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Giovanna Gasparello Alternative indigene per una giustizia con diritti ed eguaglianza? Amministrazione...

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XXXII Convegno Internazionale di Americanistica – Perugia 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10 maggio 2010

Alternative indigene per una giustizia con diritti ed


eguaglianza? Amministrazione autonoma della giustizia
in due regioni del Messico

Giovanna Gasparello
Universidad Autónoma Metropolitana, México

Introduzione
In Messico, il sistema giuridico statale mostra con frequenza pratiche discriminatorie e corrotte, ed una
visione razzista nei confronti della popolazione indigena. La Costituzione, riformata nel 2001, ora riconosce
formalmente i diritti dei popoli indigeni, ma nella pratica ratifica la discriminazione ed il paternalismo, dal
momento che non li riconosce come soggetti “di diritto”, ma “di interesse pubblico”. Allo stesso modo,
proclama l’autonomia però ne limita l’esercizio attraverso una serie di meccanismi giuridici. Nel campo
giuridico subordina l’applicazione dei sistema normativi indigeni ai principi costituzionali, e impone «la
convalida dei suddetti sistemi normativi da parte dei giudici o dei tribunali corrispondenti»(1).
Nonostante legalmente gli spazi di riconoscimento siano dunque estremamente limitati, in tutto il Messico
fioriscono esperienze di autonomia, che mettono in pratica forme proprie ed alternative di governo, di
giustizia, di educazione, di salute, di comunicazione, di produzione e commercio… alternative di vita.
Uno dei punti cardinali del progetto politico dei popoli indigeni, l’autonomia, riguarda i sistema normativi; si
esige che lo Stato rispetti l’effettività dei sistemi giuridici e la legalità dell’amministrazione della giustizia da
parte delle autorità indigene. Le diverse forme di giustizia indigena (distinte in ogni popolo) sono state
storicamente subordinate, limitate a conflitti minori ed allo spazio ridotto delle piccole comunità o villaggi, e
lo Stato non le ha mai considerate come sistemi giuridici con un diritto proprio.
Ciononostante, attualmente emergono esperienze che oltrepassano i margini stabiliti dallo Stato con le
striminzite riforme legali, com’è il caso delle Giunte del Buon Governo in Chiapas, ed il Sistema Comunitario
di Sicurezza e Giustizia del Guerrero. Tali esperienze stanno reinventando la giustizia partendo da modelli
culturali propri, aperti e dinamici, e con una grande legittimità sociale: questo sta loro permettendo far fronte
alla violenza, all’impunità ed alla conflittualità locale; in questo senso contribuiscono alla pace sociale ed a
costruire una nuova cittadinanza plurale.
Le due esperienze meritano un’analisi ampia, che illustri il contesto politico e storico in cui si sviluppano, i
risultati ottenuti nella costruzione di strutture di governo e di spazi di organizzazione sociale autonomi, e la
loro relazione con le istituzioni statali. Nel presente testo, non potendo abbracciare tale complessità di
elementi, mi limiterò alla descrizione dei due sistemi giuridici e dei valori che sostengono la pratica della
giustizia autonoma.

I soggetti della ricerca


Il Sistema Comunitario di Sicurezza e Giustizia (Sistema Comunitario de Seguridad y Justicia, SCSJ) è
composto da 65 comunità Me’phaa (Tlapaneche), Na saavi (Mixteche), Nahuas e meticce di dieci municipi
situati nelle regioni Montaña e Costa Chica, nello stato del Guerrero. La Polizia Comunitaria –nome con il
quale è ampiamente conosciuta l’organizzazione– è nata nel 1995, come risposta all’aumento esponenziale
della violenza e la criminalità nella regione. In questa zona, considerata dall’ONU come la più povera
dell’America Latina(2), gli abitanti lottano quotidianamente contro la violenza, la povertà, il narcotraffico, la
mancanza di accesso alla giustizia e la forte presenza militare.
Le funzioni principali del Sistema sono:amministrare la giustizia in forma autonoma e mantenere la sicurezza
nella regione. La sua efficacia è sorprendente: dalla sua instaurazione, l’indice delittuoso è calato del 90%.
Il “territorio comunitario” si divide in tre micro-regioni, che ospitano ognuna una Casa di Giustizia e
Sicurezza.
L’altra esperienza che analizzo è il sistema di governo autonomo zapatista, creato a seguito del levantamiento
dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) in varie regioni indigene dello stato. Dal dicembre

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del 1994, nelle zone con presenza di popolazione base d’appoggio zapatista, si istituirono circa 30 Municipi
Autonomi Ribelli Zapatisti (MAREZ). Nel 2003 il territorio di influenza zapatista venne riorganizzato in
cinque Zone, che raggruppano al loro interno un certo numero di municipi; ogni zona conta con un centro
politico (Caracol), sede della Giunta del Buon Governo (Junta de Buen Gobierno, JBG) di quella zona. I
governi autonomi, nei diversi livelli, realizzano, tra le varie funzioni, la ricerca di fondi, l’impartizione della
giustizia e la mediazione nei conflitti, la promozione delle aree della salute, l’educazione, il commercio e la
comunicazione. Attualmente, si tratta del processo più emblematico – in Messico ed in America Latina – di
costruzione dell’autonomia indigena, partendo da un netto rifiuto di negoziare spazi e competenze con lo
Stato.
La Zona studiata è la Selva Fronteriza, composta da quattro Municipi Autonomi ed abitata da Tzeltales,
Tojolabales y meticci.

Le assemblee, base dell’autonomia


In entrambe le esperienze risalta l’importanza dell’assemblea, come ambito collettivo di discussione, di
costruzione del consenso e di decisione.
Tradizionalmente, le assemblee si realizzano a livello comunitario, e vi si affrontano un’ampia gamma di temi
(organizzare i lavori agricoli collettivi e le festività, discutere e risolvere conflitti e problemi, eleggere le
autorità locali, e così via). In ambi i casi la pratica assembleare è stata istituita, come nuovo strumento
dell’organizzazione autonoma, anche nell’ambito super-comunitario: municipale e regionale.
Nel caso del Sistema Comunitario di Sicurezza e Giustizia, l’Assemblea Regionale «è la massima istanza di
decisione e comando; di coordinazione tra le comunità che costituiscono il sistema, e con le istanze di
governo municipale, statale e federale»(3).
In Chiapas, la struttura clandestina dell’EZLN si è sovrapposta alla dinamica propria delle comunità indigene
ed a quella delle organizzazioni contadine, da decenni presenti con forza nella regione, creando così una
particolare organizzazione sociale del territorio e delle istanze autonome di decisione e di governo. Si
realizzano assemblee a livello comunitario, tra le diverse comunità che compongono un Municipio
Autonomo, ed assemblee regionali tra i municipi che appartengono alla stessa Zona.
Nelle due esperienze analizzate le autorità autonome, in ogni livello, sono elette pubblicamente nelle
assemblee, tra le persone che si sono distinte per la qualità morale e l’impegno nell’organizzazione, e le loro
cariche sono rotatorie (durano da uno a tre anni).
Nella Montaña e Costa Chica del Guerrero, l’istituzione autonoma, che rappresenta un sistema alternativo per
la risoluzione dei conflitti, non questiona la legittimità delle istituzioni amministrative ed assistenziali dello
Stato, coesistendo con la struttura amministrativa statale. In Chiapas, nello stesso territorio possiamo trovare
villaggi che riconoscono l’autorità del governo ufficiale, ed altre che si ascrivono come parte della struttura
autonoma, che risulta pertanto parallela e sovrapposta al sistema ufficiale.

Le istanze autonome per la risoluzione dei conflitti: strutture e funzioni


Il livello inferiore per la risoluzione dei conflitti è la comunità o villaggio, le cui autorità principali si dividono
in civili ed agrarie. Il Commissariato(4) si occupa delle questioni agrarie; l’Agente (in Chiapas) o Commissario
(in Guerrero) Municipale è l’autorità civile, che ha tra le sue funzioni anche quella di risolvere i conflitti che
sorgono nella comunità. In entrambi i casi (Commissariato ed Agente/Commissario) si tratta di autorità
collegiate; in casi difficili o urgenti possono richiedere l’aiuto dei principales o Consiglio degli Anziani, la cui
autorità è riconosciuta nella comunità.
Dal Commissario o Agente dipende la polizia del villaggio, che ha la funzione di vigilare l’abitato, coadiuvare
l’Agente in tutte le sue azioni, realizzare le indagini necessarie quando si presenta un conflitto ed arrestare la
persona accusata di un delitto.
Tanto nelle comunità della Costa Chica e Montaña del Guerrero come nella Selva Lacandona in Chiapas, la
struttura delle autorità rispetta l’ordinamento amministrativo statale. D’altro canto, sono attribuite alle autorità
molte funzioni che le leggi (agrarie e del Municipio Libero) non contemplano, il che mette in evidenza come
nei processi autonomici alcune strutture di governo (così come le norme del Diritto statale) sono
rifunzionalizzate e risignificate, mentre altre sono completamente nuove ed originali.
Nel SCSJ, chi si occupa di mantenere la sicurezza nella regione sono i più di 600 poliziotti comunitari, una
decina in ogni villaggio; li coordina il Comité Ejecutivo(5), composto da tre Comandanti Regionali in ognuna
delle tre Case di Giustizia. La Coordinadora Regional de Autoridades Comunitarias (CRAC) è un organo
collegiale (conta anch’essa con tre rappresentanti in ogni Casa di Giustizia) che si occupa di procurare e

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impartire giustizia, in un livello superiore a quello delle autorità comunitarie: rappresenta la “seconda istanza”.
La CRAC agisce in stretta collaborazione con il Comitè Ejecutivo, che realizza le indagini ed esegue gli ordini
d’arresto emessi dalla CRAC.
Nel caso del sistema zapatista il secondo livello di governo, e l’istanza superiore alla comunità per la
risoluzione dei conflitti, è il Municipio Autonomo. Il Ministro o Commissione di Giustizia è una delle cariche
che compongono il Consiglio Municipale; questi segue i conflitti però non li risolve da solo; è il Consiglio
intero che ascolta le parti, discute, e risolve il caso. Allo stesso modo funziona la Giunta di Buon Governo
(JBG), che rappresenta il terzo livello nel governo autonomo e nell’amministrazione della giustizia.

Codificazione e regolamentazione delle norme


Nella JBG della Zona Selva Fronteriza, e nei MAREZ che vi fanno riferimento, non esiste un regolamento che
codifichi delitti e castighi; le risoluzioni prese dalle autorità dipendono dalle condizioni particolari di ogni
caso, e si basano su casi simili già risolti.
Una regolamentazione è invece presente nelle comunità: si tratta degli “accordi interni”, una sorta di norme di
convivenza, orali o scritte, che variano da comunità a comunità. «È come una legge: se qualcuno rompe un
accordo interno, la stessa autorità locale applica la giustizia nel villaggio»(6). D’accordo ad una testimonianza
raccolta, «le comunità [zapatiste] si sono date questa forma di organizzazione interna dopo il 1994»(7).
Il SCSJ conta con un Regolamento Interno, frutto di un lungo processo di consulta nelle comunità e di
discussioni nelle Assemblee Regionali. Si tratta di un eccezionale sforzo della popolazione indigena per
sistematizzare i propri sistemi normativi, con l’intenzione di affermare la legittimità dell’istituzione
comunitaria, basandosi sul diritto nazionale ed internazionale, così come nella rivendicazione della propria
cultura indigena. Allo stesso modo, riflette la volontà di uniformare l’attuazione di tutte le autorità della
regione, per evitare l’arbitrarietà e gli abusi di potere che potrebbero manifestarsi nelle loro decisioni.

Tipologia dei problemi che si presentano alle autorità autonome: distinte dimensioni della
violenza
D’accordo con le testimonianze raccolte nella Zona Selva Fronteriza, in Chiapas, i problemi che emergono
più frequentemente sono furti, divorzi, problemi inter-familiari e conflitti per stabilire i limiti degli
appezzamenti per la semina. Più rari sono i problemi agrari tra due comunità, che disputano i limiti dell’ejido.
In questa zona, i delitti gravi (come violenza sessuale o omicidio) sono molto rari. Secondo gli intervistati,
questo dipenderebbe da una cultura del rispetto tra gli abitanti delle comunità, “fratelli indigeni”, che è
sempre esistita nella regione. Oltre a ciò, l’appartenenza ad un’organizzazione politica (l’EZLN) influisce
profondamente sul fatto che le relazioni tra “compagni” siano rispettose.
D’altra parte, i Consigli Autonomi e la Giunta del Buon Governo affermano occuparsi maggiormente di
problemi che riguardano persone non zapatiste, appartenenti ad altre organizzazioni o partiti. Secondo le
autorità zapatiste intervistate, i non zapatisti non condividono la cultura dell’appartenenza, e non hanno
neppure meccanismi di risoluzione dei conflitti all’interno delle comunità, di modo che assistono alla JBG o al
MAREZ anche per risolvere problemi minori.
Secondo le testimonianze raccolte, è molto frequente che i “fratelli non zapatisti” si rivolgano alle autorità
zapatiste. Sceglierebbero la giustizia autonoma perché, a detta delle autorità zapatiste, non è corrotta: durante
il processo non girano soldi, non ci sono spese per il processo né per gli avvocati, e le autorità non si possono
corrompere per denaro. Nonostante si tratti di un giudizio di parte, credo che corrisponda alla verità.
Indipendentemente dalla loro ascrizione politica, gli abitanti dei villaggi sono contadini indigeni che, arrivando
in città, si trovando di fronte istituzioni giudiziarie (Tribunal de Asuntos Agrarios, Ministerio Público o Juzgados) in
cui imperano il razzismo e la discriminazione.
Le testimonianze raccolte concordano nel fatto che, in questa regione, è ridotta la conflittualità dovuta a
problemi quotidiani o di delinquenza comune, mentre è molto alta quella legata a motivazioni politiche.
Affermano che, nelle comunità completamente zapatiste, non si verificano grossi problemi, come invece
accade nelle comunità politicamente divise. Qui sorgono problemi legati al controllo degli spazi fisici e
simbolici, ed alle risorse del villaggio; problemi legati ai progetti di sviluppo della comunità, che alcuni
pensano di realizzare con fondi governativi ed altri esclusivamente attraverso l’autogestione e la
partecipazione comunitaria; ed incluso risse e dispetti tra i vicini delle due “fazioni”.
Secondo le stesse testimonianze, tra gli zapatisti sono ormai rari gli episodi di violenza legati al consumo di
bevande alcoliche; mentre sono ancora frequenti tra coloro che non appartengono all’“organizzazione”(8).

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Almeno un anno prima dell’insurrezione armata del 1994, gli zapatisti proibirono la vendita ed il consumo di
alcolici nei loro villaggi. Ovviamente non tutti rispettano tale precetto, però lo fa una parte importante della
popolazione; questo ha determinato la sostanziale diminuzione di episodi di violenza verso donne e bambini,
e di casi di lesioni o omicidi, che sono il problema principale in molte regioni rurali e indigene del paese.
Il panorama illustrato dagli intervistati nella zona zapatista contrasta fortemente con quello che ho potuto
osservare nella Costa e Montaña del Guerrero, dove emerge una gran differenza nel livello di conflittualità
non legata a motivi politici. Nonostante la popolazione si sia organizzata nella Polizia Comunitaria, riuscendo
a far diminuire moltissimo la violenza nella regione, nei villaggi sono ancora comuni i furti e le aggressioni; si
verificano sporadicamente omicidi, e continua ad essere molto frequente la violenza infra-familiare.
In questa regione, l’alcolismo è palesemente il maggior problema che colpisce la vita sociale delle comunità in
tuta la regione, e la principale causa di violenza e di conflitti comunitari e familiari; il fatto che sia radicato così
profondamente nelle abitudini quotidiane è ancor più preoccupante dal momento che non si intravede la
volontà di combatterlo.
Negli ultimi anni, le autorità autonome zapatiste hanno dovuto affrontare nuovi problemi, quali il traffico di
legnami pregiati e di specie animali, ed in misura maggiore la tratta clandestina di migranti. Anche il SCSJ ha
dovuto introdurre nel suo Regolamento i delitti ambientali («atti gravi commessi contro l’ambiente;
disboscamento illegale») ed il traffico illegale, però in questo caso «relativo al traffico e produzione di droga e
stupefacenti»(9).

Forme per la risoluzione dei conflitti


In tutti i livelli, e per tutti i problemi, i conflitti si risolvono cercando la conciliazione e la riparazione o
risarcimento del danno. In casi estremi, che danneggiano irrimediabilmente le persone o la comunità, si
applica il castigo.
Nelle comunità zapatiste la prima istanza per la risoluzione dei conflitti è l’autorità comunitaria. Quando si
presentano problemi che trascendono l’ambito comunitario, «ad esempio un problema agrario con un altro
villaggio, e non si è raggiunto un accordo, ci si rivolge ad un’altra istanza, il Consiglio Municipale; se la
questione non la può risolvere il Consiglio, questo la gira alla Giunta del Buon Governo. Alla Giunta arrivano
i casi più gravi, e soprattutto di fratelli e sorelle che non sono zapatisti»(10).
Questo processo mostra una pratica di giustizia realmente comunitaria: quando si apprestano a risolvere un
caso che è già stato discusso nella comunità, le autorità del livello superiore (Giunta o Municipio) si limitano a
mediare e facilitare l’accordo tra le parti. La decisione presa dalle autorità superiori non è arbitraria: ogni caso
è già stato discusso dalle autorità locali e a volte dall’assemblea di tutti gli abitanti, che in base ai propri
accordi interni hanno già elaborato una proposta di risoluzione del caso.
Dice la JBG: «questo è il nostro compito, considerare se è giusta la sanzione che si pretende applicare; se
consideriamo che una comunità, forse per rancore, esige un castigo ingiusto, noi dobbiamo mediare» (11).
Alla fine del processo di risoluzione, nella comunità o in un livello superiore, le parti coinvolte firmano un
accordo che si compromettono a rispettare, sia in caso di conciliazione che di sanzione. Le autorità hanno
realizzato un’opera di sensibilizzazione con le due parti: con il colpevole per fargli capire l’errore commesso e
la necessità di non ripeterlo; e con la parte lesa per convincerlo a non serbare rancore e a non esigere un
castigo ingiusto.
Osserviamo gli stessi procedimenti per la risoluzione dei conflitti nel Sistema Comunitario di Sicurezza e
Giustizia: «se non c’è accordo [tra le parti] o non ci sono sufficienti prove, si convocano los principales(12) per
decidere se il caso si risolve comunque nella comunità o si manda ad un’altra istanza»(13). Nello stesso modo
funziona il Sistema a livello regionale: i casi di maggiore importanza per la vita collettiva, o di difficile
soluzione, sono risolti nell’Assemblea Regionale.
Come nell’organizzazione zapatista, anche qui la relazione tra le autorità comunitarie e quelle regionali è
fondamentale: «quando si verifica un delitto grave, il caso passa prima per le mani del Commissario della
comunità, ed è in quel momento che la parte lesa decide: se preferisce che il caso sia risolto dalla CRAC o dalla
giustizia dello Stato»(14).
Mentre nella zona zapatista il sistema di giustizia è di recente istituzione, il SCSJ è già consolidato. Fin dal
momento della sua formazione, la CRAC ha assunto una competenza molto ampia, visto che risolve anche
delitti gravi come omicidio o violenza sessuale, mentre la JBG all’inizio non interveniva in tali conflitti,
lasciandone la risoluzione al sistema di giustizia ufficiale.

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Sanzioni: riparazione del danno e castigo


Nei casi risolti per via conciliatoria e che prevedono la riparazione del danno, è la parte lesa a scegliere il tipo
di risarcimento (monetario, in natura o in servizi), mentre l’autorità avvalla o modifica la sua richiesta. In
Chiapas, a seconda della sua gravità, un problema si può risolvere unicamente con la riparazione del danno, o
a questa si può aggiungere un castigo (un giorno di carcere nella comunità e un periodo di lavoro a beneficio
della collettività). Diversamente, d’accordo con un rappresentante della CRAC, «o si applica la riparazione del
danno o il castigo con la rieducazione: non si possono comminare tutti e due allo stesso tempo»(15).
Prima della creazione delle organizzazioni autonome, le autorità comunitarie imponevano multa; attualmente
questa pratica sta diminuendo (secondo le interviste realizzate, uno dei valori più importanti della giustizia
autonoma è proprio il fatto che nei procedimenti non si preveda l’uso del denaro, né come paga né come
sanzione).
In entrambi i sistemi, la prigione si può usare come punizione nei delitti minori, ma non eccede le 24 ore. Per
tutti i casi più gravi, la sanzione è il lavoro a beneficio delle comunità, denominato rieducazione (reeducación)
che può essere imposta tanto nel villaggio come a livello regionale. Nel caso del Guerrero, prima
dell’istituzione del SCJS, il lavoro a beneficio della comunità si usava come castigo per delitti minori, ma non
era una pratica generalizzata: se non si raggiungeva l’accordo la sanzione era generalmente una multa, ed i casi
più gravi erano canalizzati dalle autorità comunitarie al Sindaco Municipale o all’Agente del Ministerio Pùblico.
Nelle comunità na saavi (Mixteche) si obbliga il colpevole a mostrarsi pubblicamente facendolo esibire, se ad
esempio si tratta di un ladro, l’oggetto rubato. Accompagnato dall’orchestra della comunità deve attraversare
tutto il villaggio, esponendosi allo scherno e al biasimo degli abitanti. Il colpevole viene castigato con la
propria vergogna, mentre la sua esibizione ha una funzione esemplare per la popolazione.
La novità del Sistema è che ripropone nel piano regionale quest’usanza locale, regolamentandola e
uniformandone le norme d’applicazione. Ora solamente l’autorità regionale (CRAC) può imporre la
rieducazione, e deve vigilare sulla salute e sulla condotta dei “castigati”, rendendosi responsabile di loro.
I detenuti realizzano quindici giorni di lavoro per ogni villaggio incorporato al Sistema, fino alla scadenza del
tempo di rieducazione imposto. Nei villaggi realizzano lavori come sistemazione o costruzione di strade,
edifici o opere pubbliche, vigilati dai poliziotti comunitari; sono alimentati dalla comunità mentre i principales e
le autorità, durante il tempo libero, conversano con loro per farli riflettere sulla propria condotta.
Analogamente al sistema zapatista, i tempi di castigo non sono fissi: dipendono dalla gravità del caso e dalla
condotta del colpevole, tanto in sede di giudizio quanto durante il processo di rieducazione.
Anche nella Zona Selva Fronteriza, già da prima dell’istituzione del governo autonomo zapatista, si usava il
“lavoro comunitario” all’interno del villaggio; ora, si applica anche nelle istanze superiori e per i delitti gravi,
di cui si occupa la Giunta di Buon Governo.
Attualmente, nel villaggio di La Realidad, il castigo – che può durare fino ad un mese, a seconda del problema
– è: per gli uomini tracciare nuovi sentieri e mantenere agevoli quelli già in uso; per le donne, raccogliere legna
nel bosco, per una quantità di 10 metri per due metri d’altezza. Nel villaggio di San José del Río, i detenuti si
occupano del mantenimento dell’Ospedale Autonomo.
In Chiapas, quando un detenuto termina il processo di rieducazione, «gli viene consegnato un documento e
gli si fa notare che tutti siamo umani e commettiamo degli errori, ma che con il castigo ognuno può cambiare
e correggersi»(16).
Nel SCSJ il procedimento è simile: «nell’Assemblea Regionale, si propone la liberazione del detenuto. In
seguito, la CRAC e il Comitè Ejecutivo della Polizia Comunitaria conducono il liberato al proprio villaggio e lo
presentano alla sua assemblea comunitaria, esortando la popolazione che continui a vigilare la sua
condotta»(17).
Le autorità intervistate in Chiapas hanno menzionato un solo caso di violenza sessuale. Affermano che si può
applicare fino ad un anno di castigo, nonostante in quel caso abbiano imposto al colpevole che cortara monte
(tracciare un sentiero) nel tempo di un mese. Per lo stesso delitto la CRAC ha applicato un tempo di
rieducazione più lungo, un anno e mezzo.
L’omicidio può essere punito con un tempo di castigo variabile. Il Regolamento Interno del SCSJ afferma che
«nei casi di violenza sessuale, omicidio e sequestro, non si applica la riparazione del danno, considerando che
la vita e la dignità delle persone non possono essere valutate in termini economici»(18). Gli ultimi due casi di
omicidio verificatisi in “territorio comunitario” furono giudicati pubblicamente in un’Assemblea Regionale,
convocata nello stesso villaggio in cui fu commesso il crimine. I due omicidi furono condannati a nove anni
di rieducazione, passibili di aumento nel caso in cui i colpevoli non dimostrino di accettare il proprio errore.

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In quest’occasione, una delle autorità menzionò che «ci sentiamo offesi, però siamo coscienti che l’unico
modo di lavare il nome della nostra comunità è facendo giustizia, perché i bambini che sono qui presenti
abbiano un esempio di comportamento».
In Chiapas, il Municipio Autonomo Emiliano Zapata comminò un castigo di un anno, «poi lo liberammo
perché riconobbe i proprio errore»; in un altro caso intervenne la Giunta del Buon Governo. L’omicida aveva
agito sotto l’effetto dell’alcool. I familiari del defunto si presentarono alla JBG chiedendo un risarcimento di
sessantamila pesos. Ignoro se tale somma fu effettivamente pagata; nonostante ciò, le autorità considerarono
che non era sufficiente, che non si poteva porre un prezzo alla morte dei propri figli. «In quanto autorità
dobbiamo applicare un castigo, oltre al risarcimento, cosicché questi signori [gli omicidi] pagarono con sei
mesi di lavoro(19).
Questo caso illustra come la giustizia serva a ristabilire l’equilibrio tra le persone, ed all’interno della
collettività. Il risarcimento può soddisfare la parte direttamente lesa, però il lavoro comunitario serve a che la
comunità intera recuperi la fiducia in chi ha sbagliato, apprezzando che questi si è messo a disposizione della
collettività.
Dove le autorità zapatiste ammettono di aver problemi è nella risoluzione di divorzi e separazioni, dal
momento che la decisione dei genitori coinvolge anche i figli, e questo viene considerato profondamente
ingiusto, «non è permesso abbandonare una famiglia», dicono; però d’alto canto devono comunque rispettare
la volontà delle persone. Nei casi in cui un uomo lascia la propria compagna per un’altra, si usa castigare a
tutti e due, l’uomo e la sua nuova compagna. Il tabù del divorzio è tuttora molto forte, nonostante la Legge
Rivoluzionaria delle Donne vigente dal 1993 sancisca categoricamente la facoltà di decidere sulle proprie vite.
Sia gli uomini delle comunità che le autorità, e perfino le stesse donne sembrano non avere molto chiaro ciò
che implica, in termini concreti, la legge vigente. L’unità della famiglia è considerata generalmente più
importante del benessere delle donne, e pertanto i divorzi definitivi sono, comunque, molto rari. Sono più
frequenti in Guerrero, per lo meno nella zona mestiza e Me’phaa, anche se probabilmente questo corrisponda a
una situazione di maggior violenza contro le donne piuttosto che a una più profonda coscienza dei diritti
femminili.

Relazione con i detenuti, giustizia comunitaria ed espulsioni


Nei due sistemi la rieducazione implica il lavoro a favore della comunità e le conversazioni delle autorità con i
detenuti. «Abbiamo un dialogo aperto con la persona castigata, e questo ci garantisce che rispetterà la nostra
decisione, dal momento che non ne stiamo violando i diritti umani, lo lasciamo libero; dorme dove vuole,
dalle due del pomeriggio riposano, possono andare a giocare [a basket o a calcio] o a lavarsi. Non usiamo il
carcere.»(20).
Secondo la CRAC, «abbiamo pensato molto come organizzare la rieducazione. I detenuti non lavorano come
al tempo del dittatore Porfirio Díaz, non sono lavori forzati; no, si rispetta la loro necessità di riposare, perché
tutti siamo umani e ci possiamo sbagliare, così che oggi [il castigo] è per loro e domani per noi»(21).
Il particolare trattamento riservato ai castigati riflette l’eccezionalità del sistema, che si basa in una stretta
collaborazione tra le autorità comunitarie e quelle regionali.
Si tratta infatti di una giustizia comunitaria, in cui l’intera comunità è colpita dall’errore di una persona, e
dunque tutta la popolazione partecipa nel processo di rieducazione fino alla fine, quando riceve di nuovo la
persona senza rancore (almeno in linea di principio); allo stesso tempo sono tutti gli abitanti che esercitano il
controllo, non solamente le autorità. Commentando i due casi di omicidio avvenuti nella sua comunità, un
indigeno Me’phaa della Montaña del Guerrero affermò che «questo è successo perché la gente ha smesso di
avere cura dei propri vicini, la famiglia e i genitori dei figli, siamo noi stessi che lo abbiamo permesso, siamo i
colpevoli, perché vediamo quello che succede e non diciamo niente».
La giustizia comunitaria e autonoma prevede una forma di controllo realmente capillare, che però non
proviene dall’alto (istanze del potere) ma si genera orizzontalmente, tra tutti gli appartenenti ad una stessa
collettività (comunità).
Secondo la JBG,

«abbiamo fiducia nei detenuti, per questo non li teniamo in prigione; in particolare quando [il
castigato] è zapatista, la sua stessa comunità no permette che ritorni al villaggio senza avere
terminato il suo castigo, e questo ci dà la garanzia che non scappino. […] Con le persone che
non sono zapatiste dobbiamo fare più attenzione, perché spesso la comunità permette a chi

Diritti indigeni: una discussione transnazionale


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scappa di ritornare.. Però ci sono casi in cui si stabilisce un accordo tra la JBG e le autorità le
autorità dei villaggi non zapatisti, e questo ci dà una certa garanzia contro la possibilità di fughe.
Se una persona deve scontare un castigo lungo, e vediamo che si sta comportando con
responsabilità, se ha bisogno di andare a visitare la propria famiglia gli concediamo una
“licenza”, fino a 10 o 15 giorni.
Il nostro vantaggio è la relazione con la gente, con le autorità comunitarie, e l’acta de acuerdo che è
stata firmata [da tutte le parti in causa]. Tutta la comunità sta vigilando, non solamente le
autorità»(22).

La risorsa estrema è l’espulsione dalla comunità, che si utilizza quando non si può raggiungere un accordo tra
la parte lesa ed il colpevole, o nel caso che questi rifiuti di accettare la propria responsabilità. Si ricorre
all’espulsione anche quando la gravità del delitto violenta irreparabilmente i valori etici della comunità,
rendendo impossibile per la popolazione accettare nuovamente chi ha rotto le norme di convivenza.
Nella Montaña del Guerrero, il sistema di giustizia regionale ed il castigo con la rieducazione hanno diminuito
considerevolmente il fenomeno delle espulsioni: la popolazione riconosce la legittimità dell’istanza superiore
di giustizia (la CRAC), a cui vengono sottoposti i casi più spinosi, e generalmente ne accetta le decisioni.
In Chiapas invece sembra che le espulsioni siano aumentate recentemente, dato che i maggiori contatti con le
città (dovuti alla migrazione) favoriscono la proliferazione dei delitti, rompendo la “cultura del rispetto” di cui
ho fatto menzione all’inizio del testo. Il nuovo sistema di giustizia autonoma cerca di limare le asperità e
l’arbitrarietà di una giustizia comunitaria che ha possibilità limitate. Il sistema autonomo, più ampio, dà alla
giustizia comunitaria e alle stesse comunità maggiori risorse per risolvere dialogicamente i conflitti, senza
arrivare forzosamente alla rottura.

Organizzazioni comunitarie e regionali: persistenza, innovazione, interculturalità


I processi analizzati non propongono un discorso essenzialista o “purista” in termini identitari, dal momento
che si tratta di organizzazioni “multietniche”o multiculturali, in cui partecipano i diversi popoli che
condividono anche lo stesso territorio. Per la risoluzione dei conflitti vengono ripresi elementi del diritto
positivo, riadattati secondo l’interpretazione e l’uso che ne fanno le autorità dei villaggi, e combinati con
elementi propri delle culture indigene della regione. Si tratta di sistemi normativi ibridi, determinati dal
contesto di interlegalità(23) in cui si sviluppano.
I sistemi giuridici autonomi si basano nell’organizzazione sociale dei popoli che vivono nella regione, basata
nell’assemblea (comunitaria o regionale) come ambito collettivo in cui si prendono le decisioni che riguardano
tutti gli abitanti, così come nel principio di reciprocità e mutuo aiuto, che si manifesta soprattutto nei lavori
agricoli, ma che si estende anche ad altri ambiti della vita sociale.
Tali processi di giustizia nel contesto dell’autonomia, affermando la legittimità dei sistemi politici e giuridici
propri, rafforzano l’identità indigena in termini dialettici, non escludenti, mettendola in relazione con altre
identità che condividono lo stesso territorio e lo spazio organizzativo. In questo senso, possiamo affermare
che la creazione di una nuova giurisdizione e di uno spazio regionale condiviso rafforzano gli spazi di dialogo
e interazione interculturale. Nelle istituzioni autonome, si valorizza il sentimento “comunitario”, che radica
nella comunità ma che non coincide con lo spazio limitato di questa, affiancandolo con la costruzione di
strutture regionali.

I valori della giustizia autonoma


La peculiarità di questi sistemi sono i criteri per la risoluzione dei conflitti: in primo luogo la costante
trattativa e la ricerca della conciliazione tra le parti, per mezzo di ripetuti incontri faccia a faccia, che ha
l’obiettivo di “disattivare” i conflitti prima di arrivare all’inevitabile necessità di applicare una sanzione. In
secondo luogo la gratuità della giustizia, in cui non ci sono spese per gli avvocati né per il processo, non ci
sono cauzioni né multe, e i colpevoli pagano la propria pena con il lavoro a favore della collettività, secondo
un indigeno del Guerrero, «la gratuità della giustizia rispetta la nostra cultura, e la situazione di povertà in cui
viviamo»; e la reintegrazione alla società dei detenuti come obiettivo del castigo. Un altro elemento molto
importante è la collettività della giustizia, dove l’assemblea della comunità o l’Assemblea Generale hanno un
ruolo fondamentale nella discussione delle pene da imporre e nella supervisione del processo di rieducazione;
mentre l’autorità incaricata di procurare e impartire giustizia è un organo collegiale che prende le decisioni

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collettivamente, composto da indigeni di diversi popoli, la qual cosa rende più difficile che le posizioni
individuali abbiano un peso rilevante nella risoluzione del caso.
Le idee di giustizia che caratterizzano il Sistema Comunitario della Costa Chica e Montaña del Guerrero sono
determinate dal loro carattere collettivo. Il SCSJ non sostiene che il delinquente sia una persona da eliminare o
isolare perché la comunità possa “vivere in pace”. Quando viene commesso un delitto, tutti ne sono vittime:
la parte lesa ma anche il delinquente (perché ha perso l’onore e la dignità) e la comunità (perché «non si è resa
conto che la persona aveva preso una cattiva strada e non è riuscita a rimetterlo nella direzione corretta»)(24).
Secondo questa visione, la giustizia e la sicurezza sono una responsabilità collettiva e collettivamente si deve
cercare di ricomporre la relazione danneggiata, di ricostruire il tessuto sociale.
Come esempio di quest’affermazione, propongo la dichiarazione del Commissario di una comunità in cui
ebbero luogo due omicidi, durante un’Assemblea Regionale: «ciò che sta succedendo nella nostra comunità ci
causa una gran vergogna, perché non è un fatto che riguarda solamente gli assassini, l’intera comunità è
compromessa; il nome del nostro villaggio sarà menzionato dappertutto e non per il riconoscimento che
possiamo aver guadagnato per il nostro sforzo, per il nostro lavoro, ma perché uno degli abitanti ha
commesso il danno peggiore contro un fratello, pertanto vi prego che facciate attenzione, perché tra tutti si
possa trovare una soluzione a questo problema»(25).
Come nel Sistema Comunitario in Guerrero, anche nella giustizia che costruiscono gli zapatisti in Chiapas è
presente una comprensione profonda delle debolezze umane, e la coscienza che un errore commesso non
deve trasformarsi in un marchio indelebile. Secondo la Giunta del Buon Governo: «tutti siamo umani,
commettiamo degli errori e ci correggiamo con il castigo. Noi risolviamo i problemi aiutando alla gente a
prenderne coscienza: come se uno fosse caduto nel baratro, e allora bisogna penderlo per la mano e aiutarlo a
tornare al suo posto»(26).
Gli accordi interni della comunità devono essere rispettati; chi li infrange, dev’essere punito, «perché qui la
gente comanda, però obbedendo a sua volta. Perché altrimenti non può comandare, e se non obbedisce, deve
ricevere una sanzione»(27).
Questa frase è una sottile interpretazione dello slogan zapatista che si deve “comandare obbedendo”, ovvero
che le autorità devono servire la gente, perché sono investite del potere per far rispettare e realizzare
concretamente ciò che si decide collettivamente nelle assemblee. Allo stesso tempo, hanno l’autorità per far sì
che le persone rispettino gli stessi accordi: anche il “popolo” deve comandare obbedendo.
Il ruolo delle autorità comunitarie e regionali non è solamente amministrare la giustizia, ma promuoverla
come valore tra la popolazione; in questo senso sono importanti i sentimenti di appartenenza
all’organizzazione zapatista e di “compagnerismo”, che ho menzionato all’inizio del testo.
Nell’amministrazione della giustizia, le autorità hanno il compito di mediare e cercare una soluzione equa;
senza imporre la propria decisione ma cercare il consenso, l’accordo tra le parti. I rappresentanto del governo
autonomo che ho intervistato affermano che ci sono dei principi che guidano le loro decisioni: «quando si
risolve un problema, dobbiamo considerare chi è colpevole; dobbiamo risolvere il problema d’accordo alla
realtà e non come farebbe comodo a noi, altrimenti staremmo imponendo la nostra volontà. Se non
obbediamo non sapremo mai come si risolve realmente un problema, perché mancheremmo di rispetto a
quella persona [il presunto colpevole], che ha diritto a difendersi. Come autorità autonoma ci guidano sette
principi; il primo è che non dobbiamo tradire il nostro popolo, ovvero non negoziare nessun conflitto per
ingraziarci uno o entrambi i gruppi»(28).
Perché questo tipo di giustizia (che cerca di ristabilire l’equilibrio e l’armonia) possa essere effettiva, è
fondamentale che la persona giudicata colpevole riconosca la propria responsabilità. Se una persona ritenuta
colpevole, dopo che le autorità, le famiglie e le rispettive comunità hanno cercato di ricostruire la verità
(anche se non è possibile trovare la “verità”, ma piuttosto gli elementi che più vi si avvicinano), riconosce di
essere responsabile del delitto di cui è accusata, ma non riconosce che dev’essere sanzionata per questo, non
si può raggiungere l’armonia. Ancora più difficile è la risoluzione dei conflitti se il colpevole non accetta la
sanzione e non riconosce nemmeno la propria responsabilità.
«Tutti commettiamo errori, che si possono riparare se riconosciamo l’errore e mostriamo la volontà di non
ripeterlo. Però se qualcuno è testardo, sapendo di aver commesso un errore non riconosce la gravità di ciò
che ha fatto, in quel caso si applica la giustizia e la punizione è più dura. Al contrario, la gente che accetta il
castigo riflette sull’errore commesso e poi torna alla vita normale della comunità»(29).
Tutti gli intervistati hanno posto un gran enfasi su questo punto, che sembra essere il centro della concezione
e della pratica della giustizia zapatista. Riconoscere l’errore fa sì che la persona non lo ripeta (almeno in linea
teorica), e questo permette che la comunità possa recuperare la fiducia. Non riconoscere l’errore commesso

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può aggravare la situazione, come documenta il caso di un giovane, che fu trovato in possesso di sette semi di
marijuana. Il fatto, che può apparire irrilevante in altri contesti, era in quella situazione di una estrema gravità,
visto che ripetutamente l’Esercito messicano ha accusato gli zapatisti di essere narcotrafficanti – come
strategia contraisurgente, dei molteplici episodi in cui le Forze Armate affermano di avere trovato piantagioni di
marijuana in territorio zapatista, senza peraltro mostrare nessuna prova. In questo senso il giovane stava
compromettendo tutta la comunità, pertanto si decise di sanzionarlo, nonostante si considerasse veritiera
l’affermazione del ragazzo di non essere a conoscenza del tipo di semi che stava conservando. Il giovane negò
la propria responsabilità, sicuramente dovuta all’ignoranza e all’ingenuità, e si intestardì nel dare la colpa ad
un’altra persona. Siccome non riconobbe il suo errore, il castigo di sei mesi che era stato deciso fu aumentato
ad un anno.
L’importanza di riconoscere la propria responsabilità si accompagna alla priorità data alla conciliazione e alla
concezione differente del castigo, inteso come lavoro comunitario o rieducazione.
Questo punto si collega all’idea che la società non è composta da individui isolati, ma da reti sociali e
collettività; perciò la pena può essere più corta se l’individuo dimostra una trasformazione interna e si
impegna a riprendere il proprio ruolo nella famiglia e nella comunità, reinserendosi in un contesto in cui la
comunità intera continuerà a a vigilare la sua condotta. Pertanto il controllo (inteso in termini foucaultiani)
non si limita alle istituzioni repressive o carcerarie, che in tali esperienze di giustizia indigena sono rifiutate e
non esistono come tali. Il controllo è esercitato continuamente da tutta la società sugli individui che ne fanno
parte; allo stesso modo in cui le reti sociali servono agli individui per fare fronte e superare i propri problemi
personali con l’aiuto degli altri membri della comunità (reciprocità).

Note
(1) Constituzione Politica degli Stati Uniti Messicani, art. 2, inciso A, comma II, in
http://www.diputados.gob.mx/LeyesBiblio/pdf/1.pdf (consultato il 10 giugno 2010).
(2) Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo/ Messico, Indice di Sviluppo Umano Municipale in Messico 2000-
2005, in http://www.cinu.org.mx/prensa/especiales/2008/IDH/documento.html (consultato il 29 aprile 2010).
(3) Regolamento Interno del SCSJ, art. 6, comma II.
(4) Può essere Commissariato ejidal o comunal, d’accordo con le due distinte forme di proprietà collettiva della terra
presenti in Messico.
(5) «È l’organo principale del sistema Comunitario, incaricato della sicurezza e la coordinazione dei gruppi di Polizia
Comunitaria», Regolamento Interno del SCSJ, art.6, comma IV.
(6) Intervista alla JBG, realizzata il 9/12/2008.
(7) L’insurrezione dell’EZLN che ha permesso lo sviluppo del governo autonomo dei popoli indigeni della regione.
Intervista al responsabile della mensa collettiva nel villaggio La Realidad, realizzata il 30/12/2007.
(8) Con questo termine ci si riferisce all’EZLN.
(9) Regolamento Interno del SCSJ, art. 10, “Sulle mancanze o errori che sono castigati dalla Coordinadora Regional de
Autoridades Comunitarias”.
(10) Intervista al Comisariado Ejidal, La Realidad, 14/12/2008.
(11) Intervista alla JBG, realizzata l’ 11/12/2008.
(12) Persone con autorità riconosciuta all’interno della comunità, spesso anziani.
(13) Intervista a Faustino Pacheco Guzmán, El Aserradero, 29/07/06.
(14) Intervista a Faustino Pacheco Guzmán, El Aserradero, 29/07/06.
(15) Intervista a Ciriaco Rojas Calixto, Espino Blanco, 10/06/2009.
(16) Intervista alla JBG, realizata il 28/12/2007.
(17) Regolamento Interno del SCSJ, art. 29.
(18) Regolamento Interno del SCSJ, art. 13.
(19) Intervista alla JBG, La Realidad, 28/12/2007.
(20)Intervista alla JBG, 10/1/2009.
(21) Intervista a Abad Flores Herrera, CRAC, San Luis Acatlán, junio 2006.
(22) Intervista alla JBG, La Realidad, 9/12/2008.
(23) Il concetto di interlegalidad, proposto da Boaventura de Sousa Santos (Towards a New Commun Sense, NewYork,
Routledge.1995), si riferisce a «una concezione di diversi spazi legali sovrapposti, compenetrati e mescolati» (pag. 473)
che dipendono da ambiti della vita in costante cambio e trasformazione, e da costanti relazioni di dominio e di resistenza
con el quali si vanno costruendo i sistemi normativi “subordinati” o alterni.
(24) Intervista alla CRAC, 15/06/2009.
(25) Adelfo Genaro de Jesús, Potrerillo del Rincón, 29/03/2010.
(26) Intervista alla JBG, 28/12/2007.

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XXXII Convegno Internazionale di Americanistica – Perugia 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10 maggio 2010

(27) Intervista all’Agente Municipal de San José del Río, 15/01/2009.


(28) Intervista alla JBG, 14/1/2009.
(29) Intervista alla JBG, 14/1/2009.

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