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Cerimonie di passaggio: cerimonia funebre e matrimoniale

Si tratta di riti necessari, obbligatori nel momento in cui si presentano le circostanze (Naimittaka),
che giungono a noi fino ad oggi, nell’India contemporanea.
Rito funebre, Antyeṣṭi
Yama: Ṛgveda X,14 (pag. 791)
Gli inni 14-18 del X maṇḍala sono inni funerari, utili per conoscere alcuni elementi del rituale
vedico più antico. Sappiamo che i corpi venivano generalmente cremati: solo l’asceta che aveva
ormai raggiunto la perfezione veniva sepolto seduto nell’atto di meditare. Il cadavere era portato
all’altro mondo da Agni, il fuoco (cremazione) che doveva anche guarirlo da ogni danno che
animali o insetti gli avessero procurato. Prima che la pira venisse accesa, la vedova1 si sdraiava
accanto al marito defunto fino a che non veniva invitata a rialzarsi. Anche l’arco e le frecce, che gli
erano stati posti vicino, venivano presi, spezzati e gettati sul rogo insieme agli utensili sacrificali
che il morto aveva usato durante la vita. Passando attraverso il cammino tracciato dagli antenati, il
morto giungeva al regno della luce e si univa nel cielo più alto con Yama e i Padri.
1. “Colui che ha scalato le possenti erte, tracciando così un sentiero da seguire per molti 2, il
figlio di Vivasvat, il radunatore di uomini, Yama, il Re, noi veneriamo con offerte”.
Yama è un personaggio mitico presente anche nella mitologia hindu purāṇica3. Come spesso accade
per i personaggi Ṛgvedici, i loro tratti cambiano nei Purāṇa. Yama nel Veda, è figlio di Vivasvat,
divinità solare, il sole stesso. Pur essendo figlio di una divinità (lo sappiamo tramite cenni, perché il
Ṛgveda non ci presenta mai delle narrazioni mitologiche a tutto tondo) solare, è un uomo! Non si fa
mai riferimento a Yama come una divinità. Lo diventerà in seguito nella mitologia purāṇica. Yama
è chiamato il Re, e trova la via verso il cielo/il paradiso. I “pascoli del paradiso” sono quelli che
nessuno può sottrarre agli uomini. Mentre le terre di questo mondo potevano essere perdute in
battaglia o potevano essere cancellate da alluvioni, questi pascoli non possono essere portati via. Il
cammino verrà seguito poi dai Pitṛ4, e dagli uomini dopo la morte se intendono giungere allo
svarga. Destinazione meglio raggiunta se si compiono i corretti gesti rituali, e se Yama viene
venerato con offerte. “Le possenti erte”, rappresentano quel cammino in salita, che da questa terra
porta al cielo. Cos’è che differenzia questo inno dagli altri? E sempre dedicato a un personaggio
vedico. Viene introdotto il rito funebre, che non è un rito solenne, ma un rito domestico (Gṛhya).
2. “Yama fu il primo a trovare per noi una via, i pascoli che nessuno ci sottrarrà. Il cammino
che intrapresero i nostri antichi Padri tutti i mortali, una volta nati, devono percorrere da
sé”.
3. “Mātali rafforzato dai Kāvya, Yama dagli Aṅgiras, Bṛhaspati dagli ṛ́kvat, e quelli che gli
dèi hanno rafforzato (quelli che gli dèi lodano, i cantori mitici) e quelli che hanno rafforzato
gli dèi (quelli che lodano gli dèi, i cantori umani) esultano, alcuni per il grido svāhā5, altri
per l’offerta funebre”. Mātali è l’auriga di Indra, e ne guida il cocchio. Bṛhaspati è il

1
La pratica della sati, la cremazione della moglie insieme al marito defunto, appare più tardi tra le usanze funerarie
indiane.
2
Yama fu il primo mortale a raggiungere l’altro mondo, e ha aperto la strada a tutti gli altri che sono morti
successivamente.
3
Purāṇa grandi enciclopedie dell’induismo, compilati a partire dal VI secolo d.C.
4
Pitṛ in contesto purāṇico non fa necessariamente riferimento ad antenati molto lontani.
5
Del grido svāhā, lanciato dal sacerdote celebrante nell’offrire le oblazioni, gioiscono gli dèi, dell’offerta funebre
gioiscono coloro che sono trapassati.
sacerdote degli dei. Come il re umano ha sempre un sacerdote/brahmano reale che si occupa
delle sue necessità rituali, anche il re degli dei ha necessità di un brahmano.
4. (invocazione a Yama) “Prendi il tuo posto, o Yama, sull’erba sacra (l’altare deve essere
ricoperto da un erba specifica), insieme con i sacerdoti dell’antichità (Aṅgiras) e con i
Padri. Possano le preghiere dei saggi portarti qui! O re, rallegrati di questa oblazione!”. Nel
rito domestico non si offre il soma, ma altri cibi. Il rito serve a trasformare il defunto in un
Pitṛ. Il defunto deve trovare da solo il sentiero, ma secondo la prassi non può farlo da solo,
ragion per cui è necessario il rito funebre. Sappiamo dalla mitologia più tarda che il defunto
che non è riuscito a giungere al suo posto vicino agli antenati e agli dèi diviene un’entità
malvagia. Rimane sulla terra, in sospeso, da un lato tormentato da esseri infernali e
demoniaci, che lo cercano/cacciano costantemente, dall’altro egli stesso tormenta gli esseri
umani, in particolare i suoi familiari (che avevano l’onere della celebrazione dei riti funebri,
che avrebbero dovuto portarlo nel mondo dei Pitṛ); diverrà un catalizzatore di
sfortuna/sciagura per tutta la comunità.
5. “Vieni o Yama, con i sacri sacerdoti dell’antichità (Aṅgiras)! Qui, insieme con i Vairūpa
(figli di Virūpa6), esulta! Seduto sulla sacra erba sacrificale, io invoco anche Vivasvat, tuo
padre”.
6. Possano i sacerdoti dell’antichità, i nostri Padri, i Navagva, gli Atharvan e i Bhṛgu, tutti
degni di soma, guardare a noi con benevolenza-essi degni di venerazione e mantenerci
sempre nella loro grazia e favore! (antenati mitici dei brahmani).
7. “Procedi, procedi per gli antichi cammini per i quali passarono i nostri antichi padri. Vedrai
entrambi quei re che gioiscono dell’offerta funebre, Yama e Varuṇa”. L’ultima benedizione
al defunto: percorso dove il defunto incontra Varuṇa, collegato all’aldilà e ai defunti e al
giudizio, il dio dei nodi, che somministra le punizioni. Ha aspetti terrifici e a volte è definito
non deva, ma asura. È un dio che interviene durante il percorso del defunto e lo ferma se non
è degno di raggiungere i Padri. Una funzione simile ha Yama, e con il passare dei secoli
diventerà sempre più tipica. Nei Purāṇa diventerà il dio dei morti, che giudica. È affiancato
da un segretario, Citragupta, il quale custodisce i libri su cui sono scritte le azioni dei
defunti! Quando un defunto giunge di fronte a lui, Yama ordina a Citragupta di leggere le
azioni del defunto e in base ad esse lo giudica, decidendo se il defunto deve essere relegato
in un inferno (da cui tornerà comunque, seppure dopo molto tempo) o se può raggiungere il
paradiso. Il paradiso e l’inferno sono temporanei, secondo la dottrina della rinascita. O
meglio, la dottrina della rinascita convive con la dottrina vedica del paradiso eterno. Sta alla
credenza individuare il prevalere dell’una o dell’altra. Il motivo del ritorno su questa terra, la
seconda morte (che accade in cielo) fa sì che il defunto torni sulla terra. Nel Veda il, tema
della seconda morte ancora non c’è. Infine, vengono celebrate ritualmente delle offerte a
Varuṇa e Yama.
8. “Unisciti ai padri, unisciti a Yama nel più alto dei cieli grazie ai sacrifici e alle tue offerte.
Avendo abbandonato ogni difetto, torna di nuovo a casa (presso i padri): pieno di nuovo
vigore, riunisciti al tuo corpo7”. L’anima incontra nel cielo supremo Yama e gli antenati.
Secondo la cosmologia vedica ci sono due cieli: il cielo che possiamo vedere, nel quale si
trovano il sole, la luna e gli altri astri, e sopra questo lo svarga, il cielo di luce, dimora degli
dei, degli antenati e dei defunti. Sia nel veda che nella mitologia vedica si parla dei tre
mondi (trivarga), salvo che nella cosmologia vedica i tre mondi sono la terra, il cielo, e il
cielo superiore (svarga). Nei Purāṇa sono gli inferi, la terra e il cielo. Nel cielo supremo il

6
Personaggio mitico, adoratore di Agni. Si tratta di un discendente di Aṅgiras a cui sono attribuiti certi inni del Ṛgveda.
7
Dopo la morte, l’uomo si riunisce col corpo purificato da ogni imperfezione.
defunto è accompagnato dalle sue offerte (rituali, quindi karman) e dalle sue azioni (buone
azioni) dottrina del karman, il karman lo porto con me; le azioni determinano delle
conseguenze. Il defunto lungo il percorso viene fermato da Varuṇa se il karman è cattivo e
non va da nessuna parte. Reale differenza tra il nostro mondo e il cielo: il defunto lì è libero
da imperfezioni e assume un corpo! I defunti non sono incorporei, ma il loro corpo è
incorruttibile, splendente di gloria, eterno.
9. Un altro elemento di straordinaria importanza del rito, che ritroviamo nella mitologia e
ritualità successiva è la strofa che si rivolge agli asura. “via di qui spiriti! Andatevene,
infuriate altrove! Per lui i Padri han preparato questo luogo. Yama gli concederà un luogo di
riposo, dove giorni e notti ruotano e le acque scorrono (uno dei marchi della presenza della
civiltà umana)”. Il morto corre sempre il rischio di essere cacciato da entità demoniache.
Queste possono ostacolarlo sulla via del paradiso e vanno perciò esorcizzate (“via di qui
spiriti!”) Possono essere gli spiriti degli uomini per quali non sono stati celebrati i riti
funebri, o per i quali non sono stati celebrati correttamente. Il mondo di là è un luogo di
riposo, dove esiste il tempo (i giorni e notti si alternano e le acque scorrono), ma non esiste
la morte.
10. (al defunto) “Affrettati sul tuo sentiero felice, superando i due cani imbrigliati (maculati);
ciascuno con quattro occhi, figli del messaggero di Indra (Saramā). Poi avvicina i benevoli
Padri che si rallegrano in compagnia di Yama”. Prova iniziatica: il sentiero verso l’aldilà è
custodito da due guardiani, di forma terrifica, i cani figli della cagna di Indra (“figli del
messaggero di Indra) sua messaggera. I cani hanno una duplice funzione: custodiscono il
sentiero verso il paradiso (svarga), e allo stesso tempo perseguitano/cacciano/sbranano le
anime dei defunti per i quali non sono stati celebrati i riti o non sono stati celebrati
correttamente. Lo vedremo anche in rappresentazioni recenti, che fanno riferimento alla
mitologia purāṇica: i preta, gli spettri, le anime dei defunti per i quali non sono stati
celebrati i riti funebri, tormentano i vivi e sono a loro volta tormentate dai cani demoniaci
con quattro occhi, che li sbranano. Ma i loro corpi non si esauriscono, quindi il tormento è
pressoché interminabile. Termina solo quando l’universo viene riassorbito dalla divinità, e la
storia ricomincia.
11. (A Yama) “Mettilo, o Re, sotto la protezione (le strofe si rivolgono a vari personaggi) dei
tuoi due cani, ciascuno con quattro occhi, i guardiani e custodi della via, che osservano gli
uomini. Conferisci a lui felicità e benessere”.
12. “Possa la coppia dal largo naso e dalla pelle scura, i predatori della vita, i messaggeri di
Yama che inseguono gli uomini (i cani di Yama), restituirci, a nostra fortuna, lo spirito
vitale perché possiamo vedere il sole”. Secondo l’escatologia vedica il paradiso va meritato,
ovvero i riti funebri non sono sufficienti. In una visione più moderna i riti funebri sono
sufficienti perché cancellano i peccati. Nella visione vedica no. Il paradiso va meritato, e
coloro che non l’hanno meritato vengono cacciati dai cani infernali di Yama 8. Il destino
dell’aldilà dell’uomo dipende dalla corretta esecuzione dei riti funebri, ma dipende anche
dalla virtù della donna. L’uomo ascende al paradiso se la moglie è virtuosa. Se non è così,
nessuno dei due ascende al paradiso. La donna è responsabile quindi del proprio destino e di
quello del marito. Se il marito muore prima della donna, e se la donna è ancora fertile, per

8
La tradizione non ci dice cosa succeda effettivamente al defunto che non viene reputato degno di accedere al paradiso.
Il Veda lascia intuire che le anime ritenute indegne scompaiono. Questa concezione cambia radicalmente, anche se i
personaggi rimangono gli stessi (Varuṇa, Yama e i suoi cani), in epoca purāṇica: il soggetto non scompare, ma sarà
destinato a rinascere incessantemente, finché durante la vita umana (e solo durante la vita umana) accumulerà il merito
(puṇya) necessario a raggiungere o il paradiso o la liberazione (Mokṣa). Sono due idee che coincidono, anche se
apparentemente inconciliabili. Non è richiesta una coerenza assoluta.
garantire della sua virtù, la donna può decidere (apparentemente) di sacrificarsi sulla pira del
marito (sati). Con quel gesto garantisce l’aldilà a sé stessa e al marito. È un tipo di ritualità
in cui la concezione di rinascita non ha spazio. I riti funebri celebrati dai familiari, cui
spetta, nel caso dell’uomo sono sufficienti perché l’uomo segua il percorso e ascenda al
cielo. Diverso dall’idea secondo cui il destino è individuale e dipende esclusivamente dalle
proprie azioni, ma i riti si fanno lo stesso. Indipendentemente da ciò che uno crede
sull’aldilà, i riti si fanno lo stesso!
13. (Ai sacerdoti) “Per Yama spremete il succo del soma, a Yama offrite il sacrificio. Verso
Yama esso sale, un’offerta perfetta con Agni come araldo/messaggero che lo precede”. C’è
un riferimento al soma, ma da un certo punto in poi nei riti funebri il soma non verrà più
utilizzato. L’offerta del soma è il modello di tutti i riti sacrificali.
14. “Presentate a Yama un’offerta ricca di burro chiarificato; venite avanti e prendete i vostri
posti. Possa egli condurci agli dei, così che in mezzo a loro possiamo vivere per sempre!”.
15. “A Yama, il re, versate la più dolce oblazione. Omaggio sia ora ai veggenti nati per primi,
agli antichi preparatori del cammino”.
16. “Il soma vola attraverso recipienti formati da tre legni. I sei ampi spazi, l’unico grande
universo, la Triṣṭubh9, Gāyatrī10 e gli altri metri, tutti sono posti in Yama”.
Il significato complessivo di questa strofa è oscuro: probabilmente, come in altri inni, la
strofa conclusiva serve a sintetizzare la grandezza del dio a cui è rivolto l’inno, con
l’affermazione che questi circonda tutte le cose. I recipienti formati da tre legni sono quelli
nei quali, dopo la spremitura, viene versato il soma, paragonato a un uccello che vola. I sei
spazi sono probabilmente i tre cieli e le tre terre che insieme formano un sestuplice ordine;
al numero sei si oppone l’unità dell’universo.
Rito matrimoniale, Vivāha
RV X, 85, 20-47 Sūrya-vivāha (nome della cerimonia matrimoniale, rimasto anche nelle lingue
indiane moderne) è un rito che diventerà centrale nella vita dello hindu. Il matrimonio che fa da
modello a quello umano è quello di Sūryā, la sposa del sole (grammaticalmente il femminile di
Sūrya) con Soma, sostanza sacrificale centrale nella ritualità vedica e luna.
1. “Sali o Sūryā, su questo carro color d’oro, foggiato dalle multiformi tavole di legno,
Kiṃsuka e Śalmali (due alberi il cui legno viene utilizzato per costruire i carri), dalle forti
ruote, che avanza tranquillo. Avanti, verso il mondo immortale! Prepara per il tuo sposo un
felice viaggio di nozze!”. Già qui, ma poi anche nella visione hindu successiva, il legame fra
gli sposi è visto come indissolubile, anche dopo la morte. “Mondo immortale” fa riferimento
anche all’indissolubilità del legame11. È però un’idea che risulta incoerente con il ciclo delle
rinascite, e il concetto secondo cui il destino è individuale. Si tratta di un rito matrimoniale,
in cui la protagonista è la sposa! Nell’India purāṇica e tardo purāṇica la donna è sempre
vista come un’appendice, prima della famiglia paterna, poi dello sposo, ma nel mondo
9
triṣṭubh è il metro più diffuso del Ṛgveda, che rappresenta circa il 40% dei suoi versi. La triṣṭubh pada è una strofa di
quattro versi e undici sillabe e contiene una "pausa" o cesura, dopo quattro o cinque sillabe, necessariamente al limite di
una parola e, se possibile, a una pausa sintattica, seguita da tre o due brevi sillabe. Ad esempio RV 2.3.1: a sámiddho
agnír níhitaḥ pṛthivyâm b pratyáṅ víśvāni bhúvanāniy asthāt c hótā pāvakáḥ pradívaḥ sumedhâ d devó devân yajatuv
agnír árhan "Agni è posto sulla terra benestante, il dio / lui è ben presente. Purificatore / lascia che Agni serva gli dei
perché è degno ".
10
Il metro vedico più corto e sacro è il metro Gāyatrī. Una strofa consiste di tre versi di otto sillabe.
11
In India ci sono stele (Maharashtra e Rajasthan) che fanno riferimento a questa indissolubilità: uomo e donna nel
paradiso in abhayamudra. Sono erette nel luogo in cui si è celebrata la sati, ovvero l’immolazione della vedova.
Quest’ultima fa sì che sia lo sposo, che la sposa raggiungano assieme il paradiso degli antenati, a cui alcuni testi fanno
riferimento con “il paradiso dello sposo”.
vedico non è così. Secondo il Dharmaśāstra, la donna non è soggetta di diritto. Le leggi si
rivolgono solo ai soggetti di diritto, ovvero i maschi adulti. La donna secondo la legge
tradizionale è prima proprietà del padre, poi dei fratelli maschi, e dopo il matrimonio
proprietà del marito. Non è cosi in epoca vedica, e si vede bene in queste strofe.
2. (21) “Questa donna ha uno sposo. Va’ cercane un’altra, una ragazza nella casa paterna
matura per le nozze- così mi rivolsi nel canto a Viśvāvasu e realizza così il compito a te
assegnato”. Ci si rivolge a Viśvāvasu, un semidio, noto anche come Gandharva12, custode
della donna finché questa non si sposa (Custode della verginità).
3. (22) “Sorgi di qua, Viśvāvasu! Noi ora ti trattiamo con il dovuto rispetto. Cerca un’altra
ragazza disponibile e lascia la sposa sola con lo sposo”.
4. (23) “Diritto e senza spine il sentiero, quello sul quale viaggeranno i nostri amici per
presentare il nostro vestito” (veste nuziale, elemento centrale nel rito domestico). Possano
Aryaman e Bhaga13 condurci assieme! Possa il cielo concederci uno stabile matrimonio!”.
I riti domestici fanno uso di questi versi, ma la loro codifica è posteriore, a dimostrazione
che non necessariamente il rito coincide con il rito che troviamo descritto nei Gṛhyasūtra,
dedicati ai rituali domestici. I rituali di passaggio, che la tradizione indiana chiama
Saṃskāra, sono dipinti come sentieri da percorrere, in quanto richiedono una progressione.
5. “Io ti libero ora dalle catene di Varuṇa con le quali il gentile Savitṛ ti ha protetta. Incolume
in seno all’Ordine14 io ti pongo, insieme al tuo sposo, nel mondo della bontà15”. Anche
Varuṇa protegge la sposa, rendendola inaccessibile, insieme a Savitṛ, a volte assimilato a
Sūrya, a volte distinto da esso. Il matrimonio la pone dentro l’ordine (“Incolume in seno
all’Ordine io ti pongo”), che corrisponde all’armonia universale (Ṛta). Fase in cui la sposa
partecipa in qualche misura delle forze incontrollate della natura, e ha bisogno di essere
custodita (sia la sua verginità, sia perché è un pericolo per Ṛta). Donna non ancora sposata
non parte dell’Ordine sociale tornerà come tema successivamente nella cultura hindu.
6. (25, parla Varuṇa) “Io libero lei da questo nodo, non da quell’altro nel quale l’ho ora ben
legata e fedelmente, in modo che, dando vita a bei figli, possa ella vivere in felicità, o
generoso Indra!”. È protetta successivamente dal nodo del matrimonio.
7. (26) “Possa il Previdente (Puṣan16) guidarti, tenendoti per mano! Possano i due Aśvin
traportarti sul loro carro! Entra nella tua casa come padrona della famiglia! Possano le tue
parole essere sempre autorevoli!” Come accade per il soggetto maschio al raggiungimento
della maturità.
8. (27) “Possa attenderti la felicità, insieme coi tuoi bambini! Veglia su questa casa come
padrona di casa. […] Così l’autorevolezza nella parola sarà tua fino alla vecchiaia”. Nella
tradizione vedica più antica la donna è posta sullo stesso piano di autorevolezza dell’uomo.
Le funzioni sono diverse, ma comunque non costituisce l’appendice come nell’induismo. Un
verso della Manusmṛti (raccolta giuridica in senso ampio), il codice giuridico di Manu
(progenitore mitico della specie umana) recita: “donna, il tuo nome è tradimento”.
9. (28) Blu e rosso17 è il segno magico che fa unire così intimamente. I parenti della sposa
prosperano; lo sposo è legato con i vincoli18.

12
I Gandharva diventeranno successivamente i musici celesti
13
Aryaman e Bhaga sono divinità caratteristiche degli Arya, divinità solari, collegate alla prosperità.
14
Ṛtasya yonau
15
Sukṛtasya loke
16
Alimentatore di tutti gli esseri, dalla radice puṣ “nutrire”
17
Riferimento al sangue mestruale
18
Patir bandheṣu badhyate
10. Getta via la veste sporca! Distribuisci il tesoro fra i sacerdoti! Questo segno magico,
mettendo i piedi, s’avvicina allo sposo in veste di sposa!
11. Orribile il suo corpo, di livido colore, se con malvagie intenzioni lo sposo copre il suo
membro con la veste della sposa.
12. Le malattie che appartengono alla sua gente e seguono nella scia della processione nuziale-
queste possano gli Dei venerabili scacciare da qui al luogo dal quale provengono!
13. Possano coloro che si nascondono per sbarrare la strada non trovare la coppia nuziale che se
ne va! Possano essi scampare ogni pericolo su ameni sentieri! Possano tutti i malevoli
fuggire!
14. Segni di buona fortuna19 attendono la sposa. Radunatevi tutti insieme, per vederla!
Auguratele felicità e ritornate alle vostre case!
15. È di odore pungente, tagliente, pieno di aculei. Sembra veleno, inadatto come cibo. Solo
colui che conosce l’inno di Sūrya è degno di prendere la veste nuziale.
16. Ora è tagliato, spaccato e diviso! Guardate i meravigliosi colori di Sūryā! Solo il sacerdote
può purificare questi.
17. Prendo la tua mano nelle mie per la felicità, che tu possa raggiungere la vecchiaia come me
tuo marito. Bhaga, Savitṛ, Aryaman, Purandhi, hanno concesso che tu sia la padrona della
mia casa.
18. Destala o previdente, questa sposa dai molti incanti, nella quale, come in un campo (kśetra),
gli uomini deposero il seme. Fa’ ch’ella, desiderosa, allarghi le cosce, che noi desiderosi,
possiamo inserire il membro.
19. A te essi portano, per primo, in processione nuziale, questa Sūryā, guidando i suoi passi in
circoli. Ora restituiscila, o Agni, a suo marito, come retta moglie, e concedile figli.
20. Agni ora ha restituito la sposa dotata di splendore e lunga vita. Possa ella vivere una lunga
serie di giorni e possa il suo sposo vivere cento autunni!
21. Questa donna fu per prima acquisita da Soma. In seguito il Gandharva fu suo guardiano.
Ad Agni, per terzo, fu ella presentata in matrimonio. Il suo quarto marito è un nato da
donna.
22. Così Soma la passò al Gandharva e questi a sua volta la presentò ad Agni. Agni mi ha
donato ricchezza e figli; è lui che mi ha donato questa mia sposa.
23. Dimora in questa casa; non separartene mai! Godi l’intera durata dei tuoi giorni, con figli e
nipoti che giocano fino alla fine, e gioisci nella tua casa a tuo piacere.
24. Possa Prajāpati20 concederci una discendenza, Aryaman ci mantenga fino alla morte in
sacro matrimonio! Libera da nefasti presagi, entra nella casa del tuo sposo. Porta
benedizione a uomini e armenti.
25. Libera da malocchio, non nociva al tuo sposo, gentile verso le ottuse bestie, raggiante, dal
cuore gentile; amabile, amata dagli Dei, genera eroi. A uomini bestie ugualmente porta
benedizioni.
26. Benedici ora questa sposa, o generoso signore, rallegrando il suo cuore col dono di figli
arditi. Concedile dieci figli; il suo sposo è l’undicesimo.
27. Comportati come una regina verso il padre del tuo sposo, così anche verso la madre del tuo
sposo, e verso sua sorella. Sii regina verso tutti i fratelli del tuo sposo.
28. Possano tutte le Potenze divine insieme alle Acque unire i nostri due cuori in uno! Possano il
Messaggero, il Creatore, e la Sacra Obbedienza congiungerci!

19
saubhāgya
20
Divinità indù che presiede alla procreazione ed è protettore della vita. Nel Ṛgveda e nei Brāhmaṇa, egli appare come
divinità creatrice o dio supremo.

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