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XXXII Convegno Internazionale di Americanistica – Perugia 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10 maggio 2010
Giovanna Gasparello
Universidad Autónoma Metropolitana, México
Introduzione
In Messico, il sistema giuridico statale mostra con frequenza pratiche discriminatorie e corrotte, ed una
visione razzista nei confronti della popolazione indigena. La Costituzione, riformata nel 2001, ora riconosce
formalmente i diritti dei popoli indigeni, ma nella pratica ratifica la discriminazione ed il paternalismo, dal
momento che non li riconosce come soggetti “di diritto”, ma “di interesse pubblico”. Allo stesso modo,
proclama l’autonomia però ne limita l’esercizio attraverso una serie di meccanismi giuridici. Nel campo
giuridico subordina l’applicazione dei sistema normativi indigeni ai principi costituzionali, e impone «la
convalida dei suddetti sistemi normativi da parte dei giudici o dei tribunali corrispondenti»(1).
Nonostante legalmente gli spazi di riconoscimento siano dunque estremamente limitati, in tutto il Messico
fioriscono esperienze di autonomia, che mettono in pratica forme proprie ed alternative di governo, di
giustizia, di educazione, di salute, di comunicazione, di produzione e commercio… alternative di vita.
Uno dei punti cardinali del progetto politico dei popoli indigeni, l’autonomia, riguarda i sistema normativi; si
esige che lo Stato rispetti l’effettività dei sistemi giuridici e la legalità dell’amministrazione della giustizia da
parte delle autorità indigene. Le diverse forme di giustizia indigena (distinte in ogni popolo) sono state
storicamente subordinate, limitate a conflitti minori ed allo spazio ridotto delle piccole comunità o villaggi, e
lo Stato non le ha mai considerate come sistemi giuridici con un diritto proprio.
Ciononostante, attualmente emergono esperienze che oltrepassano i margini stabiliti dallo Stato con le
striminzite riforme legali, com’è il caso delle Giunte del Buon Governo in Chiapas, ed il Sistema Comunitario
di Sicurezza e Giustizia del Guerrero. Tali esperienze stanno reinventando la giustizia partendo da modelli
culturali propri, aperti e dinamici, e con una grande legittimità sociale: questo sta loro permettendo far fronte
alla violenza, all’impunità ed alla conflittualità locale; in questo senso contribuiscono alla pace sociale ed a
costruire una nuova cittadinanza plurale.
Le due esperienze meritano un’analisi ampia, che illustri il contesto politico e storico in cui si sviluppano, i
risultati ottenuti nella costruzione di strutture di governo e di spazi di organizzazione sociale autonomi, e la
loro relazione con le istituzioni statali. Nel presente testo, non potendo abbracciare tale complessità di
elementi, mi limiterò alla descrizione dei due sistemi giuridici e dei valori che sostengono la pratica della
giustizia autonoma.
del 1994, nelle zone con presenza di popolazione base d’appoggio zapatista, si istituirono circa 30 Municipi
Autonomi Ribelli Zapatisti (MAREZ). Nel 2003 il territorio di influenza zapatista venne riorganizzato in
cinque Zone, che raggruppano al loro interno un certo numero di municipi; ogni zona conta con un centro
politico (Caracol), sede della Giunta del Buon Governo (Junta de Buen Gobierno, JBG) di quella zona. I
governi autonomi, nei diversi livelli, realizzano, tra le varie funzioni, la ricerca di fondi, l’impartizione della
giustizia e la mediazione nei conflitti, la promozione delle aree della salute, l’educazione, il commercio e la
comunicazione. Attualmente, si tratta del processo più emblematico – in Messico ed in America Latina – di
costruzione dell’autonomia indigena, partendo da un netto rifiuto di negoziare spazi e competenze con lo
Stato.
La Zona studiata è la Selva Fronteriza, composta da quattro Municipi Autonomi ed abitata da Tzeltales,
Tojolabales y meticci.
impartire giustizia, in un livello superiore a quello delle autorità comunitarie: rappresenta la “seconda istanza”.
La CRAC agisce in stretta collaborazione con il Comitè Ejecutivo, che realizza le indagini ed esegue gli ordini
d’arresto emessi dalla CRAC.
Nel caso del sistema zapatista il secondo livello di governo, e l’istanza superiore alla comunità per la
risoluzione dei conflitti, è il Municipio Autonomo. Il Ministro o Commissione di Giustizia è una delle cariche
che compongono il Consiglio Municipale; questi segue i conflitti però non li risolve da solo; è il Consiglio
intero che ascolta le parti, discute, e risolve il caso. Allo stesso modo funziona la Giunta di Buon Governo
(JBG), che rappresenta il terzo livello nel governo autonomo e nell’amministrazione della giustizia.
Tipologia dei problemi che si presentano alle autorità autonome: distinte dimensioni della
violenza
D’accordo con le testimonianze raccolte nella Zona Selva Fronteriza, in Chiapas, i problemi che emergono
più frequentemente sono furti, divorzi, problemi inter-familiari e conflitti per stabilire i limiti degli
appezzamenti per la semina. Più rari sono i problemi agrari tra due comunità, che disputano i limiti dell’ejido.
In questa zona, i delitti gravi (come violenza sessuale o omicidio) sono molto rari. Secondo gli intervistati,
questo dipenderebbe da una cultura del rispetto tra gli abitanti delle comunità, “fratelli indigeni”, che è
sempre esistita nella regione. Oltre a ciò, l’appartenenza ad un’organizzazione politica (l’EZLN) influisce
profondamente sul fatto che le relazioni tra “compagni” siano rispettose.
D’altra parte, i Consigli Autonomi e la Giunta del Buon Governo affermano occuparsi maggiormente di
problemi che riguardano persone non zapatiste, appartenenti ad altre organizzazioni o partiti. Secondo le
autorità zapatiste intervistate, i non zapatisti non condividono la cultura dell’appartenenza, e non hanno
neppure meccanismi di risoluzione dei conflitti all’interno delle comunità, di modo che assistono alla JBG o al
MAREZ anche per risolvere problemi minori.
Secondo le testimonianze raccolte, è molto frequente che i “fratelli non zapatisti” si rivolgano alle autorità
zapatiste. Sceglierebbero la giustizia autonoma perché, a detta delle autorità zapatiste, non è corrotta: durante
il processo non girano soldi, non ci sono spese per il processo né per gli avvocati, e le autorità non si possono
corrompere per denaro. Nonostante si tratti di un giudizio di parte, credo che corrisponda alla verità.
Indipendentemente dalla loro ascrizione politica, gli abitanti dei villaggi sono contadini indigeni che, arrivando
in città, si trovando di fronte istituzioni giudiziarie (Tribunal de Asuntos Agrarios, Ministerio Público o Juzgados) in
cui imperano il razzismo e la discriminazione.
Le testimonianze raccolte concordano nel fatto che, in questa regione, è ridotta la conflittualità dovuta a
problemi quotidiani o di delinquenza comune, mentre è molto alta quella legata a motivazioni politiche.
Affermano che, nelle comunità completamente zapatiste, non si verificano grossi problemi, come invece
accade nelle comunità politicamente divise. Qui sorgono problemi legati al controllo degli spazi fisici e
simbolici, ed alle risorse del villaggio; problemi legati ai progetti di sviluppo della comunità, che alcuni
pensano di realizzare con fondi governativi ed altri esclusivamente attraverso l’autogestione e la
partecipazione comunitaria; ed incluso risse e dispetti tra i vicini delle due “fazioni”.
Secondo le stesse testimonianze, tra gli zapatisti sono ormai rari gli episodi di violenza legati al consumo di
bevande alcoliche; mentre sono ancora frequenti tra coloro che non appartengono all’“organizzazione”(8).
Almeno un anno prima dell’insurrezione armata del 1994, gli zapatisti proibirono la vendita ed il consumo di
alcolici nei loro villaggi. Ovviamente non tutti rispettano tale precetto, però lo fa una parte importante della
popolazione; questo ha determinato la sostanziale diminuzione di episodi di violenza verso donne e bambini,
e di casi di lesioni o omicidi, che sono il problema principale in molte regioni rurali e indigene del paese.
Il panorama illustrato dagli intervistati nella zona zapatista contrasta fortemente con quello che ho potuto
osservare nella Costa e Montaña del Guerrero, dove emerge una gran differenza nel livello di conflittualità
non legata a motivi politici. Nonostante la popolazione si sia organizzata nella Polizia Comunitaria, riuscendo
a far diminuire moltissimo la violenza nella regione, nei villaggi sono ancora comuni i furti e le aggressioni; si
verificano sporadicamente omicidi, e continua ad essere molto frequente la violenza infra-familiare.
In questa regione, l’alcolismo è palesemente il maggior problema che colpisce la vita sociale delle comunità in
tuta la regione, e la principale causa di violenza e di conflitti comunitari e familiari; il fatto che sia radicato così
profondamente nelle abitudini quotidiane è ancor più preoccupante dal momento che non si intravede la
volontà di combatterlo.
Negli ultimi anni, le autorità autonome zapatiste hanno dovuto affrontare nuovi problemi, quali il traffico di
legnami pregiati e di specie animali, ed in misura maggiore la tratta clandestina di migranti. Anche il SCSJ ha
dovuto introdurre nel suo Regolamento i delitti ambientali («atti gravi commessi contro l’ambiente;
disboscamento illegale») ed il traffico illegale, però in questo caso «relativo al traffico e produzione di droga e
stupefacenti»(9).
In quest’occasione, una delle autorità menzionò che «ci sentiamo offesi, però siamo coscienti che l’unico
modo di lavare il nome della nostra comunità è facendo giustizia, perché i bambini che sono qui presenti
abbiano un esempio di comportamento».
In Chiapas, il Municipio Autonomo Emiliano Zapata comminò un castigo di un anno, «poi lo liberammo
perché riconobbe i proprio errore»; in un altro caso intervenne la Giunta del Buon Governo. L’omicida aveva
agito sotto l’effetto dell’alcool. I familiari del defunto si presentarono alla JBG chiedendo un risarcimento di
sessantamila pesos. Ignoro se tale somma fu effettivamente pagata; nonostante ciò, le autorità considerarono
che non era sufficiente, che non si poteva porre un prezzo alla morte dei propri figli. «In quanto autorità
dobbiamo applicare un castigo, oltre al risarcimento, cosicché questi signori [gli omicidi] pagarono con sei
mesi di lavoro(19).
Questo caso illustra come la giustizia serva a ristabilire l’equilibrio tra le persone, ed all’interno della
collettività. Il risarcimento può soddisfare la parte direttamente lesa, però il lavoro comunitario serve a che la
comunità intera recuperi la fiducia in chi ha sbagliato, apprezzando che questi si è messo a disposizione della
collettività.
Dove le autorità zapatiste ammettono di aver problemi è nella risoluzione di divorzi e separazioni, dal
momento che la decisione dei genitori coinvolge anche i figli, e questo viene considerato profondamente
ingiusto, «non è permesso abbandonare una famiglia», dicono; però d’alto canto devono comunque rispettare
la volontà delle persone. Nei casi in cui un uomo lascia la propria compagna per un’altra, si usa castigare a
tutti e due, l’uomo e la sua nuova compagna. Il tabù del divorzio è tuttora molto forte, nonostante la Legge
Rivoluzionaria delle Donne vigente dal 1993 sancisca categoricamente la facoltà di decidere sulle proprie vite.
Sia gli uomini delle comunità che le autorità, e perfino le stesse donne sembrano non avere molto chiaro ciò
che implica, in termini concreti, la legge vigente. L’unità della famiglia è considerata generalmente più
importante del benessere delle donne, e pertanto i divorzi definitivi sono, comunque, molto rari. Sono più
frequenti in Guerrero, per lo meno nella zona mestiza e Me’phaa, anche se probabilmente questo corrisponda a
una situazione di maggior violenza contro le donne piuttosto che a una più profonda coscienza dei diritti
femminili.
«abbiamo fiducia nei detenuti, per questo non li teniamo in prigione; in particolare quando [il
castigato] è zapatista, la sua stessa comunità no permette che ritorni al villaggio senza avere
terminato il suo castigo, e questo ci dà la garanzia che non scappino. […] Con le persone che
non sono zapatiste dobbiamo fare più attenzione, perché spesso la comunità permette a chi
scappa di ritornare.. Però ci sono casi in cui si stabilisce un accordo tra la JBG e le autorità le
autorità dei villaggi non zapatisti, e questo ci dà una certa garanzia contro la possibilità di fughe.
Se una persona deve scontare un castigo lungo, e vediamo che si sta comportando con
responsabilità, se ha bisogno di andare a visitare la propria famiglia gli concediamo una
“licenza”, fino a 10 o 15 giorni.
Il nostro vantaggio è la relazione con la gente, con le autorità comunitarie, e l’acta de acuerdo che è
stata firmata [da tutte le parti in causa]. Tutta la comunità sta vigilando, non solamente le
autorità»(22).
La risorsa estrema è l’espulsione dalla comunità, che si utilizza quando non si può raggiungere un accordo tra
la parte lesa ed il colpevole, o nel caso che questi rifiuti di accettare la propria responsabilità. Si ricorre
all’espulsione anche quando la gravità del delitto violenta irreparabilmente i valori etici della comunità,
rendendo impossibile per la popolazione accettare nuovamente chi ha rotto le norme di convivenza.
Nella Montaña del Guerrero, il sistema di giustizia regionale ed il castigo con la rieducazione hanno diminuito
considerevolmente il fenomeno delle espulsioni: la popolazione riconosce la legittimità dell’istanza superiore
di giustizia (la CRAC), a cui vengono sottoposti i casi più spinosi, e generalmente ne accetta le decisioni.
In Chiapas invece sembra che le espulsioni siano aumentate recentemente, dato che i maggiori contatti con le
città (dovuti alla migrazione) favoriscono la proliferazione dei delitti, rompendo la “cultura del rispetto” di cui
ho fatto menzione all’inizio del testo. Il nuovo sistema di giustizia autonoma cerca di limare le asperità e
l’arbitrarietà di una giustizia comunitaria che ha possibilità limitate. Il sistema autonomo, più ampio, dà alla
giustizia comunitaria e alle stesse comunità maggiori risorse per risolvere dialogicamente i conflitti, senza
arrivare forzosamente alla rottura.
collettivamente, composto da indigeni di diversi popoli, la qual cosa rende più difficile che le posizioni
individuali abbiano un peso rilevante nella risoluzione del caso.
Le idee di giustizia che caratterizzano il Sistema Comunitario della Costa Chica e Montaña del Guerrero sono
determinate dal loro carattere collettivo. Il SCSJ non sostiene che il delinquente sia una persona da eliminare o
isolare perché la comunità possa “vivere in pace”. Quando viene commesso un delitto, tutti ne sono vittime:
la parte lesa ma anche il delinquente (perché ha perso l’onore e la dignità) e la comunità (perché «non si è resa
conto che la persona aveva preso una cattiva strada e non è riuscita a rimetterlo nella direzione corretta»)(24).
Secondo questa visione, la giustizia e la sicurezza sono una responsabilità collettiva e collettivamente si deve
cercare di ricomporre la relazione danneggiata, di ricostruire il tessuto sociale.
Come esempio di quest’affermazione, propongo la dichiarazione del Commissario di una comunità in cui
ebbero luogo due omicidi, durante un’Assemblea Regionale: «ciò che sta succedendo nella nostra comunità ci
causa una gran vergogna, perché non è un fatto che riguarda solamente gli assassini, l’intera comunità è
compromessa; il nome del nostro villaggio sarà menzionato dappertutto e non per il riconoscimento che
possiamo aver guadagnato per il nostro sforzo, per il nostro lavoro, ma perché uno degli abitanti ha
commesso il danno peggiore contro un fratello, pertanto vi prego che facciate attenzione, perché tra tutti si
possa trovare una soluzione a questo problema»(25).
Come nel Sistema Comunitario in Guerrero, anche nella giustizia che costruiscono gli zapatisti in Chiapas è
presente una comprensione profonda delle debolezze umane, e la coscienza che un errore commesso non
deve trasformarsi in un marchio indelebile. Secondo la Giunta del Buon Governo: «tutti siamo umani,
commettiamo degli errori e ci correggiamo con il castigo. Noi risolviamo i problemi aiutando alla gente a
prenderne coscienza: come se uno fosse caduto nel baratro, e allora bisogna penderlo per la mano e aiutarlo a
tornare al suo posto»(26).
Gli accordi interni della comunità devono essere rispettati; chi li infrange, dev’essere punito, «perché qui la
gente comanda, però obbedendo a sua volta. Perché altrimenti non può comandare, e se non obbedisce, deve
ricevere una sanzione»(27).
Questa frase è una sottile interpretazione dello slogan zapatista che si deve “comandare obbedendo”, ovvero
che le autorità devono servire la gente, perché sono investite del potere per far rispettare e realizzare
concretamente ciò che si decide collettivamente nelle assemblee. Allo stesso tempo, hanno l’autorità per far sì
che le persone rispettino gli stessi accordi: anche il “popolo” deve comandare obbedendo.
Il ruolo delle autorità comunitarie e regionali non è solamente amministrare la giustizia, ma promuoverla
come valore tra la popolazione; in questo senso sono importanti i sentimenti di appartenenza
all’organizzazione zapatista e di “compagnerismo”, che ho menzionato all’inizio del testo.
Nell’amministrazione della giustizia, le autorità hanno il compito di mediare e cercare una soluzione equa;
senza imporre la propria decisione ma cercare il consenso, l’accordo tra le parti. I rappresentanto del governo
autonomo che ho intervistato affermano che ci sono dei principi che guidano le loro decisioni: «quando si
risolve un problema, dobbiamo considerare chi è colpevole; dobbiamo risolvere il problema d’accordo alla
realtà e non come farebbe comodo a noi, altrimenti staremmo imponendo la nostra volontà. Se non
obbediamo non sapremo mai come si risolve realmente un problema, perché mancheremmo di rispetto a
quella persona [il presunto colpevole], che ha diritto a difendersi. Come autorità autonoma ci guidano sette
principi; il primo è che non dobbiamo tradire il nostro popolo, ovvero non negoziare nessun conflitto per
ingraziarci uno o entrambi i gruppi»(28).
Perché questo tipo di giustizia (che cerca di ristabilire l’equilibrio e l’armonia) possa essere effettiva, è
fondamentale che la persona giudicata colpevole riconosca la propria responsabilità. Se una persona ritenuta
colpevole, dopo che le autorità, le famiglie e le rispettive comunità hanno cercato di ricostruire la verità
(anche se non è possibile trovare la “verità”, ma piuttosto gli elementi che più vi si avvicinano), riconosce di
essere responsabile del delitto di cui è accusata, ma non riconosce che dev’essere sanzionata per questo, non
si può raggiungere l’armonia. Ancora più difficile è la risoluzione dei conflitti se il colpevole non accetta la
sanzione e non riconosce nemmeno la propria responsabilità.
«Tutti commettiamo errori, che si possono riparare se riconosciamo l’errore e mostriamo la volontà di non
ripeterlo. Però se qualcuno è testardo, sapendo di aver commesso un errore non riconosce la gravità di ciò
che ha fatto, in quel caso si applica la giustizia e la punizione è più dura. Al contrario, la gente che accetta il
castigo riflette sull’errore commesso e poi torna alla vita normale della comunità»(29).
Tutti gli intervistati hanno posto un gran enfasi su questo punto, che sembra essere il centro della concezione
e della pratica della giustizia zapatista. Riconoscere l’errore fa sì che la persona non lo ripeta (almeno in linea
teorica), e questo permette che la comunità possa recuperare la fiducia. Non riconoscere l’errore commesso
può aggravare la situazione, come documenta il caso di un giovane, che fu trovato in possesso di sette semi di
marijuana. Il fatto, che può apparire irrilevante in altri contesti, era in quella situazione di una estrema gravità,
visto che ripetutamente l’Esercito messicano ha accusato gli zapatisti di essere narcotrafficanti – come
strategia contraisurgente, dei molteplici episodi in cui le Forze Armate affermano di avere trovato piantagioni di
marijuana in territorio zapatista, senza peraltro mostrare nessuna prova. In questo senso il giovane stava
compromettendo tutta la comunità, pertanto si decise di sanzionarlo, nonostante si considerasse veritiera
l’affermazione del ragazzo di non essere a conoscenza del tipo di semi che stava conservando. Il giovane negò
la propria responsabilità, sicuramente dovuta all’ignoranza e all’ingenuità, e si intestardì nel dare la colpa ad
un’altra persona. Siccome non riconobbe il suo errore, il castigo di sei mesi che era stato deciso fu aumentato
ad un anno.
L’importanza di riconoscere la propria responsabilità si accompagna alla priorità data alla conciliazione e alla
concezione differente del castigo, inteso come lavoro comunitario o rieducazione.
Questo punto si collega all’idea che la società non è composta da individui isolati, ma da reti sociali e
collettività; perciò la pena può essere più corta se l’individuo dimostra una trasformazione interna e si
impegna a riprendere il proprio ruolo nella famiglia e nella comunità, reinserendosi in un contesto in cui la
comunità intera continuerà a a vigilare la sua condotta. Pertanto il controllo (inteso in termini foucaultiani)
non si limita alle istituzioni repressive o carcerarie, che in tali esperienze di giustizia indigena sono rifiutate e
non esistono come tali. Il controllo è esercitato continuamente da tutta la società sugli individui che ne fanno
parte; allo stesso modo in cui le reti sociali servono agli individui per fare fronte e superare i propri problemi
personali con l’aiuto degli altri membri della comunità (reciprocità).
Note
(1) Constituzione Politica degli Stati Uniti Messicani, art. 2, inciso A, comma II, in
http://www.diputados.gob.mx/LeyesBiblio/pdf/1.pdf (consultato il 10 giugno 2010).
(2) Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo/ Messico, Indice di Sviluppo Umano Municipale in Messico 2000-
2005, in http://www.cinu.org.mx/prensa/especiales/2008/IDH/documento.html (consultato il 29 aprile 2010).
(3) Regolamento Interno del SCSJ, art. 6, comma II.
(4) Può essere Commissariato ejidal o comunal, d’accordo con le due distinte forme di proprietà collettiva della terra
presenti in Messico.
(5) «È l’organo principale del sistema Comunitario, incaricato della sicurezza e la coordinazione dei gruppi di Polizia
Comunitaria», Regolamento Interno del SCSJ, art.6, comma IV.
(6) Intervista alla JBG, realizzata il 9/12/2008.
(7) L’insurrezione dell’EZLN che ha permesso lo sviluppo del governo autonomo dei popoli indigeni della regione.
Intervista al responsabile della mensa collettiva nel villaggio La Realidad, realizzata il 30/12/2007.
(8) Con questo termine ci si riferisce all’EZLN.
(9) Regolamento Interno del SCSJ, art. 10, “Sulle mancanze o errori che sono castigati dalla Coordinadora Regional de
Autoridades Comunitarias”.
(10) Intervista al Comisariado Ejidal, La Realidad, 14/12/2008.
(11) Intervista alla JBG, realizzata l’ 11/12/2008.
(12) Persone con autorità riconosciuta all’interno della comunità, spesso anziani.
(13) Intervista a Faustino Pacheco Guzmán, El Aserradero, 29/07/06.
(14) Intervista a Faustino Pacheco Guzmán, El Aserradero, 29/07/06.
(15) Intervista a Ciriaco Rojas Calixto, Espino Blanco, 10/06/2009.
(16) Intervista alla JBG, realizata il 28/12/2007.
(17) Regolamento Interno del SCSJ, art. 29.
(18) Regolamento Interno del SCSJ, art. 13.
(19) Intervista alla JBG, La Realidad, 28/12/2007.
(20)Intervista alla JBG, 10/1/2009.
(21) Intervista a Abad Flores Herrera, CRAC, San Luis Acatlán, junio 2006.
(22) Intervista alla JBG, La Realidad, 9/12/2008.
(23) Il concetto di interlegalidad, proposto da Boaventura de Sousa Santos (Towards a New Commun Sense, NewYork,
Routledge.1995), si riferisce a «una concezione di diversi spazi legali sovrapposti, compenetrati e mescolati» (pag. 473)
che dipendono da ambiti della vita in costante cambio e trasformazione, e da costanti relazioni di dominio e di resistenza
con el quali si vanno costruendo i sistemi normativi “subordinati” o alterni.
(24) Intervista alla CRAC, 15/06/2009.
(25) Adelfo Genaro de Jesús, Potrerillo del Rincón, 29/03/2010.
(26) Intervista alla JBG, 28/12/2007.