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Istituto Europeo del Design

2° anno. docente: arch. Matteo Moscatelli

Storia dell’architettura contemporanea

Lezione 3.1: Stati Uniti


Lezione precedente
Approfondimenti

Area 95/2008 Casabella


Frank Gehry. Celant G., Frank
738/2005
Creatore di sogni Gehry. Dal 1997,
(regia di Sidney Skira
Pollack)
Approfondimenti

Moscatelli M., On Bucci F., Irace F., d’Architettura Polano S., Mulaz-
the road: Milano, Franco Albini. 33/2007 zani M., Guida
Forma Edizioni Costruire le all’architettura ita-
modernità, Skira liana del Novecen-
to, Electa
New York Five
Il lavoro dei New York Five venne presentato la prima
volta nel 1969, durante una manifestazione dalla
Conference of Architects for the Study of Environment
(CASE Group), e pubblicato nel 1972 con il titolo Five
Architects.

Il gruppo dei New York Five era costituito da:


_ Peter Eisenman (1932)
_ Michael Graves (1934)
_ John Hejduk (1929-2000)
_ Richard Meier (1934)
_ Charles Gwathmey (1938-2009)

Questo informale gruppo si caratterizzava per la critica


alle tendenze manieristiche (come il brutalismo) e la
ricerca di un’architettura “pura”, ispirata dalla
modernità classica di Le Corbusier e di De Stjil.
I Five Architects

Michael Graves, Centro di Servizi


Municipali, Portland (1980-1983)
I Five Architects

Charles Gwathmey Charles Gwathmey


Gwathmey Residence and Studio Restauro del Guggenheim Museum
Amagansett (1967) New York (1992)
I Five Architects

John Hejduk, Kreuzberg Tower John Hejduk, Wall house


Berlino (1987-1988) Groningen (2001)
Peter Eisenman (1932)
Parte del gruppo dei New York Five, Peter Eisenman ha
iniziato dalla metà degli anni Sessanta a realizzare una
serie di case unifamiliari che tendono ad un linguaggio
autonomo da qualsiasi riferimento contestuale e
funzionale.

Tale linguaggio nasce dalla rilettura di alcuni edifici antichi


o moderni, come la Casa del Fascio o la Casa Giuliani
Frigerio di Giuseppe Terragni, in cui emerge una
propensione agli aspetti sintattici dell’architettura
alternativi a quelli dell’ordine classico.

Nei progetti successivi, con scale di intervento più ampie,


Eisenman cerca invece un maggior legame con il carattere
del contesto: nei confronti dei centri storici, in particolare,
Eisenman propone il ricorso all’antimemoria.

Protagonista del suo repertorio formale è la griglia,


metafora diretta della città americana.
Peter Eisenman

House I, Princeton, New House II, Hardwick, House III, Lakeville,


Jersey (1967-1968) Vermont (1969-1970) Connecticut (1969-1971)

House IV, Falls Village, House VI, Cornwall, House X, Bloomfield Hills,
Connecticut (1971) Connecticut (1972-1975)) Michigan (1975-1978)

Peter Eisenman, Abitazioni


Peter Eisenman

Peter Eisenman, La fine del classico, Salvatore Settis, Futuro del classico,
1984 2004
Peter Eisenman

Durante il periodo del Movimento Moderno, i centri


storici della città divennero luoghi di saccheggio.
Con la loro demolizione durante la guerra, essi
rapidamente cominciarono a perdere la loro identità.
Come reazione a questo fallimento dell’architettura
moderna a capire, accrescere, o anche conservare, i
centri storici, nacque un nuovo atteggiamento il post
modern: i centri vennero trasformati in oggetti
feticcio.
Il primo atteggiamento tentava di congelare o
imbalsamare il tempo, il secondo di rovesciarlo o
riviverlo.

Peter Eisenman, The end of classical (1984), trad. It. La fine del
classico e altri scritti, Cluva, Venezia 1987, p. 81
Peter Eisenman

Peter Eisenman, Wexner Center for the Arts, Colombus, Ohio (1983-1989)
Peter Eisenman

Il Wexner Center for the Visual Arts rivela quanto


Eisenman abbia messo a profitto i suoi lunghi anni di
ricerca e di studio. La costruzione mostra che i suoi
metodi e i suoi procedimenti sperimentali sono in
grado di affrontare progetti di grande scala. (…)
L'insistenza sul reticolo e sui meccanismi di progetto
che gli si sono creati intorno, gli hanno fornito gli
strumenti per creare un continuum capace di inglobare
pezzi appartenenti a un mondo costruito,
caratterizzato ogni giorno di più dalla sua condizione di
realtà frammentata e sconnessa.

Rafael Moneo, La solitudine degli edifici e altri scritti, Allemandi, Torino


1999, pp. 109-111
Peter Eisenman

Peter Eisenman, Edificio residenziale per l’IBA, Berlino (1981-1985)


Peter Eisenman

Questa alternativa, che suggerisce sia presenze che


assenze, che eleva la memoria per permetterle di
riconoscere le “cancellature” prodotte dall’antimemoria,
che dipende dall’atto del dimenticare per presentare
“se stessa”, presuppone sia il fare che il disfare della
gerarchia precedente. Essa inizia attraverso un
processo di scavi, di sovrapposizione e
sostituzioni artificiali. Il terreno diventa un luogo
archeologico.

Peter Eisenman, The end of classical (1984), trad. It. La fine del
classico e altri scritti, Cluva, Venezia 1987, pp. 84-85
Peter Eisenman

Peter Eisenman, Edificio residenziale per l’IBA, Berlino (1981-1985)


Peter Eisenman

L’antimemoria si è sviluppata. La griglia di Mercator


si sovrappone come una seconda serie di mura sopra
e fra le mura storiche. Essa è costruita fino a 3,3
metri di altezza - la stessa altezza del muro di
Berlino. In tal modo i muri artificiali o “neutrali”
cominciano a cancellare la presenza fisica dei muri
storici. Essa li rende inaccessibili facendo sì che il
piano del terreno, su cui si è esercitata così tanta
storia dell’Illuminismo, diventi profondamente scavato,
il terreno ora diventa un’immagine della sua stessa
storia. Questo piano del terreno è staccato sia
verticalmente che orizzontalmente dai suoi bordi che lo
connettono con la città esistente, inclinando di 3,3°,
creando, questa volta architettonicamente, un’altra
condizione di blocco e di visione.

Peter Eisenman, The end of classical (1984), trad. It. La fine del
classico e altri scritti, Cluva, Venezia 1987, pp. 84-85
Peter Eisenman

Peter Eisenman, FSM East River Project, New York (2001)


Peter Eisenman

Peter Eisenman, FSM East River Project, New York (2001)


Richard Meier (1934)
Richard Meier ha studiato alla Cornell University di
Ithaca, ed ha aperto il suo studio a New York dopo
un’esperienza nello studio di Skidmore, Owings &
Merrill e in quello di Marcel Breuer.

Meier deve la sua notorietà alla mostra (1969) dei New


York Five, di cui fecero parte anche Peter Eisenman,
Michael Graves, Charles Gwathmey e John Hejduk.

Influenzato dall’opera di Le Corbusier, il linguaggio di


Meier si basa sulla libera combinazione di forme
geometriche in base al contesto urbano, con gli spazi
interni ispirati alle composizioni avanguardiste degli
anni Venti.

Dopo alcuni progetti di case unifamiliari, Meier si


confronta anche con temi più ampi, anche a scala
urbana, che culminano nel suo progetto più noto, il
Getty Center a Los Angeles (1985-1987).
Richard Meier

Richard Meier, Smith house, Richard Meier, Douglas house,


Darien, Connecticut (1965-1967) Harbor Springs, Michigan (1973)

Richard Meier, Case


Richard Meier

Richard Meier, MACBA, Barcellona Richard Meier, Museum für


(1992-1995) Kunsthandwerk, Francoforte (1981-1985)

Richard Meier, Musei


Richard Meier
Getty Center, Los Angeles
Getty Center

Richard Meier, Getty Center, Los Angeles, California (1985-1997)


Getty Center

Richard Meier, Getty Center, Los Angeles, California (1985-1997)


Getty Center

Richard Meier, Getty Center, Los Angeles, California (1985-1997)


Richard Meier

Richard Meier, Chiesa del Giubileo, Roma (1996-2004)


Richard Meier

Richard Meier, Museo Ara Pacis, Roma (1995-2006)


Il Decostruttivismo
Il Decostruttivismo è un movimento architettonico,
espressosi negli anni Ottanta e Novanta che, nell’intento di
rappresentare le contraddizioni e la frammentarietà
dell’epoca, sperimenta a livello formale la deformazione della
geometria euclidea.

Tale aspetto si esplicita, nei progetti e nei manufatti, a livello


sia strutturale che figurativo, attraverso pareti oblique,
aperture disposte in maniera apparentemente casuale,
pilastri inclinati in modo irregolare, composizioni
disarmoniche di colori e materiali, ed atmosfere di forte
carattere dinamico.

Introdotto nel 1967 dal filosofo francese Jacques Derridà, il


concetto di decostruttivismo è stato tradotto in architettura
nella mostra Deconstructivist Architecture, presentata nel
1988 al MoMA di New York, grazie al patrocinio di Philip
Johnson.

I sette rappresentanti del Decostruttivismo invitati alla mostra


furono Peter Eisenman, Frank O. Gehry, Zaha Hadid, Coop
Himmelb(l)au, Rem Koolhaas, Daniel Libeskind e Bernard
Tschumi.
Il Decostruttivismo

Tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo,


ossia tutto ciò che è in un certo senso terribile o che
riguarda oggetti terribili, o che agisce in modo
analogo al terrore

Edmund Burke, Origine del Sublime

Sublime è il senso di sgomento che l'uomo prova di


fronte alla grandezza della natura sia nell'aspetto
pacifico, sia ancor più, nel momento della sua terribile
rappresentazione, quando ognuno di noi sente la sua
piccolezza, la sua estrema fragilità, la sua finitezza,
ma, al tempo stesso, proprio perché cosciente di
questo , intuisce l'infinito e si rende conto che l'anima
possiede una facoltà superiore alla misura dei sensi.

Immanuel Kant, Critica della Facoltà di giudizio

Sublimis, oppure nella variante sublimus, composto da sub-, "sotto", e


limen, "soglia"[1]; quindi propriamente: "ciò che è al limite", ovvero di
sub-, "sotto", e limen-, "soglia", propriamente "che giunge fin sotto la
soglia più alta.
Il Decostruttivismo

Mostra Deconstructivist
Architecture (New York,
1988) – Indice del
catalogo
Frank O. Gehry (1929)
Le prime opere di Frank O. Gehry sono influenzate dal
rapporto con l’architettura tradizionale ed il vernacolo
californiano, e dalle poetiche compositive di Richard
Neutra e Frank Lloyd Wright.

Dagli anni Settanta, Gehry sperimenta la dissoluzione


delle convenzioni compositive e strutturali in una serie
di edifici residenziali, fra cui la sua Casa a Santa
Monica (1977-1989), che diventa uno degli edifici più
rappresentativi del decostruttivismo americano.

Negli anni Novanta, con l’avvento dei nuovi strumenti


informatici, i lavori di Gehry assumono forme sempre
più plastiche ed irrazionali, come nel Guggenheim
Museum di Bilbao (1991-1997) tanto da mettere in
discussione i valori prospettici e percettivi tradizionali.
Frank O. Gehry

Frank O. Gehry, Gehry House, Santa Monica, California (1977)


Frank O. Gehry

Frank O. Gehry, Gehry House, Santa Monica, California (1977)


Frank O. Gehry

Frank O. Gehry, Chiat/Day Building, Venice, California (1985-1991)


Frank O. Gehry

Frank O. Gehry, Edificio per uffici della Nationale-Nederlanden, Praga (1992-1996)


Frank O. Gehry

Frank O. Gehry, Wiggle side chair


(1972)
Frank O. Gehry
Guggenheim Museum, Bilbao
Guggenheim Museum

Frank O. Gehry, Guggenheim Museum, Bilbao (1991-1999)


Guggenheim Museum

Frank O. Gehry, Guggenheim Museum, Bilbao (1991-1997)


Guggenheim Museum

Frank O. Gehry, Guggenheim Museum, Bilbao (1991-1997)


Guggenheim Museum

Con i suoi 24.000 metri quadri il Guggenheim Museum


è senza dubbio un interessante prototipo di quello
che potrebbe essere un complesso espositivo
multimediale del prossimo futuro: generoso collage
tridimensionale di gallerie a più piani, di spazi
amministrativi e di laboratori, un auditorium di 350
posti, un ristorante affacciato sul fiume, un bar sotto
l’alta torre cava che fa da segnale, negozi e uffici

Fulvio Irace, Dimenticare Vitruvio, Sole 24 Ore, 2001,p. 22


Guggenheim Museum

Nel Guggenheim la fluidità presente nei suoi ultimi


lavori e cosi rilevante nel progetto per il museo Vitra si
avvale dell’utilizzo del calcolatore elettronico. Il
computer – e l’applicazione di un software utilizzata
dall’industria aeronautica, Catia – gli consentirà di
utilizzare qualunque forma, senza temere che
l’impossibilità di rappresentarla glielo impedisca: ora,
la più capricciosa delle forme può essere descritta,
rappresentata e, infine, costruita.

Rafael Moneo, Theoretical Anxiety and Design Strategies in the Work


of Eight Contemporary Architects (2005), trad. It.
Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’opera di otto architetti
contemporanei, Electa, Milano 2005, p. 252
Frank O. Gehry

Frank O. Gehry, Walt Disney Concert Hall, Los Angeles (1989-2004)


Frank O. Gehry

Un architetto non può che essere ottimista


sull’interazione del suo edificio con quelli circostanti:
esso può essere un attore passivo, stoico,
appassionato.
Bene, le forme esterne della Disney Hall si rifanno alla
vela. Quando le vele si aprono con il vento in poppa si
crea uno spazio molto bello, e se si guarda la facciata
della Walt Disney Concert Hall si vedranno due vele
aperte a farfalla e sembrerà di essere al timone vento
in poppa

Frank O. Gehry (dalla mostra omonima, Milano 2009)


Istituto Europeo del Design
2° anno. docente: arch. Matteo Moscatelli

Storia dell’architettura contemporanea

Lezione 3.2: Stati Uniti


New York

Minoru Yamasaki, World Trade Center, New York (1969)


Minoru Yamasaki, World Trade Center, New York (1969)
World Trade Center
I progetti di
Meier/Eisenman/Gwath
mey/Holl,
Greg Lynn,
Norman Foster,
Petterson/Littenberg

Concorso per il World Trade Center a New York (2002)


World Trade Center

Concorso per il World Trade Center a New York (2002)


Il progetto attuale, di David Childs (S.O.M.) e Daniel Libeskind
New York

Renzo Piano, Morgan Library, New York Renzo Piano, New York Times Tower,
New York
Renzo Piano a New York
New York

Renzo Piano, Whitney Renzo Piano, Columbia University,


Museum, New York New York

Renzo Piano a New York


New York

Sanaa, New Museum for Steven Holl, Storefront for Frank Gehry, IAC
contemporary Art, New Art and Architecture, New building, New York (2004-
York (2005-2007) York (1993) 2007)

Rem Koolhaas, New Christian De Portzamparc, Bernard Tschumi, Blue


York’s Prada Epicenter, LVMH Tower, New York Tower, New York (2006-
New York (2001) (1999) 2007)
Progetti recenti
Steven Holl (1947)
Dopo la laurea all’Università di Washington nel 1970,
Steven Holl ha studiato a Roma e all’Architectural
Association a Londra (1976).

Come emerge da uno dei suoi scritti più recenti,


Parallax (2000), il metodo progettuale di Steven Holl
nasce innanzitutto dalla valorizzazione degli aspetti
percettivi, poetici e tattili dell’architettura,
procedimento che si pone in modo critico rispetto agli
sviluppi culturali ed architettonici del postmoderno e
del decostruttivismo.

Tale aspetto si esprime, negli edifici, in una ricerca


molto profonda sulla qualità astratta degli spazi, in un
dialogo forte con un uso sempre originale dei materiali
e dei colori.
Steven Holl

Steven Holl, Stretto House, Dallas, Texas (1989-1991)


Steven Holl

Steven Holl, Complesso residenziale a Makuhari, Chiba (1992-1996)


Steven Holl

Stavo viaggiando in treno lungo una galleria tra gli


USA e il Canada, penso di essere entrato in galleria
con una mentalità “tipologica” e di esserne uscito con
una “fenomenologica”.

Steven Holl in
Grafting. A skype conversation between Steven Holl and Cino Zucchi,
“Area”, n. 125, 2013, p. 18
Steven Holl

Bordi, contorni e strutture che definiscono gli spazi


urbani (ridefiniti nella parallasse) vengono rivelati nella
percezione dinamica e nella luce. La mera geometria
o l'idea di "prospetto" sono troppo limitative. Non
si può separare l'esperienza di uno spazio urbano,
generato dalla leggera rotazione dei singoli muri
planari, dalla parabola di luce solare che sfiora i suoi
bordi.

Steven Holl, Parallax (2000), Postmedia, Milano 2004, pp. 13-15


Steven Holl

Steven Holl, Kiasma Museum, Helsinki (1992-1998)


Steven Holl

Steven Holl, Kiasma


Museum, Helsinki (1992-
1998)
Steven Holl

Steven Holl, Dormitori studenteschi al MIT, Cambridge, Massachussets (1998-2002)


Steven Holl

Steven Holl, Dormitori studenteschi al MIT, Cambridge, Massachussets (1998-2002)


Steven Holl

Steven Holl, Y house, Catskill (1999)


Steven Holl

Steven Holl, Writing with light house, Long Island, New York (2002-2004)
Steven Holl

Jackson Pollock, There were seven in eight, Steven Holl, Writing with light
MOMA, New York (1945) house, Long Island, New York
(2002-2004)
Steven Holl

Steven Holl, Cité de l'Océan et du Surf, Biarritz (2005-2011)


Istituto Europeo del Design
2° anno. docente: arch. Matteo Moscatelli

Storia dell’architettura contemporanea

Lezione 3.3: Italia


L’Italia
Alla fine della guerra l’Italia, come la Germania, stava cercando di cancellare i segni
del totalitarismo degli anni Trenta. Tuttavia, a differenza della Germania:
_ aveva trattenuto i propri talenti, mantenendo quindi una cultura architettonica di
carattere moderno verso la quale poteva anche porsi in continuità;
_ si fondava su un substrato di tradizione che non era mai stato cancellato
completamente;
_ possedeva una teoria architettonica più aperta e stratificata.

A partire dagli anni Cinquanta, in Italia si delinearono quindi correnti di pensiero


diverse ma riconducibili sostanzialmente a tre temi fondamentali:
_ il rapporto con la storia, costituita sia da riferimenti architettonici moderni e
classici, che da specifiche tradizioni locali (il neorealismo).
_ il rapporto con la tecnica, attraverso l’esplicitazione della struttura non solo come
dispositivo costruttivo ma anche come forma di espressione.
_ il rapporto con il paesaggio, anche alla luce della complessità di un territorio che,
come alcuni critici hanno osservato, non ha permesso all’architettura italiana di avere
un’identità unitaria ed omogenea.
Milano
Tra i protagonisti del Dopoguerra laureatisi a Milano si segnalano Franco Albini (1905-
1977), Ignazio Gardella (1905-1999), Ernesto Nathan Rogers (1909-1969); Giancarlo
De Carlo (1919), Vittorio Gregotti (1927), Aldo Rossi (1931-1997) e Giorgio Grassi
(1935).
Il dibattito milanese si è concentrato in modo particolare sul rapporto tra architettura,
storia e città:
_ Su “Casabella”, diretta da Rogers dal 1953 al 1965, attraverso le ricerche di Aldo
Rossi, Giorgio Grassi, Guido Canella.
_ Nel 1966, attraverso due testi destinati ad avere grande influenza sulle
generazioni successive: Il territorio dell’architettura di Vittorio Gregotti, e
L’architettura della città di Aldo Rossi.
L’eterogeneità dell’architettura italiana nel Dopoguerra era ben rappresentata da due
edifici, costruiti a Milano proprio alla fine degli anni Cinquanta:
_ la Torre Velasca che, attraverso il sistema strutturale, i materiali utilizzati e la
partizione delle facciata mostrava la ricerca di un rapporto con il contesto storico
_ il Grattacielo Pirelli che, come testimone di una nuova era del disegno
industriale in Italia, rappresentava il livello raggiunto dalle nuove tecnologie.
Il Neorealismo
Per Neorealismo si intende quella corrente
architettonica, nata intorno agli anni Cinquanta a
Roma, che si iscrive in una tendenza più vasta che
coinvolge anche il mondo della letteratura, del cinema
e della pittura.

Questa poetica nasce dal bisogno degli intellettuali di


un impegno concreto nella realtà politica e sociale del
Paese, e si pone come obiettivo quello di formulare un
nuovo linguaggio, legato alla storia dei luoghi, che
cancelli definitivamente quello del razionalismo
internazionale.

Tra gli architetti più rappresentativi di questa tendenza i


più noti sono Mario Ridolfi e Ludovico Quaroni,
insieme autori del quartiere sulla via Tiburtina a Roma.

Tra gli altri progetti rappresentativi, le case di Ridolfi a


Roma e a Terni, e il Borgo la Martella di Quaroni.
Torre Velasca e Grattacielo Pirelli

BBPR, Torre Velasca, Milano (1954-1958)


Torre Velasca e Grattacielo Pirelli

BBPR, Torre Velasca, Milano (1954-1958)


Torre Velasca e Grattacielo Pirelli

BBPR, Torre Velasca, Milano (1954-1958)


Torre Velasca e Grattacielo Pirelli

Gio Ponti, Pierluigi Nervi, Grattacielo Pirelli,


Milano (1956-1960)
Torre Velasca e Grattacielo Pirelli

Nelle piante le linee tratteggiate individuano i percorsi


assiali che “razionalmente” e “funzionalmente” si stringono
agli estremi: la forma chiusa non è disegnativa ma
rigorosamente sostanziale: corrisponde ai flussi dei
percorsi, i quali sono di portata costante nell’andirivieni
della parte centrale, mentre diminuiscono alle estremità,
onde il restringimento della galleria assiale alle due
estremità. La forma corrisponde razionalmente,
secondando il funzionamento, ad una sostanza, e
chiudendosi, determina una “figura finita”.

Una totale elasticità di suddivisione si attua con le a


pareti mobili ad elementi di 95 cm, da disporre su una
trama modulare di 95x95 nei due sensi. Volendo si può fare
un salone unico, o tre saloni; suddividere secondo
necessità.

Gio Ponti, Espressione del Grattacielo Pirelli in costruzione a Milano,


“Domus”, n. 316, 1956
Torre Velasca e Grattacielo Pirelli

Gio Ponti, Pierluigi Nervi, Grattacielo Pirelli, Milano (1956-1960)


Torre Velasca e Grattacielo Pirelli

Gio Ponti, Pierluigi Nervi, Grattacielo Pirelli, Milano (1956-1960)


Torre Velasca e Grattacielo Pirelli
L’analisi di due progetti così fortemente connotati come il Grattacielo Pirelli e la Torre
Velasca solleva la distinzione tra grattacielo e torre.

Tale distinzione nasce dalla contrapposizione tra l’edificio alto americano e quello
europeo: come osservava infatti anche Ludwig Hilberseimer, il primo non possiede
un carattere urbanistico mentre il secondo, raccogliendo l’eredità storica degli edifici
a torre, può assumere un ruolo strategico in relazione agli elementi della città.

La differenza tra gli edifici a torre e i grattacieli riguarda quindi innanzitutto il loro
rapporto con il territorio: nel primo caso l’edificio alto “guarda lontano ed è visto da
lontano”, ponendosi in questo modo come punto di riferimento ed orientamento per
il territorio, mentre nel secondo prende senso nel suo stare insieme ad altri, in un
sistema in cui ognuno si confronta non tanto con il territorio, ma con gli altri grattacieli.

Nel caso milanese, nessuno parla mai di “Grattacielo Velasca” o “Torre Pirelli”: la prima
è isolata, guarda lontano e da lontano è visibile, il secondo si costruisce su una logica
basata sul confronto con altri grattacieli, facenti parte di un ipotetico (poi non
realizzato) centro direzionale.
Milano – Il Dopoguerra

Luigi Caccia Dominioni, Edificio in Piazza


Carbonari, Milano (1960-1961)
Milano – Il Dopoguerra

Io sono un piantista: nel senso che sulla pianta ci


sono, ci muoio, sia che si tratti di un palazzo per uffici
che di un appartamento di sessanta metri quadri…
Sono architetto sino in fondo e trovo l’urbanistica
ovunque… In realtà l’appartamento è una
microcittà, con i suoi percorsi, i suoi vincoli, gli spazi
sociali e quelli privati. Mi sono sempre appassionato
agli spazi piccoli e ho sempre dato l’anima per farli
sembrare più grandi, ad esempio allungando i
percorsi, contrariamente a una certa tendenza che
tende a ridurli. L’ingresso diretto in soggiorno non lo
amo perché non riserva sorprese, mentre il compito
dell’architetto, io credo è anche quello di suscitare un
succedersi di emozioni…I miei ingressi, le mie scale,
persino i mobili sono soluzioni urbanistiche.

Luigi Caccia Dominioni


Milano – Il Dopoguerra

Luigi Moretti, Complesso per abitazioni e


uffici in Corso Italia, Milano (1951-1953)
Milano – Il Dopoguerra

Ignazio Gardella, Padiglione di Arte Contemporanea, Milano (1948-1954)


Milano – Il Dopoguerra

Franco Albini e Franca Helg, Allestimento delle stazioni linea 1 della metropolitana,
Milano (1962-1964)
Milano – Il Dopoguerra

“Brutalismo”, secondo l’inglese Reyner Banham.


significa in architettura:
1)l’edificio come immagine visivamente unitaria,
netta e memorabile;
2)esposizione della struttura;
3)valorizzazione dei materiali “grezzi”, non trattati.

Definizione, questa, integrata su “L’Espresso” del 2


marzo ‘58: piante chiare e “caste”, volumetrie
rudemente corrugate ma elementarmente prismatiche,
impianti tutti in vista, zone di colore violento.

Renato Pedio, Il nuovo Istituto Marchiondi a Milano, “L’architettura.


Cronache e storia”, n. 40, 1959
Milano – Il Dopoguerra

Vittoriano Viganò, Istituto Marchiondi Spagliardi, Milano (1953-1957)


Milano – Il Dopoguerra
Aldo Rossi, Unità Carlo Aymonino,
residenziale al Complesso
Quartiere residenziale
Gallaratese, Monte Amiata,
Milano (1969- Milano (1967-
1973) 1974)
Milano – Il Dopoguerra

Oscar Niemeyer, Edificio


per uffici Mondadori,
Segrate (1968-1975)
Milano – La contemporaneità /// Riqualificazioni

Vittorio Gregotti, Riqualificazione Area Bicocca, Milano (1994-2005)


Milano – La contemporaneità /// Riqualificazioni

Gabetti e Isola, Riqualificazione Area Bicocca, Milano (1988)


Milano – La contemporaneità /// Riqualificazioni

Porta Nuova Garibaldi-Isola-Varesine


Milano – La contemporaneità /// Skyline

Cino Zucchi, Edilizia convenzionata e libera al Portello, Milano (2002-2008)


Milano – La contemporaneità /// Skyline

Boeri Studio, Bosco verticale, Milano (2007-2013)


Milano – La contemporaneità /// Skyline

Zaha Hadid, Arata Isozaki, Daniel Libeskind, Torri Citylife, Milano (2012-2015)
Milano – La contemporaneità /// Skyline

Arata Isozaki, Allianz Tower, Milano (2012-2015)


Milano – La contemporaneità /// Skyline

Zaha Hadid, Torre Generali, Milano (2014-2017)


Milano – La contemporaneità /// Skyline

Daniel Libeskind, Torre Libeskind, Milano (2015-2020)


Milano – La contemporaneità /// Luoghi della cultura

Mario Botta, Elisabetta Fabbri, Ristrutturazione Teatro alla Scala, Milano (2002-2004)
Milano – La contemporaneità /// Luoghi della cultura

Grafton Architects, Nuova Aula Magna Università Bocconi, Milano (2004-2008)


Milano – La contemporaneità /// Luoghi della cultura

Tadao Ando, Armani/Teatro, Milano (2000-2001)


Milano – La contemporaneità /// Luoghi della cultura

Herzog & De Meuron, Fondazione Feltrinelli, Milano (2011-2016)


Milano – La contemporaneità /// Luoghi della cultura

Herzog & De Meuron, Feltrinelli Porta Volta, Milano (2008-2016)


Milano – La contemporaneità /// Luoghi della cultura

OMA-Rem Koolhaas, Fondazione Prada, Milano (2015)


Milano – La contemporaneità /// Luoghi dell’abitare

MAB arquitectura, Abitare a Milano – Consalez Rossi, Abitare a Milano –


Via Gallarate, Milano (2005-2009) Via Civitavecchia, Milano (2006-2010)
Milano – La contemporaneità /// Luoghi dell’abitare

Fabrizio Rossi Prodi, Housing sociale in Via Cenni, Milano (2011-2013)


Milano – La contemporaneità /// Luoghi del lavoro

Renzo Piano, Il Sole 24 Ore, Milano (1998-2005)


Milano – La contemporaneità /// Spazi commerciali

John Pawson, Farini bakery, Milano (2017) Claudio Silvestrin, Princi bakery,
Milano (2006)
Roma
A Roma hanno studiato architetti come Mario Ridolfi (1904-1984), Luigi Moretti
(1907-1973), Saverio Muratori (1910-1973), Ludovico Quaroni (1911-1987), Paolo
Portoghesi (1931) e Franco Purini (1941).

Nel Dopoguerra, la cultura architettonica romana era influenzata da alcuni aspetti


eterogenei:
_ la polemica, condotta dallo storico e critico Bruno Zevi sulla rivista Architettura.
Cronache e storia, a favore dell’architettura organica, con Frank Lloyd Wright
eletto a principale riferimento culturale.
_ l’interesse per l’urbanistica, sfociato nelle iniziative della ricostruzione e
dell’edificazione di case a basso costo (che si tradurranno nel progetto per il
quartiere Tiburtino e negli edifici residenziali di viale Etiopia di Mario Ridolfi).
_ l’apertura della discussione sui conflitti interni al moderno, che porrà profonde
riflessioni sul rapporto tra architettura e storia, e che diverranno centrali in alcuni
progetti come l’edificio della Rinascente (1957-1961) di Franco Albini, la casa alle
Zattere (1953-1962) a Venezia di Ignazio Gardella o, più avanti, nelle opere di Paolo
Portoghesi e Franco Purini.
Roma

Luigi Moretti, Casa delle Armi al Foro Italico, Roma (1933-1937)


Roma

Luigi Moretti, Casa delle Armi al Foro Italico, Roma (1933-1937)


Roma

Luigi Moretti, Casa del Girasole, Roma (1947-1950)


Roma

Mario Ridolfi, Appartamenti INA in viale Etiopia, Roma (1951-1954)


Roma

Pier Luigi Nervi, Palazzetto dello Sport, Roma (1958)


Roma

Franco Albini, Grandi Magazzini La


Rinascente, Roma (1957-1961)
Roma

Paolo Portoghesi, Moschea e Centro


Islamico, Roma (1974-1995)
Bibliografia
William J. R. Curtis, L’architettura moderna del Novecento

Richard Meier pp. 564, 664


Peter Eisenman pp. 565, 664-665
Frank O. Gehry pp. 605, 662-664
Steven Holl p. 677

Italia pp. 476-477, 553-554


Milano pp. 478-479
Roma pp. 477, 480

Matteo Moscatelli, On the road: Milano

Il Dopoguerra
pp. 34-35, 46-47, 48-49, 66-67, 80-81, 84-85, 192-193, 198-199
La contemporaneità
pp. 56-57, 90-91, 96-97, 102-103, 116-117, 134-135, 152-153,160-161, 170-171, 194-195, 196-197
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