Sei sulla pagina 1di 25

Il fenomeno migratorio italiano: storia e storiografia1

Matteo Sanfilippo
(Università della Tuscia, Viterbo)

1. Il quadro demografico oggi


All’aprile 2007 risultano risiedere all’estero 3.568.000.532 cittadini italiani, mezzo milione
in più rispetto a un anno prima e probabilmente meno di quelli effettivamente trasferitisi
temporaneamente o permanentemente2. Il forte incremento delle presenze è infatti dovuto quasi
interamente al perfezionamento dell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, ma quest’ultima è
ancora lontana dal coprire tutta l’emigrazione odierna, anche perché una parte di quest’ultima è
ancora illegale o comunque, in particolare in Europa, non si registra presso i consolati.
Questa popolazione fuoriuscita è in complesso più giovane di quella rimasta nella Penisola e
in maggioranza (52%) celibe, due fenomeni che non sorprendono tenuto conto della loro
caratteristica diasporica. Dal punto di vista delle mete è dislocata soprattutto nell’ambito
occidentale: 2.043.998 emigranti si trovano in Europa e 1.330.148 nelle Americhe, mentre
l’Oceania ne ospita appena 119.483, l’Africa 48.223 e l’Asia 26.670. Dal punto di vista dei singoli
paesi le mete principali sono Argentina, Germania e Svizzera con circa mezzo milione a testa di
emigranti, seguiti dalla Francia con circa 350.000, da Belgio, Brasile e Stati Uniti con circa
200.000, e infine da Australia, Canada e Regno Unito con circa 100.000. Questa emigrazione non è
sempre recentissima: più o meno il 18% ha più di 65 anni, inoltre l’INPS eroga pensioni a molti: per
esempio, a 65.942 emigrati in Canada e 56.126 in Francia. Quindi possiamo dire che siamo davanti
al frutto parziale dei movimenti nel secondo Novecento. Questo aspetto è poi confermato sia dalla
presenza di minorenni (grosso modo pari agli ultrasessantacinquenni), sia da quella di altri 100.000
italiani iure sanguinis, figli di emigrati che hanno avuto il riconoscimento della loro cittadinanza
italiana. Anche questi sono in massima parte concentrati in Occidente: il 50,5% in America (con
una fortissima preminenza argentina) e il 43, % in Europa.
Non bisogna tuttavia trascurare i flussi odierni. Bisogna inoltre interrogarsi a proposito
diellenuove forme di mobilità. Secondo il consolato italiano a Bruxelles, circa 6.000 professionisti
italiani lavorano in quella capitale, mentre nel 2004 circa 45.000 studenti italiani erano iscritti a
università straniere, soprattutto europee. In questo settore è evidente una crescente tendenza a
1
Relazione presentata al convegno Pensare e ripensare le migrazioni: schemi concettuali e ipotesi
interpretative (Università di Napoli “Federico II”, 6-7 Dicembre 2007). In attesa di pubblicazione
negli atti.
2
Quanto segue si basa sui dati in Fondazione Migrantes, Rapporto italiani nel mondo, Roma,
Edizioni Idos, 2006, e Id., Rapporto italiani nel mondo 2007, Roma Edizioni Idos, 2007.
1
recarsi nel Regno Unito, dove oltre il 12% dei borsisti di post-dottorato provengono dalla Penisola.
Infine è stato notato che le attività delle missioni cattoliche e delle ONG identificano un’altra forma,
talvolta di lungo periodo, dell’attuale permanenza italiana all’estero.
Le precedenti indicazioni delineano in modo abbastanza netto le mete preferenziali degli
italiani, ma giustappunto ci informano su coloro che sono ancora cittadini della Repubblica. Ci
riferiscono quindi dove è andato chi è emigrato di recente. Cosa sappiamo invece su chi si è mosso
prima? Sempre i dati del Servizio migranti della CEI garantiscono una prima risposta, segnalando
che attualmente vi sono in tutto il mondo 58.509.526 oriundi suddivisi come segue: Europa
1.963.983; Africa 55.519; Asia 5.170; Nord America (Canada e Stati Uniti) 16.098.248; Messico e
Centro America 18.571; Sud America 39.822.000; Oceania 546.0353.
Queste cifre confermano la marginalità di alcune mete, ad esempio del Centro America e
dell’Asia, nonché la relativa importanza dell’Australia. Ridimensionano invece il peso dell’Europa
sul lungo periodo e ci mostrano come l’unica nazione a contare sia la Francia: su quasi due milioni
di oriundi nel Vecchio Mondo 1.530.563 si trovano entro i confini francesi. Il Belgio ne ospita
invece 94.921, il Regno Unito 90.000, la Germania 32.361, i Paesi Bassi 25.000, la Spagna 3.960.
Infine queste cifre rivelano l’importanza delle Americhe come meta migratoria pluricentenaria. Nel
subcontinente settentrionale il Canada annovera 596.000 oriundi italiani e gli Stati Uniti
15.502.248, ma cifre ben più rilevanti concernono il subcontinente meridionale, in particolare il
Brasile ospita 22.753.000 oriundi italiani e l’Argentina 15.880.000, mentre gli altri paesi ne hanno
molti meno (un milione l’Uruguay e 150.000 il Cile, per esempio). Da questi dati risulta che
Brasile, Argentina e Stati Uniti ospitano complessivamente quasi 54 milioni di oriundi, poco meno
dell’attuale popolazione della Penisola. Le statistiche (e si consideri che sono approssimate per
difetto) confermano dunque l’importanza della diaspora italiana. Inoltre suggeriscono, se si bada al
forte contrasto fra il numero dei cittadini italiani all’estero e quello degli oriundi, che vi è stato un
calo nei flussi degli ultimi decenni e che le mete sono cambiate nel tempo, pur se è stata costante la
preferenza per alcune destinazioni: in primo luogo per Argentina, Brasile e Stati Uniti; in secondo
luogo per Francia, Canada, Australia.

2. Il quadro storico
Queste considerazioni sono un primo punto di arrivo: sappiamo infatti dove si sono diretti o
quanto meno dove si sono fermati gli italiani nei secoli passati e abbiamo una stima numerica.
Tuttavia questi dati non esauriscono la ricerca. Non ci dicono, per esempio, quanti sono tornati a
casa dopo essere emigrati, né ci forniscono informazioni sui movimenti clandestini, che
3
Vedi i dati dell’Ufficio Nazionale per la pastorale degli italiani nel mondo:
http://www.migrantes.it/unpim/.
2
s’intuiscono vitali ancora oggi4. Inoltre ci informano su un arco temporale abbastanza ristretto, le
statistiche iniziano infatti dopo l’Unità d’Italia e sono assolutamente saltuarie prima del 1876,
mentre l’emigrazione italiana si è sviluppata su più secoli. Infine la somma statistica dei cittadini
italiani all’estero oggi e dei figli di quelli che sono espatriati ieri non rende giustizia all’imponenza
del fenomeno. Tra l’altro, se ripensiamo alle mete privilegiate, elencate più sopra, notiamo come
cinque su sei siano oltreoceano. Ora l’emigrazione italiana è iniziata molto prima della “scoperta”
delle Americhe e dell’Oceania. Che fine hanno fatto tutti coloro che sono emigrati nei secoli passati
in Europa; perché non ne troviamo più traccia? L’unica possibilità per rispondere a questi dubbi
consiste nell’interrogare la storia del nostro paese e cercare di capire quando è cominciata la
diaspora dalla Penisola e in che modo si è sviluppata.

2.1 Antichità del fenomeno


Giovanni Pizzorusso, uno dei maggiori studiosi dell’argomento, spiega che nel corso dei
secoli alcune macro-aree hanno generato migrazioni regolari e ripetute ogni anno: per esempio, la
discesa a valle dall’arco alpino e la mobilità agricola nell’Italia centro-meridionale5. Nei casi di
4
Sul problema del ritorno, vedi Paola Corti, Dal “ritorno” alle visits home: le tendenze di studio
dell’ultimo trentennio, “Studi Emigrazione”, 164 (2006), pp. 835-856. La questione della
clandestinità è affrontata da Paolo Borruso, Note sull’emigrazione clandestina italiana (1876-1976),
in Emigrazione e storia d’Italia, a cura di Matteo Sanfilippo, Cosenza, Pellegrini Editore, 2003, pp.
243-256. Per il passato vi sono indicazioni interessanti in: La coppola accanto alla Schirmmütze.
Storie di vita di emigrati italiani in Saar degli anni ‘50, a cura di Ezio Persello, Roma, Fondazione
Migrantes, 1998, e Gli anonimi protagonisti della nostra storia. Gli emigranti italiani nel Nuovo
Mondo. Il caso dell’Alto Milanese, Atti del Convegno, Cuggiono – Robecchetto, Fondazione Primo
Candiani Onlus-Ecoistituto della Valle del Ticino, 2005. Per il presente, vedi invece Giovanni
Russo, I cugini di New York (da Brooklyn a Ground Zero), Milano, Scheiwiller, 2003.
5
Giovanni Pizzorusso, Le radici d’ancien régime delle migrazioni contemporanee: un quadro
regionale, in Emigrazione e storia d’Italia, cit., pp. 267-291, e I movimenti migratori in Italia in
antico regime, in Storia dell’emigrazione italiana, I, cit., pp. 3-16. Si vedano inoltre: L’Italia delle
migrazioni interne. Donne, uomini, mobilità in età moderna e contemporanea, a cura di Angiolina
Arru e Franco Ramella, Roma, Donzelli, 2003; Luigi Lorenzetti e Raul Merzario, Il fuoco acceso.
Famiglie e migrazioni alpine nell’Italia d’età moderna, Roma, Donzelli, 2005, che conchiude
l’operosa del purtroppo da poco scomparso Merzario, un vero pioniere degli studi sull’emigrazione
di antico regime; il dossier sulle migrazioni italiane d’età moderna in “Archivio storico
dell’emigrazione italiana”, 3, 1 (2007). Quest’ultima rivista sta inoltre pubblicando numerosi
articoli sui modelli regionali di emigrazione, vedi in particolare i fascicoli 2, 1 (2006), 3,1 (2007) e
4,1 (2008), che spesso sottolineano le continuità plurisecolari. Sulle migrazioni italiane in Europa,
cfr. Giovanni Pizzorusso e Matteo Sanfilippo, Prime approssimazioni per lo studio
dell’emigrazione italiana nell’Europa centro-orientale, sec. XVI-XVII, in La cultura latina,
italiana, francese nell’Europa centro-orientale, a cura di Gaetano Platania, Viterbo, Sette Città,
2004, pp. 259-297, M. Sanfilippo, Le origini dell’emigrazione italiana in Germania, “Il Veltro”,
XLIX, 4-6 (2005), pp. 337-347; Id., Gli archivi della Santa Sede e la presenza italiana in Svizzera,
in Diversità nella comunione. Spunti per la storia delle Missioni Cattoliche Italiane in Svizzera
(1896-2004), a cura di Giovanni Graziano Tassello, Roma – Basel, Fondazione Migrantes –
CSERPE, 2005, pp. 407-426.
3
alcune città e paesi tali spostamenti hanno prodotto consuetudini secolari e hanno inciso sulla
mentalità degli individui e sulla strategie demografiche ed economiche delle famiglie. Studiando
con attenzione queste esperienze possiamo mettere in evidenza costanti, che restano immutate
durante il tardo medioevo e l’età moderna. In primo luogo dobbiamo menzionare gli spostamenti
stagionali o comunque temporanei dalla montagna alle pianure italiane ed europee per ottenere
denaro liquido. In secondo luogo occorre notare come nelle migrazioni italiane, che siano dirette
dentro o fuori della penisola, prevalgano sempre i movimenti di manodopera specializzata, anche se
spesso tale specializzazione è infima. In terzo luogo la necessità di emigrare non sembra
traumatizzare chi deve partire, persino nei casi drammatici del fuoriuscitismo politico (si pensi alle
lotte nei Comuni medievali) o religioso (dei valdesi e poi dei protestanti, ma anche degli ebrei). In
quarto luogo non dobbiamo dimenticare che le partenze e i ritorni sono sostenuti da reti sociali:
l’emigrazione non è un fatto individuale, ma è decisa in famiglia e quest’ultima mette in gioco una
serie di alleanze di sangue o di vicinato per sovvenire i propri membri in viaggio.
Questi quattro caratteri dei movimenti migratori medievali si ritrovano nell’Italia dell’età
moderna, ma si devono allora adattare a un contesto nuovo, dovuto alla progressiva emarginazione
della Penisola e allo stabilizzarsi di una pluralità di stati, spesso dominati da potenze straniere. Le
capitali di questi stati sono impoverite e non attraggono manodopera qualificata, salvo Napoli,
Roma, Torino e Venezia. Tuttavia rimane sempre la risorsa dell’emigrazione oltralpe, dato che le
capitali europee richiedono manodopera e servizi. Inoltre le colonie e gli avamposti in Africa, Asia
e Americhe offrono nuove mete: liguri, napoletani e siciliani varcano addirittura gli oceani al
seguito degli spagnoli.
Nel corso dell’età moderna nascono nuovi motivi per partire. In Romagna, Toscana, Marche
e Umbria il contratto mezzadrile influenza gli spostamenti di popolazione: il sistema di conduzione
agraria obbliga infatti a spostarsi su nuove terre, quando le dimensioni di una famiglia sono
divenute eccessive rispetto a quelle del fondo lavorato. Tali spostamenti sono normalmente di breve
o medio raggio; hanno, però, carattere definitivo e sono pianificati con cura. Un’attenta
pianificazione sovrintende anche alla politica di popolamento avviata da alcuni governanti
dell’Italia centrale. I Medici di Firenze, per esempio, costruiscono nuove città (Livorno) e mettono a
coltura terre libere, organizzando migrazioni interne o intercettando flussi migratori a più vasto
raggio. Sempre nello stesso torno di tempo le aree appenniniche sviluppano tradizioni analoghe a
quelle alpine. Nella Maremma tosco-laziale si riversano gli uomini dell’Appennino modenese, della
Garfagnana, del Casentino e dell’Appennino abruzzese e molisano. Dal triangolo tra Emilia, Liguria
e Toscana partono mendicanti, suonatori, artisti di strada e domatori di animali che visitano tutta
l’Europa.

4
Il sistema, fin qui descritto sfruttando gli studi di Pizzorusso, funziona sino alla fine del
Settecento, ma in quest’ultimo secolo si avvertono le prime novità. In particolare aumentano le
migrazioni definitive, perché cresce la popolazione, ma non la produzione delle campagne. Nel
Nord come nel Sud della Penisola sono destabilizzate le vecchie reti e le migrazioni definitive
sostituiscono quelle temporanee, mentre le migrazioni di qualche anno sostituiscono quelle
stagionali. Diventa quindi difficile mantenere l’equilibrio tra aree di partenza e aree di arrivo e
aumentano complessità e lunghezza degli itinerari. Inoltre si sviluppano nuovi mestieri e alcuni
itineranti si specializzano in settori che diverranno tipici: l’intrattenimento, la ristorazione,
l’ospitalità alberghiera.

2.2 La mobilità ottocentesca


La mobilità ottocentesca è influenzata dal trauma della Rivoluzione francese6. Le varie fasi
del dominio e dell’influsso gallico in Italia producono un significativo gruppo di fuoriusciti, che si
trasferisce in Francia e inaugura quella tradizione dell’esilio politico che si mantiene per tutto il
Risorgimento, prolungandosi verso le Americhe, collegandosi ai flussi economici e seguendone i
meccanismi. Inoltre i prefetti di Napoleone incentivano le opere pubbliche nel Nord d’Italia e vi
attirano lavoratori da altre regioni: una volta finiti i lavori questa manodopera si riversa nell’Europa
centro-occidentale o continua a circolare nell’Italia settentrionale7.
A metà Ottocento Genova è uno dei principali snodi emigratori e serve un amplissimo
retroterra, che comprende il triangolo appenninico tra Liguria, Emilia e Toscana, nonché le
campagne piemontesi lombarde. Già prima dell’Unità lavoratori italiani dalle più disparate
specializzazioni si mettono in viaggio per l’Europa e da qui per il Nuovo Mondo. Verso la metà del
secolo si emigra dal biellese alla Francia e da qui alla Spagna e alle Americhe. Dal Regno delle due
Sicilie partono suonatori, cantastorie e giocolieri. Non si conoscono bene le modalità di questi
spostamenti e soprattutto non è chiaro cosa spinga a varcare l’Oceano, ma bisogna tener conto che
dalla prima metà dell’Ottocento giornali e riviste diffondono il mito dell’America, terra del futuro e
della ricchezza8.

6
Matteo Sanfilippo, Tipologie dell’emigrazione di massa, in Storia dell’emigrazione italiana, I,
Partenze, cit., pp. 77-94.
7
Anna Maria Rao, Esuli. L’emigrazione politica italiana in Francia (1792-1802), Napoli, Guida
Editori, 1992, e Luigi Antonelli, I prefetti dell’età napoleonica, Bologna, Il Mulino, 1983.
8
Marco Porcella, Dal vagabondaggio all’emigrazione. Dall’Appennino all’East Coast, "Studi
Emigrazione", 138 (2000), pp. 295-328, e Premesse all’emigrazione di massa in età prestatistica
(1800-1850), in Storia dell’emigrazione italiana, I, cit., pp. 17-34; La montagna mediterranea: una
fabbrica d’uomini? Mobilità e migrazioni in una prospettiva comparata (secoli XV-XX), a cura di
Dionigi Albera e Paola Corti, Cavallermaggiore, Gribaudo, 2000; Emilio Franzina, Gli italiani al
Nuovo Mondo. L’emigrazione italiana in America 1492-1942, Milano, Mondadori, 1995.
5
Negli anni successivi all’Unità il calo dei prezzi agricoli e la mancanza di impieghi nei
settori extra-agricoli, proprio mentre nei paesi europei ed americani è evidente il buon andamento
della domanda di lavoro e il divario salariale rispetto all’Italia, incentivano i meccanismi di partenza
già in atto. La cosiddetta grande emigrazione dell’ultimo terzo del secolo è il culmine di un
processo iniziato da tempo e soprattutto ne conserva alcune caratteristiche, fra cui quella del ritorno,
magari per poi partire e tornare ancora9.
Nel secondo Ottocento la forza-lavoro eccedente della pianura padana emigra in Francia e
Belgio, oppure, ma è più raro, in Svizzera e Germania. Questi emigranti contano di realizzare nel
più breve tempo possibile il capitale per acquistare terra nei luoghi d’origine. Dal Veneto, dal
Trentino, dall’Alto Adige e dal Friuli i contadini partono invece per l’America Latina, dove cercano
terra e da dove non desiderano rientrare. Le regioni di partenza sono infatti impoverite e sino a quel
momento si erano rette grazie al frutto delle migrazioni stagionali nell’impero austriaco. Dal
Meridione infine salpano verso il Nord America i piccoli proprietari estromessi dal mercato o
gravati dalle tasse. L’obiettivo è il ritorno al paese e a questo scopo sono escogitate molteplici
strategie, dalla vendita con possibilità di riscatto del proprio appezzamento alla quotizzazione di
tutta la famiglia, per inviare in avanscoperta un parente. Allo stesso tempo sopravvivono, anzi si
rafforzano, le antiche correnti di mestiere, soprattutto fra gli operai specializzati10.

2.3 La mobilità novecentesca


Il primo quindicennio del Novecento vede un ulteriore aumento delle partenze, ma la guerra
impone uno stop, quanto meno parziale, e soprattutto provoca l’affrettato rientro di molti, timorosi
di essere tagliati fuori dalla Penisola o desiderosi di battersi per la patria. Tuttavia alcuni flussi
persistono e appena terminato il conflitto gli espatri riprendono11. La chiusura degli sbocchi
9
Emilio Franzina, La grande emigrazione. L’esodo dei rurali dal Veneto durante il secolo XIX,
Venezia, Marsilio, 1976; Ercole Sori, L’emigrazione italiana dall’Unità alla seconda guerra
mondiale, Bologna, Il Mulino, 1979.
10
Fortunata Piselli, Parentela ed emigrazione. Mutamenti e continuità in una comunità calabrese,
Torino, Einaudi, 1981; Patrizia Audenino, Un mestiere per partire. Tradizione migratoria, lavoro e
comunità in una vallata alpina, Milano, Angeli, 1990; Paola Corti, Paesi d’emigranti. Mestieri,
itinerari, identità collettive, Milano, Angeli, 1990; Luciano Trincia, Emigrazione e diaspora.
Chiesa e lavoratori italiani in Svizzera e in Germania fino alla prima guerra mondiale, Roma,
Edizioni Studium, 1997, e L’immigration italienne en Alsace-Lorraine jusqu’à la première guerre
mondiale, "Migrations Société", 75-76 (2001), pp. 9-21; Italiani in Germania tra Ottocento e
Novecento. Spostamenti, rapporti, immagini, influenze, a cura di Gustavo Corni e Christof Dipper,
Bologna, Il Mulino, 2006.
11
Patrizia Salvetti, Il movimento migratorio italiano durante la Prima Guerra mondiale, "Studi
Emigrazione", 87 (1987), pp. 282-295; Emilio Franzina, La guerra lontana. Il primo conflitto
mondiale e gli italiani d’Argentina, in Al di qua e al di là del Piave. L’ultimo anno della grande
guerra, a cura di Giampietro Betti e Piero Del Negro, Milano, Angeli, 2001, pp. 91-121; Giovanni
Favero, Interventismo statistico: i rimpatri per causa di guerra tra agosto 1914 e maggio 1915, in
6
migratori nelle Americhe e poi la grande crisi del 1929 rallentano, però, di nuovo il fenomeno o
piuttosto lo incanalano verso nuove direzioni12. Il ventennio fascista, se si prescinde dai falliti
tentativi di emigrazione coloniale e dal fuoriuscitismo politico, è quindi caratterizzato dalla
tendenza a trasferirsi in Francia (per chi parte dal Nord Italia) o nelle regioni centro-settentrionali
per chi parte dal Sud. Allo stesso tempo le bonifiche, per esempio delle paludi pontine, e la
migrazione coatta in quelle zone di popolazioni marchigiane e venete creano migrazioni interne e
soprattutto nuovi insediamenti urbani. La tendenza sempre più accentuata ad inurbarsi segna allora
la rottura completa con la tradizione migratoria d’ancien régime. Soltanto le trasformazioni
economiche e sociali del primo dopoguerra e le persecuzioni che sollecitano l’emigrazione politica
di braccianti e operai portano a una fuga massiccia di diseredati che cercano soltanto lavoro13.
Quanto avviene tra il 1922 e il 1940 è la premessa alla ripresa dell’emigrazione verso
l’estero dopo il 1945 e al grande spostamento dal Sud al Nord dei decenni successivi. Si dovrebbe
perciò parlare di un fenomeno unitario, caratterizzato dalla fuga dal Sud e dalla ricerca d’impiego in
fabbrica o comunque in città. Adesso l’emigrazione porta all’abbandono definitivo del paese natale
e richiede aggiustamenti economici e psicologici diversi da quelli de i periodi precedenti, anche se
alcune forme di mediazione permettono di attutire in parte l’impatto psicologico ed economico. Da
un lato, abbiamo il pendolarismo frontaliero tra Liguria e Francia meridionale, Lombardia e
Svizzera, Trentino, Friuli Venezia Giulia e Austria: l’emigrato meridionale abbandona il proprio

Specchio della popolazione. La percezione dei fatti e dei problemi demografici nel passato, a cura
di Andrea Menzione, Udine, Forum, 2003, pp. 137-146.
12
Emilio Franzina, La chiusura degli sbocchi migratori, in Storia della società italiana, XXI, La
disgregazione dello stato liberale, Milano, Teti, 1982, pp. 166-189.
13
Annunziata Nobile, Politica migratoria e vicende dell’emigrazione durante il fascismo, "Il
Ponte", XXX, 11-12 (1974), pp. 1322-1341; Ercole Sori, Emigrazione all’estero e migrazioni
interne in Italia fra le due guerre, "Quaderni Storici", 29-30 (1975), pp. 579-606; Anna Treves, Le
migrazioni interne nell’Italia fascista, Torino, Einaudi, 1976; Anne Morelli, Fascismo e
antifascismo nell’emigrazione italiana in Belgio (1922-1940), Roma, Bonacci, 1987; Simonetta
Tombaccini, Storia dei fuoriusciti in Francia, Milano, Mursia, 1988; Brunello Mantelli, "Camerati
del lavoro". I lavoratori italiani emigrati nel Terzo Reich nel periodo dell’Asse 1938-1943, Firenze,
La Nuova Italia, 1992; Ornella Bianchi, Fascismo ed emigrazione, in La riscoperta delle Americhe,
cit., pp. 96-114; Oscar Gaspari, Bonifiche, migrazioni interne, colonizzazioni (1920-1940), in Storia
dell’emigrazione italiana, I, cit., pp. 323-341; Emigranti a passo romano. Operai dell’Alto Veneto e
Friuli nella Germania hitleriana, a cura di Marco Fincardi, Verona, Cierre Edizioni, 2002; Arturo
Marzano, Una terra per rinascere. Gli ebrei italiani e l’emigrazione in Palestina prima della
guerra (1920-1940), Genova-Milano, Marietti, 2003; Maria Rosa Protasi ed Eugenio Sonnino,
Politiche di popolamento: colonizzazione interna e colonizzazione demografica nell’Italia liberale e
fascista, "Popolazione e storia", 1/2003, pp. 91-138; Patrizia Gabrielli, Col freddo nel cuore.
Uomini e donne nell’emigrazione antifascista, Roma, Donzelli, 2004; Éric Vial, L’Union populaire
italienne 1937-1940. Une organisation de masse du Parti Communiste en exil, Roma, École
Française de Rome, 2007; Leonardo Rapone, Emigrazione italiana e antifascismo in esilio,
“Archivio storico dell’emigrazione italiana”, 4, 1 (2008), in corso di stampa.
7
paese per lavorare all’estero, ma prosegue ad abitare in Italia. Dall’altro, molti affidano ai vecchi e
alle sorelle nubili gli appezzamenti familiari e sperano ancora di tornare a casa.
Negli anni del secondo dopoguerra i flussi verso l’Europa e verso l’Italia settentrionale sono
tumultuosi e spesso si succedono in un arco di tempo assai breve, stimolati dalla difficile situazione
interna e dalla domanda estera14. Il movimento verso Francia e Belgio, intensissimo nei primi anni
Cinquanta, decresce nella seconda metà del decennio e tocca il proprio minimo dopo il 1963. Nel
frattempo cresce l’emigrazione verso la Svizzera e la Germania, che, però, acquista caratteri quasi
esclusivamente stagionali. Inoltre gli spostamenti interni sopravanzano l’emigrazione verso l’estero.
Sino al 1958 il grosso dell’esodo meridionale è catturato dai flussi verso l’Europa, le Americhe e
l’Australia e la migrazione interna è costituita dal tradizionale movimento dalla campagna verso la
città, dal Veneto verso il triangolo industriale. Nel quinquennio 1958-1963 i trasferimenti interni si
trasformano invece in un massiccio movimento dal Sud al Nord, che si stempera successivamente
per poi riprendere nel 1967-1969. A partire dagli anni Settanta, una decade critica per tutto
l’Occidente, decrescono infine le migrazioni interne ed estere: persino il movimento frontaliero si
contrae progressivamente e negli anni Ottanta è ormai dimezzato. Negli anni Novanta ripartono
alcuni flussi verso l’Europa occidentale e gli Stati Uniti, spesso irrobustiti da nuove forme di
emigrazione clandestina. Molti giovani escono d’Italia, infatti, dichiarando di muoversi per ragioni
turistiche o scolastiche e poi lavorano in nero15.
Si chiude così un ciclo, ma non il fenomeno migratorio16. Si arresta infatti l’emigrazione di
massa, ma riprende quella di mestiere e si trasforma in emigrazione cantieristica, inoltre si accentua

14
Michele Colucci e Matteo Sanfilippo, L’emigrazione italiana dal dopoguerra al 1959, in
Fondazione Migrantes, Rapporto Italiani nel mondo 2007, Roma, Edizioni Idos, 2007, pp. 93-102.
15
Michele Colucci, L’emigrazione italiana in Gran Bretagna nel secondo dopoguerra: il caso di
Bedford, 1951-60, “Dimensioni e problemi della ricerca storica”, 1 (2002), pp. 235-272, e Chiamati,
partiti e respinti: minatori italiani nella Gran Bretagna del II dopoguerra, “Studi Emigrazione”,
150 (2003), pp. 329-349; Gli italiani in Francia dopo il 1945, a cura di Marie-Claude Blanc-
Chaléard e Antonio Bechelloni, “Studi Emigrazione”, 146 (2002); Bruno Bonomo, Il dibattito
storiografico sulle migrazioni interne italiane del secondo dopoguerra, “Studi Emigrazione”, 155
(2004), pp. 679-691; Contributi sull’emigrazione italiana del secondo dopoguerra, a cura di
Giammario Maffioletti e Matteo Sanfilippo, “Studi Emigrazione”, 155 (2004); Italian Migrants in
Germany, a cura di Mariella Guidotti e Sonja Haug, “Studi Emigrazione”, 158 (2005); La
collettività di origine italiana in Europa occidentali dagli anni 1970 ai giorni nostri, a cura di
Roberto Sala, “Studi Emigrazione”, 160 (2005); Passato e presente delle migrazioni italiane in
alcuni Paesi europei, “Altreitalie”, 30 (2005); Andare, restare, tornare. Cinquant’anni di
emigrazione italiana in Germania, a cura di Francesco Carchedi ed Enrico Pugliese, Isernia, Cosmo
Iannone Editore, 2007.
16
Anna Maria Birindelli, Le migrazioni con l’estero. Chiusura di un ciclo e avvio di una nuova fase,
in Demografia e società in Italia, a cura di Eugenio Sonnino, Roma, Editori Riuniti, 1989, pp. 189-
223.
8
la partenza di elite e prende quota la cosiddetta fuga dei cervelli17. La contrazione dei grandi
movimenti riporta così in auge aspetti antichi della mobilità italiana a lungo raggio.

3. Le regioni di partenza e le statistiche


Dopo aver seguito a gran velocità i differenti rivoli dell’emigrazione italiana, torniamo alle
statistiche sugli italiani all’estero agli inizi del secondo millennio. In occasione della Prima
Conferenza degli Italiani nel Mondo (Roma, 11-15 dicembre 2000) la Caritas di Roma distribuisce
un dossier sostanzialmente analogo a quelli successivi della Fondazione Migrantes, ma con
un’informazione in più, quella, come si vede nella tabella seguente, di distinguere per i cittadini
italiani all’estero anche le macro-aree di provenienza:

Tab. n. 1: italiani all'estero (al 30.10.2000) e loro origine macro-regionale


Area Italiani % Nord % Centro % Sud % Isole
Europa 2.207.638 32,3 7,0 36,3 24,5
Americhe 1.507.517 30,0 10,5 44,9 14,6
Oceania 121.082 22,1 6,6 50,0 21,3
Africa 68.071 63,0 12,9 14,1 10,0
Asia 26.191 67,8 16,6 11,0 4,5
Totale 3.930.499 29,0 11,1 39,0 20,9

Più della metà degli italiani all’estero nel 2000 sono dunque partiti dal Meridione, dato che
l’emigrazione insulare è quasi tutta di origine siciliana. Un terzo circa proviene dal Nord e un
decimo dal Centro. Per la precisione possiamo dire che su dieci italiani all’estero due sono di
origine siciliana, uno di origine campana, uno di origine pugliese e uno di origine calabrese. Anche
l’Abruzzo, il Molise e la Basilicata sono ben rappresentanti, pur se con cifre nettamente minori,
mentre il terzo di cittadini all’estero di origine settentrionale raccoglie soprattutto trentini, veneti,
friulani e marchigiani. Sono invece assai poco rappresentate Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia,
Liguria, Emilia Romagna, Umbria, Lazio e Sardegna. Sennonché proprio alcune di queste ultime
regioni sono tra quelle maggiormente citate nelle pagine precedenti, in particolare la Liguria e il

17
Anna Maria Birindelli, Stable features and changing aspects of italian migration abroad in recent
times, “Genus”, XLII, 3-4 (1986), pp. 141-61; Graziano Tassello, Emigrazione cantieristica, in
Lessico migratorio, a cura di Id., Roma, CSER, 1987, pp. 89-91; Patrizia Audenino, Mestieri e
professioni degli emigrati, in Storia dell’emigrazione italiana, II, cit., pp. 335-353; Associazione
Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani, Cervelli in fuga, Roma, Avverbi, 2001, e i materiali sul sito
http://www.cervelliinfuga.it/; Le migrazioni qualificate tra mobilità e brain drain, a cura di Sveva
Avveduto, Maria Carolina Brandi ed Enrico Todisco, “Studi Emigrazione”, 156 (2004).
9
Piemonte sono state abbondantemente menzionate assieme al Triveneto per quanto attiene agli inizi
del fenomeno migratorio italiano18.
Torniamo quindi ancora una volta a riflettere sugli sviluppi post-unitari per vedere come è
avvenuto il passaggio del testimone e come al contempo sono variate le destinazioni. Il primo
censimento italiano del 1861 rileva che in Europa vi sono 110.000 emigrati, circa 100.000 nelle
Americhe e qualche decina di migliaia nell’Africa mediterranea. All’interno di queste tre aree di
emigrazione vi sono già mete preferite, come mostra la seguente tabella tratta da Un secolo di
emigrazione italiana, a cura di Gianfausto Rosoli (Roma, CSER, 1978):

Tabella n. 2 Principali mete di emigrazione (1861)


Europa
Francia 77.000
Germania 14.000
Svizzera 14.000
Africa mediterranea
Egitto 12.000
Tunisia 6.000
Americhe
Stati Uniti 47.000
Argentina 18.000
Brasile 18.000

Per gli anni immediatamente successivi non abbiamo rilevazioni statistiche. Per il periodo
1869-1875 abbiamo invece alcune tabelle, largamente incomplete, elaborate dei Ministeri degli
Esteri e dell’Interno. Dal 1876 cominciano infine ad avere dati quasi completi sugli espatri: quelli
regolari ovviamente, perché nessuno sapeva calcolare l’emigrazione clandestina. Questa invece era
particolarmente robusta e destinata, come abbiamo visto, a continuare. Dopo il 1876 la rilevazione
statistica prosegue con regolarità, ma cambiando in corso d’opera la definizione dell’emigrante e i
criteri di elaborazione19. È perciò praticamente impossibile avere serie decennali omogenee e di
18
Oltre ai già citati in “Archivio storico dell’emigrazione italiana”, cfr. Emilio Franzina, La storia
altrove. Casi nazionali e casi regionali nelle moderne migrazioni di massa, Verona, Cierre, 1998, e
Francesco Surdich, La Liguria e Genova, territorio di emigrazione e porto degli emigranti: un
ventennio di studi e ricerche, in Genova. Una “porta” del Mediterraneo, a cura di Luciano
Gallinari, Cagliari-Genova-Torino, CNR-Istituto di Storia dell’Europa mediterranea, 2005, pp. 951-
1008.
19
Dora Marucco, Le statistiche dell’emigrazione italiana, in Storia dell’emigrazione italiana, I, cit.,
pp. 61-75.
10
conseguenza le cifre che possediamo non sono veramente comparabili. Tuttavia ci permettono di
abbozzare un quadro indicativo e soprattutto, per quanto incomplete e disomogenee, ci mostrano
l’accelerazione del fenomeno: 110.000 espatri l’anno, in media, dal 1875 al 1880; 188.000 dal 1881
al 1890; 283.000 tra il 1891 e il 1900; 603.000 tra il 1901 e il 1910; 873.000 nel 1913 (cifra mai più
raggiunta)20.
Complessivamente tra il 1876 e il 1915 espatriano circa 14.027.000 di persone: 7.622.650
varcano l’oceano, 6.137.250 restano in Europa, i rimanenti si dividono tra gli altri continenti che,
però, non attraggono molti lavoratori. Le mete europee costituiscono inizialmente quasi i tre quarti
del totale, ma poi perdono di attrattiva, cosicché nel decennio 1901-1910 sono raggiunte solamente
dal 40% dei partenti e addirittura dal 25% nel 1913. Per il momento i singoli paesi di accoglienza
sono sempre quelli identificati nel 1861. In Europa la Francia ospita dal 1876 al 1910 circa
1.400.000 emigranti, la Svizzera quasi un milione e la Germania circa 950.000. Al di là dell’oceano
gli Stati Uniti ricevono circa 3.100.000 italiani, l’Argentina oltre 1.500.000 e il Brasile oltre
1.100.000.
L’aumentata importanza delle mete americane corrisponde al cambiamento dei luoghi di
partenza. Per quanto riguarda le aree di origine dei flussi, è possibile discernere due sotto-fasi
distinte. Dal 1876 al 1900 il Nord (in particolare il Veneto, il Friuli-Venezia Giulia e il Piemonte) è
il principale esportatore di uomini. Dal 1901 diventa preminente il Sud e in particolare la Sicilia, la
Campania e la Calabria. Le regioni meridionali contribuiscono al 13% degli espatri nel 1876-1880,
al 27% nel 1881-1890, al 33% nel 1891-1900 e al 47% nel 1901-1910. In cifre assolute si passa da
14.000 persone l’anno a 50.000, poi a 95.000 ed infine a 280.000, per la gran parte dirette verso le
Americhe, mentre i settentrionali preferiscono le destinazioni europee. Da notare che prima del
1900 la sola Campania mostra una tendenza significativa alle partenze, mentre dopo tale anno
alcune regioni settentrionali continuano a registrare alte medie migratorie. Sempre Un secolo di
emigrazione italiana, ci rivela quindi che in tutto il periodo preso in esame Veneto e Piemonte
restano le principali aree di partenza. Negli anni 1876-1913 le principali regioni d’emigrazione sono
infatti: il Veneto con 1.822.000 partenti; il Piemonte con 1.540.000; la Campania con 1.475.000; la
Venezia Giulia con 1.407.000; la Sicilia con 1.352.000; la Lombardia con 1.342.000.
Dalle altre regioni partono meno di 1.000.000 di emigrati: addirittura meno di 100.000 nel
caso della Sardegna. Per molte comunque il primo quindicennio del 1900 costituisce un salto di
qualità: le Marche, che nell’ultimo quarto dell’Ottocento hanno visto partire 70.050 corregionali, tra
il 1901 e il 1905 registrano 320.107 espatri; l’Abruzzo passa da 109.038 a 486.518 emigranti.

20
Come i dati della tabella precedente, queste cifre sono tratte da Un secolo di emigrazione italiana,
a cura di Gianfausto Rosoli, Roma, CSER, 1978, cui si farà sempre riferimento in questo paragrafo,
salva altra indicazione.
11
Come abbiamo già ricordato, la prima guerra mondiale riduce l’emigrazione, ma non la
cancella, né elimina le motivazioni per partire. Tra il 1916 e il 1942 espatriano complessivamente
4.355.240 italiani (2.245.660 verso l’Europa), ma il 60% si è mosso prima del 1926, prima cioè
della chiusura quasi completa degli sbocchi americani. La seconda guerra mondiale arresta il
movimento, con la sola eccezione dell’emigrazione (in seguito anche deportazione) in Germania:
nel quadriennio 1938-1941 ben 409.402 italiani vi si recano in base ad accordi speciali dei governi
dell’Asse; a questi si aggiungono i prigionieri. Negli anni tra le due guerre le principali regioni di
partenza sono in ordine decrescente e in cifre arrotondate, sempre basate su Un secolo di
emigrazione italiana: Piemonte (533.000); Lombardia (498.000); Sicilia (449.000); Veneto
(392.000); Friuli Venezia Giulia (378.000); Campania (319.000). Nello stesso periodo la Sardegna
resta il fanalino di coda, mentre Marche e Abruzzo vedono ridimensionate le medie che hanno
tenuto prima della grande guerra.
Dal 1946 riprendono le partenze che, da quest’anno alla fine del Novecento, coinvolgono
circa 8.000.000 di persone. Il periodo può essere suddiviso in tre grandi fasi: 1) 1946-1965: crescita
tumultuosa dell’emigrazione, con un picco di 390.000 partenti nel 1961; complessivamente partono
5.600.000 italiani; 2) 1966-1985: il movimento delle partenze precipita a 77.000 espatri nel 1974,
poi risale fino a quasi 93.000 nel 1975 e quindi lentamente discende nei dieci anni successivi; 3)
1986-2000: dalle 57.000 unità del 1986 ci si stabilizza attorno alle 50.000, quante necessarie per
altro affinché l’Italia rimanga sino al 1999 un paese di emigrazione21.
Nella prima fase le mete sono equamente ripartite tra continente europeo e oltreoceano, nelle
successive sono in preponderanza europee. Negli anni Settanta si registra una timidissima
impennata verso i paesi in via di sviluppo, che scompare, però, nel decennio successivo, quando si
torna a cercare lavoro nei paesi più sviluppati. Dal punto di vista dell’origine geografica i partenti
sono in maggioranza meridionali, ma con una tendenza al riequilibro. Nella prima fase, le principali
regioni esportatrici di manodopera sono, sempre in base a Un secolo di emigrazione italiana: Puglia
(574.000); Campania (523.000); Veneto (484.000); Lombardia (337.000); Sicilia (324.000);
Calabria (301.000). Nella seconda e nella terza fase diminuisce il peso del Veneto e si mantiene
quello del Sud.
Occorre sottolineare che buona parte di questa migrazione è temporanea. Se i rimpatriati
sono 65.000 nel 1947 (di contro a poco più di 100.000 partiti nel 1946), divengono 229.000 nel

21
Un secolo di emigrazione italiana, cit.; Enrico Pugliese, L’Italia fra migrazioni internazionali e
migrazioni interne , Bologna, Il Mulino, 2002; Oliviero Casacchia e Salvatore Strozza, Migrazioni
interne e migrazioni con l’Europa degli italiani nel XIX e XX secolo. L’Italia da paese
d’emigrazione a paese d’immigrazione, in Movilidad y migraciones internas en la Europa latina, a
cura di Antonio Eiras Roel e Domingo L. González Lopo, Santiago de Compostela, Universidade
de Santiago de Compostela, 2002, pp. 161-204.
12
1962; in seguito diminuiscono, ma meno dei partenti: così 116.000 rientrano nel 1975, superando il
numero di quelli che escono, come continua ad accadere negli anni successivi. Soltanto dopo il
1980, quando è finita la crisi degli anni Settanta, le partenze tornano a superare i ritorni, per poi
assestarsi quasi in parità. In complesso dal 1946 al 1984 espatriano oltre 8.150.000 italiani e ne
rientrano quasi 5.050.000, con un’emigrazione definitiva di 3.100.000 unità.
A partire dal 1985 il movimento migratorio si attesta attorno alle 80.000 unità di partenze e
di rientri, con un saldo pari a zero o lievemente negativo per le componenti maschili e femminili. Al
suo interno aumenta progressivamente l’importanza di tecnici e lavoratori specializzati, che si
recano all’estero anche assieme alle proprie famiglie, ma per un periodo determinato, in media dai
sei ai dieci anni. Non si possiedono dati ufficiali in materia, ma si può inferire che questi flussi
coinvolgono circa 100.000 lavoratori e 30-40.000 familiari. Probabilmente la componente
femminile non supera le 20.000 unità. Nella seconda metà degli anni Ottanta gli espatri e i rimpatri
scendono ancora, tuttavia, come già accennato, l’Italia resta terra di emigrazione e anzi le partenze
riprendono. Nel 1994 i dati ISTAT registrano 59.402 italiani in uscita e 46.761 in rientro, con un
saldo negativo di -12.641. Nel 1995, però, le partenze calano nuovamente: 34.886 contro 28.472
rientri. Complessivamente nel decennio 1985-1994 i rimpatriati diminuiscono, sia pure con un
andamento discontinuo, mentre i partenti aumentano sino al 1994, con l’unica flessione del 1990
quando se ne vanno solo in 48.916.
La prevalenza degli espatri riguarda ancora il Sud e le isole, mentre nel Nord (ad eccezione
di Piemonte, Liguria e Trentino Alto Adige) e nel Centro (ad eccezione dell’Umbria) sono di più i
rimpatri. Le regioni con il maggior numero di partenze restano quelle meridionali seguite, ma da
lontano, da Lombardia e Lazio. Se si sommano il Sud e le isole si ottengono quasi i due terzi degli
espatri, mentre i rientri nel Centro-Nord sono quasi i due terzi dei rimpatri. I flussi continuano a
essere soprattutto interni all’Europa, in particolare per quanto riguarda il Sud e le isole, che
nell’arco di pochi decenni hanno completamente cambiato le mete della propria emigrazione. Le
altre destinazioni sono, in ordine decrescente, il Nord America, l’Africa, l’Asia e l’Oceania.
L’America Latina non soltanto non è più appetita, ma dà vita a un flusso di ritorno, che vede non
soltanto gli italiani di prima generazione, ma anche i figli e persino i nipoti degli emigrati riprendere
la via della Penisola22.

22
Javier P.Grossutti, I “rientri” in Friuli da Argentina, Brasile, Uruguay e Venezuela (1989-1994),
Udine, Ente Regionale per i Problemi Agrari, 1997; Graciela Bromuglia e Mario Santillo, Un
ritorno rinviato: discendenti d’italiani in Argentina cercano la via del ritorno in Europa,
"Altreitalie", 24 (2002), pp. 34-56; Giovani oltre confine. I discendenti e gli epigoni
dell’emigrazione italiana nel mondo, a cura di Cristiano Caltabiano e Giovanna Granturco, Roma,
Carocci, 2005.
13
4. Il dibattito storiografico
La riflessione sull’emigrazione italiana nasce contemporaneamente ai primi tentativi di
misurare quest’ultima e si lega al dibattito politico-amministrativo sui problemi della fase post-
unitaria23. Allo stesso tempo sono notevoli l’attenzione e l’elaborazione teorica (e pratica) dei
cattolici, laici e clero assieme, che vedono in quanto avviene una conseguenza di un processo
unificatorio condotto quantomeno in maniera irragionevole, se non prodotto di intenzioni
diaboliche24. Da testi di fine Ottocento risalta come a favore dell’emigrazione siano soltanto gli
emigranti con l’appoggio di qualche gruppo che trae vantaggio dagli espatri, armatori e agenzie per
esempio25. Soltanto in un secondo tempo, quando le partenze appaiono comunque inarrestabili, altri
gruppi e persino alcuni governi cercano di sfruttare quel che di buono può offrire loro il flusso

23
Fernando Manzotti, La polemica sull’emigrazione nell’Italia unita, Milano, Dante Alighieri
Manzotti, 1962; Antonio Annino, Espansionismo ed emigrazione verso l’America Latina (L’Italia
coloniale, 1900-1904), “Clio”, XII (1976), pp. 113-140; Marco Enrico Ferrari, Emigrazione e
colonie: il giornale genovese La Borsa (1865-1894), Genova, Bozzi, 1983; Emilio Franzina,
Emigrazione, navalismo e politica coloniale in Alessandro Rossi, in Schio e Alessandro Rossi, a
cura di Giovanni L. Fontana, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1985, pp. 569-621; Francesco
Surdich, I viaggi, i commerci, le colonie: radici locali dell’iniziativa espansionistica, in La Liguria,
a cura di Antonio Gibelli e Paride Rugafiori, Torino, Einaudi, 1994, pp. 455-509; Emilio Franzina,
Stranieri d’Italia. Studi sull’emigrazione italiana dal Risorgimento al Fascismo, Vicenza, Odeonup,
1994, pp. 87-125; Zeffiro Ciuffoletti, La Società umanitaria e l’emigrazione operaia oltreoceano, e
Paola Corti, Solidarietà degli emigranti e tutela istituzionale nel segretariato biellese della Società
Umanitaria, in La riscoperta delle Americhe. Lavoratori e sindacato nell’emigrazione italiana in
America Latina 1870-1970, a cura di Vanni Blengino, Emilio Franzina e Adolfo Pepe, Milano, Teti,
1994, pp. 35-43 e 62-78; Patrizia Salvetti, Immagine nazionale ed emigrazione nella Società
“Dante Alighieri”, Roma, Bonacci, 1995; Maurizio Vernassa, Alle origini dell’interessamento
italiano per l’America Latina. Modernizzazione e colonialismo nella politica crispina: l’inchiesta
del 1888 sull’emigrazione, Pisa, ETS, 1996; Il problema dell’emigrazione italiana tra Ottocento e
Novecento a partire dalle pagine della "Riforma sociale", a cura di Carlo Malandrino, "Annali della
Fondazione Einaudi", 1998, pp. 39-161; Ripensare la patria grande. Amy Bernardy e le migrazioni
italiane, a cura di Maddalena Tirabassi, Isernia, Cosmo Iannone Editore, 2005.
24
Eugenia Scarzanella, Italiani d’Argentina. Storia di contadini, industriali e missionari italiani in
Argentina, 1850-1912, Venezia, Marsilio, 1983; Scalabrini tra vecchio e nuovo mondo, a cura di
Gianfausto Rosoli, Roma, CSER, 1989; Scalabrini e le migrazioni moderne. Scritti e carteggi, a
cura di Silvano M. Tomasi e Gianfausto Rosoli, Torino, SEI, 1997; Matteo Sanfilippo, Chiesa,
ordini religiosi ed emigrazione, in Storia dell’emigrazione italiana, I, cit., pp. 127-142;
L’ecclesiologia di Scalabrini. Atti del II Convegno Storico Internazionale, a cura di Gaetano Parolin
e Agostino Lovatin, Roma-Città del Vaticano, Urbaniana University Press, 2007.
25
Piero Brunello, Agenti di emigrazione, contadini e immagini dell’America nella provincia di
Venezia, "Rivista di storia contemporanea", XI, 1 (1982), pp. 95-122; Augusta Molinari, Le navi di
Lazzaro, Milano, Angeli, 1988, e Porti, trasporti, compagnie, in Storia dell’emigrazione italiana, I,
cit., pp. 237-255; Amoreno Martellini, Le strutture della mediazione. Agenti e agenzie di
emigrazione nelle Marche dagli anni Ottanta alla prima guerra mondiale, in Le Marche fuori dalle
Marche. Migrazioni interne ed emigrazione all’estero tra XVIII e XX secolo, a cura di Ercole Sori,
Ancona, "Proposte e ricerche", 1998, II, pp. 463-471, e Il commercio dell’emigrazione:
intermediari e agenti, in Storia dell’emigrazione italiana, I, cit., pp. 293-308.
14
migratorio26, mentre il mondo cattolico si appresta a intervenire a sostegno dei migranti nei paesi
d’arrivo27.
Nel periodo tra le due guerre la situazione è ancora più confusa: il governo fascista è
formalmente contrario all’emigrazione, ma cerca di trarne qualche vantaggio. Quindi tende a
impedire ogni discussione sul tema: la censura è tale e contrasta talmente con la propaganda
diplomatica nelle e a partire dalle comunità emigrate che oggi è argomento di uno dei filoni più
ricchi della ricerca28. Sono invece ancora da meditare i contributi posteriori alla seconda guerra
mondiale. Sono attualmente in corso alcune tesi di laurea e di dottorato sul dibattito politico, mentre
è sostanzialmente da approfondire quello storiografico29. Per il momento si può comunque notare
26
Gianfausto Rosoli, La colonizzazione italiana delle Americhe: tra mito e realtà (1880-1914),
"Studi Emigrazione", 27 (1972), pp. 296-376; Maria Rosaria Ostuni, Leggi e politiche di governo
nell’Italia liberale e fascista, in Storia dell’emigrazione italiana, I, cit., pp. 309-319; Ludovico
Incisa di Camerana, La diplomazia, ibid., II, cit., pp. 457-479; Ercole Sori, La politica migratoria
italiana, 1860-1973, "Popolazione e storia", 1/2003, pp. 139-169.
27
Gianfausto Rosoli, Insieme oltre le frontiere. Momenti e figure dell’azione della Chiesa tra gli
emigrati italiani nei secoli XIX e XX, Caltanissetta-Roma, 1996; Luciano Trincia, Per la fede, per la
patria. I Salesiani e l’emigrazione italiana in Svizzera fino alla prima guerra mondiale, Roma,
LAS, 2002; Matteo Sanfilippo, La Chiesa cattolica, in Storia dell’emigrazione italiana, II, cit., pp.
481-487; Diversità nella comunione, a cura di G.G. Tassello, cit.
28
Per citare solo alcuni degli autori interessati: Stefano Luconi, La “diplomazia parallela”. Il
regime fascista e la mobilitazione politica degli italo-americani, Milano, Angeli, 2000; João Fábio
Bertonha, Emigrazione e politica estera: la “diplomazia sovversiva” di Mussolini e la questione
degli italiani all’estero, 1922-1945, “Altreitalie”, 23 (2001), pp. 39-61; Il fascismo e gli emigrati.
La parabola dei fasci italiani all’estero (1920-1943), a cura di Emilio Franzina e Matteo
Sanfilippo, Roma-Bari, Laterza, 2003; Claudia Baldoli, Exporting Fascism. Italian Fascists and
Britain’s Italians in the 1930s. Oxford, Berg Publishers, 2003; Matteo Pretelli, Tra estremismo e
moderazione. Il ruolo dei circoli fascisti italo-americani nella politica estera italiana degli anni
Trenta, “Studi Emigrazione”, 150 (2003), pp. 315-328; Stefano Luconi e Guido Tintori, L’ombra
lunga del fascio: canali di propaganda fascista per gli “italiani d’America”. Milano, M&B
Publishing, 2004; Benedetta Garzarelli, “Parleremo al mondo intero”. La propaganda del fascismo
all’estero. Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2004; Anna Ferro e Matteo Pretelli, Gli italiani negli
Stati Uniti del XX secolo, Roma, CSER, 2005; Fascisti in Sud America, a cura di Eugenia
Scarzanella, Firenze, Le Lettere, 2005; Stefano Luconi, La faglia dell’antisemitismo: italiani ed
ebrei negli Stati Uniti, 1920-1941, Viterbo, Sette Città, 2007 (Quaderni dell’Archivio storico
dell’emigrazione italiana, 3).
29
Tra i lavori già pubblicati sul versante politico-diplomatico: La terra Serena: l’emigrazione
trentina in Cile: documenti: (1950-1974), a cura di Mariaviola Grigolli, Trento, Museo Storico,
2006, e Lucia Capuzzi, La frontiera immaginata. Profilo politico e sociale dell’immigrazione
italiana in Argentina nel secondo dopoguerra, Milano, FrancoAngeli, 2006. Il dibattito
storiografico è affrontato in alcuni articoli di sintesi: Brunello Mantelli, Emigrazione, in Storia
d’Italia, a cura di Fabio Levi, Umberto Levra e Nicola Tranfaglia, Firenze, La Nuova Italia, 1978,
pp. 281-301; Emilio Franzina, Emigrazione transoceanica e ricerca storica in Italia: gli ultimi dieci
anni (1978-1988), “Altreitalie”, 1 (1989), pp.6-57; Matteo Sanfilippo, La storiografia sui fenomeni
migratori a lungo raggio nell’Italia dell’età contemporanea, "Bollettino di demografia storica", 12
(1990), pp. 55-66; Fabio Besia, La "grande emigrazione italiana" nella storiografia, "Italia
Contemporanea", 194 (1994), pp. 113-130; Ornella Bianchi, Tendenze recenti nello studio
dell’emigrazione meridionale, "Trimestre", 28, 3-4 (1994), pp. 401-420.
15
come molti studino dopo il 1945 cause e genesi della migrazione italiana, proprio mentre cresce una
nuova grande ondata di partenze30.
Questa produzione storiografica prende il via nei tardi anni Quaranta e si arena agli inizi
degli anni Novanta, grosso modo in coincidenza con le pubblicazioni ispirate dalla Seconda
Conferenza Nazionale dell’emigrazione (1988) e dal Cinquecentenario colombiano31. È una
saggistica piuttosto cospicua e spesso polemica, perché strettamente embricata a un’esperienza in
corso, che è affrontata storicamente e “politicamente”. Tuttavia pochissimi studiosi esplicitano
chiaramente il rapporto tra riflessione storiografico/politica ed emigrazione32. Invece è proprio tale
legame a spiegare perché quasi tutti finiscano per collegare emigrazione-Unità d’Italia-questione
meridionale. Il dibattito si polarizza infatti attorno alle tesi contrapposte della storiografia liberale di
Giuseppe Galasso e di quella marxista di Emilio Sereni. Senza entrare nei dettagli di un discussione
ormai assai nota e comunque datata, possiamo ricordare come per gli storici liberali la formazione
di un mercato unitario aveva portato al riequilibrio spontaneo delle risorse di manodopera e alla
partenza della quota eccedente di manodopera disponibile. Per quelli marxisti invece il mercato
unitario riduceva il volume della forza-lavoro necessaria nella Penisola e quindi aveva espulso gli
emigranti33.
In entrambi i casi il mercato è considerato la causa scatenante del processo migratorio e la
nascita di un mercato “italiano” è collocata nella transizione risorgimentale. Dunque l’emigrazione
ottocentesca è un fenomeno del tutto originale nella vicenda peninsulare, come concordano nei
decenni successivi Ruggiero Romano e Franco Bonelli, pur attenti alle continuità della storia

30
Amoreno Martellini, L’emigrazione transoceanica fra gli anni quaranta e sessanta, e Federico
Romero, L’emigrazione operaia in Europa (1948-1973), in Storia dell’emigrazione italiana, I, cit.,
pp. 369-384 e 397-414.
31
Per la produzione ispirata al centenario colombiano, cfr. Aldo Albònico e Gianfausto Rosoli,
Italia y América, Madrid, Mapfre, 1994, e Genova, Colombo, il mare e l’emigrazione italiana nelle
Americhe. Atti del XXVI Congresso Geografico Italiano, a cura di Claudio Cerreti, II, Roma,
Istituto della Enciclopedia Italiana, 1996. Per la Seconda Conferenza: Ministero degli Affari Esteri -
Direzione Generale per l’Emigrazione e gli Affari Sociali, Atti della II Conferenza Nazionale
dell’Emigrazione, I-IV, Milano, Angeli, 1990.
32
Ercole Sori, Un bilancio della più recente storiografia sull’emigrazione italiana, in Studi
sull’emigrazione. Un analisi comparata, a cura di Maria Rosaria Ostuni, Milano, Electa, 1991, pp.
59-74, e Famiglia ed emigrazione. Ovvero quello che Williamson è autorizzato a non sapere,
"Estudios migratorios latinoamericanos", 44 (2000), pp. 17-35; Emilio Franzina, Emigrazione
transoceanica e ricerca storica in Italia. Gli ultimi dieci anni (1978-1988), "Altreitalie", 1 (1989),
pp. 6-56, ed Emigrazione ed immigrazione all’estero "lontano". Panorama degli studi storici, in
Emigrazione. Memorie e realtà, a cura di Casimira Grandi, Trento, Provincia autonoma di Trento,
1990, pp. 11-19.
33
Giuseppe Galasso, Mezzogiorno medievale e moderno, Torino, Einaudi, 1965; Emilio Sereni, Il
capitalismo nelle campagne (1860-1900), Torino, Einaudi, 1968.
16
economica italiana34. Anzi Bonelli identifica nelle rimesse degli emigranti il fattore che rende
insperatamente possibile il decollo capitalistico italiano35. Insomma, qualsiasi sia la provenienza
degli studiosi, tutti vedono nella nascita del mercato unitario il trapasso tra antico regime e
modernizzazione economica e tutti collegano quest’ultima e la prima grande emigrazione italiana.
Di conseguenza quasi nessuno approfondisce le tradizioni migratorie pre-esistenti alla fase
risorgimentale e chi lo fa non va poi sino in fondo.
Ercole Sori accenna, per esempio, all’emigrazione pre-unitaria in una monografia ancora
oggi fondamentale, ma vi ritornerà con maggiore decisione solamente nel nuovo millennio36. Ad
ogni modo gli studiosi italiani accettano la sua ricostruzione della parabola migratoria italiana negli
anni Settanta incentrata su uno schema tripartito dei fenomeni post-unitari. Secondo Sori la prima
fase migratoria post-unitaria (1861-1915) non rompe completamente con le esperienze pre-unitarie
ed è caratterizzata da ritorni e mobilità fra varie mete. Nella seconda (1915-1940) il movimento
verso l’estero rallenta, mentre aumenta quello peninsulare dal sud al nord, dalla montagna verso la
pianura e dalla campagna verso la città. Nella terza (1945-1978) una prima ondata verso l’estero è
seguita dalla massiccia migrazione interna, che sovverte la distribuzione della popolazione italiana e
favorisce la successiva trasformazione dell’Italia in paese d’immigrazione.
Questo schema è sostanzialmente accettato da tutti gli studiosi degli anni Ottanta, che al
massimo cercano di articolarlo meglio, oppure separano più nettamente il fenomeno internazionale
da quello interno. Alcune indicazioni nuove, che fondamentalmente confermano quanto detto da
Sori e da questi sono prontamente avvalorate, provengono dagli studi regionali e soprattutto dalle
analisi sullo spopolamento. Queste ultime sottolineano come i fenomeni delle migrazioni
internazionali e interne (anche a breve e a medio raggio) siano omogenei, specie per quanto
riguarda una mobilità contraddistinta dalla tendenza al ritorno e dagli spostamenti stagionali o
pendolari37. Negli studi regionali non mancano riferimenti a una storia dell’emigrazione non

34
Storia d’Italia, a cura di Ruggiero Romano e Corrado Vivanti I, I Caratteri originali, Torino,
Einaudi, 1972; Franco Bonelli, Il capitalismo italiano. Linee generali d’interpretazione, in Storia
d’Italia, Annali, a cura di Ruggiero Romano e Corrado Vivanti, I, Dal feudalesimo al capitalismo,
Torino, Einaudi, 1978, pp. 1193-1255; Storia dell’economia italiana, a cura di Ruggiero Romano, I-
III, Torino, Einaudi, 1990-1991; Id., Il lungo cammino dell’emigrazione italiana, ora in Id., Europa
e altri saggi di storia, Roma, Donzelli, 1996, pp. 141-155.
35
Franco Bonelli, Emigrazione e rivoluzione industriale: appunti sulle cause dell’emigrazione
italiana, “Bollettino di Demografia Storica”, 12 (1990), pp. 35-44. Vedine la discussione in Paola
Corti, L’emigrazione temporanea in Europa, in Africa e nel Levante, in Storia dell’emigrazione
italiana, I, cit., pp. 213-236.
36
E. Sori, L’emigrazione italiana, cit.: L’emigrazione italiana in Europa tra Ottocento e Novecento.
Note e riflessioni, “Studi Emigrazione”, 142 (2001), pp. 259-295,
37
Ricerche sullo spopolamento in Italia, a cura di Eugenio Sonnino, CISP-Dipartimento di
Demografia, Roma, 1982; Id., Anna Maria Birindelli e Augusto Ascolani, Popolamenti e
spopolamenti dall’Unità ai giorni nostri, in Storia dell’agricoltura italiana in età contemporanea, a
17
interrotta dalla cesura del 187038. Negli anni Ottanta non esiste, però, una serie completa di
monografie e ciò impedisce di rilevare su tutto il territorio italiano l’eventuale omogeneità fra
emigrazione internazionale e migrazioni interne e fra l’emigrazione pre-unitaria e post-unitaria,
nonostante i molteplici indizi di una forte continuità soprattutto per le regioni alpine39. Tale
continuità viene anche suggerita dagli studi del decennio successivo che prendono in esame una
dimensione ancora più ridotta, provinciale o comunale. Questi lavori tendono a concentrarsi sul
secondo Ottocento e a tralasciare la prima parte di quel secolo40, tuttavia assieme a quelli regionali
permettono finalmente una mappatura, che rende visibili i tempi lunghi del fenomeno migratorio41.
In particolare un grosso progetto di ricerca sul biellese mostra come le crisi e le trasformazioni
economiche prima dell’Unità rafforzino le correnti migratorie di mestiere, anche verso destinazioni
molto lontane42.
Gli studiosi collegati al progetto sul biellese portano al centro della scena le migrazioni di
mestiere e ne mettono in evidenza, almeno per l’area piemontese, le caratteristiche in seguito

cura di Piero Bevilacqua, II, Venezia, Marsilio, 1990, pp. 99-171.


38
Luciano Tosi, L’emigrazione italiana all’estero in età giolittiana. Il caso umbro, Firenze, Olschki,
1983; Girolamo Allegretti, Marchigiani in Maremma, in Le Marche, a cura di Sergio Anselmi,
Torino, Einaudi, 1987 (Storia d’Italia, Le Regioni), pp. 501-622; AA.VV., La via delle Americhe.
L’emigrazione ligure tra evento e racconto, Genova, Sagep Editrice, 1989; Ornella Bianchi,
Emigrazione e migrazioni interne tra Otto e Novecento, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad
oggi. La Puglia, a cura di Luigi Masella e Biagio Salvemini, Torino, Einaudi, 1989, pp. 518-555.
39
AA.VV., Migrazioni attraverso le Alpi occidentali. Relazioni tra Piemonte, Provenza e Delfinato
dal Medioevo ai nostri giorni, Torino, Regione Piemonte, 1988; Renzo M. Grosselli, Contadini
trentini (veneti e lombardi) nelle foreste brasiliane, I-III, Trento, Provincia autonoma di Trento,
1986-1989; Franco Ramella, Terra e telai. Sistemi di parentela e manifattura nel biellese
dell’Ottocento, Torino, Einaudi, 1984, e Movilidad geográfica y movilidad social. Notas sobre la
migración del triángulo nordoccidental italiano, “Estudios Migratorios Latinoamericanos”, 17
(1991), pp. 107-118; Giovanni Levi e Franco Ramella, Immigrazione e doppio lavoro lungo il corso
della vita. Alcune osservazioni sul Piemonte dell’Ottocento, “Annali Cervi”, 11 (1989), pp. 101-11.
Per una discussione teorica, Fernando J. Devoto, A proposito degli approcci nazionali e regionali
all’emigrazione italiana alle Americhe, in Fra spazio e tempo. Studi in onore di Luigi De Rosa, III,
Il Novecento, a cura di Ilaria Zilli, Napoli, ESI, 1997, pp. 235-255.
40
Angiola De Matteis, “Terra di mandre e di emigranti”. L’economia dell’aquilano nell’Ottocento,
Napoli, Giannini, 1993; Riccardo Scartezzini-Roberto Guidi-Anna Maria Zaccaria, Tra due mondi.
L’avventura americana tra i migranti italiani di fine secolo. Un approccio analitico, Milano,
Angeli, 1994; Marta Mainieri, L’emigrazione moranese in Saar quarant’anni dopo, “Annali della
Fondazione Luigi Einaudi”, 30 (1996), pp. 481-530; David Rovai, Profilo dell’emigrazione
lucchese. Memorie, diari e lettere di emigrati un secolo fa, Lucca, Arte della Stampa, 1998.
41
Le Marche fuori dalle Marche, a cura di Ercole Sori, Ancona, Quaderni di "Proposte e ricerche",
1998; Andreina De Clementi, Di qua e di là dall’oceano. Emigrazione e mercati nel Meridione
(1860-1930), Roma, Carocci, 1999; Paola Corti, L’emigrazione italiana in Francia: un fenomeno di
lunga durata, “Altreitalie”, 26 (2003), pp. 4-24; Andrea Zannini e Daniele Gazzi, Contadini,
emigranti, “colonos”. Tra le Prealpi vnete e il Brasile meridionale: storia e demografia, 1780-
1910, Treviso, Fondazione Benetton – Canova, 2003.
42
Fondazione Sella, Sapere la strada. Percorsi e mestieri dei Biellesi nel mondo, Milano, Electa,
1986; I Biellesi nel mondo, I-IV, Milano, Milano, 1986-1990.
18
ripetute dalla grande emigrazione: le reti migratorie, la tendenza alla migrazione stagionale e
temporanea, l’importanza del ruolo della famiglia43. Le ricerche biellesi spingono dunque a
chiedersi se le migrazioni di mestiere non siano l’elemento di congiunzione tra l’emigrazione di
antico regime e l’ondata migratoria di fine Ottocento. A partire dal Settecento gli emigranti si
muoverebbero costruendo percorsi e reti di informazione divenute nell’Ottocento tradizioni
acquisite. Alla fine di questo secolo tali reti determinerebbero ancora la scelta delle mete, anche se
già si avverte l’attrazione dei salari più alti in alcune nazioni, come gli Stati Uniti, preferiti nel
primo Novecento, o la Francia, prescelta fra le due guerre, anche perché si chiudono gli accessi al
Nord America.

5. Il nuovo millennio
Nel nostro millennio gli studi sull’emigrazione italiana sono aumentati esponenzialmente,
mentre sono nati o stanno nascendo numerosi musei e centri di ricerca dedicati alla diaspora
italiana44. Non è dunque privo d’interesse cercare di capire le conseguenze e soprattutto i motivi di
quest’improvvisa affermazione. Essa infatti travalica i confini delle discipline accademiche e
soprattutto riscuote inaspettato plauso: basti pensare e al Leone d’argento per il film rivelazione
assegnato a Nuovomondo di Emanuele Crialese alla Mostra del cinema di Venezia del 2006.
In primo luogo, le migrazioni attuali verso l’Italia hanno giocato e giocano un ruolo
importante. Hanno infatti evidenziato ed evidenziano l’importanza dei fenomeni migratori e hanno
ricordato e ricordano agli italiani che anch’essi emigravano. Inoltre hanno spinto i commentatori a
guardare al passato, sia pure per difendere una delle due posizioni oggi imperanti: 1) gli emigranti

43
Franco Ramella, Il Biellese nella “grande emigrazione” di fine Ottocento, in I Biellesi nel mondo,
a cura di Valerio Castronovo, I, L’emigrazione biellese tra Ottocento e Novecento, 2, Milano,
Electa, 1986, pp. 311-361; Patrizia Audenino, Emigrazione e mestiere: il caso di un gruppo di edili
piemontesi, “Studi Emigrazione”, 87 (1987), pp. 326-44. Vedi inoltre i già citati libri di P.
Audenino, Un mestiere per partire, e P. Corti, Paesi d’emigranti. Si trovano conclusioni analoghe
in: Fernando J. Devoto, Le migrazioni italiane in Argentina. Un saggio interpretativo, Napoli,
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 1994; Emigrazione e territorio: tra bisogno e ideale, a cura
di Carlo Brusa - Robertino Ghirenghelli, I-II, Varese, Lativa, 1995; Franco Ramella, Reti sociali,
famiglie e strategie migratorie, in Storia dell’emigrazione italiana, I, cit., pp. 143-160; Donna R.
Gabaccia, Italy’s Many Diasporas, London, UCL Press, 2000 (tr. It.: Emigranti. Le diaspore degli
italiani dal Medioevo a oggi, Torino, Einaudi, 2003).
44
Ferdinando Fasce, Migrazioni italiane e lavoro negli Stati Uniti fra Otto e Novecento. Una nuova
stagione di studi?, “Contemporanea”, VII, 1 (2004), pp. 145-153; Emilio Franzina, La tentazione
del Museo: piccola storia di mostre ed esposizioni sull’emigrazione italiana negli ultimi cent’anni
(1892-2002), “Archivio storico dell’emigrazione italiana”, 1 (2005), pp. 165-182; Paola Corti,
L'emigrazione italiana e la sua storiografia: quali prospettive?, “Passato e presente”, 64 (2005), pp.
89-95; Itinera. Paradigmi delle migrazioni italiane, a cura di Maddalena Tirabassi, Torino, Edizioni
Fondazione Giovanni Agnelli, 2005; I musei delle migrazioni, a cura di Lorenzo Prencipe, “Studi
Emigrazione”, 167 (2007).
19
odierni sono come quelli di ieri e quindi noi italiani non possiamo parlarne male; 2) i nostri
emigranti erano molto meglio di quelli che sbarcano adesso sulle nostre coste45.
La ricostruzione mediatica del nostro passato migratorio e del suo confronto con il presente
ha conosciuto varie tappe nell’ultimo decennio. Queste tappe sono state scandite dai giornali che
hanno accompagnato i paralleli tra migrazioni nostre e altrui seguendo con curiosità la costruzione
del complesso archivistico-museale di Ellis Island e ri-raccontando le grandi tragedie del passato: le
persecuzioni e i linciaggi tra Vecchio e Nuovo Mondo, i naufragi e le tragedie in miniera46. Tuttavia
è spettato alla televisione il peso maggiore in questa narrazione, che è stata anche re-invenzione sia
per i toni, sia per la selezione degli argomenti. Già alla fine del Novecento, nelle puntate di
Carramba, che sorpresa! (1996-1998) e Carramba, che fortuna! (1998-1999), Raffaella Carrà ha
ricongiunto in diretta le famiglie divise dall’oceano. Ha così inaugurato la nicchia migratoria dei
palinsesti televisivi, ulteriormente rafforzatasi in successive trasmissioni, e l’ha virata sul
melodrammatico. A cavallo dei due millenni sono apparsi documentari televisivi, quali Poveri noi,
1999, di Gianni Amelio e Immigrati, 2001-2002, di Roberto Olla, che sfruttavano precedenti
materiali, ma questi programmi sono stati scavalcati negli ascolti dalle miniserie su Sabrina Ferilli
emigrante: Le ali della vita (2000; regia di Stefano Reali), Come l'America (2001; regia di Andrea e
Antonio Frazzi) e La terra del ritorno (2004; regia di Jerry Ciccoritti). In entrambi i casi sono stati
premiati gli spunti drammatici e forse non è casuale che i due filoni si siano alla fine incrociati nella
docu-fiction che Andrea e Antonio Frazzi hanno girato nel 2003 sulla tragedia di Marcinelle.
Sulla scia di quanto stava avvenendo, Gian Antonio Stella ha redatto due saggi divulgativi di
grande successo, nei quali ha mostrato come gli emigranti siano sempre “brutti, sporchi e cattivi” o
comunque siano trattati a questa stregua dalle popolazioni che li ricevono47. Nello stesso torno di
anni Melania G. Mazzucco ha vinto il premio Strega con il romanzo Vita (è il nome della
protagonista sbarcata a Ellis Island nel 1903) e si è inserita brillantemente in un sottogenere

45
Quelli di fuori. Dall'emigrazione all'immigrazione: il caso italiano, a cura di Luigi Di Comite e
Anna Paterno, Milano, Angeli, 2002; Paola Corti, Storia delle migrazioni internazionali, Roma-
Bari, Laterza, 2003; Giovanni Gozzini, Le migrazioni di ieri e di oggi. Una storia comparata,
Milano, Bruno Mondadori, 2005; Amalia Signorelli, Migrazioni e incontri etnografici, Palermo,
Sellerio, 2006.
46
Gian Antonio Stella ed Emilio Franzina, Brutta gente. Il razzismo anti-italiano, in Storia
dell’emigrazione italiana, II, cit., pp. 283-311; Patrizia Salvetti, Corda e sapone. Storie di linciaggi
degli italiani negli Stati Uniti, Roma, Donzelli, 2003; Giuseppina Sanna, Gli immigrati italiani in
Francia alla fine dell’Ottocento e il massacro di Aigues Mortes, “Studi Storici”, 47, 1 (2006), pp.
185-218; Anna Caprarelli, Le commemorazioni di Marcinelle: 50 anni di memoria, “Archivio
storico dell’emigrazione italiana”, 3, 1 (2007), pp. 169-175.
47
Gian Antonio Stella, L’orda: quando gli albanesi eravamo noi, Milano, Rizzoli, 2002 (riedito e
ampliato 2003), e Odissee: italiani sulle rotte del sogno e del dolore, Milano, Rizzoli, 2004.
20
femminile incentrato su miserie e sfortune degli italiani nel Nuovo Mondo48. In queste opere la
descrizione delle sventure passate sembra ispirata al paragone con quanto i media riferiscono sulla
vita degli immigrati nell’Italia attuale. In particolare Stella è molto esplicito, si pensi al sottotitolo
“quando gli albanesi eravamo noi”, ma il medesimo tema è articolato in più tappe da un regista
colto e intelligente come il già menzionato Gianni Amelio. Questi prima intitola Lamerica (1994)
un film sugli albanesi in fuga verso l’Italia e trasforma un episodio di tale esodo nella metafora
della diaspora transatlantica italiana; poi ricorda l’emigrazione siciliana a Torino (Così ridevano,
1998) e infine affronta la globalizzazione delle imprese e le diaspore dei lavoratori anche italiani
(La stella che non c’è, 2006).
In tutte le opere in questione l’emigrazione tende a essere un dramma, un’esperienza che
ferisce chi parte: un giudizio non suffragato dalla documentazione storica, né dalle registrazioni
dell’esperienza di tanti migranti di ieri o di oggi49. Ora l’emigrazione italiana o quella odierna verso
l’Italia non sono state soltanto rose e fiori, basti pensare al modo con il quale tutti gli Stati, hanno
vessato e vessano chi emigra50. Tuttavia non è neanche possibile descrivere sempre gli emigranti
come semplici vittime sacrificali, manodopera sbattuta di qui e di là dalla tempesta capitalistica51.
In secondo luogo, la riscoperta degli emigrati italiani e della loro storia dipende da vicende
di ordine politico-amministrativo: il dibattito sul voto degli italiani all'estero, approvato alla fine del
2001 e concretizzatosi nelle politiche del 200652, e le strategie di regioni (Piemonte, Veneto, Friuli,
Liguria, Abruzzo, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia) e province che hanno iniziato a vedere nei
propri antichi espatriati un punto di riferimento, soprattutto economico,53. Si sono così aperti spazi
importanti per studiare l’emigrazione italiana e sono stati trovati finanziamenti per iniziative anche
48
Laura Pariani, Quando Dio ballava il tango, Milano, Rizzoli, 2002; Melania G. Mazzucco, Vita,
Milano, Rizzoli, 2003; Elena Gianini Belotti, Pane amaro. Un immigrato italiano in America,
Milano, Rizzoli, 2006.
49
Gianfausto Rosoli, From the Inside: Popular Autobiography by Italian Immigrants in Canada, in
The Italian Diaspora: Migration Across the Globe, a cura di George E. Pozzetta e Bruno Ramirez,
Toronto, Multicultural History Society of Ontario, 1992, pp. 175-192; Camilla Cattarulla, Di
proprio pugno. Autobiografie di emigranti italiani in Argentina, Reggio Emilia, Diabasis, 2003.
50
Gianfausto Rosoli, “From Promised Land” to “Bitter Land”: Italian Migrants and the
Transformation of the Myth, in Distant Magnets. Expectations and Realities in the Immigrant
Experience, a cura di Dirk Hoerder e Horst Rössler, New York, Holmes & Meier, 1993, pp. 222-
240; Roberto Sala, Il controllo statale sull’immigrazione di manodopera italiana nella Germania
federale, “Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento, XXX (2004), pp. 119-152.
51
Ornella Bianchi, Tra partenze ed arrivi: le migrazioni in una prospettiva storica, in Terre di esodi
e di approdi. Emigrazione ieri e oggi, a cura di Pasquale Guaragnella e Franca Pinto Minerva,
Progedit, Bari, 2005, pp. 269-313
52
Matteo Sanfilippo, Problemi di storiografia dell’emigrazione italiana, Viterbo, Sette Città, 2005;
Michele Colucci, Il voto degli italiani all’estero, in Storia dell'emigrazione italiana, II, cit., pp.
597-609; il dossier sul voto all’estero in “Archivio storico dell’emigrazione italiana”, 3, 1 (2007); i
materiali in www.esteri.it/ITA/4_29_73_313.asp; l’osservatorio sul voto degli italiani all’estero di
Altreitalie (http://www.altreitalie.it/).
21
molto specialistiche. All’improvviso gli studiosi hanno scoperto di poter beneficiare del rinnovato
interesse politico e di pubblico e hanno sfruttato il momento favorevole. È stato così spezzato il
silenzio che aveva caratterizzato l’ultimo quarto del Novecento, quando non si era discusso di
emigrazione al di fuori dei cenacoli specialistici, ed è stato possibile mettere in cantiere la già più
volte citata Storia dell’emigrazione italiana curata da Bevilacqua, De Clementi e Franzina54.
In terzo luogo, lo sviluppo inarrestabile di Internet ha dotato gli emigranti e chi li segue di
voce autonoma. Associazioni e giornali di emigranti, centri studio e singoli studiosi hanno potuto
mettere sul web le proprie opinioni e le proprie analisi o semplicemente far conoscere le proprie
esperienze e le proprie attività. I siti di maggior successo in questo campo non sono italiani, basti
ricordare il numero di accessi al museo e all’archivio di Ellis Island (www.ellisisland.com e
www.ellisisland.org). Tuttavia hanno vasto seguito la Fondazione Giovanni Agnelli di Torino, che
dal 1996 pubblica la versione digitale della rivista “Altreitalie” (http://www.altreitalie.it/) e nello
stesso sito apre banche dati sugli emigranti e aggiorna utili strumenti. Specularmente il Centro Studi
Emigrazione di Roma ha in linea il catalogo della sua biblioteca (http://www.cser.it) e collega a
centri e biblioteche nel Nuovo e nel Vecchio Mondo. Infine regioni, province e comuni italiani
offrono dati, foto e notizie sulle partenze dei propri abitanti, mentre musei virtuali o home-page di
musei permettono la fruizione, seppure parziale, di raccolte di ogni tipo su aree di partenza o di
arrivo55.

53
Sui risvolti economici dell’emigrazione italiana è stato organizzato il convegno Migrazioni e
Sviluppo, del Museo dell’Emigrante della Repubblica di San Marino (20-21 ottobre 2006). Vedi
inoltre: Patrizia Audenino, Paola Corti e Ada Lonni, Imprenditori biellesi in Francia fra Ottocento
e Novecento, Milano, Electa, 1997; Tra identità culturale e sviluppo di reti. Storia delle Camere di
Commercio italiane all'estero, a cura di Giulio Sapelli, Soveria Mannelli, Unioncamere -
Rubbettino, 2000; Minoranze e culture imprenditoriali. Cile e Italia (secoli XIX-XX), a cura di
Franco Bonelli e Maria Rosaria Stabili, Roma, Carocci, 2000; Amoreno Martellini, I candidati al
milione. Circoli affaristici ed emigrazione d’élite in America Latina alla fine del XIX secolo, Roma,
Edizioni Lavoro, 2000; Giovanni Fontana ed Emilio Franzina, Profili di Camere di Commercio
all'estero, Soveria Mannelli, Unioncamere - Rubbettino, 2001; Ministero Affari Esteri, La rete delle
comunità d'affari nel mondo: una risorsa strategica, Soveria Mannelli, Rubbettino 2001; Marco
Moroni, Emigranti, dollari e organetti, Ancona, Affinità Elettive, 2004; Da emigranti ad
imprenditori. Gli italiani all’estero nel secondo dopoguerra, a cura di Saverio Battente, “Memoria e
Ricerca”, 18 (2005).
54
Per il progetto, soltanto parzialmente realizzato, vedi l'intervista a Emilio Franzina in
"Novecento", 3, 2003, pp. 122-127. La Donzelli ha comunque proseguito ad approfondire il filone,
sia riorganizzando i materiali della ricerca per i due volumi della Storia (Verso l'America.
L'emigrazione italiana e gli Stati Uniti, a cura di Salvatore Lupo, 2005), sia approfondendone degli
aspetti (Federica Bertagna, La patria di riserva. L’emigrazione fascista in Argentina, 2006).
55
Si vedano le rubriche sui siti internet nelle riviste “Altreitalie” e “Archivio storico
dell’emigrazione italiana”, nonché Maddalena Tirabassi, Gli italiani sul web, in Storia
dell’emigrazione italiana, II, cit., pp. 717-738, e Musei virtuali e reali sulle migrazioni, in I musei
delle migrazioni, cit., pp. 754-761. Inoltre www.Italia.gov.it ha una sezione sugli italiani all’estero
con opportuni link. Per quanto riguarda le iniziative museali si possono citare a titolo di esempio i
22
Regioni, province-e comuni, nonché altri enti ed istituzioni, non si limitano comunque a
sfruttare le possibilità offerte dal web, ma finanziano ricerche e pubblicazioni, che sono sempre su
base locale e che permettono di ricostruire il quadro dell’emigrazione italiana un tassello alla volta.
Talvolta questo tassello è minuto o di scarso significato; altre volte si rivela una pietra miliare,
come nel caso delle iniziative avviate dalla e nella provincia di Modena56. Contemporaneamente,
visto che l’argomento è gradito al pubblico, s’intensifica la produzione a livello più generale. Dalla
fine degli anni Novanta del Novecento diviene normale dedicare un capitolo all’emigrazione nelle
grandi opere dedicate alle storie urbane, regionali o nazionali57. Nello stesso torno di tempo sono
dedicati all’emigrazione lavori che comparano più regioni o che tracciano una vera e propria storia
nazionale delle partenze58. Inoltre aumentano le riviste dedicate specificamente ai problemi
migratori, mentre pure le riviste generaliste vi dedicano numeri monografici e singoli articoli59.
Infine gli atti di convegni e seminari o i volumi finanziati dagli enti locali divengono così numerosi,
che è praticamente impossibile censirli60.

5. Conclusioni
Quanto sinora scritto riassume, sia pure troppo poveramente, un fenomeno storico di lunga
durata e una più breve cronologicamente, ma altrettanto variegata, storiografia, accompagnata e
stimolata dall’eco continua della discussione sulle migrazioni. Si è accennato a più riprese al

siti del Museo regionale dell’emigrazione di Gualdo Tadino (PG) e quello della Fondazione Paolo
Cresci di Lucca: http://www.emigrazione.it/ e http://www.fondazionepaolocresci.it/.
56
Enrico Secchi, Un sogno: la Merica! I miei 56 anni di Brasile, a cura di Emilio Franzina, Finale
Emilia, Baraldini, 1998; Amedeo Osti Guerrazzi, Roberta Saccon, Beatriz Volpato Pinto, Dal
Secchia al Paraíba. L’emigrazione modenese in Brasile, Verona, Cierre Edizioni, 2002; Gli
emiliano romagnoli e l’emigrazione italiana in America Latina. Il caso modenese, Modena,
Provincia di Modena-Comune di Concordia-Istituto Storico di Modena, 2003; Altri modenesi. Temi
e rappresentazioni per un atlante dell’emigrazione in provincia di Modena, a cura di Nora Sigman
e Antonio Canovi, Torino, Gruppo Abele, 2005.
57
Si vedano, ad esempio: Fabio Levi, L’immigrazione, in Storia di Torino, IX, Gli anni della
Repubblica, a cura di Nicola Tranfaglia, Torino, Einaudi, 2000, pp. 157-187; i volumi sulle Regioni
della Storia d’Italia Einaudi o della collana di Storie regionali della Laterza; vari saggi nella Storia
dell’Italia repubblicana, a cura di Francesco Barbagallo, Torino, Einaudi, 1994-1997.
58
A. De Clementi, Di qua e di là dall’oceano, cit., e Ludovico Incisa di Camerana, Il grande esodo.
Storia delle migrazioni italiane nel mondo, Milano, Corbaccio, 2003.
59
Alla più antica “Studi Emigrazione” (1964) si aggiungono nel 1989 ”Altreitalie” e nel 2005
“Archivio storico dell’emigrazione italiana”. Numeri monografici e articoli sull’emigrazione
appaiono con una certa regolarità in “Affari Sociali Internazionali”, “Giornale di storia
contemporanea”, “Memoria e ricerca”, “Storia e problemi Contemporanei”, “Il Veltro”; più
saltuariamente in “Contemporanea”, “Italia Contemporanea,” “900”, “Passato e Presente” e
“Quaderni Storici”.
60
Per un primo censimento, Matteo Sanfilippo, Emigrazione italiana: il dibattito storiografico nel
2003-2004, “Archivio storico dell’emigrazione italiana”, 1 (2005), pp. 183-190, ed Emigrazioni:
qualche spunto comparativo, ibid., 2, 1 (2006), pp. 181-189.
23
dibattito politico che anticipa e contorna quello storiografico, nonché ad alcune opere letterarie,
televisive e cinematografiche. Queste ultime, ad onore del vero, hanno sempre commentato, anche
in dettaglio, la vicenda migratoria ed è un peccato non avere lo spazio per renderne conto61.
D’altronde non si è potuto neanche presentare moltissimi angoli di visuale del nostro tema, basti
pensare a quelli relativi alle comunità e all’integrazione all’estero, oppure al ruolo e all’evoluzione
femminili nei vari flussi, perché il materiale documentario e bibliografico a disposizione è ormai
troppo ed è tempo di giungere a una qualche conclusione62.

61
Si vedano Emilio Franzina, L’immaginario degli emigranti. Miti e raffigurazioni dell’esperienza
italiana all’estero fra i due secoli, Treviso, Pagus, 1992, e Dall’Arcadia in America. Attività
letteraria ed emigrazione transoceanica in Italia (1850-1940), Torino, Fondazione G. Agnelli,
1996, e Sebastiano Martelli, Letteratura contaminata. Storie, parole, immagini tra 800 e 900,
Salerno, Pietro Laigueglia Editore, 1994, nonché nella già citata Storia dell’emigrazione italiana, I:
Sebastiano Martelli, Dal vecchio mondo al sogno americano. Realtà e immaginario
dell’emigrazione nella letteratura italiana, pp. 434-487; Gian Piero Brunetta, Emigranti nel cinema
italiano e americano, pp. 489-514; Francesca Anania, Cinegiornali, radio, televisione. La
rappresentazione dell’emigrazione italiana, pp. 515-535. Inoltre sono da tenere in conto Giuliana
Muscio, Piccole Italie, grandi schermi. Scambi cinematografici tra Italia e Stati Uniti 1895-1945,
Roma, Bulzoni, 2004, e Simona Frasca, La canzone napoletana negli anni dell’emigrazione di
massa, “Altreitalie”, 29 (2004), pp. 34-51. Infine non bisogna dimenticare la ricerca portata avanti
quasi all’unisono da Francesco Durante (Italoamericana, Milano, Mondadori, 2001-2005) e
Martino Marazzi (Voices of Italian America. A History of Early Italian American Literature with a
Critical Anthology, Madison, Farley Dickinson University Press, 2004, e la cura di Arturo
Giovannitti, Parole e sangue, Isernia, Cosmo Iannone Editore, 2005).
62
Per una rapida carrellata delle ultime acquisizioni rispetto all’emigrazione e alla storia di gender:
Maddalena Tirabassi, Nuovi soggetti per una storia transnazionale: donne, etnicità, migrazioni,
Roma, Forecom, 2000; Femmes italiennes en France. L’émigration féminine entre passé, présent et
futur, numero monografico di "Migrations Société", 78 (2001); Bruna Bianchi, Lavoro ed
emigrazione femminile (1880-1915), in Storia dell’emigrazione italiana, I, cit., pp. 257-274;
Casimira Grandi, L’emigrazione femminile italiana in Germania: il perché di una scelta 1870-1914,
"Studi Emigrazione", 142 (2001), pp. 346-374; Maddalena Tirabassi, Le emigrate italiane: dalla
ricerca locale a quella globale, e Giulietta Stefani, Italiane in America negli anni Cinquanta: il
ruolo delle donne nella ridefinizione dell’identità storica, "Giornale di storia contemporanea", IV, 1
(2001), pp. 95-111, in Emigrazione e storia d’Italia, cit., pp. 179-188 e 189-208; Ministero Affari
Esteri, La donna italiana nel mondo fra tradizione e innovazione, Soveria Mannelli, Rubbettino,
2001; Women, Gender, and Transnational Lives. Italian Workers of the World, a cura di Donna
Gabaccia e Franca Iacovetta, Toronto, University of Toronto Press, 2002; Amoreno Martellini, Da
comparse a comprimarie. Le donne marchigiane nella grande migrazione, "Proposte e ricerche", 50
(2003), pp. 252-265; Linda Reeder, Widows in White: Migration and the Transformation of Rural
Italian Women, Sicily, 1880-1920, Toronto, University of Toronto Press, 2003; Camilla Cattarulla e
Ilaria Magnani, L’azzardo e la pazienza. Donne emigrate nella narrativa argentina, Troina, Città
Aperta Edizioni, 2004. Per la storia delle comunità si può partire da: Maria Susanna Garroni, Little
Italies, in Storia dell’emigrazione italiana, II, cit., pp. 207-234, e Immigrati e cittadini. L’essere
“americani” degli italoamericani tra Otto e Novecento, “Contemporanea”, V, 1 (2002), pp. 25-58;
Simone Cinotto, Una famiglia che mangia insieme. Cibo e etnicità nella comunità italoamericana
di New York, 1920-1940, Torino, Otto, 2000; Giammario Maffioletti e Alberto Colaiacomo, Gli
italiani nel mondo. Dinamiche migratorie e composizione delle collettività, “Studi Emigrazione”,
153 (2004), pp. 169-194; Petites Italies dans l’Europe du Nord-ouest, Appartenances territoriales
24
Quest’ultima non può, però, che essere interlocutoria e riassumere in modo banale alcuni
punti del nostro percorso. Prima di tutto è ormai chiaro che lo studio della storia italiana non può
prescindere da quello dei fenomeni migratori: in un arco di tempo lunghissimo gli abitanti della
Penisola rivelano infatti una notevole propensione a partire e trasformano queste partenze in un
motore economico e culturale delle zone abbandonate. Per secoli e in buona parte anche nel
Novecento non recidono infatti i legami fra le aree di partenza e quelle di arrivo, anzi formano
complessi network che collegano i due poli per quanto siano lontani. In secondo luogo garantiscono
alle zona di emigrazione un continuo afflusso di ricchezza tramite rimesse o grazie al proprio
ritorno. In terzo luogo, specie quando rientrano, influiscono sugli sviluppi della società locale:
diversi storici hanno mostrato l’importanza dell’esperienza migratoria per i comportamenti politici
delle zone in cui i migranti rientrano63. Infine la lunga esperienza migratoria italiana ha lasciato una
sedimentazione mitografico-politica, che dobbiamo ancora pienamente valutare, ma della quale il
recente successo della tematica migratoria nel panorama mediatico italiano è sicuramente una
controprova.

et identités collectives à l’ère de la migration italienne de masse (milieu du XIXe siècle - fin du XXe
siècle), a cura di Judith Rainhorn, Valenciennes, PUV, 2005; Les Petites Italies dans le monde, a
cura di Marie-Claude Blanc-Chaléard et al., Rennes, PUR, 2007; Andare, restare, tornare.
Cinquant’anni di emigrazione italiana in Germania, a cura di Francesco Carchedi ed Enrico
Pugliese, Isernia, Cosmo Iannone Editore, 2007.
63
Gilles Pécout, Dalla Toscana alla Provenza: emigrazione e politicizzazione nelle campagne
(1880-1910), "Studi Storici", 31, 3 (1990), pp. 723-738; Caroline Douki, Les maires de l’Italie
libérale à l’épreuve de l’émigration: le cas des campagnes lucquoises, "Mélanges de l’École
Française de Rome. Italie et Méditerranée", 106, 1 (1994), pp. 333-364; Vittorio Cappelli,
Immigranti, moschetti e podestà. Pagine di storia sociale e politica nell’area del Pollino (1880-
1943), Castrovillari, Edizioni "Il Coscile", 1995; Marco Fincardi, La Terra disincantata.
Trasformazioni dell’ambiente rurale e secolarizzazione nella bassa padana, Milano, Unicopli,
2001. Notazioni in tal senso si trovano anche nelle classiche opere sul centro-sud di Ignazio Silone
e Carlo Levi.
25

Potrebbero piacerti anche