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05/02/22, 23:22 Brasilia, città sognata … e criticata - INARCH Piemonte

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BRASILIA, CITTÀ SOGNATA … E


CRITICATA PROGETTI

Inserito da Riccardo Bedrone | 3 Feb 2020 |


CONOSCERE
SOLLECITAZIONI PER
MODIFICARE

ANTIDOTI

SCANDAGLI

RITRATTI

FARE GLI
ITALIANI
ALL'ESTERO

PREMI
IN/ARCHITETTU
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L’inizio di un decennio si presta a celebrare ogni genere di


Nome
ricorrenze. Per gli architetti, una di queste è il sessantennale
della fondazione di Brasilia, che cade appunto nel 2020 e
verrà ricordato con un programma di iniziative che coinvolgono
soprattutto il paese di cui è la capitale. Cognome

La prima idea di spostarla da Rio de Janeiro sembra si debba al


cartografo e geografo italiano Francesco Tosi Colombina (se ne
MI ISCRIVO
fa cenno nel Trattato di Madrid del 1750), mentre è nel 1822 che
ne viene fatto per la prima volta il nome. Nel 1821 infatti,

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qualche mese prima dell’indipendenza, un uomo di stato CATEGORIE


brasiliano, Bonifacio de Andrade Silva, si propone di raggiungere
un maggior equilibrio territoriale occupando la “frontiera” ARCHITETTURA
dell’enorme spazio conquistato. Impegno inserito nella maggior
parte delle costituzioni brasiliane, specialmente in quella del - Premi
1891 – seguita alla proclamazione della Repubblica del 1889 –
che si poneva come obiettivo positivista un regime “d’ordine e FORMAZIONE
progresso”. E venne ufficialmente designata un’area centrale
dove costruire dal nulla la nuova capitale.
IDEE@
MAGAZINE
L’idea di trasferire il centro politico e amministrativo all’interno
del paese quindi non è nuova. E, nella seconda metà del -
novecento, si concretizza: Brasilia viene inaugurata il 21 aprile Architettura nel
cinema
1960 e diventa immediatamente la nuova capitale federale
del Brasile. Un giorno scelto non a caso, per affermare
ulteriormente l’importanza della scelta: era quello della nascita di - Gocce

Roma e della morte (1792) di Joaquim José da Silva Xavier, meglio


noto come Tiradentes, eroe dell’indipendenza brasiliana - Mattoncini

giustiziato dai portoghesi.


- Occhio
Ma Brasilia è stata anche un sogno secolare. E, come spesso all'Architettura

accade in Brasile, l’idea si afferma a poco a poco in maniera


meno razionale: pochi da noi ma molti in Brasile ricordano che a - Pensieri &
Parole
rafforzarla fu una profezia di Don Bosco, il fondatore dei
Salesiani canonizzato nel 1934, che nel 1883 aveva “visto” la
- Piccolo
creazione di una nuova civiltà e di una nuova città ai bordi di un
dizionario di
lago, fra il 15° ed il 20° parallelo sud. architettese

L’Italia quindi fa parte non marginalmente del mito - Progetti


fondante della capitale: sulla porta del Santuario di Brasilia
dedicato al missionario è raffigurato il sogno che fece. Luigi Colle,
SOLLECITAZION
un giovane, figlio d’un conte, morto l’anno precedente, gli fece I
esplorare nel sonno, a volo d’angelo, tutto il Sud America fino
alla Patagonia. Quando vide “scorrere il latte e il miele” gli indicò - IN/Arch
il luogo ove sarebbe sorta una nuova città del Brasile, appunto a Nazionale
quelle latitudini. E il sogno di don Bosco venne diffuso nel
mondo. Quel luogo fu identificato, il secolo successivo, nel SOSTENIBILITA'
deserto verde del Planalto Central, a 1.000 metri d’altezza e a 900
chilometri da Rio de Janeiro.

Ma come si arrivò a dare corso a questa straordinaria


impresa? Dopo la seconda guerra mondiale la Repubblica
brasiliana, sempre oscillante tra democrazia e dittatura, era
andata incontro ad una grave crisi politica, economica e sociale,
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drammaticamente conclusasi nel 1954 con il suicidio del


presidente Getulio Vargas. Ma il progetto di una nuova capitale
nell’interno del Brasile era stato rilanciato nel 1946 proprio dal
regime di Vargas.

Juscelino Kubitschek, eletto presidente nel 1956, riprese ben


presto l’idea, come promessa di sviluppo industriale – grazie alla
conquista dell’Amazzonia, ai grandi lavori di costruzione di dighe
idroelettriche, di nuove città – prospettando un nuovo Brasile
che avrebbe realizzato il suo destino di “paese del futuro”. Il suo
motto era «Cinquant’anni di progresso economico e sociale
nell’arco di cinque anni».

E così avvenne. In quarantuno mesi fu costruita la parte


essenziale della città, dando forma a un distretto federale
sull’esempio di Washington, impiegando ingenti capitali presi a
prestito e migliaia di contadini poveri del nordest, che lavorarono
giorno e notte per costruirla. Successivamente avrebbero
popolato, purtroppo senza più una adeguata pianificazione, i
dintorni del centro. Ma per Kubischek, il presidente brasiliano
più amato, Brasilia doveva rappresentare il sogno degli utopisti
divenuto realtà. La “città per antonomasia, l’urbanistica realizzata”
sul nulla degli altipiani.

Dopo la sua elezione, affidò al suo vecchio amico Oscar


Niemeyer la direzione per la parte architettonica, iniziando dal
progetto del nuovo palazzo presidenziale (1956-1958).
Kubitschek e Niemeyer si erano conosciuti già negli anni ’40,
quando il primo era governatore di Belo Horizonte e aveva
affidato all’architetto una serie di progetti nell’area di Pampulha.

Nel 1956 iniziò anche il processo che alla fine portò a scegliere il
piano generale dell’urbanista Lucio Costa per Brasilia, la città
simbolo per eccellenza del 20° secolo. Venne progettata con
l’ambizione di creare una nuova capitale basata sui principi del
socialismo che animavano Kubitschek e con il respiro di una
metropoli moderna d’avanguardia, a misura dell’automobile. Fu
costituito l’ente per la costruzione della città, la Novacap (“Nuova
agenzia di urbanizzazione della capitale”) con Niemeyer che,
come principale architetto, negli anni successivi progettò e
costruì quasi tutti i più importanti edifici.

Kubitschek lasciò il potere nel 1961: Brasilia era ormai in gran


parte edificata, ma il Brasile non era molto cambiato e le
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ineguaglianze sociali ancora acute. Il paese aveva conseguito


grandi progressi materiali durante il suo mandato, ma a un
prezzo elevato: il costo della vita e il volume di valuta in
circolazione erano triplicati tra il 1956 e il 1961, mentre il grande
debito estero del Brasile era quasi raddoppiato.

Nel 1964, con un colpo di stato, i militari assunsero il potere e lo


conservarono quasi vent’anni (il cosiddetto “regime dei gorilla”).
Ironia della sorte, Kubitschek e il “comunista” Niemeyer furono
esiliati, Lucio Costa allontanato dal progetto.

Kubitschek intendeva promuovere la nuova capitale per


accelerare l’insediamento e lo sviluppo del vasto interno del
Brasile, ma il prezzo dei suoi ambiziosi sforzi fu anche la crescita
di un’inflazione persistente e rapida, problema aggravato dalla
necessità di impiegare ingenti risorse per sostenere la regione
nord-orientale, afflitta dalla siccità. Eletto al Senato nel 1962,
Kubitschek fu nominato presidente dal Partito socialdemocratico
nel 1964 e poi cacciato. Rientrò in Brasile nel 1967 per diventare
banchiere ma morì dieci anni dopo in un incidente
automobilistico, probabilmente provocato per ucciderlo.

Oltre al presidente, i protagonisti indiscussi di questa avventura


– l’urbanista Lucio Costa, l’architetto Oscar Niemeyer e il pittore
paesaggista Roberto Burle Max – vollero fare con questa
straordinaria esperienza un “discorso architettonico”
rivoluzionario sul potere e la società.

Segno dei tempi, la città è stata costruita quando il petrolio era


abbondante e poco costoso. Nei suoi vasti spazi occorre
spostarsi esclusivamente in autovettura. Ma i prezzi degli affitti
spinsero i meno abbienti verso una serie di insediamenti di
corona che compongono una enorme agglomerazione. I ceti più
ricchi abitano i quartieri residenziali, ovvero il cuore del “piano
pilota” delle supercuadras (quartieri), una combinazione elitaria di
abitazioni, luoghi di incontro e natura.

Già a partire dall’inizio della costruzione di Brasilia nacquero


anche le prime città satellite, come Ceilândia o Taguatinga,
distanti decine di chilometri dal centro del Distretto Federale;
una volta terminata la prima fase, con lo scioglimento del pool di
architetti e la fine del mandato del presidente Kubitschek,
emersero le difficoltà, che confliggevano con l’idealismo
urbanistico: la mancanza di colleganza e di un’identità comune
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dei suoi abitanti, provenienti da varie zone del Brasile, la


notevole distanza dai centri di approvvigionamento (che
produsse l’aumento dei costi) e infine il sovrappopolamento, che
condusse ad uno sviluppo urbano successivo disordinato e
deviante rispetto alle linee guida impostate da Costa e Niemeyer.

L’aumento di popolazione prosegue tuttora e già al compimento


dei suoi 50 anni Brasilia contava 2.570.000 abitanti, con le stime
che parlano di 2.850.000 abitanti (al 2015) per quanto riguarda la
città vera e propria e 4.500.000 abitanti (al 2017) considerandone
tutta la conurbazione. Di fatto, è ormai la quarta città del Paese
dopo São Paulo, Rio de Janeiro e Salvador, che sarà
probabilmente superata nel prossimo censimento.

Oggi Brasilia ha 60 anni: è una città vera, ma anche un centro


attrattivo con molte “gemmazioni” non pianificate, distribuite
disomogeneamente attorno al nucleo originario. La pressione di
queste aree di nuova urbanizzazione impoverisce l’innovativo
disegno iniziale. Lascia l’impressione di visitare una città
futurista, inabitata e senza vita la cui struttura caratteristica è
percepibile ancora oggi solo in volo. Colpiscono in particolare le
imponenti dimensioni spaziali della pianta e le distanze enormi
tra i vari edifici, con grandi vuoti.

La realizzazione di Brasilia, perciò, ha dato lo spunto una serie di


critiche a livello internazionale che hanno mantenuto acceso il
dibattito sulla nuova capitale fino ai giorni nostri. Interessante è
notare come le critiche non coinvolgano soltanto gli architetti e
l’aspetto architettonico ma anche intellettuali di varia formazione
e questioni di carattere sociale, politico ed economico.

Lo storico Bruno Zevi fu tra i primi a esprimere il suo


dissenso: è «città kafkiana», scrisse nel 1958 e «risulterà forse
splendida, ma psicologicamente instabile, darà ai funzionari e agli
abitanti l’impercettibile sensazione di “dover partire”». E appena un
anno dopo il termine dei lavori di costruzione (nel 1961), la
giornalista americana Jane Jacobs sferrò un duro attacco al
Movimento Moderno e ai principi su cui si fondava
esplicitamente Brasilia, come frutto del dialogo continuo tra
Costa, Niemeyer e Le Corbusier.

Anche la filosofa Simone de Beauvoir, che la visitò appena in


augurata (1961) ne deprecava «l’aria di annoiata eleganza, le
strade che non portano da nessuna parte», mentre nel 1964, pochi
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anni dopo la sua ultimazione, David Snyder, docente di geografia


a Yale, disapprovava la rigidità e la staticità dell’impianto urbano
di Costa.

Il rischio – sottolineava Kenneth Frampton nel 1980, ponendo


l’accento sulle diseguaglianze sociali che continuavano a
manifestarsi in Brasilia nonostante la volontà di Kubitschek di
creare una città fondata sui principi di uguaglianza – è quello
«della formazione di periferie urbane dominate dalla
speculazione edilizia e dall’abusivismo, creando uno spazio
urbano fortemente disomogeneo e disordinato».

Analoghe le osservazioni degli architetti Roberto Segre e Sam


Miller che più di recente, nei rispettivi saggi “Arquitectura
brasileira contemporanea” del 2003 e “Brasilia: living in the
shadow of idea” del 2004, sostengono che è ingenuo pensare
che le diseguaglianze di ceto possano essere risolte
semplicemente forzando la coabitazione di gruppi sociali del
tutto differenti.

Per altri versi era stato Paul Goldberger, critico dell’architettura


su New Yorker e Vanity Fair, ad affermare (1999) che «Niemeyer è
ormai fuori del tempo», pur ammettendo che «l’architettura
moderna non può fare città, ma può fare alcuni meravigliosi edifici».
Interessante, poi, è anche la diversa, seppur critica, la lettura
della storica dell’architettura Valerie Fraser, che sottolineava
(2002) «l’ambigua tendenza, da parte del governo brasiliano, a
rinnegare e, al tempo stesso, abbracciare il passato».

Gianni Riotta nell’articolo “L’amore per le curve e l’odio per gli


angoli” (La Stampa del 7.12 .2012), in occasione della scomparsa
di Niemeyer, precisa però che il Novecento ne riconobbe la forza,
seppur in ritardo, citando Frank Gehry: «Niemeyer rimase a lungo
marginale … lavorava lontano, non lo capivamo» e Zaha Hadid: «La
generazione dopo il 1968 era stufa della mentalità del Modernismo:
viali enormi, da parate militari … senza capire che aveva una
mentalità differente».

Solo un architetto e storico dell’architettura come Leonardo


Benevolo, mentre in maggioranza gli osservatori ponevano
l’accento sulle debolezze del progetto, seppe esprimere (nel
1986) un giudizio prevalentemente positivo, esaltando la
freschezza dell’architettura di Brasilia e «l’intenso rapporto che vi

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intercorre tra l’impianto generale e le singole parti del nuovo spazio


urbano».

In conclusione, Brasilia viene oggi considerata un grande


sogno dell’architettura e dell’urbanistica moderna,
realizzato ma anche deludente. Un’opinione diffusa che non
ha impedito a chi il sogno trasmise ai brasiliani, don Bosco, di
essere eletto patrono e festeggiato l’ultima domenica di agosto,
in uno spettacolare santuario a lui dedicato, inondato di luce blu
e realizzato dall’allievo di Niemeyer, Carlos Alberto Naves.

La Cattedrale di Brasilia – foto di Fred Schinke su Flickr

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L’architettura nel cinema: “Il Mattoncini n. 22


cielo sopra Berlino”

CIRCA L'AUTORE

Riccardo Bedrone
Già Professore associato di Urbanistica
presso il Politecnico di Torino, dove ha
svolto gli insegnamenti di “Evoluzione
del pensiero urbanistico” e dell’Atelier “Il
progetto urbanistico”. Docente anche ai
Master del COREP-Politecnico di Torino.
È stato Presidente del Consiglio
dell’Ordine degli Architetti di Torino tra
il 1996 e il 2013 e, inoltre, Presidente
della Federazione regionale degli Ordini
degli Architetti. Ha presieduto la
sezione italiana dell’UIA (Unione
internazionale degli architetti) dal 2005
al 2008 ed è stato Presidente del
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al 2008 ed è stato Presidente del
Comitato organizzatore del XXIII
Congresso mondiale di architettura
dell’UIA (Torino 2008). Membro del
Comitato Scientifico di IN/Arch
Piemonte.

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