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05/02/22, 23:14 Sul clima: ottimisti o pessimisti?

- INARCH Piemonte

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SUL CLIMA: OTTIMISTI O


PESSIMISTI? PROGETTI

Inserito da Riccardo Bedrone | 29 Set 2019 |


CONOSCERE
SOLLECITAZIONI PER
MODIFICARE

ANTIDOTI

SCANDAGLI

RITRATTI

FARE GLI
ITALIANI
ALL'ESTERO

PREMI
IN/ARCHITETTU
RA

IDEE@ LA
NEWSLETTE
R

Indirizzo e-mail*

A quanto pare, secondo la maggior parte degli osservatori,


Nome
l’incontro straordinario sul cambiamento climatico, organizzato
dall’ONU, non ha portato a grandi risultati né a impegni concreti
da parte dei paesi più industrializzati per ridurre le emissioni
inquinanti, come se i partecipanti agli incontri istituzionali non Cognome

sentissero il senso di urgenza che ha animato e sta animando le


manifestazioni organizzate in concomitanza.

MI ISCRIVO
Eppure, tutte le ricerche scientifiche più recenti dicono che la
temperatura media della Terra sta aumentando a una velocità

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preoccupante, con ripercussioni sempre più evidenti: eventi CATEGORIE


meteorologici più intensi ed estremi, tempeste e uragani, ondate
di calore anomale, scioglimenti dei ghiacci ai poli e sulle catene ARCHITETTURA
montuose, innalzamento dei mari.

- Premi
Si prevede ora che entro la fine del secolo la temperatura media
globale sarà di 3° C superiore rispetto al secolo scorso, a causa FORMAZIONE
delle attività umane che, secondo la comunità scientifica, hanno
contribuito sensibilmente al riscaldamento globale.
IDEE@
MAGAZINE
Un quadro scoraggiante, nonostante due giorni prima del vertice
fosse stato pubblicato un nuovo autorevole e drammatico -
rapporto, che non lascia dubbi sulla crisi climatica in atto. Architettura nel
cinema

L’innalzamento del livello del mare sta accelerando: senza un


drastico taglio delle emissioni climalteranti, gli oceani entro - Gocce
il 2100 si alzeranno oltre dieci volte più velocemente di
quanto sia avvenuto nel XX secolo. Significa che il mare - Mattoncini
potrebbe sollevarsi di più di 80 centimetri entro fine secolo
(secondo le stime più catastrofiche, addirittura 1,1 metri). Tra - Occhio
l’84% e il 90% di tutte le ondate marine di calore è oggi all'Architettura

attribuibile alla crisi climatica: e sono due volte più frequenti, più
calde e di maggior durata rispetto al periodo pre-anni ottanta. Il - Pensieri &
Parole
riscaldamento dell’oceano riduce la miscelazione tra gli strati
d’acqua e, di conseguenza, l’apporto di ossigeno e sostanze
- Piccolo
nutritive per la vita marina.
dizionario di
architettese
Intanto, dal 29 luglio si è esaurito il patrimonio annuale di
risorse che la Terra può rigenerare: da qui a fine 2019 vivremo
- Progetti
a debito, consumando capitale naturale destinato a generazioni
future. All’Overshoot Day si arriva puntualmente ogni anno
SOLLECITAZION
perché la nostra domanda di risorse in un anno supera quanto la I
Terra è in grado di rigenerare per quello stesso periodo di
tempo. Nei prossimi mesi, le nostre esigenze saranno coperte - IN/Arch
attingendo alle riserve non rinnovabili (suolo, foreste, legname, Nazionale
allevamenti, pesce), accumulando emissioni dannose in
atmosfera. SOSTENIBILITA'

Alla fine del 1980 venne scoperto nell’oceano Pacifico un enorme


accumulo di plastica, il Great Pacific Garbage Patch, dalle
dimensioni stimate comprese tra i 700 mila e i 10 milioni di
chilometri quadrati, l’equivalente della penisola iberica o degli
Usa (dal minimo al massimo della stima). Si è formata negli anni
per effetto delle correnti oceaniche che hanno convogliato, al
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centro dei vortici, i rifiuti provenienti dai fiumi. Di queste isole,


attualmente, se ne contano altre quattro, cinque se si considera
quella in formazione nel mare di Barents, alle porte dell’Artico:
un’altra minaccia per i ghiacciai.

Anche l’inquinamento degli oceani è una questione cruciale


per la salute. Infatti, la plastica che galleggia in superficie, nel
tempo, si foto-degrada scomponendosi in micro-particelle, fino a
mischiarsi con lo zooplancton, alla base della catena alimentare
delle creature marine, di cui ci nutriamo.

Ciononostante, c’è chi nega ogni emergenza. Si prestano a farlo


gli stessi scienziati coinvolti dall’industria del tabacco per
screditare le evidenze scientifiche sul cancro da fumo.

Gli iniziatori della corrente negazionista sui cambiamenti


climatici – finanziati dalle aziende petrolifere e rivelati in
“Merchants of Doubts”, il libro di Oreskes e Conway che ha
descritto il complotto – sono stati due fisici americani, Frederick
Seitz e Fred Singer. Seitz, morto nel 2008, è tra coloro che hanno
contribuito alla costruzione della bomba atomica. E anche
Singer, 94enne, nella sua carriera ha ricoperto ruoli di primo
piano nello sviluppo dei satelliti per l’osservazione terrestre con
l’amministrazione Reagan.

A loro, si aggiunge Robert Jastrow, astrofisico scomparso nel


2008, che partecipò ai programmi spaziali e che con Seitz e
Singer formò quella che venne definita “the denial machine”, la
macchina dei negazionisti. Con un gruppo di pseudo esperti,
cooperarono con think tank e corporation private, per diffondere
lo “scetticismo ambientale”.

Oltre il 90% dei loro libri pubblicati negli anni novanta era
collegato a fondazioni di destra e affini. La strategia principale
per diffondere il dubbio consisteva nel far apparire i propri
proclami come affermazioni autorevoli. È stata dimostrata infatti
la creazione di periodici e riviste scientifiche − anche
apparentemente peer review (con revisione alla pari) − nelle
quali i risultati delle ricerche sponsorizzate dall’industria
petrolifera potessero essere considerati lavori indipendenti.

I negazionisti insistono, anche da noi: sedicenti scienziati


sostenuti dalla destra, che hanno co-firmato una lettera all’Onu.
Fanno parte dei 500, tra cattedratici e ricercatori mondiali di

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dubbia fama, con cui contestano i dati e il “catastrofismo” di Greta


Thurnberg. E lamentano, a dire di chi li appoggia, il linciaggio
sociale e un clima da caccia alle streghe contro di loro, perché
non vengono ascoltati. Grottesco quanto scrive a loro difesa
Renato Farina su “Libero” del 25 settembre 2019: «Siccome milioni
di ignoranti affermano in corteo, bloccando i parlamenti, che la
terra è piatta e l’araba fenice esiste (più o meno siamo a questo
punto) allora, essendo molti più dei 500 scienziati, hanno ragione
loro».

Ad accrescere la polemica, con una posizione inopinata e


peraltro ragionevole e stimolante, è stato di recente non uno
scienziato, ma un affermato scrittore americano, Jonathan
Franzen.

Franzen è l’autore americano più celebrato della sua


generazione: appartato in California, scrive romanzi di successo
(cinque tradotti in italiano da Einaudi) – ma è anche un ottimo
saggista – odia i social network, è un ambientalista appassionato
di uccelli, solitamente irascibile e per niente incline ad evitare
polemiche. Ora è riuscito ad attaccare – da sinistra – gli
ecologisti, che chiama “i professionisti del climate change”,
sostenendo che « … fondamentalmente non gliene frega più niente
alla sinistra di combattere il cambiamento climatico, se non per
dare addosso a Trump … ».

Il suo intervento è stato pubblicato l’8 settembre 2019 sul New


Yorker, rivista newyorkese che tratta di politica, questioni
internazionali, scienza, tecnologia, economia e società, tra
cronaca, approfondimenti e reportage, e si distingue per la
qualità della scrittura, grazie al contributo dei migliori giornalisti.
È una testata che ha preferito – secondo una formula che ne ha
fatto il successo – prendere sul serio la cultura ‘low’ e scrivere in
modo popolare di temi di ‘alta cultura’.

Questa è la tesi di Franzen: «Se hai meno di sessant’anni, hai


buone probabilità di assistere alla destabilizzazione radicale della
vita sulla Terra: gravi carenze dei raccolti, incendi apocalittici,
economie che implodono, inondazioni epiche, centinaia di milioni di
rifugiati in fuga da regioni rese inabitabili dal caldo estremo o dalla
siccità permanente. Se hai meno di trent’anni, hai la garanzia che ne
sarai testimone».

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In sostanza, chiede di perdere ogni speranza di fermare i


cambiamenti climatici. Al punto in cui siamo, tutti i paesi del
mondo dovrebbero cambiare subito drasticamente il proprio
stile di vita e le proprie attività: è mai possibile? Ma se il
problema è irrisolvibile, non bisogna scoraggiare le persone ad
impegnarsi ugualmente. «Gli attivisti che lo dicono mi ricordano i
capi religiosi che temono che, senza la promessa di salvezza eterna,
la gente non si preoccuperà di comportarsi bene. Nella mia
esperienza, i non credenti non amano meno il loro prossimo dei
credenti. E così mi chiedo cosa potrebbe accadere se, invece di
negare la realtà, ci dicessimo la verità».

La catastrofe ambientale è ormai inevitabile e sapere che, presto


o tardi, ci attende la fine del mondo potrebbe indurci a trattare
gli altri in modo diverso, ad anticipare quella forma di solidarietà
che sarà necessaria per sopravvivere in un futuro già troppo
vicino. Un «pessimismo costruttivo» quello di Franzen, che
esprime grande (e forse eccessiva) fiducia nella natura umana,
più che nella scienza o nella politica.

Il suo lungo intervento sul New Yorker non poteva però non
scatenare un’ondata di polemiche sui social. Particolarmente
inviperiti gli scienziati ambientalisti, secondo cui «i modelli
previsionali cui fa riferimento Franzen non hanno niente di
scientifico». Oppure, «il fatto che per chiunque scriva e capisca di
cambiamenti climatici sia difficile mandar giù l’intervento di Franzen
è un’indicazione che non dovreste pubblicare un articolo solo perché
scritto da lui». E ancora «lo studio del clima è complicato, ma se devi
scriverne sul New Yorker è meglio farlo con cognizione».

In effetti, alla sconfessione delle loro teorie positive si sostituisce


solo una speranza: è possibile credere, in una società sempre più
disumanizzata, che la consapevolezza della fine del mondo
prossima spinga la gente ad abbracciare “una sorta di
neoumanesimo francescano”? Secondo Franzen sì, a patto che
non si dipinga uno scenario sfrenatamente ottimistico, quando
presto, prestissimo, tra qualche anno, questo apparirà invece
irrealizzabile.

Possiamo accettare questo invito a concentrarci sul presente,


rifiutando il becero negazionismo di chi vuole lo “statu quo”
dell’inquinamento a fini puramente di arricchimento e il
messaggio tranquillizzante di chi ritiene che la scienza giungerà
in tempo a fermare la catastrofe?
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Il messaggio di Franzen è questo. Quando il futuro appare


compromesso, contro il ritorno delle barbarie, la
disponibilità verso il prossimo e il rispetto di quanto ci
circonda sono ancora più determinanti.  Un messaggio che si
può condividere o meno ed io, personalmente, lo condivido.
Anche perché mi ricorda una affermazione indimenticabile di
Antonio Gramsci: “Il pessimismo dell’intelligenza, l’ottimismo della
volontà”.

Nella foto un’opera di Andy Goldsworthy da Flickr.com

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CIRCA L'AUTORE

Ri d B d
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Riccardo Bedrone
Già Professore associato di Urbanistica
presso il Politecnico di Torino, dove ha
svolto gli insegnamenti di “Evoluzione
del pensiero urbanistico” e dell’Atelier “Il
progetto urbanistico”. Docente anche ai
Master del COREP-Politecnico di Torino.
È stato Presidente del Consiglio
dell’Ordine degli Architetti di Torino tra
il 1996 e il 2013 e, inoltre, Presidente
della Federazione regionale degli Ordini
degli Architetti. Ha presieduto la
sezione italiana dell’UIA (Unione
internazionale degli architetti) dal 2005
al 2008 ed è stato Presidente del
Comitato organizzatore del XXIII
Congresso mondiale di architettura
dell’UIA (Torino 2008). Membro del
Comitato Scientifico di IN/Arch
Piemonte.

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