritrovare le forti influenze della Pandettistica;
2. Contratti e obbligazioni;
3. Beni e proprietà;
4. Famiglia;
5. Successioni.
La prima stesura del codice è talmente rigorosa da essere persino lontano dalla realtà tedesca dell’epoca, al
punto da non permettere i giudici di utilizzarlo. Sebbene fosse proprio quello che la Scuola Pandettistica
voleva, ovvero un codice scientificamente perfetto, il suo essere tale lo rese inutilizzabile a tal punto che la
prima stesura fu scartata quasi subito.
Anche le stesure successive rimasero comunque estremamente tecniche: al contrario del Codice
Napoleonico, che era stato scritto per essere comprensibile a tutti, il BGB è inaccessibile per chiunque non
sia un operatore del diritto ed è scritto con un linguaggio estremamente tecnico. Si tratta di un codice
rigido, che non ammette fraintendimenti. Un’impostazione di questo tipo rende difficile l’applicazione.
Il BGB, così com’era, non poteva durare, perché, mentre il codice francese possedeva numerose lacune che
gli permisero di durare negli anni, il BGB, essendo estremamente specifico, richiese moltissimi interventi di
adattamento. Inoltre, è entrato in vigore in uno dei momenti più cupi della storia tedesca, la Prima Guerra
Mondiale, ed ha anche subito la dominazione nazista durante la Seconda Guerra Mondiale, fino ad arrivare
alla Repubblica Federale Tedesca, che a sua volta, ne fece oggetto di revisione e di nuova interpretazione.

Agli inizi del Novecento si sentì la necessità di intervenire in alcuni ambiti non regolamentati dal codice, in
quanto nuovi fenomeni: si hanno, quindi, interventi sul codice per cercare di riequilibrare alcune situazioni.
Prendono piede delle nuove scuole, tra cui quella della “giurisprudenza degli interessi”, la quale suggerisce
al giudice di applicare clausole più generali, interpretando la legge, senza però violare i principi del codice.
Questo uso massiccio della clausola generale si ritroverà spesso dal dopoguerra in poi, fino a oggi. la
presenza delle clausole generali, infatti, permette al giudice di muoversi abbastanza liberamente.

Il BGB ha avuto una straordinaria influenza su tutta la produzione di codici dell’Europa Continentale: per
esempio, sulla codificazione della Svizzera o dell’Italia, ma anche in tutta l’Europa del Nord.

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La Germania oggi
Oggi, la Germania è una Repubblica Federale la cui Costituzione, promulgata il 1° settembre del 1948,
contiene tra i primi articoli i principi e i diritti inviolabili del popolo tedesco. Questo ha un’importanza
storica notevole, poiché la Germania usciva dalla Seconda Guerra Mondiale e da anni di dominazione
nazista, quindi, la dichiarazione dei principi inviolabili è di fondamentale importanza.
La nuova Germania si fonda su questi diritti e, in questo, farà da precursore a tutte le costituzioni moderne
e persino alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

La Germania, oggi, è composta da land, delle regioni separate. Ogni volta che si parla di sistema federale,
soprattutto definito come quello tedesco, ci si definisce all’organizzazione federale e statale dei singoli stati
e come essi sono definiti. Il sistema federale tedesco è diviso in:
- Un organo esecutivo, presieduto dal cancelliere;
- Un Presidente della Repubblica, garante del rispetto dei principi democratici;
- Un Parlamento, che detiene il potere legislativo ed è diviso in due rami:
 Il Bundenstag;
 Il Bundesrat;
Il potere giudiziario è affidato alle Corti, le quali sono autonome rispetto agli altri poteri dello Stato e sono
organizzate a livello gerarchico: Corte Suprema, Corte d’Appello e le varie Corti territoriali, divise in:
- Corti ordinarie, che si occupano dei riti civili e applicano il BGB;
- Corti di diritto amministrativo, che disciplinano i rapporti tra Stato, enti pubblici e privato;
- Corti del lavoro;
- Corti delle Finanze, che si occupano delle esazioni e della tassazione;
- Corti del Welfare o sociali.

Il Tribunale Costituzionale Federale


La particolarità dell’ordinamento tedesco riguarda però il controllo di costituzionalità.
Il controllo di costituzionalità è fondamentale nella nuova Germania, un controllo affidato al Tribunale
Costituzionale Federale. La particolarità di questo Tribunale è che qualsiasi cittadino può rivolgersi ad esso
per vedere difesi i propri diritti costituzionali. In Italia, per esempio, questa cosa non è possibile, poiché la
Corte Costituzionale Italiana si occupa di correggere le illegittimità delle norme sottoposte alla loro
attenzione, ma soltanto da parte del giudice rimettente.
Anche in Germania, però, come in Italia, il Tribunale Costituzionale Federale non ha controllo anteriore alla
promulgazione di una legge, ma successivo: la legge, infatti, viene controllata dopo che è stata resa ufficiale
e solo se è stata segnalata da un giudice. Questo è diverso in paesi come la Francia, dove una legge si
controlla prima che questa venga promulgata.
La preoccupazione dei tedeschi, comunque, è quella di ripetere un’altra volta una situazione come quella
della Seconda Guerra Mondiale e, per questa ragione, questa corte è accessibile a tutti.

In Germania, ci sono tre tipi di controllo di costituzionalità:


- il ricorso diretto, che può essere promosso da qualsiasi cittadino tedesco che lamenti la violazione
di un diritto presente nella Costituzione;

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- il controllo di costituzionalità concreto, richiede la presenza di una lite, in cui è in discussione
l’applicabilità di una norma costituzionale. In questo caso, il giudice, trovandosi davanti a una
norma non compatibile con la Costituzione, rimetterà la decisione alla Corte Costituzionale;
- la norma astratta, la quale non richiede la presenza di una lite, ma semplicemente una verifica della
legge. In questo caso, per evitare un intasamento dei lavori della Corte, soltanto gli organi
istituzionali possono richiedere questo tipo di controllo. Questa è una delle peculiarità del sistema
tedesco, ad esempio, il cui controllo può essere richiesto dal governo federale, dal governo dei
singolo land o da una percentuale dei membri del Parlamento..

» Il controllo di costituzionalità
La Costituzione è la legge fondamentale di un paese, ormai presente in tutti i paesi occidentali (a parte
l’Inghilterra), al cui interno troviamo un elenco di diritti inalienabili, come la libertà di stampa o di parola,
regole che disciplinano il funzionamento degli organi dello stato e dei suoi poteri, o nelle quali vengono
definiti i princìpi di uno Stato.
Nel momento in cui un legislatore si trova a legiferare può capitare che elabori qualcosa che risulta
incostituzionale, ovvero qualcosa che va contro la norma scritta sulla Costituzione.
Per controllare la costituzionalità esistono vari modi, che si dividono in due modelli:
- Modelli che fanno una valutazione a priori, senza che la legge sia stata ancora promulgata: nel
momento in cui la legge viene votata dal Parlamento, essa non è più ritrattabile, ma non essendo
ancora stata promulgata dal Capo di Stato, esiste un lasso di tempo in cui, in alcuni contesti, per
esempio in Francia, alcuni parlamentari possono demandare il controllo di costituzionalità.
Si tratta di una valutazione preventiva. Il beneficio di questa valutazione prima della promulgazione
è che quando la legge viene finalmente promulgata si è sicuri del fatto che verrà applicata e che
non ci sarà alcuna possibilità di non applicarla. Tuttavia, questo è anche uno svantaggio, poiché non
si sa ancora come questa legge verrà applicata dai singoli giudici e potrebbe avere dei risvolti non
voluti in primo luogo.
Questo è il modello francese: in Francia, infatti, esiste un Consiglio Costituzionale, il quale può
essere interpellato da un certo numero di parlamentari e può decidere l’incostituzionalità di una
legge, facendo sì che questa non venga promulgata.
- Modelli che fanno una valutazione a posteriori, quando la legge è già vincolante per tutti. Soltanto
dopo che la legge è stata applicata ci si interroga sulla sua costituzionalità.
In Europa Continentale, i giudici non hanno la possibilità di disapplicare la legge perché ritenuta
anticostituzionale, ma hanno, come unica possibilità, quella di applicare la legge. Per questa
ragione, dev’esserci un meccanismo che permetta al giudice di avere una risposta dall’organo
preposto al controllo di costituzionalità, prima di decidere di applicarla o meno.
Quando il giudice si trova davanti a una legge che gli sembra possa dar luogo a effetti contrari ai
principi costituzionali, si ferma e invia il fascicolo all’organo preposto, spiegando per quale motivo
riscontra problemi in quella legge, il quale deciderà se quella legge sia costituzionale o meno.
Tuttavia, c’è una considerazione da fare: quella particolare legge è stata applicata fino a poco prima,
quindi c’è stato un periodo di tempo in cui una legge incostituzionale è stata applicata, facendo
venire meno la certezza del diritto. Ci può, quindi, essere un trattamento diverso tra chi ha dovuto
subire l’applicazione della legge e chi non la vede più applicata.
Questa è la situazione di paesi come Italia e Germania.

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In Italia, nel caso in cui la Corte dichiari l'atto incostituzionale, la sentenza retroagisce fino al
momento della entrata in vigore dell'atto, salvo che la Corte ponga un limite temporale alla
retroattività della propria pronuncia (per esempio limitando l'efficacia solo pro futuro).
Tuttavia, c’è un enorme dibattito riguardo questa cosa, poiché a questo punto bisognerà chiedersi
se gli effetti della legge incostituzionale vengano o meno oppure no, e in quali casi.

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» Gli ordinamenti dell’Europa Continentale
Il modello francese e il modello tedesco sono i due modelli di riferimento per tutti i diritti dell’Europa
Continentale e non solo, poiché lo sono anche per tutti quei sistemi che non hanno conosciuto la presenza
dell’Impero Britannico, come l’America Latina.
Mentre il modello francese, modello di esportazione per tutto l’Ottocento, prevede come oggetto
dell’esportazione l’intero sistema di organizzazione dello Stato (l’Italia ne è un esempio: è stato importato il
Codice Civile e la struttura dello Stato francese, come le prefetture e i provveditorati), o anche il solo Codice
Napoleonico, il modello tedesco non importa il BGB, poiché è un codice complesso. Ciò che circola, invece,
del codice tedesco, sono le idee della Pandettistica, ovvero la concettualizzazione del diritto (esso, infatti,
circola attraverso il formante dottrinale). È una rivoluzione che circola in tutto il mondo, influenzandolo per
tutto il Novecento.

Le ragioni della circolazione di un modello


Ci sono due ragioni per le quali un modello comincia a circolare in un paese:
- per imposizione: le truppe entrano nel paese imponendo un nuovo diritto;
- per prestigio: si tratta di una forma di assimilazione culturale, un modello appare talmente
prestigioso che non si può fare a meno di ispirarsi a esso.

Il modello francese
Il modello francese circola attraverso la struttura dello Stato, o attraverso il Codice Civile, o entrambi.
Esistono tre momenti di circolazione per il modello francese, che ha visto sia la circolazione per imposizione
che quella per prestigio:
1. in un primo momento si tratta di un’imposizione: Napoleone impone il modello in tutte le terre che
conquista;
2. in un secondo momento, quando le truppe lasciano il paese in questione, rimane la dipendenza
culturale verso la Francia, che, in quel periodo, è una fucina di nuove idee. Il Codice Napoleonico
viene considerato eccezionale e viene mantenuto in questi paesi. Infatti, circola per prestigio.
Dagli anni ’20 dell’800, il Codice circola in Italia, Spagna, Portogallo, Paesi Bassi, Belgio e Polonia;
3. un terzo momento di circolazione è quello che riguarda il Colonialismo, il quale prevede una nuova
imposizione del modello francese in quelle realtà non toccate da Napoleone. Il modello diventa poi
fonte di ispirazione anche quando le colonie riprendono la loro autonomia: per esempio, in Egitto,
si ha un codice che rispecchia in qualche maniera le soluzioni francesi.

Il modello tedesco
La Germania, al contrario della Francia, non fece circolare il BGB, poiché questo non appariva come un
prodotto prestigioso, ma prestigiosa appariva l’idea di trasformare il diritto da attività sempre opinabile a
qualcosa di matematico e certo, dove il ragionamento scientifico era preferito.
Alla fine dell’Ottocento, il modello tedesco inizia a circolare negli ordinamenti universitari, mentre il Codice
Napoleonico viene acquisito dal formante legislativo. Le leggi della Pandettistica vengono lette negli ambiti
accademici, dove si cede al loro fascino, soprattutto nel mondo accademico romanistico: i primi ad
affascinarsi al modello pandettistico sono, infatti, i cultori del diritto romano.
Tuttavia, la Pandettistica presenta alcuni problemi: la fonte di essa comincia a perdere vigore, cosa che non
succede al Codice Napoleonico, e perdono vigore anche le idee tedesche; in secondo luogo, siccome chi
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importa il codice non è un legislatore, ma un’accademia, per i giuristi che si sono formati con determinate
credenze la distorsione del modello può essere forte. Un’accademia che pensa di essere padrona del diritto,
come l’accademia portoghese, ritiene che il modello tedesco sia interessante e prestigioso, ma lo adatta
fortemente alla sua realtà, proprio perché si crede un’accademia prestigiosa: non si copia, quindi, il
modello tedesco senza alcun filtro, ma lo si modifica.
Il problema dell’esportazione del modello tedesco è proprio questo: la durata e la distorsione dello stesso,
cosa che il modello francese conosce molto meno.

» L’ordinamento austriaco
L’Austria possiede un ordinamento a sé stante a causa della sua storia: infatti, il paese, era un Impero con
una forte autonomia. Sin dagli inizi del Settecento, Maria Teresa D’Austria, si preoccupava di pensare a
fornire al suo Impero un diritto uniforme, buttando le basi per l’idea di poter realizzare un diritto unico
(ovviamente, che tenesse conto di una realtà in cui erano presenti i servi della gleba, considerando che
l’Impero Austro-Ungarico ancora non aveva subito l’influenza illuminista) ancora prima che in Francia.
Vengono, quindi, istituite delle commissioni che, dopo la promulgazione del Codice Napoleonico, nel 1811,
promulgano il Codice Civile Austriaco, o ABGB (Allgemeines bürgerliches Gesetzbuch).
Il Codice ha poco di moderno, poiché anche se da un lato rispecchia lo studio di commissioni illuminate,
dall’altro si tratta di un codice completamente dissociato dalla realtà quotidiana del paese, che, fino al 1848,
ha avuto i servi della gleba. Questo codice, infatti, tratta i sudditi come soggetti di diritto, mentre i servi
della gleba più che soggetti aventi diritto erano oggetti di diritto. Si tratta, quindi, di un codice disarmonico
rispetto a ciò che è necessario disciplinare. Il codice, tra le altre cose, è il prodotto di una monarchia
imperiale, la quale vede i sudditi come bambini, al punto di essere paternalistico: le regole si spiegano in
maniera estremamente semplice. Inoltre, una monarchia arriva a dettagliare molto, perché non vuole che i
giudici possano interpretare la materia: per questo motivo, si tratta di un codice molto dettagliato in alcuni
casi, mentre in altri ci sono lacune molto consistenti. Bisognerà aspettare il 1848, per l’abolizione della
servitù della gleba e un sorta di adeguamento alla realtà sociale del paese.
Nella seconda metà dell’800, la Pandettistica comincia a espandersi ed esporta facilmente le sue idee in
Austria, rendendo inevitabile una modifica dell’ABGB.
L’ABGB e il Codice Civile francese partono dagli stessi principi, ma il Codice Austriaco è più pedagogico e
tende a spiegare sé stesso per convincere il lettore: diventa, così, un codice dettagliato che ricorda quello
prussiano. Questo lo rende anche diverso dal BGB, il quale è inaccessibile, mentre il Codice Austriaco tende
a essere dettagliato e prolisso. Questa è una delle ragioni per il quale il Codice non circola.
Questo codice è tutt’ora in vigore in Austria, per una sola ragione: possiede molte lacune, le quali
permettono ai giudici di rendere il codice moderno. I giudici austriaci, infatti, sono stati in grado di
mantenere il codice in vita, ma la dissociazione tra testo di legge e interpretazione moderna è molto chiara.
Proprio perché si tratta del testo che appartiene a una monarchia imperiale assoluta, nato nel 1700, non
circola e non guadagna prestigio e viene imposto soltanto nei territori lombardo-veneti.

» L’ordinamento svizzero
Il modello svizzero è un modello particolare: nel medioevo, infatti, la Svizzera faceva parte del Sacro
Romano Impero, ma nel XV secolo riesce a rendersi autonoma.
Mentre in Germania circolava soltanto il diritto romano, e le consuetudini locali vengono applicate insieme
a esso, la Svizzera vide il diritto romano come il diritto di un impero che l’aveva soggiogata per lungo tempo

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e non apprezza la circolazione del modello romano. Per questo motivo, si focalizza principalmente sulle sue
consuetudini locali, anche perché da un punto di vista territoriale e morfologico (a causa della divisione in
villaggi e cantoni) è un contesto dove le consuetudini locali hanno un valore ben più rilevante di un
eventuale diritto uniforme, proprio perché nei villaggi risulta più facile che regole locali prevalgano. La
Svizzera arriva così, con un diritto fatto di consuetudini locali, al momento dell’invasione napoleonica.
In quest’epoca, in Svizzera, si possono trovare dei giudici eletti: le piccole comunità, infatti, nominano i loro
magistrati, i quali non sono giudici di professione, ma giudici laici che dirimono ogni controversia. Il giudice
eletto ha degli aspetti positivi: egli è parte della comunità e ne conosce le consuetudini; inoltre, non si deve
legittimare con un’educazione accademica, poiché egli è parte stessa della comunità.

Con l’arrivo di Napoleone viene imposto il Codice Napoleonico; nel momento in cui Napoleone lascia il
territorio svizzero, molti cantoni elaborano un codice sulle basi del Code Civil, ma molti altri non
mantengono quel tipo di codice e si muovono verso altri modelli.
Così, la Svizzera comincia a dividersi: in alcune zone, infatti, per esempio a Ginevra, è il Codice Napoleonico
a influenzare il diritto, mentre in altre, come a Berna, la vicinanza dell’Austria fa sì che l’ABGB venga usato
come modello di riferimento, e a Zurigo, invece, la vicinanza alla Germania fa si che si elaborino codici con
idee della Pandettistica.

Nella metà dell’Ottocento, i mercanti svizzeri si rendono conto che, anche se esistono dei codici, si ci trova
comunque sempre davanti a un contesto frammentato: la Svizzera vive, infatti, la frammentazione del
diritto, poiché la presenza di valli e piccoli villaggi fa sì che per ogni villaggio la consuetudine sia diversa.
A questo punto, i mercanti cominciano a preoccuparsi ed iniziano a fare pressioni sulla Confederazione, la
quale assegna a una commissione il compito di redigere un testo unico di diritto commerciale.
Con il passare del tempo, comunque, si comincia a sentire l’esigenza di avere anche un diritto civile unico:
la Confederazione affida a Huber, il più grande giurista svizzero, il compito di redigere un codice civile. Egli
aveva entrambi i modelli (francese e tedesco) come riferimento e il suo lavoro fu molto più facile.

Il ZBG: Zivilgesetzbuch
Nel 1912, Huber elabora il ZBG (Zivilgesetzbuch). L’idea di Huber era quella di fornire agli svizzeri uno
strumento comprensibile: la prima scelta, quindi, è stata quella di dedicarsi alla esigenze dei cittadini, e non
degli operatori del diritto, infatti, fu chiaramente orientato verso il modello francese.
Huber aveva fiducia nei giudici svizzeri, per cui cercò di fornire loro uno strumento che non invecchiasse
con velocità, rendendo il codice volutamente lacunoso, in modo che fosse aperto a interpretazione.
Il Codice Civile Svizzero, infatti, è un codice molto semplice con uno stile chiaro che prende spunto dal
modello francese anche per quanto riguarda la presenza di lacune, pensate da Huber in quegli ambiti in cui
egli ha ritenuto si potesse avere uno sviluppo futuro.
Huber è così fiducioso nell’opera dei giudici che all’interno del Codice inserisce una clausola “omibus”, che
sancisce che se un giudice non riuscisse a colmare una lacuna neanche con l’attività analogica, allora può
comportarsi come un legislatore.
Per esempio, se si prendesse in considerazione una legge che vieta l’utilizzo dell’alcol e, successivamente,
venissero introdotte nuove sostanze stupefacenti di cui non si era a conoscenza al momento della stesura
della legge, si presenterebbe una lacuna e, se la ragione che sta alle spalle del divieto di utilizzo di alcol è la
medesima (ovvero quella di essere sempre presenti a sé stessi e non diventare incapaci di intendere e di

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volere), allora si può dire che la ratio sia la stessa. In questo modo si colma la lacuna. Huber lascia
volutamente questo tipo di lacune nel codice, in modo da rendere il codice sempre attuale.
Il giudice svizzero, quindi, si può comportare come un legislatore, cioè può creare il diritto, andando a
colmare le lacune che permettono l’evoluzione del sistema.
Questo è l’unico caso in Europa in cui il giudice può creare la legge, invece di cercare di forzare una
soluzione verso una regola già esistente.

Il Codice Svizzero è molto ammirato, perché è un codice chiaro, che ha saputo assorbire gli aspetti migliori
del codice francese e i concetti della pandettistica. È talmente prestigioso che, nel 126, la Turchia, dopo
essere diventata una repubblica, decide di adottare il diritto svizzero.
Tuttavia, nel caso della Turchia, un paese abituato alle consuetudini islamiche, il modello attecchisce in
maniera particolare: si trova, infatti, una sovrapposizione di regole di condotta, a causa del poco sviluppo
del paese, e, nelle zone rurali, il codice non viene neppure preso in considerazione.
Il problema è che il codice svizzero non è comprensibile per i giudici della Turchia, che, non
comprendendolo, si sono allontanati moltissimo dal testo scritto, riconducendo le regole ad altre che
conoscevano. In sostanza: in Turchia, esiste un codice, ma non è rispettato.

Il problema dei cantoni


Al momento della stesura del codice, Huber si scontra, però, con un problema: il codice non deve sacrificare
il diritto dei singoli cantoni, che sono tutti diversi. Per questa ragione, decide di far riferimento al diritto
consuetudinario cantonale. Si tratta di un paradosso, poiché il codice dispone che il giudice debba fare
riferimento a quanto previsto dalle norme del singolo cantone (ad esempio nei casi di rapporti tra vicinato).

Il giudice svizzero
Il motivo per il quale Huber ha così tanta fiducia nei giudici svizzeri deriva dal fatto che questi non sono
giudici di professione. In una dittatura un giudice sarebbe costretto a seguire la legge alla lettera, poiché
egli deve seguire la volontà del legislatore; tuttavia, in un sistema in cui un giudice può elaborare una
propria legge, il giudice guadagna un enorme prestigio.
Un giudice di professione si forma in università ed è un soggetto che, rispetto a quello che avviene nella
quotidianità, è estremamente lontano dalla popolazione. Tuttavia, è giusto che egli sia lontano dalla
popolazione, poiché dev’essere un soggetto terzo e imparziale.
Se il giudice non è un giudice di professione, ma un giudice eletto, quindi è una persona qualsiasi senza una
specifica preparazione, tutte le pressioni, gli interessi, e le conoscenze che si hanno incidono su di lui,
perché egli è parte della comunità e prende decisioni per tutti, lui compreso.
In Svizzera, i giudici sono eletti e Huber era convinto che, in questo modo, i giudici avrebbero applicato il
codice nel modo in cui tutti avrebbero voluto che fosse applicato.
Il prestigio dei giudici svizzeri sta proprio in questo: essi sono soggetti di fiducia, sono giudici della
collettività, che si esprimono per conto di essa e che ne sono parte integrante.
Questo allora giustifica la scelta di Huber, poiché un giudice può così creare un diritto per la collettività per
la quale lavora, poiché è parte di questa stessa collettività e società.
Infine, il modello svizzero, rispetto al livello francese e tedesco, è un codice civile che mantiene in sé sia il
diritto commerciale che quello civile, è un codice che accorpa il diritto privato, commerciale e civile insieme.

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» L’ordinamento Turco
In Svizzera, tra gli studiosi delle università c’era uno studente di nazionalità turca, il quale, tornato nel suo
paese, diventò il Ministro della Giustizia della nuova repubblica della Turchia.
Nel 1926, dopo la rivoluzione, in Turchia nasce una repubblica laica, tuttavia, essendo sempre stata una
realtà islamica (a causa della presenza dell’Impero Ottomano), il diritto risentiva della religione,
presentando comunque delle consuetudini islamiche.
Nel 1922, con la salita al potere di Mustafa Kemal Atatürk, ci si accorge della necessità di rinnovare il
mondo turco: il modo migliore per farlo è modernizzare il diritto, utilizzando uno dei modelli europei più
avanzati: il modello svizzero. Infatti, Atatürk aveva studiato nelle università svizzere e, quando divento
Ministro della Giustizia, importò il modello che aveva studiato in Europa.
Il problema, tuttavia, era che un nuovo diritto stava calando su una realtà che non era pronta ad accoglierla,
diversissima da quella europea e che aveva persino una religione forte, che influenzava le consuetudini.
Nel momento in cui si cerca di imporre una regola a una comunità non ricettiva, ci si trova davanti a una
dissociazione: una divisione tra la legge declamata, quella del formante legale, e la regola operazionale, ciò
che accade nel quotidiano. Questo è ciò che accade in Turchia.
Un esempio palese si è visto nel caso del matrimonio. In Turchia, esistono delle regole e delle formalità per
rendere valido un matrimonio. Tuttavia, se i cittadini continuano a sposarsi con le regole consuetudinarie,
lo Stato non se ne potrà accorgere immediatamente. Quando nasce un figlio, ovviamente, lo Stato ne
prende atto, lo registra e ne attesta la legittimità, ma nel momento in cui il matrimonio non risulta legale
cominciano a nascere moltissimi figli illegittimi, da matrimoni non legali. Tutto questo crea delle enormi
difficoltà, a partire dal semplice problema del cognome.
Questo aiuta a sottolineare il fatto che quando un diritto viene imposto dall’alto, quello che avviene non è
l’adeguamento alla nuova regola, ma c’è una tendenza opposta, cioè quella di continuare ad applicare la
vecchia regola e vivere in forza di quella regola utilizzata fino al giorno prima.

» L’ordinamento Italiano
Fino al momento dell’arrivo di Napoleone, in Europa, la situazione era piuttosto omogenea: consuetudini
locali e diritto romano utilizzato come sussidiario.
Con l’arrivo di Napoleone viene imposta la struttura dello stato francese, viene imposto il Codice Civile e il
Codice Commerciale francese.
Con la Restaurazione ci si dimentica di Napoleone e quasi tutti gli stati italiani, affascinati dalla prestigiosità
del Code Civil, elaborano i propri codici in base a quello francese: sono, infatti, delle traduzioni.

Lo Statuto Albertino
Nel 1838, in Italia si diffonde lo Statuto Albertino, che, successivamente alla riunificazione da parte dei
Savoia, diventerà la legge dell’intero paese. Lo Statuto Albertino è un codice che, sostanzialmente,
riproduce il Codice Napoleonico in italiano.
I vari ducati, dunque, elaborano codici civili che sono delle traduzioni del Codice Napoleonico. Tuttavia, ci
sono anche delle zone in cui il Codice Napoleonico non prende piede:
- nel Lombardo- Veneto, ripreso dall’Austria, dove viene applicato l’ABGB;
- nello Stato Vaticano, che mantiene la legge canonica;
- nel Granducato di Toscana, che non apprezza il Codice Napoleonico e torna alle consuetudini locali
e al diritto romano: un vero ritorno all’Ancien Régime.
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Il Codice Civile del 1865
Nel 1862, l’Italia diventa un paese unito e, con l’unificazione, una nuova legge viene imposta: la legge del
Regno Sabaudo, ovvero il Codice Albertino, esteso a tutta la penisola. L’esigenza, comunque, era quella di
avere un codice italiano vero e proprio, soprattutto per rafforzare l’idea che il paese non era un’estensione
del Regno Sabaudo, ma un nuovo, unico, paese.
A questo scopo si inizia a pensare a una re-codificazione: nel 1865 appare il primo Codice Civile Unitario.
Il sistema italiano, nell’Ottocento, imita tutto dalla Francia: sebbene inizialmente fosse stato tutto imposto
dalla Francia stessa, successivamente la struttura dello Stato viene mantenuta per scelta. L’Italia si trova,
quindi, con un sistema francesizzante: una derivazione del potere centrale, con provveditorati e prefetture;
codici civili francesizzanti; una dottrina che copia la dottrina francese, al punto che l’École de l'Exégèse
diventa la Scuola dell’Esegesi (la scuola insegnava l’applicazione letterale del Codice Napoleonico, come se
questo fosse un prodotto perfetto).
Inoltre, le soluzioni dei giudici francesi vengono adottate anche in Italia. Non si tratta di “copiare” queste
decisioni, ma del fatto che i giudici italiani erano educati attraverso la dottrina francese e, il contatto tra le
due dottrine, permise un passaggio di soluzioni, anche senza un contatto diretto fra le due dottrine.

L’introduzione della Pandettistica


Nei primi decenni del Novecento, iniziano a circolare le idee della Pandettistica: la dottrina italiana
abbandona il modello francese e sposa il modello tedesco. I giuristi italiani scoprono la rielaborazione
scientifica del diritto e tendono ad assorbirla. Tuttavia, la Pandettistica nasce in una realtà dove non esiste
ancora un codice, infatti, la codificazione tedesca è il prodotto della Pandettistica; tuttavia, in Italia, arriva
dopo la codificazione di stampo francese e, per questa ragione, si cerca in ogni modo di inserire le regole
tedesche in un contesto già francesizzante: la dottrina si spezza dove può e impone regole e schemi.
I vari formanti italiani reagiscono in maniera diversa a questo cambiamento:
- il legislatore reagisce istantaneamente e modifica l’intero sistema in una notte;
- il giudice reagisce più lentamente, in quanto è necessario che egli stesso senta che il suo senso di
giustizia deve cambiare ed è possibile che questo richieda anni;
- l’accademia richiede un certo numero di generazioni, in quanto l’insegnamento parte dai giovani
che escono dalle accademie, i quali, prima di incidere seriamente, devono raggiungere un certo tipo
di pozione. Questo procedimento richiede tempo.
Le autorità, quindi, si muovono a velocità diverse, ma anche con una persistenza diversa:
- il legislatore impiega poco tempo a modificare una legge, ma la nuova regola potrà essere, a sua
volta, modificare in un giorno;
- i giudici hanno un movimento lento, poiché una volta che ci si è orientati verso una soluzione ci
vuole tempo perché questa possa essere modificata nuovamente;
- l’accademia richiede ancora più tempo, in quanto l’insegnamento trasmesso ai giovani resterà per il
resto della loro vita e bisognerà, quindi, cambiare intere generazioni di studenti per cambiare
l’accademia stessa. Questo processo non solo richiede tempo, ma è anche estremamente
persistente, perché il diritto con cui si esce dall’accademia accompagnerà lo studente per la vita.

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La rielaborazione del Codice Civile del 1942
All’inizio del Novecento, quindi, vengono veicolate le idee della Pandettistica nelle università, e, intorno al
1910, nuove generazioni di giuristi iniziano a trovarsi in un contesto scomodo: i nuovi giudici e avvocati
hanno davanti un formante francese, con regole di condotta francesi, ma con una formazione tedesca.
In tutti i testi di questo periodo, ad esempio, si parla di negozio giuridico, che non esiste nel codice del 1865,
per cui gli studenti si trovano a studiare una cosa che non esiste nell’applicazione concreta. Ci si ritrova in
un sistema con una legge scritta poco compatibile con gli insegnamenti: la dissociazione è inevitabile.
Sul lungo periodo, questa dissociazione fa sì che si cominci a pensare che sia preferibile ricodificare.
Vengono, quindi, istituite delle commissioni e, nel 1942, la ri-codificazione del diritto privato prende vita e il
nuovo codice (lo stesso codice che esiste tutt’ora in Italia) mostra non solo l’influenza tedesca, ma anche
l’esperienza francese. Questo succede perché, quando il diritto francese è arrivato in Italia ha trovato un
territorio senza alcun codice e, per questo, è stato facile espandersi, mentre il modello tedesco ha trovato
un paese con un diritto già avviato ed ha avuto difficoltà a diffondersi sul territorio.
Il fatto che esista già un diritto autoctono non favorisce l’espansione totale del modello tedesco, ma fa sì
che la ricodifica contenga soluzioni nuove a cui si scontrano molte resistenze. Il prodotto finale, il Codice
Civile del 1942, è un prodotto ibrido, con presenza di soluzioni tedesche, ma che mantiene le soluzioni
francesi, le quali prevalgono nei settori legati alla tradizione, nei rapporti tra persone, nei rapporti di
appartenenza e nei rapporti con le cose.
I settori in cui le soluzioni tedesche prevalgono, invece, sono quei settori legati a quegli ambiti che poco
hanno a che vedere con la tradizione, ovvero gli ambiti come obbligazioni e contratti, nei quali prevale una
maggiore efficienza delle regole.
Il Codice del 1942, è quindi un codice che copia molto il sistema tedesco e, ancora oggi, come in Svizzera,
comprende sia il diritto civile che quello commerciale, pur prendendo il nome di “Codice Civile”.

Le libertà del BGB e del Codice Civile Italiano


Il BGB era un codice che aveva pochissimi rapporti con la realtà: nasceva già vecchio, data la sua rigidità, e
lasciava pochissima libertà ai giudici. I tedeschi pensarono di aggiungere delle “gocce di sociale”, che
potessero essere interpretate come delle piccole libertà da poter dare ai giudici per interpretare il codice.
Per dare più libertà ai giudici esistono due modi:
- creare una lacuna: lasciando un buco nel codice si permette al giudice di riempirlo come vuole.
Tuttavia, per i tedeschi una lacuna è inconcepibile, il diritto dev’essere perfettamente geometrico;
- aggiungere delle clausole generali: una delle più classiche riguarda i contratti: i contraenti che
richiedono un contratto devono comportarsi in buona fede. Tuttavia, questo concetto è poco
chiaro, in quanto il limite verso il cui si può spingere la correttezza di colui che conclude un
contratto è poco chiaro (ie.: se una persona abbia l’obbligo di informare l’altra di un fatto che non
concerne il contratto in sé). Non si tratta, quindi, di lacune, ma previsioni talmente generiche da
rendere possibile al giudice l’intervento e l’interpretazione.

Anche in Italia, nel Codice del 1942, sono presenti delle clausole generali. Tuttavia, se un giudice è poco
prestigioso non cercherà mai di elaborare una soluzione su un principio generale, poiché dovrebbe
legittimare la sua scelta, e preferirà applicare una legge chiara e dettagliata, piuttosto che una soluzione
interpretata da lui stesso. Questo è il caso dei giudici italiani, i quali non si sentono abbastanza prestigiosi
da fare uso delle clausole generali e tendono a usare leggi precise. In Germania, invece, le regole generali
sono molto usate. Si hanno, quindi, due diverse percezioni del proprio ruolo all’interno del proprio sistema.
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La Corte di Cassazione
Per quanto riguarda l’attività dei giudici, ovvero il formante giurisprudenziale, la realtà italiana è
particolare: il sistema francese, infatti, comprendeva un organo che aveva il compito di rendere uniforme la
comprensione della legge su tutto il territorio, ovvero la Corte di Cassazione, che costituiva un unico apice.
Tuttavia, in Italia, fino al 1930, si mantengono ben cinque Corti di Cassazione: una a Torino, una a Firenze,
una a Roma, una a Napoli e una a Palermo. Oggi, comunque, esiste una sola Corte Costituzionale, con un
sistema giurisprudenziale molto semplice, formato da:
- Giudice di Primo Grado (Tribunale o Giudice di Pace);
- Corte d’Appello, con un Giudice di Secondo Grado;
- Corte di Cassazione, la Corte Suprema, con sede a Roma.
Tutte le questioni passano prima dal Giudice di Primo Grado, il quale emette una sentenza che, se non
considerata adeguata da una delle due parti, può essere impugnata davanti a un Giudice di Secondo Grado;
nel caso in cui, anche in questo caso, la sentenza non venga considerata adeguata, questa può essere
impugnata davanti alla Corte di Cassazione.
Le cinque Corti di Cassazione presenti in Italia, erano una conseguenza dell’unificazione: era necessario
accontentare i giudici di ogni zona (Sicilia, Napoli e Torino, ad esempio, avevano tutti percezioni diverse) e,
quindi, vennero aperte Corti diverse, le quali, però, avevano un unico ordinamento. Con cinque Corti di
Cassazioni diverse e una sola norma, tuttavia, diventava difficile che questa fosse uguale per tutti. Per
questa ragione, il numero delle Corti venne ridotto a una soltanto.

Il problema della Corte di Cassazione


Tutte le Corti Supreme, più o meno, hanno un meccanismo di filtro, ma non in Italia. I giudici italiani facenti
parte della Cassazione sono circa 300 e ricevono circa 25.000 ricorsi ogni anno: l’arretrato della Cassazione
italiana è consistente. Data la mancanza di meccanismi di filtro, chiunque può fare ricorso alla Cassazione,
la quale deve spendere tempo e risorse per tutti. Questo obbligo di fornire giustizia a tutti ha ovviamente
delle conseguenze in termini di efficienza.
In svariati ordinamenti, invece, esistono dei filtri e non tutte le questioni che sono decise da un giudice di
secondo grado possono essere dibattute davanti alla Corte Suprema. Quest’ultima, infatti, ha il compito
fondamentale di uniformare l’interpretazione del diritto, perché soltanto lei ha il compito di far progredire
il diritto del paese. Un diritto, infatti, progredisce solo se viene cambiato e uniformato e se l’uniformazione
attuale è inadeguata, soltanto la Corte di Cassazione può cambiare il sistema.
Tuttavia, se questa corte è occupata da migliaia di casi al giorno, il cambiamento del diritto slitta a un
secondo momento, rendendo il sistema completamente inefficiente e il diritto stantio.

Il sistema italiano moderno


Dopo la ri-codificazione il modello tedesco continua a essere un modello di riferimento, affiancato e poi
sostituito dal modello americano: sempre di più, Italia e Europa, guardano al modello americano come un
modello di riferimento, a causa del prestigio che questo continua ad avere ancora oggi.

La Costituzione Italiana
L’attuale sistema italiano vede una Costituzione molto rigida, al suo apice, la quale non può essere
modificata se non con particolari maggioranze da parte del Parlamento. Ad esempio, il referendum votato il
4 Dicembre del 2016, riguardava proprio una di queste modalità: la legge costituzionale è passata più volte

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davanti alla Camera e al Senato e, successivamente, anche il popolo è stato interpellato a riguardo. Una
costituzione rigida, quindi, è una costituzione che non si può modificare con facilità.
Tra tutti gli articoli della Costituzione Italiana soltanto uno di questi non può essere modificato: quello sulla
Repubblica. Per via del terrore che i Savoia riprendessero il potere, venne inserito un articolo che sosteneva
che la Repubblica non poteva essere modificata per nessuna ragione. Tutti gli altri articoli, invece, possono
essere modificati attraverso un percorso complesso.
Questo aiuta a capire il clima del tempo: è chiaro che i legislatori italiani pensavano che tra perdere la
Repubblica in favore della monarchia e perdere le libertà fondamentali, risultasse più importante la
Repubblica. In Germania, tuttavia, la situazione è diversa, poiché la Costituzione tedesca (probabilmente
anche a seguito dell’esperienza nazista) ha individuato i diritti fondamentali come regole immodificabili.

La valutazione di costituzionalità e la Corte Costituzionale


Come in Germania, anche in Italia si può far valutare la compatibilità delle leggi elaborate dal Parlamento, a
un terzo organo: la Corte Costituzionale.
La Corte Costituzionale è composta da 15 giudici nominati:
- dal potere esecutivo (il Presidente della Repubblica);
- dal potere legislativo (il Parlamento);
- dal potere giudiziario (la magistratura).

In Francia, il controllo di costituzionalità è anteriore alla promulgazione: il Consiglio Costituzionale è


interpellato prima che la legge entri in vigore. Mentre, in Italia, il controllo di una legge è successivo alla
promulgazione: una volta che la legge è entrata in vigore, se un giudice ritiene che quella norma sia
contraria alla Costituzione, dovrà sospendere il giudizio (poiché, come la maggior parte dei giudici europei,
non ha il potere di disapplicare una legge) e sottoporre la questione alla Corte Costituzionale.

In seguito alla segnalazione del giudice, i giudici della Corte Costituzionale analizzano la legge e, se la
ritengono incostituzionale, lo dichiarano, facendo sì che da quel momento in poi quella determinata legge
non sarà più applicabile da nessun giudice.
Questo tipo di controllo avviene allo stesso modo sia in Italia, che in Germania. Tuttavia, in Italia non è
possibile agire direttamente davanti a una Corte Costituzionale per far valere l’incostituzionalità di una
norma, in relazione ai diritti fondamentali, cosa che è, invece, possibile in Germania.
In Germania, infatti, è possibile interpellare l’organo costituzionale in base ai diritti fondamentali: questo
perché, a seguito della dominazione nazista, il controllo era immediato, in modo da evitare che i diritti
fondamentali potessero nuovamente essere compromessi. Il singolo, quindi, può far direttamente valere il
proprio diritto, senza avere bisogno di un giudice intermediario.
In Italia, invece, è necessaria la presenza di un giudice, il quale deve percepire l’incostituzionalità e deve
segnalarlo alla Corte Costituzionale. Se il giudice non percepisce l’incostituzionalità, la Corte non potrà mai
essere interpellata dal singolo cittadino.

Giurisdizione ordinaria e amministrativa


In Italia, tutte le questioni di diritto privato (ovvero qualsiasi questione che coinvolga mercanti,
commercianti, cittadini e privati), è a carico del sistema delle Corti, cioè la giurisdizione “ordinaria”:
- le cause iniziano tutte davanti a un Giudice di Primo Grado (le questioni con un valore monetario di
meno di 5000 euro vengono rivolte al Giudice di Pace);
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- la parte soccombente può chiedere di rivedere la decisione alla Corte d’Appello: le Corti d’Appello
(le quali sono un numero inferiore rispetto ai tribunali di primo grado), rivedono la decisione del
Giudice di Primo Grado;
- se anche la soluzione della Corte d’Appello non viene accettata, allora la questione viene spostata
alla Corte di Cassazione.
Accanto alla giurisdizione “ordinaria”, c’è anche quella “amministrativa”: quando è coinvolto lo Stato ci si
rivolge alla giurisdizione amministrativa, la quale è formata da un solo organo apicale (e non comprende
tribunali amministrativi o regionali): il Consiglio di Stato (un tipo di struttura preso in prestito dalla Francia).

» L’ordinamento Belga
Annesso all’Impero Napoleonico nel 1797, a seguito della pace che pose termine al conflitto con l’Austria,
nel 1804, il Belgio adotta il Codice Napoleonico, il quale viene mantenuto anche successivamente
all’indipendenza, ottenuta nel 1830, per una questione di prestigio. L’integrazione avviene tramite una
serie di leggi, le quali lo rendono molto più adeguato ai tempi che cambiano.
Il Belgio presenta però una condizione particolare, infatti, la lingua parlata nel paese è il francese, motivo
per il quale il Codice Napoleonico non richiede traduzione. Tuttavia, la realtà giuridica belga si allontana da
quella francese, poiché mancando di corti comuni, l’applicazione stessa della regola diventa diversa.
Ci si potrebbe, infine, aspettare che giudice belga e giudice francese prendano le stesse decisioni, tuttavia,
nel loro percorso culturale e socio-economico, le due realtà non sono del tutto omogenee e, per questo
motivo, si trovano soluzioni diverse all’applicazione della stessa legge.

L’ipotesi di uniformità in tutta Europa


Considerando che due realtà con lo stesso formante legale arrivano a una dissociazione rispetto alle
decisioni giurisprudenziali, ci si chiede cosa potrebbe succedere se, in Europa, dove ogni paese ha un
formante legale differente dall’altro, venisse imposto un diritto uniforme, con un formante legale identico:
- ci sarebbe una modifica del formante legale: in Belgio, questo non è avvenuto, poiché il Codice
Napoleonico è entrato nel paese così com’era;
- come in Francia e in Belgio, si avrebbero dei sistemi di corte separati: ogni Stato presenterebbe un
sistema di corti differente.

Ogni Stato ha un organo apicale che uniforma l’interpretazione in maniera autonoma. Se per un lungo
periodo si nota una dissociazione nell’applicazione della stessa legge in due contesti molto vicini, non si può
pensare che uniformando un contesto territoriale che ha, da sempre, leggi diverse, non avvenga una totale
dissociazione tra il formante legale e il livello applicativo.
Per questa ragione, per avere una legge applicata in modo uniforme in tutta Europa, sarebbe opportuno
cercare di costruire princìpi di diritto europeo comune, partendo dal basso, estrapolati dalle normative dei
singoli stati, insegnandoli ai giovani studenti di giurisprudenza che, nel lungo periodo, potranno ottenere
una formazione adatta per una nuova legge uniforme.

» L’ordinamento Olandese
Dopo l’invasione del Codice Napoleonico, in Olanda vi è un grande apprezzamento per il modello francese,
permettendo al Codice di continuare a essere applicato fino al 1838, anno in cui l’Olanda codifica
finalmente un proprio codice, sulla falsa riga di quello francese.

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Data la vicinanza culturale della Germania, quando, verso la fine dell’Ottocento, la Pandettistica comincia
ad avere una certa rilevanza, gli olandesi sono tra i primi ordinamenti a raccogliere gli esiti della scuola.
A questo punto, gli olandesi cominciano a pensare che sia necessaria una ri-codificazione, che possa
adattarsi alle nuove influenze tedesche: la situazione è molto simile a quella italiana, dove esiste già un
modello di diritto, quello francese, ma che subisce una grossa influenza del modello tedesco; a differenza
dell’Italia, comunque, dove l’attenzione si sposta dalla Francia alla Germania, in Olanda si porge
l’attenzione anche verso un altro ordinamento, quello dell’Inghilterra. La ri-codificazione, quindi, passa
attraverso lo studio di sistemi diversi, prendendo come modello di riferimento i sistemi francese e tedesco,
ma concentrandosi anche molto sui modelli inglese e americano.
Gli olandesi, pensano allora di ricodificare non basandosi sulla tradizione culturale e giuridica di ogni paese,
ma facendo un’attività comparatistica: studiano i modelli migliori, fino quando, nel 1922, elaborano un
nuovo codice civile, il quale contiene soluzioni francesi, tedesche, italiane e inglesi.

» L’ordinamento dei Paesi Scandinavi


I Paesi Scandinavi hanno vissuto un isolamento culturale e giuridico rispetto all’Europa Continentale. Hanno
un numero inferiore di consuetudini e non hanno avuto altro che due sistemi di riferimento: Svezia e
Danimarca, le quali hanno tenuto il controllo di Finlandia, Norvegia e Islanda fino alla loro indipendenza, nel
IX Secolo. Questi paesi sono stati caratterizzati dalla presenza della corona, un potere centrale molto forte,
la cui presenza consentì la raccolta di alcune consuetudini, nel XII Secolo.
Culturalmente questi paesi sono omogenei tra loro, anche se lontani dal resto d’Europa: per questo motivo
ci sarà una tendenziale uniformazione del diritto, in maniera molto agevole.
Nel XVI-XVII secolo, la messa per iscritto delle consuetudini consente l’elaborazione di una raccolta di leggi,
tendenzialmente uniformi in tutti i territori. Quando dalla Germania arriva la Pandettistica, infatti, questa
trova un ostacolo nelle consuetudini locali, che si erano trasformate in veri e propri codici. Allo stesso modo,
nemmeno il diritto romano riuscì a influenzare i giuristi.
Quando, nel XVIII secolo, questi paesi subiscono il fascino del Codice Napoleonico, si comincia a diffondere
l’idea di una nuova codificazione, tuttavia, le forze conservatrici vincono e non nasce alcun nuovo codice.

Regole commerciali e titoli di credito


Emerge, tuttavia, la necessità di creare regole comuni per alcuni settori, particolarmente in quelli che si
occupano del commercio. Infatti, la prima uniformazione sarà quella delle leggi commerciali e mercantili.
Tra queste regole ci sono i titoli di credito: i titoli di credito sono una regolamentazione fondamentale per la
produzione del commercio all’interno dei territori.
Nel Novecento, nascono, quindi, una serie di leggi uniformi che riguardano navigazione, regole commerciali
in materia di contratti e titoli di credito.
Nel passato, la cosa più arcaica che si può trovare è la permuta, il baratto, dal quale poi si è passati allo
scambio di oggetti attraverso una moneta.
Per un mercante, lo scambio di cose attraverso moneta è un problema, poiché se dovesse sempre operare
con moneta a disposizione per incrementare i suoi traffici, le sue iniziative commerciali avrebbero una
soglia limitata: una volta finito il denaro, non potrebbe più acquistare nulla finché non vende ciò che ha:
questo fa sì che la crescita monetaria sia estremamente lenta.
Questa lentezza fu messa in discussione nel Medioevo, quando i mercanti cominciarono a chiedersi come
incrementare il proprio capitale senza dover aspettare il rientro del denaro investito. La soluzione che viene

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trovata sono proprio i titoli di credito: quando si compra qualcosa non si paga subito con una certa quota di
moneta, ma si promette, ad esempio, di pagare un certo quantitativo di denaro in un certo lasso di tempo.
Questa operazione si può fare anche senza avere soldi in cassa e permette l’aumento dei traffici.
In sostanza, i titoli di credito sono promesse di pagamento che circolano come se fossero denaro e sono
fondamentali per incrementare il commercio: grazie a queste, infatti, il sistema è più efficiente e veloce.
Per questa ragione, i titoli di credito sono il primo sistema a dover essere regolamentato per un mercante,
poiché è il primo strumento che si utilizza quando si commercia.
Come in Germania, anche in queste realtà uniformi la prima legge a venir uniformata sarà quella sui titoli di
credito: la riforma fu voluta fortemente dai mercanti, la cui pressione era molto forte.

Le regole civili
Intorno al XX secolo, vengono uniformate anche le regole civili: nasceranno leggi uniformi in materia di
famiglia, successioni e proprietà. Il Novecento, per queste realtà, è rappresentato dal modello del Welfare
State (Stato Sociale): questi saranno i primi paesi in Europa a spingersi verso una disciplina sociale, regole di
tutela del cittadino e della sua condizione sociale. A causa dei costi che questo tipo di impostazione richiede,
accanto alla nascita di regole vi è un grande incremento dell’imposizione fiscale.

Il formante prevalso nei paesi nordici, se si pensa alla rivoluzione sociale, è quello legale: questo perché il
formante legale è l’unico formante che comporta questo cambiamento radicale delle regole di condotta.
Ancora oggi si riconosce ai paesi scandinavi, da un punto di vista giuridico, di essere stati i primi ad aver
puntato su una rivoluzione sociale, la quale è stata possibile grazie a un massiccio intervento legislativo. Il
legislatore scandinavo, infatti, è intervenuto massicciamente per garantire un nuovo corso sociale allo Stato.

» L’ordinamento Spagnolo
In Spagna, ancora oggi, si applicano le leggi locali e il diritto spagnolo resta frammentato. Di fronte a esso il
formante che prevale è quello dottrinale, il quale si occupa di fare chiarezza e trovare il filo conduttore che
unisce le diverse regole: l’accademico è, dunque, colui che ha un ruolo preminente.

Il sistema spagnolo (come il resto d’Europa, prima dell’arrivo di Napoleone) ha tre fonti del diritto:
- le leggi del re;
- le consuetudini locali (chiamate fueros);
- il diritto romano.
Il contesto spagnolo è un contesto in cui il senso di indipendenza delle singole comunità è molto marcato: a
seguito dell’abbandono delle truppe napoleoniche sul territorio, la volontà di avere un codice unitario si
scontra con la frammentazione naturale del contesto spagnolo, dove ciascuna comunità, proprio perché si
sente indipendente, è gelosa delle proprie consuetudini. Per questa ragione il Codice Napoleonico non
viene assorbito e ciò che viene elaborato sulla falsa riga del modello francese è soltanto un codice di
commercio. Il Codice Civile spagnolo, invece, arriva soltanto nel 1889, e avrà un’impronta francese.

Il Codigo Civil e la frammentazione delle norme


Nel 1889, per l’appunto, nasce il Codigo Civil. La Spagna è l’unico paese europeo dove il codice ha dovuto
attendere circa ottant’anni per essere presente sul territorio e per venire meno dell’imposizione del Codice

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Napoleonico. Questo accadde proprio perché c’era una marcata indipendenza delle varie province spagnole,
le quali mantenevano una gelosia profonda delle proprie consuetudini.
Tuttavia, il problema della frammentazione non è stato risolto, poiché ancora oggi, in Spagna, non c’è un
codice uniforme: il Codigo Civil, infatti, perché potesse essere accettato da tutta la comunità, ha dovuto
cedere agli usi locali. Ciò significa che tutte le volte in cui una consuetudine locale si trova in opposizione
alle regole del codice, è la prima a prevalere. Soltanto in alcuni ambiti, nei quali la consuetudine non ha una
norma, allora il Codigo Civil sarà uniforme per tutti. Questo codice, quindi, opera soltanto quando la
consuetudine locale viene a mancare.
Questa frammentazione del diritto spagnolo esiste ancora oggi, soprattutto in realtà non coese, come la
Catalogna, e dove la presenza di consuetudini locali prevale.

Fra Common Law e Civil Law


In Spagna, non esiste un vincolo nei confronti del precedente e il giudice non ha il dovere di attenersi a ciò
che la Corte a cui è subordinato ha deciso nel passato, ma anzi, ha la possibilità di astenersi.
Al contrario del resto d’Europa, inoltre, se un tribunale speciale si pronuncia nello stesso modo sullo stesso
caso, quella decisione diventa una regola a cui tutte le corti devono attenersi: non si tratta di una regola
scritta, ma una prassi che viene seguita senza essere registrata per iscritto.
L’autorità del giudice, in questo modo, sfuma, perché anche se non si deve adeguare alle decisioni della
Corte, tutti si aspettano che segua i precedenti del tribunale superiore.
In questo modo, il sistema giuridico spagnolo, si colloca a metà tra la realtà del Civil Law (secondo la quale
non c’è obbligo di attenersi ai precedenti) e il Common Law (secondo il quale c’è un obbligo di attenervisi).

Le colonie spagnole: il sistema latino-americano


Questo sistema ha delle ricadute sulle colonie spagnole: quando le colonie in America Latina diventano
indipendenti, infatti, teoricamente dovrebbero sposare la regola della madrepatria, cosa che però non è
accaduta per una serie di ragioni:
- la Spagna, in quanto madrepatria, non era ben vista e il suo diritto non era gradito;
- il diritto spagnolo era estremamente frammentato, con la prevalenza di diritti consuetudinari, che
non consentivano una semplice importazione.
Paradossalmente, quindi, non è il diritto spagnolo ad essere importato in America Latina, ma quello
francese. Argentina e Cile, saranno i due paesi a funzionare da veicolo di trasmissione per il diritto francese
nel resto dell’America Latina.
Infatti, per ciò che riguarda il diritto privato, ci si orienta verso il modello francese, mentre per il diritto
pubblico si tende al modello nord-americano, con un sistema repubblicano a struttura federale.
L’atteggiamento nei confronti del Code Civil dipende dagli stati: alcuni lo copiano, altri si basano sul
modello francese per arrivare a soluzioni autonome, altri ancora si affidano alla ri-elaborazione di Cile e
Argentina. Il Code Civil circola, quindi, in maniera totale, anche se non sempre circola il modello originale.
Per quanto riguarda il Brasile, invece, la codificazione avviene più tardi rispetto all’indipendenza. Nei primi
anni del Novecento ci si stacca dal modello portoghese per avvicinarsi a quello francese.

» L’ordinamento portoghese
A differenza della Spagna, il Portogallo ha, fin dal XV secolo, un diritto uniforme. Il re, Alfonso V, emise,
infatti, una serie di ordinanze che uniformarono il diritto portoghese.

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Avere un diritto portoghese uniforme significa che quando il diritto francese fa capolino nel paese, si
scontra con una realtà dove è già presente un diritto uniforme e, per questa ragione, il Codice Napoleonico
ebbe una certa difficoltà a persistere. In ogni caso, nel tempo fu necessaria una codificazione nuova, che
sistemasse le ordinanze che si erano venute a formare nel tempo: nel 1833 nasce il Codice di Commercio e
nel 1867 nasce il Codice Civile, improntato sul modello francese, ma con una tendenza ad appropriarsi di
altre soluzioni, come la Pandettistica tedesca. Nel 1967, avviene una seconda codificazione, con un gusto
molto tedesco, alla quale influisce anche il modello italiano.

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» Alcuni esempi di comparazione tra sistemi
Si mostrano di seguito le diversità, in maniera generica, del diritto di vari paesi europei.

Promessa di matrimonio
 FRANCIA
Nel Codice Civile sono presenti molte lacune. La sottocategoria che riguarda la promessa di matrimonio
dice che per sposarsi è necessario fare delle pubblicazioni all’ufficio dello stato civile, il quale scrive in una
bacheca che le due persone si vogliono sposare. Se, per esempio, una delle due persone non volesse più
sposarsi e l’altra parte volesse obbligare questa persona a farlo, l’avvocato si troverebbe davanti a una
lacuna a cui il Codice non risponde. Esso dà, invece, un grande margine di intervento al giudice, il quale
potrà decidere se c’è obbligo di matrimonio, una possibilità di risarcimento oppure se il fatto deve essere
ignorato. La lacuna dà spazio di intervento al giudice.
 GERMANIA
Nel BGB non esistono lacune e la promessa di matrimonio non dà diritto ad agire per la conclusione di
questo. Tuttavia, anche se la promessa penale è nulla, potrebbe avere conseguenze sulle parti, ma questo è
possibile saperlo soltanto conoscendo il codice civile tedesco.
 ITALIA
Il Codice Civile Italiano copia il Codice Napoleonico, ma, allo stesso tempo, si rende conto di alcune
soluzioni manchevoli e introduce qualcosa: la promessa di matrimonio non produce obbligazioni legali di
contratto, né di eseguire ciò che si fosse convenuto per il caso di non adempimento.
 SVIZZERA
Il Codice prende esempio dal codice tedesco: il fidanzamento è costituito da una promessa nuziale, ma non
dà azione per la celebrazione del matrimonio. Ad eccezione degli usuali legali di circostanza, i regali tra i
due fidanzati possono essere rivendicati.
Se si va a pattuire una penale per il mancato adempimento della promessa di matrimonio, sarà il giudice a
trovare la soluzione più consona.

Conclusioni
Se ci si volesse sposare a tutti i costi non si andrebbe in Germania, dove il codice sostiene che ogni penale
non produce effetto, ma si andrebbe in Francia o in Svizzera, dovei l tema non è trattato e dove, a causa
della presenza di lacune, sarà il giudice a decidere.

Il contratto
 FRANCIA
Per il Codice Napoleonico ci si obbliga verso uno o altre persone a fare/non fare qualcosa.
 ITALIA
La regola viene semplicemente tradotta: il contratto è l’accordo di una o più persone per costituire,
regolare, o estinguere tra di loro un rapporto giuridico patrimoniale.
 GERMANIA
L’idea di contratto è inaccessibile per chi non è giudice: il cittadino ha, infatti, poche possibilità di
comprensione, poiché non è una previsione destinata a esso, ma agli operatori del diritto.

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Il contratto di vendita
 FRANCIA
La vendita è l’accordo con il quale si obbliga a consegnare una cosa e l’altro a pagarla. Questa comporta il
trasferimento della proprietà nel momento in cui viene pattuito il prezzo.
 GERMANIA
Il contratto obbliga il venditore a consegnare la cosa e passare la proprietà a colui che compra. Per i
tedeschi esistono due momenti: il momento dell’obbligo e il momento del trasferimento della proprietà.
 ITALIA (Codice Unitario del 1865)
In un primo momento, l’Italia copia la Francia: la vendita è un contratto per il quale qualcuno si obbliga a
vendere una cosa e l’altro a pagarne il prezzo.
Nel 1942, l’Italia copia, invece, l’applicazione tedesca, infatti, oggi, il Codice Civile italiano recita: “La vendita
è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro
diritto verso il corrispettivo prezzo”.
Da una regola semplice si è passati a una visione più complessa, dedicata agli operatori del diritto, in cui si
parla di trasferimenti del diritto di proprietà.

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» Il sistema Anglo-Americano: l’Inghilterra
L’Inghilterra ha avuto una grossa influenza, a livello di diritto, su tutto il mondo. La cosa più importante da
fare è capire perché, in un contesto territoriale ridotto e indipendente, la storia dell’Europa non ha avuto
una vita parallela per ciascun sistema, ma solo una vita storicamente condivisa. Infatti, l’Inghilterra è una
realtà avulsa e tutto ciò che avveniva sul continente non aveva conseguenze sul paese.

Intorno all’anno 1000, l’Europa riscopre il diritto romano, il quale comincia a circolare all’interno delle
università e nella vita quotidiana. I giudici in mancanza della consuetudine locale, si rivolgevano alle regole
del Corpus Iuris. In Inghilterra, però, questa circolazione non avvenne per via di alcuni avvenimenti storici.

L’arrivo di Guglielmo I e le riforme sul territorio


Nel 1066, all’arrivo dei Normanni in Inghilterra, segue la Battaglia di Hastings, in cui Guglielmo I, detto Il
Conquistatore, occupa parte del territorio. In quegli stessi anni, a Bologna, si avvia l’attività di
interpretazione del Corpus Iuris nelle università.
Quando arriva in Inghilterra, Guglielmo I, essendo in un territorio ostile, cerca di normalizzare la sua
posizione, rendendo la sua corona più stabile, ma la situazione non è semplice.
L’Inghilterra, come il resto d’Europa, era un territorio feudale, il quale, a causa delle ostilità dei sassoni nei
confronti del nuovo governo, doveva essere gerarchizzato e doveva essere molto rigido.
La distribuzione delle terre doveva servire come ricompensa per coloro che avevano appoggiato i Normanni
nella loro conquista e, proprio per questo, il territorio viene diviso in piccoli feudi, i quali, essendo molto
piccoli, avevano pochissime forse a disposizione, così da non potersi contrapporre al re.
Tuttavia, Guglielmo I non era ancora soddisfatto della situazione e voleva il controllo di ogni singolo feudo.
Per rendere possibile questo controllo erano necessarie due cose:
- conoscere ogni singola cosa che accadeva nei feudi, come la produttività o la ricchezza di questi:
 questa necessità viene risolta assicurando un lavoro di verifica preventiva delle condizioni
del feudo, analizzando e traendo informazioni necessarie e dettagliate sull’economia del
feudo stesso (ad esempio, quanti animali erano presenti o il numero della popolazione).
Questa soluzione si avvicina molto all’idea del catasto moderno, uno strumento per
conoscere in dettaglio ciò che si trova in un determinato territorio. Questo catasto antico è
chiamato Domesday Book, un libro in cui vennero inseriti tutti i dati e le informazioni
riguardo ai beni di un determinato feudo.
Una volta che si è raggiunta la conoscenza di ogni aspetto del feudo, ogni signore feudale
può richiedere un pagamento di somme in nome del re. Questo perché la terra
apparteneva ancora al re, il quale concedeva il terreno ai signori locali, i quali potevano a
loro volta cederli ad altre persone, creando un sistema feudale.
- avere persone fidate all’interno dei feudi, che controllassero che nessuno si ribellasse alla corona:
 questa necessità fu risolta pensando a ridistribuire un funzionario regio per ogni feudo: lo
sceriffo, un funzionario del re presente in ogni feudo.
Tutto questo rende il sistema feudale inglese un po’ più compatto e rigido rispetto al sistema feudale
classico, soprattutto perché viene imposto in un contesto ostile, il quale impone necessariamente soluzioni
che guardano al lungo periodo.

59
La Corte di Westminster: King’s Bench e Common Bench
La presenza di questo forte potere centrale ha una ricaduta in termini giuridici: le consuetudini locali
venivano ancora applicate, così come in tutta Europa, tuttavia in Inghilterra succede qualcosa di particolare.
All’inizio del XII Secolo, a Londra si forma la prima Corte Centrale d’Europa, la quale dava modo al re di
controllare tutto ciò che accedeva nei singoli feudi e monitorava il comportamento dei signori locali.
Insieme agli sceriffi, che dipendono dal re, per controllare ulteriormente il territorio, vengono inviati degli
amministratori erranti. Questi funzionari regi, avevano il compito di girare all’interno del regno e accertarsi
che, al re, venissero fornite tutte quelle ricchezze che egli doveva ricevere dai baroni.
Tuttavia, questi amministratori cominciarono a commettere degli abusi, sentendosi liberi di molestare un
barone oppure di vessarli. Alcuni baroni, quindi, iniziarono a lamentare di essere stati trattati male dai
funzionari regi e cominciarono a chiedere al re di risolvere la questione. Intorno al 1150, l’attività di
controllo viene demandata a un collegio, formato da amministratori sovraordinati, posizionato a
Westminster, che aveva il compito di accertare se quanto lamentato dai baroni fosse vero o meno.
Lentamente, questo collegio diventa la Corte di Londra (la corte centrale del paese), la quale, con il passare
del tempo comincia ad accogliere richieste non più soltanto dai baroni, ma anche dai semplici sudditi che
lamentavano di essere stati maltrattati da un barone. Per questo motivo, intorno al 1200, a Londra nasce
una corte che si occupa solamente dei conflitti di più alto profilo, ovvero quelli dove sono coinvolti baroni e
funzionari regi, e un’altra corte, che si occupa esclusivamente delle problematiche sollevate dai sudditi.
Dall’inizio del XIII secolo, quindi, a Londra esistono due corti:
- una corte a cui il re dedica più attenzione, poiché decide i malumori dei baroni, detta King’s Bench;
- una corte che si occupa dei malumori dei sudditi, detta Common Bench.

Il sistema dei precedenti


In un sistema in cui non era ancora arrivata la massiccia circolazione del diritto romano, queste corti si
ritrovavano a prendere decisioni autoctone, basandosi sulle consuetudini locali. Tuttavia, la consuetudine
applicata dalla corte di Londra, non coincideva con quella di un feudo esterno, ad esempio della
Cornovaglia, e la corte non poteva certamente spostarsi per imparare le consuetudini locali di quel
particolare feudo. Da questo punto in poi, quindi, si ha lo snodo del diritto anglo-americano.
I giudici della corte inglese, con il passare del tempo, tendono a orientarsi sempre meno all’applicazione di
consuetudini locali e iniziano a far riferimento a soluzioni già usate in passato, per risolvere questioni
attuali. Per esempio, se un singolo individuo subisce un incendio doloso, il giudice decide di applicare
secondo il proprio senso di giustizia e se, il giorno successivo, si presenta un altro individuo che ha subito lo
stesso torto, il giudice tenderà a utilizzare lo stesso criterio che ha utilizzato nel giorno precedente.
A questo punto, in Inghilterra, si inizia ad avere una sorta di “doppia giustizia”: una giustizia baronale e una
giustizia regia, la quale sempre meno decide in base alle consuetudini locali e sempre più fa affidamento
sulle proprie decisioni e sui principi utilizzati per risolvere casi precedenti. Le consuetudini locali cominciano
a essere utilizzate sempre meno e le soluzioni passate, lentamente, diventano un insieme di regole, capaci
di mappare buona parte delle problematiche della quotidianità.
Qui sta la differenza tra il mondo anglo-americano e quello dell’Europa continentale: il mondo anglo-
americano è un mondo dove il percorso deduttivo non esiste, poiché non esiste un testo dato. Per questo
motivo, il percorso del giurista anglo-americano nasce come un percorso induttivo: si parte dal caso
concreto e si cerca di individuare la regola necessaria per risolvere il problema.

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Le enormi differenze tra il sistema anglo-americano e il sistema dell’Europa continentale fanno sì che ci sia
un modo diverso di pensare al diritto: un conto, infatti, è partire da un testo dato, con determinate
categorie e concetti predefiniti, un altro è partire dal problema stesso. Questa è la diversa impostazione
deduttiva-induttiva del modo di ragionare dei giuristi inglesi, rispetto a quelli continentali. Il diritto inglese
è, infatti, estremamente lontano dal diritto dell’Europa continentale, soprattutto da quello tedesco, fatto di
grandi categorie e postulati, estremamente concettualizzato e con regole che definiscono persino i più
piccoli dettagli, mentre il diritto inglese parte da una decisione assunta in un caso specifico, come specifico
è qualsiasi caso che la quotidianità ci propone.
Inizialmente, quando il caso sarà sottoposto alla corte per la prima volta, la regola sarà derivata dal senso di
giustizia del giudice, ma successivamente, questa soluzione sarà usata per tutti i casi simili. Con il passare
del tempo, si arriva a un insieme di regole, che sono il prodotto di tante piccole decisioni.
Questo è il compito del giudice anglo-americano: creare il diritto attraverso tante piccole decisioni, che
hanno alle spalle un principio in grado di risolvere il caso concreto.

L’arrivo del diritto romano: Civil Law e Common Law


Quando, in Inghilterra, fa capolino l’insegnamento del diritto romano nelle accademie, questo si diffonde
facilmente, affascinando i giuristi accademici. Tuttavia, i giuristi pratici, cioè quelli che risolvono i casi nella
quotidianità, non ne rimangono influenzati, poiché, dopo centinaia di decisioni sedimentatesi una dietro
l’altra, hanno ormai costruito un loro diritto.
C’è una differenza, quindi, tra il diritto anglo-americano e quello dell’Europa continentale:
- il diritto dell’Europa continentale, infatti, viene detto Civil Law;
- il diritto anglo-americano è chiamato Common Law, diritto comune, il diritto di un intero regno,
poiché ciò che veniva elaborato a Londra andava bene per tutto il regno, nonostante le
consuetudini locali.

Civil Law e Common Law


Il Civil Law, ovvero il diritto dell’Europa Continentale, definisce categorie giuridiche dalle quali si
può ricavare un caso concreto, che può essere sussunto da queste categorie.
Il Common Law, cioè il diritto dei paesi anglo-americani, è un diritto “senza regole”, che parte dal
caso concreto e prende delle decisioni in base alla pronuncia precedente, tramite un metodo
induttivo: si ricava, quindi, dalla fattispecie concreta, il principio che regola l’intero ordinamento.
Si tratta di due percorsi logici diversi, uno deduttivo e l’altro induttivo, ma fatti comunque di
concatenazioni, che partono o dalla norma generale per arrivare al caso concreto, o viceversa.

Processo italiano e processo di Common Law


Una delle grandi differenze tra il processo italiano e quello di Common Law, sta nel fatto che:
- il processo italiano è un processo inquisitorio, in cui il giudice stesso ricerca le prove (anche
se, ormai, sono le parti che offrono le prove; e il giudice determina quali prove sono rilevanti);
- il procedimento, in Inghilterra, viene definito avversariale, per cui le parti si confrontano e al
giudice non viene dato altro che il compito di garanzia del processo (che a entrambe le parti siano
fornite facoltà di difesa e che ci sia un rispetto dei principi del giusto processo). Per questo motivo,
il procedimento è interamente affidato agli avvocati e alle opposizioni.

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Le caratteristiche della giustizia inglese dell’epoca
La giustizia regia inglese è una giustizia non ordalica: l’ordalia è una pratica giuridica secondo la quale
l’innocenza o la colpevolezza dell’accusato vengono determinate sottoponendolo ad alcune prove. La
determinazione dell’innocenza deriva dal completamento della prova senza subire danni. L’ordalia, era un
iudicium Dei, una procedura basata sulla premessa che Dio avrebbe aiutato una persona innocente, se
questa lo fosse stata. Questa pratica viene applicata in tutta Europa, compresa l’Inghilterra. Tuttavia, alla
corte regia, questa pratica è più raffinata rispetto alle corti locali e non viene applicata, mentre ci si muove
verso una forma di giustizia più vicina alla nostra, dove vengono utilizzati testimoni e dichiarazioni.

La formazione dei giudici inglesi


Di fronte a una corte che nasce dall’attività dei giudici, il cui diritto dipende dalla scelte degli stessi e non da
un testo contenente regole, i giudici inglesi hanno una formazione diversa.
Il giurista dell’Europa continentale conosce il diritto romano e lo applica in quei casi in cui le consuetudini
locali vengono a mancare. Per questa ragione è un giudice che si è formato in accademia.
In Inghilterra, invece, il giurista deve conoscere le decisioni precedenti della corte e, per questa ragione,
non si forma in università, ma in corte: l’insegnamento pratico, infatti, diventa l’insegnamento principale.
Proprio su questo punto si ha il disallineamento totale con il mondo dell’Europa continentale, dove
l’insegnamento è sempre stato accademico.

Lo spartiacque tra il mondo del diritto continentale, il Civil Law, e il mondo anglo-americano, il Common
Law, sta tutto in quell’accidente storico, la Battaglia di Hastings, e nella conseguente invasione, le quali
hanno portato a una formazione del diritto diversa dal resto d’Europa.

La circolazione del diritto inglese


L’Inghilterra, al contrario dei paesi dell’Europa continentale, è stata un impero persistente per lungo tempo
e ovunque si trova la presenza imperiale inglese si troverà il Common Law o sue derivazioni. Paesi come
Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda e parte del Sud Africa, sono ancora tutt’oggi realtà del Commonwealth.
La persistenza dell’impero inglese ha assicurato in modo marcato la persistenza del diritto inglese.
Inoltre, dove è arrivato l’impero inglese è arrivata anche la lingua inglese e, quindi, la nascita di realtà
anglofone e la condivisione dei principi del Common Law, facilitati dalla condivisione della stessa lingua.
Inizialmente, il movimento di circolazione avveniva dall’Inghilterra verso tutte le colonie; attualmente, la
circolazione del sistema trova come modello emergente gli Stati Uniti. Sono, infatti, le soluzioni statunitensi
a circolare verso i paesi del Common Law e, addirittura, anche verso l’Inghilterra stessa.
Il mondo del diritto inglese vede, quindi, una circolazione agevolata la quale si svolge in due momenti
diversi: quello della circolazione dall’Inghilterra verso le colonie e quello dal sistema statunitense verso la
madre patria e le ex-colonie.

La Cancelleria e il sistema dei writs


L’idea di una corte centrale a cui anche i sudditi possano chiedere giustizia già esiste in Inghilterra ed è
un’alternativa valida alla corte locale. Nel frattempo, la corte locale continua a esistere e i baroni
continuano a poter dispensare giustizia.
La giustizia regia centrale è resa appetibile dal fatto che è meno legata a sistemi arcaici e rudimentali, come
l’ordalia, e perché ha meno interessi che possono influenzare la giustizia.

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L’accesso alla corte, così come per la corte locale, è limitato dal pagamento di una tassa, una gabella, la
quale viene pagata alla struttura che gestisce le tasse del re e si occupa dell’esazione delle tasse. La
struttura che si occupa di questo compito è la Cancelleria, composta da un ecclesiastico (proprio perché,
all’epoca, chi era capace di leggere e scrivere erano un numero limitato di persone, perlopiù clerici), che era
anche il confessore del re, al cui servizio lavoravano una serie di persone che gestivano le risorse del re.
Pagando una tassa al Cancelliere si poteva ottenere giustizia. Le ragioni del richiedente venivano riassunte
su una pergamena, nominata writ, contenente il riassunto dei fatti essenziali per la controversia, che veniva
consegnata allo sceriffo, il quale, come funzionario regio presente nel contesto locale di ogni feudo,
consegnava la pergamena alla controparte che veniva citata a giudizio.
Nonostante il Cancelliere avesse raccolto la ragione del richiedente e l’avesse registrata su un testo, non è
detto che questa fosse necessariamente vera, motivo per il quale la controparte può affermare che le
accuse non sono vere ed esprimere le sue ragioni. Se la controparte ha motivi per lamentarsi, potrà
presentarsi di fronte al giudice di Westminster.
I writs, quindi, sono soltanto una “modalità propulsiva” della giustizia regia. Non è, infatti, la Cancelleria a
fare da corte, ma la Corte di Westminster, costituita da quell’insieme di funzionari che lavorano in sede di
reclamo contro coloro che sanzionano senza il permesso del re. Questa corte, nata per proteggere le leggi
del re, è formata da giudici che si occupano di dirimere controversie tra sudditi, e crea il Common Law.

In conclusione: una persona si presenta davanti al Cancelliere, pagando una certa somma, e un
provvedimento viene inviato alla controparte, in forma di writ; se la controparte non ha da ribattere, deve
ripagare il torto, altrimenti può presentarsi davanti alla Corte spiegando le sue ragioni.
La Cancelleria, quindi, non è una corte, ma emette semplicemente un ordine.

Dato che con il passare del tempo il numero di casi simili aumenta, il cancelliere, per ottimizzare i tempi,
ogni volta che emette un writ ne tiene una copia, in modo che, al ripresentarsi di un caso simile, la formula
possa essere replicata. Ogni cosa viene registrata e, a seconda della situazione, il Cancelliere si trova aiutato
nel ridirigere il nuovo writ da un writ antecedente con la stessa formula.

La Magna Carta, la Provision of Oxford e lo Statute of Westminster


La giustizia del feudo rispondeva ai bisogni del barone, il quale, tuttavia, avrebbe potuto avere conflitti di
interesse con le singole questioni sollevate dai sudditi. La Corte di Londra, al contrario, non possedeva quel
tipo di interesse e avrebbe deciso secondo giustizia. Per questa ragione, sul lungo periodo, si assiste a un
deflusso di richieste di giustizia della corte locale per un afflusso alla corte regia.
Alla fine del XII Secolo, il deflusso diventò sempre più grande: sempre più spesso si ricorreva alla corte regia,
la quale incassava la gabella, ledendo sempre di più il signore locale, che non vedeva più alcun tipo di
introito. Tutto questo crea delle conseguenze non indifferenti e fa traballare il sistema.
A questo punto, i baroni cominciarono a lamentare l’attivismo della Cancelleria, fino a che, nel 1215, venne
emessa la Magna Charta Libertatum, un testo che riconobbe i diritti delle pretese in favore dei baroni.
Grazie ad essa viene istituito un controllo a livello centrale degli amministratori erranti riuniti nella corte,
limitando il potere del Cancelliere.
Tuttavia, la lotta non terminò e, nel 1258, si sentì nuovamente la necessità di un accordo, il quale riguardò
l’attività della Cancelleria: i baroni ottengono, infatti, una limitazione nell’emissione dei writs. Con questo
accordo, detto Provision of Oxford, re e baroni si accordarono affinché non potessero essere emessi nuovi
writs: i writs esistenti venivano, invece, tenuti nel registro del Cancelliere.
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Limitando la possibilità di emettere writs per nuovi casi si trovò, finalmente, un accordo: per tutti i writs già
esistenti i sudditi potevano rivolgersi alla Cancelleria, ma soltanto se il caso somigliava a un caso presente
nel registro; se il caso non era presente e la questione era nuova, il suddito sarebbe dovuto tornare alla
giustizia baronale, senza possibilità di interpellare la giustizia regia. Questo assicurò che le questioni nuove
andassero al barone, il quale poteva incassare la tassa.
Nel 1285, viene firmato un altro accordo, poiché il re ha ripreso vigore e, sentendosi più forte, tenta di
scardinare gli accordi precedenti. Tuttavia, le intenzioni del re non portano a grandi cambiamenti: con la
convenzione detta Statute of Westminster, la Cancelleria può soltanto emettere tutti i writs già emessi in
passato e nuovi writs per casi simili.
Tutti questi accordi servirono per limitare, in qualche modo, l’accesso alla giustizia regia, poiché i pochi
writs emessi renderanno questa giustizia disponibile soltanto a un numero limitato di persone. La giustizia,
a questo punto, non era più raffinata e imparziale come quella della Cancelleria, ma c’erano possibilità che
non fosse una giustizia corretta. Sebbene l’esistenza di un writ non significasse vincere la causa, ma
semplicemente essere ascoltati a Westminster, c’era una grande differenza tra il fatto di poter ottenere
giustizia e non poterla ottenere perché il writ manca.

Finzione e criteri analogici


A questo punto si creano degli interessi molto forti, perseguiti anche con la forza: il suddito vuole scappare
al barone, perché sicuro che la giustizia locale non sia adeguata, e il Cancelliere è inclinato a dare giustizia al
suddito, mentre il barone tenterà in ogni modo di ostacolare questo processo.
In un contesto dove per avere giustizia è necessario inserire il caso dentro un registro prestabilito di writs, è
chiaro che alla fine si finirà per strattonare i fatti.
In sostanza, se una contesa ipotetica trova risposta in un writ simile, ma non uguale, si cercherà di
estendere il fatto concreto in modo da poter applicare quel writ anche al caso simile. Per esempio, il writ
esistente riguarda l’aggressione di una persona all’altra, ma durante un litigio viene danneggiata una
proprietà di uno dei due contendenti: non c’è stata un’aggressione a una persona, ma a un oggetto, e il
Cancelliere non avrà un writ che riguarda questo tipo di aggressione. Tuttavia, la soluzione sarebbe quella
di estendere il fatto, fingendo che il writ previsto per il danneggiamento di una persona si possa applicare
anche al danneggiamento di un oggetto, utilizzando un criterio analogico secondo il quale si applica un writ
a un fatto analogo già esistente (esiste un litigio e un’aggressione, ma il colpo di martello ipotetico ha
“ferito” una proprietà invece che una persona).
Un’altra soluzione era quella di fingere che alcuni dettagli fossero diversi, portando al massimo la volontà
interpretativa (ad esempio, si può dire che invece di colpire il muretto si è colpita la mano dell’altra
persona). La finzione, quindi, diventa uno strumento per estendere una regola prevista per un caso
specifico diverso, fingendo invece che i due siano identici.
In una situazione in cui il Cancelliere è ingessato nell’utilizzo degli strumenti di giustizia, in cui erano i fatti a
contare, poiché tutto dipendeva da essi (se i fatti erano diversi rispetto al writ esistente allora non c’era una
giustizia), l’analisi di questi è portata alle estreme conseguenze e l’ecclesiastico, il cui senso di giustizia
pervade il quotidiano e che cerca di far si che la giustizia regia prevalga, cercherà, in ogni modo, di aiutare il
suddito, fingendo spesso che i fatti si siano verificati quando non è così.
È naturale, quindi, che in una giustizia ingessata si creino degli strumenti interpretativi che possano venire
in ausilio per estendere l’applicazione della giustizia stessa. Tra questi strumenti, per l’appunto, ci sono
l’analisi dei fatti, l’analogia e la finzione, utili per poter applicare un writ a qualcosa che non potrebbe mai
essere ricondotto ai fatti presenti all’interno del registro.
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I fatti e i testimoni
Questo tipo di impostazione, che tutt’ora esiste nel giurista inglese, porta a delle conseguenze anche in
termini di modalità in cui si discute la causa davanti al giudice di Westminster.
Per esempio, nel caso in cui un contadino lamentasse che il vicino ha lasciato invadere alla propria mandria
di mucche il suo raccolto, calpestandolo e rovinandolo, viene emesso un writ, il contendente non è
d’accordo, e i contendenti si recano a Westminster.
Se colui che ha causato il danno ammette di averlo causato, allora il problema sarà solamente un problema
di diritto, ovvero quello di quantificare un risarcimento, utilizzando un precedente o una regola ex novo.
Questa regola, stabilisce che quel caso specifico (in questo caso, una mandria di mucche che rovina un
raccolto) richiede un certo danno. Tuttavia, questo non significa che si crei un precedente che permette di
applicare la regola a ogni caso simile (ad esempio, se si trattasse di una mandria di pecore che mangia il
raccolto, ma non lo calpesta). Essendo abituati a ragionare con il diritto romano ci si trova davanti a un
principio base che può essere applicato in ogni caso, ma dove questo principio non esiste, bisogna guardare
i precedenti, che, però, possono essere diversi nei dettagli: per questa ragione i fatti sono fondamentali,
perché permettono di capire che non si può applicare un precedente a un caso la situazione sia diversa.

La situazione, comunque, diventa più complessa nel caso in cui l’accusato sostenga che non è vero ciò che
dice l’altra persona. A questo punto si creano due problemi: un problema di diritto, che ci sarà quando si
porrà termine all’accertamento dei fatti, ma, prima di tutto, un problema di fatti, poiché bisognerà stabilire
se il fatto sia effettivamente accaduto e se quello che dice chi accusa sia vero.
A questo punto i fatti diventano importanti e preliminari al diritto.
Considerato che il giudice non può decidere in base a fatti che non conosce e che non può sicuramente
essere a conoscenza di fatti successi a chilometri di distanza da lui, quando c’era una contesa dodici
testimoni venivano chiamati dal luogo in cui era avvenuto il fatto, per esporre la verità sui fatti. Queste
persone non avevano idea di cosa fosse il diritto o come funzionasse, ma aiutavano il giudice a capire quali
fossero i fatti per valutare la situazione. Queste persone, si presumeva raccontassero la verità su ciò che era
accaduto e ciò che emergeva dalle loro testimonianze era chiamato veredictum, ovvero “verdetto”.
Successivamente all’accertamento dei fatti preliminare ci sarà poi la decisione giuridica che applicherà la
regola di condotta necessaria per quel determinato caso.

Nel mondo dell’Europa continentale tutto ciò non è presente, perché non esisteva il problema di una Corte
centrale. In Inghilterra, data la presenza di questa Corte centrale, le persone che andavano a Londra per
testimoniare ed esprimere un verdetto erano una questione quotidiana.
L’attuale giuria americana è l’erede di questo gruppo di testimoni, anche se, oggi, non si tratta più di una
giuria composta da testimoni, ma giurati che si occupano solamente di accertare i fatti. La responsabilità
del verdetto spetta alla giuria, poiché il fatto stesso spetta alla giuria; al giudice, invece, spetta soltanto il
diritto e la sua applicazione.
Nel mondo anglo-americano vi è, quindi, una netta separazione fra accertamento in fatto e accertamento in
diritto. Si tratta di una separazione che l’Europa continentale non conosce, poiché non esiste una giuria, ma
soltanto un giudice, e non c’è mai stato il problema di dover dislocare nei pressi di una corte un gruppo di
persone per accertare i fatti.

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Il vincolo del precedente
Un giudice, che ha il compito di applicare la legge ed è vincolato ad essa, generalmente, se ha emesso una
sentenza in un determinato modo, successivamente continuerà ad emettere la sentenza nella stessa
maniera, applicando la legge nello stesso modo. Tuttavia, non esiste un vincolo che obblighi il giudice ad
applicare la legge sempre nello stesso modo.
Nel mondo dell’Europa continentale il principio di base è che il giudice deve semplicemente rispettare la
legge. Un giudice che decide a suo piacimento, una volta che il privato impugna un appello, verrà ripreso
dalla Corte Suprema, poiché non ha applicato la legge nel modo corretto. Tuttavia, il giudice potrà
comunque decidere di applicare la legge come preferisce, poiché la Corte Suprema risolverà qualsiasi
problema seguente. Ragionevolmente, comunque, un giudice che si trova al gradino più basso della
piramide e vede i suoi superiori applicare la legge in un certo modo, tenderà ad applicarla alla stessa
maniera, poiché se così non facesse, vedrebbe la sua sentenza impugnata. In ogni caso, non esiste alcun
obbligo, per un giudice, di applicare la legge in un certo modo.
In Inghilterra, invece, il giudice non solo deve rispettare la legge applicandola correttamente, ma è anche
tenuto a rispettare i propri precedenti. Questo vincolo esistente nel mondo anglo-americano, può essere
comprensibile se si pensa che non esisteva un Corpus Iuris e il diritto è stato creato da zero. Per questa
ragione saranno i giudici stessi a legittimarsi, seguendo delle regole che, negli anni precedenti, erano state
utilizzate per risolvere altri casi, poiché soltanto così potevano legittimare la loro posizione, creando un
diritto più coordinato. Tutti i giudici, quindi, tendevano naturalmente a replicare i propri precedenti.

L’autonomia della Corte di Westminster


La storia inglese vede la Corte di Westminster nascere come la Corte del Re, fatta di funzionari regi;
tuttavia, intorno al XIV secolo, la Corte di Westminster non è più la Corte del Re, ma ha ormai una propria
vita e si stacca, a livello istituzionale, dalla vicinanza regia.
Diventando una realtà istituzionale autonoma non avrà più la protezione del re e si troverà di fronte a due
poteri (re e baroni) con posizioni di forza superiori alla sua (in quanto entrambi possiedono armi e denaro).
La Corte, infatti, a livello istituzionale, a differenza di re e baroni, non ha né milizia, né denaro e dovrà stare
molto attenta a non prendere posizioni di frattura nei confronti dei poteri che hanno posizioni di forza.
Per evitare di creare un conflitto tra questi poteri, l’unica soluzione era evitare decisioni inaspettate: se la
Corte avesse emesso una decisione attesa non sarebbe potuta essere delegittimata.
Se la Corte prendesse decisioni inaspettate il rischio sarebbe che, a meno che la Corte in questione non sia
estremamente prestigiosa e tutti accolgano le sue decisioni senza battere ciglio, le sue decisioni non
sarebbero applicate, e una Corte che non vede applicata la propria decisione è una Corte che perde potere.
La Corte, non avendo milizie, non ha neanche il potere di indurre il destinatario della sua decisione ad
adempirla, quindi non ci sarebbe alcuna conseguenza neanche a un mancato adempimento. La Corte
perderebbe, quindi, legittimazione e potere.
In un contesto come quello inglese, dove esiste una corte come quella di Westminster, che nasce
prestigiosa poiché il prodotto del re, ma che con il tempo diventa autonoma e perde la protezione regia,
bisogna assolutamente evitare di emettere pronunce inaspettate, poiché queste aumentano il rischio che
qualcuno non le rispetti .
Di conseguenza, la Corte inglese, che si vuole auto-legittimare, emette le decisioni che ci si aspetta e non
prende nuove posizioni, ripetendo le decisioni passate, senza trovare nuove soluzioni, ma semplicemente

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riconducendo i nuovi casi a regole utilizzate nelle decisioni precedenti. il precedente, quindi, diventa uno
strumento per mantenere la Corte su un binario di prevedibilità e per legittimarsi.
In questo periodo, quindi, la Corte inglese tende a irrigidirsi sui propri precedenti.
Inoltre, a un certo punto, la Corte di Westminster cominciò a limitare il rimedio connesso al risarcimento
del danno in denaro: infatti, per ogni problema, la soluzione era un risarcimento in denaro. Questo tipo di
meccanismo soffre enormemente in molti casi (per esempio, se un vicino martella tutta la notte non è un
risarcimento in denaro quello che si cerca, ma una soluzione che gli vieti di usare il martello di notte), ma la
Corte non conosceva altri rimedi e non poteva crearne di nuovi per non rischiare la delegittimazione.
Tutto questo può causare numerosi problemi, tra cui l’avere un sistema ingessato e una giustizia che si
autolimita, non creando nulla di nuovo e cercando di mantenere una linea che ha già assunto.

Con il passare del tempo la necessità di giustizia inglese cambia e, intorno al XV secolo, una giustizia
raffinata e imparziale diventa determinante per i sudditi inglesi: l’Inghilterra, infatti, comincia ad avere una
situazione socio-economica differente e non è più possibile pensare che la giustizia regia rimanga ingessata
e che non ci si possa rivolgere alla miglior giustizia del regno, soltanto perché non c’è un writ che copre il
caso, quando i writs sono del 1258 ed è, quindi, inevitabile che non siano più adatti nel 1500.
A causa di questi avvenimenti (l’inesistenza di un writ che coprisse determinati problemi e una corte
incapace di concedere i provvedimenti più utili a causa della rigidità che le causano i suoi precedenti) i
sudditi cominciano a rivolgersi direttamente al re, l’unico che aveva il potere di dare giustizia a chi la
chiedeva. La giustizia richiesta dai sudditi era più personale, specifica.

Il sistema dei trust


Come già visto, con l’andare del tempo il sistema dei writs si moltiplica al punto da dover essere bloccato
dal un decreto, nel 1258. A questo punto si definiscono anche le forms of action, ovvero le modalità
procedurali con cui inizia un processo, rendendole un numero chiuso. Questo significa che il sistema
normativo inglese non sarà più in grado di reagire con velocità ai mutamenti sociali. Le novità devono
essere sussumibili sotto le forms of action e i writs già esistenti, altrimenti il sistema rimane scoperto.
Il problema sorge, in particolare, per quanto riguarda il sistema dei trust: il trust è un’istituzione del diritto
inglese, secondo la quale si può realizzare un negozio fiduciario. Nel XIII secolo, esso raggiunge un
grandissimo successo, poiché gli scambi commerciali del periodo cominciano a portare enorme ricchezza
nel paese (si tratta, infatti, dell’epoca della Compagnia delle Indie, il periodo di massima espansione e
ricchezza per l’Impero inglese). I soggetti più abbienti, i quali non volevano risultare titolari dei beni per non
essere soggetti a rappresaglie o attacchi commerciali, svilupparono questo istituto, grazie al quale potevano
trasferire i propri beni a un soggetto di fiducia.
Tuttavia, accade che il soggetto di fiducia, invece di amministrare i beni nell’interesse del fiduciante li
amministri a suo piacimento. Una condotta del genere non è protetta da nessun tipo di writ, proprio perché
questi erano stati bloccati nel 1258. Questo istituto giuridico non è quindi contemplato dal diritto inglese,
poiché il trasferimento dei beni è un negozio perfettamente valido, ma non viene riconosciuta la causa di
fiducia, quindi, l’eventuale detenzione dei beni determina un illecito senza rimedio.

La Corte di Equity o Court of Chancery


A causa di questo genere di situazioni viene a crearsi l’esigenza di una tutela che non poteva essere
garantita dalla Corte di Westminster. Il suddito, quindi, comincia a rivolgersi al sovrano, anche se

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l’amministrazione della giustizia è affidata alla Corte. Il sovrano, in quest’ottica, garantisce la pace e le
lamentele che arrivano dai sudditi si appellano alla sua capacità di grazia.
Più precisamente, ci si rivolgeva alla Cancelleria: il Cancelliere, il funzionario più alto del regno, era anche il
vescovo e aveva una formazione umanistica che gli permetteva di conoscere il diritto; inoltre, si occupava
anche delle funzioni di “coscienza del re” (infatti, era chiamato “The Keeper of the King’s Conscience”).
Il re, di fronte a queste richieste, non poteva fare altro che amministrare la giustizia che gli veniva richiesta
e, con il passare del tempo, i casi cominciano ad aumentare, non trattando più soltanto dei casi di trust, ma
anche questioni di giustizia alternativa e quotidiana alla Corte di Westminster.
Così, la giurisdizione regia ritorna in auge e diventa una giurisdizione completamente alternativa a quella
delle Corti di Westminster.
Per via della stessa matrice di pace e giustizia, la corte della cancelleria prende il nome di Corte di Equity, o
Court of Chancery. Questa corte si trova in netta contrapposizione con le corti di Common Law: infatti, le
Corti di Westminster applicano il Common Law, mentre la Court of Changery applica l’Equity.
L’applicazione dell’Equity è un procedimento informale, in quanto i sudditi richiedono la grazia al re: il
suddito si rivolge al Cancelliere, il quale emette il writ of subpoena, ovvero una convocazione del
convenuto (il soggetto chiamato in causa dalla parte lesa).
La forza della Corte che applicava l’Equity non stava soltanto nel fatto che appellandosi a questa ci si
appellava alla giustizia regia, ma soprattutto nel procedimento, il quale, oltre ad essere informale e, quindi,
estremamente semplice (al contrario delle forms of action), doveva usare anche metodi alternativi.
Proprio questo fa sì che il rimedio espresso rappresenti un metodo efficace per riparare il torto subito:
infatti, mentre la Corte di Westminster sanciva soltanto pene in denaro, la Corte dell’Equity utilizzava
l’injunction, ovvero emetteva un ordine secondo il quale il convenuto doveva o non doveva fare qualcosa.
Le Corti dell’Equity, non essendo legate dai ragionamenti tipici delle forms of action o dei writs, potevano
applicare un criterio di giustizia differente, garantendo la pace ed emettendo le ingiunzioni che ritenevano
opportune per riparare il danno subito.
Un’altra grande forza dell’Equity è data dal fatto che in caso di mancato rispetto dell’ordine regio si poteva
arrivare sia al pagamento di una sanzione, sia all’incarcerazione. Si parla, quindi, di una grande forza
persuasiva a disposizione di questa corte. Ciò che giustificava queste sanzioni era il fatto che non fosse
stato adempito un ordine regio.

Ci sono due ragioni, quindi, che hanno alimentato la nascita delle Corti di Equity:
1. non c’è un writ per il caso in questione;
2. non si vuole andare davanti alla giustizia locale.
Si è così reso necessario chiedere al re di emettere un provvedimento singolare e personale per il caso. Così
nasce la giurisdizione di Equity: si chiede al re qualcosa che nessun altro può dare.

A questo punto, si crea una separazione netta fra le Corti di Common Law e le Corti di Equity: quest’ultima
comincia a prendere piede perché non regola più solo le innovazioni giurisprudenziali, ma tratta anche casi
in cui il suddito si ritiene vittima di ingiustizie. In questo senso, non riguarda soltanto la vita quotidiana, ma
anche l’amministrazione della giustizia da parte delle Corti di Westminster.
Con il tempo, le Corti di Equity cominciano a diventare le corti d’appello, di impugnazione di quelle che
erano le sentenze emesse dalle Corti di Common Law. Questo succede perché il rimedio della Corte di
Westminster non soddisfaceva la “sete di giustizia” del suddito, per cui, nonostante avesse ottenuto una
sentenza favorevole, finiva per rivolgersi alla Corte di Equity.
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Il contrasto tra le due corti è, naturalmente, molto forte, poiché queste vengono subito messe in
contrapposizione una all’altra. Le Corti dell’Equity cercano, allora, di aggirare lo scontro attraverso un gioco
dialettico: esse affermano sempre la priorità delle Corti di Common Law, ma dispongono anche dei criteri di
giustizia. Il principio di diritto applicato dalla Corte di Common Law, infatti, non veniva mai messo in
discussione, ma veniva ritenuto che il principio di diritto applicato in un caso specifico fosse stato fatto in
maniera distorsiva rispetto alla previsione normativa.
Rimane un rispetto formale, quindi, di quella che era la tradizione consuetudinaria del diritto inglese, ma la
Corte di Equity si ritiene completamente slegata da essa.

Lo scontro tra le due corti


Alla fine, comunque, lo scontro diventa inevitabile, poiché le due corti finiscono per sovrapporsi in ogni
ambito. La situazione viene stabilizzata dal re, Giacomo I, della dinastia Tudor, il quale stabilisce che in caso
di scontro tra una pronuncia della Corte di Common Law e una pronuncia di una Corte di Equity, prevarrà
sempre la Corte di Equity.
Questo tipo di decisione nascondeva un gioco politico che scaturisca da questa bipartizione
dell’amministrazione della giustizia: la Corte di Equity, infatti, benché nasca come uno strumento rimediale
ed eccezionale, con l’evoluzione storica comincia ad avere un’enorme quantità di casi da gestire, finendo
anche ad occuparsi di ambiti contrattuali, i quali erano, storicamente, applicazione del Common Law.
La Corte di Equity diventa, quindi, un’amministrazione della giustizia fatta in maniera personale e
autoreferenziale, ma soprattutto soggetta alla possibilità di un uso strumentale di essa, per proteggere gli
alleati del re e punire i suoi oppositori.

Un altro problema riguarda il fatto che essendo un’amministrazione della giustizia non fondata su un corpo
giuridico di norme, prevedeva dei concetti di applicazione che erano estremamente elastici, fornendo la
possibilità di applicazione differenziata a seconda del caso. Ciò vuol dire che, se un concetto giuridico può
essere applicato in maniera elastica, allora è facile determinare gli esiti attraverso un processo corruttivo. Si
viene, quindi, a creare un altro fenomeno: nelle Corti di Equity è possibile comprare le decisioni.

Questa bipartizione fra le due corti prosegue per tutto il XVII e XVIII secolo, con una prevalenza delle Corti
di Equity, che trovano una grandissima espansione, sia nelle funzioni che esercita, sia nei tipo di materie
che regola in via esclusiva.

Le confluttialità tra Corte di Common Law e Corte di Equity


In Inghilterra, con l’andare del tempo, si formano molte situazioni di conflittualità politica e istituzionale, tra
Parlamento e Re, e una di queste trova origine proprio nel mondo della giustizia.
La Corte di Equity era l’espressione del Cancelliere, di una realtà molto vicina al re, mentre, ormai, le Corti
di Common Law non lo erano più. Queste, infatti, erano le espressioni di una realtà con una sua autonomia,
mentre il Cancelliere amministrava la giustizia da solo, senza essere un soggetto che forniva opportunità
perché le Corti di Common Law amministrassero la giustizia.
Fino al 1600, c’è sempre stato un andamento ondulatorio del rapporto tra Corti di Common Law e Corti di
Equity. La Corte di Equity, ha sempre cercato di estendere i propri ambiti di intervento e guadagnare potere.

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Inoltre, c’è da ricordare che una Corte non è formata soltanto da giudici, ma ha un indotto naturale di
avvocati e persone che lavorano all’interno, e se esistono due corti che lavorano con regole diverse, allora
si avrà una formazione diversa per ognuna di queste corti.
Se una causa si muove verso una delle due corti, significa che i beneficiari sono soggetti diversi, proprio in
termini economici. Si può capire, quindi, la ragione per la quale queste corti sono in conflitto e perché
ciascuna di esse cerchi di attirare a sé i casi e non lasciarli ad altri.
Proprio perché le due corti sono legate a istituzioni diverse (la Corte di Equity è legata al re, mentre la Corte
di Common Law è legata a tutto ciò che non è regio) a volte una delle due corti veniva appoggiata di più
rispetto all’altra, proprio a causa dell’andamento dei rapporti di forza tra i referenti (ad esempio, spesso il
Parlamento appoggiava le Corti di Common Law per limitare il potere regio).
Questo movimento politico-istituzionale è sempre stato presente nel corso della storia inglese, e porta con
sé anche una prevalenza della Corte di Common Law rispetto alla Corte di Equity (ovvero, la forza di poter
dire che il caso è proprio, perché così si può assicurare una ricaduta economica in favore di tutti coloro che
lavorano per quella specifica corte).

In ogni caso, l’andamento altalenante tra corti di Common Law e Corti di Equity, era chiaramente una
battaglia in secondo piano, poiché la vera battaglia era tra il Parlamento e il Re.

A quale corte rivolgersi


Quando si vuole fare una richiesta ad una Corte, è necessario fare attenzione a seconda del writ che si
richiede e a seconda del rimedio che si vuole ottenere, poiché questo dipende dalla corte a cui ci si rivolge.
Ci sono, tuttavia, situazioni di confine, poiché esistono casi chiari ed evidenti (ad esempio, se una somma di
denaro viene sottratta è chiaro che si vuole un risarcimento), e casi in cui ci si trova sul confine tra una cosa
e l’altra (ad esempio, se si promette a qualcuno un oggetto e questa persona si ritrova a dover comprare
questo oggetto da sola, spendendo del denaro, potrà sia richiedere di ricevere il mio prodotto oppure una
cifra in denaro come risarcimento).
La situazione può essere molto articolata e ci sono domande che non sono semplici: esistono zone d’ombra,
in cui si può vedere la competenza di una o dell’altra corte, a seconda di come viene letta la domanda.

Il writ of prohibition
La Corte di Common Law aveva chiaramente un potere più forte rispetto alla Corte di Equity e poteva
emettere, nel momento in cui si sentiva più forte, un provvedimento che poteva anche non essere
applicato, correndo però il rischio di venire delegittimata e perdere potere. Questo potere, quindi, doveva
essere calibrato, poiché la Corte di Common Law doveva essere sicura che la Corte di Equity rispettasse
quel determinato ordine.
Questo era possibile perché, secondo le vecchie consuetudini, la Corte di Common Law poteva emettere un
writ chiamato Writ of Prohibition, il quale proibiva alle corti locali di proseguire il giudizio e lo evocava a sé.
Questo succedeva perché il giudizio del re doveva essere prevalente, quindi, le Corti di Westminster,
potevano impedire che un giudizio locale potesse svolgersi sulle medesime questioni.
Il Writ of Prohibition, tuttavia, poteva anche essere abusato: avendo questo potere è possibile utilizzarlo
sempre, sottraendo in continuazione casi alle Corti di Equity. Questo avveniva quando la Corte di Common
Law si sentiva particolarmente forte, abbastanza da poter ottenere l’esecuzione del writ. A quel punto, lo
emetteva nei confronti della Corte di Equity (o di Ammiragliato), per avocare a sé quei giudizi che riteneva
gli fossero stati sottratti ingiustamente.
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Ad esempio: l’esito più logico per una causa sarebbe il risarcimento del danno, tuttavia la Corte di Equity
sostiene che l’esito migliore sia che l’eventuale merce perduta venga riconsegnata al richiedente, senza
alcun risarcimento. La Corte di Common Law può sindacare su questo modo di trattare il caso, poiché si sta
semplicemente eludendo una sua competenza. A questo punto, può emettere un Writ of Prohibition, il
quale blocca la causa e la passa alla Corte di Common Law.

L’emissione di questo writ dipendeva dalla forza che la Corte di Common Law aveva in quel momento,
poiché se fosse stato emesso in un momento in cui essa era particolarmente debole si correva il rischio che
il writ emesso nei confronti della Cancelleria (la Corte di Equity) non venisse preso in considerazione. A quel
punto, le Corti di Common Law avrebbero perso la loro legittimazione e il loro potere.
Si doveva, quindi, fare molta attenzione a emettere un Writ of Prohibition, in quanto poteva rivelarsi
pericoloso. Infatti, era possibile emetterlo soltanto quando la frode giudiziale era evidente.

La rivoluzione industriale e la rottura col passato


Lo scontro tra le due corti prosegue fino a quando avviene una profonda rottura con il passato, indicata da
un enorme evento storico dirompente, soprattutto in Inghilterra: la Prima Rivoluzione Industriale.
Così come durante le scoperte geografiche del XV secolo, durante la rivoluzione industriale si crea un
elemento di rottura col passato, che non riesce ad essere assorbito efficacemente da parte
dell’ordinamento giuridico inglese.
La rivoluzione industriale crea una frattura con il passato, poiché imprime un’accelerazione nei processi
commerciali e di produzione industriale. A fronte di questa accelerazione, la giurisdizione inglese non riesce
a reagire con altrettanta velocità. Questo perché il diritto inglese era un diritto consuetudinario,
autoreferenziale e non in grado di rinnovarsi con velocità, in quanto non è in grado di rinnovarsi attraverso
disposizioni normative che possano modificarsi nel corso del tempo.

Le codificazioni nei paesi Europei


Nel XIX secolo, l’Europa Continentale si trova davanti a un grande fenomeno culturale e innovativo: la
nascita delle codificazioni, specificatamente il Codice Napoleonico e il Codice Tedesco.
In Francia, questo fenomeno si sviluppa proprio a causa della rottura con il passato determinata dalla
Rivoluzione. In quel contesto, gli operatori del diritto riuscirono a trarre profitto dalla loro attività,
tendendo a mantenere lo statu quo, proprio perché avevano creato un sistema che permetteva loro di
mantenere un controllo stabile sull’amministrazione della giustizia e sui proventi di essa.
In quest’ottica, il popolo francese vide la classe forense come una casta che voleva conservare i propri
privilegi, creando un forte contrasto fra l’esigenza di tutela richiesta dal popolo e le modalità con cui
l’amministrazione della giustizia veniva operata. Questo contrasto diventa il motivo di frattura che portò a
una codificazione improntata a rendere lo schema dell’amministrazione più rigido e prevedibile possibile.
In Germania, questo tipo di frattura non si viene a creare, poiché il percorso per la codificazione fu più
pacifico, ma si arrivò comunque allo stesso risultato: la Pandettistica creò un sistema per cui il codice non
era altro che l’applicazione matematica dei principi del diritto. La scientia iuris era portata al livello di una
scienza certa e una scienza certa non ammette interpretazioni o termini equivoci.
Il risultato di queste due codificazioni non è altro che un irrigidimento, non solo dell’amministrazione della
giustizia, ma anche delle fonti del diritto, poiché tutto viene codificato all’interno di una norma unica.

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La rottura storica in Inghilterra
In Inghilterra, il meccanismo è esattamente l’opposto: il paese non ha mai conosciuto una codificazione, né
ha mai avuto l’esigenza di averne una. In Francia, si sentiva l’esigenza di un rovesciamento della classe
forense, ma in Inghilterra era il contrario: la classe forense era guardata con rispetto e reverenza,
soprattutto perché l’epoca precedente alla Rivoluzione Industriale aveva visto il tentativo dei Tudor di
portare una forma di assolutismo all’interno dell’Inghilterra e, questo tentativo, era stato contrastato
proprio dalla classe dei giuristi.
In questa fase storica, si avverte il problema di avere un ordinamento composto da due sistemi di corti
differenti. Le due corti si rispecchiavano, ma il suddito che voleva giustizia doveva affrontare dei
procedimenti differenti, proprio perché le due corti avevano soluzioni opposte. Coloro che ritenevano di
aver subito un’ingiustizia si rivolgevano prima alle Corti di Common Law e poi a quelle di Equity, con un
aumento dei costi, dei tempi, e un’incertezza nei provvedimenti.

La Supreme Court of Justice: High Court e Crown Court


Intorno alla fine del 1500, la battaglia tra le Corti di Common Law e le Corti di Equity, giunga a una
conclusione. In questi anni, le Corti di Common Law iniziano a emettere Writ of Prohibition del tutto
infondati, manifestando la loro totale prevalenza sulle Corti di Equity.
Con la riforma del 1873-75 si ha, infatti, un momento rivoluzionario nel mondo inglese: scompaiono le due
corti che assicuravano diritti diversi e viene semplificato il sistema dei writs, ormai diventato inadeguato (si
ha ora un unico strumento per evocare davanti alla corte un soggetto, senza dover passare attraverso il
meccanismo di ricerca del writ presso la Cancelleria).
L’unica grande corte che si forma prende il nome di Supreme Court of Judicature e funge da contenitore
per tre corti separate:
- le corti di primo grado, la High Court;:
- la Crown Court, la quale si occupa soltanto delle questioni civili.
L’eventuale decisione di una di queste corti può essere impugnata davanti alla Court of Appeal, la Corte
d’Appello, ovvero la corte di secondo grado, la quale presenta due divisioni:
- la Criminal Division, che si occupa delle questioni penali;
- la Civil Division, che si occupa delle questioni private.

La High Court si occupa, quindi, di questioni privatistiche ed è costituita da sezioni che inglobano le vecchie
competenze delle Corti di Common Law, delle Corti di Equity e delle Corti di Ammiragliato.

La Corte di Ammiragliato
Anche in Inghilterra, come nel resto del mondo occidentale, si è sempre cercato di tenere distinto
il diritto mercantile dal diritto privato, e anche in Inghilterra è presente una corte dedicata al
diritto mercantile: la Corte di Ammiragliato.
In Inghilterra, il diritto romano è arrivato sull’isola attraverso il mondo accademico, ma il diritto
autonomo locale era così forte da costituire un ostacolo per l’importazione delle regole
romanistiche: per questo motivo, il diritto romano non riesce a farsi spazio nel mondo inglese.
Tuttavia, c’è un eccezione: infatti, in alcune corti, il diritto romano è riuscito a farsi spazio. Per
esempio, nelle Corti di Equity, dove la Cancelleria era appannaggio dei clerici che vivevano
secondo le regole romano-canoniche, era naturale che il diritto romano avesse una certa rilevanza.

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Il diritto romano, anche in quelle realtà in cui si è cercato di allontanarlo, riesce a infiltrarsi in un
settore in particolare: il settore mercantile dei commerci. Anche dove un popolo era geloso delle
proprie consuetudini e non voleva il diritto romano, si è pretesa l’applicazione di questo per tutte
le questioni commerciali: questo a causa della sua efficienza, che gli ha sempre permesso di
funzionare bene nell’ambito dei rapporti commerciali.
L’Ammiragliato, quindi, è una corte che applica le regole del diritto romano nell’ambito dei
rapporti commerciali mercantili. Queste regole, erano le stesse regole applicata da tutte le corti
mercantili d’Europa.

La House of Lords
Sopra e al di fuori di questa struttura, nel 1876, si decide di posizionare la House of Lords, ovvero una delle
due camere che si trova all’apice del potere legislativo (poiché essendo una camera del Parlamento elabora
leggi), sia all’apice del potere giudiziario (perché è la corte apicale). Tuttavia, anche se a livello nominalistico
vi è identità fra le due cose, i soggetti sono diversi.
I componenti della House of Lords giudiziaria vengono chiamati Law Lords e sono giudici a vita, ma non
fanno parte di quel gruppo di nobili, che si occupava di legiferare (questi erano membri a livello ereditario).

I Judicature Acts e la Supreme Court of Judicature


A causa di questo, nel 1873 e nel 1875, vengono promulgati i Judicature Acts, due statuti normativi con cui
si opera una totale riorganizzazione dell’assetto dell’amministrazione della giustizia, attraverso tre passi:
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- la fusione tra Corti di Equity e Corti di Common Law:
 La fusione tra le corti era l’esigenza primaria e, per questo motive, queste non solo
vengono unite, ma vengono anche abrogate tutte le piccole corti, specializzate e
delocalizzate, che si occupavano, ad esempio, del diritto mercantile o navale, o che
avevano una competenza speciale;
- la riorganizzazione delle corti di giustizia:
 Queste corti vengono tutte riunite e lo schema della riorganizzazione della giustizia viene
inquadrato nella Supreme Court of Judicature, che si compone di:
 Court of Justice: un organo di prima istanza;
 Court of Appeal: una corte di secondo grado, di impugnazione.
A questo punto, non esiste più una distinzione fra diritto comune e diritto di Equity e viene
tutto amministrato da un unico organo, anche se le fonti del diritto rimangono separate.
- l’abbandono delle forms of action:
 le forms of action vengono abolite nel 1875 e la procedura viene rimpiazzata da qualcosa di
più semplice, che prevede un writ of summons, senza necessità di individuazione del
rimedio richiesto: questo vuol dire che si supera la fase per cui il writ prescelto determinava
l’intera procedura e rimedio.
Questa parte della procedura ordinaria dell’amministrazione della giustizia viene
completamente spazzata via, perché il writ of summons apre la strada a una richiesta del
rimedio più confacente, poiché il giudice poteva applicare sia il rimedio classico risarcitorio,
noto alle Corti di Common Law, sia il rimedio delle ingiunzioni, noto alle Corti di Equity.

La dottrina del precedente


In Inghilterra accade l’opposto di ciò che accade nel resto d’Europa, in cui gli istinti riformatori e le grandi
codificazioni non prevedevano altro che costringere il giudice all’interno di una norma. In Inghilterra, invece,
ciò che viene richiesto al giudice è di rinnovare la giurisprudenza ormai trascinata da secoli e di liberarsi
degli schemi esistenti, amministrando la giustizia nel modo più opportuno.
Questo enorme potere dato al giudice inglese, crea un enorme disorientamento, poiché si tratta pur
sempre di un sistema senza leggi specifiche. Il giudice, infatti, non poteva appellarsi alla legge, poiché
questa era uno strumento sconosciuto, ma non poteva neanche appellarsi alla rigidità della procedura: per
questo, al giudice, vengono a mancare dei riferimenti basilari.
In questo periodo storico, per questa ragione, viene a svilupparsi la dottrina del precedente.

La particolarità del diritto inglese è quella di essere un diritto consuetudinario, un diritto la cui produzione
antecedente vincola l’interprete. Il sistema del precedente è un irrigidimento della giurisprudenza: un caso
viene deciso in una certa maniera e in quella maniera verranno decisi tutti i casi successivi.
Nel momento in cui un giudizio si conclude in un certo modo e con una certa motivazione, questa
motivazione costituisce il precedente per il quale, a casi analoghi, verrà applicato sempre lo stesso tipo di
motivazione e di ragionamento giuridico.
L’idea del precedente viene a irrigidirsi proprio perché, in questa maniera, il giudice poteva ricercare, in
tutta la produzione antecedente, i principi di diritto affermati dalle sentenze, e non doveva fare altro che
applicarli ai casi che gli venivano sottoposti. In questa maniera, il Common Law si autolegittima e trova una
base che non poteva trovare nelle forms of action.

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La ratio decidendi
Per capire meglio la dottrina del precedente è utile fare un esempio: qualcuno beve da una bottiglia e si
sente male poco dopo; successivamente, si copre che ha subito un avvelenamento, poiché sul fondo della
bottiglia c’era un insetto. Il caso viene presentato davanti a una corte, la quale decide che questa persona
ha diritto a un risarcimento per il danno subito.
In questo esempio, si viene a creare un’ipotesi di risarcimento diretto da parte del produttore al soggetto
danneggiato, senza vincolo contrattuale. Il diritto al risarcimento viene affermato in quanto il produttore ha
degli obblighi di protezione nei confronti dei consumatori e deve rispettare degli standard di sicurezza.
Questo può essere il principio di diritto che il giudice può ritenere che questa sentenza porti con sé e nel
momento in cui si presentasse una soluzione analoga, potrebbe applicare lo stesso principio nuovamente.

Ciò che è importante nell’esempio è la motivazione, la ratio decidendi, che sorregge il principio di diritto,
ma anche gli elementi fattuali dai quali parte il giudice, che determinano il percorso motivazionale.
Ciò che vincola la ratio decidendi è il percorso motivazionale dal quale è possibile estrarre un principio:
questa, infatti, è necessariamente legata ai fatti che il giudice esamina.
La ratio decidendi di un caso può estendersi anche a casi simili, poiché il giudice, chiamato a esaminare un
altro caso, può trovare delle analogie. Tuttavia, è possibile che i fatti siano diversi, quindi il problema sta nel
capire quali siano i fatti ritenuti rilevanti e che possano costituire un ente di raffronto.

Per fare di nuovo l’esempio dell’insetto nella bottiglia: nel caso precedente, sia la bottiglia che il liquido
erano scuri e non era possibile per il consumatore notare l’insetto, ma se questi fossero stati trasparenti,
l’insetto si sarebbe visto e ci si dovrebbe chiedere se si ci trova nello stesso ambito. La risposta è a
discrezione del giudice che applica la ratio decidendi sussunta dal precedente e deve capire se questo
stesso principio di diritto è applicabile per analogia.
È proprio questo, quindi, il limite, e la peculiarità, del sistema del precedente inglese ed è il motivo per il
quale il sistema è stato abbandonato, non potendosi ritenere che esistano fatti comuni che permettano la
replicazione dei medesimi principi di diritto, che sono stati applicati sulla base di fatti non ripetibili.

Il sistema dell’overruling
Il sistema del precedente è vincolante, ma, in tempi recenti, sono stati creati degli strumenti per utilizzarlo
al meglio. Uno di questi strumenti è l’overruling, il cui significato è quello di un rigetto: un giudice
appartenente a una corte superiore, che ritenga che quel precedente sia completamente incompatibile con
il caso che gli viene presentato, non applica quel precedente, ma applica un principio nuovo di diritto. Si
tratta, chiaramente, di una situazione estrema, consentita soltanto alle corti di grado superiore.

L’anticipatory overruling
Un altro tipo di overruling è l’anticipatory overruling: una corte di grado inferiore non segue un precedente
che sarebbe vincolante, nella convinzione che la corte superiore abbia abbandonato quel precedente
(perché questo molto antico o perché sono cambiate le situazioni sociali).

La tecnica del distinguishing


Ciò che diventa determinante nell’applicazione del precedente vincolante, sono i fatti dai quali il giudice
crea il percorso motivazionale che costituirà la ratio decidendi.

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Nel caso in cui si ritenga che i fatti non siano esattamente corrispondenti si utilizza la tecnica del
distinguishing: il giudice non si adegua a quel tipo di precedente, ma pronuncia un nuovo principio di
diritto o ne pronuncia uno derivante da un altro tipo di precedente, in quanto ritiene che i fatti non
permettano un’applicazione logica del medesimo principio.

Lo statuto del Practice Statement


Il sistema del precedente non è idoneo a creare un corpo normativo unico e prevedibile e, per questa
ragione, nel 1966, la House of Lords ha promulgato uno statuto denominato Practice Statement, il quale
consente soltanto alle corti superiori di non uniformarsi al precedente vincolante. Ciò che viene richiesto al
giudice non è più la ricerca del precedente vincolante, quindi l’individuazione della ratio decidendi, ma un
esame della casistica giurisprudenziale, in modo da ricercare il principio di diritto adatto.
Si tratta di un percorso di astrazione ancora più rilevante rispetto all’individuazione della ratio decidendi,
che consente una categorizzazione unica.

Tornando all’esempio dell’insetto nella bottiglia: estrarre il principio di diritto vuol dire ricercare in quel
caso il principio più generale, ovvero che il produttore è responsabile dei danni cagionati dal suo prodotto.
Per il nostro sistema non è una novità, tuttavia, in Inghilterra, si è trattato di un cambiamento enorme.
Questo non significa che, nell’Inghilterra attuale, si ragioni per categorie giuridiche, ma che ciò che viene
richiesto al giudice è di trovare la legge, non di crearla, e di ripercorrere tutto il sistema dei precedenti,
tutto il diritto consuetudinario inglese, per trovare quell’affermazione del principio di diritto generale che
serve, non solo a regolare il caso concreto, ma anche a dare un corpo più unitario.

Le modifiche moderne
La struttura inglese rimane la stessa dal 1875 ai primi anni del 2000. Infatti, nel 2005, alcune problematiche
cominciano a sorgere, a causa di una serie di polemiche provenienti dal mondo europeo continentale.

L’eliminazione della House of Lords


La prima polemica è di tipo nominalistico: la House of Lords, infatti, non può essere sia la Camera Alta del
Parlamento, che il giudice di prima istanza. Gli inglesi hanno cercato di illustrarne la diversità, ma questa
nominalistica costituiva un motivo di confusione per gli altri paesi europei.
Per questo motivo, nel 2009, si interviene su questo tipo di sistema:
- non esiste più una House of Lords come apice giudiziario, ma esiste ancora come Camera Alta;
- la House of Lords viene sostituita dal sistema giudiziario inglese della Supreme Court of United
Kingdom e coloro che andranno a formare i giudici della corte non saranno più nominati dal Lord
Cancelliere, ma da una Commissione di giudici.

La nomina dei giudici


Il secondo argomento di discussione riguardava la formazione giuridica: a differenza di ciò che accade nel
resto d’Europa, in Inghilterra il giudice non deve frequentare l’università per diventare giudice, ma
apprende il mestiere frequentando la corte e seguendo gli avvocati. Il momento formativo comune che
avviene nelle università europee, in Inghilterra viene a mancare, e tutti coloro che vogliono diventare
giudici intraprendono prima il percorso di avvocato. I migliori avvocati, al termine della loro carriera,
possono diventare giudici.

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Tuttavia, diventa complesso pensare che i giudici che sono stati appena nominati possano scegliere gli
avvocati che poi diventeranno giudici. Per questa ragione, esiste un soggetto che, tra i tanti avvocati, ne
sceglierà alcuni affinché essi diventino giudici: questo soggetto è il Lord Cancelliere, il quale non è altro che
il Ministro della Giustizia, ovvero un politico che fa parte dell’esecutivo.
La figura del Lord Cancelliere è una contraddizione in termini del principio di divisione dei poteri: la nomina
formale, infatti, avveniva, attraverso l’opera della Regina, ma colui che suggeriva i nomi dei giudici da
nominare era il Lord Cancelliere, alla quale la Regina non poteva opporsi.
L’autonomia dei giudici sta nel poter determinare le modalità con cui questi vengono nominati e se questo
è appannaggio del potere giudiziario stesso, allora c’è completa autonomia, ma se altri poteri
contribuiscono, l’autonomia diventa più evanescente.
Per questo motivo le pressioni per una modifica di una modalità di nomina giungeva da più fronti.
Negli anni del 2000, si inizia a discutere una modifica che, nel mondo dell’Europa Continentale,
chiameremmo “costituzionale” (sebbene l’Inghilterra non possegga una costituzione scritta).

La struttura dell’Inghilterra moderna


L’Inghilterra è una monarchia con un potere legislativo (formato da House of Common e House of Lords, le
due camere del Parlamento), un potere giudiziario e un potere esecutivo nelle mani del Governo.

Il Privy Council
Nell’ambito del potere esecutivo esiste un organismo, chiamato Privy Council, che è il retaggio della curia
regis, ovvero della corte regia medievale, il quale oggi ha, tuttavia, un rilievo ridotto. Si tratta del consiglio
privato della Regina, composto da un gruppo di consiglieri, il cui compito era quello di dare consigli.
Oltre ad essere il consiglio della Regina, il Privy Council era anche la corte suprema d’appello per l’intero
impero britannico e continua, ancora oggi, a esercitare queste funzioni gli stati del Commonwealth.
Essendo un grande impero, infatti, l’Inghilterra aveva delle corti locali nelle sue “colonie” (ancora oggi, per
esempio, la Regina è il referente esclusivo dell’Australia), le quali, però, non avevano la possibilità di
definire in ultima istanza i casi che nascevano sul territorio: infatti, per poter decidere definitivamente una
questione ci si doveva recare a Londra, dove venivano prese le decisioni per tutte le colonie, come Australia,
Nuova Zelanda o Canada. Tutt’oggi, queste questioni vengono gestite dal Privy Council.
Quando il Privy Council si trova a dover discutere un caso, il giudice del paese dal quale il caso proviene si
trasferisce a Londra, dove farà parte del seggio che si occuperà di prendere la decisione finale, in modo che
possa informare Londra riguardo la realtà giuridica del sistema ove si è verificato il fatto.
Il Privy Council è l’espressione della vecchia corte del re, che continua a esistere e che ha il compito di
amministrare le colonie, le quali oggi non sono però più tali, ma sono paesi del Commonwealth.

Le corti superiori inglesi


Le corti superiori dell’Inghilterra sono:
- High Court;
- Court of Appeal;
- Supreme Court.
Esistono anche:
- Le County Courts, ovvero le Corti di Contea, che si trovano su tutto il territorio e che si occupano di
questioni di poco valore.

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 Ci sono questioni di poco valore che sono appannaggio di altri giudici, non di professione: di
questi casi si occupano le Magistrate’s Court, ovvero i Giudici di Pace, coloro che giudicano
le questioni civili e penali di poco valore.
C’è, quindi, una ripartizione delle competenze per valore:
- il valore più basso viene assegnato ai giudici che non hanno una formazione giuridica solidissima;
- le County Courts;
- le corti superiori: High Court, Crown Court, Court of Appeal e Supreme Court of UK.

Il Common Law e lo statute


Il Common Law è la sedimentazione delle decisioni prese nel corso dei secoli dai giudici. Questo diritto
comune che si è formato si contrappone a quello dell’Europa Continentale.
Quando si parla di Common Law, si pensa a un diritto in cui il giurista non nasce in accademia, ma nasce
nella corte stessa: gli avvocati, infatti, apprendevano il diritto in corte, soprattutto perché, inizialmente,
siccome non esisteva un testo scritto e le decisioni erano orali, era necessario ricordarle come tali.
Il termine “law” in inglese, è un po’ più complesso di quello che sembra: con esso si intende la legge, il
diritto, ma per definire un prodotto legislativo si utilizza invece il termine “statute”.
Il Common Law consente una modifica di un settore del diritto lenta, ma persistente; lo statute, permette
una modifica più celere, ma instabile.

I giudici vedono sempre male l’intervento del legislatore, poiché egli va ad occupare uno spazio che non gli
appartiene. Quando il legislatore inizia a intervenire in qualcosa che i giudici ritengono loro, il legislatore
comincia a essere visto di cattivo occhio.
I giudici nascono con l’idea di essere gli unici a poter creare il diritto e soltanto loro hanno la possibilità di
incidere su di esso ed è chiaro che, quando appaiono gli statutes, questi siano visti in maniera negativa,
poiché si tratta delle leggi di un intruso e bisognerà eliminare tale modifica.
Questo è fattibile interpretando la legge in maniera tale che questa somigli al Common Law: il giudice
cercherà di strattonare la legge, per riportarla in regola con il Common Law. Un legislatore che voglia
limitare questo tipo di azioni cercherà di legiferare in maniera più dettagliata possibile.
Una legge italiana, tedesca o francese non è mai completamente dettagliata, mentre quella inglese lo è,
proprio perché così facendo l’intervento dei giudici è limitato. La legge inglese, infatti, è molto più
dettagliata rispetto a quelle dell’Europa Continentale, poiché in Inghilterra il giudice tende a non rispettare
quanto è stato previsto dal legislatore.

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» L’ordinamento anglo-americano: gli Stati Uniti
Durante le loro conquiste, gli inglesi arrivano nel territorio delle Americhe, oggi gli Stati Uniti d’America.
Questo paese era una realtà che non conosceva giuristi di professione, quindi non erano presenti soggetti
che conoscessero il diritto inglese. La gestione delle controversie, infatti, era rimessa ai notabili dei singoli
villaggi e delle singole società, sottoposti sempre al controllo di un governatore, il quale gestiva i territori
per conto della madrepatria.

Il mondo americano risulta particolare, poiché durante l’inizio dell’Ottocento la parte più a Est è vicina agli
standard europei, mentre la parte di frontiera è una realtà diversa rispetto alla situazione che
caratterizzava gli stati a Est. Bisogna, quindi, tenere presente che, fino al Novecento, il paese vedrà una
situazione diversificata dal punto di vista giuridico.

I primi giuristi
Durante il Settecento si avviano alcuni cambiamenti: alcune famiglie benestanti vogliono che i loro figli
vengano iniziati al mondo del diritto. Dato che non esistevano università con corti raffinate come quelle
inglesi, i ragazzi venivano mandati a studiare a Londra.
Si crea, quindi, un flusso migratorio verso l’Inghilterra, dove i giovani aspiranti avvocati studiavano per poi
tornare negli Stati Uniti e sfruttare la loro preparazione per pochi eletti, in modo da acquisire prestigio in
una realtà che solo in quel momento stava iniziando a sentire l’esigenza di avere dei giuristi di professione.
Questa esigenza può essere dedotta dal fatto che si comincia a limitare l’accesso alla corte: le nomine,
infatti, vengono fatte dai giudici in maniera sempre più settoriale, dirette su quei pochi soggetti che
possedevano un’esperienza giuridica; gli avvocati, inoltre, avevano un accesso limitato alla corte, il quale
poteva essere ottenuto a seguito di un’iscrizione a una specifica lista tenuta dalla Corte, per la quale erano
necessari determinati requisiti (ad esempio, una preparazione ottenuta a Londra).
Questi cambiamenti dimostrano come la realtà del Settecento americana si muova verso una
professionalizzazione sia del giudice che dell’avvocato.
Nell’Ottocento, quindi, si può dire che il mondo delle corti americane si ritrova con una serie di regole
necessarie all’accesso alla corte, sia per quanto riguarda i giudici, sia per quanto riguarda gli avvocati.
Le regole di accesso rendono il sistema più raffinato, poiché se tutti possono essere giudici e avvocati, allora
non esiste raffinatezza, mentre se soltanto alcuni soggetti possono svolgere la professione, allora la
tendenza è quella di rendere specializzato colui che si occupa di queste materie.

La situazione delle colonie, successivamente, subisce una rivoluzione a causa di tre fattori:
1. prende il via la Rivoluzione Americana, la quale avrà una sua rilevanza;
2. verranno aperte delle Università: alla fine del Settecento, nasceranno quelle che oggi
chiameremmo facoltà di “giurisprudenza” (School of Law), realtà accademiche dove si insegna il
diritto. L’Università di Harvard, ad esempio, è nata intorno al 1830. È anomalo, comunque, che in
Inghilterra le università non esistessero, mentre in un mondo dove l’esperienza inglese prevale
queste riescano a nascere;
3. avviene una presa di potere nell’ambito della conoscenza del diritto.

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La nascita delle Università
Le università sono il luogo di formazione del giurista continentale e non hanno nulla a che vedere con il
giurista inglese. Il giurista inglese, infatti, si forma in corte. In una società con una forte esperienza inglese
come quella statunitense, quindi, ci si aspetterebbe una realtà simile, ma in realtà non sarà così.
Non esistendo corti prestigiose sul territorio statunitense, ad un certo punto, si cominciò a sentire la
necessità di una formazione più seria: per questa ragione molti giovani vennero mandati a Londra per
formarsi seriamente come giuristi. La carenza di una formazione pratica, quindi, fece sì che, dal 1700 in poi,
nella zona est degli Stati Uniti, potesse nascere qualcosa di simile a quello che è nato in Europa
Continentale, ovvero luoghi di studio del diritto.

Una realtà di compromesso: l’insegnamento


Il mondo accademico americano è una realtà di compromesso: nonostante si studi in accademia, infatti, si
tratta comunque di una realtà influenzata dal mondo inglese, la quale non ha un Corpus Iuris o categorie
giuridiche, ma i precedenti casi che i docenti, come giudici o avvocati, si trovano ad affrontare.
Ogni giorno, agli studenti viene spiegato un caso e viene illustrato il corso che questo caso ha fatto,
esponendone l’esito e ciò che è stato deciso.
Si tratta di una forma di insegnamento accademico, ma una che non mira a fornire informazioni generali,
piuttosto che spieghi i casi in maniera completa, in modo che poi il futuro avvocato o giudice possa trovare
la regola che è servita per la risoluzione del caso.
Questo, in Inghilterra non è accaduto e, fino a pochi anni fa, si continuava a formarsi in Corte. Tuttavia, oggi
la situazione è diversa e alcune formazioni universitarie consentono di diventare giudici.

Il sistema delle raccolte


In un contesto dove il precedente è rilevante, la decisione che il giudice assume è rilevante, perché sarà
quella che verrà rispettata da giudici successivi. Conoscere il precedente, quindi, significa conoscere il
diritto stesso. La conoscenza del precedente è semplice a Londra, poiché il contesto è ridotto ed è facile
apprendere le decisioni; ma se ci si muove in un contesto più ampio, quali sono gli USA, diventa complicato
sapere quello che avviene in tutto il paese. È, quindi, estremamente importante la circolazione di
documenti che portino con sé le decisioni. Queste raccolte di decisioni sono determinanti per poter
conoscere le decisioni di una corte che è allo stesso livello, ma lontana territorialmente.
Mentre a Londra questo non crea problemi, negli Stati Uniti cominceranno a nascere corti ovunque, le più
rilevanti a Washington, New York e Philadelphia, motivo per il quale era assolutamente necessario
consentire agli avvocati di conoscere quello che succedeva nelle altri corti del paese.
Si vengono, quindi, a creare delle raccolte, la cui circolazione è determinante, soprattutto perché dipende
da come questi documenti vengono raccolti.
Inizialmente, la pubblicazione e la circolazione delle raccolte avvenivano in maniera artigianale: un singolo
reporter, cioè colui che raccoglieva le pronunce quotidiane della corte, scriveva e poi pubblicava una serie
di raccolte, le quali venivano prodotte in quantità limitata (100 o 200 copie per volta). Successivamente, si
cominciò a pensare anche alle iniziative imprenditoriali, in cui le società di edizioni stampavano migliaia di
testi per distribuirli in tutto il paese.
Un’altra rivoluzione americana riguarda, quindi, la gestione di queste raccolte e la distribuzione delle
decisioni delle corti: da una gestione artigianale a una gestione imprenditoriale. Infatti, le grandi società
editoriali, intorno al 1830, si appropriano di questo mercato, il quale è tutt’ora nelle loro mani.

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Per quanto riguarda la raccolta e la distribuzione delle decisioni dei giudici, ogni corte possedeva un
reporter, ovvero un funzionario che si occupava di raccogliere le decisioni della corte.
Proprio questa è una delle differenze tra le corti inglesi, le quali non scrivono da nessuna parte la decisione,
e le corti statunitensi, che trascrivono tutte le sentenze per renderle disponibili ad altri.

Il caso Winton e le case editrici


Un reporter che fa parte di una corte, non solo riceve uno stipendio dalla corte stessa, ma può
incrementare il suo guadagno con la possibilità di vendere le copie delle raccolte che realizza.
Intorno al 1830, un uomo di nome Henry Wheaton, il quale facendo da reporter per una corte aveva
raccolto molte decisioni, aveva deciso non soltanto di raccogliere le decisioni, ma anche di aggiungere dei
commenti e collegare le decisioni l’una all’altra. L’opera finale comprendeva 24 volumi ed era un’opera con
una certa consistenza e prezzo, una volta immessa sul mercato.
Il reporter successivo, Richard Peters, che ricevette il mandato di raccogliere le decisioni della stessa corte
di Wheaton, decise di fare proprie alcune delle sentenze raccolte dal suo predecessore, in modo da fornire
un prodotto più completo. Tuttavia, il lavoro era eccessivo, quindi cercò di ridurlo, soprattutto per cercare
di immettere sul mercato un lavoro competitivo, seppur meno consistente. La raccolta finale è composta da
un solo libro a cui sono stati eliminati tutti i commenti e i collegamenti fatti da Wheaton .
Ovviamente, essendo un’opera meno costosa e più semplice (gli avvocati erano in grado di fare da sé i
collegamenti), il pubblico tende ad orientarsi verso l’opera di Peters.
A questo punto, Wheaton , il quale non riceve più uno stipendio dalla corte e vede dimezzarsi le vendite del
suo prodotto, decide di mettersi contro Peters, il quale sta riproducendo il suo prodotto. Wheaton è
convinto, infatti, di avere il “copyright” sul prodotto e decide, quindi, di presentarsi davanti a un giudice, il
quale lo informa, però, che non è così. Anche la Corte Suprema conferma la sentenza, perché i reporter non
hanno alcuna esclusiva sull’attività della corte e tutti possono copiare e commercializzare le sentenze.
Questo tipo di avvenimento fu il segnale che era possibile procedere in maniera competitiva, su questo tipo
di mercato, poiché molte più persone erano interessate all’acquisto di questi prodotti, anche a basso costo.
A questo punto, quindi, le società di edizioni entrano nel mercato, diventando le uniche a raccogliere e
produrre queste raccolte.
Dal 1834, quindi, anno in cui la Corte Suprema si esprime sul caso Wheaton vs Peters, tutti cominciano ad
accedere a questo mercato. Ora, la distribuzione di queste raccolte è, infatti, un’esclusiva dei colossi
editoriali americani.
Con questo tipo di evoluzione, le opere, da opere di produzione artigianale e di circolazione ridotta,
diventano opere di interesse di lucro per gli imprenditori, e cominciano ad essere sempre più presenti sul
mercato, iniziando a circolare in tutte le corti americane.
Ciò che caratterizza il mondo americano dell’Ottocento, quindi, è una facile circolazione dei precedenti.

Il problema dei precedenti


Una vasta quantità di precedenti può essere un vantaggio, in quanto consente di poter cercare fra tanti casi,
ma ha anche alcuni svantaggi:
- i casi sono troppi e causano un’impossibilità di conoscerli tutti;
- c’è un elevata probabilità di contraddizione, poiché se la corte di New York sentenzia su un caso in
un certo modo, ci sono molte probabilità che, anni dopo, nessuno si ricordi di quella sentenza e si
cambi idea sula questione.
Questo problema, tutt’oggi, affligge il mondo giuridico statunitense.
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La Rivoluzione Americana
La Rivoluzione sconvolge il mondo americano anche dal punto di vista istituzionale. Nel 1787, infatti, viene
redatta la Costituzione: si tratta di una costituzione che esprime su carta la difficile suddivisione dei poteri
del paese e che assicura la divisione di questi poteri: potere legislativo, Camera dei deputati e Senato.

Gli Stati Uniti d’America


Gli Stati Uniti sono uno stato federale: esiste uno Stato unico federale, riconosciuto dalla Costituzione, poi
ci sono gli stati federati (come California, New York, ecc.), che sono stati autonomi.
Ovviamente, i singoli stati, hanno abdicato in favore dello Stato federale alcune prerogative tipiche della
sovranità statale:
- ad esempio, il dollaro, l’unica moneta che circola tra tutti gli stati federati: uno stato, solitamente,
ha come potere quello di poter battere la propria moneta, ma questo potere è stato, per volontà
degli stati federati, abdicato e consegnato allo Stato federale;
- un altro esempio riguarda la politica estera: gli stati sovrani, solitamente, gestiscono in autonomia
la loro politica estera, tuttavia, non esistono trattati, ad esempio, fra lo Stato del Vermont e l’Italia,
ma c’è un trattato fra gli Stati Uniti d’America e l’Italia. La politica estera, quindi, è un altro di quegli
ambiti che è stato soggetto di abdicazione da parte degli stati federati.
La realtà statunitense è allora formata da uno Stato federale, quindi una struttura statale a sé stante, e
tante altre strutture federate.
Quando si parla di Costituzione, si parla della costituzione dello stato federale. Quando si parla di Camera e
Senato, si parla di Camera e Senato dello stato federale. Ogni piccolo stato federato, poi, ha, al proprio
interno, una sua piccola costituzione, con un piccolo parlamento, un “presidente” e tante corti.

La Camera dei deputati


Le modalità di elezione della Camera dei deputati, sono simili a quelle italiane: ogni Stato, a seconda della
densità di popolazione, ha un certo numero di seggi (modificato negli anni a seconda della popolazione),
questi seggi permettono alla popolazione di ogni Stato di votare per eleggere un partito, il quale, sarà
espressione del singolo stato presso la Camera dei Deputati di Washington.
Tuttavia, il rischio di questo tipo di sistema è che, essendo gli Stati Uniti formati da stati federati molto
gelosi delle loro autonomie e di popolosità diversa, una camera unica così eletta, corre il rischio che gli Stati
con una maggiore popolosità e più rappresentanti, possano imporre soluzioni legislative anche agli stati
meno popolosi. Per questa ragione, accanto a questa Camera, è nato il Senato.

Il Senato
All’interno del Senato sono presenti due senatori per ogni Stato, a prescindere a dalla popolosità. Un
Senato in cui anche lo Stato meno popoloso poteva esprimere lo stesso numero di senatori, fu la soluzione
pensata per bilanciare il potere legislativo.

Il potere esecutivo: il Presidente


Il potere esecutivo è in mano a un unico uomo, il Presidente degli Stati Uniti. Si tratta di un potere
fortissimo, che dà la possibilità di sostituirsi al potere legislativo e ha competenze molto estese.
Il Presidente ha degli “omologhi” negli Stati federati, ovvero dei governatori, che sono i portatori del potere
esecutivo negli Stati federati.

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L’elezione del Presidente
L’elezione del Presidente degli Stati Uniti non è un’elezione diretta: per ogni Stato Federato, vengono eletti
dei Grandi Elettori, anonimi funzionari di partito che poi dovranno eleggere il Presidente. Ogni Stato
possiede un certo numero di Grandi Elettori a seconda della popolosità. Essi sono del tutto anonimi, hanno
la funzione esclusiva di eleggere il Presidente e difficilmente voteranno un partito differente dal proprio.
Le grandi battaglie durante le elezioni sono per cercare di ottenere il numero maggiore di Elettori, poiché
chi ottiene la metà degli elettori più uno ha la certezza di essere eletto. Si tratta di una votazione indiretta,
poiché il popolo elegge i Grandi Elettori che, a loro volta, andranno ad eleggere il Presidente.

Il sistema giudiziario e la Corte Suprema


Il sistema giudiziario viene assegnato dalla carta Costituzionale alla Corte Suprema (Federale) degli Stati
Uniti. La Costituzione prevede una sola Corte che si occupa del potere giudiziario.
Al di sotto di questa Corte, la carta costituzionale stabilisce che il Congresso, cioè il Parlamento, insieme a
Camera e Senato, può stabilire una serie di corti negli altri Stati, subordinate alla Corte Suprema Federale.
Ogni singolo Stato possiede, quindi, un sistema di corti di primo e di secondo grado e una Corte Suprema
Statale, comunque soggette alla Corte Suprema Federale.

La Costituzione americana e i suoi emendamenti


Nel 1787, si comincia a discutere il fatto di dover modificare la Costituzione appena nata (chiamata Bill of
Rights), perché questa conteneva soltanto le regole di funzionamento dello Stato (come il funzionamento
dei poteri del Presidente o del Parlamento) e una costituzione che contiene solo regole del genere non
possiede garanzie per il singolo cittadino; inoltre, considerato che gli Stati Uniti uscivano da una situazione
in cui si era pregiudicati dalla presenza di una madre patria particolarmente oppressiva come l’Inghilterra,
la necessità di assicurare delle garanzie ai singoli cittadini americani era molto forte.
Nel 1791, quindi, le modifiche furono dirette non ad assicurare al cittadino delle garanzie “costituzionali”,
ma che si sentivano necessarie a causa dell’esperienza traumatica avuta in qualità di colonia inglese.
Un gruppo di rappresentanti dei vari stati, detti costituenti, decide di modificare la costituzione esistente, in
modo che questa contenga una lista di diritti inalienabili.
Gli emendamenti sono il prodotto dei rappresentanti, che pensavano di poter contenere con più facilità le
pressioni inglesi. Questi emendamenti sono dieci, sono modifiche alla Costituzione, e prendono il nome di
“Law Rights” (leggi dei diritti fondamentali).
Quando i costituenti decidono di redigere gli emendamenti, si autolimitano, poiché modificare una
costituzione è molto difficile (ad esempio, rendendo un diritto costituzionale la possibilità portare armi si
permette ad ogni cittadino di farlo, e lo Stato non potrà mai più bloccare un diritto costituzionale). In
questo modo, i costituenti, si sono limitati la possibilità di legiferare.

Gli emendamenti
1. PRIMO EMENDAMENTO: garantisce la libertà di espressione, professione della religione e di
stampa. Si tratta di un emendamento che finisce per estendere altri emendamenti, come il diritto a
portare armi: anche se si cerca di comprimere quel diritto, si tratta di un diritto costituzionale ed è
quasi del tutto impossibile eliminarlo).
Il primo emendamento viene anche utilizzato da tutti gli operatori mediatici per giustificare tutto
ciò che dicono: negli USA, infatti, c’è una libertà di espressione assoluta, che finisce per estendersi a
una libertà ad invadere la sfera della privacy del singolo, poiché è giustificabile dal fatto che si
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voglia assicurare il più ampio diritto di espressione e di stampa. Mentre il diritto all’espressione è
garantito dalla Costituzione, il diritto alla privacy ha una sua costituzionalizzazione, ma soltanto per
alcuni profili che riguardano il Quarto Emendamento. Nel bilanciare questi due interessi si cerca di
limitare un giudice, evitando che questo, con la scusa di voler proteggere la privacy di qualcuno,
comprima il diritto di stampa o di espressione.
2. SECONDO EMENDAMENTO: garantisce la libertà di portare armi. Il fatto che questa legge sia un
emendamento della Costituzione è la ragione per la quale è difficile intervenire sul mercato delle
armi: infatti, qualsiasi norma diretta a limitare quel diritto viene considerata incostituzionale.
4. QUARTO EMENDAMENTO: assicura la libertà del singolo, cioè che questo non sia sottoposto a
obblighi restrittivi o cautelativi.
Questo emendamento ha un grande sviluppo, in quanto consente di bilanciare il potere dello Stato.
Lo Stato, attraverso le proprie mansioni (come il corpo di polizia o le altre strutture statali),
potrebbe comprimere i diritti dei cittadini. Questo emendamento, quindi, viene utilizzato per
impedire arbitrarie limitazioni della sfera del singolo, come perquisizioni, intercettazioni o qualsiasi
altra forma di compressione della sfera privata.
Per quanto riguarda la perquisizione, il giudice deve autorizzare quello specifico atta di invasione
della sfera del singolo attraverso un mandato, altrimenti la perquisizione non può essere effettuata.
5. QUINTO EMENDAMENTO: sostiene che la legge deve prevalere su qualsiasi esigenza differente e
tutto deve avvenire secondo un percorso previsto dalla legge, un percorso legale.
 Miranda Warning: quando si parla del Quinto Emendamento bisogna nominare il Miranda
Warning, ovvero l’avviso dato da parte dei poliziotti statunitensi ai sospettati di reato sotto
custodia, prima che gli siano rivolte domande relative al complimento di un reato. Qualsiasi
affermazione incriminante rilasciata prima del Miranda Warning, non può costituire prova
a carico dell’indiziato.
Questo “avvertimento” venne introdotto a seguito del caso Miranda vs Arizona. Un uomo
di nome Ernesto Miranda fu arrestato per furto e, durante il percorso dal luogo dell’arresto
alla centrale di polizia, confessò anche altri reati che aveva commesso in precedenza.
L’uomo venne incriminato per il reato per cui era stato arrestato e anche per i reati che
aveva confessato durante il tragitto. L’avvocato dell’uomo contestò la violazione del Quinto
Emendamento, sostenendo che l’uomo non fosse stato informato che le dichiarazioni che
stava facendo potevano essere fonte di responsabilità del cliente.
La Corte Suprema Federale ritenne che questo fosse conforme al Quinto, poiché se questo
prevede che ci debba essere una procedura specifica di legge per arrivare a uno specifico
risultato, il fatto che qualcuno venga arrestato per una violazione, ma che ciò che dice
possa essere utilizzato per incriminarlo per un altro reato, rende il percorso legale invalido,
poiché per incriminarlo si sarebbero dovute avere delle autorizzazioni specifiche.
È anche vero, tuttavia, che se qualcuno confessa un reato non si può non prenderne atto. A
questo punto, l’importante è che venga comunicato a chi sta confessando che la sua
dichiarazione verrà utilizzata. In questo modo, il percorso legale è completo.
Chiunque si trovi davanti a un giudice può appellarsi al Quinto Emendamento. Per esempio, nel
caso in cui qualcuno che ha commesso un reato fosse chiamato a testimoniare, nel dichiarare il
vero si incriminerebbe da solo e nel dichiarare il falso commetterebbe un reato. Siccome sarebbe
illegale imporre a un cittadino di decidere tra commettere un reato o confessare, così come

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sarebbe illegale mettere il cittadino nella posizione di fornire allo Stato gli strumenti per procedere
con l’attività di reprimere il crimine, ogni cittadino si può appellare al Quinto e rimanere in silenzio.
Il Quinto Emendamento consente, quindi, ai cittadini, di non auto-incriminarsi.
- SESTO E SETTIMO EMENDAMENTO: trattano la giuria. È previsto, infatti, che la giuria sia una parte
fondamentale dei giudizi, negli Stati Uniti. Storicamente, la Giuria nasce in Inghilterra, quando a
Londra si cominciò a sentire la necessità di sapere cosa avveniva in altre zone del paese: dei
testimoni venivano chiamati a raccontare ciò che era accaduto realmente nella zona in cui era stato
commesso il reato. Da quella realtà che trattava di testimoni, si arriva a quella odierna dove si
tratta di persone che valutano il fatto. Alla giuria vengono presentati una serie di elementi tra cui
valutare per decidere se il fatto è stato commesso o meno, se l’imputato è responsabile o meno.
Non si occupano del diritto, il quale è compito del giudice, ma di valutare i fatti.
La giuria, negli Stati Uniti del 1791, era un baluardo di giustizia per il singolo cittadino, poiché
essendo questi sotto il dominio inglese ed essendo sotto il controllo di un giudice che era nominato
da un governatore inglese, si trovavano davanti a situazioni di svantaggio, come la poca imparzialità
del giudice o un giudice che faceva un qualche gioco politico. Questo forte timore fece sì che, una
volta indipendenti, le colonie decisero di prevedere la garanzia di una giuria, poiché con la presenza
di persone che non erano funzionari di Stato si aveva la certezza di imparzialità.

Ciò che bisogna ricordare degli emendamenti è che non sono soltanto dieci, in quanto la Costituzione è
stata modificata ancora al termine della Guerra di Secessione. Questo perché, all’interno degli
emendamenti esistenti, non c’era nulla che si riferisse alla diversità razziale, un problema che, all’epoca,
non si poneva, ma che diventò più serio intorno agli anni ’60 dell’Ottocento, quando al termine della guerra
civile si doveva trattare il problema della razza.
Nuovi emendamenti vennero, quindi, inseriti: sulla carta venne dichiarato che non c’era alcuna diversità di
razza fra i cittadini americani. Tuttavia, il problema della segregazione razziale rimase.
Per abrogare un emendamento occorre una modifica costituzionale, per la quale è necessario che un
numero elevato di stati e di cittadini votino.

Gli emendamenti: dopo la guerra civile


Alcuni degli emendamenti introdotti dopo la Guerra Civile sono di argomento razziale e vietano, infatti, la
segregazione in base alla razza e assegnano il diritto di voto anche agli afro-americani.

L’Articolo 14
L’Articolo 14 è di particolare interesse, poiché sostiene che tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati
Uniti sono cittadini statunitensi e nessuno Stato Federale potrà promulgare o applicare una legge che
violi la loro immunità; inoltre, nessuno Stato potrà privare una persona della propria vita, della propria
libertà o della propria proprietà senza l’intervento della legge.
Questo emendamento viene introdotto all’interno del Bill of Rights, perché si è compreso che lo Stato
federato può avere un ruolo importante nel comprimere i diritti dei cittadini. L’emendamento, infatti, vuole
garantire gli stessi diritti a tutti i cittadini degli Stati Uniti.
Quando un giudice americano interviene e dichiara una legge incostituzionale, non solo può limitare la
legge del Congresso, ma può controllare anche la legge di tutti gli Stati. Un giudice federale, grazie a questo
emendamento, può verificare se un giudice statale stia comprimendo i diritti dei cittadini.

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Quindi, non solo il Congresso non può elaborare leggi contrarie alla Costituzione, pena la disapplicazione da
parte del giudice, ma anche i singoli Stati potranno essere controllati, non tanto sulla base della
Costituzione del singolo Stato, quanto sulla base della Costituzione degli Stati Uniti.
Si tratta di un’estensione del potere di controllo di costituzionalità dei giudici, su tutte le leggi federali o
statali. Il Quattordicesimo emendamento inserisce all’interno del Bill of Rights questo principio secondo il
quale il giudice può valutare se una legge di uno Stato stia comprimendo i diritti del cittadino.

Leggi e precedenti
Negli Stati Uniti si distingue tra:
- prodotto legislativo: la legge, che viene chiamata statute, la quale regola la condotta ed è elaborata
da un Parlamento;
- il precedente: il lavoro del giudice, una sentenza che una corte ha emesso in precedenza.
Proprio perché il Parlamento è un consesso dove elaborare leggi, questo può elaborare status con estrema
velocità. Al contrario, il potere giudiziario, può elaborare una sentenza in pochi giorni o poche settimane,
ma sarà sempre un’isolata decisione che non avrà grandi riflessi. Tuttavia, se la sentenza venisse seguita da
tutti gli altri giudici, si avrebbe un cambiamento dell’ordinamento giurisprudenziale. Proprio la necessità
che ci siano svariati giudici che seguono quell’iniziale decisione contraria a tutti i precedenti perché si possa
notare un cambiamento rende il processo lento.

Il sistema americano
Il sistema americano è formato da più legislatori:
- un legislatore federale, il Congresso o il Parlamento, che si occupa di elaborare leggi federali in
quelle materie che la costituzione assegna solamente allo Stato Federale e alle quali gli stati
federali hanno rinunciato (i.e.: battere moneta, politica estera, alcuni particolari reati, ecc.);
- un Parlamento all’interno di ciascuno stato federale, che si occupa di elaborare leggi statali.
Esistono anche delle corti diverse, ovvero le Corti Federali e le Corti Statali in ogni Stato.

In generale, un giudice di un determinato ordinamento può decidere se applicare una legge applicata da un
altro parlamento diverso dal suo. Ad esempio, un giudice italiano può applicare la legge tedesca (nel caso in
cui, ad esempio, qualcuno nasca in un paese, si sposi e abbia un figlio in un altro paese ancora, la legge di
ognuno di questi stati può essere applicata da ogni giudice).
Questo problema è estremamente ricorrente nella realtà statunitense, dove i giudici federali lavorano
accanto ai giudici statali: è ovvio che esiste una modalità per decidere quale legge utilizzare nel caso in cui
una qualche controversia coinvolga due persone in stati diversi.

La Costituzione americana assegna il potere giudiziario alla Corte Suprema Federale, la quale è composta
da nove giudici. Sempre stando alla Costituzione, il Parlamento Federale può istituire una serie di corti
sottostanti la Corte Suprema Federale.

Il sistema americano è, quindi, formato da:


- Corte di Prima Istanza;
- Corte di Secondo Grado;

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- Corte Suprema: una corte apicale, la quale ha il potere di decidere in ultima istanza, riguardo
numerose questioni. Una volta che questa corte ha deciso il verdetto non è più discutibile.
Al momento della redazione della Costituzione, ovviamente, non esistevano altri organi oltre la Corte
Suprema Federale, la quale ha visto l’istituzione di corti di secondo e primo grado.

Marbury vs Marshall: il controllo di costituzionalità


Sebbene la Costituzione americana preveda una perfetta ripartizione dei poteri, al momento della stesura,
non ci si è posti il problema di cosa sarebbe successo se il potere legislativo avesse elaborato uno statute
contrario alla Costituzione stessa.
Tutte le Costituzioni moderne dei paesi europei (tranne in Inghilterra, poiché non esiste una Costituzione)
hanno istituito un organo che ha il compito di verificare la costituzionalità di una legge. Tuttavia, la
Costituzione americana ha questa grossa lacuna: non ci si è posti il problema di chi dovesse valutare la
conformità alla Costituzione di un eventuale legge elaborata dal Parlamento.

Il caso: Marbury vs Marshall


Il problema sorge in maniera evidente nel 1803, quando il Presidente uscente, John Adams, il cui segretario
di Stato era John Marshall, non venne riconfermato alle elezioni successive, ma perse in favore di Jefferson.
Prima di lasciare l’ufficio, Adams nominò alcune persone del suo partito affinché prendessero delle
posizioni all’interno dello Stato (ad esempio, Marshall viene nominato Presidente della Corte Suprema
Federale), compreso un Giudice di Pace del distretto di Columbia, di nome William Marbury.
L’atto di nomina di Marbury, per qualche motivo, essendo stato firmato poco prima della scadenza della
nomina di Adams (si tratta delle cosiddette nomine di Mezzanotte), non viene notificato al Segretario di
Stato e non ha, quindi, completato il percorso previsto dalla legge. Marbury, quindi, non può insediarsi.
Il nuovo Presidente, Jefferson, nomina come Segretario di Stato un uomo chiamato Thomas Madison, il
quale viene sollecitato da Marbury affinché provveda a dare corso alla notifica. Tuttavia, Madison, così
come il Presidente, non è contento dell’attività di nomina all’ultimo momento di Adams e, di fronte alla
richiesta, risponde con una negazione, fino a che il caso non arriva alla Corte Suprema.

Il Writ of Mandamus
Il problema di questa causa era che la Costituzione non riconosceva alla Corte Suprema la competenza di
giudicare casi simili a questo, mentre esisteva una legge federale la quale assegnava, alla Corte Suprema, il
potere di emettere Writs of Mandamus (ordini specifici nei confronti di un qualsiasi funzionario dello Stato),
nei confronti di chi esercita il potere negli Stati Uniti. A questo punto, Marbury ha uno strumento giuridico
da poter utilizzare alla Corte Suprema Federale.
Tuttavia, il caso su cui il Giudice della Corte Suprema, Marshall, si trova a dover giudicare non era per
niente facile, poiché si trovava da una parte un suo compagno di partito, Marbury, nominato giudice dal
Presidente uscente, dall’altra il Segretario di Stato attuale, Madison. Marshall era sicuro che qualora avesse
emesso il Writ of Mandamus, Madison non lo avrebbe rispettato e non sarebbe neanche stato sanzionato,
perché protetto dal Presidente in carica.
Sintetizzando, Marshall si trovava davanti alla richiesta da parte di un aderente al suo stesso partito di
emettere un Writ che lo avrebbe integrato nella carica di cui era stato incaricato dal Presidente uscente: a
favore della richiesta vi era una legge federale che assegnava la competenza giurisdizionale su tale
controversia alla Corte suprema; contro tale richiesta, invece, era la stessa Costituzione degli Stati Uniti.

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Se una sentenza non viene rispettata, la percezione della Corte è che questa non abbia alcun tipo di
prestigio e quindi perde autorevolezza. Marshall, anche se vuole emettere il Writ si trova nella posizione di
non poterlo fare, per paura di perdere credibilità nel caso il verdetto non venga rispettato.
La Costituzione americana, all’art. 3, stabilisce che: “In tutti i casi che riguardano un Ambasciatore, altri
pubblici Ministri e Consoli, ed in cui è parte uno Stato, la Corte Suprema deve avere giurisdizione di primo
grado. In tutti gli altri casi la Corte Suprema avrà giurisdizione d'Appello”. Considerato che Marbury non
rientra nelle categorie giudicabili dalla Corte Suprema, il suo caso non può essere gestito in primo grado.
Tra lo statute che prevede che la corte possa emettere il Writ of Mandamus e l’articolo della Costituzione
che non permette la giurisdizione di primo grado alla Corte Suprema, c’è una chiara incompatibilità.
A questo punto, Marshall si trova davanti a una via d’uscita, poiché si rende conto di non poter accogliere
una richiesta contraria alla Costituzione. La scelta di Marshall, comunque, è avvenuta perché non voleva
che la Corte perdesse autorevolezza, ma non perché cercasse di auto-attribuirsi un potere.
Disapplicare una legge dello Stato in favore di una norma costituzionale per i paesi dell’Europa Continentale
sarebbe una cosa impensabile, poiché si è abituati a pensare che il potere giudiziario non possa disapplicare
una legge del potere legislativo; a questo scopo, esistono organi appositi che valutano la costituzionalità di
una legge e solo a loro spetta il compito di decidere. Negli Stati Uniti, tuttavia, non esiste un organo simile.
Dal 1801, negli Stati Uniti, grazie alla decisione di Marshall, un giudice americano ha la facoltà di
disapplicare gli statutes nel caso questi siano contrari alla Costituzione.

Il Judicial Review
Con il caso Madison vs Marbury si ha, per la prima volta quello che viene chiamato il Judicial review, cioè la
possibilità da parte del giudice americano di disapplicare una legge ritenuta incostituzionale.
Ritenere una legge incostituzionale dipende dall’interpretazione del giudice, che dipende dalla sensibilità di
un singolo: un giudice può pensare che una legge sia incostituzionale, mentre un altro può pensare che sia
perfettamente costituzionale.
Questo tipo di controllo di costituzionalità, detto “diffuso” (perché è un controllo che tutti i giudici
americani possono applicare), discende da una decisione dello stesso potere giudiziario: si è assegnato da
solo il potere di disapplicare una legge.
Ad esempio, nel caso della questione sull’uso delle armi, il dibattito si basa spesso sul se, nel caso in cui uno
Stato federale preveda un sistema più rigido per poter reperire armi, questo tipo di legge sia conforme
all’art. 2 della Costituzione. Se la Corte Suprema ritenesse che la legge fosse incostituzionale, nessun
giudice, allora, potrà più applicare quella legge.

La Corte Suprema: i tempi e i giudici


Prima che una causa possa arrivare alla Corte Suprema ci vuole un po’ di tempo ed è necessario passare
prima per le altre corti. La presa di posizione del giudice di primo grado, comunque, non vincolerà mai le
altre corti; la presa di posizione del giudice di secondo grado vincolerà le decisioni del giudice di primo
grado; mentre, la presa di posizione della Corte Suprema, vincolerà tutte le corti a questa sottostanti.
In questo senso, i nove giudici della Corte Suprema hanno un potere paragonabile a quello del Presidente
degli Stati Uniti: se ritengono che una legge sia incostituzionale nessun giudice potrà più applicare quella
particolare legge. Questi giudici sono nominati dal Presidente, con l’aiuto del Senato. Tuttavia, se il partito
opposto al Presidente avesse la maggioranza all’interno della Corte Suprema, questa potrebbe
maggiormente affossare le decisioni del potere legislativo.
Recentemente, la morte di uno dei giudici membro della Corte Suprema, nominato in passato da un
Presidente Repubblicano, ha portato Obama a cercare di nominare un giudice che appartenesse al suo
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partito, ovvero ai Democratici; considerato che si era ormai a ridosso delle elezioni, il Senato è riuscito a
bloccare la nomina, permettendo così al nuovo presidente, Trump, di nominare un altro giudice, in questo
caso Repubblicano, riportando così nuovamente una maggioranza repubblicana tra i giudici.
In ogni caso, il potere giudiziario si contrappone agli altri due poteri: spetta, infatti, alla Corte Federale,
consentire o meno che una qualsiasi legge, elaborata dal Congresso o dal Presidente, permanga o meno.
La Corte Suprema ha questo enorme potere perché mescola insieme due caratteristiche:
- essendo il giudice apicale, il precedente della Corte Suprema vincola tutti gli altri giudici;
- tutti i giudici americani hanno il potere di disapplicare una legge e ciò li rende potenti quasi quanto
il Presidente stesso.

I giudici della Corte Federale


I giudici del sistema federale nascono anche a tutela dei cittadini delle ex-colonie, poiché la preoccupazione
che i giudici statali fossero troppo vicini alle esigenze dei cittadino di ciascuno Stato a cui appartenevano ha
fatto sì che i costituenti pensassero al giudice federale come a un giudice più imparziale. Questo poteva
essere possibile in due modi:
1) i giudici dovevano avere un mandato confermato a vita, poiché in questa maniera erano del tutto
indipendenti dalla scelta di altri;
2) i giudici hanno un compenso vengono ricompensati in maniera adeguata, perché così facendo sono
più professionali, in quanto non avendo altre attività su cui concentrarsi per mantenersi potevano
esclusivamente occuparsi del loro lavoro di giudice.
Negli anni passati, uno dei giudici della Corte Suprema, era talmente vecchio che andava in Corte
addirittura con la bombola dell’ossigeno. Questo perché, finché egli poteva dirsi parte della Corte il
Presidente non aveva potere di nominare altri e, siccome questo giudice era un Democratico, non voleva
che un Presidente Repubblicano potesse nominare un altro giudice, in modo da evitare che il numero di
Repubblicani all’interno della Corte Suprema aumentasse.
Da questo punto di vista, la Corte Suprema è un elemento di stabilità maggiore rispetto al Presidente,
poiché questo cambia ogni quattro anni, come i vari rappresentanti del Congresso, mentre i giudici
mantengono una posizione tutta la vita e possono controllare le maggioranze e gli orientamenti politici.

Corti Federali e Corti Statali


Le Corti Federali valgono per tutto il paese e sono:
- Corte Suprema Federale: la Corte apicale che si trova a Washington;
- Corti d’Appello: chiamate Circuit Courts, sono 12 e si trovano in alcune zone del paese. A loro
giungono gli appelli da parte di tutte le Corti di Primo Grado, le District Courts;
- Corti di Primo Grado: chiamate District Courts, si trovano su tutto il territorio americano.
Le Corti Statali sono presenti in ogni Stato federale:
- una Corte Suprema Statale;
- alcune Corti d’Appello;
- Corti di Primo Grado.

I casi tra più Stati Federali


La Costituzione americana prevede che il cittadino di uno Stato non possa chiamare davanti alla Corte
Statale del suo Stato un cittadino di un altro Stato (ad esempio, se un cittadino della Pennsylvania che

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veniva chiamato davanti alla Corte del Connecticut, aveva paura di non trovarsi davanti un giudice
imparziale, ma un giudice che facesse gli interessi del cittadino del proprio Stato).
Prevede, tuttavia, che la parte che viene chiamata davanti al giudice statale possa chiedere di trasferire il
giudizio davanti a un giudice federale, poiché questo è un funzionario dello Stato Federale e, quindi,
dovrebbe essere imparziale.

Giudici Statali e Giudici Federali


Il rapporto tra giudice statale e giudice federale non è un rapporto di competenza e materie, non ci sono,
infatti, materie o sfere di competenza che sono solo appannaggio dello stato federale o dello stato statale.
Si parla, però, di giurisdizione concorrente: le due corti concorrono tra di loro, mentre, la Corte Federale,
può essere interpellata esclusivamente quando c’è una diversità di cittadinanza tra le controparti, per
assicurare quell’imparzialità che un giudice statale potrebbe non garantire (una problematica che era
frequente nell’Ottocento, ma che ormai è quasi impossibile riscontrare).
La Corte Federale viene considerata l’unica competente se in un determinato Stato ha così disposto: per
esempio, esistono alcune Corti Federali che si occupano, esclusivamente, di “casi fallimentari” (come il
fallimento di aziende o società), dette Corti Fallimentari Federali, che si trovano su tutto il territorio. Il
Congresso, infatti, decise che questa materia poteva avere esiti diversi se gestita da corti diverse e, per
questo motivo, decise di farla giudicare soltanto da alcune Corti Federali.
Per il resto, salvo per queste materie specifiche per le quali il Congresso ha espressamente disposto e
istituito delle Corti Federali ad hoc, la giurisdizione è concorrente e non è “per materia”.

Il decorso delle cause: una corte di “Quarto Grado”


Negli Stati Uniti esistono più sistemi di corti: quello federale e tutti i sistemi di Corti Statali. A capo della
Corte Federale vi è la Corte Suprema e si tratterà di una disapplicazione per il futuro. Siccome il sistema di
corti è basato su un principio gerarchico, la sua decisione sarà vincolante per tutti i giudici federali.
Tuttavia, ci si può chiedere se la decisione sarà vincolante anche per i giudici statali. Una causa statale,
dopo essere arrivata fino alla Corte Suprema Statale può andare alla Corte Suprema Federale se è coinvolto
il diritto federale, a causa della concorrenza giuridica.
Se prendessimo, ad esempio, un incidente stradale avvenuto tra un abitante della California e un abitante
della Florida, la questione potrebbe essere discussa davanti alla Corte Federale, se una delle due parti lo
volesse. Tuttavia, esistono questioni, disciplinate da leggi statali, nelle quali il diritto federale interviene
perché c’è un emendamento del Bill of Rights che può essere leso dalla legge statale.
In una questione che procede attraverso Corte di Primo Grado, Corte d’Appello e Corte Suprema Statale, se
qualcuno sostenesse la violazione della Costituzione, potrebbe interpellare la Corte Suprema Federale,
poiché la causa mette in discussione la compatibilità della legge con un emendamento della Costituzione.
Facendo il conto dei passaggi, è la prima volta, che ci si trova davanti a una corte con il Quarto Grado di
Giudizio, poiché una volta finiti i passaggi all’interno del sistema statale, si può arrivare al sistema federale.

Le materie del potere federale


Come si è già visto, il sistema americano è un sistema federale, ovvero caratterizzato da un sistema di Corti
Federali e da Corti Statali per ogni stato federato. Le Corti Federali non applicano soltanto il diritto federale,
così come quelle Statali non applicano solo quello statale, ma c’è un dialogo tra le due. Il dialogo avviene
attraverso una distinzione in gradi:
- in prima istanza ci sono le Corti distrettuali;
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- in seconda istanza ci sono le Corti d’Appello;
- infine c’è la Corte Suprema dello Stato.
Questa divisione non è per materia, in quanto non esistono corti federali che si occupano di uno specifico
diritto, ma ci sono una serie di materie assegnate alle Corti.

Fra le materie di competenza del diritto federale vi sono politica estera, moneta e anche una previsione
che assegna al potere federale il commercio extra-statale, ovvero tutte quelle regole che prevedono la
fuoriuscita del prodotto di servizio dallo Stato.
Il potere federale amplia quest’ultima interpretazione, reputando che le attività commerciali sono
suscettibili ad un intervento legislativo. Alcuni ambiti sono il diritto mercantile, la normativa ferroviaria e
anche alberghiera, perché si tratta di uno strumento utilizzato da coloro che commerciano al di fuori dallo
Stato. La disciplina in materia alberghiera si è estesa fino a dire che tutti quegli alberghi potenzialmente
ricettori di soggetti che operano nel commercio extra-statale sono soggetti a disciplina federale.
Questo mper spiegare che esistono un diritto statale e un diritto federale che possono regolamentare o
meno lo stesso fenomeno con caratteristiche diverse.

Competenze Statali e Federali


Considerata l’esistenza di molteplici diritti, nel momento in cui due cittadini americani si trovano ad avere
una diatriba, è necessario conoscere la cittadinanza della controparte:
- se si è cittadini dello stesso Stato, non ci si presenta alla Corte federale, anche se la questione è
competenza della Corte federale: sarà il giudice della Corte Statale ad applicare il diritto federale;
- se la controparte appartiene a un altro Stato federato, allora ci si presenterà davanti alla Corte
federale, proprio per evitare che qualcuno sia favorito dal suo Stato di origine.
Il punto è che se si è cittadini di due Stati diversi, allora è possibile rivolgersi alla Corte Federale.
Potersi muovere da una corte all’altra può essere un’opportunità, poiché permette di scegliere a quale
giudice rivolgersi, anche a seconda dei costi.

Cittadinanza fisica e cittadinanza giuridica: il forum shopping


Sebbene si sia limitati da una condizione non modificabile, ovvero dalla cittadinanza, in realtà non è proprio
così, poiché è possibile richiedere il cambio di cittadinanza.
Le persone giuridiche, ovvero le società, che prendono la cittadinanza della sede principale, se vogliono
cambiare la propria cittadinanza, necessitano solo una delibera da parte dei soci. La cittadinanza per
persone fisiche richiede un certo tempo, mentre quella per persone giuridiche è molto celere.
Questo favorisce le società, le quali possono scegliere il giudice a seconda delle proprie esigenze (qualora
volessero rivolgersi al giudice federale, perché quello statale potrebbe favorire la controparte). Questa
legge, dall’essere qualcosa che vuole favorire imparzialità, passa a essere qualcosa che favorisce la scelta di
un giudice rispetto a un altro, soprattutto se si tratta di società. È possibile, infatti, avendo la possibilità di
cambiare cittadinanza piuttosto velocemente, fare quello che può essere chiamato “shopping dei giudici”
(o “forum shopping”), scegliendo quello che più aggrada la società.

Il caso della compagnia di taxi


Un caso famoso vede una compagnia di taxi che concluse un accordo con una società ferroviaria, il quale
prevedeva che all’interno della stazione potesse operare solo quella determinata compagnia di taxi. Le altre
compagnie si chiesero se questo fosse conforme al diritto, poiché loro non avevano questo vantaggio. Il

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problema era che il giudice statale favoriva questi accordi, anche se questi limitavano la concorrenza
(quindi erano illegittimi), perciò, l’unico modo per risolvere la questione era rivolgersi al giudice federale,
cambiando cittadinanza alla propria società. Tuttavia, il giudice federale, anche se era evidente che il
cambio di sede era di indole opportunistica, ritenne che la legge non poteva essere cambiata. Quando il
problema diventò di una certa magnitudo, la Corte Suprema federale se ne fece carico, fino a quando un
caso in particolare non cambiò la situazione.

Il caso Erie Companies vs Tompkins


Il Sig. Tompkins si trovava, un giorno, a camminare lungo le rotaie appartenenti alla Erie Company, quando
si ferì a causa di una spranga a terra. Poiché il cittadino era residente in Pennsylvania e la società era dello
Stato di New York, la controversia finì davanti al giudice federale. L’avvocato di Tompkins, infatti, si accorse
che i giudici dello Stato della Pennsylvania favorivano spesso le società ferroviarie, mentre, i giudici della
Corte Federale avevano una soglia di diligenza molto più elevata.
Grazie a questo “spostamento”, Tompkins vinse la causa e la società ferroviaria fu condannata a risarcire. A
questo punto, la società ferroviaria, non contenta dell’esito, fece appello, ma la Corte d’Appello confermò il
giudizio di primo grado; la società ferroviaria decise, allora, di portare il caso davanti alla Corte Suprema.
Alla Corte Suprema, il caso solleva appunto il fatto che si è davanti a un chiaro caso di “shopping dei
giudici”; l’accusa, infatti, decide di spendere più denaro proprio per rivolgersi alla Corte Federale, con la
sicurezza di poter essere favorito per vincere la causa.
Per risolvere il problema, da quel momento, cioè dal 1939, la Corte Suprema dispose che il giudice federale,
se incaricato di gestire un caso con un’ipotesi di differenza di cittadinanza, non può decidere secondo il suo
senso di giustizia, ma deve decidere come se fosse un giudice statale, applicando i precedenti statali.
Della regola costituzionale resta, quindi, soltanto la ratio: ci si sposta soltanto se si teme che quel
particolare giudice sia parziale e voglia favorire la controparte. Il giudice federale al quale ci si rivolgerà
applicherà comunque le leggi statali, ma si ha la certezza che la controparte non verrà favorita.

In conclusione
Si può dire che:
- ogni corte può applicare qualunque diritto del Common Law;
- la regola di diversità di cittadinanza portò a soluzioni opportunistiche, che però cessarono nel 1939;
- il giudice federale, davanti alle regole di diversità (diversity), deve applicare il Common Law statale;
- il giudice federale, con le sue decisioni, vincola tutti i giudici, sia statali che federali.

Precedente vincolante, gerarchia piramidale e Corti


Tutte le volte che una questione si conclude davanti a un giudice statale, in ultima istanza, nei casi in cui si
discute il diritto federale, questa decisione può essere portata davanti alla Corte Suprema Federale, che
interviene come giudice di “quarto grado”.
Quando la Corte Suprema Federale decide davanti a un caso di questione federale, questo vincola anche
tutti i giudici statali, poiché questi devono tener conto della decisione presa dalla Corte Suprema Federale,
cambiando le decisioni della Corte Statale.
Tutte le questioni federali, ovvero quelle che discutono la costituzionalità di una legge, saranno vincolanti
per i giudici statali e federali, mentre, se la questione riguarda il diritto statale e si conclude in terza istanza
con la Corte Suprema Statale, questa vincolerà soltanto i giudici statali, ma non quelli federali.

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Corte Suprema e maggioranze
Se i nove giudici della Corte Suprema deliberano in maniera unanime ci si trova davanti a una decisione
vincolante per tutti. Quando ci sono queste maggioranze unanimi è chiaro che non ci sarà un cambio di
tendenza rispetto a una determinata questione. Tuttavia, se la maggioranza non è unanime (ad esempio
viene ottenuta con cinque voti su nove), basterebbe che un voto venisse meno per mutare una decisione.
Per questo motivo la Corte deciderà soltanto quando le maggioranze sono consistenti, poiché un caso
contrario creerebbe instabilità e farebbe perdere credibilità. Per questa ragione, non decide su questioni
che possono spaccare in due i consensi.

La Rule of Four
In tal proposito, esiste un meccanismo di “filtro” che permette alla Corte di occuparsi soltanto di un
centinaio di casi l’anno: tutte le Corti Federali e Statali, quando è coinvolto il diritto federale, prima di
mandare il caso in valutazione alla Corte Federale, dovranno aspettare il consenso della Corte Suprema
Federale. Utilizzando quella che viene chiamata Rule of Four, quattro dei nove giudici, se ritengono che sia
necessario che la causa venga valutata, emettono quello che è chiamato Writ of Certiorari, ovvero un writ
che permette di ricercare la Judicial Review.
Per tutte le altre questioni, accetteranno il giudizio emesso dalla Corte a loro sottostante. La richiesta di un
provvedimento accertativo della Corte Suprema viene, quindi, concessa in un numero limitato di casi.
Questa regola è una regola da manuale di procedura civile: quando la Corte nega il consenso, non significa
che stia sia d’accordo con la decisione presa dalla corte sottostante, ma accetta il giudizio perché non ha il
tempo materiale di occuparsene. Tuttavia, se il caso è particolarmente famoso e sta facendo scalpore in
tutti gli Stati Uniti e la Corte Suprema decide di non dare il consenso, il motivo sarà che, probabilmente, i
nove giudici non sono coesi sulla decisione.

Il caso Brown vs Board of Education: l’attività di distinzione dei fatti precedenti


Il Sig. Brown, afroamericano, desiderava che i propri figli frequentassero una scuola per bianchi, ai tempi
della segregazione razziale. A questo proposito, Brown fece causa all’ufficio scolastico, perché non
accettava la segregazione. Dopo un percorso lungo, la causa arriva alla Corte Suprema. La Corte,
considerata la fama che la questione aveva guadagnato, si trova davanti a una decisione difficile: potevano
non esprimere giudizio, e così Stati Uniti interi si sarebbero resi conto che non avevano un’idea chiara sulla
questione, oppure si sarebbe dovuto prendere in considerazione la vicenda.
La situazione era complicata anche dal fatto che la Corte aveva un precedente: cento anni prima, si
espresse per la legittimazione della presenza di carrozze di treni differenziate fra bianchi e neri.
A dispetto della decisione precedente (considerato anche che la questione attuale non riguardava affatto i
treni), nel 1953, la Corte decise all’unanimità a favore dell’illegittimità costituzionale della distinzione di
scuole per neri e scuole per bianchi, non prendendo affatto in considerazione il precedente, anche perché
la causa aveva avuto un forte riscontro mediatico.
Per giustificare la propria decisione, la Corte Suprema utilizzò l’attività di distinzione dei fatti precedenti:
nel caso precedente, infatti, si parlava di treni, mentre, nel caso attuale, si tratta di persone di colore che
vogliono frequentare le stesse scuole dei bianchi.
Dopo questa sentenza, la segregazione razziale all’interno delle scuole diventa incostituzionale.
Inoltre, con questa sentenza, i giudici americani, compresero che ormai la tendenza sull’orientamento era
cambiata, ignorando il precedente e reputandolo scollegato a quello attuale. Da nessuna parte, infatti, si

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dice che il caso del 1842 sia stato giudicato in modo errato, ma si sostiene che fosse un caso diverso.
Questo è il metodo di progressione del mondo anglo-americano, volto a non smentire l’idea che il giudice
abbia una capacità sapienziale superiore agli altri.

Il sistema dei precedenti negli Stati Uniti


Per quanto riguarda il precedente, nel mondo anglo-americano, questo è vincolante.
In Occidente, il precedente è persuasivo, ovvero un giudice con una certa autorevolezza verrà seguito da
altri giudici, ma nessuna regola lo obbliga a osservare le decisioni precedenti. È chiaro, comunque, che se il
precedente appartiene a una corte superiore, il giudice inferiore finirà per adeguarsi.
In Inghilterra e negli Stati Uniti, invece, esiste un obbligo del rispetto del precedente, poiché le Corti si
allontanarono dalla protezione della corona ed essendo una realtà senza una milizia o una propria
economia, la soluzione fu quella di non elaborare decisioni inaspettate, ma di adeguarsi per non perdere
credibilità e supporto. Dunque, l’obbligo odierno del precedente ha un’origine storico-istituzionale.
Questo obbligo si sviluppa su due linee:
- quella gerarchica, ovvero quando il giudice superiore vincola i giudici sottostanti;
- quella orizzontale, quando il principio del rispetto del precedente deve essere rispettato anche
dalla stessa corte e dallo stesso giudice, pena la rimozione dal proprio ruolo.

Negli Stati Uniti, il giudice di primo grado, anche se non rispetta i precedenti, non verrà rimosso dal proprio
ruolo, poiché non ha compiti nomofilattici; il giudice della Corte Suprema non è mai stato vincolato, perché
incarna il diritto stesso degli Stati Uniti, quindi, il suo compito, è quello di far evolvere il diritto; la corte di
secondo grado, invece, è l’unica a restare vincolata all’obbligo dei precedenti.
In Inghilterra, la situazione cambia nel 1966, quando i giudici vengono liberati dal vincolo di replicare le
stesse decisioni, soprattutto perché queste avevano portato soltanto alla cristallizzazione del diritto. Oggi,
soltanto le Corti d’Appello hanno l’obbligo di rispetto del precedente.

Il precedente deve essere della stessa giurisdizione, cioè appartenere allo stesso sistema di corti. Soltanto
all’interno della stessa giurisdizione, infatti, si ha l’operatività del principio del precedente vincolante.
Quando si parla delle Corti americane, ci si rende conto che queste sono tutte appartenenti a giurisdizioni
diverse, quindi, se la Corte d’Appello di un determinato Stato sentenzia riguardo a una questione, soltanto
quella specifica corte sarà vincolata al precedente, ma non le corti degli altri Stati. Allo stesso modo, se la
Corte d’Appello Federale sentenzia, soltanto quella corte sarà vincolata.
Le due corti possono anche decidere anche dello stesso caso, perché hanno una giurisdizione concorrente.
Ogni corte decide, ma ogni corte è vincolata soltanto a se stessa.

La Corte Suprema Federale: il limite di valore


Quando un caso arriva alla Corte Suprema dello Stato, tendenzialmente, esso si ferma lì. Tuttavia, se si tratta di
un caso in cui è coinvolto il diritto federale e la Corte Statale ha dovuto decidere applicando il diritto federale, è
possibile che una delle due parti richieda di rivolgersi alla Corte Federale.
Ricorrere alla giustizia federale, tuttavia, costa di più: infatti, il giudice federale, prenderà in considerazione
soltanto cause superiori ai settantacinquemila dollari e, al di sotto di quella cifra, non può prendere in
considerazione la causa.

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Lo stare decisis
Vediamo, ora, come il giudice di Common Law provvede ad adottare il principio del rispetto del precedente,
detto anche, secondo la terminologia latina, stare decisis.
In concreto, significa che i giudici, quando devono decidere, hanno il compito di avvalorare la posizione di
ciascuno dei propri clienti, grazie non solo a dei richiami normativi (nei paesi dell’Europa Continentale
questo avviene con dei richiami agli articoli del Codice), ma anche attraverso il richiamo dei precedenti: gli
avvocati, a supporto della loro tesi, portano una serie di decisioni già prese, che possono vincolare il giudice.
Presentare e sollecitare un giudice a seguire i precedenti significa indicare che i fatti della vicenda sono
identici ad altri fatti di una vicenda che è già stata decisa.
Il giudice, quindi, si trova davanti una serie di possibili precedenti. Chiaramente, il lavoro dell'avvocato è
quello di convincere il giudice che alcuni fatti, che potrebbero sembrare non proprio omogenei con quelli
sottoposti all'attenzione del giudice in quel momento, in realtà lo siano.
Il giudice, quindi, alla fine dovrà decidere qual è il precedente più adeguato, e quindi quali fatti sono più
simili a quello sottoposto alla sua attenzione.
Applicare il precedente, vuol dire che una volta che si sono letti tutti i fatti di tutti i casi che vengono
sottoposti alla sua attenzione, il giudice sceglierà un caso in particolare come il più simile, cercando di
capire quale regola di condotta sia stata applicata per arrivare alla conclusione; estrapolerà poi la regola di
condotta e risolverà il caso che ha davanti a sé.
Abbiamo una doppia fase, un’attività bifasica:
- una prima fase, quella tipicamente del giurista angloamericano, cioè ha una serie di fatti e da
questi deve trarre una regola, che è quella che il vecchio giudice ha applicato. Si tratta di una fase
induttiva, che va dal particolare al generale;
- una seconda fase, in cui individuare il ragionamento che ha condotto il vecchio giudice dichiarare
l'uno o l'altro il vincitore della causa; quel ragionamento va poi applicato al caso. È una casa
deduttiva, che ha una caratteristica tutta sua, ovvero che la regola che è stata estrapolata è una
regola di dettaglio, poiché proviene da un singolo caso, e non è una regola “classica” come quelle
del mondo Europeo-continentale.

Ratio decidendi e obiter dictum


La regola secondo la quale si decide viene detta ratio decidendi, cioè è la ragione del decidere, utilizzata dal
giudice in quel caso che richiede sia un precedente per lui vincolante.
Accanto all’applicazione della ratio decidendi, troviamo altri argomenti che a volte sono di supporto, a volte
spiegano perché il giudice ha ritenuto che quella ratio sia importante, una serie di discorsi che sono in
realtà inutili rispetto all’applicazione della ratio decidendi. Tutti questi discorsi vengono detti obiter dicta.
Quindi la sentenza generalmente si distingue in due corpi:
- un corpo che è quello puntuale, specifico di applicazione della regola di condotta estratta dal
precedente, ovvero la ratio decidendi;
- tutto quello che c'è in più alla sentenza, è un obiter dictum, che sono una serie di decisioni per
convincere che la sua decisione è corretta.

La tecnica del distinguishing


Secondo la “teoria classica”, il precedente vincolante obbliga il giudice ad applicare la ratio decidendi di
quel precedente al suo caso. Tuttavia, è evidente che i fatti non possono mai essere identici, anche per il

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semplice fatto che è passato del tempo da un caso all’altro. Per questo motivo, un'identità assoluta non c'è
mai, c'è un'identità tendenziale.
Questo consente al giudice di muoversi meglio, perché anche se l'avvocato si presenterà con un
determinato precedente, proprio perché i fatti non possono mai essere identici il giudice avrà sempre la
possibilità di dire che, anche se questi sembrano simili, in realtà ci sono alcune differenze, le quali gli
consentono di dire che il precedente è simile, ma non è identico. Questo è un dato fondamentale, perché
consente al giudice di distinguere il suo caso dal precedente presentato dall'avvocato.
Un giudice potrebbe cercare di distinguere perché ritiene il precedente inadeguato al caso che ha davanti e
se applicasse quella ratio decidendi darebbe una conclusione contraria che ritiene scorretta.
Chiaramente, l'avvocato che ha portato quel precedente avrà un grande interesse a farlo applicare in
favore del suo cliente; il giudice, però, non ritiene di dover applicare quel precedente e cerca di distinguere
quel caso rispetto a quello sottoposto.
Se riesce a distinguerlo in maniera adeguata potrà convincere il lettore che non sta violando il principio di
obbligatorietà del precedente, sta semplicemente distinguendo quel precedente rispetto ai casi sottoposti.
Con questa attività di distinzione (distinguish) il giudice si orienta verso un'altra ratio decidendi, che può
essere un altro precedente che gli avvocati gli hanno sottoposto e che lui ritiene più consono al suo senso di
giustizia, oppure arrivare a un'ulteriore ratio decidendi che non è sottesa a nessuno dei casi sottoposti alla
sua attenzione, ma che lui ritiene che si debba applicare.
La discrezionalità del giudice è abbastanza marcata: si pensi anche soltanto al caso Brown e a ciò che ha
fatto la Corte Suprema quando ha dovuto trattarlo: anche se esisteva un precedente, nessuno poteva dire
che non c’entrava nulla, ma la Corte è arrivata ha operato un distinguishing perché non ha voluto dichiarare
il precedente sbagliato, ma ha semplicemente detto che il caso era diverso.
Più i fatti dei casi che vengono sottoposti all'attenzione tendono ad essere simili, più il rischio che il giudice
si assume distinguendo è alto, quindi il giudice, con fatti simili, tende a rispettare il precedente; più i fatti
sono diversi, più è facile per il giudice distinguerli, quindi egli utilizzerà il distinguishing.
Grazie al distinguishing il diritto americano è riuscito a progredire. Infatti, se si cerca di cambiare un
orientamento si hanno due possibilità: dire che il precedente è sbagliato oppure procedere con il
distinguish. Procedere con il distinguish è un'assunzione meno netta, ma porta lo stesso risultato: il
cambiamento di un orientamento giurisprudenziale (se ovviamente quella tendenza viene seguita da molti
giudici). Distinguendo, il diritto americano, il formante giurisprudenziale, continua a progredire.

La tecnica dell’overruling: cancellare un precedente


Nella teoria classica dello stare decisis, è possibile anche cancellare il precedente.
Negli Stati Uniti, infatti, è possibile farlo utilizzando una tecnica chiamata “overruling”. L’overruling è uno
strumento usato con estrema attenzione e in casi estremamente rari, poiché è sempre preferito il
distinguish, in quanto “meno forte”.
Utilizzare l’overruling significa ammettere che il precedente in questione è sbagliato, non più adeguato alla
realtà socio-economica attuale, ragione per la quale deve essere cancellato dal Common Law e non sarà
mai più preso in considerazione e non sarà mai più richiamato.

I giudici di primo e secondo grado


Un giudice di primo grado, che non ha un obbligo di rispetto dei precedenti, può procedere con l’overruling
quante volte vuole, ma non può, ovviamente, farlo quando si tratta di sentenze della Corte d’Appello o

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della Corte Suprema. Diverso è l’atteggiamento verso il distinguishing, il quale può essere utilizzato anche
in casi decisi dalla Corte Suprema o d’Appello, semplicemente dichiarando la differenza tra i due casi.
Il giudice di secondo grado, invece, è l’unico che non può procedere all’overruling, poiché è l’unico giudice a
essere vincolato dai propri precedenti; può, comunque, procedere al distinguishing.

L’Inghilterra e l’overruling
Sebbene questa tecnica sia utilizzata negli Stati Uniti, In Inghilterra, il giudice è più tradizionalista e non è
portato a soluzioni innovative. Egli, infatti, è visto come il custode di una sapienza antica, perché il common
law è il prodotto di milioni di decisioni elaborate dai giudici. Poiché il giudice è il soggetto più sapiente, e il
precedente deve essere replicato, sostenere che un giudice sbagli significherebbe insinuare che un errore
viene replicato più volte. Per questo motivo, in Inghilterra, si continua a sostenere che non bisogna
cancellare un precedente, ma è necessario utilizzare il distinguish, il quale non fa perdere di legittimazione.
Soltanto nel 1966, si è trovata la forza di spezzare la tradizione, permettendo al diritto inglese di progredire.
Infatti, se si vuole rompere con il passato, l’overruling è determinante, in quanto cancella i precedenti
ormai inutili. Continuando a utilizzare soltanto il distinguishing si forza inutilmente il diritto e, tanto più i
fatti sono simili, quanto più la corte perde credibilità.

La Corte d’Appello e i precedenti simili


Nel momento in cui un giudice di primo grado si trova davanti a un precedente di una Corte Superiore un
po’ assurdo, lontano dall’attuale senso di giustizia, ha due possibilità:
- demolire, in maniera argomentativa, con un obiter dicta, il precedente: nella sua sentenza scrive
quanto sia sbagliato quel precedente e le ragioni per cui lo è, e, infine, lo applica, permettendo a
colui che sopporta l’applicazione ingiusta del precedente di avere un argomento da presentare alla
Corte d’Appello o alla Corte Suprema, le quali potranno procedere serenamente con l’overruling;
- forzare il distinguishing: anche se è chiaro che sta forzando la mano sulla decisione, può farlo in
quanto è forte del fatto che nessuno contesterà la violazione, in quanto il precedente è assurdo.

L’overruling non è particolarmente apprezzato, anche se gli americani ne fanno uso, cercano comunque di
non applicarlo se non in casi particolari.
Prendendo di nuovo sottomano il caso della segregazione razziale incontrato in precedenza, si può
considerare un terzo caso che arriva alla Corte Federale a causa di uno Stato che elabora una legge che
legittima la segregazione. La Corte d’Appello Federale, che deve emettere una sentenza su quel caso, valuta
i precedenti: i casi sono due, quello del treno, in cui la segregazione era legittimata, e quello della scuola, in
cui la segregazione non è stata legittimata. Non avendo la possibilità di fare overruling, si appella ai due
precedenti, i quali hanno lo stesso valore. Avendo il vincolo di dover rispettare le decisioni della Corte
Suprema, il giudice della Corte d’Appello deve fare una valutazione probabilistica sui due precedenti,
chiedendosi che cosa farebbe la Corte Suprema.
Infatti, mentre in Europa Continentale il giudice è “anonimo” (ovvero non si conosce mai la sua opinione, in
quanto, nel momento in cui sentenzia, il collegio della Corte, composto da più persone, non rilascia mai i
nomi e le decisioni dei singoli, ma soltanto la sentenza finale), nel mondo anglo-americano (quindi, anche in
Inghilterra) si è a conoscenza dell’opinione di ogni giudice e delle decisioni che hanno preso in passato,
permettendo agli esterni di creare una sorta di “curriculum” con tutte le sue decisioni.

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Concurring e Dissenting opinion
Nel contesto di un collegio di Corte, la decisione di un giudice del collegio può essere una:
- concurring opinion: il giudice è d’accordo con gli altri componenti del collegio, ma per motivi diversi da
quelli della maggioranza (ad esempio, la sua decisione può basarsi su precedenti differenti);
- dissenting opinion: il giudice è in disaccordo con il resto del collegio.

Grazie a questo tipo di sistema che permette di raccogliere e conoscere le opinioni dei giudici è possibile
immaginare e conoscere le maggioranze all’interno della Corte Suprema Federale, così come le loro
opinioni e il loro orientamento politico, ed è anche possibile prendere una decisione adeguata.
Tuttavia, decidendo verso uno dei due, considerato che si hanno due precedenti sotto mano, è possibile
cedere a un overruling o forzare un distinguishing, perché ci si orienta verso una determinata soluzione
perché la Corte Suprema si sarebbe orientata verso quella soluzione.

L’Anticipatory Overruling
Questo discordo può funzionare nel caso in cui i precedenti siano più di uno, tuttavia, se il precedente è
singolo, la Corte d’Appello sarebbe obbligata a rispettare quel precedente, anche se sa benissimo che quel
precedente non sarebbe rispettato dalla Corte Suprema, in quanto, conoscendo la posizione dei giudici, sa
come questi sentenzierebbero sulla questione. In questo caso, però, se la Corte d’Appello ha la certezza che
la Corte Suprema procederà comunque con l’overruling, per una questione di “economia” ed efficienza, è
possibile, eccezionalmente, procedere a un overruling, argomentando la ragione per la quale si sceglie di
farlo: questo overruling prende il nome di “anticipatory overruling”, in quanto “anticipa” la decisione del
giudice della Corte Suprema Federale.
Questo avviene per una ragione di pura efficienza di giudizio, poiché sapendo già quale sarà il verdetto
della Corte Suprema, sarebbe inutile rispettare un precedente che poi verrebbe comunque disatteso
successivamente. Non solo, si rischierebbe anche, nel caso in cui la Corte Suprema non accettasse
quell’eventuale appello, di avere una sentenza ingiusta, che non sarebbe dovuta esistere in primo luogo.

La certezza nel diritto


Procedere con un overruling, tuttavia, vuol dire incidere sulla certezza del diritto, poiché la tendenza a una
modifica legislativa rende impossibile capire come comportarsi di giorno in giorno. La certezza del diritto è
qualcosa di apprezzato soprattutto dagli imprenditori e l’intero sistema economico potrebbe essere demolito
da incertezze nel diritto. Per gli italiani, l’incertezza nel diritto è una delle ragioni per la quale si è percepiti
come un luogo inadatto ad investire: la continua modifica delle leggi italiane crea incertezza.
Nel mondo angloamericano, disattendere un precedente vuol dire modificare qualcosa che è esistito fino a
quel momento ed è qualcosa che incide sulla certezza del diritto.

Il Prospetting Overruling
Con l’incertezza del diritto si pone anche un altro problema, ovvero quello di cercare di salvaguardare
coloro che, fino a quel momento, si sono adeguati al precedente esistente. Procedendo a un overruling,
senza alcun preavviso si crea una certa fibrillazione nel sistema poiché, a quel punto, non si saprebbe più
quale precedente verrà applicato e quale no, senza sapere come comportarsi.
Per questo motivo, si procede con quello che viene chiamato “prospetting overruling”, ovvero un
overruling fatto in prospettiva, successivamente al caso in questione.
Nel caso in cui l’overruling sia, comunque, strettamente necessario, allora si procederà comunque senza
avvertimento, ma in altri casi, la Corte Suprema avvertirà la collettività prima di procedere con l’overruling.
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Nel caso in cui un caso vada deciso con l’applicazione di un precedente sbagliato che deve essere eliminato,
la Corte Suprema procederà, per l’ultima volta, ad applicare quel precedente, poiché chi si presenta davanti
alla corte si è attenuto a quel particolare precedente, con la certezza che il precedente avrebbe avuto una
certa persistenza nel temo. Successivamente, utilizzando un obiter dicta all’interno della sentenza, il giudice
spiegherà il motivo per il quale quel precedente, da quel momento, non potrà più essere applicato,
procedendo a un effettivo overruling per il futuro.
Questo tipo di comportamento salvaguarderà la certezza del diritto, poiché il precedente sarà applicato per
l’ultima volta nei confronti di quel soggetto che comunque ne ha fatto affidamento. Se così non si facesse,
paradossalmente, si andrebbe a dare ragione a chi quel precedente non l’ha osservato.

Questa è una violazione della teoria generale, in quanto, il giudice successivo, nel valutare un caso simile,
non si interesserà del precedente o della ratio decidendi, ma degli obiter dicta, i quali espongono una nuova
ratio decidendi, che verrà utilizzata per trarre la nuova regola per il caso in questione.

Anche se questo tipo di overruling protegge la certezza del diritto, in realtà, è un sistema un po’ fallato.
Quando un caso arriva alla Corte Suprema Federale, infatti, sono passati molti anni da quando l’evento in
questione si è verificato. In quegli anni, tantissimi americani hanno continuato ad asservire il precedente in
questione, che la Corte Suprema avrebbe annullato poco dopo. Si tratta di una disparità di trattamento,
perché salva l’idea della certezza del diritto per un solo soggetto, ovvero quello che, per l’ultima volta, vede
applicato al suo caso il vecchio precedente. Tuttavia, tutte quelle migliaia di persone che hanno continuato
a seguire quella ratio decidendi, si vedranno applicata una nuova ratio decidendi. Per questa ragione, c’è
un’ipocrisia di fondo, poiché sebbene ci sia un rispetto della certezza del diritto, questa, in realtà, vale
soltanto per una persona sola, ovvero quella che si vede applicata la ratio decidendi che verrà cancellata.

Considerazioni generali: lo stare decisis


Come si è visto in precedenza, negli Stati Uniti, sono state trovate delle soluzioni per rendere la teoria del
precedente, detta “stare decisis”, meno rigida. Tra queste soluzioni, vi sono l’anticipatory overruling e il
prospetting overruling. Si potrebbe fare un altro tipo di analisi su questa teoria, più disincantata, che però
ha valore più in Inghilterra, che negli Stati Uniti.
In Inghilterra, infatti, il fatto che esista un sistema gerarchizzato di corti molto forte fa sì che i principi dello
stare decisis vengano rispettati. Al contrario, gli Stati Uniti presentano molte caratteristiche che spingono
verso un allontanamento dalla teoria del precedente vincolante, come:
- lo studio accademico: negli USA non avviene in corte come in Inghilterra, e che fa si che le singole
decisioni vengano confuse con principi di più ampia dimensione, permettendo alla regola
burocratica di essere meno rigorosa;
- la presenza di una Costituzione: un precedente è vincolante in quanto si presume che non esista
nessun’altra fonte del diritto oltre al precedente stesso, ma la presenza di una Costituzione dà vita
a un’altra fonte, tra l’altro prioritaria, rendendo il precedente meno incisivo;
- la presenza di una pluralità di sistemi e di decisioni, che spesso non vengono neanche conosciute,
fa sì che il precedente possa essere disatteso per ignoranza.

Questo serve per spiegare che la teoria del precedente caratterizza senz’altro il mondo americano, ma, se si
vuole scendere nel dettaglio, ci si rende conto che caratterizza più il mondo inglese.

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Civil Law e Common Law: le fonti primarie del diritto
A differenza del mondo continentale delle realtà di Civil Law, dove (tendenzialmente) l’accademico è il
giurista, nel mondo del Common Law il giudice è il giurista. Il fatto che la fonte primaria del diritto non sia il
formante dottrinale (ossia, le università), fa sì, quindi, che sia il formante giurisprudenziale.
A questo punto, ci si potrebbe chiedere cosa succede al formante legale, se il formante giurisprudenziale ha
tanta influenza sul diritto. Se nel mondo del Civil Law si dovessero eliminare i codici o le leggi del
Parlamento il sistema collasserebbe, poiché le sole decisioni dei giudici non sarebbero sufficienti a
mantenere il sistema funzionante; ma se nel mondo del Common Law si dovessero eliminare, per esempio,
tutti gli statutes, se il prodotto legislativo venisse dimenticato, il sistema continuerebbe comunque a
funzionare, poiché il prodotto dei giudici ha coperto la maggior parte delle situazioni possibili e qualsiasi
situazione può trovare un precedente a cui far riferimento.
Questo tipo di persistenza del sistema, eliminati gli statutes, è data dal fatto che il giudice anglo-americano,
quando si trova davanti a uno statute cercherà sempre di condurlo al Common Law, al punto che, quando
uno statute riproduce una regola di Common Law (una regola contenuta in una sentenza o in più sentenze),
non sarà la legge ad essere richiamata o l’articolo relativo, bensì il precedente. Questo significa che, venuto
meno il formante legislativo, il precedente consentirà comunque al giudice di proseguire a gestire le
controversie. Invece, nel mondo europeo-continentale sarà la legge ad essere richiamata, poiché per il
giudice è la legge l’autorità, non le decisioni assunte in base a questa da altri giudici. Questo evidenzia il
diverso atteggiamento che i giudici anglo-americani ed europei-continentali hanno nei confronti della legge.
Chiaramente, questo fa si che se si eliminasse l’intero sistema del Common Law, cioè tutte le decisioni dei
giudici assunte nei secoli, a quel punto il sistema anglo-americano crollerebbe (così come crollerebbe il
sistema europeo-continentale se si eliminassero tutti i codici), poiché è il precedente che gli permette di
applicare la legge al giudice anglo-americano.

Inghilterra e Stati Uniti: lo studio accademico


Sebbene nel contesto anglo-americano il giudice sia il punto di riferimento, bisogna però fare una
considerazione: Inghilterra e Stati Uniti hanno una diversa attenzione nei confronti del prodotto del giudice.
Questo avviene perché, negli Stati Uniti, a differenza di ciò che avviene in Inghilterra, lo studio accademico
(anche se diverso da quello dell’Europa Continentale, poiché non esiste un corpus iuris, non vi è un docente
che spiega dei principi, ma si tratta comunque dello studio dei precedenti) ha una certa importanza.
Infatti, negli USA, l’applicazione di un precedente prevede una certa attività deduttiva, poiché bisogna
estrapolare una ratio decidendi e poi applicarla. La ratio decidendi raccolta da ogni singolo precedente può
costituire un momento di riflessione per gli studenti e, anche se si potrebbe dire che lo studio delle
decisioni è comunque uno studio di ciò che è stato deciso dai giudici e non si fa altro che replicare ciò che è
successo, c’è qualcosa di diverso in questo studio, poiché il docente, considerando i casi singolarmente,
prende ad esame le singole rationes decidendi provvedendo ad analizzarle, estendendo i principi generali,
valutandoli e mettendoli in correlazione con altre rationem decidendi.
Negli Stati Uniti, quindi, c’è un momento di valutazione sistematica, accompagnata dallo studio di principi
generali, i quali, anche se sono stati utilizzati già più volte, anche se estremamente dettagliati, diventano
rilevanti per lo studio accademico, poiché aiutano il docente a illustrare più casi che però hanno dato luogo
alle medesime rationem decidendi.
In Inghilterra, tuttavia, tutto questo non succede, poiché lo studio avviene solamente “a bottega” (si studia
il caso singolarmente nel suo piccolo, in contesti diversi e in diversi ambiti, con tutti i suoi precedenti),
senza studiare dei principi generali.

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Negli Stati Uniti, quindi, ci si trova a metà tra la totale assenza di un percorso accademico (come avviene nel
mondo inglese) e il mondo europeo-continentale, dove ciò che si insegna non è la soluzione del caso
concreto, ma sono le grandi categorie.

L’Inghilterra e il percorso accademico


In Inghilterra, fino a circa trent’anni fa, il formante accademico non aveva alcuna rilevanza nella formazione del
giurista, in quanto non era assolutamente necessario essere laureati in giurisprudenza per diventare giudici o
avvocati. Tuttavia, da trent’anni a questa parte vi è la necessità di frequentare almeno alcuni corsi di diritto,
senza che vi sia, però, “l’obbligo” del mondo continentale (ovvero, quello di iniziare un percorso universitario
non più modificabile). Nel mondo inglese, infatti, una persona con una formazione estranea all’ambito giuridico
può approcciarsi tranquillamente al mondo del diritto dopo aver sostenuto alcuni anni di studi e non è
necessario un percorso obbligato strettamente giuridico per affrontare la professione legale.

» Il formante dottrinale nel Civil Law e nel Common Law


Il formante legale, quindi, è diverso nel mondo del Common Law e nel mondo del Civil Law (in uno, la sua
mancanza fra crollare l’intero sistema, nell’altro, invece, lo rende semplicemente più lento, ma questo
continua a funzionare). Anche il formante giurisprudenziale è diverso e ha una sua importanza.
Per quanto riguarda il formante dottrinale, invece, questo prevale tutte le volte in cui la giurisprudenza è
frammentata: è il caso dell’Italia fino agli anni ’30, quando la presenza di ben cinque Corti di Cassazione e la
mancanza di una corte centrale unica creavano una certa frammentazione, oppure della Germania, dove
prima dell’unificazione non esisteva una corte centrale forte. Entrambe le situazioni rendevano impossibile
alla giurisprudenza contrastare la forza dell’Accademia, permettendo alla dottrina di diventare una fonte
prioritaria del diritto.

Il caso dell’Inghilterra
In Inghilterra, la dottrina è stata contrastata in maniera vittoriosa dalla giurisprudenza a causa di “un
accidente della storia” che permise la nascita di una corte centrale intorno all’anno 1100, a Londra, la quale
comincia ad applicare i propri precedenti e le proprie regole di condotta. Quando gli studenti delle
università di Bologna cominciano a circolare sul territorio inglese, il diritto romano, sebbene venga
insegnato, non riesce ad attecchire in quel contesto, poiché arriva in ritardo, in quanto ormai la
maggioranza non era interessata a studiare il diritto romano, ma a diventare avvocati e giudici all’interno
della, ormai prestigiosa, Corte di Westminster.
Una giurisprudenza forte, quindi, in Inghilterra, ha portato, inevitabilmente, a una dottrina più debole; una
dottrina che, in Inghilterra, tuttavia, è ancora debole oggi.

Il caso della Francia


La Francia è un modello singolare nel mondo dell’Europa-continentale. Per tutto l’Ottocento, i giudici
francesi hanno incrementato il proprio prestigio, rispettando la regola (ormai non più scritta) secondo la
quale il Codice Napoleonico era un codice perfetto, completo, che non richiedeva alcun tipo di
interpretazione, se non quella letterale. Nascono, allora, le sentenze “a frase unica”, in quanto non è
necessario spiegare nulla dato che è tutto perfettamente risolvibile mediante l’applicazione di una qualsiasi
regola del Codice.
Osservare in maniera puntuale questa regola, seppur assurdamente, in quanto è evidente che il Codice non
è completo, ha permesso al funzionario dello Stato di essere considerato estremamente osservante delle
regole dello Stato e, di conseguenza, estremamente prestigioso.
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Arrivati nel Novecento, il giudice francese, che ormai abbandona l’interpretazione letterale e si apre ad
altre forme di interpretazione, è il giudice più prestigioso dell’Europa Continentale.
Una corte prestigiosa, quindi, con un giudice prestigioso e una giurisprudenza prestigiosa, che ha contenuto
il formante dottrinale. In Francia, infatti, si ha forse l’unica realtà in cui il giudice si contende con il
professore la supremazia in termini di produzione del diritto.

La dottrina americana
La dottrina europea-continentale è una dottrina, si può quasi dire, poco fantasiosa, troppo intenta a
cercare di comprendere come trattare il dato legale, come applicare il codice, come dividere le categorie
generali. Nel mondo americano, invece, la dottrina, nascendo soltanto agli inizi dell’Ottocento, cercò
semplicemente di insegnare come maneggiare qualcosa di “nuovo”.
Le decisioni sempre più numerose delle varie corti statunitensi dovevano essere analizzate e sistemate,
dovevano essere individuate le decisioni più rilevanti e poi dovevano essere spiegate, in modo da poter
dare forma un sistema americano. Il diritto americano doveva cominciare ad avere i suoi “contorni” e i suoi
“confini”: ad esempio, era necessario cominciare a capire cosa si intendeva quando si parlava di contract
oppure cosa fossero i leading cases (ovvero, i casi più importanti in cui si individuano quelle rationes
decidendi che potranno poi essere richiamate come precedenti per altre decisioni).
Questo è il lavoro che viene fatto, dall’Ottocento in poi, all’interno delle università americane: si insegnò
allo studente che il precedente più importante era ciò a cui doveva dare conto; si insegnò come scegliere il
precedente fra tanti; ad analizzare i fatti (soprattutto a distinguere tra fatti secondari e fatti primari). La
teoria classica del precedente viene valutata, ispezionata e vagliata, di modo da poter fornire allo studente
la possibilità di utilizzarla una volta diventato avvocato o giudice.

Il formalismo giuridico
Successivamente a questo periodo di “formalismo giuridico” all’interno delle università americane, ci si
comincia a chiedere se la teoria classica del precedente sia effettivamente ciò che avviene nella testa del
giudice o se questo possa essere influenzato in qualche modo da altri fattori.
Secondo questo formalismo, un giudice americano, davanti a un caso, cerca, con l’aiuto degli avvocati, dei
precedenti, analizza i fatti e verifica quali siano principali e quali secondari, poi sceglie, in maniera asettica,
il precedente che ha il caso più simile, raccoglie la ratio decidendi e la applica al suo caso. Tuttavia, è
possibile che il giudice possa venire influenzato da altri nella sua scelta oppure da un suo personale “senso
di giustizia”. Ad esempio, nel caso della Corte Suprema Federale, si è visto come i giudici possano essere
influenzati nelle loro scelte dal proprio orientamento politico e come questo possa influire in una maniera o
nell’altra quando si tratta di una legge.

La scuola realista
La prima metà del Novecento, portò, all’interno delle università americane, una riflessione su questa
questione: se il formalismo giuridico (ovvero, il compito burocratico assegnato al giudice, che in maniera
formale segue le regole della teoria classica dello stare decisis) abbia un senso oppure se sia semplicemente
una “veste” che viene posta alla sentenza, la quale ha raggiunto un determinato obiettivo, ma seguendo
percorsi completamente diversi da quelli che avrebbe dovuto seguire.

Le conclusioni a cui arrivano gli americani sono quasi banali: è ovvio che un giudice non sia legato al
processo decisionale formalistico, ma che, quando assume una decisione, sia influenzato anche dal
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contesto culturale e socio-economico da cui proviene. La decisione di un giudice, quindi, segue ovviamente
la modalità burocratica che gli è stata insegnata (ossia la scelta dei precedenti, la ricerca della ratio
decidendi e poi la sua applicazione), ma, allo stesso tempo, viene influenzata da altri fattori.
Questa nuova scuola che affronta questa tematica è chiamata scuola del realismo giuridico, poiché guarda
al processo decisionale dei giudici in maniera realistica.

Il realismo giuridico si occupa, quindi, di studiare i processi che vengono seguiti nella testa di ciascun
giudice per arrivare a una determinata decisione, processi che non sono scritti da nessuna parte.
La scoperta più evidente del realismo giuridico è quella che stabilisce che ogni giudice è influenzato da ogni
cosa che gli succede, dalla sua vita persona o dalla sua posizione politica.
È chiaro che esistono delle situazioni inequivocabili, casi limite, la cui soluzione è una soltanto (ad esempio,
se c’è il divieto di accesso in un determinato luogo e qualcuno entra, vi è una violazione del divieto e non
c’è modo per interpretare ciò che è successo, ma il caso potrà avere un solo tipo di conclusione – salvo che
il giudice non decida di violare i propri doveri e non applicare la legge), tuttavia, esistono anche casi in cui
l’ambito di intervento del giudice può essere più ampio (ad esempio, se il divieto di accesso è vietato se
volontario, in quel caso allora il raggio di intervento si ampia, in quanto bisognerà valutare l’intenzionalità
dell’accesso) e nei quali è possibile interpretare in qualche modo il caso.

Un esempio: la volontarietà nei reati


Se un uomo viene arrestato in un supermercato per aver rubato dei generi di prima necessità, questo potrebbe
essere assolto una volta dimostrata la sua condizione di indigenza o quella della sua famiglia: egli era stato
costretto a rubare per necessità, e manca quindi la volontarietà.
Un uomo che viene arrestato perché ha compiuto un reato mentre aveva una pistola puntata alla testa, verrà
assolto, poiché vi è una discriminante, in quanto non vi è volontarietà nelle sue azioni.
La volontarietà, quindi, deve essere valutata dal giudice.

Quando un giudice si trova di fronte a casi simili ha la possibilità di fare un percorso argomentativo diverso,
il suo spazio discrezionale si dilata. Tuttavia, il giudice non manterrà del tutto la sua posizione di assoluta
terzietà burocratica (nel mondo anglo-americano guarderà ai precedenti, nel mondo europeo-continentale
interpreterà la norma sul reato di furto o lo stato di necessità), ma sarà influenzato anche dalla propria
posizione sociale, culturale e politica.
Questo tipo di ragionamento si applica ad ogni singolo giudice, poiché ognuno di essi potrà rilasciare
pronunce diverse sullo stesso identico caso, in quanto ognuno di loro avrà un approccio diverso. La
situazione, da inequivoca, diventa più opaca, una situazione “grigia” dove ogni tipo di decisione può,
ovviamente, essere giustificata con strumenti classici (nessuno vorrebbe sentirsi dire che il proprio caso è
stato deciso perché il giudice ha preferito una posizione invece di un’altra, ma tutti vogliono che la legge
venga applicata secondo delle regole ben precise), ma che sarà comunque influenzata da fattori “esterni”.

Il realismo giuridico spazza via l’idea del formalismo e arriva a puntare su ciò che è effettivamente rilevante
nella decisione di un giudice: il processo decisionale, il legal process. Proprio il processo decisionale è ciò
che deve essere studiato, secondo questa dottrina americana, perché è lì che si coglie come si concluderà
un determinato caso, studiando attentamente quanto possa essere rilevante l’influenza della condizione
sociale, culturale, economica o politica di ogni singolo giudice. Soltanto attraverso questo tipo di
consapevolezza si riuscirà a capire tutto ciò che influenza il processo decisionale.
È chiaro che, conoscere il processo decisionale è fondamentale, in quanto è l’unica cosa che ci permette di
poter contestare questo processo, di poter dire se una decisione sia adatta o noi oppure no (chiaramente,
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questo è difficile, in quanto una volta che si è parte del “sistema”, si sopporta il processo decisionale che
viene applicato).
Proprio per questa ragione è necessario che ci sia una pluralità di giudicanti: il singolo giudice, infatti,
potrebbe essere influenzato dalla propria situazione sociale, economica o politica, ed è giusto, quindi, che
la sua decisione venga rivalutata più e più volte. Se questo tipo di ragionamento non esistesse, avremmo un
sistema che è sicuramente molto efficiente, ma in balia delle decisioni di giudici influenzati, per esempio,
dalla loro vita privata o dal loro umore.

» La figura dell’avvocato in Inghilterra: barrister e solicitor


Nel mondo europeo-continentale si hanno due professioni completamente separate per quanto riguarda
avvocato e giudice: difficilmente, infatti, un avvocato diventerà giudice.
In Inghilterra, invece, i giudici sono, in realtà, il prodotto di un percorso professionale che parte proprio
dall’essere avvocato. Proprio per questa ragione si suole dire che il giudice inglese è più sensibile alle
esigenze generali della quotidianità, in quanto, durante la sua esperienza come avvocato, condivide le
situazioni di “malessere” dei propri clienti, conosce a fondo le problematiche che li, si troverà a nascondere
alcuni fatti e mostrarne altri alle finalità della sua difesa, valorizzando ciò che è utile per il cliente.
Inevitabilmente, quindi, l’avvocato si cala nella realtà del quotidiano e, quando arriva al termine della sua
carriera e diventa giudice, conoscerà bene le problematiche che poi gli verranno sottoposte, sarà un giudice
che vede la situazione “dall’interno”, essendo a conoscenza di tutti quei meccanismi che portano un cliente
a fare una cosa piuttosto che un’altra; avrà, quindi, una cognizione della situazione interna.
Un giudice che diventa immediatamente giudice avrà sempre una visione esterna delle cose, poiché non
sarà a conoscenza dei processi interni, sia mentali che produttivi, delle persone che si troverà a dover
giudicare, ma avrà conoscenza soltanto di ciò che l’avvocato vorrà raccontargli, a volte valorizzando certi
elementi più del dovuto e a volte tralasciandoli completamente.
Proprio per questa ragione buona parte dei contratti internazionali individuano nelle corti inglesi le corti
competenti, poiché in quelle corti si ha la sensazione che il giudice sia più sensibile a comprendere in
concreto la questione, un giudice che da sempre vede le cose dall’interno e non soltanto quello che gli
avvocati vogliono mostrargli e che è più conveniente per loro mostrare.
Questo tipo di percorso esiste soltanto in Inghilterra (in parte avviene anche negli Stati Uniti, dove la
tendenza, però, non è marcata come in Inghilterra e dove i giudici vengono nominati se hanno avuto una
certa esperienza: tuttavia, non vi è alcun obbligo di essere stato un avvocato nella professione precedente,
ma si può anche essere, per esempio, un professore), poiché nel mondo dell’Europa continentale non è
necessario essere stato un avvocato per diventare giudice.

La sostituzione del Lord Cancelliere


Nel 2005, tra le molte riforme che hanno avuto luogo nel mondo inglese, si è anche proceduto all’eliminazione
del Lord Cancelliere (ovvero, colui che nominava i giudici), il quale viene sostituito da una commissione di
giudici. Quel criterio secondo il quale, in Inghilterra, vi è una contraddizione in termini di principio di
separazione dei poteri viene quindi meno, poiché il Lord Cancelliere (nonché ministro della giustizia) non
nomina più i giudici, ma lo fa una commissione interna (sarà, comunque, poi, la Regina a sottoscrivere
formalmente i provvedimenti per la nomina).

Dall’antica Roma ad oggi


Una delle peculiarità del mondo inglese è lo “sdoppiamento” della figura dell’avvocato in due diversi
soggetti, i quali svolgono l’attività che, in Europa continentale, è di un unico soggetto.
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Durante il periodo romano si mostra un’esigenza di logistica: Roma era il luogo dove le decisioni venivano
prese e dove l’Imperatore dirimeva le questioni; chiunque avesse necessità di risolvere una certa questione
doveva andare a Roma. Muoversi per andare a Roma da un qualsiasi punto dell’Impero diventava difficile,
in quanto richiedeva moltissimo tempo e spesso anche un soggiorno a Roma per attendere la risoluzione
del caso. Per questa ragione, vennero istituiti dei soggetti che potevano occuparsi, per conto di tutti coloro
che venivano da lontano, di gestire il giudizio. Questi soggetti non erano soggetti prestigiosi e non avevano
una posizione particolarmente nobile, poiché si occupavano semplicemente di quelle attività burocratiche
per far sì la causa si gestita correttamente.
Colui che, invece, si occupava poi di parlare davanti all’Imperatore e doveva difendere una delle due parti
era il retore, il quale, solitamente, veniva remunerato.
Nel mondo romano, quindi, particolarmente per ragioni di logistica, ci fu una dissociazione naturale
nell’ambito dell’attività forense tra colui che doveva semplicemente garantire l’attività burocratica e colui
che, invece, si presentava il giorno in cui si doveva discutere la vicenda.
Per le stesse ragioni, il mondo inglese si trova tutt’ora ad avere due professionisti separati che operano nel
mondo forense, due professionisti che svogliono attività che si potrebbero definire “dell’avvocato”, in
maniera assolutamente separata. In Inghilterra, infatti, l’esistenza di una Corte Centrale a Westminster
(dove si andava per discutere un writ o anche solo per pagare delle gabelle) rese necessaria la presenza di
due figure differenti (muoversi da una qualsiasi parte dell’Inghilterra per recarsi a Londra o rimanervi, era
complicato). Le attività burocratiche, quindi, venivano svolte da soggetti che non avevano una grande
preparazione giuridica, in quanto questa non era necessaria.
Oggi, vi è un soggetto che prende il posto del retore romano, colui che assiste ogni giorno alle decisioni dei
giudici, che conosce a memoria le decisioni, che sa come esprimersi correttamente e difende la parte:
costoro vengono chiamati barristers. Il barrister ha il compito esclusivo di difendere il cliente davanti alla
Corte, si disinteressa di tutto il resto e non contatti con il cliente; egli è l’espressione più elevata della classe
forense inglese, colui che conosce il diritto. Tra i migliori barristers vengono scelti i giudici.
I contatti con il cliente sono, invece, riservati ai solicitors, ovvero coloro che si occupano di assistere in
cliente fino a quando questo non viene difeso in corte dal barrister.
Tutte le volte in cui, ancora oggi, si ha un conflitto tra soggetti che si risolve davanti a un giudice, in
Inghilterra, si vedono coinvolti necessariamente due soggetti:
- il solicitor, ossia colui che ha il contatto con il cliente e che si occupa di mettere in contatto il cliente
con il barrister, senza che ci sia però un effettivo contatto. Essi hanno il compito di ricevere la
richiesta del cliente e indicare a quest’ultimo un barrister che andrà a difenderlo in corte.
 Tra le attività svolte dal solicitor si trovano le attività funzionali ed operazioni commerciali
che riguardano acquisizioni di società o di immobili, operazioni relative al mondo della
finanza e tutto ciò che non riguarda ciò che viene chiamato “contenzioso”, ossia l’attività
giudiziale classica dell’avvocato che si presenta in Corte. Tutto ciò che non è “difesa del
cliente” davanti a una Corte è appannaggio del solicitor e il barrister non ha alcuna
possibilità di ingresso in quel tipo di mansioni.
- il barrister, è colui che segue la difesa del cliente davanti al giudice: una volta che il cliente decide di
agire nei confronti della controparte, l’attività della Corte è appannaggio del barrister, il quale
redigerà tutte le difese per iscritto e difenderà in udienza.
 Il barrister ha esclusiva competenza di tutto ciò che riguarda l’attività giudiziale, alla quale il
solicitor non può partecipare.
Occorre notare che quando si inizia la carriera come solicitor non si può diventare barrister
successivamente, ma la scelta fatta all’inizio dell’attività professionale rimane.

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La riforma di Margaret Thatcher
Anche se le mansioni delle due professioni sono molto chiare, non è detto che la Corte sia solamente
appannaggio dei solicitor, poiché nel 1989, Margaret Thatcher, tra le sue molte riforme (tutte mirate a
eliminare sacche di porzioni di rendita, forme di monopolio od oligopolio che le singole porzioni del mondo
professionale e imprenditoriale avevano all’interno del mercato inglese), si è occupata anche di varie
situazioni che riteneva essere afflitte da un monopolio indebito (ovvero situazioni per il quale c’era un
particolare favore verso determinate categorie di lavoratori), tra cui la situazione della professione legale
dei barristers e dei solicitors, in quanto ritenne irragionevole che un numero esiguo di soggetti potesse
avere il controllo di tutti i giudizi che veniva instaurati davanti alla Corte inglese.
In Inghilterra, infatti, i barristers sono un numero minimo, mentre i solicitors sono molto di più. Questo tipo
di situazione faceva sì che la giustizia fosse in mano a pochissimi soggetti che ne detenevano il monopolio.
Una situazione che, secondo la Thatcher era irragionevole, soprattutto in luce del fatto che i barristers non
si occupavano soltanto di cause “interne”, ma anche di cause internazionali: un mercato, quello dei giudizi
davanti alla Corte inglese, estremamente ricco, nelle mani di un gruppo piccolissimo di persone.

Le cause internazionali
Bisogna ricordare che, davanti alla Corte inglese, vengono instaurati non solo giudizi tra inglesi, ma anche la
maggior parte dei giudizi tra soggetti non inglesi, poiché le Corti inglesi sono quelle scelte più spesso nei
contratti, proprio a causa del fatto che le Corti inglesi vengono considerate corti in cui il giudice ha esperienza,
imparzialità e prestigio. Per questa ragione, a Londra possono trovarsi spesso cause di una certa dimensione:
ad esempio, contratti tra società petrolifere di due Stati differenti, come Italia e Canada.

Per questa ragione, nel 1989 si è intervenuti sulla questione, disponendo, con una legge, che anche i
solicitor, ottenendo un’autorizzazione specifica, potessero occuparsi di difendere un cliente davanti alla
Corte, senza avere la necessità di un barrister.

La realtà odierna
Tuttavia, c’è sempre una grande differenza tra ciò che viene affermato e ciò che avviene in pratica: infatti,
ancora oggi, non si trova un percorso che sia la conseguenza naturale di una riforma legislativa come quella
attuata nel 1989, in quanto solicitors e barristers tutt’ora non sono al pari all’interno della corte e si
continua a preferire il barrister come difensore davanti alla corte.
La ragione è duplice:
- la prima ragione è legata all’atteggiamento conservativo inglese: ancora oggi, l’atteggiamento
mentale di molti solicitor, quando la questione può sfociare in un contenzioso, li porta a “girare” la
causa a un barrister, in quanto convinti che non sia compito loro discutere la causa in Corte;
- la seconda ragione è molto più pratica: in Inghilterra, per diventare giudici è necessario essere
prima un avvocato, fare esperienza e, successivamente, ci sarà la possibilità di essere scelti come
giudici. Essendo il bacino dei barristers molto ristretto è inevitabile che, con l’andare del tempo,
questi finiscano per conoscersi tutti tra di loro e spesso a creare rapporti interpersonali tra di loro.
È naturale che, nel momento in cui il cliente deve scegliere chi lo deve difendere in Corte, sia più
portato a scegliere colui che ha avuto contatti con il giudice, che è, magari, un suo ex collega con
cui ha particolare confidenza, piuttosto che un soggetto che può essere certamente capace, ma che
non ha alcun tipo di confidenza con il giudice.
Si ritorna, quindi, al discorso proposto dalla scuola realista americana: è chiaro che amicizia, confidenza,
convivialità e altri fattori, abbiano una certa influenza sul giudice e proprio per questo motivo gli inglesi
continuano a scegliere i barristers come avvocati di Corte, ancorché non lo dicano espressamente. Questo

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perché esiste un rapporto che va ad incidere sulla decisione finale e l’unica cosa che conta è il processo
decisionale, mentre il resto è soltanto una copertura.

» La figura dell’avvocato negli Stati Uniti


Il mondo americano, pur appartenendo al sistema anglo-americano, non conosce la stessa distinzione di
professioni che vi è in Inghilterra, anzi, dal punto di vista forense, l’attività professionale dell’avvocato
americano è molto più vicina a quella dell’Europa continentale. Questo non è avvenuto perché nel
momento in cui il modello inglese ha iniziato ad essere un modello di riferimento (quando i giovani di
buona famiglia andavano a Londra a studiare per poi tornare negli Stati Uniti e svolgere la professione
legale) il mondo americano non aveva la stessa necessità del mondo inglese di avere due percorsi separati.
In Inghilterra, infatti, la specializzazione era legata all’attività di Corte: a Westminster, dove i casi venivano
decisi, gli avvocati avevano il compito di ricordare ogni caso (perché, ovviamente, questi casi venivano
richiamati poi nelle decisioni successive), un lavoro che richiedeva un’attenzione e una dedizione
eccezionali, che non lasciavano spazio all’avvocato di occuparsi di consegnare writs, parlare con lo sceriffo,
o parlare con il cliente. L’avvocato inglese, passava tutto il suo tempo in corte a seguire processi che,
ovviamente, in un primo momento della vita delle corti inglesi non avevano una riproduzione per iscritto,
ma la giustizia era formata oralmente dalla corte, e, quindi, la presenza in corte era assolutamente vitale
per imparare a conoscere i casi e le decisioni. Tutta questa attività non lasciava spazio ad altro.
Per questa ragione era necessaria l’esistenza di un’altra professione, di un altro soggetto che si dedicasse a
tutto quello che serviva per introdurre il giudizio nelle Corti di Westminster: così come nel mondo romano,
anche nel mondo inglese era necessario qualcuno che si occupasse dell’amministrazione centrale della
giustizia a favore di soggetti che erano lontani.
Il contesto americano della fine del Seicento non richiedeva tale specializzazione, in quanto non vi erano
grandi giuristi che elaboravano quotidianamente decisioni che era necessario seguire in corte, ma questi
arriveranno successivamente con le università. All’epoca, negli Stati Uniti, l’avvocato era un ruolo svolto da
quei pochi che sapevano leggere e scrivere, come il farmacista, il parroco o il medico. L’avvocato era uno di
quei soggetti che non svolgeva prettamente un’attività professionale, ma si era semplicemente prestato
per quel momento a svolgere tale attività. Per questo motivo non era necessario importare il modello
inglese, in quanto non c’era bisogno di separare a specializzare.

Avvocato: imprenditore o libero professionista?


Questa differenza tra professioni della legge, ha anche ricadute in termini commerciali. Infatti, nel mondo
dell’Europa continentale (modello inglese compreso) l’avvocato è visto come un soggetto che non è
imprenditore, ma è un libero professionista, colui che lavora funzionalmente all’esigenza del cliente per un
obiettivo superiore, ovvero la giustizia. Nel mondo europeo, quindi, non si conoscono quei meccanismi che
inducono l’avvocato a divenire un “imprenditore della lite”. La sofisticazione della professione legale, quindi,
ha portato anche a questo tipo di concetto.
Nel mondo americano, il difetto di questa sofisticazione (ma, soprattutto, il pragmatismo americano) fa sì
che l’avvocato sia visto come un imprenditore.

L’avvocato in Inghilterra: erogatore di giustizia


Da un punto di vista teorico si insegna ancora nei libri che il barrister non ha il diritto a prendere un
compenso per l’attività svolta, ma semplicemente accetta dei doni da parte del cliente (chiaramente, poi,

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non è così: è la solita finzione inglese), in quanto il barrister non vende la propria attività professionale
(cosa che, invece, può fare il solicitor), ma svolge semplicemente quell’attività all’interno della Corte e lui
stesso è la Corte, e la Corte non deve essere pagata per erogare il “servizio della giustizia”.
Se questo è l’insegnamento tradizionale inglese (che in pratica, come già detto, non è assolutamente così)
si comprende come in quel mondo non possa esistere un’idea imprenditoriale della professione legale.

L’avvocato negli Stati Uniti: “imprenditore della lite”


Nel mondo americano, però, tutto questo non esiste e l’avvocato è un “imprenditore della lite”.
Così come ogni imprenditore, il prodotto che viene realizzato viene venduto e su quello si vuole fare un
margine di guadagno: questa è l’attività di lucro che un imprenditore deve assolutamente assicurarsi,
altrimenti rischierebbe di fallire. Il prodotto venduto dall’avvocato americano è l’attività difensiva.
Un imprenditore, come attività classica, è dedito al rischio: si producono una certa quantità di beni, si
mettono sul mercato e si attende che qualcuno li acquisti, senza la sicurezza che qualcuno lo farà. Per
questa ragione un imprenditore deve essere competitivo, deve lottare con altri imprenditori per assicurare
al suo prodotto un’appetibilità che altri prodotti dei competitori non hanno.
Gli americani hanno pensato che alcune modalità di remunerazione dell’avvocato si prestassero alle logiche
imprenditoriali. È chiaro che, se un avvocato viene pagato esattamente per l’attività svolta non si tratta di
un imprenditore, ma un soggetto che viene remunerato per la sua attività, mentre per l’imprenditore l’esito
della vendita è fondamentale, in quanto produrre un prodotto non significa avere un guadagno, ma egli
otterrà un guadagno soltanto se il consumatore guarderà ai suoi prodotti. Il pensiero dell’imprenditore,
quindi, è quello di cercare un modo per guadagnare fette di mercato e toglierle ad altri, cercando si portare
a casa un margine più grande possibile sull’attività (cosa che permette di produrre più beni e permette di
guadagnare anche di più). Si deve cercare, quindi, un modo per allettare i consumatori.
Un avvocato-imprenditore, quindi, deve incentivare i soggetti che necessitano di una difesa a servirsi di lui e
non di altri, senza attendere che sia in cliente ad andare da lui per passaparola o simpatia, ma allettandolo
con qualcosa.
Una delle opzioni è quella di fare offerte a prezzi più convenienti. La mentalità imprenditoriale, infatti,
dovrebbe essere quella di utilizzare una modalità di remunerazione molto più competitiva di quella dei
propri colleghi. Tuttavia, se fino a poco tempo fa, in alcune realtà, vi erano ancora delle tariffe professionali
predefinite al di sotto delle quali non si poteva scendere, questo tipo di attività era preclusa, poiché non si
poteva essere competitivi, ma si sarebbe arrivati tutti alla stessa soglia e ci si sarebbe trovati tutti nella
stessa posizione, senza riuscire a stimolare il mercato. In Europa continentale, per esempio, fino a qualche
anno fa questo vincolo esisteva ed era un chiaro segnale del fatto che l’attività imprenditoriale non è
qualcosa di adatto per un avvocato in quel mondo. Negli USA, tuttavia, non vi sono delle tariffe minime al di
sotto delle quali un avvocato non può andare, quindi, l’avvocato, può anche svolgere la propria attività
senza alcuna remunerazione (pro bono).
È evidente che, un imprenditore che non si fa pagare nulla va in default immediatamente, ma un
imprenditore che non si fa dare nulla qualora l’attività abbia esito negativo (nel caso dell’avvocato, qualora
la lite non si vinca), ma prende una quota rilevante di ciò che deriva dall’attività se questa ha esito positivo
(qualora la lite venga vinta) è un imprenditore che sta utilizzando la remunerazione come strumento per
mostrarsi accattivante al pubblico.

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L’esempio del venditore di biciclette: investire in una causa
Facendo un esempio: se si andasse a comprare una bici per correre una gara e il venditore proponesse di
non far pagare nulla a meno che non si vinca la gara stessa, proponendo in quel caso di smezzare la vincita,
a chiunque, questa, sembrerebbe una buona offerta, in quanto non si avrebbe nessun costo fisso da
sostenere. In caso non si vincesse la gara, infatti, non si dovrebbe pagare nulla al venditore.
Il venditore partecipa alla competizione insieme al cliente, investe in lui, rischia insieme a lui e, se vince il
cliente, vince anche il venditore, con la speranza che questo investimento gli frutti un guadagno.
Trasferendo questo esempio nel mondo della professione legale, chi ha la necessità di portare avanti una
causa può andare da un avvocato, pagarlo e sperare di vincere, oppure concludere un accordo con
l’avvocato, il quale è disponibile a non farmi pagare nulla a meno che non si vinca la causa (così come il
venditore non ha voluto nulla per la bicicletta, ma richiedeva la metà della vincita della gara), caso in cui
chiederà una quota del guadagno della lite.
Il venditore di biciclette ha fatto una scelta imprenditoriale aggressiva, poiché ha comprato la bici, quindi,
ha dei costi che non sa se potrà ripagare, ma visto che ritiene che il cliente possa vincere la gara, decide di
rischiare con il cliente ed ottenere molto più del costo della bicicletta. Un imprenditore aggressivo mette a
rischio molto della propria impresa, per ottenere molto di più di quello che potrebbe ottenere dall’attività
classica dell’impresa.
L’avvocato americano è, tendenzialmente, molto aggressivo e, il tipo di remunerazione che viene
parametrato esclusivamente a quanto si otterrà dalla lite, è qualcosa di classico, che non è, però,
consentito nell’Europa continentale e insulare.
Si cerca sempre di importare questo tipo di modo di remunerare l’avvocato, ma non è una cosa facile.
Addirittura, anche in Italia, vi è stato un periodo in cui questa modalità era consentita: norma che però, è
stata abrogata successivamente. Questo perché si tratta di un passaggio epocale: una volta che la modalità
di remunerazione è parametrata sull’esito della lite e non più sull’attività dell’avvocato, questo vuol dire
che l’avvocato non è più un libero professionista, ma è un puro imprenditore e rischia con il cliente.

La remunerazione classica per l’avvocato americano


Per quanto riguarda le liti poco fondate, c’è la possibilità di scegliere una modalità di remunerazione
“all’europea”, ossia una somma per l’attività svolta quale sia l’esito e l’avvocato americano è libero di
scegliere la modalità di remunerazione che preferisce insieme al cliente, ma deve comunque calarsi sempre
nella realtà. Il cliente, infatti, non potrebbe avere sempre la possibilità di pagare una tariffa oraria o fissa, in
quanto ha, certamente, in mano una grande posizione creditoria di forza, ma non può compensare
l’avvocato fino a che non la lite non ha esito positivo, motivo per il quale l’avvocato deve fare una scelta:
scegliere se non prendere la causa oppure se rischiare con il cliente (e, il rischio, vale solo se la causa ha un
buon esito). Inoltre, si può trovare davanti a diverse situazioni, ad esempio, un cliente particolarmente
facoltoso il quale non è interessato alla modalità di remunerazione sull’esito, poiché la causa è talmente
consistente che rischierebbe di perdere una quota rilevante di ciò che vuole trattenere per se e ha la
disponibilità economica per pagare l’avvocato a tariffa oraria o fissa (in tal caso l’avvocato non avrà
possibilità di convincere il cliente a pattuire una modalità diversa); oppure un cliente con una pretesa che
ha una forte possibilità di ottenere una somma consistente, ma che non ha la possibilità di remunerare
l’attività dell’avvocato in forma fissa od oraria (in tal caso l’avvocato potrebbe approfittare della situazione
di indigenza del cliente e proporre una modalità di pagamento di una quota dopo la vincita).

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Contingency fee: lati negativi e lati positivi
Questo tipo di modalità di remunerazione è chiamata contingency fee, ossia il compenso per la prestazione
di servizi legali stabilito in modo che il pagamento sia dovuto solo laddove venga raggiunto un risultato
favorevole per il cliente, e ha sia lati negativi che lati positivi:
- Uno dei benefici deriva dal fatto che questa modalità fa sì che l’avvocato, qualora la lite non abbia
esito positivo, non riceva nessun tipo di compenso: se un avvocato viene remunerato comunque,
anche se la lite ha esito negativo, non avrà alcun interesse a sconsigliare al cliente di portare avanti
la lite, poiché guadagnerebbe comunque; al contrario, se ha la possibilità di ottenere profitto
soltanto se la lite verrà vinta, allora sarà più attento rispetto al cliente, poiché l’investimento è a
suo carico. Tutto questo fa sì che l’avvocato sia portato a disincentivare quelle liti “claudicanti”, che
hanno profili ad alto rischio (a quel punto l’avvocato potrebbe preferire la modalità di
remunerazione classica del pagamento, oraria o fissa). Questo tipo di ragionamento, il quale porta
l’avvocato a ponderare attentamente le sue scelte e a fare attenzione a decidere su cosa rischiare
(l’avvocato stesso diventa imprenditore), ha un chiaro vantaggio: la riduzione di liti prive di
fondatezza, poiché se l’avvocato viene pagato indipendentemente dal buon esito della lite ha
meno incentivi a sconsigliare al cliente una lite che non è molto fondata, mentre ha molti più
incentivi a farlo se rischia nell’investimento, dato che la sua attività, con esito negativo, non
verrebbe remunerata.
Da questo punto di vista, quindi, questa modalità costituisce un filtro, un’attività deflattiva del
contenzioso che, se inutile e infondato, non viene promosso dall’avvocato.
- Lo svantaggio di questo tipo di meccanismo, invece, è che l’avvocato tenderà sempre a scartare
tutte quelle cause portate da soggetti indigenti tutte le volte in cui il valore controverso (il valore
della lite) è irrisorio: anche se il cliente ha senz’altro possibilità di vincere, la pretesa è di un valore
talmente infimo che l’avvocato non vuole investire la propria attività professionale per una somma
così minima (ad esempio, se il valore è quello di 1000 euro, la percentuale dell’avvocato sarà
talmente poca da disincentivarlo a prendere la causa).

La domanda che sorge spontanea è quella del se, incentivando questa modalità di retribuzione
dell’avvocato, non si possa arrivare, in qualche maniera, a negare la giustizia a tutti coloro che hanno una
pretesa, la quale ha, sicuramente, un suo fondamento, ma non avendo disponibilità economica per
ottenere un avvocato (pagandolo indipendentemente dall’esito della lite o per concludere con lui un
accordo in forza del quale una quota di ciò che è già infimo gli venga data per il buon esito della lite)
vedono il totale disinteresse dell’avvocato stesso. A questo punto, chi ha assolutamente ragione, in quanto
si è visto violare i propri diritti, non può accedere al servizio della giustizia.

In favore degli indigenti


Bisogna sottolineare che questo tipo di modalità di remunerazione serve proprio in favore di tutti quei soggetti
che non hanno possibilità economiche per poter pagare l’attività in maniera classica, indipendentemente
dall’esito della lite. Con questo tipo di modalità, infatti, si può consentire l’accesso alla giustizia a tutti coloro
che ricoprono questo tipo di posizione, i quali non sarebbero mai in grado di ottenere giustizia senza, poiché
non hanno ricchezza sufficiente per quell’investimento. Cosa che in Italia o in Europa non può assolutamente
succedere, e chi non ha la possibilità di investire nella causa, potrebbe non avere possibilità di avere giustizia.

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La giustizia come servizio
Come si è visto, questa modalità non solo disincentiva la lite infondata, ma consente di ottenere giustizia
anche a tutti coloro che diversamente dovrebbero patire le violazioni senza poter ottenere giustizia
(ovviamente, se il valore della lite ha una sua dignità). Restano, però, comunque fuori quelle pretese giuste
che hanno però valore irrisorio, da parte di coloro che non hanno una disponibilità economica.
Esistono, tuttavia, alcuni meccanismi gestiti dagli Stati (non solo negli USA), per assicurare anche a questi
soggetti di poter accedere alla giustizia, modalità che permettono che venga assegnato un avvocato anche
a coloro che non hanno disponibilità economica, ma hanno una giusta pretesa.
È necessario, però, fare una considerazione: anche se la pretesa può essere giusta, si riscontra anche una
“appetibilità” della pretesa, che non essendo più legata al valore della stessa, deve discendere da
qualcos’altro. Si scopre, quindi, che all’interno di questa sacca di giustizia (la quale spesso non viene
assicurata), vengono cercate dagli avvocati (i quali dovrebbero tutelare adeguatamente i soggetti indigenti)
alcune cause che non hanno alcun beneficio economico, ma che assicurano altri tipi di benefici, ad esempio,
la visibilità. Per esempio, si può trattare di cause nei confronti di una grande figura della politica, la quale,
anche se ha un valore irrisorio, porta visibilità all’avvocato, il quale può sperare di ottenere una
soddisfazione economica sul lungo periodo, che inizialmente non poteva ottenere.
In definitiva, rimangono delle aliquote di pretesa di giustizia che non vengono soddisfatte in maniera
adeguata, sia nel mondo americano che nel mondo europeo, poiché l’avvocato riserverà attenzione alle
questioni che per lui potranno portare più vantaggi.
L’accesso alla giustizia, quindi, è un problema tutt’ora presente, poiché la giustizia, ieri come oggi, è un
servizio che costa e ciò che prima si pagava alla cancelleria adesso si continua a pagare, ma in altri modi. La
giustizia è un servizio, e come tale ha un costo e sconta tutte le limitazioni del mercato: a un prezzo basso si
otterrà una prestazione più carente, a un prezzo alto si avrò una qualità migliore di giustizia.

» Le class actions americane


Per sottolineare quanto sia diverso il modello europeo da quello americano, si può fare l’esempio di un
accesso alla giustizia molto particolare, chiamato “azione di classe” (o class action), la quale tiene in
qualche modo conto di quella modalità di remunerazione tipicamente americana.
Si tratta di un’azione promossa da un unico soggetto rappresentante una classe di altri soggetti che con lui
condividono una posizione omogenea (la stessa condizione, pregiudizio o danno subito). Ad esempio, si può
trattare di tutti coloro che hanno assunto un farmaco i quali hanno subito dei danni.
Queste classi di soggetti possono essere indefinite in termini numerici (poiché non si sa effettivamente
quale sia il numero delle persone che hanno subito il danno) oppure determinate, ma che non sono
individuabili in maniera singolare in relazione a ciascun componente che, però, ha una sua chiara esistenza.
Esistono due forme di class action:
- la forma “classica”, quella per la quale ciascun componente della classe agisce in relazione al
pregiudizio subito: ciascuna persona ha la possibilità di andare davanti al giudice e ottenere un
risarcimento del danno subito;
- l’alternativa americana: permette a un piccolo numero di rappresentanti (che possono essere uno,
due o tre, per esempio) di quella casse di aggregare tutte le pretese, anche quelle indefinite, e di
presentarsi davanti a un giudice, il quale può liquidare una somma complessiva in favore di tutti i
membri della classe.

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Si può pensare ad esempio, a una società farmaceutica, la quale ha prodotto un farmaco che ha cagionato
danni di vario tipo a vari soggetti, la quale si vede arrivare, non tanto un milione di singole cause di 10 mila
euro ciascuna, quanto un’unica causa di un milione per 10 mila euro, ovvero una causa da 10 miliardi.

Questo tipo di azione stimola l’idea che tutti i componenti di una classe vogliano agire, ma non è detto,
poiché alcuni potrebbero non avere alcuna intenzione di agire. Tuttavia, consentire questo tipo di cause
vuol dire avere un’azione deterrente nei confronti delle aziende.
Prendiamo ad esempio una società di telecomunicazioni che, ogni mese, incrementa in maniera
fraudolenta le bollette dei consumatori di pochi euro. Nessuno agirà mai contro questa società per
pretendere pochi euro in restituzione, poiché l’accesso alla giustizia è molto più alto del ricavato che si
avrebbe intentando la causa. Tuttavia, se le pretese di restituzione fossero aggregate a tutti i consumatori,
il valore della causa aumenterebbe esponenzialmente e ci sarebbe, dunque, un interesse nel promuovere
questo tipo di azione, piuttosto che azioni individuali.
Un’impresa che ha come obiettivo quello di fare utili, valuta che se incrementa di qualche euro ogni
bolletta, un numero esiguo di persone agirà nei suoi confronti, permettendogli comunque di avere un
guadagno molto più alto di quello che sarà la perdita. Finché il processo rimane individuale, quindi,
l’imprenditore può fare questo tipo di ragionamento. Tuttavia, se c’è uno strumento processuale collettivo,
quel comportamento non è più vincente, poiché egli dovrà restituire tutte le somme che ha guadagnato.
Questo strumento processuale, quindi, disincentiva l’imprenditore a questo tipo di comportamento.
Chiaramente, l’esempio appena fatto si tratta di frode, ma esistono moltissime altre attività imprenditoriali
che possono essere prese ad esempio. Si pensi a un’attività di inquinamento: l’acqua che esce da un
ruscello che viene inquinato arriva in un paese e fa ammalare animali e persone, per un totale di circa 4
mila elementi, le quali possono far valere nei confronti dell’impresa circa 10 mila euro a testa. Mettere un
filtro che pulisce l’acqua, invece, viene a costare 400 milioni di euro. Facendo un paio di calcoli (10 mila
euro per 40 o 50 persone che intentano la causa) non si ha interesse nell’investire in un filtro, motivo per il
quale si esternalizza il costo (esternalizzare i costi vuol dire far sì che siano altri ad assumersi il costo di
un’attività, in questo caso il pubblico, evitando così di internalizzarli pagandoli di tasca propria).
L’esistenza di azioni di classe, fa sì che un numero più ampio di soggetti si unisca in un’unica causa,
aumentando di moltissimo la pretesa di risarcimento, che risulterebbe molto più alta di quello che era il
costo internalizzato (in questo caso, del filtro per l’acqua). L’azienda, quindi, è incentivata ad assumersi
quel costo perché altrimenti correrebbe il rischio di ricevere un’azione collettiva.

Le class actions in Europa


Mentre negli Stati Uniti esiste questo tipo di strumento, che ha un effetto di deterrenza nei confronti
dell’imprenditore, in Europa questo tipo di strumento esiste, ma diversificato. Questo perché è sempre
necessario che l’avvocato guadagni: è vero che alla fine della causa c’è un guadagno su quella pretesa, ma
serve qualcuno che, inizialmente, investa in questa lite. Un solo rappresentante, non può farsi carico delle
spese giudiziarie per un caso simile e un avvocato non lo farà sicuramente. L’avvocato, inoltre, si farebbe
pagare una somma consistente, in quanto si troverebbe a far causa, magari, a una grossa casa farmaceutica,
la quale avrà uno studio di avvocati e che investirà moltissimi soldi per quella causa, in modo da
disincentivare la prosecuzione dall’altra parte. È necessario, quindi, un avvocato o uno studio che sia in
grado di fronteggiare l’aggressione che ci sarà da parte della casa farmaceutica.
Se l’avvocato guadagna, quindi, allora ci sarà la possibilità di avere una gestione adeguata della lite, ma se
l’avvocato non guadagna, probabilmente ci ritroveremo con uno studio più piccolo, il quale si troverà a
scontrarsi con il colosso che verrà nominato dalla società farmaceutica.
112
Le class actions negli Stati Uniti
Perché ci sia un bilanciamento tra le parti è quindi necessario che questo strumento processuale assicuri
all’avvocato un certo guadagno. Negli Stati Uniti, il meccanismo di remunerazione sulla base della
percentuale dell’esito della lite permette proprio questo: è possibile, in maniera efficiente, utilizzare uno
strumento processuale (come l’azione di classe) per ottenere degli effetti precisi. Gli imprenditori sono a
conoscenza del fatto che ci sarà sempre un avvocato che prenderà in mano la lite, se la pretesa è
consistente, perché sa che una percentuale di quella pretesa collettiva gli verrà assicurata (ovviamente,
questo succede se la pretesa è fondata, altrimenti l’avvocato stesso non sarà interessato – in questo caso
entra in gioco quel meccanismo disincentivo per una causa che non avrebbe senso di essere portata avanti).
Ciò che rende ancora più appetibile questo meccanismo nel mondo americano è la remunerazione
attraverso percentuale: infatti, le azioni di classe vengono portate avanti anche se nessuno sa dell’esistenza
del giudizio (una persona potrebbe aver assunto un farmaco, aver provato degli effetti collaterali, ma non
penserà assolutamente di fare causa alla società farmaceutica per un malore momentaneo che, magari,
neanche pensa sia legato al farmaco stesso) e si tende a dire che questo tipo di azioni siano una forma di
estorsione legalizzata, in quanto, nella realtà, gli unici a guadagnarci sono gli avvocati, poiché ottengono
percentuali incredibilmente elevate di guadagno. Tuttavia, ci sono moltissimi effetti anche a favore del
pubblico: l’effetto deterrenza è importantissimo, perché gli imprenditori sono più portati a internalizzare i
costi, sapendo che rischiano di ricevere un’azione collettiva.

La sanzione
Accanto a questi strumenti, negli USA, vi è qualcosa in più. In Europa continentale siamo portati a pensare
che chi patisce un danno debba ricevere in cambio un rimborso pari a quel danno, ossia, il danno deve
essere risarcito in maniera compensativa (il risarcimento deve essere compensato al danno in termini
dell’equivalente in denaro), ma non si ha il diritto ad avere somme ulteriori, poiché non ci si deve arricchire
rispetto a colui che ha danneggiato la parte (ovviamente, il danno poi potrà essere determinato in vario
modo, ma sarà sempre risarcito in modo compensativo).
Negli Stati Uniti, invece, oltre ai danni compensativi si possono richiedere anche dei danni punitivi: questo
significa che è possibile sanzionare un soggetto, affinché questo sia un monito nei confronti di quel
soggetto che ha violato la legge e anche nei confronti della collettività intera.

In conclusione
Mettendo insieme tutte queste cose si ha una chiara visione del sistema americano, della sua giustizia.
Le azioni di classe, possono richiedere una somma enorme, anche per danni minimali, e, in più, si può
richiedere anche un danno punitivo.
Si pensi alle società che vendono sigarette e alle cause contro di loro, le tobacco litigations: milioni di
americani hanno un tumore dovuto al fumo di sigarette e il danno che questo può cagionare a ciascuno di
loro può essere molto alto, ma moltiplicato per tutti gli americani che hanno un tumore, diventa una cifra
altissima. Oltre a questo, è possibile ricordare alle imprese di tabacco di non mettere troppa nicotina nelle
sigarette (poiché questa crea dipendenza, aumentando il rischio di tumore) aggiungendo un danno punitivo.
Chiaramente, questo tipo di pretese sono terrorizzanti per un’impresa, la quale cercherò di fare di tutto per
evitare azioni di questo tipo, le quali possono anche portare al fallimento dell’impresa.
Il mondo americano della giustizia, quindi, è un mondo particolarmente aggressivo, poiché esistono degli
strumenti che consentono tutto questo, che hanno dei benefici (come la deterrenza) e dei rischi (come lo
sconvolgimento del mercato).

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