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La rappresentazione della città:

ricerche, soluzioni, prototipi


lucia nuti

La soglia dell’anno 1500 può sicuramente essere considerata uno spartiac-


que nella storia dell’iconografia urbana. È infatti esattamente allora che Antonio
Colb chiede al Senato veneziano il privilegio per mettere in vendita a tre fiorini
la monumentale xilografia del ritratto di Venezia.1
L’apparizione sul mercato di un foglio a stampa di tale pregio, da un lato
testimonia che in Italia si è ormai conclusa quella ricerca attorno a un nuovo mo-
do di rappresentazione della città che era iniziata circa due secoli prima; dall’al-
tro imprime un’accelerazione notevole alla diffusione dello stesso e alla fortuna
del ritratto di città come prodotto commerciale.
Alla fine del Duecento la civitas, almeno nella parte centro-settentrionale
delle Penisola, era un organismo ormai sufficientemente maturo e cosciente del-
la propria identità da aver elaborato strumenti efficaci per la sua organizzazione
legislativa e spaziale, per la sua celebrazione retorica, ma non altrettanto per la
sua rappresentazione figurativa, che era ancora tutta da costruire.2 Si muoveva-
no i primi passi in questa direzione, documentati in affreschi, legati indissolubil-

1. Il rinnovato interesse per la xilografia ha Carte e cartografi nel Rinascimento italiano,


iniziato a manifestarsi con la sua riedizione in Modena 1990, pp.13-63). Più recentemente
facsimile (G. Mazzariol, T. Pignatti, La pian- una mostra, organizzata in occasione del re-
ta prospettica di Venezia del 1500, ed. facsimile, stauro delle matrici lignee, ha costituito l’oc-
Venezia 1963). Agli approfonditi studi di casione per una disamina dello stato degli
Juergen Schulz va indubbiamente il merito di studi e per nuovi saggi sull’argomento. Cfr. A
aver riaperto il dibattito: J. Schulz, The Prin- volo d’uccello. Jacopo de’Barbari e le rappresenta-
ted Plans and Panoramic Views of Venice (1486- zioni di città nell’Europa del Rinascimento, Ca-
1797), in Saggi e memorie di storia dell’arte, VII, talogo della mostra, a cura di G. Romanelli,
Firenze 1970, pp.1-182; Id., Jacopo de’ Barba- S. Biadene, C. Balletti e C. Tonini, Venezia
ri’s View of Venice :Map Making, City Views and 1999. Per il rapporto con la contemporanea
Moralized Geography Before the Year 1500, storia urbana cfr. G. Bellavitis, G. Romanelli,
«Art Bullettin», 60 (1978), pp. 67-76, ora tra- Venezia, Bari-Roma 1985.
dotto in Id., La cartografia tra scienza e arte.
4 la città e i suoi limiti

mente agli edifici in cui furono dipinti, dove il tema profano della città è abbina-
to a una presenza sacra, un evangelista, un santo protettore, la Madonna.
Nell’impostare la figurazione gli artisti hanno seguito il sistema composi-
tivo medievale, assegnando alla città un confine convenzionale circolare e dispo-
nendo sul piano di fondo, con una scansione in verticale, i prospetti spesso ge-
nerici degli edifici che vi sono contenuti. A mano a mano che lo schema icono-
grafico di base viene forzato per inserirvi dati caratterizzanti, derivati da un’os-
servazione diretta del vero, entrano nel ritratto gli edifici simbolo, le chiese, i pa-
lazzi civici o più raramente manufatti singolari come le torri degli Asinelli e del-
la Garisenda a Bologna. Molto più tempo richiede l’inserimento dello spazio ur-
bano. Per quanto sia proprio quest’ultimo, come bene pubblico di natura civile,
l’espressione più significativa e tangibile della nuova forma politica che ha trion-
fato nel governo di Comune, gli artisti tardo-medievali non possiedono ancora
nel proprio bagaglio professionale un sistema efficace per la sua restituzione. È
solo alla fine del Trecento che i primi, timidi accenni di strade o piazze entro un
tessuto connettivo di anonime moli edilizie e di emergenze monumentali docu-
mentano la sperimentazione in atto verso questo preciso obiettivo.
A poco a poco le immagini di città si svincolano dall’abbraccio con il luogo
o il soggetto sacro, per allargarsi nell’ambito di codici che contengono opere geo-
grafiche, come quelli quattrocenteschi della ritrovata Geografia di Tolomeo 3 o del
Liber Insularum di Cristoforo Buondelmonti,4 e cominciano a viaggiare e a molti-
plicarsi attraverso le copie, che li ripropongono con leggere varianti nei dettagli.
Questa fase è espressa da una nuova soluzione figurativa che trova la sua
fonte di ispirazione in un prototipo più antico relativo a Roma, d’improvviso
riapparso e rimbalzato in luoghi diversi all’inizio del secolo.5 Nell’intento di re-
stituirne la completezza topografica, la città è descritta in modo sommario, ma
efficace, come un contenitore delimitato da un ampio e basso recinto di mura di
forma non convenzionale. All’interno, in uno spazio indifferenziato e privo di
ogni consistenza metrica, sono disseminati un gran numero di edifici descritti

2. Per un’analisi della rappresentazione dello opera. Per notizie più dettagliate sulle diverse
spazio urbano nel Medioevo e la sua rappre- redazioni del Liber cfr. E. Clutton The “Isola-
sentazione cfr. Lo spazio urbano: realtà e rap- rii.” Buondelmonti’s “Liber Insularum Arcipela-
presentazione, in Arti e storia nel Medioevo, a gi”, in The History of Cartography, I, Carto-
cura di E. Castelnuovo e G. Sergi, Torino graphy in Prehistoric, Ancient and Medieval Eu-
2002, I, a cui rimando anche per la bibliogra- rope and the Mediterranean, a cura di J.B. Har-
fia relativa. ley e D. Woodward, Chicago-Londra 1987.
3. I codici e le loro immagini sono descritti e 5. Cfr. I. Insolera, Roma, Bari 1980, p. 16; S.
commentati in L. Nuti, Ritratti di città, Vene- Maddalo, In Figura Romae. Immagini di Roma
zia 1996, pp. 21-22. nel libro medievale, Roma 1990, pp. 107-134 e
4. Cristoforo, un ecclesiastico appartenente per un’esauriente descrizioni delle immagini
ad una delle famiglie storiche fiorentine, al ri- A.P. Frutaz Le piante di Roma, Roma 1962, I,
torno dai suoi viaggi in Oriente fu accolto dal schede LXXVI, LXXVII, LXXVIII, LXXXI, LXXXVII,
cardinale Giordano Orsini, cui dedicò la sua LXXXVIII, LXXXIX, XC.
la rappresentazione della città: ricerche, soluzioni, prototipi 5

approssimativamente in sintetiche assonometrie, senza alcun rapporto con le di-


mensioni reali e ancorati solo a un vago riferimento di vicinato. Manca tra di es-
si ogni tessuto connettivo.
A metà del Quattrocento sono sicuramente già in circolazione in questo
assetto compositivo le immagini di un buon numero di città significative per il
mondo mediterraneo che i miniatori della bottega di Piero del Massaio inseri-
scono in tre preziosi codici tolemaici: sono Milano, Firenze, Roma, Venezia, Co-
stantinopoli, Damasco, Gerusalemme, Alessandria, Il Cairo, Adrianopoli. Nel
codice più tardo appare anche Volterra.6 Gli stessi soggetti, con qualche aggiun-
ta, compaiono nei cicli murali tardoquattrocenteschi nelle dimore dei principi,
dove l’immagine di città, per la sua novità e crescente fortuna come soggetto fi-
gurativo, va ad occupare gli spazi tradizionalmente riservati alla pittura di pae-
saggio, sostituendo alla mera decorazione occasioni di conoscenza del mondo.7
La Loggia della Villa Belvedere in Vaticano, che negli anni 1484-1487 pa-
pa Innocenzo VIII fece dipingere dal Pinturicchio, ospitava tra le capitali italiane
anche Genova e Napoli, e questo non sorprende dato che si tratta di porti fre-
quentati dai navigatori del Mediterraneo.8 Nella Camera delle Città, voluta da
Francesco II marchese di Mantova nella sua villa a Gonzaga, dopo Costantino-
poli, Roma, Napoli, Firenze, Venezia, Il Cairo e Genova, esisteva nel 1493 an-
cora un posto libero da destinarsi ad una città di terra. Alla fine del secolo Pari-
gi era una richiesta ancora difficile da soddisfare sul mercato italiano, mentre del
Cairo esisteva una veduta nella casa di un privato veneziano coinvolto in amba-
scerie con l’Egitto; quanto a Venezia, una maggior ricchezza iconografica aveva
permesso di sostituire il ritratto del vecchio Jacopo Bellini con un altro più ade-
guato alle richieste del marchese, che sapeva esattamente cosa voleva che vi si ve-
desse: «San Marcho, la piaza, Santo Antonio, San Zorzo, el canale de la Zuecha

6. Questa particolarità ha una spiegazione e lativamente a Gonzaga, M. Bourne, Francesco


un riscontro storico molto preciso. Il codice, II Gonzaga and Maps as Palace Decoration in Re-
destinato a Federico da Montefeltro, veniva naissance Mantua, «Imago Mundi», LI (1999).
completato proprio nel 1472, anno in cui il
8. Alla metà del Quattrocento una riconosci-
condottiero, con un’abile impresa, aveva defi-
bile immagine di Genova comincia a prende-
nitivamente riconquistato la città per i fioren-
re forma anche sulle carte nautiche (E. Po-
tini. Un’analoga veduta di Volterra assediata,
leggi, P. Cevini, Genova, Bari 1981, pp. 76-
in dimensioni molto ridotte, sovrasta il ritrat-
80). Per le immagini di Napoli cfr. C. De Se-
to di Federico da Montefeltro nel codice Urb.
ta, Napoli, Roma-Bari 1981; Id., La fortuna del
Lat. 491 della Biblioteca Apostolica Vaticana,
“ritratto in prospettiva” e l’immagine delle città
contenente l’Historia fiorentina di Poggio
italiane nel Rinascimento, in A volo d’uccello,
Bracciolini che il figlio di Poggio, Jacopo,
cit., e in particolare per la Tavola Strozzi cfr.
aveva donato a Federico proprio nel 1472.
M. Iaccarino, Scheda n. 1, in Iconografia delle
7. Sul tema dei cicli murali cfr. le indicazioni città in Campania. Napoli e i centri della provin-
e la bibliografia contenuti in F. Schulz, La car- cia, a cura di C. De Seta e A. Buccaro, Napo-
tografia tra scienza e arte, cit., pp. 37-39; Fio- li 2006, che riassume i diversi contributi sul
rani, The Marvel of Maps: Art, Cartography and tema dello stesso De Seta e di altri.
Politics in Renaissance Italy, Londra 2005 e, re-
6 la città e i suoi limiti

e quelli altri luochi».9 Purtroppo questi primi cicli non sono sopravvissuti fino ad
oggi. Le testimonianze documentarie suppliscono solo in parte a questa lacuna,
offrendo informazioni sulle modalità di esecuzione e sul rapporto tra commit-
tenti ed esecutori, ma la loro scomparsa esclude ogni possibilità di valutazione
diretta sulla qualità della rappresentazione.
A proposito degli affreschi di Pinturicchio, Vasari commenta che furono
dipinti «alla maniera de’ Fiamminghi»,10 e questo lascia presupporre un punto di
vista distante tanto da consentire un’ampia apertura spaziale, alti orizzonti, im-
mersione nel paesaggio circostante e al tempo stesso cura del dettaglio. Dunque
una soluzione figurativa ben diversa e molto più promettente da quella schema-
tica dei codici tolemaici, e infatti questa fu la direzione imboccata.
Sicuramente nella prima metà del secolo è a Firenze che bisogna guarda-
re come luogo centrale per l’elaborazione e la diffusione di un linguaggio per la
rappresentazione della città. Nelle botteghe fiorentine il principio dell’osserva-
zione diretta del vero si era da tempo affermato come un requisito fondamenta-
le per la pittura nuova, che aveva individuato nel mondo visto il suo primo refe-
rente. Tecniche sofisticate venivano elaborate per ancorare la sua riproduzione a
un sistema che, attraverso la validità scientifica della matematica e della misura,
emulasse il processo «secondo che l’occhio naturalmente vede». I pittori di città
le assimilarono mentre maturava la loro ricerca; così il concetto di globalità del-
la rappresentazione che inseguivano fu profondamente influenzato dalle sugge-
stioni della riscoperta cartografia tolemaica, che sempre a Firenze trovava il suo
centro di diffusione: la globalità si identificava con una visione dall’alto, dove fos-
sero chiaramente leggibili la forma, la distribuzione delle emergenze nello spa-
zio interno e le loro sembianze architettoniche.
E dunque non sorprende che proprio a Firenze si manifesti, presumibil-
mente tra il 1471 e il 1482, la prima completa risposta a queste intenzioni: la ve-
duta di Firenze conosciuta oggi attraverso un’unica copia contemporanea detta
‘della catena’.11 È la prima che si possa definire ‘moderna’, sia per l’uso della tec-

9. Il carteggio è riportato in Schulz, La carto- È una copia presumibilmente fedele di un


grafia tra scienza e arte, cit., pp. 37-39. originale oggi perduto, prodotto tra il 1471 e
il 1482, la cui paternità è stata anche attribui-
10. Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pit-
ta a Francesco Rosselli fiorentino, orafo, mi-
tori scultori e architettori, in Le Opere, con nuo-
niatore, ma soprattutto incisore interessato a
ve annotazioni a commenti di Gaetano Mila-
soggetti geografici. L’attribuzione è basata
nesi, Firenze 1906, III, p. 498. Sugli apporti
sull’inventario del 1528 della bottega del fi-
fiamminghi alla pittura del paesaggio nel pri-
glio Alessandro, editore di carte e mercante,
mo Quattrocento fiorentino cfr. E. Castel-
che elenca una «Firenze in sei fogli rea-
nuovo, Presenze straniere, viaggi di opere, itine-
li». Molto estesa la bibliografia sulla veduta,
rari di artisti, in La pittura in Italia: Il Quattro-
apparsa recentemente in originale o facsimile
cento, II, Milano 1987, pp. 514-523.
in numerose mostre: G. Boffito, A. Mori, Pian-
11. La xilografia in esemplare unico è conserva- te e vedute di Firenze. Studio storico topografico
ta a Berlino, Graphische Sammlung 899/100. cartografico, Roma 1973, pp. 12-22; Th. Fran-
la rappresentazione della città: ricerche, soluzioni, prototipi 7

nica nuova, il foglio a stampa, sia perché, nonostante il ricorso a un confine ar-
tificiosamente circolare come espressione simbolica della perfezione urbana, di-
mostra di padroneggiare perfettamente i principi della pittura nuova e di saper-
li piegare ai propri fini: la veduta è sì frutto di un’osservazione diretta del vero,
ma anche di un artificio. Il punto di vista è collocato sulle colline di Monte Oli-
veto, ma il disegnatore lo ha innalzato notevolmente per assicurare un migliore
controllo della forma complessiva. Ha operato poi una serie di correzioni e
deformazioni prospettiche, in modo che la città appaia come un organismo geo-
metricamente controllato, la cui ossatura portante è fondata su alcuni allinea-
menti di edifici chiave. Le principali emergenze si trovano in posizione corretta,
ma alcune facciate sono state girate verso l’osservatore, o disegnate fuori scala
per renderle maggiormente visibili. D’altra parte, l’Oltrarno è stato fortemente
contratto per disporsi sul foglio in una sorta di simmetria con la parte sinistra, in
modo che la cupola del duomo risulti perfettamente centrale alla città e punto di
riferimento per le numerose emergenze architettoniche. La prima ‘illusione dal
vero’ era stata così costruita, tracciando quella strada per la rappresentazione co-
rografica in senso più ampio che sarebbe stata poi frequentemente descritta co-
me «pittura geometrica».
Lo stesso Giorgio Vasari è orgoglioso di spiegare come si è servito degli
strumenti per dipingere in Palazzo Vecchio la veduta di Firenze sotto l’assedio
del 1530.12 Nel suo lungo e dettagliato resoconto spiccano alcune notazioni chia-
ve: l’osservazione dal vero da un punto di vista alto; l’abilità dell’artificio che gli
ha consentito di superare i limiti imposti dalla visione ‘a occhiate’; la risponden-

genberg, Chorographies of Florence. The Use of Perspective Plan in the Sixteenth Century: The
City Views and City Plans in the Sixteenth Cen- Invention of a Representational Language, «The
tury, «Imago mundi», XLVI (1994), pp. 43-44; Art Bulletin», LXXVI (1994), pp. 7-10; A. Tar-
J. Gadol, Leon Battista Alberti. Universal Man tuferi, Scheda n.8, in Firenze e la sua immagi-
of the Early Renaissance, Chicago-Londra ne, cit.; W. Kreuer, H. Schulze, Firenze. Die
1969, pp. 189-190; Boffito, Mori, Piante e ve- Grosse Ansicht von Florenz... und einem Volfak-
dute di Firenze, cit., pp. 146-150; G. Fanelli, simile nach dem Befund des Originals, Essen-
Firenze architettura e città, Atlante, Firenze Berlino 1998; D. Starkey, Ph. Ward, The In-
1973, p. 67; Id., Firenze, Roma-Bari 1980, pp. ventory of King Henry VIII, Londra 1998;
77-82, 267-268; E. Salvini, Firenze e l’Arno Bourne, Francesco II Gonzaga and Maps, cit.;
nella cartografia, in La città e il fiume, Milano Friedman, Fiorenza: Geography and Represen-
1986, I, pp. 86-87; C. De Seta, Tetti rossi a Na- tation in a Fifteenth Century City View, «Zeit-
poli. Francesco Rosselli e la Tavola Strozzi, schrift fur Kunstgeschichte», Bd. 64, Heft I
«FMR», 75 (1989), pp. 83-91; Schulz, La car- (2001), pp. 55-79; P. Barber, M. Pellettier,
tografia tra scienza e arte, cit., pp.16-17; G. Scheda n. 40, in Segni e Sogni della Terra Il di-
Orefice, Dall’immagine alla misura della città, segno del mondo dal mito di Atlante alla geogra-
in Atlante di Firenze. La forma del centro storico fia delle reti, Novara 2001; L. Nuti, Scheda
in scala 1:1000 nel fotopiano e nella carta nume- X.3.2, in Nel segno di Masaccio. L’invenzione
rica, Venezia-Firenze 1993, pp. 9-13; L. Nuti, della prospettiva, a cura di F. Camerota, Firen-
Scheda n. 7, in Firenze e la sua immagine. ze 2001.
Cinque secoli di vedutismo, a cura di M. Chiari- 12. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, cit.,
ni e A. Marabottini, Venezia 1994; Ead., The VIII,
pp. 173-174.
8 la città e i suoi limiti

za metrica dell’immagine con la realtà per l’uso della pianta da lui stesso rileva-
ta con la bussola. La descrizione di Vasari può essere valida come indicazione a
grandi linee di una prassi ormai consolidata, che lasciava poi di volta in volta al-
l’arbitrio del singolo disegnatore il dosaggio delle due componenti, l’occhio e lo
strumento, nella composizione del quadro d’insieme.
Tornando alla veduta ‘della catena’, un dettaglio interessante che vi s’in-
contra non ha ancora trovato una spiegazione convincente. Sulle colline davanti
alla città un disegnatore è al lavoro con la sua matita, chino sul foglio bianco, su
cui si sta delineando il circuito delle mura così come si vede, finito, nella veduta
grande. La presenza del disegnatore è una delle convenzioni tipiche del mondo
nordico e in special modo fiammingo, che assolve nell’immagine un duplice ruo-
lo: marcare approssimativamente il punto di vista principale e garantire la pre-
senza dell’artista – a volte si tratta di un vero e proprio ritratto riconoscibile che
duplica la firma – sulla scena, città o paesaggio che sia. Della stessa convenzione,
o codice figurativo, fa parte anche questo gioco di ammiccamenti, rimandi incro-
ciati, tra foglio/immagine disegnata e foglio disegnato/disegno dell’immagine
disegnata.13 La xilografia è, come si è detto, una copia. Il dettaglio del disegnato-
re è stato forse aggiunto dall’incisore nella copia, come la stessa catena, o era già
nell’originale? In questo caso la ‘maniera fiamminga’ citata dal Pinturicchio tro-
verebbe un riscontro nella contemporanea composizione della veduta fiorentina.
È proprio sul finire del secolo che l’indiscussa superiorità con cui Firenze aveva
dominato l’elaborazione e il mercato dei prodotti geografici, si oscura di fronte
all’astro nascente di Venezia, dove le officine di stampatori si moltiplicano, la do-
manda si intensifica, la produzione si specializza. Non sorprende perciò che pro-
prio a Venezia sia apparsa nell’anno 1500 quell’immagine guida che ha segnato
la strada maestra per la produzione di ritratti di città per un arco di tempo di un
secolo e mezzo.
Tra la veduta «della catena» e il «vero disegno» di Venezia, separati cro-
nologicamente da pochissimi anni, c’è invece una distanza di fondo circa l’im-
postazione del metodo di rappresentazione. A tutt’oggi le uniche certezze sulla
xilografia riguardano gli aspetti commerciali: l’editore, il costo, il tempo di pre-
parazione, forse indicato appositamente per evitare contestazioni e accuse di
plagio. Niente di definitivo invece sul nome dell’autore, come per la veduta fio-
rentina. L’attuale attribuzione a Jacopo de’ Barbari è piuttosto tarda e non è
neppure certo che l’invenzione del metodo sia stata di colui che poi l’ha porta-
ta a compimento. Quasi sicuramente però l’elaborazione avvenne all’interno del
gruppo di artisti che collaboravano con Colb, ed in esso si trovavano sia Jacopo

13. La casistica è molto vasta. Esempi relati- ch Marine Painting, Leida 1983. Il disegnato-
vi sia a pittura di paesaggio che a vedute di re figura in alcune vedute spagnole di Georg
città sono riportati in M. Russell, Visions of the Hoefnagel e di Anton van den Wyngaerde.
Sea: Hendrick C. Vroom and the Origins of Dut-
la rappresentazione della città: ricerche, soluzioni, prototipi 9

de’ Barbari che Albrecht Dürer, accreditato più volte nel corso del Seicento co-
me l’autore effettivo.14
Appare invece ormai sufficientemente chiaro che la nuova strada di rap-
presentazione urbana aperta e solcata nel corso dei due secoli seguenti dalla mag-
gior parte dei ritratti, grandi o piccoli, dettagliati o sommari, si basava su un par-
ticolare artificio, la costruzione prospettica per pianta e alzato. Nessun manuale
di geometria pratica, tra i numerosi che erano in circolazione a quell’epoca, lo
indica esplicitamente, proprio perché era un sistema pratico ben conosciuto nel-
le botteghe dei pittori e utilizzato nei disegni d’architettura. Per trovarne una
dettagliata spiegazione occorre cercare assai più indietro, in uno dei primi trat-
tati di prospettiva, il De perspectiva pingendi, quando l’autore, Piero della France-
sca, lo applica al disegno di un capitello.15 Per arrivare al capitello scorciato, Pie-
ro non parte dal capitello veduto, ma combina le due rappresentazioni astratte in
cui il capitello è stato scomposto, la pianta e la sezione ortogonale, dopo averle
scorciate in modo adeguato. L’implicazione più significativa di questo procedi-
mento è che segna un distacco dal riferimento iniziale all’oggetto reale da dise-
gnare, la ‘forma della cosa veduta’. Quando infatti Piero insegna a scorciare la
pianta, mette in atto quasi una contraddizione di termini. La pianta infatti non è
un oggetto, né è suscettibile di essere veduta, ma è soltanto una rappresentazio-
ne astratta, la sezione immaginaria della base dell’edificio disegnata in scala, e la
sua resa in prospettiva è un’operazione intellettuale molto sofisticata che porta
un astratto prodotto della mente nel mondo della visione e lo restituisce come
un oggetto realmente percepito. Ne deriva che la stessa operazione potrà essere
eseguita anche quando l’oggetto da riprodurre non sarà davanti agli occhi, né al
momento della sua rappresentazione, né mai, perché fuori dalle potenzialità del-
l’occhio umano. Saranno sufficienti due disegni acquisibili separatamente, una
pianta ed il congruo alzato, per costruire un oggetto riconoscibile come vero al-
la percezione dell’occhio.
Il circolo veneziano di Colb sviluppò l’intuizione di poter applicare il me-
todo ad un oggetto complesso come la città e alla più ambiziosa delle visioni im-
possibili, la sua totalità, dal momento che questa avrebbe implicato un punto di

14. Anche nell’inventario dei materiali nel cursore della geometria proiettiva. Cfr. K.
negozio degli editori De Rossi in Roma nel Andersen, Piero’s Place in the History of De-
1648 si trova segnata, tra i rami di Filippo, scriptive Geometry, in Piero della Francesca tra
una «Venezia grande in legno di Alberto Du- arte e scienza, a cura di M. Dalai Emiliani e
ro». Cfr. F. Consagra The De Rossi Family W.Curzi, Venezia 1996, pp. 364, 371.
Print Publishing Shop: A study in the History of 15. Piero della Francesca, De prospectiva pin-
the Print Industry in Seventeenth-Century Ro- gendi, a cura di G. Nicco Fasola, Firenze
me, Dissertation, The John Hopkins Univer- 1942, pp. 157-160. Per una discussione più
sity, Baltimora 1992, p.514. Dürer aveva la- ampia sul tema rimando a L. Nuti, L’artificio
vorato col medesimo metodo di pianta e alza- del vero ritratto, in Tra oriente e occidente. Città
to applicando una tecnica simile nel suo stu- e iconografia dal XV al XIX secolo, a cura di C. De
dio sulle ombre, tanto da essere ritenuto pre- Seta, Napoli 2004.
10 la città e i suoi limiti

vista alto sul cielo sopra il tessuto edilizio, più alto di quello a cui gli esseri uma-
ni potevano in quel momento aspirare. Proprio dar corpo a questa visione, sogna-
ta fin dalla più remota antichità, fu il fine della nuova forma di rappresentazione
che può coerentemente essere definita come pianta prospettica. La qualifica di
«vero» attribuita dallo stesso Colb al ritratto di Venezia e successivamente per
lungo tempo ai ritratti di città non dipende dall’esatta rispondenza a una realtà to-
pografica, spesso neppure controllabile, spesso consapevolmente violata, ma dal-
la scientificità dell’artificio che garantiva la fedeltà al meccanismo di riproduzio-
ne della visione. La creazione di un proprio punto di vista per la costruzione del-
l’illusione segna dunque una concezione totalmente nuova della rappresentazio-
ne, ben diversa dalla veduta: ha aperto ai ritratti di città le porte di un mondo vir-
tuale, nella cui dimensione vive per primo il ‘vero disegno’ di Venezia.16
Nel panorama dell’abbondante e varia produzione europea che dalla sua
invenzione fu stimolata convivono tuttavia immagini molto diverse per dimen-
sioni, tecnica, qualità del rilievo e del segno, destinazione e scopo, ma pochissi-
mi sono i prodotti in grado di dialogare con il prototipo, sia per le dimensioni
che per l’accuratezza del rilievo. Tra questi è sicuramente la xilografia con cui
Cornelis Anthonisz celebra orgogliosamente la propria città, Amsterdam, defini-
bile così, anche nella vicenda iconografica, come la Venezia del Nord.17 La pre-
senza di Nettuno sopra le nuvole, simbolica esaltazione di Amsterdam come città
di mare, sembra alludere al precedente veneziano, quasi come in una citazione.
L’occhio dell’autore si è tuttavia innalzato di molto sopra la città, sia rispetto a
Venezia sia rispetto al precedente ritratto che lo stesso Anthonisz aveva dipinto
ad olio, agevolando il compito del disegno, perché i blocchi edilizi possono es-
sere posizionati entro i confini degli isolati senza alterare la trama viaria delinea-
ta in pianta. La piatta distesa dei campi stretti e lunghi che circonda la città ce-
de il posto in primo piano all’IJselmeer, dove i velieri sfilano vicini all’osservato-
re, visibili solo grazie a uno scarto prospettico che porta l’occhio molto più in
basso a gustare l’animazione del porto.
Nell’anno 1500 dunque la ricerca di un moderno sistema di rappresenta-
zione della città può, almeno in Italia, considerarsi compiuta, con la messa a pun-
to della veduta dall’alto e della pianta prospettica. Finita la fase dell’invenzione,

16. Sull’abilità degli artisti italiani a sfruttare talogus van Amsterdamsche Plattegronden, Am-
la prospettiva per effetti illusionistici cfr. la sterdam 1934, pp.14-15; J. Elliot, The City in
discussione in M. Kemp, The Science of Art. Maps: Urban Mapping to 1900, Londra 1987,
Optical Themes in Western Art from Brunelle- p.21; J. Mayer, Mapping Past and Present: Leo-
schi to Seurat, New Haven-London 1990. nardo Bufalini’s Plan of Rome (1551), «Imago
17. Alla storia dei ritratti di Amsterdam è de- Mundi», 59 (2007), I, 1991; Nuti, Ritratti di
dicato l’intero capitolo IV in F.J. Dubiez, Cor- città, cit., pp.156-157; B. Bakker, Amsterdam
nelis Anthoniszoon van Amsterdam-zijn leven en nell’immagine degli artisti e dei cartografi,
werken 1507-1533, Amsterdam 1969. Cfr. i 1550-1700, in Città d’Europa. Iconografia e ve-
diversi approcci all’analisi in A.E. d’Ailly, Ca- dutismo dal XV al XIX secolo, Napoli 1996.
la rappresentazione della città: ricerche, soluzioni, prototipi 11

si aprì quella della rielaborazione e adattamento al mercato. Nei decenni che se-
guirono si affinarono le tecniche di rilevamento della planimetria, che della pian-
ta prospettica è la componente di base ma che, indipendentemente da questa, era
stata riscoperta e praticata nel Quattrocento. Il ritorno alla pianta, sofisticata
rappresentazione astratta, ben conosciuta nell’antichità e totalmente abbandona-
ta nel Medioevo, è preparato dalle istruzioni che Leon Battista Alberti ha espo-
sto nella Descriptio Urbis Romae.18
Fu dunque un architetto ad impostare su basi scientifiche il problema del
rilevamento topografico moderno, così come all’inizio del secolo era stato un ar-
chitetto a ‘inventare’ scientificamente la prospettiva. In ambedue i casi si è trat-
tato di un passaggio necessario per mettere a punto gli strumenti di una nuova
scienza, un’architettura che intendeva porsi in relazione armonica con le armo-
niche forme dell’universo ed imparare la lezione degli edifici antichi.
Tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento lo stru-
mento disponibile per operazioni di rilevamento era essenzialmente la bussola,
integrata con l’aggiunta di qualche dispositivo: il suo impiego determinò il me-
todo di rilevamento da punto centrale. Il metodo, descritto prima da Alberti e
poi da Raffaello,19 si incarna perfettamente nella figura di Imola disegnata da
Leonardo da Vinci,20 dove il foglio è scompartito con le direzioni dei venti, co-

18. Per il commento e la traduzione italiana 19. Raffaello, Lettera a Leone X, in R. Bonelli,
della Descriptio cfr. L. Vagnetti, La “Descriptio Lettera a Leone X, in Scritti rinascimentali di Ar-
Urbis Romae”, uno scritto poco noto di L.B. Alber- chitettura, a cura di A. Bruschi, Milano 1978,
ti (contributo alla storia del rilevamento architetto- pp.461-483.
nico e topografico), «Quaderno n.1 dell’Istituto
di Elementi di Architettura e Rilievo dei Mo- 20. Ancora per mano di Leonardo compare il
numenti», Università degli Studi di Genova, riferimento al punto centrale in un foglio del
ottobre 1968,. La composizione è collocabile Codice Atlantico relativo a Milano, dove una
preferibilmente tra il 1445 e il 1455, o in alter- schematica pianta della città è posta in rela-
nativa 1431-1434. Testimonianza di ricerche zione con un sottostante abbozzo di pianta
parallele è la rappresentazione di Vienna, pro- prospettica. Cfr. L. Nuti, Prospettiva e stru-
dotta nel 1421-1422 ma conosciuta tramite menti di misura nella costruzione dei ritratti di
una copia della metà del secolo, conservata a città, in Nel segno di Masaccio. L’invenzione del-
Vienna, Historisches Museum der Stadt la prospettiva, a cura di F. Camerota, Firenze
Wien, I.N.31.018. Cfr. D.B. Durand, The 2001, pp. 271-273. Leonardo Bufalini ha vo-
Vienna Klosterneuburg Map Corpus of the Fif- luto inoltre marcare un centro nella sua pian-
teenth Century: a Study in the Transition from ta di Roma, rappresentando la statua di
Medieval to Modern Science, Leida 1952. Secon- Marc’Aurelio nella piazza del Campidoglio
do Harvey è da considerarsi di derivazione ita- come l’unico monumento in elevazione in un
liana (P.D. Harvey, The History of Topographical contesto completamente bidimensionale. Se
Maps: Symbols, Pictures and Surveys, Londra si tratti di un riferimento puramente simboli-
1980, p. 473). L’aspetto finale, apparentemen- co o di un segno collegato al sistema di rile-
te simile alle immagini dei tre Tolomei di Pie- vamento, è tuttora materia d’interpretazione.
ro del Massaio, gli fu conferito disegnando i Un’accurata indagine sugli strumenti di rile-
prospetti degli edifici in corrispondenza della vamento e la loro utilizzazione per la rappre-
loro collocazione, che però era stata stabilita sentazione urbana è in D. Stroffolino, La città
su base metrica, come testimonia la piccola misurata. Tecniche e strumenti di rilevamento nei
barra graduata posta in fondo al foglio. trattati a stampa del Cinquecento, Roma 1999.
12 la città e i suoi limiti

me prescrive Raffaello; un cerchio esterno alla città, come richiede l’Alberti, de-
finisce la superficie lavorata dall’artista e ricoperta di colore. L’uso di un colore
quanto più possibile vicino alla percezione naturale – il rosso mattone dell’edifi-
cato, l’azzurro delle acque, il giallo verdognolo dei terreni interni, il non colore
degli spazi percorribili, il giallo paglia del territorio racchiuso nel cerchio – fan-
no sì che la città compaia sul foglio come un’immagine reale, messa a fuoco da
una potentissima lente che gli conferisce la leggera velatura della sua trasparen-
za vitrea. L’occhio della lente è in realtà il raggio d’azione dello strumento, che
consente di mettere a fuoco i rapporti metrici dei diversi punti.
Generalmente la pianta non persegue l’illusione, ma non è neppure vinco-
lata ad un’assoluta oggettività nel rapporto col reale, come l’intrinseca natura del
suo codice potrebbe far pensare. Può infatti essere ugualmente usata , e lo fu, co-
me veicolo di sogni o intenzioni, divenendo il principale strumento della proget-
tazione architettonica e urbana. Il grande foglio con la pianta di Pisa sembra es-
sere stato per Giuliano da Sangallo un brogliaccio su cui trasferire appunti, idee,
invenzioni, ancorati a una forma urbana che per qualche anno aveva esplorato.21
Nella Roma di Leonardo Bufalini il ritratto dell’autore e gli strumenti in
un riquadro sul margine inferiore evidenziano l’accuratezza del rilievo, ma la
pianta, espressione di interessi antiquari vivi fin dai tempi dei Mirabilia, fornisce
una lettura diacronica della città, fondendo informazioni sul presente come sul
passato, di cui restituisce in forma completa, e spesso arbitraria, le rovine.22
Con la sua rinuncia a descrivere l’apparenza visibile, la pianta poneva un
ostacolo insuperabile per la sua fortuna come prodotto commerciale in una ci-
viltà che esaltava l’immagine.
Le poche piante che nel Cinquecento vennero incise e diffuse tra un pub-
blico più vasto si ibridarono con elementi appartenenti al mondo della visione.
Augustin Hirschvogel, autore di una pianta di Vienna edita nel 1552, si ricono-
sce pubblicamente debitore ad Archimede per la geometrica facies della città, ma
non rinuncia poi a rappresentare le mura in prospettiva, da punti di vista diver-
si, collocati di volta in volta di fronte a ogni bastione, orientando su di essi an-
che la scrittura.
La pianta prospettica si diffuse a tappeto in tutta Europa. La produzione

21. Per un’ampia discussione sulla pianta ri- si trovano anche all’interno di studi più gene-
mando a L. Nuti, La pianta di Pisa di Giuliano rali: J.A. Pinto, Origins and Development of the
da Sangallo, in corso di stampa. Iconographic City Plan, «Journal of the Society
22. Alla pianta è dedicata un’attenzione spe- of Architectural Historians», XXXV (1976),
cifica in: F.H. Ehrle, Le piante maggiori di Ro- pp. 43-44; Insolera, Roma, cit., pp. 112-122;
ma dei secoli XVI e XVII: Roma al tempo di Giulio Stroffolino, La città misurata, cit., pp. 130-
III. La pianta di Roma di Leonardo Bufalini del 131; M. Bevilacqua, Piante e vedute di Roma
1551, Roma 1911; Frutaz, Le piante di Roma, dall’Umanesimo all’Illuminismo, in Imago Urbis
cit., scheda CIX, e recentemente in Mayer, Romae, l’immagine di Roma in età moderna,
Mapping Past and Present, cit. Considerazioni Roma-Milano 2005, pp. 93-94.
la rappresentazione della città: ricerche, soluzioni, prototipi 13

iniziata con pochi esemplari già nella prima metà del Cinquecento, dilagò nella
seconda metà, vincendo la segretezza di cui i rilievi erano stati circondati, e per
le capitali venne più volte aggiornata. La sua irresistibile ascesa offuscò, anche se
non spense definitivamente, altre ricerche originali che erano in corso sullo stes-
so tema, in particolare nel Nord Europa dove si stava elaborando una soluzione
originale che avrebbe interessato solo marginalmente il mondo italiano: la vedu-
ta in profilo.
Al di là delle Alpi la ricerca per un sistema di rappresentazione della città
nel Quattrocento aveva imboccato una strada diretta all’esplorazione di una
realtà contingente, direttamente accessibile all’occhio umano, con il punto di os-
servazione basso, a livello dell’oggetto rappresentato e ad una certa distanza da
esso, su un orizzonte ampio e aperto, come si può sperimentare sulla distesa ma-
rina. I primi disegni di profili sono infatti rintracciabili nei portolani nordeuro-
pei a partire dalla fine del Quattrocento. Le linee di costa con i loro paesaggi na-
turali o umani si presentano da lontano all’occhio del navigatore come qualcosa
di ancora indistinto, ma già differenziato nella consistenza dalla liquida natura
del mare. La loro immagine distintiva che si materializza sulla linea dell’orizzon-
te è un patrimonio prezioso per il navigatore perché rappresenta la ‘conoscenza’
della terra, cioè la possibilità di determinare la propria posizione e programma-
re le manovre necessarie per fermarsi o proseguire il viaggio. Ed è proprio all’in-
terno di una cultura profondamente legata al mare che la veduta in profilo diven-
ta visione, coerente sistema di percezione della realtà entro il quale organizzare
i dati raccolti dalla vista, soprattutto quando un paesaggio interno di terre piatte
e uniformi, percorribili attraverso canali, consente di mantenere costantemente
lo stesso punto di vista del mare.
Il fattore geografico sembra tuttavia aver rafforzato, piuttosto che deter-
minato, la rappresentazione in profilo. Anche nel paesaggio italiano, pur gene-
ralmente vario e mosso, si trovano città situate all’interno di ampie estensioni di
terre piatte o su coste basse. Di esse, l’italiano abituato a organizzare diversa-
mente i dati della propria percezione non fornirà rappresentazioni in profilo, co-
me invece faranno i disegnatori nordici quando, avvicinandosi alle coste della
Penisola o penetrando nella pianura, non avranno difficoltà a ricondurre il pae-
saggio entro le coordinate della propria cultura visuale. La formula iconografica
della veduta in profilo impone anzitutto un formato allungato, entro cui la rap-
presentazione è scandita per fasce che occupano lo spazio del foglio in propor-
zione variabile. In primo piano la distesa del mare o di campi coltivati che non
offrono alcun ostacolo alla vista, al centro la skyline della città, in alto la fascia del
cielo. Una variante può essere costituita dalla presenza di una fascia di terrafer-
ma in primo piano, dove trovano posto uomini e animali; uno specchio s’inter-
pone tra questa e la la piatta sagoma del corpo urbano da cui si staccano le emer-
genze verticali di imponenti edifici, torri e campanili.
14 la città e i suoi limiti

Dopo le prime sommarie prove nel 1552 appare il ritratto di Norimberga


di Hans Lautensack. A dire il vero, non si tratta di un’unica immagine, ma di due
profili complementari, da Est e da Ovest, nella tradizione dei portolani, dove i
punti cruciali della costa vengono proposti dai diversi possibili punti di approc-
cio. Le immagini sono corredate di un apparato decorativo molto ricco, nastri e
cartigli elaborati in stile manierista; ancora una volta essi contengono la firma
fiamminga: la figura dell’artista al lavoro in primo piano circondato da un grup-
po di curiosi che discutono.23 Tuttavia anche la via nordica alla rappresentazione
della città sembra inseguire un’aspirazione alla totalità, anche se in un diverso
concetto di totalità. Quest’ultima è costretta allora ad accogliere l’artificio, per-
dendo il suo carattere di trasposizione diretta dell’immagine retinale. Al profilo
puro e semplice, contenuto entro i limiti di una striscia sottile e priva di spesso-
re, manca la possibilità di render conto in modo esaustivo dei molteplici dettagli
del corpo complesso della città. Se il punto di vista si avvicina per mettere a fuo-
co i dettagli, l’immagine globale della città si allunga oltre i limiti della percezio-
ne in un’unica occhiata. Molteplici devono essere i punti di osservazione e una
rappresentazione che voglia abbracciare questa totalità potrà essere composta so-
lo attraverso l’accostamento di vedute dettagliate eseguite separatamente. La vi-
sione si dipana allora nel tempo, il tempo di un lento scorrimento dell’osserva-
tore lungo l’oggetto rappresentato.
Già il profilo di Venezia inserito nelle Peregrinationes in Terram Sanctam di
Bernard von Breydenbach nel 1486 24 mostrava i caratteri dell’ibridazione nel
tentativo di coprire l’intera estensione urbana e di rendere il suo carattere di città
lagunare. Perciò, mentre l’arsenale restava fuori, i piani urbani retrostanti, com-
preso il braccio di laguna e i rilievi della terraferma, emergevano slittando in al-
to, del tutto fuori scala, come nei ritratti medievali in prospettiva verticale.
La città che può vantare il maggior numero di testimonianze di questa ico-
nografia di carattere filmico è senza dubbio İstanbul. Spiata per conto dell’Occi-
dente dai pittori che la raggiunsero al seguito delle successive ambascerie, la città
si dispiega nelle loro vedute adagiata sul Bosforo nello splendore di palazzi, mi-
nareti e moschee. L’episodio più spettacolare è il resoconto dettagliato di Mel-
chior Lorichs, un disegno in undici metri, composto da numerosi punti di vista.
Moltissimi sono gli edifici riconoscibili indicati dalle iscrizioni sovrastanti: oltre
alle moschee, sono segnalati palazzi, caravanserragli, colonne, torri di guardia e
porte delle mura, giardini di piacere, imbarcazioni, l’acquedotto, la cisterna. Og-
gi tagliato in sezioni, il disegno era una volta percorribile con un lungo viaggio

23. Cfr. A. Schmitt, Hanns Lautensack, Norim- 24. Cfr. Russell, Visions of the Sea, cit., pp. 29-
berga 1957, pp. 87-88; J. Chipps Smith, Nu- 32; Nuti, Ritratti di città, cit., pp. 91-94; P.
remberg. A Renaissance City, 1500-1618, Austin Falchetta, Scheda n. 5, in A volo d’uccello, cit.
1983, p. 257; Elliot, The City in Maps, cit.,
p. 28; Nuti Scheda n. 22, in A volo d’uccello, cit.
la rappresentazione della città: ricerche, soluzioni, prototipi 15

dello sguardo dai frequentatori della biblioteca di Leida, alla cui parete era ap-
peso in tutta la sua estensione.25
Un’altra soluzione di espansione del profilo verso la totalità è stata elabo-
rata da Anton van den Wyngaerde, il prolifico disegnatore fiammingo che per-
corse molti paesi d’Europa, compresi Italia, Fiandre e Inghilterra, disegnando
città. Nella Spagna, su esplicito incarico di Filippo II, quest’operazione fu esegui-
ta quasi a tappeto.26 Alla prima impressione, le sue vedute non sono distanti dal-
la soluzione italiana, ma il metodo di composizione, documentato da numerosi
disegni preparatori, è totalmento diverso: consiste nell’assemblaggio di disegni
separati, a livello o sopra la città, ma con un’angolazione generalmente abbastan-
za bassa, in cui il profilo occupa ancora un ruolo importante. L’occhio del dise-
gnatore, dilatandosi nel tempo e nello spazio come nel campo di un obiettivo
grandangolare, compiva le sue osservazioni, registrate in una serie di appunti
preparatori: uno schizzo generale approssimativo e schematico della situazione
globale con le principali emergenze, studi sul profilo del primo piano, di gruppi
limitati di edifici o più ampie porzioni urbane, schemi di dettaglio, schizzi di ar-
chitetture o di particolari, non sempre utilizzati. Dalla fusione di questo mate-
riale preparatorio nasceva infine il disegno finale, in cui il tratto della penna an-
dava poi a sovrapporsi all’abbozzo tracciato a matita, ancor oggi chiaramente vi-
sibile in molte parti. Nel quadro è compreso il territorio circostante e possono
così essere fissati i principali riferimenti topografici, mentre gli spazi urbani in-
terni vengono inghiottiti dal tessuto edilizio. La trama minuta e indifferenziata,
restituita attraverso la moltiplicazione di elementi modulari sempre appena fuo-
ri fuoco, appare come un sostrato su cui svettano i palazzi e le chiese, ma soprat-
tutto le torri e gli aguzzi campanili, messi a fuoco con più precisione; la fisiono-
mia della città si delinea allora come nella percezione fiamminga, in un continuo
gioco di contrappunto tra fondo basso e modulazione di note isolate più alte di
molte tonalità. Responsabile del risultato finale è ancora una volta l’artificio: è
solo l’occhio dell’artista che è riuscito a ricucire il tutto in un insieme sicuramen-

25. La veduta fu realizzata dall’artista al se- Bencard e M. Bøgh Rasmussen, 4, The Pro-
guito dell’ambasceria di Augier Ghislain de spect of Constantinople, Copenhagen 2008.
Busbec, probabilmente nella prima metà del
1559, prima che le relazioni dell’ambasciato- 26. La produzione complessiva è stata de-
re col sultano si deteriorassero. Esposto già scritta in M. Galera i Monegal, Antoon van
nel 1597 nella sala di lettura della Biblioteca den Wijngaerde ,pintor de ciudades y de hechos de
di Leida, il disegno fu tagliato nel 1869 in armas en la Europa del Quinientos, Barcellona
ventun sezioni. Cfr. le considerazioni in S. 1998. Per un’analisi critica cfr. E. Haverkamp
Yerasimos, Istanbul au XVIe siècle. Images d’une Begemann, The Spanish Views of Anton van
capitale, in Soliman le Magnifique, Parigi 1990, den Wyngaerde, «Master Drawings», 1, VII
pp. 294-297, con indicazioni sugli studi e bi- (1969); cfr. anche Nuti, Ritratti di città, cit.,
bliografia relativa; Nuti, Ritratti di città, cit., pp. 94-98 e M. Iaccarino, Roma nel XVI secolo.
pp.98-99; ed il recentissimo M. Iuliano, Mel- Le vedute di Anton van den Wyngaerde, in Tra
chior Lorck’s Istanbul in the European Context, Oriente e Occidente. Città e iconografia dal XV al
in Melchior Lorck, a cura di E. Fischer, E.J. XIX secolo, a cura di C. de Seta, Napoli 2004.
16 la città e i suoi limiti

te godibile, ma anche sostanzialmente credibile per quanto riguarda la localizza-


zione e la caratteristica dei principali edifici nel quadro generale, senza ricorre-
re alla costruzione prospettica.
Nell’Europa centrale sembra profilarsi un’ulteriore risposta alla ricerca
della visione globale, la veduta circolare. Si tratta però di una soluzione artificio-
sa e non immediatamente credibile come visione naturale, che ha dato perciò vi-
ta a una produzione molto circoscritta. Attorno alla metà del secolo, a non mol-
ti anni di distanza l’una dall’altra, vengono infatti messe in commercio tre inci-
sioni: nel 1530 Vienna di Hans Beham; nel 1560 Norimberga di anonimo; poco
prima, nel 1548, Strasburgo di Conrad Morant. Per le prime due si può parlare
di schema radiale, usato per esprimere una vera e propria rotazione dello sguar-
do, nel medesimo intento di trasferire in un’unica immagine la conoscenza tota-
le dello spazio osservato. Il punto di osservazione è sufficientemente elevato, ma
interno alla città: in particolare Vienna è ritratta durante l’assedio come si vede-
va dall’alta torre di Santo Stefano.27 La terza, Strasburgo, propone l’unicum del-
la veduta ad occhio di pesce, in proiezione centrifuga.28 L’immagine si dispone in
una rotazione circolare attorno alla cattedrale che emerge dal fondo sia perché
restituita in dimensioni maggiori, sia perché il prospetto della facciata occiden-
tale è incollato sulla carta, in modo da consentire un illusorio effetto tridimen-
sionale. La descrizione degli edifici procede dal centro verso la periferia in una
progressiva riduzione di dimensioni e dettagli.
Le vedute circolari sembrano anticipare l'avventura di una figurazione a
sviluppo continuo, le cui potenzialità saranno poi dispiegate nel modo più spet-
tacolare dal ‘panorama’ ottocentesco, vera e propria simulazione di un viaggio
dello sguardo dell'osservatore attorno al suo orizzonte. Nella varietà delle ricer-
che e delle soluzioni elaborate nel Rinascimento per la rappresentazione della
città emerge alla fine come comune denominatore la volontà di restituzione del
vero, nel miraggio di una visione totale ed esaustiva, illusione che non può che
essere perseguita attraverso l’artificio. Il vero e la sua illusione visuale sono i due
estremi entra cui ogni artista, ogni immagine cerca la propria strada.

27. La xilografia di Vienna durante l’assedio karten von Franken, Norimberga 1940-1941,
come si vedeva «dall’alta torre di S. Stefano», I, bl. 2.
1530, è stata attribuita a Hans S. Beham o
Niklas Meldemann, ma è probabile che que- 28. L’unico esemplare conosciuto della vedu-
st’ultimo sia stato solo stampatore ed editore ta di Strasburgo, intagliata dallo sconosciuto
(cfr. K. Fischer, Die kartographische Darstel- monogrammista M:H, è conservato a Norim-
lung Wiens bis zur Zweiten Türkenbelagerung, berga, Germanisches Nationalmuseum, Inv.
in Das ist stat Wiên, «Wiener Geschichtsblät- n. SP3224, Kapsel 1055; cfr. Schulz, La carto-
ter», IV (1995), pp. 12-15). Per Norimberga grafia tra scienza e arte, cit., pp. 11-12, 41; S.
di anonimo del 1560, cfr. L. Wittmann, Land- Biadene, Scheda n. 25, in A volo d’uccello, cit.

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