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Lezione n.

1: Concetto e caratteri del Medioevo

Argomenti:
- Attualità del Medioevo
- Formazione del concetto storiografico di “Medioevo”
- Problema della periodizzazione in storia
- Uso attuale del concetto di Medioevo

Attualità del Medioevo


Abbiamo la possibilità di metterci direttamente in contatto con questa epoca del passato? L’eredità
più visibile, il modo più diretto e suggestivo di entrare in contatto con l’età medievale è di
apprezzarne i monumenti sopravvissuti nel territorio. Un esempio: i castelli, che ci mettono in
contatto con un mondo diverso, un diverso modo di organizzare lo spazio e le persone, e ci danno
un’idea del passare del tempo, della diversità delle esperienze.
Il Chiostro dell’Abbazia di Moissac, nella Francia meridionale, è un esempio di suggestione del fatto
che il medioevo è anche costruzione monumentale di grande valore estetico e significato culturale.
Ciascuno di noi ha certamente avuto una esperienza di lasciti dell’epoca medievale, tale da farci
capire che l’età medievale è fortemente presente nel mondo in cui viviamo.
La caratterizzazione dell’epoca medievale è un fenomeno specifico della civiltà e della cultura
europea.
Un’altra suggestione che proviene dalla civiltà medievale è quella dei Cavalieri della Tavola Rotonda:
l’eredità del medioevo non consiste solo in resti di monumenti, ma anche in concetti, termini, idee
generali presenti ancora oggi nel linguaggio quotidiano o nell’esperienza culturale più semplice e
non professionale. Il concetto di cavalleria è una memoria un po’ mitica, un’idea generale di sistemi
di vita, pratiche e consuetudini; e anche il concetto di barbarie ha la sua collocazione culturale nel
periodo medievale.
Una certa idea di Medioevo fa parte dell’esperienza culturale di chiunque sia semplicemente attento
o curioso per questi residui del passato.
L’idea di medioevo è spesso connotata negativamente: quando si qualifica una decisione, una
situazione o un comportamento con l’aggettivo “medievale”, spesso si intende retrograda,
oscurantista, o comunque gli si attribuisce una connotazione negativa. Spesso si giudica il Medioevo
come un’epoca oscura, che non brilla per civiltà, per tenore di vita, per qualità della cultura. È un
pregiudizio che risale alle origini stesse della definizione di un segmento della storia come
medievale.

La formazione del concetto storiografico di Medioevo


L’idea del Medioevo nasce con una connotazione negativa quando in Italia rifioriscono gli studi
classici nel corso del 1400: c’è una riscoperta che letterati e scrittori fanno del grande patrimonio di
valori estetici, dottrine e testi letterari consacrati nell’antichità classica attraverso le opere di poeti
e filosofi greci e latini. Nel corso del 1400 vi è un apprezzamento del contenuto intrinseco e dei valori
umani rappresentati da queste opere: i testi sono stati recuperati nelle antiche biblioteche, e gli
uomini del Rinascimento hanno avuto l’impressione di fare rinascere la civiltà.
Gli uomini del Rinascimento hanno avuto la consapevolezza di starsi ponendo un rapporto diretto
con i valori proposti dai grandi testi dell’antichità, e hanno elaborato la suddivisione della storia in
tre grandi momenti:
- un momento antico in cui erano stati elaborati gli ideali e il canone della umanità;
- il momento nuovo di recupero e riattualizzazione di questo canone nel 1400;
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- in mezzo a queste due epoche un lungo periodo oscuro in cui il patrimonio definito
nell’antichità classica era stato dimenticato e durante il quale non era più stata praticata
quella vita spirituale e morale che contraddistingueva una civiltà sviluppata. Il periodo tra i
due momenti era un’età di mezzo, un medio evo, e veniva giudicato negativamente sotto il
profilo dell’umanità.
Il giudizio negativo formulato dagli umanisti italiani viene riproposto sotto il profilo della storia
religiosa, quando nasce e si afferma in Germania il movimento protestante con Lutero e con dotti
e teologi che ripercorrono la storia della Chiesa. Essi teorizzano che la storia della Chiesa e della fede
cristiana si può dividere in tre grandi tappe:
- la Chiesa apostolica dei primi cristiani, il momento originario più vicino all’insegnamento di
cristo;
- la Chiesa riformata che vuole tornare ai valori della pratica religiosa tipici della Chiesa
primitiva;
- in mezzo a questi due momenti un periodo di degenerazione, di mondanizzazione della
Chiesa romana. La cristianità aveva vissuto un periodo di decadenza al quale il
protestantesimo aveva messo fine. L’età intermedia veniva connotata in senso negativo.
Ecco l’origine storica del concetto di Medioevo, sul quale ancora oggi grava ipoteca di oscurità,
barbarie e negatività.
La riflessione storica si è comunque evoluta, nel tempo non ci si è fermati su questa concezione così
rigida, e nel 1500 e nel 1600 ci sono stati anche altri interessi nei confronti del passato, ci sono stati
dotti ed eruditi, professionisti, giuristi e amministratori che hanno indagato sui precedenti della
situazione in cui si trovavano a vivere (le monarchie, le corporazioni cittadine, gli ordini religiosi, la
Chiesa cattolica) anche per un gusto della conoscenza del passato. Si è indagato sulle origini e gli
sviluppi delle monarchie, della nobiltà, delle istituzioni ecclesiastiche, e si è costatato che queste
istituzioni avevano origine nei secoli di mezzo tra l’antichità e la rinascita, appunto nel Medioevo.
Il giudizio sulle origini delle istituzioni vigenti non poteva essere negativo, queste venivano viste
come parte della tradizione di ciascuna di queste grandi istituzioni. L’approfondimento, la curiosità,
la ricerca delle testimonianze antiche ha fatto sì che l’epoca di mezzo si sia cominciata a riempire
di informazioni che delineavano la nascita e lo sviluppo di istituzioni che erano ancora presenti
nella vita degli studiosi del 1600 e ancora 1700. L’età di mezzo si è cominciata a riempire di situazioni
e sviluppi che avevano un valore positivo, di crescita verso il presente e il moderno. In questa
maniera si è cominciata a cambiare la valutazione dell’età di mezzo, ora intesa con un’età piena di
situazioni nuove, come un’età agganciata al moderno, e quindi valida in quanto premessa del
moderno.
La tripartizione della storia si è arricchita e complicata nella riflessione nella cultura del 1600, che ha
dato vita a una tripartizione simile ma di diverso significato: l’età antica, l’età medievale e l’età nuova
o moderna. L’età medievale, però, non è più l’età in cui sono venuti meno i valori, ma è un’età intesa
piena di situazioni nuove e caratteristiche e storicamente significative.
Cristoforo Keller, professore dell’università seicentesca, ha per primo ideato un manuale di studio
articolato in tre volumi: storia antica, storia medievale, storia moderna. Il passaggio tra storia
medievale e moderna è visto in chiave di trasformazione, scoperte geografiche, nuove tecniche di
combattimento, formazione delle monarchie… non si è letto più nel medioevo la rinascita
dell’antico, ma la nascita del moderno, che è diverso sia dall’epoca antica sia da quella medievale.
Una volta che si è formata questa nuova concezione del Medioevo, l’itinerario degli studi era
segnato: era un itinerario di approfondimento, conoscenza.

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Si ricorda un erudito italiano del 1700 fondamentale nella creazione di una conoscenza dell’epoca
medievale: Ludovico Antonio Muratori, uomo di attività prodigiosa, e che tra i molti lavori ha
raccolto cronache e testimonianze originali su cosa avveniva in Italia nel medioevo, e li ha pubblicati
a stampa in una grande raccolta “Rerum Italicarum Scriptores”. Questa opera ha creato la
possibilità di uno studio sistematico e critico, fondato su documenti accertati, di ciò che avveniva in
Italia nel Medioevo.
La storia dell’Italia inizia nel Medioevo, e non nell’età antica. Non è che l’età medievale venga subito
rivalutata e vista come epoca di grande civiltà: rimane sempre l’ipoteca di un giudizio negativo, di
un’età barbarica e sgradevole, ma contemporaneamente sono tutti più sensibili a configurare
questa età di mezzo come un’età in cui c’è sviluppo e incivilimento. Muratori vi legge un
incivilimento per tappe che conduce all’epoca moderna, del 1700 (per Muratori).
Nello stesso tempo, durante l’Illuminismo francese, l’età medievale è oggetto di aspre critiche:
Voltaire ha tracciato un racconto dell’età medievale, ma all’insegna di una derisione per la rozzezza
dei costumi e di condanna per la barbarie e l’ignoranza. Se, da un lato, la conoscenza e la
disponibilità all’apprezzamento migliorano, dall’altro lato c’è la condanna per la superstizione che
avrebbe dominato le menti delle persone in età medievale, e la continuazione della polemica per
un’età considerata antimoderna, da combattere perché culla dei soprusi e delle inciviltà che
l’illuminismo francese combatte. Contro il Medioevo l’Illuminismo proponeva nuovi modelli di
società giuridica.
Andando ancora avanti nel tempo, il giudizio negativo formulato dall’Illuminismo viene capovolto
quando si passa alla sensibilità di tipo preromantico e romantico: il Romanticismo ha riscoperto il
Medioevo in antitesi all’età moderna. Pensatori, filosofi, poeti di età romantica hanno identificato
nel Medioevo una società organizzata, basata su sentimenti profondi, passioni autentiche, l’età
dell’onore, della cavalleria. Nessuno di questi concetti si può applicare criticamente all’epoca
medievale, ma l’insieme di queste riflessioni è stato importante per recuperare il Medioevo come
un’epoca positiva, contrapposta all’età contemporanea ottocentesca nella quale i pensatori, i
filosofi e gli intellettuali si sentivano a disagio. I ruderi, i resti dell’età medievale suscitavano stupore,
ammirazione, e evocavano un periodo fantastico che stava alle spalle dell’età moderna. Nel 1800 vi
è una valutazione decisamente positiva dell’epoca medievale, che poteva ora reggere il confronto
con l’epoca classica. Nel corso del 1800, tuttavia, la conoscenza, la ricostruzione degli aspetti
giuridici, economici, ecc. hanno fatto passi avanti perché la scienza storica si è professionalizzata.
Fino ad ora la scienza storica era di letterati e umanisti, ora si è professionalizzata. L’800 è l’epoca
della fondazione della storia critica, e delle ricerche storiche fatte su basi scientifiche. Si è capito
come era complessa la società europea, e ricca, durante i 1000 anni che costituiscono l’età
medievale.
Quello che noi conosciamo della società del Medioevo si fonda su ciò che è stato consolidato dai
nostri predecessori ottocenteschi. Oggi, però, interpretiamo i dati più sofisticamente perché
abbiamo strumenti più raffinati.

Il problema della periodizzazione in storia


Parlare di Medioevo significa usare il concetto di periodo storico, e dobbiamo domandarci che
legittimità ha l’utilizzo del concetto di periodo. Sono, infatti, concetti creati dal pensiero storico per
definire, comprendere, caratterizzare quello che è successo nel passato, per evitare di fare del
passato un flusso continuo e senza significato. Certi sviluppi di situazioni, certe organicità culturali
rappresentano un insieme significativo, un periodo storico, non perché realmente sia qualcosa che
connaturato con il processo del divenire, ma perché noi riusciamo a connotare il divenire, ad
articolarlo, se attribuiamo un significato generale a importanti blocchi di tempo.

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Si può mantenere l’idea di medioevo e concentrarci su come si caratterizza il Medioevo, cosa vuol
dire parlare, studiare, definire l’età medievale.

L’uso attuale del concetto di medioevo


Oggi è possibile caratterizzare l’età medievale in due modi concomitanti.
Da un lato è l’età in cui è nata l’Europa, perché nel mondo antico c’erano una dimensione spaziale,
una culturale e una organizzativa che non hanno nulla a che vedere con quella attuale, né dal punto
di vista geografico, né dal punto di vista culturale. Il Medioevo, quindi, viene visto come origine
dell’Europa.
Il medioevo, però, viene anche visto come momento in cui è nata, si è sviluppata e si è dissolta una
civiltà: nelle slide si vedono le immagini del Duomo Uta di Naumburg, una statua che raffigura la più
bella donna del medioevo. E poi, nell’altra immagine: la città di Carcassonne, nella Francia
meridionale. Queste due testimonianze ci dicono che ci sono caratteri specifici che affondano le
radici nel Medioevo.

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Lezione n. 2: La società dell’Impero nel IV sec.
Gli argomenti:
- il peso dello Stato sulla società
- l’attività economica
- la chiesa cristiana
- Cristianesimo e paganesimo

Il peso dello stato sulla società


Lo stato organizzato da Diocleziano e Costantino era uno Stato totalitario, in cui le ragioni dello
Stato prevalevano sugli interessi dei cittadini, come si vede sotto il profilo della politica fiscale. Il
sistema messo in piedi da Diocleziano, e poi perfezionato da Costantino, è un sistema in cui la
fiscalità ha un ruolo molto forte.
Lo Stato ha bisogno di soldi per funzionare, e questi vengono prelevati ai cittadini, sotto diverse
forme di tassazione che colpiscono sostanzialmente le attività produttive, la proprietà fondiaria
e la produzione delle proprietà fondiarie. La tassazione grava anche sulle città, e sui corpi
municipali (ossia le rappresentanze di cittadini costituite da cittadini più agiati e illustri che
amministravano i diversi municipi). Queste curie sono esse stesse dei grandi contribuenti
dell’impero, e sono responsabili delle tasse dovute dai membri della città, e sono responsabili con i
beni personali. L’oppressione è gravissima e si sposta sulle persone anche quando non sono
fiscalmente debitrici, ma lo sono solidarmente. La tassazione colpisce la produzione artigianale, e i
produttori organizzati in collegi o corporazioni, che sono responsabili nei confronti dello Stato
delle tasse dovute dai loro membri. Tutta l’attività produttiva e tutti i centri organizzati della vita
sociale e civile sono responsabili nei confronti dello Stato, e sono tutti tenuti d’occhio dalla
fiscalità.
L’interesse prevalente dello Stato è il fatto che nel corso del IV secolo si tende a rendere
ereditaria la condizione dei lavoratori, nei campi o nei settori artigianali. Secondo questo sistema
il figlio di un contadino continuerà a fare il contadino, e il figlio di un panettiere sarà panettiere. Lo
Stato, quindi, si assicura introiti permanenti. In caso di campi che non venissero più messi a
coltura, per esempio, i proprietari di quelli confinanti dovrebbero pagare le tasse anche per i
campi dismessi: l’importante per lo stato è assicurarsi il reddito fiscale a un livello che deve restare
permanente.
È un sistema che può paralizzare l’economia, un sistema che blocca la ricerca di situazioni migliori,
lo stimolo a innovare la condizione economica, ingessa la società economica organizzandola verso
l’unico fine di pagare le tasse.

L’attività economica
L’attività economica nel IV secolo, nell’età costantiniana, presenta segni che non si accordano
bene con questa premessa: contemporaneamente constatiamo dei segni di ripresa dell’attività
economica rispetto al III secolo, segni di miglioramento della qualità della vita urbana, segni di
prosperità, di un tenore di vita di alcuni ceti piuttosto elevato.
Sappiamo per certo che nel IV secolo si costituiscono e hanno occasioni di vita agiata dei grandi
proprietari fondiari, che costruiscono ville, residenze rurali di grande qualità artistica e
architettonica: luoghi di vita agitata e, contemporaneamente, centri di organizzazione dello
sfruttamento agrario di una grande proprietà. Si tratta di complessi di edifici, di residenze,
laboratori e magazzini che spesso hanno un grande rilievo monumentale e artistico (per esempio
la Villa di Piazza Armerina in Sicilia). Dalla grande qualità di questi complessi possiamo desumere
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che esistevano ancora maestranze che soddisfacevano una committenza che aveva esigenze e
gusti di alto livello, e questo aspetto si vede anche nelle ville africane.
Oltre ad avere testimonianze della costruzione di proprietà fondiarie ben gestite che costituiscono
il quadro di un’attività anche culturale e sociale di alto livello, e ci sono intere regioni che si
specializzano in produzioni di qualità per l’esportazione. Un esempio di regione specializzata in
produzioni da esportare è l’Africa: nella slide c’è una carta di distribuzione delle produzioni olearie
africane nel IV secolo. L’odierna Tunisia, allora la Proconsolare, vede una forte specializzazione
nella produzione olearia, per la distribuzione in tutto il bacino mediterraneo.
Da un lato pensiamo quest’epoca come caratterizzata dallo Stato esattore, ma dall’altro lato
abbiamo grandi proprietà fondiarie, e regioni specializzate nella produzione di beni per la
distribuzione. Si veda la slide che mostra le forme delle anfore africane in cui veniva esportato
l’olio; si veda anche la slide che mostra un corredo da tavola in cui si mettono in evidenza prodotti
ceramici di origine africana.
In Africa, oltre all’olio, si producono stoviglie da tavola di buona qualità a causa delle tecniche di
lavorazione e rifinitura: i prodotti vengono poi diffusi in tutto il bacino occidentale del
Mediterraneo, sulle stesse rotte commerciali dell’olio e del grano africano. L’Africa è una delle
terre più ricche, in quanto più produttive, dell’Impero nel IV secolo, quindi si pensa che il sistema
fiscale non fosse così opprimente da fiaccare la produzione.
Non solo l’Africa e non solo questo tipo di prodotti caratterizzano l’attività economica del IV
secolo. Ci sono anche prodotti di lusso, di ceramica sigillata o cristallo di rocca, anche nell’area
renana: quell’area è specializzata in prodotti in vetro.
Lo stesso Impero si preoccupa di istituire e gestire delle manifatture di stato dedicate alla
produzione di armi nell’esercito romano, in alcune località idonee. Anche questa è un’attività
produttiva gestita dallo Stato, testimonianza di un’organizzazione imprenditoriale, che forniva la
possibilità di dare lavoro e di fare circolare prodotti.
Nel IV secolo non c’è un quadro totalmente negativo, e nemmeno il quadro di una società che
uniformemente ha lo stesso livello di imprenditorialità e produttività economica. Alcune regioni
sono più favorite, alcuni centri di produzione e consumo sono privilegiati, come le grandi città
imperiali; altre città, per contro, nel corso del IV secolo si avviano invece a un destino di grande
decadenza che le porterà a estinguersi.
Nella parte orientale dell’Impero il livello della vita sociale, imprenditoriale, e dei consumi, è più
alto che in occidente. L’Oriente è caratterizzato da un fenomeno urbano più sviluppato e un
mercato più sviluppato, anche grazie ai contatti con la Persia e con l’India.
In occidente ci sono aree di produzione e, accanto, aree di crisi. Nelle campagne la popolazione
rurale si raggruppa in grandi villaggi, dove nascono forme di solidarietà e di assistenza collettiva.
Il dittico di Stilicone e Serena testimonia la grande abilità artigianale ancora disponibile nel mondo
imperiale romano.
Il IV secolo è complesso, ma non può essere considerato un secolo di crisi nonostante lo stato
vorace: è un mondo non omogeneo, un mondo in cui tra oriente e occidente si delineano delle
separazioni di struttura. In occidente l’attività si ruralizza e la ricchezza si fonda sempre di più sulla
grande proprietà fondiaria, concentrata in poche mani a discapito della piccola proprietà fondiaria
che tende a ridursi.

La chiesa cristiana
La Chiesa cristiana era già diffusa quando Costantino ha legalizzato il culto in tutto l’Impero, ed
era già organizzata nella sua forma tipica, per vescovati. Non era ancora una chiesa con la strutta

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complessa e centralizzata che culmina nel papa come unico capo di tutta la chiesa, che
gerarchicamente deriva le sue funzioni dal papa in quanto vicario di Pietro.
Nel III e IV secolo c’è una rete di vescovati autonomi, che organizzano la vita della comunità
cristiana in maniera spontanea e locale. Ogni città dell’Impero ha visto affermarsi una comunità
cristiana con a capo un amministratore che la gestisce, presiede ai culti e guida la vita spirituale dei
membri: ogni sede ha un vescovo, e un clero che aiuta il vescovo. Quando Costantino riconosce la
liceità del culto cristiano, questa rete diventa legittima e acquista la sicurezza di poter possedere,
la sicurezza di una fondazione patrimoniale e economica, che si esplica anche in carità e assistenza.
Il fondamento economico della chiesa è essenziale per praticare la carità cristiana, l’assistenza dei
poveri e dei membri più deboli della comunità.
Nel IV secolo non c’è una vera e propria struttura gerarchica, anche se inizia a delinearsi una
ripartizione in 5 grandi aree di coordinamento, i patriarcati:
- Antiochia
- Gerusalemme
- Alessandria
- Roma
- Costantinopoli (nel V secolo).
Che cosa tiene insieme questi patriarcati? I patriarcati sono delle grandi provincie ecclesiastiche
che si richiamano a una medesima tradizione, e che hanno un richiamo a una lingua popolare
(come il siriaco, o il copto per l’area egiziana) oppure l’autorità alla sede imperiale, nel caso del
patriarcato di Costantinopoli. Non si tratta di un’articolazione istituzionale, ma di una formazione
spontanea di grandi provincie i cui vescovi riportano al patriarca, capo di una grande provincia.
Il patriarca ha alcuni poteri di coordinamento dei vescovi, e ha potere sulla loro nomina, e può
convocarli per discutere di questioni della chiesa.

Il rapporto tra cristianesimo e paganesimo


Nel corso del IV secolo possiamo dire che il paganesimo non è morto e non viene cancellato
dall’editto di Costantino, che legalizza la religione cristiana. L’editto rende lecita la religione
cristiana, insieme alle altre religioni che vengono praticate nell’impero, e non sopprime la
tradizionale religione pagana, che sopravvive e ha momenti di particolare splendore e successo
politico.
Durante l’impero di Giuliano la religione pagana ha una grande ripresa perché si vogliono
restaurare i culti pagani cinquant’anni dopo l’editto di Costantino (Giuliano è il pronipote di
Costantino). Giuliano vuole ricostituire i culti pagani riproponendo gli aspetti più cruenti come
forma più idonea a esprimere la sua personale religiosità e a garantire la stabilità e il successo
dell’impero.
Il paganesimo nel corso del IV secolo non può essere immaginato come l’insieme delle vicende e
storie degli dei presentati alla stessa maniera degli uomini che noi siamo abituati a ricordare sulla
base della mitologia pagana. Viene professato a due livelli, a livello popolare con una serie di
superstizioni, e a livello alto viene spiritualizzato e diventa una religione rituale che garantisce
sicurezza delle famiglie, delle persone, della struttura politica. In questo alto livello gli dei
assumono quella fisionomia umanizzata tipica della mitologia come la immaginiamo, ma anche
quella espressione di forza sovrannaturale e divina che presiedono alla vita degli uomini, con i
quali possono entrare in contatto attraverso culti e sacrifici.
La slide mostra l’immagine della valva del dittico dei Simmachi e dei Nicomachi: l’oggetto proviene
da un ambiente di alta cultura, che si esprime in nobilissime figure classicheggianti, che

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conservano un’ideale di vita e spiritualità che trova principale riferimento in Virgilio, esprimendo
devozione agli dei che proteggevano il mondo e la cultura romana.
Dall’altra parte c’è anche un mondo cristiano, dinamico, in cui la riflessione sulla figura, la
divinità e la missione di cristo è oggetto di appassionati dibattiti. La slide mostra il Sarcofago con
Cristo Seduto come un giovane filosofo nell’atto di ammaestrare: si tratta di un’immagine diversa
dalla nostra più profonda raffigurazione di Cristo, che è la crocifissione. Nel IV secolo, infatti, di
Cristo si preferisce evidenziare l’aspetto di docente. Dall’immagine si capisce che vi sono diverse
possibilità di intuire la figura storica e divina di Cristo, ma ci sono anche problemi più complicati
che agitano il mondo cristiano a proposito della divinità di Cristo, e dei suoi rapporti con la
divinità che lui chiama Dio padre: problemi di rapporto tra padre e figlio. Il figlio incarnato e
morto in croce e il padre non incarnato. Quale rapporto tra i due? Su questo nacque all’inizio del IV
secolo un conflitto teologico e dottrinale, ad Alessandria, sostenuto da Ario, sulla qualità della
divinità che si poteva attribuire a Cristo in rapporto alla divinità del padre. Ario sosteneva che, per
il fatto di essersi incarnato sulla Terra, il figlio non aveva la stessa identica sostanza divina del
padre, il figlio era la prima creatura del padre, perfetta, non Dio increato ma una creatura divina
creata, e perciò inferiore rispetto al padre. Questa interpretazione poneva dei problemi, come
quello della salvezza. Si trattava di una concezione che rendeva più comprensibile la passione di
Cristo, ma poneva il problema del valore del riscatto umano operato attraverso la passione di
Cristo. Se questi era una creatura, in quale modo poteva avere riscattato la peccaminosità
dell’uomo?
Si registrano conflitti violenti ad Alessandria tra Attanasio (che sosteneva che Cristo fosse
identicamente divino come il padre) e Ario, ma si diffondono anche in oriente tanto che
Costantino nel 325 convoca un concilio di vescovi della parte orientale dell’impero, a Nicea, per
dibattere questo problema. In quell’occasione la formula ariana di Ario viene condannata come
ereticale, ma l’arianesimo continua a vivere nel corso del IV secolo in forme seminascoste e
mitigate. Il rapporto tra cristianesimo e paganesimo, che è complesso, si complica di conflitti
all’interno dello stesso cristianesimo sulla divinità della figura di Cristo.
L’impero adotta formalmente il cristianesimo solo alla fine del IV secolo, e da quel momento gli
imperatori faranno una politica di favore del cristianesimo e di rimozione del paganesimo. Si veda
la slide con indicazioni cronologiche che mostrano come gli imperatori alla fine del IV secolo
prendono iniziative che progressivamente eliminano il paganesimo dal rango di religione legittima
dell’Impero, mentre solo il cristianesimo rimane religione accettata, riconosciuta e protetta
dall’autorità imperiale. La conversione ufficiale dell’impero al cristianesimo avviene nell’ultimo
quarto del IV secolo, con la dinastia Teodosiana, quando l’impero affronta problemi nuovi, le
scorrerie barbariche. Da quel momento gli imperatori scelgono la religione cristiana come
protettrice dell’impero. Il paganesimo, allora, non scompare ma perde ogni sostegno statale e
progressivamente verrà meno nel corso del V secolo.

Nel IV secolo in oriente si diffonde un fenomeno di esperienza eroica del messaggio cristiano,
l’ascetismo e l’eremitismo, che si diffondono dall’Egitto.

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Lezione n.3: Le invasioni Barbariche
L’ultimo quarto del IV secolo è un’epoca di grandi trasformazioni perché viene meno la dinastia
costantiniana e, insieme a una nuova dinastia che si afferma nell’Impero, incominciano i guai per
l’Impero: altri guai, non più di sorgente interna. Le grandi invasioni barbariche.

Gli argomenti:
• I barbari e l’Impero romano
• La rottura del limes
• Le invasioni nell’impero d’Occidente
• La resistenza nell’impero (prima metà V secolo)
• La crisi dell’impero (seconda metà del V secolo)
• Le ultime invasioni del V secolo

I barbari e l’Impero romano


L’impero si era costituito come un grande complesso di terre governate unitariamente
dall’autorità imperiale, e aveva un confine arrivati al quale la sua capacità di influenza e il suo
interesse al controllo venivano meno. Questo confine per la parte occidentale è il fiume Reno,
che separava l’area francese e l’area tedesca, l’area dell’impero romano da genti che avevano una
diversa configurazione sociale, economica, religiosa; popolazioni allo stato tribali che noi
indichiamo come popolazioni germaniche. Queste popolazioni si trovano in un rapporto curioso
con l’autorità imperiale, non necessariamente conflittuale.
Il limes consente a queste due civiltà di fronteggiarsi ma anche di avere contatti, conoscersi. Si
stabilisce, quindi, un equilibrio che dura dal I al III secolo. Le popolazioni germaniche sono instabili
e non assestate nei loro territori. Il famoso trattato “La Germania” di Tacito li descrive, e descrive
anche nomi e caratteristiche. Pochissimi di questi nomi noti a un romano del I secolo si ritrovano al
II secolo: questo è un indizio del fatto che il mondo germanico è in movimento e in
trasformazione, spesso drammatica. Queste tribù si spostano nel territorio germanico, si
mischiano, si trasformano e si combattono, alcune popolazioni scompaiono perché vengono
assorbite, e questi accorpamenti vengono provocati da migrazioni di popoli. A partire dal III secolo
alcune tribù entrano nell’impero, in Gallia e Italia, e fanno scorrerie: anche Roma si fortifica per
paura di queste scorrerie. Nel IV secolo la situazione diventa ancora più complessa perché viene
meno la tranquillità conquistata con le riforme di Diocleziano. La crisi del III è superata con la
riorganizzazione dell’impero sotto Diocleziano, che garantisce tranquillità per quasi tutto il IV
secolo. Alla fine del IV secolo questa tranquillità viene meno.

La rottura del limes


Si vela la slide con le date che mostrano come avviene la penetrazione delle popolazioni
germaniche nell’impero. Dal 375 ci sono popolazioni che sono stanziate a ridosso dell’impero
d’oriente, sul Danubio, vicino alla Russia. Sono popolazioni di gruppo gotico, germaniche, e a
partire dal 375 risentono di una ulteriore migrazione che avviene alle loro spalle, degli Unni, che
dalle steppe dell’Eurasia si spostano verso occidente. I goti sono fortemente minacciati dagli Unni
e chiedono di entrare nei territori imperiali e acquartierarsi, e il permesso viene accordato in
virtù della tradizione imperiale di consentire a gruppi militari barbarici di stanziarsi nelle terre al di
qua del confine in cambio di prestazioni militari o di coltivazione di terre abbandonate. Il problema
è la gestione di questa prima immigrazione, che viene fatta male dai funzionari romani e provoca
una ribellione dei goti a sud del Danubio, e che provoca una battaglia da parte dell’esercito
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romano, sconfitto ad Adrianopoli dai Goti. Durante la battaglia di Adrianopoli lo stesso
imperatore Valente muore.
Successivamente a questa sconfitta imperiale, si mette riparo alla situazione mettendo a capo
dell’impero un generale, Teodosio, che negozia con i Goti Visigoti un trattato di collaborazione
che stabilisce diritti e doveri delle due parti. Il diritto è di restare dentro l’impero, il dovere è di
prestare servizio militare e di vivere pacificamente.
Questa pacificazione, però, dura solo finché vive Teodosio: dopo la sua morte i Goti hanno come re
il grande Alarico, che rompe il patto e comincia uno spostamento dell’esercito gotico con tutto il
popolo, che nel 401 lo porta a entrare in Italia, nel cuore dell’impero. È un fatto che ha un valore
emozionale oltre che militare. Chi si incarica di respingere Alarico è un altro barbaro che aveva
fatto carriera all’interno dell’impero: Stilicone, di origine Vandalica. La sua carriera politica al
servizio dell’impero è stata tale da fargli sposare Serena, che apparteneva alla famiglia imperiale.
Stilicone respinge Alarico e riesce a impedire le ulteriori invasioni dell’Italia, tentate anche da altri
gruppi barbarici meno importanti dei Visigoti ma della stessa costellazione dei Goti. Anche
l’ostrogoto Radagaiso tenta l’invasione e viene respinto.
La difesa dell’Italia provoca un alleggerimento della difesa sul confine renano in Gallia, e il limes
renano viene indebolito col risultato che nel 406, durante l’inverno, il fiume Reno è ghiacciato e
diverse popolazioni barbariche lo attraversano e dilagano in Gallia. Anche la resistenza dell’Italia
viene meno perché al momento la corte imperiale è il luogo di rivalità personali, antagonismi
violenti, congiure, che hanno come bersaglio lo stesso Stilicone e sono appoggiate dagli stessi
imperatori che dovrebbero avvantaggiarsi della sua opera. Stilicone viene ucciso e non c’è poi più
chi difenda l’Italia. Nel 408 Alarico entra nuovamente in Italia e nel 410 riesce a saccheggiare
Roma: la madre dell’impero è saccheggiata dai barbari, e questo avvenimento ha un’eco molto
forte nelle coscienze dell’impero.

Le invasioni nell’impero d’Occidente


I Visigoti sono un gruppo protagonista di vicende anche simboliche. I Visigoti partono a nord del
Danubio (si veda la slide), poi la migrazione guidata da Alarico li porta in Grecia, nell’Illirico e in
Italia, dove vengono arrestati. Successivamente la migrazione arriva fino a Roma, dove non si
fermano perché il loro problema era di trovare una solida base territoriale ed economica, dove
fermarsi. Alarico vuole portare la sua popolazione in Africa, la provincia più ricca e prospera
dell’Occidente, ma muore in Calabria e la sua popolazione torna a nord, andando in Provenza, in
Settimania e Aquitania, dove si stabilisce. I Visigoti fanno con l’impero un foedus, un patto che
consente loro di insediarsi in cambio di servizio militare a favore dell’impero. Il servizio verrà
impiegato contro altre popolazioni barbariche, per esempio in Spagna contro i Vandali. I Visigoti,
però, cercano anche di espandersi senza coordinamento con l’impero, e senza autorizzazione
dall’impero, che è debole.
I Vandali rompono la frontiera e entrano nel territorio dell’impero traversando il Reno nel 406 e
vanno nella Gallia meridionale e nella penisola Iberica. Sono combattuti dai Visigoti in nome
dell’impero romano, quindi scendono verso il Mediterraneo e si insediano in Africa, in Mauritania,
una provincia non molto pregiata. Successivamente si espandono sotto un re importante, un
grande capo e stratega, Genserico. L’espansione interessa la ricca provincia proconsolare, e più
tardi con spedizioni marittime riusciranno a conquistare la Sardegna, la Corsica, e poi le Baleari. In
seguito a queste conquiste Genserico potrà di nuovo saccheggiare Roma.

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La resistenza nell’impero (prima metà V secolo)
L’impero nella prima metà del V secolo riesce a resistere anche dopo la soppressione di Stilicone,
in quel momento è ancora in grado di controllare e arginare i nemici. C’è poi, a capo dell’impero,
un grande generale: gli imperatori sono il simbolo dell’impero, ma sul campo i protagonisti sono i
grandi generali, che attuano anche una politica nei confronti delle popolazioni barbariche.
Ezio, il grande generale, è un romano che però conosce bene i barbari, e in diverse occasioni
interviene per frenare l’espansionismo dei Visigoti. In una data intermedia tra il 439 e il 451 si era
anche occupato di una popolazione barbarica insediata nel bacino del Reno, che cercava di entrare
in Gallia: i Burgundi, contro i quali chiama gli Unni, che ora hanno costituito un grande impero
guidato da Attila. Attila distrugge i Burgundi, e i superstiti vengono acquartierati in Savoia.
Successivamente anche gli Unni tendono a espandersi in Gallia e non rimangono fedeli all’impero,
e nel 451 ha luogo una grande battaglia che vede la vittoria di Ezio sugli Unni. Interessante che
nell’esercito romano di Ezio ci sia un contingente di Visigoti, e il re dei Visigoti perda la vita
combattendo per i romani. Grandi contrasti, tensioni, ma anche accomodamenti e patti. Una
situazione complessa.
Attila, ritirandosi dalla Gallia, tenta un’invasione dell’Italia fermata dalla famosa ambasceria di
papa Leone I che lo avrebbe persuaso a rinunciare. Il clima politico nella corte imperiale è torbido
e, nonostante tutti i meriti, Ezio viene assassinato dall’imperatore Valentiniano III, e lo stesso
imperatore l’anno dopo viene ucciso dalle guardie del corpo di Ezio per vendetta. L’anno dopo, nel
455, Genserico invade e saccheggia Roma.
L’incapacità dell’impero di organizzare una politica coerente ha come conseguenza l’incapacità di
resistere, e quindi c’è un nuovo sacco di Roma.

La crisi dell’impero (seconda metà del V secolo)


Nella seconda metà del V secolo la crisi dell’impero aumenta. Valentiniano è l’ultimo dei
discendenti di Teodosio, e dopo di lui l’impero torna a essere elettivo, in modo singolare: ora le
provincie sono fuori controllo dall’autorità dell’impero d’occidente, che si limita grosso modo
all’Italia. In Italia il potere viene assunto dai generali delle milizie acquartierate per difendere i
territori settentrionali dalle possibili invasioni delle popolazioni barbariche. Di queste milizie il
generale, nominalmente a servizio dell’impero, è Ricimero, posto a capo di corpi militari
sostanzialmente barbarici, perché non ci sono più molti romani militari. L’esercito è composto da
mercenari.
Nel frattempo in Gallia continuano gli spostamenti di popolazioni. I Burgundi, per esempio,
sconfitti da Ezio e relegati in Svizzera, si estendono nella Gallia centrale fino a Lione, e vengono
invitati dai romani che si trovano nella Gallia, per stabilire accordi che garantiscano i ceti dirigenti
romani contro le irrequietudini sociali fortissime in Gallia e Spagna (banditismo, rivolte sociali). I
grandi proprietari della Gallia centrale preferiscono fare accordi con i Burgundi. Negli stessi anni
iniziano i movimenti dei Franchi nel nord della Gallia.
Nel 472 muove Ricimero e gli succede Oreste, un romano, che ricordiamo perché nel 475 ha
nominato imperatore il suo proprio figlio, Romolo, l’ultimo imperatore dell’impero romano
d’occidente.
Nel 476 le bande mercenarie di stanza in Italia si ribellano, eleggono Odoacre, e nel 476 Odoacre
depone Romolo e non crea più nessun imperatore, non dà un seguito all’Impero in Italia.
L’impero sta morendo già dagli inizi del secolo, come possiamo desumere dall’inconsistenza della
figura degli imperatori, e dell’importanza morale e politica dei generali: la data del 476 ha un
valore simbolico, da molto tempo l’impero sta morendo. Si è parlando della fine senza rumore di
3
un impero. Per noi è una data che è simbolica e ha rilievo, ma per loro era passata quasi
inosservata. In ogni caso fino a quel momento la presenza di un imperatore in Italia aveva
garantito un minimo di coordinamento tra l’autorità imperiale e i barbari: quando in occidente non
c’è più una figura di riferimento, il rapporto delle popolazioni barbariche con l’impero diventa
molto più libero.
La data del 476 in realtà non può essere considerata la fine del mondo antica, ma dal punto di vista
politico e istituzionale ha avuto un certo rilievo.

Le ultime invasioni del V secolo


L’impero d’oriente cerca di controllare la situazione in Italia, inviandovi una popolazione
barbarica alleata che acconsente a amministrare l’Italia in nome dell’impero, e con un potere
coordinato con quello imperiale. Questa è la popolazione degli Ostrogoti, guidati dal Re
Teodorico, che è un capo barbarico allevato però a Costantinopoli, che conosce bene le tecniche
amministrative dell’impero, e che vuole coniugare il prestigio morale del suo popolo con la gloria
dell’impero. Teodorico tende a reggere l’Italia non come un funzionario dell’impero, ma come un
sovrano a pieno diritto che prosegue la tradizione imperiale, pur conservando il prestigio della
popolazione gotica. Lui aveva la volontà di fare convivere gli Ostrogoti e i romani.
L’altra invasione di cui si deve parlare è il movimento dei Franchi, che dall’attuale Belgio
settentrionale, Olanda e foci del Reno, iniziano spostamento lento verso la Gallia settentrionale. Lo
spostamento diventa significativo con il re Clodoveo, straordinaria personalità barbarica. Egli
riesce a unificare le popolazioni franche sotto il suo comando, a sottomettere la popolazione
germanica degli Alamanni, a conquistare la Gallia settentrionale e successivamente a vincere
l’esercito dei Visigoti, a estendersi nella Gallia meridionale costringendo i Visigoti a spostarsi in
Spagna, conservando in Gallia solo una piccola provincia. Clodoveo fonda il regno dei Franchi,
rimane solo un piccolo spazio per i Burgundi, un piccolo spazio per i Visigoti e uno spazio
coordinato dagli Ostrogoti d’Italia.

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Lezione n.4: Barbari e Romani
Gli argomenti:
- Rapporti tra barbari e romani
- Chi sono i barbari?
- Le condizioni dei romani: il secolo V in Occidente

Rapporti tra barbari e romani


Nel momento dell’invasione, che è un fatto violento, i rapporti tra barbari e romani sono
drammatici: i barbari entrano nel territorio dell’impero e lo percorrono militarmente,
saccheggiando e uccidendo. Abbastanza presto, però, l’impero reagisce e gli stessi barbari hanno
interesse a trovare una sistemazione possibile dentro l’impero romano e a contatto con la
società romana, che non viene distrutta. I barbari, infatti, sono una minoranza ridottissima rispetto
alla popolazione romana (100.000 uomini in armi per ciascuna popolazione). Erano una
percentuale ridotta ma armata, in mezzo a una popolazione più numerosa ma disarmata, perché i
romani avevano l’esercito. Una minoranza armata ha delle grandi risorse nei confronti di persone
disarmate. I barbari desiderano trovare una soluzione economica ai loro bisogni, per esempio
avendo terre coltivate. In genere i guerrieri non amano trasformarsi in contadini ma preferiscono
possedere terre e farle coltivare.
Nel momento in cui le popolazioni si acquartierano e si stabilizzano, si deve trovare una formula di
convivenza. Esiste una tecnica già sperimentata per l’acquartieramento delle milizie barbare che
facevano parte dell’esercito romano, la tecnica dell’hospitalitas. Secondo questa tecnica le
popolazioni che si insediano nell’impero vengono dotate di una percentuale dei territori delle
provincie romane, attraverso forme contrattuali. A volte 1/3, a volte 2/3: una legale spartizione
tra la popolazione romana e le popolazioni barbariche. Il problema dell’hospitalitas, tuttavia, non è
così semplice, dividere le terre non è semplice. Se a ogni barbaro fosse stato dato un terzo della
proprietà di ogni romano, i barbari si sarebbero distribuiti sul territorio e avrebbero perso
coesione, compattezza e sicurezza. L’attuazione pratica di questo principio viene realizzato in
forme sempre diverse e non sempre chiare. In alcune provincie sembra che i barbari si fossero
insediati concentrati in certe zone dove era più facile ottenere i vantaggi dell’hospitalitas, senza
perdere la forza e la coesione. Recentemente è stata proposta una diversa ipotesi: che fosse
attribuito ai barbari 1/3 delle tasse che i romani proprietari di terre pagavano all’impero. L’ipotesi
è stata formulata da Walter Goffart.
I barbari, nonostante questo tentativo di trovare una formula di convivenza, intendono sempre
convivere restando distinti, insediandosi in gruppi compatti e anche con altri espedienti. Sono
l’unico gruppo sociale che porta le armi, e conservano il diritto a portare le armi.
Un altro criterio di distinzione tra barbari e romani è la religione, perché i barbari arrivano dentro
l’impero cristiani, ma di quella particolare forma chiamata arianesimo: è un fatto che ha una
radice storica. I barbari vennero evangelizzati nelle prime forme da un vescovo goto che era di
religione cristiano ariana: nella slide si vede un codice della bibbia tradotta in gotico dal vescovo
evangelizzatore Ulfila, perché potesse essere predicata ai Goti. Grazie a quel che rimane della
traduzione in gotico della Bibbia di Ulfila, è possibile sapere qualcosa della lingua che veniva
parlata da queste popolazioni. I barbari, quindi, sono cristiani, ma ariani, e quando entrano
nell’impero queste popolazioni sono interessate a conservare una identità distinta anche dal punto
di vista religioso, mantenendo l’identità ariana. I due gruppi etnici e culturali si distinguono.
I barbari mantengono anche il loro diritto tradizionale collegato alla vita che avevano praticato
prima di tentare di diventare popolazioni stanziali: prima erano seminomadi e avevano rafforzato
molto i legami personali e famigliari. La famiglia è la cellula di base che garantisce la sopravvivenza
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dell’individuo e la praticabilità dei rapporti sociali. La famiglia difende l’individuo nei suoi rapporti
con la società. La forza del rapporto personale si ha anche nei rapporti politici: è sulla fedeltà
personale da uomo a uomo che si fonda il rapporto politico.
Ben presto gli stessi sovrani delle popolazioni barbariche cercano una collaborazione politica con
l’élite della popolazione romana: non c’è più l’impero, ma sopravvivono le aristocrazie locali
senatoriali, i gruppi che governavano le città, le famiglie che davano le figure di riferimento
all’autorità imperiale ed ecclesiastica. I capi barbarici si rendono conto della necessità di
stabilizzare il loro dominio e collaborano con l’élite, ecco come nascono i regni romano barbarici.
Questi regni hanno l’aggettivazione di “barbarico” perché barbarico è il potere politico e militare,
ma “romano” perché l’esperienza di questi ceti dirigenti, la tradizione dell’amministrazione
romana viene tenuta in piedi con forme di collaborazione.
Molto noto caso di Teodorico, re degli Ostrogoti, che ha cercato la collaborazione delle grandi
famiglie senatoriali romane nell’idea di costruire un regno che fosse lo specchio dell’impero
romano. Il suo ideale era uno stato di tipo romano retto da un re barbaro, fondato su un potere
politico militare assicurato dai Goti. Anche fra i burgundi, tra i visigoti e i franchi viene cercata la
collaborazione tra le élite militari germaniche e le élite civili e ecclesiastiche romane.
A partire dalla seconda metà del V secolo questi re barbarici emanano leggi in latino, per i
barbari ma anche per i romani che vivono sotto il loro dominio. Per esempio si può citare il
breviario di Alarico, un re dei Visigoti che regna in Francia meridionale, ovvero una legge per i
romani che vivono sotto il governo dei Visigoti. Nella slide si vede una miniatura che raffigura un
sovrano franco che detta la legge per i franchi rituali, una confederazione di tribù. Le leggi
venivano fatte dai sovrani e dalle assemblee libere che assistevano il sovrano. Un altro codice è la
Legge Salica degli Alamanni.
Nel corso del V secolo questa integrazione tra tradizioni romane e germaniche è un processo
complesso che rappresenta la linea di fondo di quanto avviene in Occidente. Si tratta del tentativo
di costruire realtà politiche nuove, salvando il possibile della tradizione e della cultura romana, in
rapporto alla presenza delle popolazioni germaniche che in parte tendono ad assorbire la
tradizione romana, e in parte conservano una forte identità e una tendenza alla separazione, che
progressivamente viene attenuata.
Ci sono alcune popolazioni che consentono ai romani di diventare guerrieri, e in generale è sempre
possibile per i discendenti della popolazione romana aderire alla legge barbarica. I romani si
barbarizzano e i barbari si romanizzano, per creare una situazione politica stabile e gestibile.
Questi processi sono diversi e vanno a velocità diversa: vanno, per esempio, malissimo in Africa
sotto i vandali, che non cercano alcuna integrazione a parte l’adottare costumi romani (circo,
terme, ecc). Per contro il fenomeno di assimilazione appare avanzato nella Gallia, nella zona franca
e burgunda.

Chi sono i barbari?


Le slide sono state realizzate per ricostruire l’aspetto dei barbari, e rappresentano l’uomo
guerriero, l’armamento, e la donna che indossa monili. Le immagini mostrano l’abbigliamento
longobardo, l’abbigliamento franco, l’abbigliamento alamanno, e mettono in evidenza da un lato
l’aspetto militare, dall’altro un certo primitivismo del costume.
Noi conosciamo questi dettagli attraverso materiale archeologico rinvenuto nelle sepolture: tra i
caratteri distintivi c’è l’usanza di seppellire i morti con un ricco corredo, e se erano poveri con un
povero corredo. Di solito gli uomini venivano seppelliti sempre con le armi, e le donne con i gioielli.
Il corredo funerario nella slide mostra una spada ed elementi appartenenti alla cintura militare a
cui venivano appese le armi. Per quanto riguarda le donne, è riprodotto un corredo di dama
2
visigota: il corredo comprendeva grandi spilloni che servivano per decorare e chiudere un
elemento di vestiario (gonna o mantello) e poi una fibbia di cintura.
È su queste caratteristiche che è nato il mito dei germani, uno dei più forti della tradizione
europea: possiamo ben dire che il medioevo comincia quando il mondo romano è scalzato
dall’arrivo dei romani, e questa interpretazione si è consolidata durante il periodo romantico, che
ha creato il mito delle origini della nazione tedesca. Costruzione di identità culturale e ideologica.
Si è creato il mito dei germani portatori di cultura schiettezza, fedeltà, valori dell’individuo,
contrapposta alla cultura corrotta dell’impero romano decadente.
“L’universo barbarico” di Walter Pohl, studioso austriaco, è uno spunto di lettura. La tesi è
sperimentale, e si basa sull’idea che il mondo barbarico possa essere considerato non come un
antagonista al mondo romano, ma come un elemento del mondo romano tardo, un mondo
complesso in cui anche i barbari hanno un ruolo integrato. È vero che è opportuno demitizzare
l’idea romantica che i barbari rappresentino rinnovamento giovanile dell’Europa perché portano
forza nuova più semplice ma schietta e genuina di quella romana, ma attenuare troppo il contrasto
tra le due popolazioni sembra forse fuorviante. Queste popolazioni avevano caratteristiche
culturali diverse da quelle delle popolazioni romane, più adatte alle condizioni dei tempi di quelle
tradizionali dell’impero romano. Per questo motivo le tradizioni che si sono potute imporre per
organizzare le attività, le strutture tra le persone e le strutture amministrative secondo le
tradizioni barbariche era più attuabile che non mantenere in vita la struttura dell’impero.

La condizione dei romani: il secolo V in Occidente


Il IV secolo è stata un’età di rinascita e di prosperità economica in tutto l’impero. Il V secolo,
invece, è in Occidente, nell’ambito in cui avvengono fenomeno di invasioni e poi simbiosi con i
barbari, un secolo di crisi. Nella slide si vede uno scavo urbano a Brescia, che ritrae un pavimento a
mosaico di un’elegante casa romana, rifinita splendidamente. Il mosaico è bucherellato da fosse, e
sfondato al centro: non sono devastazioni moderne, ma devastazioni avvenute nel V secolo, in
epoca romana, quando la casa è stata trasformata e impoverita. I buchi erano, infatti, usati per
infilare pali per costruire tramezzi di legno. L’antica casa signorile si trasforma impoverendosi, i
pavimenti a mosaico ricoperti di terra, gli ampi spazi ridimensionati con tramezzi. Perché alcune
persone nel V secolo preferiscono vivere in una casa impoverita da tramezzi di legno e pavimenti
di terra anziché in una casa signorile? In questo periodo si verifica la fine del funzionamento di
particolari edifici pubblici in tutto l’occidente, terme e teatri in parte finiscono abbandonati, i
sistemi fognari, e i sistemi di smaltimento dei rifiuti, che vengono accumulati in zone abbandonate.
La qualità dell’abitato deperisce, ci sono situazioni di abitazioni o edifici che crollano e le macerie
vengono lasciate dove sono cadute. E poi inizia il fenomeno del trasferimento di alcune sepolture
dentro le città, pratica vietata dai romani. Questi elementi danno l’impressione di confusione, di
disgregazione della vita cittadina e deperimento delle grandi strutture monumentali. La
responsabilità della decadenza non è solo dei barbari. Il rapporto tra crisi della qualità,
manutenzione e estensione della città non è solo legata ai barbari, ma cammina da sola e le
invasioni barbariche si aggiungono. I barbari non erano interessati a distruggere le strutture
perché riconoscevano in esse degli strumenti per gestire le persone, soprattutto quando si
avviarono quei fenomeni di collaborazione tra ceti dirigenti e sovrani barbarici. Molti degli edifici
abbandonati diventano cave di pietra usate per altre costruzioni, le uniche che si fanno nel V
secolo: costruzioni ecclesiastiche.
Di pari passo con l’affermazione del cristianesimo e del cattolicesimo c’è la diffusione più capillare
degli edifici di culto. Un esempio è il battistero di san Giovanni di Poitiers, di epoca barbarica, che
risale a quando i barbari erano saldamente insediati nella Gallia. Ma non ci sono più un livello di

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vita urbana e una ricchezza tali da consentire la manutenzione delle strutture come durante
l’impero. La stessa cosa vale per le campagne: gli insediamenti in campagna si contraggono, si
raggruppano e la qualità delle grandi ville patrizie diminuisce, e diminuisce lo splendore degli
ambienti. La crisi della società romana non è determinata dalle invasioni, ma va di pari passo con
le invasioni. Sono due mondi che vanno di pari passo, in forte mutamento, con strumenti di
integrazione e dialogo, in un contesto di crisi e decadenza dei livelli della vita associata, cittadina
ed economica.

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Lezione n.5: I Regni Romano- Barbarici. Istituzioni, educazione, vita
religiosa
Gli argomenti:
- Le strutture politico-istiuzionali
- La cultura e la vita religiosa nel V e nel VI secolo
- Il monachesimo
- La chiesa romana

Le strutture politico-istiuzionali
La slide mostra una carta, uno schema geografico che riproduce grosso modo l’anno 526:
l’Occidente è articolato in una serie di grandi regni.
- L’Italia è occupata dal regno degli Ostrogoti, che si estende anche su una parte dell’Istria e
in una parte della Provenza.
- A nord, poi, c’è un territorio intermedio, il regno dei Burgundi, un regno romano barbarico
che ha una vita molto breve. Ancora nord il grande regno dei Franchi, che si estende fino al
Reno.
- Oltre al Reno altre popolazioni barbariche che non costituiscono regni romani barbarici
perché non sono entrati nei territori dell’impero: i Turingi, gli Alamanni, e nell’Inghilterra
meridionale una serie di piccoli regni ancora poco strutturati, i regni anglosassoni.
- L’altro grande e importante regno romano barbarico è quello dei Visigoti che occupa la
Spagna attuale e una parte della Francia meridionale, allora chiamata la Settimania.
- Un altro regno che non avrà vita lunga occupa una parte del Portogallo e una parte della
Spagna, ed è quello dei Suedi;
- e poi ci sono i Vandali che occupano la costa africana vicino alla Sicilia, la parte più ricca e
prospera, dove c’era Cartagine. I Vandali hanno esteso il loro dominio sulle isole Baleari, la
Sardegna e la Corsica.
I sovrani dei popoli barbarici
sono interessati a costruire una
stabilità del loro dominio del
regno, e passano da una
concezione di esercito barbarico
che emigra, invade e si insedia, a
una concezione di
organizzazione politico-
istituzionale permanente in cui i
rapporti tra barbari e romani
sono regolati da leggi e ci sono
istituzioni che garantiscono il
governo. Il regno è governato
dal sovrano barbarico e viene amministrato con l’aiuto dei ceti dirigenti romani. I sovrani
barbarici hanno il modello dell’impero e dell’imperatore: loro vengono da una tradizione di potere
militare, ma dopo l’insediamento tendono ad assumere caratteristiche di potere istituzionale che
tende a imitare le caratteristiche del potere imperiale.
Nella slide si vedono alcune monete che testimoniano che si continua a emettere monete d’oro
imperiali nei territori governati dai re barbari, con l’immagine dell’imperatore. I regni non si
pongono in contrasto con l’impero ma, anzi, ne adottano il modello politico-istituzionale. Il
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sistema monetario era articolato, e quello che poteva sopravvivere della tradizione imperiale
veniva tenuto in piedi.
I sovrani barbarici tendono a tenere in piedi le strutture imperiali, e cercano di sganciare
l’accesso al potere dalla antica consuetudine germanica. Il re veniva scelto all’interno di un gruppo
di famiglie, ma il re barbarico tradizionalmente viene eletto dai guerrieri, e ha bisogno del
consenso dei guerrieri. La capacità di guidare il popolo alla vittoria è il fondamento al consenso. In
territorio romano, invece, il sovrano germanico cerca di diventare un capo di stato che ha funzioni
di garante di una struttura governativa che ha una certa permanenza. Questo tentativo pone
qualche difficoltà perché non sempre le popolazioni barbariche e le aristocrazie militari sono
d’accordo a assecondare le tendenze di chi arriva al potere regio e cerca di consolidarsi. Un modo
per consolidarsi è la trasmissione ereditaria della carica, utilizzando la tecnica bizantina di
associare il figlio ancora giovane potere, in modo che una volta morto il padre il figlio era già re e
continuava a governare. Di solito questo escamotage non riesce, solo a volte ci sono trasmissioni
ereditarie, e normalmente non per più di due generazioni.
Solo nel regno dei franchi si stabilisce il privilegio della famiglia del fondatore, Clodoveo. Solo i
franchi hanno una dinastia che rimane ereditaria per due secoli, anche se con dei problemi, perché
non è stato un vantaggio per il dinamismo del potere regio stesso.
I sovrani barbarici riescono a governare tessendo reti di rapporti con i centri di potere locali
centrati sulle città. L’organizzazione della società ha sede nelle città, dove risiede il potere dei
vescovi, che è di natura religiosa, ma nel V e VI secolo diventa anche un potere di governo della
città. Il vescovo diventa funzionario religioso, ma con competenze civili; proviene in genere da
una famiglia di alto ceto romano. I sovrani barbarici stabiliscono rapporti con i vescovi e, in
occasione degli incontri con questi, si informano sullo stato del regno e possono avere il polso
delle situazioni locali. Accanto ai vescovi un ruolo importante hanno funzionari laici, i conti,
designati dal re, che svolgono le funzioni del governo in sede locale: la garanzia
dell’amministrazione della giustizia, il comando militare locale, la funzione di polizia e funzioni
fiscali. Non è detto che i conti siano di origine germanica e barbarica, nella Gallia meridionale i
conti provengono da famiglie romane. L’integrazione in queste forme di governo può essere anche
avanzata.
I sovrani barbarici cercano di conservare in funzione il sistema delle imposte romane. Lo stato
romano funzionava perché aveva un sistema fiscale molto severo, che colpiva soprattutto il
possesso terriero, la produzione terriera, i gruppi di persone e le persone fisiche. Questo è
fondamentale anche per i re barbarici per fornire risorse allo stato, per assicurare le spese
dell’amministrazione, dell’organizzazione, della guerra, della fedeltà delle persone, e quindi il
tesoro e il fisco sono elementi essenziali. Anche in questo caso ci sono difficoltà, così come per
l’ereditarietà, avversata dalle aristocrazie guerriere barbariche che non intendono privarsi del loro
strumento di controllo e di accesso al regno. Per il sistema fiscale i sovrani barbarici devono fare i
conti con la difficoltà di mantenere aggiornati i catasti, i cittadini e le chiese cercano di avere
esenzioni, e i discendenti della popolazione barbarica non pagano tasse per definizione. Solo i
romani pagano le tasse, e cercano di scappare in tutti i modi al pagamento, per esempio facendosi
accogliere nell’esercito barbarico, diventando barbari e non pagando quindi le tasse. Lentamente
l’incapacità dei governi barbarici di tenere in piedi il sistema fiscale romano determina
l’impoverimento della monarchia, e quindi l’indebolimento dei re, che difficilmente possono
privarsi del consenso delle aristocrazie guerriere o ecclesiastiche, detentrici di ricchezza.
Rimane in piedi il sistema di tassazione indiretta, che colpiva il movimento delle merci o degli
uomini, tassati in determinati punti come porti, magazzini, ponti: il ricavato, in teoria, andava al

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sovrano. Spesso, però, chi riscuoteva il tributo se ne teneva una parte, causando anche su questo
punto delle difficoltà ai sovrani.
In questa epoca vi sono istituzioni in cui si tenta di conservare una struttura statale a vantaggio
della monarchia, e questo sistema in parte funziona, in parte resta in piedi con difficoltà.

La cultura e la vita religiosa nel V e nel VI secolo


È curioso che la cultura di tipo letterario, giuridico, retorico che ha caratterizzato ultimi secoli
dell’impero, continui a vivere anche nei primi tempi delle formazioni barbariche: si tratta di una
cultura sofisticata, dotta, basata sulla conoscenza dei classici, su esercizi retorici e giuridici.
Fondamenti di questa cultura sono Omero, Virgilio, Cicerone, i grandi classici latini. Questo aspetto
continua anche nel V, e in parte nel VI secolo: abbiamo figure di letterati pienamente inseriti nella
tradizione scolastica e accademica romana, anche se vivono nei regni barbarici e sono in rapporto
con i sovrani barbarici, con i quali collaborano al governo. Per esempio si ricordi Cassiodoro,
nell’ambito della cultura in Italia inizio VI secolo, grande letterato che ha collaborato
nell’amministrazione dello stato ostrogotico di Teodorico. Cassiodoro era autore di testi che
hanno conservato la tradizione della scuola antica, e fondò un monastero in cui si svolse attività di
trascrizione dei testi della tradizione antica, che dovevano essere conservati una biblioteca che era
la summa della cultura antica. Altri due sapienti furono Simmaco e Boezio, in Italia.
Sopravvivono tradizioni di cultura antica, entro gruppi sempre più limitati: non corrisponde più a
una diffusione generalizzata dell’istruzione, e neanche a una diffusione sufficientemente larga.
L’istruzione è sempre più d’élite, e alla fine si accompagna al venire meno della formazione
scolastica di base. Il patrimonio culturale si salva ma la diffusione diventa sempre più ristretta e
investe circoli sempre più limitati: intellettuali, la corte dei sovrani. Il gusto di questo patrimonio
non è più diffuso, le aristocrazie barbariche sono indifferenti. Ci sono casi singolari di sovrani
merovingi che addirittura scrivono testi letterari, a questo però corrisponde disinteresse della
società franca, e un contrarsi sempre più forte della scuola pubblica. Viene meno lo strumento di
diffusione della cultura.
La trasmissione scolastica della cultura si restringe all’ambito dei saperi tecnico professionali
(come il sapere giuridico dei notai, che continuano a esistere perché ancora esiste la trasmissione
giuridica dell’’atto, sia per i sovrani sia per i privati) in ambiti limitati a gruppi specializzati o alla
corte dei sovrani. Accanto alla trasmissione di tipo professionale, l’istruzione si conserva nei centri
ecclesiastici e nelle chiese, perché anche gli ecclesiastici hanno bisogno di istruzione per compiere
il culto e predicare nelle forme opportune. Infatti nel V e nel Vi secolo le scuole degli episcopi o
monastiche hanno importanza, e i vescovi sono ancora in grado di scrivere, principalmente per
predicare o evangelizzare: si semplifica però lo stile, e gli argomenti sono edificanti.

Il monachesimo
Uno degli aspetti più significativi dell’esperienza religiosa e della sua organizzazione è il
monachesimo, importante perché si diffonde nell’Occidente tra gli inizi del V solo e il VI. Nasce in
Oriente, in Egitto, Siria e Palestina, con caratteri estremi di rifiuto del mondo, ascesi condotta in
maniera eroica: presto si sente la necessità di regolare queste esperienze e si formano comunità di
asceti che praticano queste scelte in forma comunitaria, secondo norme che regolano l’intensità
delle esperienze eroiche e ascetiche. La norma si chiama regola.
Queste forme arrivano anche in occidente, dove si creano nuove regole e nascono comunità
monastiche, che costituiscono la nuova scuola di esperienza ascetica per i giovani che nascono
dalla società mista romano barbarica.

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La consacrazione più importante del monachesimo occidentale è quella realizzata dalla figura di
San Benedetto: si veda la slide con l’affresco che raffigura San Benedetto. San Benedetto vive nei
primi decenni del VI secolo, la sua importanza consiste nel fatto che la regola che aveva scritto per
i monaci delle abbazie che aveva fondato, ci è rimasta e si è diffusa moltissimo. Si tratta della
regola fondamentale e più tipica del monachesimo occidentale: la sua caratteristica è l’equilibrio
tra il lavoro e la preghiera, ora et labora. C’è un equilibrio tra le diverse esigenze dell’attività
umana, la regola non prescrive una dura ascesi esercitata attraverso costrizioni o privazioni
eroiche o disumane. Secondo la regola benedettina il monaco vive la penitenza, ma commisurata
alle possibilità dell’essere umano, ed articolata in forme diverse: lavoro manuale, preghiera,
studio. Nella regola benedettina c’è un’attenzione a non spingere la privazione al di là dei limiti
sopportabili per una persona, ed è una garanzia di continuità e stabilità del monaco, ecco perché
ha rivestito tanta importanza e ha avuto questo successo.
I monasteri si diffondono in tutto l’occidente e costituiscono un elemento di novità e
ripopolamento delle campagne, una possibilità di vita che è nuova e avrà un grande sviluppo nei
secoli a venire.

La chiesa romana
Ricordiamo che l’impero cristiano era articolato in patriarcati, ovvero grandi estensioni territoriali
in cui la cristianità era divisa a seconda delle tradizioni linguistiche o delle tradizioni di determinate
città nella diffusione del cristianesimo. I patriarcati erano quattro, tre in oriente (Alessandria
d’Egitto, Antiochia e Gerusalemme) e uno in occidente (Roma). Il rapporto del patriarcato romano
con gli altri patriarcati e con il potere imperiale è importante.
Il vescovo di Roma è il patriarca d’Occidente e ha l’autorità giurisdizionale su tutte le chiese
dell’occidente, che diventa barbarico: nello stesso tempo il papato rimane inserito nel potere
imperiale, rimane in rapporto con l’imperatore e con gli altri patriarcati, e ha un ruolo nel
combattere una certa idea di chiesa imperiale che si andava affermando. L’idea è che la chiesa
cristiana ha come suo capo in terra l’imperatore (d’oriente, l’unico rimasto), che non è un prete
ma è il responsabile davanti a dio dell’ordine della chiesa, della purezza della fede. Questa è la
posizione della chiesa cristiana in oriente.
La posizione del papato rispetto a questa ideologia è di inserimento e contrasto: il papa rivendica
una posizione particolare sia nei confronti della chiesa, sia nei confronti degli altri patriarcati. Il
papa è successore di Pietro, primo vescovo, ma fin dal IV e V secolo la concezione è che Pietro ha
ricevuto da Cristo una particolare autorità, un primato che si riflette nel primato del papato sugli
altri patriarcati, e nel fatto che il papa ha capacità di opporsi, di limitare l’autorità dell’imperatore
nella chiesa dell’impero.
Il conflitto si sviluppa nel corso del V secolo, e un personaggio importante in queste vicende è papa
Leone I, Leone Magno, che teorizza la pienezza dei poteri del papato anche all’interno della
chiesa imperiale.

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Lezione n.6: L’Impero e l’Occidente. La riunificazione di Giustiniano
Gli argomenti:
- L’impero d’oriente dopo le invasioni barbariche
- Giustiniano
- La conquista longobarda dell’Italia

L’impero d’oriente dopo le invasioni barbariche


La parte orientale dell’impero sopravvive alle invasioni barbariche senza essere sopraffatto, non
conosce stanziamenti barbarici sul suo territorio, anche grazie a una politica egoistica: gli
imperatori d’oriente, infatti, hanno dirottato le invasioni verso occidente, che era strutturalmente
più debole e maggiormente vulnerabile nei confronti di questi corpi estranei.
L’oriente è più ricco e vitale, anche se la ricchezza è distribuita a chiazze: vi è un numero maggiore
di città in cui sopravvive un ceto medio, importante per l’attività economica e per il livello di
partecipazione politica al governo locale e alla vita dell’impero. In occidente, invece, il ceto medio
è andato assottigliandosi. In oriente la vivacità intellettuale è più alta, soprattutto in Asia minore,
nel vicino oriente e in Egitto; il livello della tradizione culturale è molto alto, e anche in Grecia
sopravvivono forme di istruzione universitaria, a differenza dell’occidente.
La vivacità intellettuale dell’oriente si esprime nei grandi dibattiti e nei conflitti teologici nel VI
secolo: un conflitto di grande rilevanza teorica e religiosa, a proposito delle nature di Cristo, che si
è già scatenato nel V secolo, è quello del rapporto tra la natura umana e divina di Cristo. Oggi il
credo della chiesa è che Cristo sia vero dio e vero uomo, ma per riuscire a definire il rapporto tra
queste due nature ci sono stati dibattiti e conflitti molto forti a livello teorico, e anche popolare.
Nell’impero d’oriente del VI secolo c’è un forte orientamento che afferma che le due nature di
Cristo sono parallele, di identica portata e perfettamente congiunte nella persona di Cristo: si
tratta della teoria difisita, che è la dottrina cattolica ortodossa. Ma nell’impero d’oriente, in Siria e
in Egitto, nelle provincie più avanzate, c’è una forte tendenza a considerare prevalente la natura
divina, addirittura negando quella umana: si tratta del monofisismo = unica natura di Gesù Cristo.
Se, secondo questa dottrina, Gesù Cristo non è insieme vero dio e vero uomo, la salvezza
dell’umanità è messa a rischio.
Il dibattito non è secondario in una società fortemente preoccupata dalla salvezza, e provoca
importanti ripercussioni, conflitti sociali tra difisiti e monofisiti, a volte sfocianti in risse. A volte
queste due correnti della sensibilità religiosa si appoggiano su partiti che hanno la loro espressione
nei giochi del circo, per cui contemporaneamente si parteggia per certe scuderie, e per l’una o
l’latra fede religiosa.
Una figura e un programma di governo come quello di Giustiniano si spiegano per ragioni militari,
ma anche per questa più avanzata capacità di iniziativa e di riflessione economica.

Giustiniano
Nella slide si vede un medaglione con Giustiniano a cavallo in adventus. Giustiniano regna dal 527
al 565. È un illirico, un occidentale dalla penisola balcanica, ed è un militare che arriva al potere
imperiale attraverso la sua carriera militare; Giustiniano, però, ha anche un’educazione
intellettuale ed è consapevole dell’importanza del prestigio dell’impero. Per lui l’impero deve
essere potenziato, deve essere rafforzato in tanti aspetti, militari, istituzionali, di amministrazione,
simbolici, ideologici, religiosi.
Uno dei più grandi segni lasciati da Giustiniano a Costantinopoli è la chiesa dedicata a Santa Sofia
= la saggezza divina. Si tratta di una grande chiesa, forse il centro più interessante per chi visita
1
Istanbul, che serviva per ospitare i grandi cerimoniali liturgici a cui partecipavano l’imperatore e la
corte. La grandezza della chiesa, infatti, era collegata alla grandiosità imperiale.
Uno dei vertici dell’attività di Giustiniano è la riorganizzazione del diritto romano: è un argomento
importante in quanto il diritto era la base, contemporaneamente culturale e organizzativa, sulla
quale si reggeva l’impero come struttura di civiltà e come apparato politico che garantiva la
giustizia. Il diritto era uno dei fondamenti e delle caratterizzazioni dell’impero romano, ciò che
distingueva i romani dalle altre popolazioni. Con questa idea forte del prestigio e dell’autorità
dell’impero, Giustiniano promuove subito una riorganizzazione dell’apparato amministrativo e
della sapienza giuridica che si era sviluppata nei secoli. Egli incarica una commissione di giuristi
presieduta da Treboniano di riordinare l’apparto delle leggi e delle istituzioni che nei secoli
aveva governato il mondo romano, e l’apparato della giurisprudenza, cioè delle valutazioni di
coloro che applicavano il diritto, sulle leggi. Si tratta di un’opera che dura molti anni, 4 o 5, e che
dà vita al Corpus Iuris Civilis, cioè il corpo del diritto civile romano riorganizzato, razionalizzato e
promulgato da Giustiniano come promotore del lavoro dei tecnici del diritto. Giustiniano, con il
Corpus Iuris Civilis, ha trasmesso alle epoche successive la conoscenza sistematica del diritto
romano: ancora oggi è alla base della cultura giuridica dell’occidente di tradizione romana.
L’importanza di questo corpo di leggi consiste anche nel fatto che da quel momento in poi c’è un
fondamento al quale si aggiungeranno le leggi dei vari imperatori, ma che sarà alla base della
parte occidentale dell’impero.
A partire da Giustiniano l’impero romano comincia ad assumere queste caratteristiche che
saranno proprie dell’impero nella sua parte orientale, che possiamo iniziare a chiamare bizantina.
A partire da Giustiniano, che pur è ancora un imperatore di tradizione romana, l’impero romano
comincia ad assumere le caratteristiche che saranno proprie della sua fase medievale.
La seconda grande iniziativa di Giustiniano, importante anche per il suo significato storico, è il
grande tentativo di riportare l’occidente sotto la sua l’autorità di unico imperatore. Nella slide si
vede una carta geografica che mostra come l’occidente fosse tutto conquistato dai barbari e
organizzato come una serie di regni romano barbarici.
La riconquista dell’occidente avviene in tre grandi momenti militari.
1) Giustiniano lancia una prima campagna contro il regno vandalico in Africa, il più debole tra
quelli occidentali perché i vandali non avevano cercato la collaborazione delle popolazioni
locali, non coinvolgendoli nel loro dominio. La riconquista, quindi, è facile e veloce:
Belisario, generale di Giustiniano, in 2 anni riconquista l’Africa e la riporta sotto
Costantinopoli.
2) La seconda impresa avviata da Giustiniano per mezzo di Belisario mirava all’Italia, dove i
goti e il re Teodorico avevano chiesto la collaborazione dei ceti dirigenti senatori italiani,
che si era poi guastata per sospetti reciproci. Da un lato, infatti, i ceti senatoriali non erano
convinti di dover continuare a collaborare e a rinunciare la lealtà all’impero, che ancora
sentivano, e dall’altro lato Teodorico non si fidava più di loro. Alla morte di Teodorico il
rapporto tra goti e romani si incrina, e si incrinano anche gli equilibri interni al popolo
gotico, tra gruppi che volevano continuare a collaborare con i romani, e i gruppi che
volevano privilegiare la tradizione germanica. È in questi ultimi gruppi, quelli che volevano
privilegiare la tradizione germanica, che si insinua la volontà di Giustiniano di riconquistare
l’Italia, attraverso una serie di campagne che devasta il territorio della penisola per
vent’anni: la guerra greco-gotica (greci bizantini contro i goti che dura dal 535 al 553).
Questa lunga guerra iniziata nel 523 è fatta di avanzate e ritorni indietro, devastazioni e
assedi.

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3) Alle imprese in Africa e in Italia si aggiunge poi l’impresa che Giustiniano compie in Spagna:
nel 554 una crisi dinastica gli consente di fare sbarcare delle truppe in Spagna e di
riconquistare la parte meridionale, corrispondente all’attuale Andalusia.
Giustiniano nel giro di vent’anni è riuscito a riconquistare una buona parte dell’impero romano
d’occidente, e questo testimonia la volontà, mai venuta meno, di considerare l’impero ancora
esistente: la riconquista, tuttavia, è un’impresa debole, che non durerà ed è l’ultimo tentativo di
costruire un’unità mediterranea dell’impero, tentativo che viene meno e non lascia tracce.
Una gran parte dell’occidente non era stata recuperata al dominio dell’impero: il regno dei franchi
e dei visigoti non è messo in crisi dalla riconquista giustinianea. La riconquista, inoltre, non
incontra un grande favore nelle stesse popolazioni riportate alla sovranità imperiale, anche per la
durezza dell’imposizione del dominio imperiale sulle terre conquistate.
In Italia Giustiniano cerca di ricostruire un ordine sociale, il primato sociale e politico e
amministrativo del ceto senatoriale, ma anche di ricostituire un apparato amministrativo e fiscale
sentiti come oppressivi dalle popolazioni. Vengono quindi ricostituite strutture amministrative di
tipo romano, con una divisione tra poteri civili e poteri militari.
Il potere civile viene fiancheggiato e consolidato dalle nuove funzioni dei vescovi di protezione e
di amministrazione delle comunità, e di controllo dei funzionari civili. In questa fase venne anche
reintrodotto un pesante sistema fiscale, soprattutto a carico delle nuove provincie riconquistate,
che con le loro tasse avrebbero dovuto pagare la riorganizzazione dell’impero. Le tasse venivano
percepite in modo molto gravoso in Italia, Spagna e Africa.
La riconquista di Giustiniano è compromessa anche dalla politica religiosa dell’imperatore,
perché è chiaro che l’impero bizantino si fonda sul diritto, ma anche sul rapporto strettissimo tra
potere imperiale e tradizione cristiana. Esiste un forte conflitto tra monofisisti e difisiti, che ha
come conseguenze conflitti sociali, e l’imperatore deve intervenire in maniera dogmatica. Nel 543
Giustiniano condanna con una disposizione certe tesi difisite, cioè ortodosse, che però
sembravano formulare la doppia natura di Cristo in modo troppo pronunciata. Giustiniano cerca di
trovare un punto di conciliazione tra le due tesi, emanando la Condanna dei tre Capitoli, ossia i
tre testi di formulazione difisita che erano eccessivi. Più tardi, volendo una convalida ecclesiastica,
obbliga nel 553 il papa Virgilio a confermare questa condanna.
Le deliberazioni imperiali in materia di fede suscitano resistenza nell’episcopato e tra i fedeli
nell’occidente riconquistato, che rifiutano di aderire a questa delibera dell’imperatore: si crea,
quindi, uno scisma. Questa situazione crea uno scollamento nei confronti dell’impero da parte
delle provincie riconquistate.
Motivi fiscali e motivi religiosi fanno sì che la riconquista non abbia grande consenso nelle
provincie riconquistate.
Dopo la morte di Giustiniano la mancanza di consenso nelle provincie conquistate è un
problema: in quel momento, infatti, l’impero è nuovamente attratto in oriente perché riprendono
forza i conflitti di confine con i persiani, e l’occidente rimane abbandonato alle sue risorse militari.
Sulla frontiera orientale dell’Italia si profila il pericolo dei longobardi, che nel 568-69 superano il
confine ed entrano nell’Italia settentrionale. È uno degli episodi più importanti della storia d’Italia,
e incomincia così l’età medievale in Italia.

La conquista longobarda dell’Italia


L’invasione longobarda in Italia si svolge in una maniera incerta e confusa, è difficile stabilire una
modalità coerente della conquista. I Longobardi arrivano dal Friuli e si diffondono rapidamente
nella Pianura Padana settentrionale. Si diffondono, poi, in Toscana, e ci sono nuclei di longobardi

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che procedono a occupare e controllare la parte centrale dell’Italia e la zona appenninica dell’Italia
centro meridionale, da Benevento fino in Calabria.
Non conosciamo bene le connessioni tra la conquista a nord e le espansioni centro meridionale,
non sappiamo se si tratti dello stesso fenomeno, o di fenomeni paralleli. I Longobardi
rappresentano una cultura barbarica, perché hanno conservato forti le loro tradizioni barbariche
nonostante fossero stati insediati per alcuni decenni nell’antica provincia romana della Pannonia,
in parte romanizzata.
Si veda la slide con elementi di abbigliamento, fibule, spilloni decorati con motivi ornamentali tipici
di una cultura figurativa germanica. Come si desume dalla preziosa impugnatura di una spada, il
ruolo delle armi nell’abbigliamento maschile era molto importante.
In merito alla religiosità, i longobardi sono teoricamente cristiani, ma di osservanza ariana, non
cattolici: in realtà, comunque, c’è una forte componente di paganesimo che sopravvive. Le
crocette nella slide sono connesse con i riti funerari cristiani, ma le decorazioni si rifanno a
esperienze figurative e sensibilità di radice pagana. Nelle sepolture, insieme con il morto, venivano
deposti anche i corredi personali: spada, scudo, bacile di bronzo, placchette d’argento che
decoravano la cintura e le briglie del cavallo. Si tratta di un costume non cristiano, perché i cristiani
non usavano seppellire i morti con un corredo, che era invece legato a una cultura pagana.
Il rapporto dei longobardi con i romani era di persecuzione, almeno nei primi tempi. Abbiamo
notizia di grandi persecuzioni dei ceti dominanti, dei grandi proprietari fondiari. I longobardi
vogliono sostituirsi al ceto dominante per prendere il controllo politico ed economico della società.
La situazione è ambigua sotto certi aspetti, perché accanto a questi episodi di persecuzione
violenta, abbiamo altre testimonianze che fanno pensare a un accordo e all’accettazione dei
romani di questa presenza nuova, e a dei tentativi da parte dei re dei longobardi di trovare un
accordo con i vescovi e con il ceto dirigente romano.
I tempi sono durissimi: l’Italia è stata fortemente compromessa a causa della lunga guerra greco
gotica, e si vede sottoposta a questa nuova dominazione barbarica, gestita con criteri primitivi.
Quella dei longobardi è una dominazione dura in cui la collaborazione con i romani non viene
praticata, al contrario di quanto faceva Teodorico. Questa situazione si prolunga per circa 30 anni,
(la prima formalizzazione della presenza longobarda in Italia è del 610) caratterizzati da incertezza
istituzionale e difficoltà nei rapporti. Sono anni in cui l’impero bizantino in Italia non ha forza,
anche se organizza alcune parti dell’Italia rimaste sotto il suo dominio, perché i longobardi hanno
occupato a chiazze la penisola. Non c’è una controffensiva da parte dell’impero. Tra le parti
rimaste dell’impero ci sono Roma e il Lazio: papa Gregorio Magno si trova in un momento
difficoltà, di ripresa dell’espansione longobarda e di inefficacia dell’impero nella difesa delle
provincie dell’impero. Gregorio Magno deve organizzare la difesa della città dai Longobardi, e
deve supplire all’impero che non è in grado di farlo, neppure sul piano militare per la difesa delle
mura. Gregorio, però, si continua a sentire legato all’impero, alla romanità, alle tradizioni legate al
governo imperiale. Si vive un momento di confusione in cui diversi protagonisti si scontrano sul
territorio italiano. L’Italia non è più un’unità, si divide in due aree di civiltà diverse che si
appoggiano a tradizioni differenti.

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Lezione n.7: Maometto e l’espansione islamica

Si tratta del capitolo finale dei grandi cambiamenti del mondo avviati con la trasformazione
dell’impero romano, le invasioni e le modifiche politiche e territoriali avvenute dal IV secolo.

Gli argomenti:
- Arretramento dell’impero bizantino in occidente
- Le difficoltà dell’impero bizantino in oriente
- Maometto
- L’espansione islamica nel bacino del Mediterraneo

Arretramento dell’impero bizantino in Occidente


La slide riporta la carta geografica relativa alle riconquiste di Giustiniano, che era riuscito a
riportare sotto l’autorità dell’impero una parte delle provincie occidentali conquistate dalle
popolazioni barbariche: l’Italia (Ostrogoti), l’Africa (i Vandali), la Spagna meridionale (sottraendola
ai Visigoti).
Dopo la morte di Giustiniano questi successi vengono compromessi, si è trattato di una
riconquista non radicata nelle situazioni locali.
In Italia abbiamo visto l’arrivo dei longobardi dal 568, la divisione della penisola in aree
longobarde e aree dell’impero bizantino, comunque male organizzate e che non riescono a
opporre una seria resistenza all’espansione longobarda.
Lo stesso si può dire in Spagna, dove tra il 573 e il 586 regna il sovrano visigotico Leon Virgilio, che
riconquista Cordova e una parte della provincia bizantina. Ai bizantini restano le coste, mentre
all’impero delle conquiste di Giustiniano resta l’Africa, per un certo periodo.
L'impero è compromesso anche nella penisola balcanica, dove al posto dei longobardi si insedia
un forte regno, quello degli avari, che costituiscono un pericolo per il dominio bizantino nei
Balcani, e nello stesso territorio iniziano infiltrazioni di popolazioni slave che creano insediamenti
nei Balcani e in Grecia. In due secoli la penisola balcanica sarà una terra non più imperiale ma
controllata da queste popolazioni slave.
Il grande problema dell’impero nella fine del VI secolo e inizi VII secolo è la difesa dell’oriente.
L’occidente viene sgretolato, ma in oriente c’è un aspro conflitto tra l’impero bizantino e l’impero
persiano, altrettanto forte ed evoluto. I punti di contatto sono in Mesopotamia, un’area strategica
del mondo, come era agli inizi della storia occidentale. Dove oggi c’è l’Armenia vi era il punto di
conflitto più forte. Agli inizi del VII secolo l’impero persiano ha un soprassalto di vitalità, mentre
l’impero bizantino ha delle difficoltà anche militari. In Persia c’è il re Cosroe che, con fortunate
campagne militari, si espande nell’area del vicino oriente, ricca, fertile e importante. Cosroe riesce
a occupare la Siria, la Palestina, a conquistare Gerusalemme, a trovare le reliquie della croce di
Cristo e a portarle nella capitale, Ctesifonte.
L’impero persiano non era cristiano, la religione era lo zoroastrismo, ma ci sono anche cristiani
eretici nestoariani che hanno trovato ospitalità nell’impero persiano. Nell’impero persiano c’è
tolleranza, ma il trasporto delle reliquie come trofeo di guerra in un regno non cristiano priva
l’impero bizantino di ogni vittoria, perché subisce una sconfitta morale e simbolica. In questa
grave situazione l’impero bizantino riesce a fronteggiare l’aggressione. Ricordiamo alcuni nomi di
personaggi che hanno svolto un’attività straordinaria: l’imperatore bizantino Eraclio, che riesce a
riorganizzare le forze dell’impero anche dal punto di vista amministrativo, costruendo una diversa
organizzazione della leva militare e devolvendo risorse economiche per l’esercito. Eraclio guida

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l’esercito alla sconfitta dei persiani e alla conquista di Ctesifonte, recupera le reliquie della croce e
costringe il figlio di Cosroe a sottomettersi all’impero, accettando condizioni gravissime per
l’impero persiano (per esempio la restituzione dell’Armenia). Quello che Cosroe era riuscito a fare
viene nel giro di pochi anni perso.
L’impero bizantino e l’impero persiano sono in conflitto secolare. Il 613 e il 614 sono le date delle
conquiste persiane in Siria e Palestina, mentre Eraclio regna tra il 622 e il 630. In questi conflitti i
due imperi si sono logorati, indeboliti, i poteri politici hanno perso gran parte del consenso delle
popolazioni. Sia in Siria sia in Egitto si creano forti scontenti popolari dovuti alle tasse e ai conflitti
religiosi sulle diverse fedi nell’ambito del cristianesimo: mentre la dottrina ufficiale dell’impero
riconosce a Cristo due nature, umana e divina, in Siria e in Egitto i cristiani mettono l’accento sulla
natura divina. Questo conflitto teologico ha una grande ripercussione negli atteggiamenti sociali:
Siria e Egitto sono due provincie evolutissime, ma a rischio, e l’impero ha perso la capacità militare
di controllarle, e lo stesso è accaduto all’impero persiano con la provincia della Mesopotamia.

Maometto
Maometto nasce in Arabia e la sua storia è legata alla predicazione tra gli arabi e all’espansione
degli arabi nelle terre del Mediterraneo, animati dalla nuova fede. L’Arabia apparentemente può
sembrare una terra periferica, e può sembrare da spiegare come possa essere nato in Arabia un
movimento come l’espansione islamica. In realtà in questi secoli, ma già precedentemente,
l’Arabia era uno dei centri del mondo povero, in gran parte era desertica e con condizioni
ecologiche poco favorevoli: conosceva, tuttavia, fiorenti insediamenti cittadini nelle oasi,
caratterizzati dall’ostilità con le tribù dei beduini.
Nella slide di vede la cartina della penisola arabica, che va a contatto con la costa del
Mediterraneo in Egitto, Siria e Palestina. Le linee tracciate sulla cartina sono itinerari commerciali
che dal II e III secolo d.C., e ancora nel VI e VII attraversano l’Arabia: vengono dall’India per mare,
poi per vie carovaniere raggiungono il Mediteranno, e poi partono dall’Etiopia e arrivano al
Mediterraneo, dove si incontrano con gli itinerari commerciali dell’impero.
Lungo queste vie commerciali circolano le spezie, i prodotti dell’oriente, i prodotti dell’Africa. Si
ricordano i prodotti lussuosi, come l’incenso, importato in occidente per scopi liturgici partendo
dall’Etiopia lungo la via dell’incenso. Lungo queste vie che portavano dalle sponde sui versanti
indiani e africani dell’Arabia si trova il centro della Mecca, che era uno dei più importanti centri
sulle vie carovaniere. L’importanza della Mecca era dovuta alla posizione geografica e alla molta
acqua a disposizione. Alla Mecca si sviluppa un centro di culto importante, che era come una sorta
di Pantheon di divinità venerate dalle popolazioni arabe ancora pagane, e dove si fanno nuove
esperienze religiose individuando una divinità superiore agli altri idoli, chiamata Allah.
Alla Mecca c’è un potente apparato di controllo delle risorse economiche e politiche, ci sono dei
clan che hanno un radicamento nella città e che controllano le risorse della Mecca e i rapporti con
gli altri centri e con le tribù.
In questo contesto Maometto nasce e inizia la sua predicazione. Ha una posizione debole in un
clan, e ha un’esperienza iniziale da non appartenente ai ceti dirigenti di questo gruppo di potere
locale. Nasce intorno al 570 e gli elementi di biografia sono: nel 595 sposa una ricca vedova che gli
permise di fare il mercante, venendo a contatto con nuclei insediati nelle oasi non solo di religione
araba, ma anche con ebrei e cristiani. Maometto può fare esperienza di genti diverse e di diverse
pratiche religiose.
Nel 610 Maometto riceve una rivelazione che gli fa sapere di essere stato scelto come profeta di
Allah e da quel momento sviluppa la sua predicazione, inizialmente alla Mecca tra i membri del
suo clan. La prima moglie muore, e dopo lei lui avrà altre mogli, utili per stabilire rapporti con altri
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clan importanti. Dal 610, avendo rivelazioni successive, predica e individua una forma di
religiosità nuova e originale, adotta elementi di altre religioni e li reinventa in maniera differente.
La sua religiosità si può riassumere in un unico dio potente e misericordioso, che in parte si
identifica con Allah. Maometto ritiene che i fedeli debbano ricambiare la bontà e la misericordia di
dio con la compassione per i più deboli, e promette a chi si mantiene nella sottomissione ad Allah
una vita ultraterrena beata nel paradiso, o drammatica nell’inferno. Questa religiosità suscita
anche una certa ostilità nei clan dominanti alla Mecca, sicché nel 622 Maometto dopo aver preso
contatti con i gruppi egemoni di Medina, fugge da La Mecca. L’anno 622, ovvero la fuga di
Maometto, segna l’inizio del computo del tempo musulmano perché è il momento fondamentale,
come la nascita di Cristo. Il tempo della vera e nuova fede per i musulmani.
Il seguito della vicenda di Maometto è complicato: la predicazione si somma con i conflitti tra
diversi clan, tra diverse e importanti sedi della società araba. A Medina Maometto costruisce
consenso intorno alla sua predicazione e alle sue rivelazioni, ma resta l’ostilità della Mecca e ci
sono episodi militari, e anche episodi militari di controllo e di diffusione della predicazione tra i
beduini nel deserto.
Nel 628 ai seguaci di Maometto viene permesso di compiere pellegrinaggio alla Mecca. Nel 630
Maometto entra alla Mecca a capo di un esercito perché le resistenze continuavano a esistere,
resistenze di religione ma anche di conflitto per il predominio con i clan di Medina. Grazie
all’indebolimento dell’impero persiano, che aveva esercitato fino ad allora il controllo sulla
popolazione arabica, è possibile creare sulla base della nuova predicazione una sorta di
confederazione tra le tribù, e Maometto è attivissimo sul piano della predicazione e dell’iniziativa
politica.
Lo stesso Maometto alla fine del 630 conduce una grande razzia fino ai confini della Siria bizantina,
e muore nel 632. È straordinario che subito dopo la morte di Maometto iniziano due grandiosi
fenomeni politico militare, guidati dalla nuova fede religiosa ma che hanno conseguenze, ai nostri
occhi, di natura politica unita alla conseguenza della grande diffusione della religione nuova
predicata da Maometto.

L’espansione islamica nel bacino del Mediterraneo


La cartina nella slide dà idea dell’espansione che gli arabi hanno ottenuto nell’intero bacino del
Mediterraneo dalla morte di Maometto alla fine del VI secolo, profondamente segnato
dall’espansione degli arabi in tutto l’ambito del Mediterraneo orientale e meridionale.
La penisola arabica è l’area della prima diffusione della predicazione e della fede di Maometto;
successivamente gli arabi riescono a espandersi in Palestina e Siria, sottraendole all’impero
bizantino, in direzione di Iraq e Persia, conquistandole, eliminando l’impero sassanide e persiano.
Conquistarono anche l’Egitto.
Le conquiste che abbracciano gran parte dell’impero persiano e la parte più ricca dell’impero
bizantino, avvengono in pochi anni. Nel 636 la Siria è conquistata da un esercito arabo. Nel 636 è
conquistata Ctesifonte, capitale dell’impero persiano, nel 642 viene conquistata la Mesopotamia:
dopo la morte di Maometto, dieci anni sono stati sufficienti per estinguere l’impero persiano e per
privare l’impero bizantino di molti territori.
Come spiegare questa espansione? Non è facile: un elemento è sicuramente l’entusiasmo
religioso, perché il dato religioso è importante come motivazione per questa espansione, ma si
appoggia sulla tradizione arabica delle guerre di razzia, soprattutto beduine. Sono i beduini a
formare i contingenti importanti degli eserciti, e sono caratterizzati da una tradizione antica di
attività militare predatrice, e da un’attività recente di fede religiosa che conferisce un senso a
questa tradizione di predazione. Un altro elemento che favorisce l’espansione islamica è

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l’estenuazione dell’impero bizantino e di quello persiano, che si sono logorati a vicenda e non
riescono a controllare i loro territori, nei quali crescono le ostilità.
In genere i conquistatori arabi che arrivano nei territori persiani e bizantini, sono accolti
favorevolmente dalle popolazioni locali perché impongono una dominazione militare, che però
non pretende di soffocare la società locale o, almeno inizialmente, di imporre la nuova religione.
Le popolazioni della Siria, dell’Egitto, della Mesopotamia, possono conservare la loro religione e i
propri capi locali, e continuare nella vita organizzata nella maniera tradizionale senza risentire
troppo della presenza di questi conquistatori, che si pongono come un ceto sovrapposto e
dominante che non si mescola alla società. Si costruiscono campi militari in cui i guerrieri arabi
risiedono senza mescolarsi alla società, con la quale si instaura un rapporto di tipo economico.
Questa convivenza si può regolare difficilmente, e a patto che i dominati paghino delle tasse: una
sul patrimonio, che già pagavano all’impero bizantino e persiano, e una per l’esercizio della propria
religione. Queste tasse confluiscono in centri amministrativi importanti e gestiti dai dominatori
arabi, e servono per provvedere alla necessità dell’esercito.
I conquistatori hanno un atteggiamento diversificato nei confronti dei dominati. Solo chi ha
accettato la presenza araba e la dominazione araba viene dominato in questo regime di
tolleranza, mentre chi è stato conquistato con la violenza viene privato dei beni, delle terre,
ridotto in schiavitù, e le terre vengono attribuite ai guerrieri arabi. Si comincia, quindi, a stabilire
una presenza degli arabi nelle provincie conquistate come proprietari fondiari, che inizialmente
hanno scarso interesse per i terreni a causa dell’origine beduina, e conservano la loro impronta
militare e guerriera. Si cominciano, perciò, a formare ricchezze amministrate attraverso
intendenti di origine locale delle provincie.
L’espansione prosegue dopo essersi localizzata in questa parte amplissima di mondo, nella
seconda metà del secolo, verso l’Africa bizantina che viene strappata al dominio bizantino, verso
le regioni del medio oriente, fino ai confini con l’India, e la conquista della Spagna, tolta ai Visigoti
all’inizio dell’VIII secolo. Tutta la parte meridionale e orientale del bacino del Mediterraneo, più
tutto l’impero persiano fino al Turquestein e all’India viene islamizzata e sottoposta al dominio dei
conquistatori arabi.
La slide riporta uno schema con i riferimenti ai successori di Maometto. Quando Maometto muore
c’è il problema di scegliere un successore dell’uomo che era stato un profeta ma anche un capo
politico e militare, e il suo gruppo rischia di sfasciarsi dopo la sua morte, perché le tribù beduine
che lo componevano riprendono una certa autonomia. Si pone anche il problema di chi deve
succedere a Maometto, inizialmente i suoi parenti per via di matrimonio, che però appartengono
a clan della Mecca. Il primo Abubak, il secondo Omar, poi Othman, sotto il quale iniziano conflitti
interni tra i seguaci, i parenti e i discendenti di Maometto. Inizia un grande conflitto con Alì, che
era egli stesso un parente un cugino e genero del profeta, ma non faceva parte dei clan importanti
della Mecca. Si stabilisce una divisione tra i portatori dell’eredità del Profeta che avrà ripercussioni
forti. Alì diventa califfo, ossia successore di Maometto, ma viene assassinato tragicamente, e poi
diventa califfo Moawya, che è importante perché dà una definizione istituzionale e geografica alla
serie di conquiste realizzate fino a quel momento. Moawya appartiene a un clan originario della
Mecca, ma è stato governatore della Siria prima di diventare califfo, e una volta che riesce a
diventare successore del profeta, pone una residenza stabile del califfo in Siria, a Damasco, e
fonda una dinastia ereditaria per trasmettere il titolo del califfo: la dinastia degli Omniadi, che
governa l’impero musulmano dal momento in cui prende potere Moawya fino a 747, quando una
congiura accompagnata da una rivolta popolare pone fine alla dinastia con un grande
cambiamento nell’organizzazione del mondo islamico.

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Qual è l’importanza dell’espansione del mondo islamico nel Mediterraneo? È stata famosa
l’interpretazione e la lettura di questa espansione come una grandiosa catastrofe che, dividendo
l’ambito del Mediterraneo in due sfere caratterizzate da due religioni concorrenti, la religione
islamica e cristiana, avrebbe impedito che esistesse una circolazione, avrebbe reso il Mediterraneo
una frontiera tra due mondi ostili, e avrebbe bloccato i contatti tra questi, la circolazione. Questa è
ipotesi di Henry Pirenne, e forse è eccessiva.
In realtà l’espansione islamica non è stata un blocco radicale delle possibilità di contatto tra
l’oriente e l’occidente, ma nuove forme di rapporto e integrazione con la costituzione di un
grande impero dall’India alla Spagna avrebbe reso possibile la circolazione di idee e di merci.
A partire dall’espansione islamica nel bacino del Mediterraneo gravitano tre mondi diversi,
caratterizzati ciascuno da un assetto politico e religioso:
- il mondo del Mediterraneo meridionale, africano orientale e medio orientale controllato
dalla potenza araba e della religione musulmana,
- il mondo bizantino di tradizione greca
- il mondo occidentale, che è il mondo cristiano fortemente caratterizzato dalla presenza dei
barbari

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Lezione n.8: Dall'Impero Romano all'Occidente medievale.
Ricapitolazione
Si tratta di un grande processo epocale attraverso il quale si è passati dall’impero romano
all’occidente medievale, diverso per estensione e connotazione politica, economica, sociale e
culturale.

Gli argomenti:
- Oriente e occidente nell’impero romano
- La presenza dei barbari in Occidente
- La riunificazione fallita di Giustiniano
- Il ruolo del papato tra impero romano bizantino e regni barbarici
- L’invasione araba
- L’inizio del Medioevo

Oriente e occidente nell’impero romano


La slide mostra la mappa dell’impero romano nel IV secolo, con un’estensione enorme nell’età
costantiniana e che comincia a essere diviso in una parte orientale una occidentale. La divisione,
almeno all’inizio, ha un valore strategico e amministrativo: si tratta di moltiplicare i punti di
comando che presiedono all’amministrazione e alla tutela della parte orientale, e lo stesso per la
parte occidentale. Queste due parti non sono davvero due imperi, ma due parti dell’unico impero,
tenute insieme dall’ideologia imperiale: l’impero era ancora considerato la grande struttura
politica che teneva insieme il mondo civile. Fuori dalle frontiere c’era la barbarie e c’erano gli
uomini allo stato di primitivismo, che non avevano ancora elaborato la filosofia e la politica.
L’impero era lo spazio geopolitico della civiltà, separato per una migliore amministrazione.
Il concetto dell’impero come spazio della civiltà si consolida con il cristianesimo perché l’impero
diventa lo spazio della religione cristiana; il concetto di civiltà viene rafforzato dall’idea che, dopo
la cristianizzazione, l’impero diventa lo spazio della vera fede, mentre al di fuori i barbari sono
pagani.
Con l’inizio della discesa delle popolazioni pagane e barbare dentro l’impero si determina una
situazione strategica diversa, nella parte d’oriente e d’occidente, e insieme una situazione
sociopolitica diversa. La situazione strategica è che l’occidente è molto più interessato dalle
invasioni, quindi subisce una disgregazione e una pressione militare, politica e sociale forte.
L’oriente è più ricco perché è a contatto con la circolazione orientale di merci, metalli preziosi, con
la Persia e con le risorse di materie prime dall’Africa meridionale, dall’Arabia, ed è caratterizzato
da una civiltà urbana più sviluppata. In oriente esistono grandi città.
In occidente l’economia è dominata dalla produzione agraria e rurale, ed è grave che questa
produzione agraria sia dominata dal latifondo, che esiste anche in oriente ma affiancato anche da
comunità di contadini, in un contesto più dinamico. In occidente esiste solo il latifondo: un sistema
di grandi proprietari fondiari, portatori della cultura tradizionale, della capacità di amministrare
l’impero, una ristretta élite scollata dalla popolazione che vive nelle campagne. In questo contesto
le città sono deboli. Ci sono ceti urbani che sono piccoli proprietari rurali, gruppi piccoli,
economicamente deboli, perché il peso della tassazione grava sulle comunità rurali e urbane.
Nel corso del V secolo si delineano differenze marcate tra la parte orientale, esente dai barbari,
più ricca e complessa, e la parte occidentale, interessata dalle invasioni barbariche e più povera,
con una struttura sociale più semplice costituita da un piccolo ceto di personaggi ricchissimi e un
vasto ceto rurale, e un fragile ceto cittadino.
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Le due situazioni si aggravano nel corso del V secolo a causa delle vicende politiche e militari. Da
qui comincia a differenziarsi il destino dell’oriente dell’impero dal destino dell’occidente.

La presenza dei barbari in Occidente


Le invasioni barbariche danno luogo all’insediamento di una serie di popolazioni diverse nelle
diverse provincie dell’occidente, mentre l’oriente ne resta immune. L’ex impero d’occidente è
caratterizzato da governi politico-militari gestiti dalle aristocrazie militari dei gruppi barbari, che
sono immigrati nell’impero, si sono acquartierati stabilmente all’interno delle provincie e della
società di tradizione romana. Alcuni esempi sono il regno dei Burgundi, dei Visigoti, degli Svevi, dei
Vandali, ecc…
Sulle invasioni e sull’insediamento dei barbari la prospettiva storica si sta trasformando, le
valutazioni sono diverse, si tiene presente una serie di fatti e connessioni prima trascurati.
Cosa succede nella parte occidentale, articolata in regni autonomi e impostati diversamente? Per
tutti il problema è l’istituzione un rapporto di convivenza accettabile con le popolazioni romane,
che non vengono cancellate, perché i barbari si insediano in mezzo alla popolazione romana: prima
si verifica una coabitazione pacifica (nella prima metà V secolo) e poi l’integrazione (a partire dalla
seconda metà del V secolo). Il V secolo è caratterizzato dalla data del 476, la deposizione
dell’ultimo imperatore romano d’occidente. Nonostante le invasioni un imperatore, pur con
pochissimo potere, si era mantenuto in Italia, costituiva una presenza diplomatica e giuridica e
rappresentava la tradizione dell’impero. Nel 476 anche questa figura viene cancellata e le
popolazioni dei regni devono organizzare la propria sopravvivenza e la propria vita politica
istituzionale senza fare assegnamento sull’impero romano. Anche per le popolazioni di tradizione
romana, che erano la maggior percentuale della popolazione, ormai il referente politico è il potere
barbarico che si è insediato e coordina il territorio: è un potere fortemente militare, che si è
insediato con la violenza, che ha cercato accordi di tipo giuridico e politico con l’impero, e adesso
che l’impero in occidente non c’è più ciascuna di queste grandi entità territoriali deve costruire il
proprio stato, attraverso tentativi di comprensione, integrazione e prevaricazione nei confronti
delle popolazioni romane. Nessuno di questi regni taglia nettamente i contatti con l’impero, in
qualche misura si considerano delegati dall’impero a esercitare potere e a esercitare l’autorità sul
territorio, dall’impero d’oriente. Si mantiene un contatto diplomatico e ideologico con l’impero
d’oriente, mentre si verifica una rottura pratica. I contatti politico ideologici non hanno nessuna
conseguenza pratica, ciò che conta sono i rapporti tra le popolazioni barbariche di tradizione
militare e quelle romane di tradizione civile o ecclesiastica. In realtà in occidente sono le
aristocrazie, che rappresentavano uno strato sottile della popolazione, a collaborare con il re
barbarico, e hanno una doppia fisionomia di grandi proprietari laici con una tradizione di
amministrazione civile, oppure di grandi dirigenti ecclesiastici con funzione vescovile, soprattutto
nell’Italia settentrionale, in Gallia meridionale, e in Spagna. C’è una collaborazione tra i vescovi di
origine romana e i poteri militari di tradizione barbarica: questa collaborazione diventa forte
quando i vescovi diventano cattolici ed entrano dentro il sistema della chiesa dei romani della
provincia di tradizione cattolica.
All’interno del mondo romano barbarico si cominciano a delineare, quindi, due aree che vanno
divaricandosi: un’area settentrionale egemonizzata dal regno franco e con orientamento
continentale, e un’area meridionale che è ancora molto legata al mondo mediterraneo, e dove
circolano ancora merci dall’Africa all’Italia e alla Spagna, e dall’Asia e dal vicino oriente verso
l’Italia e la Gallia (Marsiglia). La parte meridionale dell’occidente barbarico ha un affaccio
mediterraneo che trova la sua espressione nelle circolazioni di merci.

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La riunificazione fallita di Giustiniano
Su questa situazione si innesta l’ultimo vero forte tentativo dell’impero romano, che è ormai
d’oriente, di ristabilire la sua autorità anche sull’occidente: un tentativo interessante perché con
Giustiniano siamo alla metà del VI secolo, settant’anni dopo la caduta dell’impero romano
d’occidente. Nell’arco di settant’anni l’impero romano in oriente non aveva perso l’idea che la sua
giurisdizione si estendesse anche in occidente, dove c’erano i regni barbarici. L’idea era che
l’impero continuasse ad avere diritto su tutte le terre che lo avevano costituito nel IV e V secolo, e
in questo quadro si colloca il grandioso tentativo di Giustiniano di riconquistare militarmente
l’occidente riportandolo sotto la giurisdizione dell’unico impero romano, unico vero spazio di
civiltà e religiosità ortodossa. Giustiniano riesce a conquistare Africa, Italia e una parte della
Spagna, ma questo straordinario tentativo è destinato a fallire in breve tempo. Il motivo del
fallimento risiede nello spirito dell’impresa della riconquista, che non è intende restituire
all’occidente la sua peculiarità, le sue caratteristiche e un’auto amministrazione.
Nei territori riconquistati si instaura il dominio di Costantinopoli, ossia di un impero che non
torna a porre in atto l’impero d’occidente, ma intende gestire tutti i territori riconquistati partendo
dal centro dell’oriente.
Nella parte orientale si parlava greco, anche se persiste il latino come lingua ufficiale: le leggi
nuove di Giustiniano furono promulgate in greco. La distinzione linguistica si somma alle
differenze già sottolineate, e su questa base si aggiunge anche il discorso che l’oriente diventa il
centro egemone rispetto alle provincie occidentali, provocando la disaffezione dei romani.
Rilevanti, inoltre, i problemi religiosi, perché Giustiniano attua una politica religiosa ispirata ai
problemi delle comunità cristiane d’oriente, e le sue decisioni fanno crescere lo scontento in
occidente, dove c’è una religiosità molto più semplice, molto meno preoccupata di sottigliezze
dogmatiche, e dove viene mal tollerata l’autorevolezza dell’imperatore lontano.
Sia in Italia, sia in Africa e in Spagna si determina un movimento di rivolta e di resistenza anche
verso il papa, che era stato costretto ad approvare le politica teologica di Giustiniano. Le chiese
d’oriente e di occidente, quindi, si sono separate, perché la chiesa romana era considerata troppo
compromessa dalla politica teologica dell’imperatore. Venne attuata una riconquista militare
senza una vera riorganizzazione della solidarietà imperiale in tutte le provincie.
Nel giro di 15/20 anni, poi, gran parte dell’Italia viene sottratta al dominio bizantino
dall’espansione dei longobardi, quindi la terra appena riconquistata viene per più di metà perduta
dall’impero. Anche in Spagna la riconquista non ha funzionato: i bizantini (dall’epoca di
Giustiniano l’impero romano d’oriente può essere considerato impero bizantino) non sono riusciti
a riconquistare tutto il regno visigotico, e la spinta si è arrestata nella provincia meridionale, che
viene riconquistata in pochi decenni dai re visigoti prima con Cordova, e poi con tutta la penisola.
In pochi anni la penisola viene liberata dalla presenza dei bizantini.
Il mondo barbarico ha opposto resistenza nei confronti della riconquista, da un lato con la nuova
invasione dei longobardi, e poi con la solidarietà istituita tra le popolazioni romane e quelle
barbariche. Quanto alla Gallia, Giustiniano non ci ha neppure provato perché il regno dei franchi
era già molto solido. La riconquista è fallita perché il mondo occidentale resiste alla riconquista
da parte dell’impero, che è una realtà politica e culturale e religiosa che l’occidente avverte
come separata, diversa e lontana.

Il ruolo del papato tra impero romano bizantino e regni barbarici


Papa Gregorio Magno è una figura fondamentale, può essere considerato come il primo papa
medievale tra il 590 e il 604, quindi tra gli ultimi anni del V secolo e l’inizio VI secolo. La
caratteristica di Gregorio Magno è di essere un suddito dell’impero, perché nel momento in cui
diventa papa Roma è rimasta tra i territori dell’impero.
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Questa situazione è ideologicamente consona all’educazione di Gregorio Magno, che veniva da
una grande famiglia illustre che aveva partecipato all’amministrazione dell’impero, e lui stesso era
stato un funzionario dell’impero e aveva amministrato la città di Roma, e la sua famiglia aveva
rapporti con le grandi famiglie senatoriali. Gregorio Magno era romano di Roma e romano di
tradizione, pienamente inserito nell’impero, e considera che l’impero sia l’ambito della civiltà,
mentre fuori esistono solo violenza e disordine. L’impero per lui era ancora una struttura di
riferimento, anche se ha già vissuto il fallimento di Giustiniano: oramai gli assetti romano barbarici
erano vincenti, ma ciò nonostante lui era legato all’ideologia dell’impero. Dentro questa struttura
Gregorio Magno sente la preoccupazione dell’ingerenza degli imperatori nella vita della chiesa e
nelle questioni della fede, sente molto il problema delle relazioni politico istituzionali tra la chiesa
di Roma del papato e le chiese d’oriente, ossia i tre grandi patriarcati di Alessandria, Antiochia e
Gerusalemme, che ha valore simbolico e tradizionale, e Costantinopoli, il quarto patriarcato,
quello della sede imperiale.
Costantinopoli è la capitale dell’impero d’oriente, dove risiede la struttura organizzativa e
amministrativa dell’impero d’oriente, e ciò vuol dire che tra l’impero d’oriente e il patriarcato di
Costantinopoli ci sono legami strettissimi, e il patriarcato di Costantinopoli rivendica un ruolo
universale di primato tra gli altri patriarcati. Gregorio Magno difende la tradizione del patriarcato
di Roma, fondato non sul rapporto con l’impero d’oriente e il potere politico, ma sulla tradizione
degli apostoli Pietro e Paolo. Pietro, primo vescovo di Roma, era l’apostolo a cui Cristo aveva dato
la missione di fondare la chiesa. La chiesa cristiana era fondata su Pietro, e il papato ha sempre
rivendicato il primato di Pietro: si apre un conflitto tra Gregorio, papa, vescovo di Roma e quindi
successore di Pietro, e l’Imperatore, esponente di una chiesa imperiale.
Il papato sta dentro l’impero ma rivendica l’autonomia e un primato che gli altri patriarcati e
l’impero non sono intenzionati a riconoscergli.
Durante il pontificato di Gregorio Magno i longobardi assediano Roma, e in quel momento le
autorità bizantine in Italia non sono in grado di difendere Roma, che viene difesa dal papa, che ha
una concezione nuova dei rapporti tra la chiesa romana e le popolazioni barbariche. Gregorio
Magno riconosce che l’impero costituisce l’ambito della civiltà e della religione cristiana, la
garanzia dell’organizzazione delle chiese, ma concepisce i nuovi popoli barbarici come un
territorio aperto all’evangelizzazione da parte della chiesa romana, che in quell’attività esplica la
missione apostolica.
Alla fine del VI secolo queste popolazioni, i Visigoti, i Franchi e i Longobardi erano già cristiani, ma
la cristianizzazione non era capillare, erano cristiani ma di credo ariano, e nel nord vi erano
popolazioni per nulla cristianizzate (Angli e Sassoni, insediati nella parte meridionale
dell’Inghilterra). Gregorio Magno è promotore di una missione evangelizzatrice nei confronti
degli Angli e dei Sassoni, e si fa promotore di accordi e scambi con i re longobardi che risiedevano
a Pavia e a Milano. Si stabiliscono rapporti più pacifici, e Gregorio è intenzionato a sostenere la
cristianizzazione dei longobardi. Gregorio sta in bilico tra il suo insediamento ideologico
nell’impero e la prospettiva cristiana di acquisizione e cristianizzazione delle popolazioni
barbariche.
Da parte di questa cristianità dei pensatori più attenti, viene l’idea che tutto l’occidente cristiano
rappresenti un’unità ideale che viene definita Europa, ed è la prima volta che troviamo il concetto
di Europa come spazio di civiltà omogeneo e significativo, l’Europa che riguarda l’occidente
cristiano in rapporto con Roma.

L’invasione araba
In un momento in cui ci sono tensioni tra oriente e occidente, si scatena l’invasione araba che
parte dalla penisola arabica e si estende in Asia e nel vicino oriente e nella parte settentrionale
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dell’Africa, fino a scavalcare lo stretto di Gibilterra e a conquistare quasi l’integrità della penisola
iberica. L’occidente cristiano si trova ridotto al regno dei franchi, ai piccoli regni degli angli e dei
sassoni, all’Italia e alla Dalmazia. Contemporaneamente dalle aree centrali dell’Europa iniziano le
penetrazioni degli slavi. All’impero d’oriente rimangono l’Anatolia, la Grecia e la Tracia, un
modesto territorio, strozzato sulla penisola balcanica dall’espansione degli slavi. Anche dal mondo
meridionale l’impero bizantino è limitato nelle sue possibilità di contatto con il mondo occidentale.

L’inizio del Medioevo


Si è definito l’occidente, staccato dall’oriente. L’occidente ha perso molti territori e lo caratterizza
l’eredità romano barbarica e la fisionomia cristiana in collegamento con la chiesa cristiana di
Roma.

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Lezione n.9: L'evoluzione dei regni nell'Occidente barbarico
La lezione tratta i secoli VII e VIII nell’occidente, che si enuclea dallo smembramento dell’antico
impero romano.
Gli argomenti:
- Caratteri dei regni barbarici nel VII e VIII secolo
- Il regno dei Visigoti
- Il regno dei Franchi
- La struttura economica dell’Occidente nel VII e VIII secolo

Caratteri dei regni barbarici nel VII e VIII secolo


Nel VII e VIII secolo si conclude quel processo di rapporto difficile, di convivenza, di integrazione
tra le popolazioni romane e quelle germaniche. Nel corso del VII secolo questo processo è
compiuto, non si può più parlare di componenti di popolazioni romane e barbariche, ma di
popolazioni che hanno una fisionomia unitaria, in cui sono confluiti e si sono amalgamati sia i
popoli di tradizione romana sia i popoli di tradizione barbarica. Queste nuove popolazioni hanno il
nome del popolo barbarico che aveva occupato la provincia: i goti, i franchi, ecc… anche se dal
punto di vista etnico sono composte dai discendenti dei romani e dai discendenti dei barbari. Si
tratta di popoli nuovi in cui la distinzione tra romani e barbari non ha più senso, a differenza del
V e VI secolo.
Tra il VII e l’VIII secolo si registra l’avvenuta integrazione in una fisionomia collettiva nuova di
queste popolazioni, che ora sono consapevoli di rappresentare un’entità collettiva politica che ha
una coscienza originale di sé, che si pensa come soggetto politico con una tradizione nuova.
Questa consapevolezza è consolidata dalla legislazione: nel VII secolo vi sono promulgazioni di
leggi che si rivolgono al nuovo popolo del nuovo regno, legislazioni longobarde e visigotiche, e
anche il popolo dei franchi si presenta come un popolo nuovo e orgoglioso di sé senza rapporto
con le situazioni precedenti.
Si verifica anche la formazione dei ceti dirigenti di queste nuove popolazioni, che si caratterizzano
come grandi proprietari fondiari che godono di grandiosi diritti di governo all’interno delle proprie
proprietà: si tratta di una nuova aristocrazia, diversa da quella senatoriale romana e militare
barbarica. Si tratta di un’aristocrazia di latifondisti con una tradizione militare, e che all’interno dei
propri latifondi esercitano perfino funzioni di giustizia. Tra il nuovo ceto dirigente e la regalità, il
potere del re tradizionale, si instaura una dialettica politica aspra: le tradizioni di governo dei re
vengono fieramente combattute e imitate da queste aristocrazie, che hanno un potere crescente
che si esercita nella capacità di amministrare i poteri pubblici all’interno della proprietà fondiaria,
spesso con esclusione dei rappresentanti del potere regio. Il padrone della terra è anche il giudice
dei contadini, preleva le imposte dai suoi contadini, a volte per delega dello stato, a volte in
rapporto molto ambiguo con il re, che rappresenta l’autorità pubblica e statale. Nel corso del VII
secolo il potere del re si indebolisce, soprattutto nel regno visigotico in Spagna, e in Francia nel
regno franco (la Gallia).

Il regno dei Visigoti


La slide mostra una cartina del VII secolo, e si vede che il regno dei Visigoti si estenda sulla gran
parte della penisola iberica. In un primo momento, nel V secolo, c’era ancora un regno di svevi
che si era creato un po’ prima, ma viene rapidamente conquistato nel 585 dai sovrani visigoti di
Spagna. La parte meridionale era stata riconquistata da Giustiniano, ma la provincia di Cordova
viene riconquistata dai re visigoti, e la parte meridionale viene rioccupata agli inizi del VII secolo.
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Tranne le aree settentrionali dove ci sono popolazioni basche, e un’area intermedia di conflitti tra
baschi e visigoti, tutto il resto era sotto al dominio dei visigoti nel VII secolo. I visigoti si
convertono al cattolicesimo, abbandonano l’arianesimo, tenuto fino ad ora per differenziarsi dai
romani. Con la conversione la distinzione tra i due ceppi viene superata, anche perché i romani
vengono ammessi all’esercito regio, e l’amministrazione delle città, spesso retta da famiglie
aristocratiche romane, viene integrata nel sistema delle amministrazioni regie. In Spagna tutta la
civiltà visigotica, e anche gli aspetti politici e istituzionali, conservano una forte impronta di origine
romana. La tradizione romana era forte e influenzava lo stesso stato visigotico. Il re visigotico
gode di un apparato statale forte e coerente, ha ereditato gran parte del fisco e delle proprietà
pubbliche romane: si tratta di un sistema fiscale abbastanza efficiente che gli permette di
attingere risorse e fare affidamento su un esercito pubblico che combatte ai suoi ordini. Il re
visigotico, quindi, gode anche di un potere interno, che viene reso sufficientemente affidabile
grazie a un sistema di funzionari ramificato nel territorio. Caratteristica del regno visigotico dopo la
conversione al cattolicesimo, è l’accresciuto ruolo dei vescovi cattolici, che diventano personaggi
di grande importanza politica, e si riuniscono in un concilio convocato dal sovrano nella capitale
del regno, Toledo, al centro della penisola iberica.
Tra i regni barbarici soltanto la Spagna e il regno longobardo hanno una capitale fissa. Il concilio
dei vescovi diventa uno strumento assembleare e di controllo dell’attività dei re, e di mediazione
tra gli interessi del governo regio e la nobiltà di tradizione militare e di fondazione economica
latifondistica. Il VII secolo vede svilupparsi questo conflitto in un contesto di cultura ancora vivace.
Il regno visigotico ha conservato la conoscenza della patristica dell’antichità, ma anche la
conoscenza della teoria dello stato, la capacità di ragionare per concetti politici e giuridici astratti.
Il VII secolo visigotico è importante per una serie di concili vescovili che definiscono i grandi
principi del governo del regno in termini di cultura giuridica e politica sofisticate. I temi di questa
cultura politica tendono a separare l’autorità del re in quanto espressione dell’autorità dello stato,
dall’autorità del re in quanto persona, in quanto capo politico. C’è una teorizzazione della
continuità dello stato, e dei diritti dello stato, al di là che i diversi re si succedano e incarnino lo
stato. Questo avrà una eredità nel medioevo perché le deliberazioni di questi concili
influenzeranno anche la politica di altri regni. Il conflitto alla fine viene perduto dai re, questo
rapporto tra le istanze dell’aristocrazia fondiaria e l’autorità dello stato mediato dai vescovi: i re
perdono perché dalla seconda metà del VII secolo l’aristocrazia fondiaria e latifondista acquisisce
poteri sempre più estesi all’interno dei propri domini fondiari, che si esprimono in una riduzione
dei contadini in condizioni di dipendenza personale, e nell’esercizio di comando autonomo
all’interno delle proprietà, che elimina progressivamente il potere regio attraverso l’immunità.
L’immunità è un diritto conferito a un privato cittadino di esercitare poteri in vece dello stato: i re
tentarono una resistenza disperata, servendosi delle forze che avevano, costruendo seguiti, partiti,
fazioni. Ogni re ha una fazione di nobiltà che lo sostiene contro altre fazioni. Il VII secolo è un
secolo di violenze, e ogni cambiamento di regno comporta un cambiamento delle dirigenze, e
l’espropriazione dei beni del gruppo sconfitto. Non c’è un’ereditarietà nel potere regio, i re sono
elettivi e quando un re muore ne viene eletto un altro che non è parente, per il principio di forza
dell’aristocrazia. Progressivamente la solidarietà del corpo politico si disgrega, tra la fine del VII e
inizi VIII secolo, e nel 711 un capo arabo berbero che passa lo stretto di Gibilterra riesce con una
sola battaglia a conquistare tutto il regno visigotico quasi senza incontrare resistenza: un’unica
battaglia vede la rotta dell’esercito visigotico, sconfitto perché costituito a tanti contingenti
militari, ciascuno facente capo a un nobile. Da quel momento la massima parte della Spagna,
quella a sud della Cordigliera Cantabrica, diventa una dominazione musulmana che avrà una storia
illustre. C’è una complessa dinamica di trasformazione dei poteri socio politici e una crisi dei regni.
La cultura visigotica ha dato notevoli manifestazioni nella cultura letteraria, giuridica e artistica.
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Il regno dei Franchi
Il regno dei Franchi si presenta con aspetti diversi da quello dei Visigoti.
L’influenza romana è meno forte: mentre il sovrano visigotico eredita strutture statali
dall’organizzazione romana, il re dei franchi non eredita altrettante strutture forti della tradizione
amministrativa romana. La slide presenta il regno dei franchi tra VI e VII secolo.
Il regno dei franchi risale alle grandi conquiste di Clodoveo, che parte dall’alto, conquista il bacino
parigino e scende nell’ovest dell’attuale Francia. Successivamente i suoi eredi hanno conquistato la
Borgogna, la Provenza, e hanno esteso l’egemonia del popolo franco oltre al Reno. A differenza dal
regno visigotico, però, vige un diverso principio di trasmissione della sovranità: nel regno franco da
subito si costituisce la dinastia di Clodoveo e dei suoi successori, e il regno si trasmette sempre e
solo tra i discendenti di Clodoveo, che si diceva discendente di un re mitico Meroveo = merovingi.
Il principio che regola la trasmissione ereditaria è quello della divisione del regno tra i diversi figli
del re. Clodoveo lascia quattro figli che si dividono i complessi delle sue provincie. I quattro sovrani
vivono tutti nella zona centrale e hanno come ambito di autorità dei settori differenti che si
individuano già durante il Vi secolo.
Nel nord della Gallia ci sono due strutture politiche: una più orientale, che si spinge fino a parti
dell’Olanda e oltre al Reno. Questa parte si chiama Austrasia, cioè il regno dell’est, la parte est del
regno dei franchi.
La parte occidentale, compreso il bacino parigino, prende il nome di Neustria. Una grande parte
del dominio dei franchi era originariamente l’insediamento dei Burgundi, che all’inizio del VI secolo
viene conquistato dai franchi, viene annesso, e diventa una parte del regno dei franchi, con il
nome di Borgogna. C’è poi una parte sud occidentale che si chiama Aquitania, uno strano
territorio diviso tra i diversi re che si trovano nelle altre tre parti. Il cuore dei domini franchi è
sempre l’Austrasia e la Neustria, e gli altri territori vengono attribuiti ai sovrani quando ci sono
sovrani sufficienti per amministrarli; in caso contrario vengono spartiti.
Il fenomeno caratteristico è simile a quello descritto nel regno dei visigoti, ovvero la costituzione
di una aristocrazia che ha la sua base di potere nella proprietà fondiaria, nel dominio del
territorio nato come acquisizione di possessi, possessi enormi. Il possesso fondiario di un capo
franco, di un vescovo franco, sono migliaia di ettari anche dispersi sul territorio, con una capacità
di presenza economica, sociale e politica molto importante. La formazione di grandi patrimoni
fondiari si radica nel corso del VII secolo.
A distinguere i re franchi dai visigoti è che il re franco era un capo soprattutto militare, capo di un
gruppo di fedeli legati a lui da un giuramento personale. Anche i rapporti con i grandi capi e i
vescovi, è un rapporto giurato da persona a persona, c’è meno l’impalcatura statale che funziona
da sola sulla base di un principio giuridico, che invece esiste nel regno dei visigoti. Il regno dei
franchi e la capacità del sovrano di coordinare le forze politiche si basano sul rapporto personale
del sovrano con i suoi leudi, che sono legati a lui da un giuramento.
Anche i popoli liberi franchi sono legati al sovrano da un giuramento di lealtà e dall’obbligo al
servizio militare. Tuttavia il fenomeno di disgregazione del regno è veloce, più veloce di quello
vissuto dai visigoti, perché c’è l’ereditarietà. Spesso vengono scelti re minorenni, incapaci di
governare su una struttura così complessa e frazionata: i re, per compensare la fedeltà degli
uomini, procedono a grandi alienazioni di beni pubblici, fanno grandi donazioni a monasteri, ma
anche a capi militari o a personaggi illustri. Il re progressivamente si priva delle risorse economiche
dirette della monarchia, e pian piano vengono meno i proventi della tassazione, e i re si vedono
privati di questa fonte di reddito, nonostante i tentativi di ristabilirla.
I re si districano in una delicata situazione di rapporti personali con il ceto dirigente che sviluppa
le proprie proprietà e acquisisce l’immunità.
3
In questa fase si registra una crescita importante del controllo della aristocrazia sul potere regio,
controllo che viene espresso non attraverso il concilio dei vescovi, che in Francia non esiste, ma
attraverso il capo del palazzo regio in ciascuno dei regni illustrati, il capo dell’amministratore regia
che ha in mano le risorse di ogni singolo regno e rappresenta presso il re il potere dell’aristocrazia.
Le aristocrazie tendono sempre di più a differenziarsi e prendere fisionomie proprie. Nel VII secolo
l’aristocrazia dell’Austrasia esprime le proprie caratteristiche attraverso il maestro di palazzo del
regno di Austrasia, e così l’aristocrazia di Neustria, e Borgogna. L’Aquitania rimane a margine
perché è una terra diversa, non molto franchizzata. Il processo del VII secolo, che diventa
visibilissimo nella seconda metà del VII secolo, è di una presa di potere politico delle aristocrazie
dei regni, espressa attraverso il maestro di palazzo, che progressivamente espropria dei poteri i
re, sempre più deboli anche perché spesso in lotta tra di loro, oppure perché sono minorenni e
non riescono a sfruttare direttamente le risorse dei regni, sempre più limitate.
La genealogia dei Pipinidi- Arnolfingi (poi Carolingi) è presentata nella tavola genealogica, nella
slide. Tra la fine dei VI e l’inizio VII secolo ci sono due personaggi austrasiani che hanno un ruolo
importante nelle lotte tra i regni che caratterizzano questi decenni: Arnolfo, che ha un figlio
Ansegisel, e Pipino I, che ha una figlia chiamata Begga. Ansegisel e Begga si sposano, e generano
Pipino II, che riesce a mettere insieme una quantità di beni straordinari nella zona tra Belgio,
Olanda e Germania, e li unisce ai beni che venivano dalla famiglia, i beni della moglie.
Pipino II ha un ruolo importante nell’affermazione dell’aristocrazia austrasiana a danno dei
sovrani di Austrasia e di Neustria, ed esercita poteri personali. Pipino II, dalla seconda moglie, fa
un figlio, Carlo Martello, erede del potere della nobiltà austrasiana: è colui che realizza
l’esclusione completa dei sovrani della dinastia merovingia dal potere, sebbene si preoccupi lui
stesso a nominare dei sovrani. Il vero potere, però, va nelle mani di Carlo Martello, che afferma un
ordine costituzionale nuovo che non ha più nulla a che vedere con l’antica situazione franca. Carlo
Martello avrà come figli Pipino III e Carlomanno, importantissimi personaggi del VIII secolo. Vi è
un sistema di potere diverso, fondato sulle proprietà fondiarie della famiglia, sui seguiti armati e
sulle iniziative di espansione al di là del Reno.

La struttura economica dell’Occidente nel VII e VIII secolo


Tra VII e VIII secolo si determina trasformazione che accompagna quelle politico istituzionali.

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Lezione n.10: Il destino dell'Italia
Gli argomenti:
- La riorganizzazione del regno longobardo
- La crisi del dominio bizantino in Italia e il papato
- Il conflitto tra Franchi e Longobardi in Italia
- L’origine del dominio temporale del papato

La riorganizzazione del regno longobardo


Si parla di una riorganizzazione nel senso che il regno longobardo si forma dopo il 568, nella
seconda metà del VI secolo, e ha una storia travagliata, la sua espansione non è completa in Italia
e l’amministrazione non è particolarmente evoluta, nonostante esista un potere regio.
Vi è una legislazione importante promulgata dal re Rotari, e la situazione politica territoriale
dell’Italia rimane complessa fino al tempo di Rotari.
Il regno longobardo a metà del VII secolo è quello rappresentato in verdino nella cartina:
comprende l’Italia padana e il Friuli, parte
dell’Emilia e la Toscana. Le parti rosse, invece,
sono sotto la dominazione bizantina: zone
territoriali che hanno delle interruzioni tra l’una e
l’altra, a nord c’è una parte romagnola, l’Esarcato,
e la parte meridionale che corrisponde alle
Marche, che si chiama Pentapoli. In mezzo alla
penisola, esiste anche un ducato di Perugia,
territorio bizantino isolato in mezzo a territori
longobardi, e l’attuale Lazio, anch’esso facente
parte dei domini bizantini.
Nell’Italia meridionale fanno parte dei territori
longobardi il ducato di Spoleto e un altro ducato,
quello di Benevento, che si estende fino alla
Calabria. Sono ducati periferici rispetto al regno,
dato che la sede del re si trova a Pavia. Questi ducati longobardi hanno anche una tradizione di
autonomia, non sono sottoposti al sovrano longobardo, ma hanno una volontà di autonomia e di
autogoverno: si considerano alleati al re longobardo.
Questa è la situazione dalla seconda metà del VII secolo, quando sale al potere a Pavia una nuova
dinastia regia di tradizione cattolica che risale a un’antica famiglia longobarda e esordisce con un
fatto politico importante, nel 680: una pace formale tra il regno longobardo e l’impero bizantino.
Questa pace in parte consente di smilitarizzare la penisola e di instaurare una più facile
circolazione di persone e merci attraverso le frontiere militari, che erano aree spopolate tra i due
domini. La pace consente l’apertura delle frontiere. L’avvento al potere di una dinastia cattolica,
connotata anche come qualità ideale dalle fede religiosa, fa sì che i re del regno possano
appoggiarsi facilmente sulle istituzioni ecclesiastiche, che erano state molto dissestate dalla
conquista violenta che aveva provocato devastazioni e fuga di vescovi, abbandono sedi vescovili,
scompaginamento delle istituzioni ecclesiastiche, che ora costituiscono di nuovo un puntello del
potere regio.
Questa situazione raggiunge il suo apice con il regno di Cuniperto, re dei longobardi fino al 700.
Uno degli aspetti della riorganizzazione dello stato è stata una serie di coniazioni in cui era
1
raffigurato il sovrano longobardo in un atteggiamento simile ai sovrani antichi, paludato come gli
antichi imperatori romani. Sul retro della moneta raffigurata nella slide vi è l’arcangelo Michele,
protettore dei longobardi, arcangelo guerriero, archistratego delle milizie angeliche, scelto dai
longobardi come protettore della loro stirpe. La moneta funge da rafforzamento della dignità del
re e per la riproposizione della fortuna del popolo longobardo, messa sotto una figura significativa
come l’arcangelo guerriero. Del governo di Cuniperto è interessante ricordare la riorganizzazione
delle istituzioni ecclesiastiche, il rafforzamento dell’autorità regia nei confronti de capi militari, e
una prospettiva di relazioni più strette con i ducati periferici di Spoleto e Benevento.

Dopo Cuniperto, nel 712, c’è un altro sovrano longobardo che porta avanti lo sforzo di
riorganizzazione istituzionale e politica: Liutprando, il sovrano più significativo e innovativo nella
storia longobarda. Liutprando ha l’idea dello stato, dell’organizzazione dei poteri politici, della
figura regia, del funzionamento del governo in forme propriamente statali. È un sovrano
legislatore e dota il popolo di un complesso di leggi. Regna per 30 anni, e per 15 volte emana un
complesso di leggi che si aggiungono a quelle di Rotari promulgate 50 anni prima, e che
costituivano la codificazione del patrimonio di leggi tradizionali. Il corpo di leggi promulgato da
Liutprando costituisce la modernizzazione di questo patrimonio, per adattarlo alle nuove esigenze
della società, che si sta ampliando e sta diventando moderna, e ha bisogno di una legislazione
nuova. Il corpo di leggi di Liutprando, per esempio, regola questioni di traffici e commerci.
Liutprando ha chiara l’idea dell’organizzazione amministrativa del regno come un complesso
coerente: vede il regno come un insieme di distretti a capo dei quali c’è una persona che esercita il
potere giudiziario, e lui configura tutto il regno come un regno ordinato, finalizzato alle relazioni
legali pacifiche tra la popolazione e il sovrano. In più, Liutprando organizza il fisco regio, le
proprietà regie, organizzate per nuclei autonomi ciascuno dei quali produce un reddito che
sostiene la regalità nell’esercizio del potere regio.

La crisi del dominio bizantino in Italia e il papato


Mentre regna Liutprando, nel 715 diventa papa Gregorio II. Il papato è inserito nell’impero
bizantino, e il papa è un suddito dell’impero di Bisanzio. Nel 717 diventa imperatore di
Costantinopoli Leone III, in un momento difficilissimo: lui è un grande guerriero e comandante
militare, riesce a superare le crisi e subito dopo inizia una politica particolarmente oppressiva,
perché aveva necessità di ristabilire le finanze dell’impero. La politica aggressiva dell’imperatore
Leone III suscita immediate reazioni in Italia, dove l’impero era avvertito come una realtà lontana,
e a guidare la rivolta fiscale fu proprio papa Gregorio II, convinto che la tassazione delle proprietà
della chiesa fosse troppo pesante. Papa Gregorio II dà inizio alla rivolta fiscale e invita anche la
popolazione ribellarsi.
La situazione si complica quando nelle stesse regioni d’oriente, Leone III Esaurico prende iniziative
in materia di culto, per unificare la devozione religiosa e la lealtà politica proibendo la venerazione
delle immagini sacre che rappresentavano Gesù Cristo, la madre di dio e i santi. Leone III
progressivamente lancia una lotta contro le immagini sacre, e afferma che la venerazione delle
immagini sacre è una forma di idolatria. Questa intromissione di un imperatore lontano nelle
questioni di religiosità e di culto, viene avvertita in occidente come intollerabile e il papa invita le
popolazioni a guardarsi dall’autorità imperiale, che è eretica.
Il conflitto continua con papa Gregorio III, che si trova nella stessa posizione di opposizione,
aggravata dal fatto che l’imperatore Leone III, per punire il papato dell’opposizione, confisca tutte
le proprietà che i papi avevano in Italia meridionale e in Sicilia, privandoli di una rilevante fonte di
reddito.
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In questo scollamento si inserisce il re Liutprando con l’idea di approfittare dell’indebolimento
dell’autorità bizantina in Italia per espandere il dominio dei longobardi nelle provincie imperiali.
Respingendo la sovranità dell’imperatore eretico in Italia (Leone III) e allargando il dominio di un re
cattolico (Liutprando) si favoriva la causa della fede, dell’ortodossia e dello stesso papato.
Liutprando svolge questa erosione del dominio bizantino sia in direzione dell’esarcato di Ravenna,
sia in direzione del ducato romano che faceva capo a Roma, rosicchiando i confini; però è
un’erosione che ha successo, e intere popolazioni dell’Emilia si sottomettono al re longobardo in
quanto re cattolico, e Liutprando occupa il castello di Sutri a nord di Roma in territorio bizantino.
La conquista è portata avanti contro l’imperatore, non contro il papa, che però avverte questa
espansione come molto pericolosa, e origina un conflitto destinato ad acuirsi negli anni tra il
papato e i re longobardi, da un lato cattolici devotissimi, dall’altro pericolosi perché mettono in
crisi l’assetto geopolitico italiano.
I papi vogliono conservare l’autonomia di Roma nella prospettiva di un impero cattolico che non
rappresenti un pericolo per la fede. Si tratta di un conflitto drammatico per il papato e per i
longobardi, perché il papa si troverebbe, nell’ipotesi dell’eliminazione del dominio bizantino, a non
avere una controparte e senza una forza tale da opporsi al re longobardo. Il papa temeva una
riduzione di Roma all’interno del regno longobardo, che sarebbe stato peggio che non stare dentro
a un regno bizantino. Si verifica una situazione drammatica in cui Liutprando tende ad associare
l’espansione nei territori bizantini con una politica aggressiva contro i duchi di Spoleto e di
Benevento, per riportare tutti i territori sotto la diretta influenza del re. Liutprando insedia uomini
di fiducia in entrambi i ducati, e la sua espansione è reale e pericolosa.
Papa Gregorio III giunge ad appoggiare i duchi di Spoleto e Benevento contro il re Longobardo.
Gregorio III muore e gli succede il papa greco Zaccaria, che ha un migliore rapporto con
Liutprando, e lo persuade a rinunciare a Ravenna: i rapporti sono ambigui, di conflitto ma anche di
sottomissione di un re cattolico al papa. La situazione sotto Zaccaria migliora quando Liutprando e
Ildebrando muoiono, e gli succede Rachis, un sovrano mite che ha con Zaccaria rapporti, mentre
continuano i cattivi rapporti con l’impero bizantino.
Il conflitto conosce un aggravamento che lo porta a una linea di sviluppo imprevedibile rispetto a
quanto descritto fino ad ora.

Il conflitto tra Franchi e Longobardi in Italia


Nel 749 Astolfo prende il posto di Rachis. È un sovrano militare dinamico e aggressivo e in due
anni conquista Ravenna ed elimina il dominio bizantino nell’Italia centrale, mentre nell’Italia
meridionale il dominio bizantino continua. Astolfo unifica e riporta sotto l’autorità regia i ducati di
Spoleto e Benevento, ottenendo l’unificazione quasi totale della penisola.
I papi cercano allora nuovi protettori, perché sono decisi a non rientrare in un regno longobardo
esteso, in quanto minaccia delle tradizioni romane della chiesa. Zaccaria aveva avuto una buona
occasione nel 747: Pipino III, capo dell’aristocrazia austrasiana, gli aveva mandato un curioso
messaggio in cui sostanzialmente gli chiedeva appoggio. Il re dei franchi non comanda, non ha
poteri e ricchezze ma è una figura rappresentativa in balia del capo dell’aristocrazia austrasiana
che è Pipino III, che nomina un re ed esercita lui stesso il vero potere su tutto il complesso dei
regni dei franchi. Il potere esercitato è anche ecclesiastico, oltre che politico. Pipino III manda a
Zaccaria un messaggio in cui chiede al papa se fosse giusto che avesse titolo di re colui che aveva il
nome di re, oppure colui che esercitava davvero il potere del re, in sostanza chiedendogli se la
finzione di un re merovingio che non comanda, dovesse continuare oppure no. Zaccaria dice che
chi esercita il potere deve avere anche il nome di re, legittimando un colpo di stato.

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Questa legittimazione viene sfruttata dal successore di Zaccaria, Stefano II, che viene eletto
quando Astolfo si impadronisce di Ravenna ed esercita una politica di pressione su Lazio e Roma.
Per resistere a questa pressione Stefano II si rivolge Pipino III, oramai re dei franchi dal 751.
Rivendicando l’autorità della chiesa e il beneficio che Zaccaria aveva conferito alle aspirazioni
regie, Stefano II chiede aiuto ai franchi, non contro gli imperatori ma contro il re dei longobardi.
Questa richiesta di aiuto è accolta da Pipino III, che si sente legato alla sede papale, anche perché il
suo potere era frutto di un colpo di stato e l’unica legittimazione che aveva era dal papa.
Pipino III interviene contro Astolfo, due volte, nel 754 e 756: il risultato delle campagne militari in
cui l’esercito longobardo si squaglia, è singolare. Pipino III impone al re longobardo di rendere i
territori bizantini che aveva occupato, l’Esarcato e Pentapoli. Ma a chi? In teoria i territori
sarebbero dovuti tornare all’imperatore bizantino, ma Pipino III impone la restituzione a San
Pietro, al papato. Dietro questo singolare concetto di restituzione ci sono molti problemi di tipo
teorico e giuridico, difficili da ricostruire in quanto la documentazione è scarsa. A partire dal 756,
però, il papato gode dei diritti di sovranità in tre grandi provincie dell’ex impero bizantino:
l’Esarcato, la Pentapoli e il ducato romano. Non si può ancora parlare di uno stato della chiesa,
ma queste terre sono il patrimonio di San Pietro, e il papa vi esercita tutti i diritti della sovranità.
Pipino III dopo l’elezione di un nuovo re dei longobardi, si definisce in maniera complessa.
Alla morte di Pipino III il potere di questa famiglia regia si indebolisce, e il nuovo re longobardo
Desiderio cerca di approfittarsene per ristabilire un dominio in Italia contro il papa, che è
diventato una potenzia territoriale. Desiderio cerca di tornare a proporre una politica aggressiva
nei confronti del papato per creare a Roma un atteggiamento più favorevole verso l’egemonia
longobarda nella penisola.
Il papato di Stefano III è il momento più acuto di questo processo, che vede violenze inaudite
dentro la città stessa di Roma. Questo sistema viene meno con papa Adriano I, che proviene dalla
nobiltà romana e ha una fortissima idea della dignità di Roma. Adriano I impone a Desiderio di
smettere questa politica aggressiva per riportare Roma nell’egemonia longobarda, e si rivolge al
nuovo re dei franchi, Carlo Magno, figlio di Pipino III, che ha superato la crisi ed è l’unico re dei
franchi.
Adriano I chiede sostegno e Carlo Magno interviene: una spedizione militare basta per provocare
la catastrofe dell’esercito longobardo. Nell’esercito longobardo vi sono problemi di organizzazione
militare e tecniche di combattimento, e di coesione politica. Queste figure di re che svolgono una
politica importante, inoltre, forse non hanno un consenso abbastanza forte nel regno. Il regno dei
longobardi viene invaso da Carlo Magno, Desiderio viene catturato, e questa volta Carlo Magno
depone il re e si nomina re dei longobardi. La sovranità autonoma dei longobardi viene meno per
sempre, e viene confermata per sempre la sovranità dei papi sui territori dell’Italia centrale.

L’origine del dominio temporale del papato


A Roma si costruisce una sorta di leggenda che deve giustificare l’origine del potere temporale del
papa: Giustiniano, guarito dalla lebbra, aveva donato al papa tutto l’occidente. Si tratta di una
falsificazione storica. Certi gruppi che lavoravano insieme al papa Paolo I costruiscono una sorta di
legittimazione del potere temporale della chiesa, che si estende su quelle che prima erano
territori bizantini, e ora sono patrimonio di san Pietro.

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Lezione n.11: Carlo Magno e l'unificazione dell'Occidente
L’occidente con Carlo Magno viene unificato dopo il frazionamento delle invasioni barbariche e dei
regni romano barbarici.
Gli argomenti:
- Carlo Magno: guerre e conquiste
- La riflessione sul governo: i consiglieri del Re
- L’organizzazione amministrativa del regno di Carlo Magno
- La definizione della nuova regalità
- La promozione all’impero
- La riflessione sula dignità imperiale

Carlo Magno: guerre e conquiste


L’unificazione dell’occidente avviene attraverso le guerre e le conquiste di Carlo Magno. La slide
rappresenta l’espansione del dominio dei franchi e l’affermazione dell’autorità regia. Nel 668
muore Pipino III, lasciando eredi Carlo Magno insieme a suo fratello Carlomanno. Tra i due
fratelli non corre buon sangue ma, alla morte di Carlomanno, rimase a regnare Carlo Magno.
Carlo Magno inizia subito l’attività militare nei confronti del popolo germanico confinante, i
sassoni. A nord e a est si trova la vasta area dominata dai sassoni, che nel 772 sono ancora pagani:
si tratta di una popolazione militare, dinamica, bellicosa, che minaccia il dominio dei franchi in
Turingia e Frisia. I franchi per i sassoni costituiscono un avversario militare e religioso, perché il
potere della famiglia di Carlo Magno si configura come un potere cristiano, legato alla qualità
religiosa della fede del sovrano e alla qualità religiosa del potere del sovrano. Le guerre di Carlo
Magno contro i sassoni sono numerose, ripetute e sanguinose, e compongono una lotta durissima:
i franchi sono un popolo militare, ma anche i sassoni sono guerrieri. L’opposizione è fortissima
perché ideologica, perché i sassoni combattono per il paganesimo.
Le guerre durano fino al 757, seguite da un accordo con i capi sassoni, però rotto rapidamente: la
decapitazione in un solo giorno di 4500 ostaggi sassoni dà una garanzia dell’accordo raggiunto. La
guerra dei sassoni continua, fino alla sottomissione che si ha nel 785, quando Carlo Magno cerca di
fiaccare la capacità di resistenza dei sassoni con il controllo del territorio e con severe punizioni
(ogni comportamento deviante veniva punito con la morte).
Solo nell’804, 30 anni dopo l’inizio delle guerre, si ha una reale sottomissione e cristianizzazione
di questa popolazione, che poi si integra nel sistema di potere e culturale franco, e alla fine sarà
un sostegno a una nuova fase germanico-cristiana dell’Europa. Alla fine di queste guerre il confine
del mondo franco viene portato sul filo dell’Elba.
Nel 774, invitato dal papa Adriano I, Carlo Magno entra in Italia e conquista tutto il regno dei
longobardi, dando una sistemazione di gran parte della penisola italiana sotto l’egemonia franca.
Carlo Magno si autonomina re dei longobardi, tiene in piedi il regno come struttura giuridica e lo
riempie di amministratori franchi che impone in Italia per controllare il territorio capillarmente. Il
territorio di San Pietro rimane libero, ma sotto la protezione di Carlo Magno. In successive
campagne militari non cruente, ma che mantengono forte la pressione sull’Italia, riesce ad
affermare un dominio indiretto a distanza anche sul ducato di Benevento, che aveva avuto una
forte tendenza all’autonomia.
Nel 778 Carlo Magno tenta una spedizione in Spagna dove c’è un dominio islamico quasi su tutta
la penisola iberica, non molto compatto ma conflittuale tra i diversi capi. Carlo Magno vuole
ampliare i confini della cristianità respingendo i musulmani a sud. La spedizione non ha fortuna,
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l’esercito franco si ritira e, durante la ritirata, a Roncisvalle la retroguardia viene assalita dalle
popolazioni basche che abitavano la zona, dando spunto alla canzone di Rolando/Orlando, che
racconta le vicende del capo franco massacrato durante la ritirata.
Nel 781 Carlo Magno riesce a sottomettere il duca dei Bavari, che governava in forme autonome
un vasto territorio situato nell’attuale Germania meridionale: è un processo di allargamento
dell’area di controllo e di dominio dei franchi. Le guerre di Carlo Magno si svolgono contro
popolazioni pagane o di scarsa attendibilità religiosa: i Sassoni pagani, l’islam non cristiano, i
longobardi nemici del papa. Si tratta di guerre in favore della fede e della chiesa.
I Bavari erano cattolici, ma questo non esclude che Carlo estenda la sua autorità anche su di loro.
Successivamente l’espansione si rivolge verso il territorio controllato dagli Avari, che hanno
ancora i costumi di un popolo di guerrieri, che vive di preda, pericoloso, allocato sui confini della
Baviera e del Friuli. Si registrano una serie di spedizioni guidate da Carlo Magno o dai capi militari
da lui inviati, che portano alla sparizione degli avari, pagani.
Poi hanno luogo campagne contro gli slavi che popolavano per tribù le terre a nord dell’Elba: non
si tratta della conquista di un territorio con limiti precisi, ma di un’area di influenza e di egemonia.
Vi è una serie di campagne che ha inizio intorno al 772, che dura 30 anni e che porta il re dei
franchi da un dominio centrato su Austrasia, Neustria, Borgogna e Aquitania, a dominare su quasi
tutti i territori cristiani dell’Europa, salvo l’Inghilterra, la Britannia e l’Italia meridionale bizantina.
L’importante è che egli non è solo un capo militare, ma qualcosa di più: una volta raggiunta questa
straordinaria estensione di potere, Carlo Magno si pone il problema di come governare la società
che ideologicamente si configura come il complesso della società cristiana.

La riflessione sul governo: i consiglieri del Re


Carlo Magno elabora una riflessione su come gestire questo complesso di territori e questo potere
così cresciuto. Carlo Magno è stato assistito da un nucleo di consiglieri da tutte le parti
dell’Europa, dove la cultura aveva già iniziato a riprendere piede e riorganizzarsi dopo la
decadenza della scuola antica, superando la difficoltà della diffusione della cultura e la difficoltà
dei regni romano barbarici. Alcuni dei consiglieri di Carlo Magno sono persone importanti anche
nella storia della cultura intellettuale: Alcuino, un dotto inglese, che raccoglieva l’eredità di una
forte rinascita della scuola monastica inglese a partire dagli anni ‘20 dell’VIII secolo. Egli sa leggere
i classici, sa scrivere, conosce la grammatica e l’astronomia. Poi vi è Paolo Diacono, anche lui
letterato, erudito, grammatico, storico, aveva già scritto una storia romana quando viene chiamato
a corte da Carlo Magno e accetta di collaborare col re in una prospettiva nuova, nel progetto di
governare questo enorme complesso di territori.
La preoccupazione di riorganizzare i principi del governo e della società parte dalla
riorganizzazione della cultura anche a livelli elementari. Carlo Magno vuole ricreare le condizioni
perché si sappia leggere, scrivere, attingere all’eredità culturale cristiana e classica. Uno degli
aspetti più caratteristici è l’elaborazione di una scrittura nuova, la minuscola carolina: si comincia
dalla scrittura. Non esisteva la stampa, ogni testo doveva essere scritto a mano, ed era necessario
saper usare la scrittura, ed era consigliabile utilizzare una grafia chiara perché fosse veloce da
scrivere a facile da leggere. La minuscola carolina era il fondamento per il recupero della scuola,
dell’istruzione, della formazione intellettuale.
La lingua della cultura era comunque il latino, e insieme alla scrittura bisognava imparare la
grammatica. Per favorire l’apprendimento era stata istituita una scuola elementare dove era
possibile studiare il latino, la grammatica, i classici, i testi cristiani. L’illustrazione nella slide
rappresenta il primo codice miniato che è stato redatto alla corte di Carlo Magno: si tratta di un
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evangeliario, una raccolta del testo dei Vangeli, dello scriba Godescalco. Un’altra slide mostra
l’evangeliario di Aquisgrana.
In pochissimo tempo questi artisti e scribi avevano raggiunto un’abilità straordinaria in grado di
rivaleggiare con le forme più ardite della pittura romana antica.
Il gruppo che si raccoglie alla corte di Carlo Magno crea le premesse per il rinnovamento culturale
di tutta la società racchiusa nel dominio franco, e si ha anche la testimonianza dell’intenzione di
diffondere ciò che viene costruito nella corte di Carlo Magno: nel 784/785 viene inviata una
circolare a tutti i monasteri in cui viene imposto di adoperarsi a migliorare il culto religioso
migliorando la correttezza del parlare, dello scrivere e del leggere, fondamentali anche per
celebrare convenientemente il culto divino. In una società fortemente cristianizzata il culto divino
è importantissimo, ed è essenziale che gli ecclesiastici siano scolarizzati per non sbagliare nella
fede e nel culto.
La riorganizzazione della scuola è lo strumento fondamentale per assicurare la correttezza della
vita religiosa e la possibilità di una amministrazione del regno evoluta, che si serva dello scritto
come mezzo per registrare eventi e situazioni, trasmettere messaggi, registrare le forme giuridiche
della vita associata.

L’organizzazione amministrativa del regno di Carlo Magno


Una delle grandi preoccupazioni di Carlo Magno e dei suoi consiglieri consiste nel fatto che la
società dei suoi regni debba essere governata correttamente in rapporto con la legge divina e con
la necessità di vivere pacificamente secondo legge e secondo giustizia. Al fine di raggiungere
questo obiettivo, Carlo Magno mette in opera diverse strutture di governo:
- esiste una corte di cui fanno parte dotti, eruditi, personaggi, laici, personaggi militari;
- esiste anche una struttura di servizi che si chiama cappella, un gruppo di ecclesiastici che
vive a corte, che assicura i servizi religiosi per la corte e la redazione degli atti
amministrativi, delle dichiarazioni di volontà del sovrano, dei privilegi che il sovrano
concede.
La corte di Carlo Magno è mobile, non esiste il concetto di capitale. Carlo Magno si sposta nelle
varie proprietà del fisco e la corte lo segue, ma nel 794 si comincia a costruire una residenza più
durevole delle altre, dove la corte fa soggiorno più spesso: si tratta del palazzo regio di
Aquisgrana, di cui possiamo vedere un modellino nella slide. Si vede un’aula, un enorme spazio
unitario con una grande abside dove si tenevano cerimonie di corte; la chiesa di palazzo dove si
tenevano cerimonie religiose; poi edifici di abitazione, magazzini, edifici per la corte. La cappella
palatina esiste ancora ed è uno dei più grandi lasciti di questa civiltà carolingia.
Carlo Magno si preoccupa anche del governo diffuso sul territorio, che deve essere esercitato non
solo da un centro, ma anche nel territorio decentrato, in coordinamento con il centro. L’istituzione
fondamentale di governo è la contea: il termine tecnico è comitato, che indica un territorio ben
definito, con confini riconosciuti all’interno del quale c’è il conte, il rappresentante del sovrano,
del potere pubblico e dello stato nel territorio cui è preposto, ossia la contea.
Il conte deve esercitare le fondamentali funzioni di governo che assicurano la pace sociale, cioè
deve assicurare l’amministrazione della giustizia, sia presiedendo ai tribunali sia dando
esecuzione ai deliberati dei tribunali. Il conte, inoltre, ha funzioni di polizia, di controllo delle
persone, e deve assicurare il servizio militare dei liberi, che sono una componente fondamentale
dell’esercito di Carlo Magno. Il conte deve anche assicurare le imposte sul movimento di persone
e di merci, sull’attracco di barche, sull’attraversamento di ponti: non si tratta di imposte dirette sul
patrimonio e sulle persone fisiche.

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I conti sono i rappresentanti del sovrano sul territorio e hanno poteri di natura pubblica, sono
scelti da Carlo Magno e sono legati a lui da un giuramento di fedeltà. I conti hanno una fedeltà
giurata e rappresentano il potere pubblico nel territorio, articolato in tante contee, tra le 200 e le
300.
Il conte è l’istituzione fondamentale dell’organizzazione statale nel mondo carolingio. Accanto al
conte ci sono altre figure, per esempio i vassalli fedeli al re, che hanno un rapporto di aiuto
politico e militare, non esercitano poteri di natura pubblica ma sono distribuiti sul territorio dove
ricevono in beneficio proprietà fondiarie e hanno una funzione di collaborazione con i conti, e al
bisogno di controllo dei conti, e rappresentano una forte presenza di fedeltà al sovrano sul
dominio franco. Carlo Magno utilizza anche le strutture ecclesiastiche, i vescovati. I vescovi
esercitano un potere di inquadramento e guida per la società cristiana, non solo per le funzioni
ecclesiastiche, ma anche per collaborare con i conti e per fare regnare pace e giustizia. Carlo
Magno dimostra alcune preoccupazioni lucide e consapevoli, e ricerca un’organizzazione
perseguita con criterio, metodo, strategia. Egli tende a creare le strutture di un governo che
rispecchiano i principi giuridici e religiosi della convivenza tra le persone. Si tratta dei principi che
stanno alla base del rapporto tra re e uomini liberi, ossia alla base del suo potere, il corpo politico
dello stato.
Conti e vescovi rappresentano i governanti, ma il rapporto con gli uomini liberi è alla base. Gli
uomini liberi prestano servizio militare, e Carlo Magno ha come finalità di assicurare al popolo dei
liberi la giustizia, in quanto popolo del re e fondamento ultimo del potere regio.
Carlo Magno crea un sistema che si serve di tutte le risorse disponibili per realizzare un governo
giusto.

La definizione della nuova regalità


Su un personaggio come Carlo Magno si innesta una riflessione, cioè si tende a capire e definire
meglio che tipo di sovrano è per aver avuto una fortuna militare del genere e per esercitare potere
in questo modo.
La definizione della nuova regalità è un processo che avviene nella corte carolingia, ma anche
fuori, per esempio a Roma negli ambienti papali, come riflessione sulla natura del potere
esercitato da Carlo Magno.
Nel 794 Carlo Magno riunisce a Francoforte, che fa parte dei suoi domini, un concilio di vescovi
dove promuove discussioni teologiche, come facevano gli imperatori bizantini nel IV e V secolo, ma
in accordo con l’episcopato dei suoi regni. I temi discussi erano la natura di Cristo e la natura delle
immagini. A conclusione di questa assemblea i vescovi acclamano Carlo Magno re e sacerdote,
come se in lui ci fosse anche una natura sacerdotale. Lui non aveva ricevuto il sacramento, ma
questa acclamazione dei vescovi significava che era tutore della fede e propagatore della fede,
preoccupato dell’evangelizzazione. Questi episodi si moltiplicano. Quando Carlo Magno edifica la
Cappella Palatina a Aquisgrana, ha ben presente la chiesa di San Vitale a Ravenna, imperiale, e nel
suo palazzo edifica un monumento religioso che ha una stretta affinità con i monumenti
dell’antichità romana e cristiana.
L’imitazione non è solo estetica ma simbolica, Carlo Magno si avvicina al livello degli antichi
imperatori romani. Nel 799 il suo consigliere e amico Aquino gli scrive una lettera in cui gli dice
che vi erano tre persone nel mondo con un rango altissimo: l’imperatore di Bisanzio, il papa e il re
dei franchi. Nel 799 Aquino vede Carlo Magno come uno dei tre vertici del mondo cristiano,
accanto ai due vertici tradizionali che risalivano all’antichità. Siamo già davanti nell’imminenza di
quella grande trasformazione che poi accompagna il nome di Carlo Magno nella nostra
conoscenza, ossia l’incoronazione, che avviene dopo una serie di eventi.

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Papa Leone III aveva una forte idea dell’importanza di Carlo Magno nel mondo cristiano, era
persuaso che le fortune e il primato del papato potessero sopravvivere solo con una stretta
associazione al potere militare e cristiano del re franco. Leone III aveva fatto raffigurare sé stesso e
Carlo Magno: lui con simbolo del potere vescovile, e Carlo Magno con il vessillo di un potere di
comando, forse in Roma. Leone III ebbe un grande infortunio, consistente in un colpo di stato a
Roma, in seguito al quale riesce a fuggire e si rifugia a Aquisgrana, chiedendo aiuto.
L’anno successivo Carlo Magno viene a Roma per mettere ordine in queste questioni, e ci riesce,
condannando gli assalitori del papa (con un esercizio di autorità giuridica a Roma).
Conseguentemente, la notte di Natale dell’800, papa Leone III incorona Carlo Magno mentre gli
astanti lo acclamano imperatore dei romani.
Con questa incoronazione viene riportato in occidente l’imperatore, un sovrano franco con
fisionomia di grande capo militare, controllore dell’Europa cristianizzata e cristianizzato lui stesso
nelle sue funzioni e nell’esecuzione del suo potere.

La promozione all’impero
La riflessione sulla dignità imperiale

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Lezione n.12: Grandezza e fragilità dell'Impero Carolingio
Gli argomenti:
- L’idea dell’impero cristiano
- L’impero e l’aristocrazia militare
- Gli abusi del potere
- La crisi della dinastia carolingia
- Il fallimento e i lasciti dell’ideale carolingio

L’idea dell’impero cristiano


ELEMENTI DI FORZA
Carlo Magno aveva conquistato grandi terre e aveva realizzato la più estesa dominazione dopo la
caduta dell’impero romano, e non si è accontentato di una dominazione militare, ma ha concepito
la sua funzione come una funzione di governo nell’interesse delle società ricadute sotto il suo
controllo a seguito di una conquista militare violenta.
La conquista militare fu violenta, sì, ma il livello della violenza viene superato velocemente nella
consapevolezza che un governo doveva adoperarsi per il miglioramento delle condizioni di vita e
delle condizioni etiche e religiose della società. L’intuizione fondamentale realizzata da Carlo
Magno fu l’aver concepito il potere come una funzione nei riguardi degli amministrati, non solo
come privilegio. A Carlo Magno poi viene attribuita una dignità imperiale che era legata alla
tradizione di Roma. Questi appena descritti sono elementi di forza, probabilmente.
ELEMENTI DI DEBOLEZZA
Impliciti in questa sua stessa genesi ci sono, però, anche elementi di debolezza e contraddizione
interna: quando un sovrano molto aperto come Carlo Magno cerca di creare un progetto di
governo nella linea che abbiamo detto, gli strumenti concettuali della sua epoca non gli
consentono di pensarlo se non in termini religiosi.
Il progetto di governo di Carlo Magno, quindi, è concepito in termini religiosi e con un fine
religioso: l’obiettivo è, attraverso la pace e la giustizia, di consentire al popolo di procedere nella
via della virtù in una prospettiva di salvezza. Il governo ha un carattere cristiano e serve per
realizzare le prospettive cristiane di tutti i fedeli. Questo principio è il modo in cui si riesce a
costruire un progetto di governo aperto e progressivo, ma contiene al suo interno anche un
elemento di difficoltà, cioè che le verità della religione, i comportamenti assoggettati a una
funzione religiosa, la valutazione dei programmi in chiave di salvezza competono al clero nella
chiesa cristiana.
Vi è una gestione mista degli ideali imperiali: da un lato l’imperatore e i consiglieri che hanno un
progetto complessivo di chiave religiosa, dall’altro il clero che ha un potere di intervento in questo
progetto politico nel suggerire forme di realizzazione e nel controllare che queste forme vengano
messe in opera.
La slide mostra il figlio di Carlo Magno, Ludovico il Pio, raffigurato come un guerriero della fede:
ecco come veniva interpretata la figura del sovrano in ambienti religiosi, non solo dell’ortodossia
tradizionale ma anche dell’ortodossia dei comportamenti.
Il problema del rapporto tra i poteri imperiali e il corpo ecclesiastico si pone dopo la morte di
Carlo Magno, che era ancora molto forte e con un enorme prestigio personale e religioso, e che
aveva la supremazia su tutto il regno.
Anche Ludovico il Pio era un sovrano forte, ed era persuaso del fondamento religioso e cristiano
dell’impero, e attribuiva uno spazio molto più grande all’intervento del clero, soprattutto dalla
parte franca. Il clero si troverà più volte in conflitto con il sovrano, perché voleva esercitare un
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forte controllo, fino a imporre una penitenza al sovrano per punirlo dei suoi comportamenti
politici, ledendo il prestigio di Ludovico il Pio con le autorità militari. Vi è un dualismo tra i poteri
degli imperatori e i poteri dei vescovi nella gestione del progetto di governo.
Anche la componente romana dell’impero, realizzata nel momento dell’incoronazione, è uno dei
punti di difficoltà: lega la possibilità di diventare imperatori a un rapporto privilegiato con il papa,
che ha creato l’imperatore attraverso l’incoronazione. Carlo Magno aveva cercato, alla fine della
sua vita, di scindere l’impero franco da Roma, anche perché un impero romano esisteva già ed era
quello bizantino. Carlo Magno si trova in rapporti diplomatici con gli imperatori bizantini, e a un
certo punto sembra considerare la dignità che gli era stata assegnata come una dignità personale,
assegnata a lui in quanto sovrano straordinario, ma pensa anche di riconoscere la dignità imperiale
romana del suo collega bizantino.
Vi è una riflessione sul rapporto tra l’idea dell’impero e la componente romana, tanto che un anno
prima di morire Carlo Magno associa Ludovico il Pio all’impero per la successione senza traumi:
non manda, tuttavia, Ludovico il Pio a Roma, ma costruisce una cerimonia di incoronazione ad
Aquisgrana in cui Ludovico il Pio si incorona da solo per sganciare l’idea dell’impero dal fatto che
l’incoronazione dovesse essere ricevuta dal papa.
I papi del IX secolo, quelli che succedono a Leone III, saranno attentissimi a rivendicare la capacità
unica del papa di conferire l’impero ai sovrani franchi, eredi e successori di Carlo Magno: la
grandiosità dell’idea di un impero cristiano si scontra con l’autorità dei vescovi di controllare
l’operato dei sovrani, e con la tenace rivendicazione di assegnare l’impero da parte dei papi.

L’impero e l’aristocrazia militare


Un tema molto interessante è quello del rapporto tra la solidarietà e l’affezione dell’aristocrazia
militare nei confronti dell’idea dell’impero. La slide mostra l’effigie di un nobile guerriero nella
chiesa di San Benedetto a Malles. L’idea di impero ha avuto sostegno nel mondo ecclesiastico e
nell’aristocrazia laica militare, che conservano il dominio carolingio su tutto il territorio
dell’impero. A questa classe appartengono gli amministratori stessi dell’impero, i conti, che non
sono dei burocrati civili ma personaggi di vocazione miliare, aristocratici, ai quali Carlo Magno ha
affidato i poteri dello stato.
Qual è il legame tra l’aristocrazia militare (intesa sia come guida degli eserciti sia come
rappresentante dello stato) e il sovrano? È un legame personale che si definisce come fedeltà.
Questi collaboratori dell’impero sono i fedeli dell’imperatore ed esercitano le funzioni in forza del
rapporto di fedeltà personale, che nasce in un ambiente di seguiti militari in cui c’è un capo
attorno a cui si riuniscono dei gruppi, e il sovrano li porta alla guerra e alla vittoria. Il sentimento
caratteristico di quest’epoca, che fa parte della cultura medievale, è la fedeltà, e caratterizza
l’uomo libero e il guerriero. Si tratta di un rapporto bilaterale, tanto è fedele il capo ai guerrieri,
quanto il guerriero al capo: è una lealtà reciproca, la garanzia reciproca che il gruppo stabilisce per
agire solidarmente e avere una grossa incidenza militare politica.
Il rapporto tra il potere centrale e i poteri periferici è basato sulla fedeltà: i conti carolingi,
soprattutto le prime generazioni, si rendono conto che il progetto statale è grande, ma il loro
apporto non è fondato sulla lealtà verso lo stato impersonale, ma sulla lealtà verso il sovrano,
personale. Questo rapporto funziona in quanto il sovrano merita la lealtà, ricambia la fedeltà e
garantisce dei vantaggi. L’aspetto di forza è che, facendo leva su un sentimento profondamente
avvertito, l’idea di fedeltà garantisce coesione; contemporaneamente la fedeltà può essere
revocata e tradita perché è un sentimento umano, e in questo contesto di etica militare deve
essere meritata. Quando nascono problemi ai vertici dell’impero il cemento della fedeltà può non
essere sempre stabile e sicuro, e il ceto dirigente può non essere più lo strumento ideale per
assicurare la continuazione del progetto statale. All’interno del discorso delle fedeltà si inserisce
2
una formalizzazione giuridica che è il vassallaggio: a partire già dall’VIII secolo la fedeltà diventa il
cemento e il legame che si formalizza in un rapporto giuridico che prende nome di vassallaggio.
Per il vassallaggio un uomo libero e guerriero diventa il vassallo di un altro uomo, ossia l’uomo di
un altro uomo, l’aiutante e il compagno, l’amico, all’interno di relazioni gerarchiche: il vassallo è,
quindi, l’uomo di un signore. Il vassallo non perde libertà e onore, anzi, ma ha un rapporto
subordinato, sebbene il signore sia tenuto a premiare la fedeltà del suo vassallo mediante la
concessione di un beneficio.
Questo rapporto vassallatico beneficiario è alla base del feudalesimo, l’organizzazione politica e
sociale del medioevo. Ora siamo in un momento di formalizzazione giuridica del principio della
fedeltà.
Il sistema carolingio si serve del sistema di vassallaggio, per cui dispersi sul territorio dell’impero
ci sono i vassalli del sovrano, che hanno un ruolo politico alto e collaborano con i conti
nell’amministrare e controllare l’impero. In questo sistema la fedeltà è un cemento, ma può nello
stesso tempo indebolirsi o essere revocata.
Esaminiamo un altro elemento di forza e di debolezza contemporaneamente: attraverso le
conquiste di Carlo Magno l’aristocrazia militare che parte dal nucleo austrasiano e che si
arricchisce di altri gruppi aristocratici che man mano entrano nel dominio dell’impero, si ramifica
su tutto il territorio imperiale, acquista beni e proprietà, in diverse parti del territorio imperiale.
L’aristocrazia militare si arricchisce non concentrando i beni, ma espandendoli, ramificandoli, e
anche attraverso i suoi membri: ogni famiglia instaura relazioni con altre famiglie, anche in territori
lontani. Si crea una grande rete di aristocrazie, che è anche una rete di interessi: questa rete ha
fatto parlare di una aristocrazia internazionale, perché non legata solo a un territorio di origine,
ma estesa su tutto il territorio imperiale.
Questo sistema funziona bene fino a quando l’impero è unitario, solidamente amministrato, e fino
a quando c’è un sovrano che garantisce che questa rete possa continuare a esistere perché esiste
un potere in grado di controllare tutto il territorio dell’impero. Fino a quando ci sono coesione e
sostegno da parte delle aristocrazie nei confronti di questo potere imperiale, il sistema funziona.
Quando il potere centrale si indebolisce e diventa problematica la possibilità di mantenere
possessi, relazioni, istituzioni su un territorio così vasto, le aristocrazie cominciano a concentrare
i loro interessi in ambiti regionali o in porzioni dell’impero: contemporaneamente il loro
interesse per la dimensione unitaria e internazionale dell’impero diminuisce nel corso del IX
secolo, fino al punto che queste aristocrazie sono più interessate ad avere un re locale che
garantisca i loro interessi in un quadro più ristretto, anziché un imperatore con una prospettiva più
generale ma inaffidabile e fragile per interessi materiali.
L’aristocrazia internazionale dà un’apertura che fa parte del quadro di grandezza dell’impero, ma
la difficoltà porta alla localizzazione degli interessi ed è un elemento di fragilità. Infatti, poi,
l’impero carolingio si frammenta.

Gli abusi del potere


Gli abusi del potere sono un altro aspetto di forza, ma anche di debolezza, nel corso della vicenda
dell’impero, che si estende fino al IX secolo e termina nell’887. Quali sono gli abusi del potere? Si
riferiscono alla condizione degli uomini liberi che non fanno parte dell’aristocrazia di cui abbiamo
parlato.
Gli uomini liberi hanno una fisionomia fondamentale, il complesso degli uomini liberi costituisce il
fondamento del regno stesso, il gruppo di persone portatrici della sovranità. Il rapporto tra loro e il
re è fondamentale perché loro sono l’esercito del re, costituito da tutti i liberi sopra cui c’è
l’esercito dei vassalli, gruppi privilegiati dei guerrieri legati al sovrano dalla fedeltà. Ma tutti i liberi
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del regno sono fedeli del re. Questa libertà di base è fortemente messa a rischio dall’esercizio del
potere delle aristocrazie, che non sempre gestiscono bene i poteri politici e istituzionali. Il potere
si legittima solo se finalizzato a un interesse superiore, ma non tutti si comportano secondo
questi principi, e con l’indebolirsi della struttura imperiale la percentuale di coloro che non
rispettano questo principio cresce. I conti, per esempio, che sono in possesso dei poteri pubblici, li
utilizzano non solo per una buona amministrazione dei dipendenti, ma per costringere questi
ultimi a entrare in subordinazione al conte, alla sua famiglia, ecc… Si tratta di una continua
erosione della libertà di base.
I potenti cercano di costringere i liberi comuni a cedere le terre per poi riprenderle in
concessione dal potente cui le avevano cedute, ma gravate di determinati obblighi di servizio. Gli
uomini liberi, attraverso questa costrizione sociale che sfrutta i poteri istituzionali, entrano in un
rapporto di dipendenza che può essere anche vassallatico o di subordinazione fondiaria, cioè
legata al fatto che questi non hanno più la proprietà della terra, e continuano a coltivarla a titolo di
contadini tenuti a un servizio dovuto al nuovo proprietario delle loro terre. Chi entra in un
rapporto di questo genere non è più completamente libero, e non è più tenuto a fare servizio
militare per il re. Questa situazione per il re è un danno, perché può fare conto solo sul servizio
militare dei vassalli, e deve dipendere dal loro consenso per esercitare le funzioni di forza. I re
cercano di difendere le libertà comuni, ma si verifica questo abuso del potere.
Un altro abuso è che chi ha una posizione istituzionale di autorità cerca di trasmetterla all’interno
della sua famiglia. Un conte, che teoricamente è nominato dal sovrano, tende a trasmettere il
potere, il complesso territoriale, i legami personali e gli interessi patrimoniali, al figlio o comunque
a un membro della famiglia. Questa è la dinastizzazione delle funzioni comitali: sono processi
caratteristici alla radice dell’indebolimento della coesione statale e dell’idea generale dello stato,
che si trasforma in un sistema di relazioni tra aristocratici che hanno forti poteri di varia natura,
privata e pubblica, che tendono a trasmettere all’interno delle proprie famiglie.

La crisi della dinastia carolingia


La slide presenta uno schema genealogico: Carlo Magno lascia l’impero a Ludovico il Pio, che si
sposa due volte, prima con Ermengarda e poi Giuditta. Da Ermengarda ha tre figli, da Giuditta ha
Carlo. Il problema che si pone è quello di trasmettere l’impero e i poteri sovrani all’interno di
questa discendenza: esiste la tradizione franca che diceva che tutti i figli del re avevano diritto a
diventare re, e dall’altro lato esiste la tradizione imperiale che dice che solo uno tra i figli può
essere imperatore, perché il potere imperiale non può essere diviso. Si tratta di un conflitto
teorico e pratico. Ciascuno dei figli di Ludovico il Pio vuole diventare re, e nessuno è convinto a
rinunciare a questi diritti ereditari: tra questi sovrani si raggiungono degli accordi, compromessi
quando nasce Carlo (detto poi Carlo il Calvo), sostenuto dalla madre e da un importante partito
dell’aristocrazia. Si verificano, quindi, aspre lotte, e a livello dell’anno 843 i fratelli Ludovico il
Germanico, Lotario e Carlo si dividono l’impero.
Vi è una spartizione tra i tre fratelli di tutti i territori dell’ex impero: due regni (Francia orientale e
occidentale), poi una serie di regni, (ex regni), e i territori al centro che conservavano la titolarità
imperiale perché ospitavano Aquisgrana e Roma. Uno dei fratelli mantiene il titolo imperiale, ma
non ha più una vera sovranità sui fratelli, che invece costruiscono propri regni.
Si verifica una tripartizione tra una zona di lingua romanza, una zona di lingua tedesca, e una
zona centrale dove si fondono aree di cultura germanica, aree di cultura mista e aree di cultura
romana. Lo spezzettamento dell’impero continuerà ancora nella generazione successiva quando
Lotario lascia il suo impero diviso in tre: la Provenza, l’Italia a Ludovico II, e la zona centrale e
settentrionale a Lotario II.
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Nell’855 nell’ex territorio dell’impero ci sono quindi cinque regni e un ex imperatore che esercita
l’autorità solo su una parte dell’Italia. La crisi del potere centrale che si verifica dà il colpo decisivo
a tutti i fenomeni di intima ambiguità per cui l’impero avrebbe potuto funzionare in presenza di un
centro di coordinamento forte. Quando viene meno il centro di coordinamento, costituito da un
sovrano forte e credibile, tutto il sistema si sgretola perché le fedeltà si moltiplicano, i sovrani non
sono più prestigiosi, il papato stesso si trova in crisi.

Il fallimento e i lasciti dell’ideale carolingio


La grande costruzione di Carlo Magno in meno di 90 anni si disgrega. Che cosa resta? Resta il
programma politico, fondamentale per la cultura politica medievale, secondo cui il potere da solo
non si giustifica, il potere militare è una necessità ma non un valore. Il potere, secondo Carlo
Magno, deve avere un progetto ma anche delle convinzioni di valore, che in questo momento
risiedono nella religione. Il potere si legittima solo se religiosamente ispirato, e il massimo potere
che rispecchia questi presupposti è quello imperiale.
Dell’ideale carolingio rimane anche una esperienza comune dal punto di vista delle tecniche di
amministrazione, delle strutture teoriche dello stato, e una forte promozione della cultura
scolastica ed ecclesiastica, messa in opera e diffusa.
L’Europa carolingia ha un’eredità politica in comune.

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Lez. 13 - I mutamenti dell’economia dai regni Romano – Barbarici
all’impero Carolingio
Gli argomenti:
- L’economia dell’occidente del VII e VIII secolo
- L’organizzazione della proprietà fondiaria nell’età carolingia (tra VIII e IX secolo)
- Proprietà fondiaria comprendente
- Mercato e moneta in età carolingia
- L’interpretazione dell’economia carolingia: stagnazione, espansione, commercializzazione

L’economia dell’occidente del VII e VIII secolo


Fino al VII secolo l’economia è dominata da due fenomeni: da un lato l’arretramento della
potenzialità economica della società occidentale, l’impoverimento, la diminuzione dei consumi,
l’arretramento delle superfici coltivate. Si tratta di una crisi difficilmente spiegabile: sono state
proposte molte cause, tra le quali una probabile diminuzione della popolazione, e altre cause
climatiche come il peggioramento del clima, che avrebbe influenzato la possibilità di avere rese
agricole.
Dal V secolo in poi si verifica una diminuzione della produzione, dello scambio e
dell’insediamento, mentre continuano fino al VII secolo i fenomeni di circolazioni di merci che
hanno ancora un’estensione mediterranea. C’è una circolazione di tipo commerciale e ce n’è
anche una di tipo non commerciale, anche se in misura sempre più ridotta tra V e VII secolo: a
Roma, in Liguria, a Marsiglia, continuiamo a trovare merci che provengono dalle altre sponde del
Mediterraneo. Il sistema economico antico sopravvive, pur impoverendosi.
Si può vedere un esempio della monetazione nel mondo franco merovingio nella slide contenente
monete carolingie, che consistono in una produzione rozza ma comunque persistente, perché le
monete continuavano a essere coniate: sono monete d’oro, perché conservavano l’aspirazione di
poter essere scambiate con il solido d’oro, ovvero la moneta di aurea bizantina imperiale, la
moneta forte. Viene coniata una moneta d’oro che, però, vale un terzo, probabilmente perché
c’era meno oro, gli scambi interni richiedevano monete meno forti, e fino a un certo periodo nel
regno merovingio si continua a coniare una moneta che fa riferimento a quella imperiale. Questo
tipo di moneta, ancorato al sistema antico, intorno al 670 non viene più coniata in Gallia, nel
regno dei franchi: perché? Non abbiamo testi che ci informino. Si era forse esaurito l’oro? O forse
la necessità di coniare moneta? Una possibile concausa è che le importazioni mediterranee si
rarefanno fino a cessare.
L’archeologia ci rivela che tra le foci del Reno, le coste della Germania e l’Olanda, le coste
meridionali della Gran Bretagna, si è attivato uno scambio commerciale nuovo che non ha
precedenti, alimentato da una moneta originale (sceattas, si chiamano): si tratta di monete
coniate in questa nuova area commerciale che ha i suoi estremi tra l’Inghilterra meridionale e la
Frisia. Quest’area utilizza la moneta d’argento, non ha più interesse a essere agganciata alla
moneta romana o merovingia. L’aspetto positivo della monetazione in argento è la facilità di
reperire il metallo per la coniazione delle monete, al centro di uno scambio commerciale. Con
quest’area commerciale in cui si scambiano beni tra la Gran Bretagna e una parte settentrionale
dell’Europa, si stabiliscono relazioni tra il mondo merovingio e il bacino di nuova circolazione. Il
mondo merovingio alla metà del VII secolo tende ad agganciare quest’area economica, anche se
non abbiamo una documentazione scritta che lo provi. Anche nel mondo merovingio, nella
seconda metà del VII secolo, si conia una moneta d’argento collegata alle sceattas. Nell’Europa

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continentale con affaccio sul mondo nordico si sta creando un nuovo sistema economico
fondato sullo scambio tra le risorse della parte continentale e le risorse della parte a nord.
Nell’VIII secolo questa situazione si consolida, e i Franchi, sotto il dominio di Carlo Martello, si
impadroniscono della Frisia per controllare questo commercio. Si consolida anche un nuovo
assetto dell’economia produttiva, di base agraria, più organizzata e dinamica di quanto non fosse
quella dei secoli precedenti.
Quali sono le caratteristiche nuove nell’area continentale (Francia settentrionale)? Sono
l’introduzione nuove tecniche di aratura e un nuovo tipo di sfruttamento del suolo tramite la
rotazione triennale delle colture agrarie. Secondo la rotazione triennale delle colture, un campo è
coltivato nel corso di un ciclo di tre anni con tre differenti tipi di coltura: una prima volta con grani
invernali, una seconda volta con grani primaverili, e un terzo anno a prato, anche destinato al
pascolo. Il terreno si può più facilmente rigenerare, può offrire due raccolti in uno stesso periodo,
e si compensa il momento di riposo con il maggior raccolto nei momenti di produzione. Questo
sistema funziona nei terreni pesanti dell’Europa continentale, dà ottimi risultati, mentre meno
significativi sono i risultati nella zona mediterranea.
Questo nuovo sistema di colture è uno dei motivi della ripresa del commercio, anche se il
commercio dei frisoni era più focalizzato su oggetti artigianali, che non prodotti agricoli.
Nell’Europa continentale controllata dalla dinastia carolingia ci sono importanti miglioramenti
della conduzione agraria, e espansione dei territori messi a coltura, e si verifica il tentativo di
coltivare terre fino a quel momento incolte. Si sviluppa una razionalizzazione della proprietà: si
costruiscono sistemi di grandi proprietà fondiaria, parallelamente all’aristocrazia militare e
parallelamente alla formazione di grandi proprietà ecclesiastiche.
In queste grandi proprietà fondiarie si studiarono modi di produrre di più e meglio, aggregando
piccole proprietà contadine con grandi proprietà fondiarie. La costruzione di patrimoni è fondata
sull’integrazione di questi due cellule fondamentali del controllo del suolo: i nuclei di famiglie
contadine, ciascuna delle quali controlla un podere, e i grandi complessi territoriali, che
comprendono anche territori incolti e vaste estensioni di terreno.
Vi è un’estensione delle ragioni delle grandi proprietà fondiarie, e la riduzione in un rapporto di
dipendenza delle famiglie di contadini, che vengono integrate anche contrattualmente.
Contemporaneamente si organizza lo sfruttamento razionale delle tenute controllate dai grandi
proprietari.

L’organizzazione della proprietà fondiaria nell’età carolingia (tra VIII e IX secolo)


Questo processo è in corso nell’VIII secolo, e porta alla formulazione del tipico modello di grande
proprietà fondiaria, della villa carolingia o curtis carolingia. È un modello di proprietà bipartita,
secondo il quale una grande proprietà veniva organizzata dividendola in due parti, gestite in modo
diverse. Il principio dell’organizzazione della curtis consiste nel fatto che questa proprietà era
articolata in due parti: una parte, dominicale o dominico, era gestita direttamente dal grande
proprietario, che poteva risiedervi o nominarvi un rappresentante; la restante parte veniva divisa
in poderi, mansi, ciascuno dei quali affidato a una realtà contadina. I mansi dovevano essere
sufficientemente estesi e articolati da garantire la sopravvivenza della famiglia che vi lavorava. Che
cosa lega i mansi dalla parte in dominicata? I titolari dei mansi dovevano prestare un certo
numero di giornate lavorative ogni anno per mettere in coltura la terra del signore: si tratta di
una forma di reclutamento della manodopera gratuita, e di sfruttamento della proprietà.
La manodopera in questione presta le sue giornate lavorative secondo regole stabilite da contratti.
Per il proprietario questo sistema comporta un doppio ordine di redditi: un reddito che veniva
dalla parte del dominico, e una quota di produzione dei mansi, anche non particolarmente elevata,
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che contribuiva alla rendita complessiva del signore. Non c’era bisogno, inoltre, di bracciantato
retribuito. Nella parte in dominicana risiedevano le famiglie di servi che collaboravano al lavoro
nella parte dominicale. Non necessariamente la grande proprietà aveva sempre questa struttura
aggregata: i mansi potevano anche essere indipendenti, legati solo dalle prestazioni obbligatorie,
che erano registrate e regolamentate.

Proprietà fondiaria comprendente


Si tratta di un sistema complesso che garantisce uno sfruttamento capillare, inteso non solo in
senso negativo come sfruttamento di manodopera gratuita: i titolari dei mansi avevano la
possibilità di sfruttare una terra in cui potevano restare da una generazione all’altra, a fronte di
prestazioni prestabilite e conosciute anticipatamente. La principale testimonianza di questa
organizzazione di proprietà è relativa alle proprietà monastiche: si veda la slide con la pianta del
Monastero di San Gallo, importante perché testimonia la complessa organizzazione della proprietà
fondiaria. Nella slide si vede anche la ricostruzione grafica del Monastero San Vincenzo al
Volturno, contemporaneamente centro ecclesiastico e di organizzazione economica: è un
monastero che conosciamo bene grazie a una serie di campagne di scavo. È stato possibile avere
conferma che accanto all’insediamento monastico, è stata rinvenuta una serie di officine
artigianali con i residui della loro produzione, e sono stati scoperti i resti non solo di prodotti di
sussistenza, ma anche di prodotti di lusso. Il discorso può essere esteso: una grande proprietà,
gestita con una prospettiva complessa, non è solo un luogo dove si stimola e si raccoglie la
produzione agraria, ma anche un luogo dove c’è una produzione artigianale qualitativamente
importante: falci, zappe, stoviglie, ma anche oggetti di oreficeria, e armi. C’è, inoltre, una
metallurgia di grande qualità non riconducibile alle istituzioni religiose.
La grande proprietà carolingia ha una funzione di organizzazione della proprietà, incremento della
produzione, e produzione artigianale variata. Esistevano dei surplus di produzione: un grande
monastero raccoglie la produzione di molte grandi aziende, i cui prodotti venivano convogliati
verso la curtis centrale. Cosa se ne facevano di tutto questo surplus? Una parte veniva dedicata
all’autoconsumo, però è pensabile che ci fosse una quota di prodotto che restava. Questa
produzione artigianale di lusso, una parte veniva messa in distribuzione: e la distribuzione come
avveniva? C’era uno sbocco commerciale nella struttura della curtis, oppure era una distribuzione
che avveniva nella curtis stessa?

Mercato e moneta in età carolingia


Esiste una moneta finalizzata ad alimentare un commercio? Si veda la slide con un tessuto
orientale in seta, arrivato nell’occidente carolingio per vie commerciali. Non solo i redditi delle
grandi proprietà potevano alimentare un commercio, ma esisteva anche una nuova circolazione di
beni di lusso di origine orientale che arriva nel mondo carolingio.
Che moneta alimenta questo mercato? Pipino il Breve e Carlo Magno riformano il mercato
monetario. Dalla metà dell’VIII secolo ci sono riforme monetarie con le quali i due riorganizzano la
coniazione di moneta nel mondo franco, d’argento, adeguando il peso della moneta per fare sì
che la moneta stessa intrinsecamente avesse un valore. A cosa era destinata questa moneta?
Alimentare le possibilità di commercio oppure no? È stata interpretata come una moneta in un
mondo in cui il commercio è raro, e una moneta d’argento non poteva alimentare il commercio
internazionale. Da un lato si è sostenuto che la moneta d’argento fosse debole, utile solo per
sostenere piccoli scambi locali, dall’altro lato si è sostenuto che la moneta d’argento non era tanto
debole, e si agganciava agli sceattas anglosassoni e ai protopennies che subentrano allo sceattas,
ossia forme di denari d’argento.

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Le sceattas e i protopennies sono già una moneta che alimenta il commercio nel mare del nord, e
la moneta carolingia si aggancia a questa circolazione e la migliora, non è una moneta debole.

L’interpretazione dell’economia carolingia: stagnazione, espansione,


commercializzazione
L’economia carolingia è da pensare come un’economia di stagnazione? La produzione agraria è un
aspetto che indica un’economia di sussistenza, oppure no? E una moneta d’argento è uno
strumento economico che indica rarefazione degli scambi, o no? L’economia carolingia può essere
considerata come depressa, oppure come economia espansiva, aggressiva, che riesce a
commercializzare dei surplus della ricchezza? Si tratta indubbiamente di un’economia che ha dei
significativi surplus che possano alimentare un commercio. In che rapporto il commercio locale si
pone nei confronti del commercio internazionale? Il commercio degli schiavi è una delle
caratteristiche dell’economia carolingia. Gli schiavi vengono esportati verso il mondo musulmano.
Si tratta di problemi complessi, e il dibattito è aperto, anche se oggi si tende verso
un’interpretazione positiva e espansiva.

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Lezione 14 – I popoli esterni all’assalto del mondo carolingio
Gli argomenti:
- I popoli oltre le frontiere: danesi, saraceni, magiari
- Le incursioni nel territorio dell’impero
- Disordine e insicurezza
- Il mondo fuori dall’impero

I popoli oltre le frontiere: danesi, saraceni, magiari


La slide mostra una carta geografica: i popoli scandinavi sono segnati in rosso, poi si vedono i
saraceni, che non corrispondono a un complesso etnico, ma sono chiamati così dai testi di coloro
che ricevono queste aggressioni e hanno provenienza dall’Africa e sono musulmani; vi sono,
inoltre, i magiari, nella zona corrispondente all’Ungheria.
L’impero Carolingio era esteso, e queste popolazioni si trovano ai margini dell’impero, e le
incursioni che arrivano dentro l’impero partono da posizioni di confine. L’impero ha una certa
responsabilità nei confronti questa situazione, predisposta dall’assetto di Carlo Magno: i danesi
avevano sempre costituito già dall’VIII secolo una potenza militare notevole, ma erano stati
arginati dai sassoni che si trovavano alla radice della Danimarca. Carlo Magno, conquistando i
sassoni, porta l’impero a contatto con i danesi, che sono in via di espansione e di stabilizzazione:
si stanno costruendo strutture politiche, nuovi re, nuove ricchezze, si sta sviluppando un’intensa
attività commerciale fonte di ricchezza e accumulazione, che alimenta il potere dei re e le esigenze
di ricchezza della popolazione.
Carlo Magno aveva combattuto una grande guerra contro gli Avari nell’attuale Ungheria, in seguito
alla quale gli avari erano scomparsi. In questa fase i magiari occupano le terre prima occupate
dagli avari, e poi svuotate dalle imprese militari e religiose di Carlo Magno.
L’Italia meridionale era stata indebolita dalla conquista carolingia: Carlo Magno aveva conquistato
l’ex regno dei longobardi, aveva dato autonomia ai territori della chiesa, e aveva indebolito l’Italia
meridionale, che subisce le incursioni dei saraceni, lasciandola in un contesto mediterraneo in cui i
poteri che governavano l’Italia settentrionale erano in posizione di debolezza.
Le conquiste di Carlo Magno, se da un lato avevano unificato l’Europa continentale in un nuovo
ordine politico istituzionale e ideale, dall’altro avevano creato situazioni di instabilità nelle
frontiere. È su queste frontiere che le situazioni di instabilità danno luogo alla creazione di gruppi
che aggrediscono l’impero.
Le invasioni di scandinavi, i Vichinghi, che hanno come nucleo portante i danesi, iniziano dopo
l’840, mentre e già dall’820 iniziano le incursioni dei saraceni nell’Italia meridionale. Più tardi si
verificano le incursioni dei magiari, alla fine del IX secolo, per occupare un vuoto creato da Carlo
Magno.
L’impero carolingio è nello stesso tempo grande e fragile, aggressivo e destinato a essere
aggredito.

Le incursioni nel territorio dell’impero


L’incursione che investe il cuore dell’impero è quella degli scandinavi, i Vichinghi: non c’è un
popolo che si chiama i Vichinghi, perché il termine è una denominazione di professione, e vuole
dire pirata. I Vichinghi sono gruppi di popolazioni scandinave che si qualificano per l’attività
piratesca. Sono un “popolo” di navigatori, usano navi di tecnologia evoluta, che consentono la
navigazione in mare e in fiume, ecco perché riescono a penetrare nel cuore dell’impero
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carolingio. Risalgono i grandi fiumi di Francia e Germania alla ricerca di bottino, più che di terre.
Non vogliono terre, ma sono gruppi specializzati di guerrieri che vogliono il bottino.
I Vichinghi hanno delle pietre con iscrizioni runiche, una lingua nordica con una scrittura runica,
che narrano memorie di uomini, di individui morti, imprese o grandi fatti. Si tratta di un tipo di
sepoltura realizzato con fitte pietre che imitano il tracciato di una nave: come possiamo
comprendere, la cultura marinara era fondamentale per questo mondo. La religiosità ancestrale,
anche se già contaminata dalle influenze cristiane, è testimoniata da lastre di metallo legate
all’antica religiosità delle popolazioni scandinave, connessa con le forze oscure e paurose della
natura e dell’universo. Il mondo carolingio ha tentato già un’evangelizzazione, che non è andata a
buon fine, ma qualche contaminazione c’è stata. Sono state rinvenute, infatti, delle stele che
portano testimonianze di religiosità cristiana.
Le incursioni dei vichinghi determinano situazioni di insicurezza e devastazione perché dopo l’840
l’impero carolingio entra in crisi, e c’è una notevole difficoltà di contrastare queste incursioni, che
sono rapidissime, imprevedibili e che praticano una sorta di terrorismo. Sono incursioni crudeli,
per impedire la resistenza, favorire la sottomissione e l’accordo da parte di sovrani carolingi, che
preferiscono pagare tributi pesantissimi in argento. L’argento arricchisce i vichinghi e consolida il
primato dei mercanti e dei sovrani.
Le incursioni dei saraceni partono dall’Africa e hanno come obiettivo la Sicilia: si tratta di bande
guerriere che si mettono insieme sotto il comando di alcuni capi, oppure a volte spedizioni
spontanee, e in Sicilia arrivano a partire dall’827 con la conquista di Palermo. In ottant’anni i
saraceni si estendono progressivamente e occupano tutta la Sicilia, sottraendola all’impero
bizantino, costretto a cedere fino a che la Sicilia non è un territorio completamente islamizzato.
Vengono organizzate altre spedizioni verso la Puglia, Taranto e Bari, e verso gli anni ‘70 altre
spedizioni verso la Campania. Cosa cercavano i saraceni? In un primo momento conquiste
territoriali, poi bottino e schiavi da catturare in Italia e rivendere ai mercati africani. I saraceni
erano avvantaggiati anche dal conflitto religioso: i musulmani rapiscono schiavi cristiani e li
rivendono. Successivamente cercano di innestarsi sulle rotte commerciali, Taranto e Bari sono
porti importanti, esisteva una navigazione che aveva un certo ambito mediterraneo. Le conquiste
saracene avevano l’interesse prendere queste rotte.
Anche in questo caso la resistenza è minima perché i poteri che tradizionalmente governavano
l’Italia meridionale erano fortemente indeboliti, e i competitori ai principi promuovono le invasioni
dei saraceni, e non riescono a ottenere un valido appoggio dall’Italia meridionale perché c’è
diffidenza, rivalità o conflittualità. I carolingi vengono considerati come nemici. Ci sono sovrani che
cercano di fare spedizioni in Italia meridionale per buttare fuori i saraceni, ma non hanno successo
perché non trovano appoggio leale nelle popolazioni meridionali. La presenza dei saraceni è
eversiva, come si evince dalla distruzione di Montecassino e San Vincenzo al Volturno.
Il problema dei magiari è simile: era una popolazione che proveniva dall’Asia centrale, da zone a
nord del Danubio, ed erano intenzionati a occupare l’area lasciata libera dagli avari, spostandosi
verso la pianura danubiana. I magiari sono un popolo pagano, seminomade, di cavalieri,
organizzati per tribù militari. Continuano la volontà di movimento di gruppi di cavalieri che
penetrano nell’impero, fino all’Italia settentrionale, alla Baviera e alla Francia: cercano il bottino,
che viene poi consumato o riportato in patria. Solo lentamente si sedentarizzano nell’area
ungherese, ma è un processo lungo che occupa la buona parte del X secolo. L’invasione magiara
parte tardi, nell’890, e sopravvive al grosso delle invasioni vichinghe e saracene.

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Disordine e insicurezza
Le conseguenze di queste invasioni sono il disordine e l’insicurezza dovuti alle scorrerie e alle
invasioni imprevedibili e incontrollabili. Si propagano disaffezione e sfiducia nei confronti
dell’impero, che non ha la capacità militare di fronteggiare questo tipo di invasioni. Mettere
insieme un esercito vassallatico, infatti, richiede molto tempo, mentre invece queste invasioni
sono fulminee. La stessa natura delle invasioni favorisce la crescita delle difese locali per rendere
più difficili le incursioni di questi gruppi di invasori. I conti diventano sempre più importanti per
sviluppare una difesa, e diventano importanti le difese passive, come le fortificazioni, e la
costruzione di ostacoli a queste invasioni fulminee. Tutto questo determina uno smembramento
del sistema istituzionale carolingio, perché questi sovrani patteggiano con gli invasori e perdono
di prestigio, quindi possono comandare sempre di meno e la difesa diventa meno efficiente.
Le scorrerie accelerano la disgregazione dell’impero carolingio.

Il mondo fuori dall’impero


Il mondo fuori dall’impero non è solo fatto per incursioni e razzie. Si veda una cartina che ci mostra
quanto fossero vaste le rotte dei Vichinghi, che interessavano le zone oggetto di razzie e
conquiste, ma anche l’Inghilterra era un bersaglio (soprattutto per i danesi), e si costituisce una
zona di egemonia danese che viene sottoposta a un regime tributario della Danimarca.
Anche l’Islanda, e i territori dall’Islanda alla Groenlandia, sono colonizzati da persone all’interno
del movimento Vichingo. La finalità è quella di un insediamento permanente. Queste spedizioni
vichinghe arrivano fino all’America settentrionale: si tratta di movimenti a mezza strada tra
l’esplorazione, la ricerca di terre da colonizzare, la fondazione delle colonie. In Islanda nel XIII
secolo vengono messe per iscritto le saghe nordiche dei vichinghi, che presentano un mondo
eroico e diverso da quello carolingio: diverso perché il sistema di valori è molto primordiale,
ispirato da un arcaico sistema di credenze che riposa nel mondo precristiano. Dal X secolo anche il
mondo scandinavo viene di nuovo evangelizzato. Si verifica un processo di costruzione di regni e
di evangelizzazione.
Anche il mondo dei saraceni, che collegava l’Africa settentrionale alla Sicilia, ed era a metà strada
tra la pirateria, la conquista territoriale, l’innesto su nascenti rotte commerciali e l’inserirsi un
sistema di circolazioni di beni. Si tratta di un sistema che costituisce l’impero economico islamico
del VIII, IX, e X secolo. Queste scorrerie devastano e impoveriscono l’Italia meridionale, ma fanno
anche che sì che possa inserirsi in queste circolazioni commerciali: ecco perché gli italiani
meridionali hanno un contrasto e una connivenza con i saraceni.
Nasce un commercio cristiano che si inserisce in maniera ambigua in una rete di circolazione
consolidata che univa tutti i territori islamici, e essi con l’Africa interna subsahariana, importante
lì correvano le piste percorse da carovane che portavano oro dal Sudan, e le merci pregiate. L’oro
è essenziale per costruire una monetazione importante, che si diffonde anche nell’Italia
meridionale.
Anche il mondo dei magiari si inserisce, seppur lentamente, in una situazione geografica di
importanza strategica e, quando si stabiliscono, controllano e mettono in relazione tutta l’area
danubiana con le vie commerciali per il Mar Nero e l’Oriente, costituendo tramite tra l’Europa
centrale e le zone commercialmente importanti che erano rimaste fuori, e che lentamente
vengono integrate con l’economia e le possibilità commerciali che nascono nell’Europa
continentale.
I popoli esterni hanno una funzione devastatrice e dislocatrice dell’impero, ma successivamente la
carica aggressiva si attenua sia per venir meno delle forze delle popolazioni esterne, sia per la
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resistenza alle incursioni. Questo rapporto, in realtà, si attenua quando cessa la fase violenta delle
aggressioni, e crea delle aperture del mondo europeo con le grandi aree di espansione
commerciale e con il movimento di beni della zona nordica degli scandinavi e della zona
mediterranea dei saraceni. In più, con la stabilizzazione dei magiari, si apre una nuova area
commerciale. La slide mostra Palermo, la chiesa di San Cataldo, che presenta un’architettura di
origine islamica. La dominazione islamica in Sicilia è stata anche una colonizzazione culturale.

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Lez. 15 – l’età dei particolarismi
Siamo alle battute finali dell’impero carolingio, che si disgrega per ragioni intrinseche e per assalto
di popoli esterni.
Cosa succede dal punto di vista dell’organizzazione politica dentro all’impero?

Gli argomenti:
- La divisione dell’impero carolingio
- L’affermazione dei poteri locali
- L’incastellamento e la signoria
- L’inizio della società feudale
- La dinamica economica nel X secolo

La divisione dell’impero carolingio

Si veda la slide con una cartina: fin dall’840 si verificano liti tra i figli di Ludovico il Pio, e negli anni
successivi si verifica la divisione dell’impero carolingio in più di tre regni, ossia cinque. I regni in cui
si divide l’impero carolingio sono: una parte occidentale, la Francia Occidentale; una parte
orientale, il regno della Francia Orientale; l’area centrale che comprendeva la Lotaringia, la
Borgogna, la Provenza, e Italia Settentrionale, (questa parte era l’asse imperiale perché
comprendeva le due capitali di tradizione imperiale: Aquisgrana e Roma). All’interno della parte
centrale ben presto si smembrano 3 regni: Italia, Provenza e Lotaringia. Questi regni hanno una
storia complicata, perché quando i sovrani muoiono senza eredi, i regni vengono rivendicati dai
sovrani confinanti. Tutto questo sistema, tenuto insieme con accorgimenti politici labili, collassa
con la morte dell’ultimo imperatore di discendenza carolingia, Carlo il Grosso, di discendenza del
re di Francia orientale Ludovico il Germanico. Egli tenta di riunificare formalmente sotto il titolo
imperiale tutto questo complesso di regni, però si rivela un sovrano debole e screditato,
soprattutto nei confronti dei normanni. Quando Carlo il Grosso viene deposto dai grandi
dell’impero, e nell’888 muore, si ripropone la frammentazione sulla base della tripartizione,
complicata da conflitti all’interno dei gruppi di potenti consolidati in ciascun regno. Non c’era solo
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potere regio, ma anche un potere aristocratico che sosteneva il regno e consentiva al re di
regnare dando supporto politico e militare.
Dopo morte di Carlo il Grosso avvengono lotte all’interno degli stessi gruppi aristocratici per
accedere al potere regio, e il diritto dei membri della famiglia carolingia a essere re viene messo in
discussione nei vari regni = conflittualità interna e divisione ulteriore di questi complessi politici.
Si smembrano anche queste unità ridotte che si erano impiantante sull’antico impero.
In Francia c’è un discendente carolingio, Carlo (ma è piccolo), e un conte non Carolingio, Eude: il
conflitto divide l’aristocrazia e divide il territorio della Francia Occidentale, da cui si staccano
Provenza e Borgogna. Nella parte settentrionale viene eletto re il conte Eude, che si era distinto
nella lotta contro i normanni.
Lo stesso succede in Italia, dove si ha la presenza contemporanea di due re, anche se non si divide
il regno di Italia: non c’è un carolingio che aspiri alla corona d’Italia, ma ci sono due grandi duchi e
marchesi che si contendono la corona. Tutti e due riescono ad avere la corona regia: uno è
Berengario del Friuli, e l’altro Guido di Spoleto, che per un momento aspira alla corona del regno
della Francia Occidentale.
SI tratta di un problema di disordine e di legittimità, e uno scatenamento di ambizioni.
Guido da Spoleto riesce ad avere a Roma l’incoronazione imperiale: è un sovrano che governa in
maniera imprecisa e incompleta, e a malapena, il regno d’Italia. Ciò nonostante ottiene
l’incoronazione imperiale. Vi è una connessione tra il titolo imperiale e la corona del regno
d’Italia.
Berengario è il più longevo, sopravvive a Guido e a suo figlio, ma, anche se rimane l’unico re
incoronato i nobili italiani gli contrapporranno dei re che contro di lui dovrebbero assumere la
corona del regno d’Italia e vengono chiamati in Italia da Oltralpe. Una mancanza del principio di
nazionalità, le aristocrazie non sono animate dalla difesa di identità nazionale, ma dal desiderio di
controllo del potere regio.
In Francia orientale la discendenza carolingia sopravvive un po’ più a lungo, il figlio di Carlomanno,
Arnolfo di Carinzia, diventa re di Germania col consenso dell’aristocrazia, ma poco dopo la
prerogativa carolingia viene meno e viene eletto re Corrado di Franconia che non è nella
discendenza diretta dei carolingi. La nobiltà riesce a imporre il proprio re e a far controllare
l’istituzione regia indipendentemente dalla tradizione carolingia.
Il quadro dell’articolazione dei poteri formali dopo la deposizione di Carlo il Grosso è mobile,
incerto, e caratterizzato dalla lotta dei grandi aristocratici, che ora gestiscono i poteri creando
consensi e contrastando il re quando non sono d’accordo.

L’affermazione dei poteri locali


I grandi aristocratici, conti duchi e marchesi, hanno una importante funzione come strutture
fondamentali dello stato carolingio, sono rappresentanti e titolari dei poteri sovrani ciascuno nella
circoscrizione che amministrava, per delega regia. Essi continuano a esercitare poteri sovrani nei
loro territori, ma pensano che sia una proprietà della persona, appannaggio stabilmente collegato
con la famiglia, e non più delega regia: cercano di appropriarsi a titolo famigliare delle funzioni
pubbliche che inizialmente esercitavano per delega del sovrano. Non si considerano più funzionari
dello stato, ma principi di diritto proprio, all’interno dello stesso distretto amministrativo, oppure
all’interno di un distretto più vasto che aggregava più comitati, e che risentiva dell’influenza.
Si parla di una dinastizzazione dei poteri pubblici, ossia l’attribuzione come diritto proprio di una
famiglia, e costituzione di principati territoriali. Quelle che prima erano circoscrizioni di uno stato,
diventano stati autonomi non più derivanti da una delega del sovrano.

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I sovrani sono ormai debolissimi, esponenti di questo stesso mondo dell’alta aristocrazia, che oltre
a gestire i propri principati, aspirano al potere regio: si tratta, di fatto, di sovrani tra pari.
È un fenomeno che avviene ovunque, anche in Italia, in Francia, e in Germania. In Germania si
costituiscono dei ducati, in forma complessa, che stabiliscono rapporti tra il duca e una base che
costituisce una nazione dentro la nazione (una nazione bavarese dentro a quella tedesca, per
esempio). Si tratta di una creazione di poteri che hanno trasmissione dinastica e estensione
regionale: questa è una caratteristica di tutti i territori carolingi.
I regni continuano a esistere, ma la struttura dei regni all’interno muta profondamente con la
costruzione di questo complesso di principati legati al sovrano da legame di natura contrattuale e
volontaria.
Sono i grandi signori che sostengono il sovrano perché lo vogliono e ne hanno interesse, perché il
sovrano non limita i loro poteri ma li legittima. Il fenomeno di costruzione di principati territoriali
porta in sé il germe della sua distruzione, perché avviene un fenomeno di signorie all’interno degli
stessi principati. Le signorie hanno un’origine complessa e ambigua. Si prenda il caso di un grande
signore terriero che possiede un’estensione di beni e un patrimonio fondiario organizzato secondo
le forme della signoria curtense, un proprietario ecclesiastico. Normalmente le proprietà
ecclesiastiche godevano di una immunità, erano esenti dall’autorità giurisdizionale del conte del
territorio. Una immunità comportava che l’esercizio dei poteri pubblici all’interno dei territori
immunitari era esercitato dal proprietario dell’immunità. Questo tipo di signoria immunitaria si
trasforma ben presto, con la crisi dell’impero carolingio, in una signoria in cui l’abate o il vescovo
esercitano poteri di giurisdizione e di costrizione analoghi ai poteri di origine pubblica esercitati dal
conte: il potere che permette di imporre obblighi e divieti, e di dare giudizio. Questo complesso di
poteri si chiama di banno, che è proprio la capacità di costringere e porre divieti.
Tra IX e X secolo se ne appropriano quei signori che per prestigio economico e sociale e militare
sono in grado di costringere e porre divieti all’attività delle persone. Il costringere consiste nella
costrizione all’attività militare, al pagamento di tributi, ai servizi di utilità. Un divieto, per esempio,
era quello di allontanarsi dal territorio in cui si risiede.
Si tratta di costruzioni spontanee che tendono a occupare gli spazi di giurisdizione lasciati liberi
dall’autorità pubblica. Si tratta di poteri di origine privata, ma che hanno la stessa forza di quelli
di origine pubblica. Ciascuna realtà tende a essere autonoma, e i poteri di diversa natura si
omogeneizzano e prendono corpo nei poteri espressi nel banno.
Un altro modo di creazione di una signoria locale è la costruzione di un castello.

L’incastellamento e la signoria
Quando si parla della costruzione di un castello tra la fine del IX e il X secolo, non dobbiamo
immaginarci i castelli che caratterizzano il nostro immaginario fiabesco. Si tratta di costruzioni di
legno, spesso consistenti in una torre di legno costruita su una collinetta di terra artificiale, dove
vive il signore, che vive come un poveretto. Siamo alle origini di questo fenomeno. Accanto alla
parte fortificata, protetta da una cinta di pali, c’è solitamente un piccolo complesso di servitori
del castello che vivono in un recinto di terra circondato da un fossato.
Il castello è una struttura che consente a una persona di essere militarmente protetta e di
controllare il territorio circostante. Il titolare del castello esercita nei confronti della popolazione
del circondario un potere di costrizione e una possibilità di difesa, al bisogno.
Da questo tipo di strutture, che nel X secolo proliferano in tutta Europa, nasce un altro tipo di
signoria, legata alla capacità di dominazione, cioè la signoria di castello. La signoria in questo caso
non viene esercitata da un conte, o da un signore immunitario, ma da chi ha costruito un castello e
ha costretto gli abitanti circostanti a sottostare a una dominazione. Anche il signore di castello
esercita la capacità di imporre tributi e lavoro, per esempio un turno di guardia alle fortificazioni, e
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esercita una giurisdizione, ossia una capacità di giudicare. Le persone che vivono dentro questi
territori sono liberi, e dovrebbero avere come loro giudici i conti, che però non rappresentato più il
potere, e il signore di castello riesce a esercitare una giurisdizione sostitutiva di quella del conte,
senza garantire diritto di appello al tribunale del conte. È l’epoca in cui si riescono ad affermare
tantissimi poteri, tutti quelli che riescono a imporsi e affermarsi. È l’epoca dell’anarchia feudale.
Il tipo di poteri che abbiamo descritto sono poteri signorili, perché ancora non abbiamo introdotto
il discorso tecnico del rapporto feudale, cioè il rapporto giurato tra titolari di signorie.
Il rapporto giurato tra titolari di signorie avviene nel momento in cui tra i titolari di signorie si
stabilisce un rapporto giurato di vassallaggio, ossia il rapporto di sottomissione onorevole di
alcune persone ad altre all’interno di una società militare, in cui la sottomissione è una forma di
accompagnamento di un capo da parte dei seguaci. È in questo momento che il potere delle
signorie si coordina in una rete di poteri vassallatico beneficiari: questo non esclude che i grandi
signori concedano anche signorie a loro seguaci, uomini d’armi, a seguito di un giuramento di
fedeltà. In questo caso i poteri del vassallo nascono da un conferimento di signoria da parte del
signore, che fa nascere la fedeltà di un vassallo dandogli una signoria, ma i due livelli vanno
concettualmente tenuti distinti anche se spesso si integrano nella società feudale.

L’inizio della società feudale


In questo periodo si tratta di un mondo violento, perché la conquista dei poteri di fatto e la
gestione del potere politico in una società così frammentata si effettua attraverso la guerra di tutti
contro tutti. La creazione di una dominazione è un fatto di violenza, il mantenimento presuppone
la guardia armata, e i gruppi di fedeli vassalli che si riuniscono intorno a signori eminenti sono in
lotta gli uni con gli altri.
Il X secolo è stato definito l’età di ferro per la durezza dei rapporti politici. La slide mostra un
bassorilievo con combattimento di cavalieri, il pane quotidiano di quest’epoca. Le guerre a
quest’epoca sono guerre tra bande, poche decine di cavalieri e poche decine di guerrieri a piedi, e
gli scontri sono scaramucce che durano un giorno, ed è una guerriglia permanente tra gruppi di
signori, singoli signori. Più ancora dello scontro armato, si cerca di opprimere i deboli, aggredire chi
non si può difendere e evitare lo scontro tra pari.

La dinamica economica nel X secolo


Questo mondo vive in un momento di espansione economica, e il dinamismo del ceto militare e
feudale in gran parte è reso possibile dal fatto che c’è una ricchezza che cresce ed è a questa
ricchezza che tende l’aggressività dei cavalieri. Non è un mondo che sta mangiando sé stesso.

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Lezione 16 - La rinascita dell’impero germanico
Gli argomenti:
- Il regno di Germania nel X secolo
- La dinastia di Sassonia
- La promozione di Ottone I all’impero
- L’organizzazione istituzionale dell’impero
- L’ideologia dell’impero
- L’integrazione dei popoli periferici

Il regno di Germania nel X secolo


Il X secolo è il momento post carolingio, dato che l’impero carolingio è terminato nell’888.
La Germania è stata uno dei territori carolingi, uno dei regni in cui si è articolato l’impero
carolingio. Dopo l’888 sopravvive l’impianto di strutture dell’impero, e si succedono due sovrani
che discendono dalla genealogia dei carolingi, ma persiste anche un’organizzazione di potere
interno che si definisce alla fine del IX secolo e rimane caratterizzante nel X secolo.
Il regno di Germania è articolato in 4 grandi ducati, ognuno corrispondente in una regione che
aveva una tradizione antica di luogo di popolo definito nelle varie stirpi tedesche:
- Baviera
- Sassonia
- Svevia
- Franconia
Ci sono poi delle appendici, e importante è la vicinanza di un ulteriore grande ducato che è la
Lotaringia. Si veda la slide che rappresenta la carta geografica: la Lotaringia si trova in una
posizione intermedia tra la Germania e il regno di Francia, e all’inizio del X secolo non fa ancora
parte del regno di Germania.
I duchi, a capo di queste entità, aspirano a esercitare poteri sovrani quasi regi, concorrenziali
rispetto ai poteri dei re stessi. Si tratta di poteri che si sono formati alla fine dell’organizzazione
carolingia, e costituiscono la possibilità di creare un regno di Germania. Nel 911 uno di questi
duchi viene eletto re di Germania di comune consenso, per succedere all’ultimo sovrano di
dinastia carolingia. Si definisce quindi una nuova prospettiva.
Il regno di Germania continua, ma come libera organizzazione di volontà politiche dei 4 ducati
che al loro interno trovano un nuovo re. Siamo all’origine di una formazione politica che darà
luogo alla formazione di una nazione tedesca. Il grande problema del re appena eletto è quello
ereditato: da un lato creare un apparato di potere incisivo in tutto il regno, e dall’altro gestire le
invasioni degli Ungari dalla pianura Pannonica.
Il regno di Corrado dura dal 911 al 918 ed è caratterizzato da conflitti con gli stessi duchi che lo
avevano eletto. Corrado individua nel duca di Sassonia la persona più idonea a raccogliere la carica
regia, potendo fare riferimento al ducato più forte economicamente e militarmente: alla sua
morte viene eletto Enrico di Sassonia, detto Enrico l’Uccellatore. Con lui i rapporti di potere tra re
e duchi sono in un equilibrio difficile, sono sovranità concorrenti, e il potere del sovrano riposa
tanto sul consenso attribuitogli. Enrico I, comunque, riesce a riorganizzare la struttura regia su
nuove basi: sancisce una nuova tregua con gli Ungari, e ne approfitta per promuovere la
fortificazione di alcuni porti, e del territorio in Sassonia. La fortificazione è uno dei sistemi più
efficaci per contrastare i cavalieri predoni.

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Enrico I l’Uccellatore elabora anche un inizio di attività politica, che consiste nella proiezione verso
una serie di territori insediati da tribù slave. Stabilendo la soggezione su queste tribù, già Enrico I
cerca di consolidare una frontiera nei confronti delle popolazioni che possano provenire da nord.
Un’altra importante realizzazione di Enrico I è di assicurare la successione al figlio Ottone I. In
questo momento, con una successione già prevista, si consolida l’idea che il regno dovesse
continuare e che il potere regio dovesse rafforzarsi anche con trasmissioni ereditarie.
Siamo alla costituzione di una vera dinastia di Sassonia.

La dinastia di Sassonia
La dinastia di Sassonia si perpetua per quattro generazioni:
- Ottone I
- Ottone II
- Ottone III
- Enrico II
Si tratta di una dinastia che occupa dagli anni ‘30 del X secolo agli anni ‘20 dell’XI.
Ottone I è il sovrano più importante, fornisce una nuova sistemazione ai rapporti interni anche
nelle strutture organizzative, tra il re e i duchi e tra il re e il regno, e avvia la costruzione di una
vasta area di egemonia che si estende sulla Boemia, sull’Italia settentrionale, nel mondo
scandinavo e sulle popolazioni slave.
Ottone I persegue l’obiettivo della fondazione dell’impero, precorsa e resa significativa da una
preparazione di dominio e dall’influenza del regno di Germania sulle strutture politiche che si
estendono fuori dai confini. Inizialmente anche Ottone I deve affrontare il problema degli Ungari,
ma si predispone con misure organizzative dei territori. Anche Ottone I ha una forte politica di
presenza sui territori di insediamento slavo, e trasforma un semplice controllo nella costruzione di
marche, distretti organizzati con funzioni militari in questa zona di confine.
Le marche vengono strutturate sia sotto il profilo del controllo e della difesa del territorio, sia
sotto il profilo ecclesiastico, perché viene instaurato un processo di evangelizzazione realizzato
con la costituzione di sedi vescovili. L’evangelizzazione non viene più portata avanti da monaci
missionari, ma si organizzano strutture istituzionali forti e consolidate, che vengono create nei
territori di confine per evangelizzare. È importante la costituzione di un centro di irraggiamento e
la promozione culturale a Magdeburgo. Tra le espressioni più importanti di questa attenzione ai
territori confinanti a oriente, ci sono i rapporti con la Boemia, ducato slavo retto dal duca
Boleslao, che viene sottoposto a una sorta di egemonia tedesca che fa sì che la Boemia sia inserita
dentro l’impero ottoniano. La sottomissione tra principi faceva sì che il duca di Boemia fosse
subordinato anche dal punto di vista vassallatico al re di Germania.
Ricordiamo anche gli interventi in Italia: nel 951 Ottone I interviene in Italia per fare giustizia a una
questione intricata. Nel 951 un grande signore italiano, Berengario, Marchese di Ivrea, si
impadronisce della corona d’Italia, un regno con capacità politiche labili, ma esisteva come titolo
e come ambito tendenziale di sovranità, e per apparati burocratici e amministrativi. Non era
indifferente potersi fregiare del titolo di re d’Italia. Berengario, però, aveva stretto un patto
vassallatico con Ottone I per questioni interne, e la sua promozione a re senza il consenso
preventivo del signore, essendo in rapporto vassallatico con Ottone I, viene tollerata male da
quest’ultimo, anche perché Berengario ha dei nemici interni. Berengario si era fatto dei nemici
interni perché aveva imprigionato la vedova del precedente re di Italia, la principessa borgognona
Adelaide, che aveva chiesto di essere soccorsa al re di Germania. Ragioni politiche e romanzesche,
provocano l’intervento di Ottone I in Italia a seguito del quale Berengario è deposto e Ottone I
assume la corona del regno di Italia, facendo rivivere l’antica tradizione del regno longobardo.
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Nel 951 abbiamo un re di Germania che è riuscito a regolare, anche se attraverso lotte continue, i
rapporti con i duchi nel regno. Il regno di Ottone I è caratterizzato dalle rivolte dei duchi, dei
famigliari e dei figli, che temono di non avere una quota di potere. A causa delle rivolte e delle
alleanze tra duchi, l’interno del regno continua a essere un’area difficile per l’autorità regia,
nonostante Ottone I sia un sovrano energico e abbia molte risorse per farsi valere. Spesso lui ha
reagito alle rivolte sostituendo il duca con persone della sua famiglia o di fiducia, ecco perché il
potere di Ottone nel regno è piuttosto assestato; esso esercita l’egemonia su Boemia, ha
strutturato delle marche ai confini con popoli slavi, diventa re dei longobardi in Italia, e la sua
figura diventa di portata europea.
Nel 955 riesce, con una battaglia campale, ad avere ragione di una grande scorreria di ungari. Si
tratta di una battaglia essenziale per bloccarli definitivamente, e inizia il percorso di stabilizzazione
definitiva di questi popoli in Ungheria. Questa vittoria è importante anche perché, essendo stata
conseguita da un sovrano che aveva già maturato la fisionomia di sovrano di più regni, consolida la
particolare autorevolezza della persona di Ottone I e lo candida alla dignità imperiale. Esiste una
tradizione secondo la quale l’esercito stesso avrebbe proclamato Ottone imperatore, anche se
questa leggenda è discutibile perché c’era una tradizione già consolidata secondo la quale l’impero
si poteva ricevere solo a Roma, e attraverso la cerimonia di unzione, ossia il conferimento di
sacramento e incoronazione da parte del papa. L’acclamazione a imperatore sul campo di battaglia
non aveva nessuna tradizione, ma significa che i ceti egemoni tedeschi ritenevano di avere una
sorta di disponibilità del potere imperiale e riconoscevano in Ottone una qualità imperiale.

La promozione di Ottone I all’impero


Alcuni anni dopo la battaglia della Lek, Ottone I è chiamato a Roma dal papa Giovanni XII, che ha
problemi di sicurezza interni e chiede aiuto e protezione a questo potente sovrano. In
quell’occasione Ottone arriva a Roma, accorda al papa la protezione richiesta e viene incoronato
imperatore. Nella slide si vede la corona dell’impero: la corona di Ottone I, anche se difficile dire
se sia stata davvero usata per l’incoronazione romana, ha un significato importante come oggetto,
ma anche per i numerosi significati simbolici. La corona, infatti, per la sua forma e le sue
decorazioni, ha un forte significato simbolico: l’arco che l’attraversa longitudinalmente era fatto
così perché sotto la corona il sovrano indossava una sorta di mitra, un berretto a due corni che
dovevano spuntare ai lati della cresta trasversale, e venivano usati nella vestizione imperiale in
memoria del grande sacerdote come era ricordato nel vecchio testamento. La corona
dell’imperatore si presenta con una fisionomia simbolicamente comparabile a quella del grande
sacerdote di Israele: un’altra similitudine sta nel numero di pietre preziose che ricopre le placche,
12 come le tribù di Israele. I sovrani antichi sono Davide e Salomone, che hanno condotto il popolo
eletto nella via della salvezza voluta da dio. Una placca, inoltre, porta l’iscrizione “per me reges
regnant”: i re dominano per mia investitura, ed è dio che parla. Ottone si presenta come
portatore di una qualità di sovranità sacerdotale ispirata da tanti esempi biblici e dall’esempio
del grande sacerdote della Bibbia, in particolare dal popolo di Isralele. La stessa forma della corona
dovrebbe raffigurare la convivenza della tradizione di Israele con quella di Roma.
Ottone I aveva un’idea dell’impero complessa e carica di valori religiosi, fortemente orientata
verso l’idea che il potere imperiale ha forti connotazioni cristiane e di capacità di azione
all’interno della cristianità, e una forte consacrazione e funzione anche in senso religioso. Si tratta
di una caratteristica accentuata e nuova anche rispetto alla tradizione carolingia. L’idea
sacerdotale dell’imperatore è una caratteristica dell’elaborazione sassone.

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L’organizzazione istituzionale dell’impero
L’idea sacerdotale dell’imperatore ha un parallelo e una ripercussione anche nell’organizzazione
istituzionale dell’impero. Abbiamo detto che Ottone I ha promosso la realizzazione di vescovati
che dovevano fare la conversione e il controllo religioso delle popolazioni di confine e slave, ma
anche all’interno dell’impero Ottone si basa molto sulle istituzioni ecclesiastiche. Ottone, tuttavia,
non si basa esclusivamente sulla chiesa, ma anche sui duchi e sulle nuove marche, e ha un forte
apparato militare; si fonda, tuttavia, anche sul concorso delle istituzioni ecclesiastiche. Attribuisce
ai grandi dignitari della chiesa, vescovi e abati, da un lato benefici, possedimenti e beni fondiari, e
regalie: la capacità di esercitare le funzioni del governo sovrano nei territori delle rispettive
circoscrizioni. Vescovi e abati vengono incaricati di assicurare il controllo giustizia e la leva
militare nei loro territori, e di concorrere con il sovrano alla gestione politica e amministrativa
del regno. Si tratta del modello di funzionario ecclesiastico e statale che viene riassunto nella
formula del vescovo conte, un modello si attua in alcuni casi, ma è universale che i grandi signori
ecclesiastici diventano espressione della organizzazione politica e istituzionale del potere regio e
imperiale. Questo sistema è chiamato lo stato-chiesa: lo stato fa parte di questo complesso di
organizzazione politica di tutti i cristiani, che ricadono sotto il dominio diretto dell’imperatore.
Il potere di Ottone I ha una base politico militare ma si configura come organizzazione generale
di cristianità in cui la chiesa è coinvolta e ha fini di salvezza, di ordine, di retto governo basato su
ideali religiosi. L’impero non prevede, con Ottone I, la creazione di nuove forme istituzionali, ma
salva le strutture istituzionali già esistenti attraverso la tradizione carolingia e le tradizioni locali,
si coordina con essi attraverso relazioni di tipo vassallatico, e crea questa rete unitaria di istituzioni
ecclesiastiche che vengono chiamate a collaborare nell’organizzazione dell’impero.
Sotto l’egida di Ottone si realizza in Germania, specialmente in Sassonia, una rinascita della
cultura, una nuova capacità di educazione intellettuale e spiritate di cui beneficia l’alto clero.

L’ideologia dell’impero
I suoi successori, Ottone II e Ottone III, sviluppano molto l’ideologia dell’impero, e sono due
sovrani che non fanno altro che conservare, senza riuscirci perfettamente, quello che ha costruito
Ottone I. Elaborano il concetto dell’impero in una crescente sacralizzazione del potere e della
stessa persona dell’imperatore. La slide mostra una miniatura con la figura dell’imperatore
intronizzato in una mandorla con la persona divisa da un panno, raffigurazione simbolica del cielo.
La parte inferiore dell’imperatore riposa sul trono e sulla terra, la parte superiore riceve dalla
mano di dio la consacrazione personale, che ripete consacrazione ottenuta dal papa. L’imperatore,
quindi, è un colosso che si erge tra terra e cielo. Da questa immagine si evince una forte
consacrazione del potere imperiale.

L’integrazione dei popoli periferici


Cosa resta di questa esperienza ottoniana? Resta l’integrazione delle popolazioni periferiche
slave, boeme, ungheresi, e italiane. L’Italia, soprattutto quella meridionale, è un settore di
attenzione di Ottone I e II, e la parte meridionale rischiava di andare perduta per l’occidente
perché l’espansione bizantina e musulmana rischiavano di inglobare quei territori in un contesto
mediterraneo.
Ottone I, invece, vuole riannettere quei territori al contesto dell’impero. Si tratta di un forte lascito
dell’esperienza imperiale tedesca, che ha esteso i confini del mondo carolingio verso l’oriente
slavo e il mediterraneo bizantino e musulmano.

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La rinascita del Mille – Lez. 17
Gli argomenti:
- L’espansione demografica
- Lo sviluppo dell’agricoltura
- L’accumulazione signorile
- La Manifattura
- Origini della “rivoluzione commerciale”
- Rinascita delle città
- Le nuove cittadinanze

L’espansione demografica
L’espansione demografica è l’argomento più caratteristico di una situazione che nel suo insieme si
può configurare come situazione nuova, e che cogliamo con concretezza tra X e XI secolo, quando
la popolazione in occidente aumenta. Non è, tuttavia, facile dire le misure del fenomeno perché
non abbiamo censimenti, e non esisteva neppure l’interesse ad avere un numero esatto di persone
del regno.
Di questo fenomeno abbiamo tracce indirette: sappiamo che la superficie coltivata è in
espansione perché si cerca di allargare il territorio agrario, e questo avviene forse per maggiore
necessità di sfamare persone. I dati numerici non sono sistematici, ma ci mostrano, per esempio,
che su un podere contadino, un manso, vivono più persone di quante non ci vivessero
precedentemente. Si rileva una tendenza alla crescita delle persone che vivono sulla stessa
estensione di terreno.
Si tratta di tracce, in generale, che danno l’idea di una maggiore frequenza di persone anche nelle
città tra X e XI secolo: queste tracce sono riferite a una maggiore mobilità delle persone, e alla
creazione di insediamenti rurali nuovi anche nelle forme del castello.
La molteplicità di castelli fa pensare che ci sia una maggiore quantità di persone a popolare questi
centri di organizzazione e controllo. Le tracce indirette convergono nel suggerire una crescita della
popolazione su tutto il territorio europeo.
La crescita che percepiamo dal X secolo si conferma e diventa sempre più evidente nel l’XI, XII, e
XIII secolo: si sono tentate valutazioni che leggerebbero, a seconda delle diverse regioni, il
raddoppio o la triplicazione della popolazione europea. Ci si attesta, in questa fase, sull’ambito di
alcune decine di milioni di abitanti in Europa. Si tratta di un trend significativo, è l’aspetto più
caratteristico e fondamentale che consente di impostare il discorso di una rinascita del Mille, che è
un movimento che comincia già prima dell’XI secolo, e nell’XI secolo prende una fisionomia più
marcata e una visibilità maggiore: questa tendenza, tuttavia, è cominciata precedentemente, forse
già dal IX secolo.
Cosa ha reso possibile la crescita progressiva ma continua della popolazione europea? È difficile
dirlo, perché si tratta di fenomeni in gran parte imperscrutabili nelle loro cause, anche se ne sono
suggerite molte, come il venire meno di condizioni che impedivano la crescita, l’instabilità, il
pericolo, l’incertezza, la violenza delle relazioni sociali. Queste situazioni che sono venute meno
erano caratteristiche della decadenza dell’impero romano, per esempio le invasioni barbariche e la
seconda ondata delle incursioni nell’impero carolingio. Si è anche tentata una spiegazione in
termini di mutamento climatico che avrebbe favorito la crescita della specie umana. Possiamo
constatare il fenomeno, ma individuare la causa prima è molto difficile.

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Lo sviluppo dell’agricoltura
L’espansione demografica è considerata alla radice di un’altra grande trasformazione, lo sviluppo
dell’agricoltura, che conosciamo da indizi indiretti concomitanti.
Una delle tracce indirette è quella dell’aumento della superficie di terreno coltivato: si procede
alla conquista di terre nuove e vi è un’erosione del bosco, e una bonifica di terreni svantaggiati e
paludosi. Questo significa che l’agricoltura si espande e c’è una maggiore produzione.
Intorno al X e XI secolo si diffondono miglioramenti nell’attrezzatura e nelle tecniche di
coltivazione, per esempio un sistema di rotazione triennale dei campi, che prevede che su uno
stesso campo si avvicendino, in un ciclo di tre anni, tre tipi di cultura: un anno cereali invernali, un
anno cereali primaverili, un anno maggese. Durante il ciclo del maggese è possibile ottenere la
ricostituzione della fertilità del suolo. Il sistema era noto anche prima, ma si diffonde nel X e XI
secolo, soprattutto in quei territori che lo consentono: in Italia, per esempio, i suoli agrari non
sono favorevoli a questo tipo di avvicendamento. Sappiamo che vengono introdotti miglioramenti
nelle attrezzature, nell’uso e nella configurazione dell’aratro che, dove i suoli lo permettono,
diventa un aratro pesante che consente un migliore rinnovamento e una maggiore fertilità del
terreno. In quest’epoca sappiamo che queste innovazioni si diffondono, e pensiamo che
l’agricoltura si organizzi.
Le stesse popolazioni rurali si concentrano e organizzano gli insediamenti rurali in maniera più
razionale, per migliorare la produttività attraverso la specializzazione delle colture che fa
riferimento, magari, anche a un castello. Si annoverano modifiche tecniche, un’estensione
dell’area coltivata, la razionalizzazione delle colture: questi cambiamenti fanno pensare a uno
sviluppo dell’agricoltura nei termini di miglioramento della produzione e di una maggior quantità
di prodotto, che deve bastare all’aumentato numero di bocche, e che però mette in modo un
cambiamento di qualità nell’organizzazione della produzione agraria. L’obiettivo diventa sfamare
un maggior numero di bocche e produrre dei surplus che non vengono consumati. Una slide
mostra una formella che evoca il lavoro dei contadini.

L’accumulazione signorile
La crescita della popolazione e il miglioramento della produzione agraria avvengono in contesto di
signorilizzazione della società. In questo contesto si diffondono le signorie, sotto il controllo di
signori dalla fisionomia militare che possiedono una fortezza o un castello, che controllano tutte
le persone che abitano il territorio controllato dalla fortezza. I poteri si trasferiscono a questi
signori che sono in grado di esercitare il banno.
Si tratta di un sistema istituzionale molto fluido, caratterizzato dalla signoria bannale, che esercita
il banno. Tra i diritti di banno vi è la caratteristica del prelievo di quote di lavoro, prodotto, o censi
e tributi a scapito dei contadini. I contadini devono versare al signore locale un reddito, che può
essere costituito da un surplus o da una trasformazione del surplus in denaro attraverso la vendita
sul mercato. Si consolida un principio di prelievo signorile diffuso, che copre tutta la popolazione,
localmente determinato e fondato sulla capacità di costringere a cedere una parte dei surplus
della produzione al signore locale, che in cambio esercita protezione. Si consolida, quindi un
sistema di protezione in cambio di tributi.
L’accumulazione signorile nasce dal fatto che uno stesso signore raccoglie introiti da più
coltivatori, che gli consentono di avere qualcosa in più da mandare sul mercato, e trasformare in
reddito monetario, e quindi investire. I signori vivono e accumulano parti di ricchezza a spese dei
produttori, ma questa ricchezza non resta improduttiva, perché viene investita in consumi che

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non sono solo alimentari di sopravvivenza, ma anche di ostentazione, come l’acquisto di beni di
lusso, o la costruzione di edifici, per esempio i castelli stessi.
I castelli prendono una fisionomia più complessa, a partire dall’XI secolo inizia a nascere
l’architettura militare in pietra, che richiede tecniche e competenze costruttive notevoli. I signori
spendono una parte dei proventi signorili nella fondazione di chiese e monasteri, che diventano
della loro famiglia e esprimono il bisogno di preghiera dei signori, e di intercessione e espiazione di
peccati commessi in una vita di violenze, soprusi e ingiustizie. Questa vita militare signorile in
qualche misura viene compensata dalla protezione di istituti ecclesiastici dove si prega dio anche
per il signore locale. Con la promozione di costruzioni, l’accumulazione signorile diventa
costruttiva e produttiva.
I signori cercano di organizzare il movimento in parte spontaneo di riaggregazione delle
popolazioni contadine, con la riappropriazione di territori da coltivare. Il movimento è in parte
organizzato dai signori, che promuovono bonifiche, costruzione di ponti, mercati.
Contemporaneamente all’apertura di mercati, i signori creano una zecca locale per coniare la
moneta utile per il mercato. I signori promuovono la costruzione dei mulini, e si diffonde il mulino
ad acqua. L’accumulazione signorile è un elemento importante, da un lato opera come una forma
di prelievo sul prodotto primario dei contadini, e ha degli aspetti oppressivi e negativi, dall’altro
lato significa la costituzione di un ceto che ha dei bisogni complessi. Questo nuovo ceto
promuove l’investimento di una parte dei proventi in opere e iniziative che ritornano a vantaggio
degli stessi ceti rurali: questi proventi si trasformano in attrezzature del territorio, nel
coordinamento delle persone e delle strutture organizzative.

La Manifattura
In questo contesto decolla tra X e XI secolo la manifattura, che riceve un incremento. Un esempio
di questa tendenza sono le costruzioni: vi è una maggior richiesta di artigianato edilizio connesso
con le tecniche di costruzione.
Uno dei beni più essenziali, inoltre, è quello dei tessuti. Nel sistema carolingio e post carolingio, le
diverse fasi della produzione dei tessuti (per esempio la filatura e la tessitura) venivano fatte in
officine collegate ai centri signorili nelle grandi proprietà fondiarie, dove si tendeva a produrre
quasi tutto. Dentro la proprietà fondiaria si producevano sia i beni primari agricoli, sia i beni di
natura artigianale, come tessuti e metallurgia, all’interno di officine localizzate nella signoria. Con
la crescita della popolazione e la razionalizzazione della produzione agricola, si inizia a scorporare
la produzione agraria da quella artigianale, soprattutto quando questi beni hanno una larga
richiesta. Continua una produzione domestica, ma nasce anche una produzione specializzata
concentrata in alcune sedi, non più connesse con le sedi rurali e con i luoghi di produzione agraria:
si tratta di luoghi di produzione manifatturiera specializzata. Alcuni centri di produzione
manifatturiera specializzata si trovano nelle Fiandre, per esempio, e in Lombardia, dove la
fabbricazione di panni si concentra nella Pianura Padana. In quest’area si producono non solo
panni, ma ci sono centri dedicati alla metallurgia. I prodotti metallurgici sono di estrema
importanza sia per l’attività agraria sia per quella militare, e si iniziano a creare specializzazioni
locali. Quando si specializza la produzione separandola dai beni agrari, nasce il problema dello
scambio di un tipo di beni con gli altri: prima lo scambio era interno, ora anche esterno.
Nasce quindi il bisogno dello scambio, la necessità del mercato, che era presupposta anche dalla
stessa accumulazione signorile. I signori avevano richieste di prodotti di lusso che non si trovavano
sempre nella regione in cui i signori si trovavano a vivere.

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Origini della “rivoluzione commerciale”
È questo il contesto della cosiddetta rivoluzione commerciale del medioevo, che significa che a
partire dall’XI secolo, ma più marcatamente nel XII e XIII secolo, l’economia europea si riorganizza
in funzione del mercato. L’attività commerciale è trainante per la società europea, e si tratta della
prima rivoluzione che caratterizza lo sviluppo economico europeo (seguita da quella industriale, e
da quella informatica/post-industriale). La rivoluzione commerciale è la prima trasformazione
strutturale dell’economia europea: le sue origini potrebbero essere collocate nel momento che
stiamo studiando, tra il X e l’XI secolo, ma il fenomeno esplode nel XIII secolo.
I movimenti commerciali esistevano anche precedentemente, esistono a ridosso dell’Europa
continentale già a partire dall’VIII secolo due aree di movimenti commerciali: una a nord dal mare
del nord al Mar Baltico, e dalla Russia al Mar Nero e Caspio, e poi Costantinopoli e la Persia. È la
linea di interesse egemonizzata dal mondo vichingo, e che mette in comunicazione il nord
scandinavo, l’oriente bizantino, la Fiandra e l’Inghilterra: questa linea si espande, e nel IX, X, e
ancora nell’XI secolo funziona. Esisteva anche, inoltre, un bacino mediterraneo controllato dal
mondo islamico ma al quale partecipava anche l’Italia. Era un bacino già attivo nell’VIII secolo, che
si consolida nel IX e X.
Sono due movimenti commerciali destinati al commercio di merci pregiate, poche merci ma
preziose. In questa fase i due bacini commerciali in questione hanno un ruolo importante nelle
origini della rivoluzione commerciale, alimentata dalla crescita degli scambi all’interno del
movimento europeo. La rivoluzione commerciale ha origine nell’aumentata produzione agraria e
nella specializzazione manifatturiera, che consente di scambiare la manifattura con i servizi, o
con la produzione agraria con la mediazione del denaro. Il denaro torna a circolare in misura
molto intensa in Europa, e una delle ragioni del successo dell’impero sassone riposa nella grande
disponibilità di argento e di moneta d’argento che hanno i sovrani tedeschi e sassoni; è durante il
dominio della dinastia sassone che vengono valorizzate le miniere d’argento che consentono la
coniazione di denari d’argento di buona qualità. Questi denari, a loro volta, alimentano la
circolazione commerciale che si estende fino al baltico.
Su questa rinascita dello scambio interno si innestano quei due bacini commerciali, settentrionale
e mediterraneo, che vengono potenziati. La creazione di mercato, la diffusione della moneta e
l’aumento di prodotti di lusso stimola la creazione di gruppi che si specializzano nel trasporto di
merci di lusso, e anche di merci di un minor livello di prestigio, ma essenziali come i prodotti
industriali. Amalfi, per esempio, si specializza nel trasporto tra oriente e occidente, insieme con
Venezia: queste città riescono a innestare la loro attività sul rifiorire dei mercati, che è
determinato dalla crescita della popolazione, della disponibilità agraria e dalla accresciuta
domanda signorile.
I generi che vengono commercializzati, anche nel nord, sono oreficerie, tessuti di lusso e spezie:
queste ultime non sono solo condimenti alimentari, ma hanno anche una funzione in medicina o
nella produzione industriale.

Rinascita delle città


Le città hanno un ruolo particolare. La slide mostra una miniatura con operai al lavoro, che
testimonia il grande dinamismo nelle città sotto forma di costruzione di edifici religiosi,
fortificazioni, restauro delle mura, assetto dell’infrastruttura urbana: le città diventano i luoghi
preferenziali del mercato perché c’è l’autorità religiosa o civile che diventa un punto di
riferimento. Inoltre esiste sempre un ceto di fornitori di servizi, per esempio giuridici, che ha
bisogno del mercato per avere quei beni che non produce direttamente, quando aumenta la
possibilità di ottenere prodotti primari contro i servizi. Dall’XI secolo le città hanno una crescita
notevole, inizialmente in alcune zone d’Europa come l’Italia settentrionale e la Fiandra, dove già la
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tradizione era forte, e poi si moltiplicano intorno a un monastero, a un mercato o a un castello, e
in sostanza si costruiscono le possibilità di aggregare persone con diverse specializzazioni dando
vita alle città.

Le nuove cittadinanze
Con le città nascono nuovi corpi, nuove categorie di persone.

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Lez. 18 - La chiesa nell’XI secolo
Gli argomenti:
- La chiesa e il mondo dei laici
- Il problema dei costumi del clero
- La rivendicazione della libertà della chiesa
- Il conflitto del papato con l’impero
- Le conseguenze del conflitto

La chiesa e il mondo dei laici


Per affrontare questo argomento si deve partire dal X secolo, tenendo poi l’XI secolo come periodo
coerente. In questa fase c’è una stretta compenetrazione di sentimenti e di istituzioni. Il modello
caratteristico è quello della chiesa privata: grandi o piccoli signori del mondo feudale, militare e
politico erano soliti fondare chiese nei loro possessi, signorie e castelli, perché erano cristiani e
perché volevano che la loro residenza, signoria o contea fossero serviti da una chiesa specialmente
legata all’ambito di giurisdizione del signore e alla sua stessa residenza. In questo modo i signori si
assicuravano i servizi di un clero addetto a pregare per loro, la loro famiglia, gli antenati e la
continuità della loro discendenza.
Il signore che fondava una chiesa nei suoi domini aveva diversi diritti su questa chiesa, cioè
conservava il diritto di nominare il prete e di orientare la nomina dell’abate in caso di monastero.
Patronato laico sulla chiesa fondata dal signore. Si poteva parlare di chiese o monasteri privati: il
signore si assumeva l’incarico e il dovere di assicurare la sussistenza del prete, della comunità
monastica e dell’ente assicurandogli rendite, contadini dipendenti, e difesa militare (cosa
importante in un momento così turbolento). Si trattava, insomma, di un dovere ed un esercizio di
tutela e sostentamento.
Questa pratica non viene avvertita come scandalosa, è uno dei segni della devozione laica nel X e
XI secolo, ma certamente è un sistema di commistione tra le ragioni del potere laico e le funzioni
del ministero ecclesiastico, caratteristico e ambiguo. Si ha una compresenza di ragioni di potere
religioso e laico, e vi sono anche altri aspetti di commistione, di collaborazione, e di
compenetrazione di ragioni. Un esempio è la chiesa di impero, sotto la dinastia ottoniana di
Sassonia; l’impero organizza un sistema di relazioni privilegiate tra la potestà imperiale e la rete
dei vescovati nella Germania e nell’Italia, per cui i vescovi e gli arcivescovi diventano collaboratori
primari dell’imperatore ed esercitano contemporaneamente ministero pastorale e rappresentanti
governo imperiale. Per questo i vescovi sono scelti con cura, sono di alto livello politico e
intellettuale, e sono di alto livello anche dal punto di vista dell’organizzazione e della
collaborazione con l’amministrazione imperiale. I vescovi devono assicurare la leva militare e
portare in guerra gli uomini dovuti da ciascuno di loro come rappresentanti dell’impero. Tra il X e
l’XI secolo le istituzioni ecclesiastiche rappresentano un oggetto appetibile per i membri
dell’aristocrazia e della nobiltà, perché un vescovo è anche un grande signore, alla pari con
principi laici e i grandi castellani: un vescovo può avere funzioni pubbliche, un enorme patrimonio
e un seguito di guerrieri e cavalieri che ne assicurano la difesa delle ragioni e dei diritti del
prestigio. Tra il X e l’XI secolo le istituzioni ecclesiastiche e quelle laiche sono commiste,
collaborano e risentono di una feudalizzazione della chiesa sotto l’aspetto del controllo laico delle
istituzioni, del rapporto con l’impero ai fini dell’amministrazione dell’apparato statale, e per
questa aspirazione da parte dei membri delle famiglie aristocratiche a conseguire all’interno della
chiesa posti di prestigio, potere e ricchezza che configurano uno stato privilegiato, ma allo stesso
tempo indeboliscono le vocazioni spirituali delle persone che conseguono queste posizioni.

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Il problema dei costumi del clero
Il problema consiste nel fatto che il clero, anche se apparteneva a famiglie aristocratiche e veniva
scelto con le migliori intenzioni (spesso si trattava di persone con grande preparazione e coscienza
ecclesiastica), tuttavia vive seguendo modi di vita simili a quelli dell’aristocrazia laica e militare. Si
veda il caso dei vescovi di impero, frutto di una preparazione ecclesiastica importante ottenuta
nelle sedi di educazione degli ecclesiastici: essi vengono scelti in base alla loro preparazione e alla
loro capacità di guida spirituale in Germania. Ci sono, però, anche vescovi e abati che considerano
l’abbazia una rendita con la quale fare vita da grande signore dedito alla caccia e alla guerra, e ad
esercitare signoria sulle popolazioni contadine, anche in modo violento.
Non sempre i costumi del clero corrispondono a quelli di una guida spirituale: la società si divide
in una parte militare e una parte ecclesiastica, ma il mondo è dominato dai valori di una società in
profonda trasformazione in cui la violenza e la sopraffazione sono comuni a tutti quelli che
vogliono appartenere a un ceto dominante.
Già nel corso del X secolo prendono piede movimenti di affermazione della vocazione spirituale
di coloro che abbracciano una carriera ecclesiastica: è il caso del movimento cluniacense
all’interno dell’ordine benedettino, che vuole ristabilire specificità, purezza e austerità
nell’osservazione della regola monastica. Il Monastero di Cluny viene fondato dal duca
d’Aquitania come monastero privato, ma stabilisce alcuni privilegi istituzionali, come l’esenzione
dal controllo della famiglia stessa del fondatore, una libertà accordata dal fondatore al monastero,
e garantita dal fatto che il duca pone il monastero sotto il patronato di Pietro a Paolo, e quindi
dona il monastero al papato, con la garanzia spirituale e giurisdizionale del papato, per liberarlo
dall’influenza giurisdizionale del vescovo competente. I vescovi sono feudalizzati, possono
ragionare come grandi signori e sostituire un dominio non proprio spirituale al dominio di cui si sta
privando il fondatore del monastero. Il monastero di Cluny in cento anni diventa un punto di
riforma della cristianità occidentale, e la riforma si diffonde ad altri monasteri e ottiene di potere
organizzare tutti quelli aderenti in una sorta di grande congregazione che si estende a tutte le
provincie dell’occidente cristiano, dalla Francia alla Germania, in Italia, in Spagna: si tratta di
un’enorme congregazione di monasteri, tutti dipendenti a livello di organizzazione e giurisdizione
dall’abate di Cluny.
In cosa consiste la riforma della vita monastica? Affermazione e pratica di costumi monastici
austeri, rinuncia alla volontà di potenza militare, alla volontà di dominio economico, e rinuncia
anche alla vita gradevole, e castità dei monaci. I monaci sono come angeli, due volte: perché casti
e perché, come gli angeli, sono impegnati nella celebrazione continua delle lodi di dio. La
celebrazione continua dell’ufficio divino e il canto continuo dei salmi sono considerate la forma
più alta di preghiera. I monaci pregano per tutta la cristianità, continuamente, in forme liturgiche
di grande splendore. La slide mostra un’incisione settecentesca dell’abbazia. L’apparato liturgico si
esprimeva sia nell’architettura abbaziale sia nella liturgia. Le cerimonie dovevano cadere a
vantaggio di tutta l’umanità, e la ricorrenza del 2 novembre è stata inventata dai monaci di Cluny,
che si assumevano l’incarico di pregare per tutta la cristianità, e per i morti di tuta la cristianità. La
funzione ecclesiastica e religiosa è distinta dalle funzioni del secolo, ma non opposta: i monaci
sono stati in ottimi rapporti con gli imperatori e con i poteri laici, ma c’è l’idea di una
separatezza dell’ordine monastico e delle funzioni ecclesiastiche. Si aspira alla separazione e alla
distinzione tra le funzioni e il personale della chiesa dal mondo dei laici. Ci sono anche altri
movimenti di riforma.

2
Vi sono anche altri monasteri che, senza essere legati alla riforma cluniacense, sperimentano una
riforma, e anche in ambiente episcopale si delineano istanze verso il miglioramento e la
spiritualizzazione dei costumi del clero.

La rivendicazione della libertà della chiesa


Il problema dei costumi del clero e del rapporto tra mondo il laico e quello ecclesiastico coinvolge
anche l’impero e lo stesso papato. Gli imperatori di Germania si sentono responsabili per lo stato
delle chiese, in quanto l’impero è un’istituzione politico militare, ma anche religiosa e spirituale.
Nella concezione della dinastia sassone e poi salica, il potere imperiale ha una missione divina da
realizzare nel mondo, ossia di assicurare l’ordine nel mondo, la pace della chiesa e il suo retto
funzionamento, perché la cristianità guidata dall’imperatore possa percorrere il suo cammino di
salvezza nel mondo.
La slide mostra l’allegoria dell’imperatore Enrico II, che incarna un potere che si fonda sulla spada
e sullo scettro. Queste due insegne sono santificate e giungono in paradiso, e il fondamento
dell’autorità dell’imperatore è l’incoronazione che Cristo stesso fa sul suo capo. Ecco perché nel
1046 avviene un evento straordinario, si compie un passo dell’impero nei confronti della
liberazione del papato dalle influenze del mondo laico. A Roma ci sono tre papi in conflitto l’uno
con gli altri, eletti in condizioni particolari (alcuni avevano anche comprato il papato). Si tratta di
una situazione scandalosa, la cui radice è vista nell’influenza laica sulla massima istituzione della
cristianità. Enrico III interviene e, con l’autorità imperiale, depone i tre papi e prende l’iniziativa di
farne costituire un altro, nuovo e tedesco, Clemente II, che è un cluniacense. L’impero, quindi,
lavora alla purificazione della chiesa dal vertice, nella persona del papa. Per dieci anni si
succedono un certo numero di papi, tutti eletti sotto il controllo dell’imperatore Enrico III, che si è
anche fatto attribuire il titolo di Patrizio dei Romani, che gli permettere di avere voce in capitolo
nell’elezione. Tutti i papi tedeschi sono sensibili ai movimenti cluniacensi, e lavorano a costituire
un gruppo di ecclesiastici che impostano il nuovo problema di dare un assetto consolidato, e di
affrontare i problemi posti dai cattivi costumi del clero e dalla commistione delle ragioni
ecclesiastiche con quelle laiche.
Il problema dei costumi del clero si poneva anche nelle città, in cui la nuova popolazione sta
prendendo forza e coscienza di sé, la stessa popolazione che sostiene la costruzione delle
cattedrali romaniche. Questa nuova popolazione non solo fa costruire grandi chiese, ma chiede
anche di avere ecclesiastici che siano adeguati alla santificazione della città, e ad assicurare ai
cittadini la corretta vita ecclesiastica, soprattutto nell’amministrazione di sacramenti validi. I
monaci devono praticare l’ascesi a favore dell’umanità, ma anche per impartire i sacramenti,
fondamentali per conseguire la grazia e salvarsi. Nasce, presso queste popolazioni cittadine, il
dibattito sulla validità dei sacramenti: un ecclesiastico indegno, che pratichi vita mondana, può
conferire sacramenti validi o no? Oltretutto, a causa dei vantaggi concreti associati allo stato
ecclesiastico, si era diffusa la pratica di acquistare cariche presso il clero, come il vescovato. A
Milano le cariche del clero erano per certo oggetto di compravendita, con regolare tariffario.
Questo tipo di accesso alle funzioni sacerdotali crea ecclesiastici in grado di impartire sacramenti
validi, oppure no? Si inizia a concepire questa compravendita come una forma di pratica ereticale,
che prende il nome di simonia. Il gruppo di ecclesiastici che, sotto l’egida dell’impero, si riunisce a
Roma e cerca di affrontare tutti i problemi, affronta anche quello della simonia, ossia degli
ecclesiastici che hanno avuto la carica con una transizione economica.
Il problema è quello dell’investitura laica dei vescovi e dei grandi ecclesiastici: fino ad allora
l’impero individuava le persone più idonee a diventare abati e vescovi e le investiva di funzioni
contemporaneamente laiche ed ecclesiastiche, connesse alla posizione. Si trattava, però,

3
dell’intromissione di un potere estraneo alla chiesa, e anche questo cominciava a essere avvertito
come un fatto illecito. Era percepito un innesto di ragioni non esclusivamente ecclesiastiche nella
vita della chiesa. Come comportarsi nei confronti del clero già insediato? Farli tutti deporre? Anche
gli stessi papi si sarebbero trovati in situazioni difficili: bisognava salvare l’esistente e fare però
ordine.
Il conflitto del papato con l’impero
Fino a due terzi dell’XI secolo si innesta anche il conflitto del papato con l’impero, quando diventa
papa uno che aveva una fortissima idea dell’autorità papale nella chiesa, Gregorio VII, nel 1073.
Con lui scoppia uno scandalo. Si tratta di una personalità fortissima, aggressiva e intransigente:
Gregorio VII era convinto che nell’autorità di San Pietro incarnata del papa ci fosse la soluzione a
tutti questi problemi, altre alla purificazione della società ecclesiastica, e attraverso di lui
passassero le linee direttrici per separare il mondo della chiesa e il mondo laico. L’aspirazione alla
libertà della chiesa diventa una lotta per espellere il mondo laico dall’organizzazione della vita
ecclesiastica.
Si verifica un conflitto con Enrico IV, una grande personalità, un forte temperamento e una forte
consapevolezza della tradizione dell’impero e dei significati spirituali del potere imperiale. Scoppia
un violentissimo conflitto quando Gregorio VII dichiara illecite le investiture laiche dei vescovi, e
Enrico IV depone il papa: il conflitto prende, allora, toni drammatici. Gregorio VII scomunica
l’imperatore e l’imperatore deve recarsi a cospetto del papa a Canossa per essere riammesso alla
comunione dei fedeli. La slide mostra il celebre episodio dell’imperatore davanti alla contessa
Matilde, patrocinato dall’abate di Cluny. Il perdono supplicato indebolisce il prestigio
dell’imperatore, ma non risolve nessun problema perché il conflitto riprende rapidamente.
In Germania viene eletto un re contro Enrico IV, Rodolfo di Svevia. Il conflitto tra Gregorio VII e
Enrico IV si protrae, e loro concludono la loro vita senza aver trovato una soluzione al problema.

Le conseguenze del conflitto


Il conflitto formalmente termina con il concordato di Worms nel 1122, tra papato e impero, che
stabilisce che le elezioni dei vescovi saranno libere e senza intromissione dei poteri laici, ma è
ammesso che il vescovo, una volta eletto, riceva anche l’investitura dei poteri che l’impero gli
vuole attribuire. Il sovrano di Germania avrà, nell’investitura dei poteri episcopale, una
precedenza in Germania, mentre in Italia viene prima consacrato il vescovo eletto, e poi l’impero
gli attribuisce le funzioni di governo.
Si separa effettivamente il mondo laico da quello ecclesiastico, l’impero perde il ruolo di centro
e vita della cristianità, e il corpo dei clerici si afferma come separato nella società.
È San Pietro che vince questo conflitto!

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Lez. 19 – Feudalità e cavalleria
Gli argomenti:
- Il mondo feudale nell’XI secolo
- La creazione dell’etica cavalleresca
- Le grandi imprese della cavalleria feudale:
o La riconquista spagnola
o La conquista normanna dell’Italia meridionale
o La conquista normanna in Inghilterra
o La prima crociata

Il mondo feudale nell’XI secolo


Nell’XI secolo il mondo dei titolari di autorità, come i titolari di funzioni pubbliche dell’ex impero
carolingio, oppure come le persone che hanno un’autorità grazie alla costruzione di un castello,
assume una forte caratterizzazione militare. Chiunque abbia un potere lo configura come un
guerriero, che esercita le arti delle armi nella maniera più efficace, cioè un cavaliere. I cavalieri
hanno la supremazia in questo periodo, e questo implica una posizione di superiorità e una
capacità di offesa maggiore, in cui l’urto del cavallo è un elemento di aggressione e forza. Il
guerriero è per antonomasia un cavaliere, e si configura come titolare e detentore di poteri e
autorità.
Si assiste a una moltiplicazione delle persone che esercitano poteri e confluiscono in questo
mondo di cavalieri e guerrieri: ci sono famiglie dei discendenti dei conti carolingi, o principi che si
sono costruiti sulle rovine del mondo carolingio. Il numero di persone che aspirano a una posizione
egemonica e che hanno una preparazione e una vocazione cavalleresca aumenta, così come il
numero di castellani, che costruiscono su una base di fatto situazioni di poteri, e anch’essi si
pongono come signori di castello, guerrieri e cavalieri. Si assiste anche alla crescita del numero di
persone che, attraverso la prestazione del servizio militare, cercano di fare fortuna, per esempio
entrando nel seguito di alcuni di questi signori, i quali hanno bisogno di guerrieri al loro seguito,
perché non possono combattere da soli ma devono garantire la difesa dalla loro autorità e dei loro
patrimoni con l’unico sistema che consente una garanzia, cioè la possibilità di guerreggiare.
La guerra è fondamentale per regolare i rapporti all’interno della società politica in un momento
in cui, con la crisi dell’impero carolingio e con la debolezza dell’istituzione regia, non c’è potere
statale in grado di intervenire nei conflitti tra le persone e di assicurare la giustizia in modo non
violento.
Il diritto alla violenza in Francia si diffonde nella società politica, nel senso del diritto di aggredire
e difendersi rispetto ai competitori: in una situazione giurisdizionale duttile ci sono poteri che si
creano, poteri che si dividono, gente nuova che aspira al potere. È una società dinamica, e il
dinamismo si spiega anche per l’espansione demografica, e la gente cresce. Si tratta di una società
dinamica, ma violenta e conflittuale al suo interno. I conflitti non si limitano all’interno della
società, ma anche all’esterno, al di fuori della società militare, dove esiste la società di contadini
nei confronti della quale la casta militare esercita un forte potere di controllo e di oppressione,
anche a fini economici.
Il fondamento delle risorse economiche di questi guerrieri è il prelievo che hanno sui contadini: a
questo si aggiungono, oltre al prelievo signorile, i vantaggi che vengono dalla guerra, che è anche
un investimento perché presenta la possibilità di ricchezza attraverso il bottino, i riscatti, i premi
per il servizio prestato ai signori attorno al quale si raggruppano i cavalieri.

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Questa società complicata, mobile e bellicosa è tenuta insieme dal vicolo fondamentale, che è
quello feudo vassallatico, del giuramento di fedeltà che i seguaci fanno nei confronti di un capo.
Questo giuramento di fedeltà oramai è sistematicamente remunerato dalla concessione di un
feudo. Entrare in una clientela militare sostenuta dal rapporto di fedeltà significa, per i guerrieri
che non hanno patrimonio famigliare, avere una forte possibilità di conquistarsi una signoria nelle
forme feudali. Si creano, quindi, raggruppamenti, eserciti privati, e il rapporto di fedeltà non è
talmente solido da assicurare la costituzione di gruppi politici ben saldi e durevoli, ma al contrario
in quest’epoca il rapporto di fedeltà può essere infranto. Può anche accadere che uno stesso
guerriero o titolare di feudo possa cercare di ingrandire il suo patrimonio prestando omaggio e
fedeltà a più signori, moltiplicando gli omaggi, per ottenere più patrimoni. Nel momento in cui due
di questi signori vengono a conflitto non si sa bene a chi dei due il vassallo è fedele.
C’è un principio di ordine, quello della fedeltà, e un principio di disordine che è la
spregiudicatezza: questi due principi coesistono nella cornice di una società mobile e aggressiva.
Il quadro si complica, dal punto di vista del numero di persone che aspirano a una carriera
all’interno dell’esercizio delle armi, perché a partire dall’XI secolo si cominciano a costituire i
lignaggi a tutti i livelli nelle famiglie signorili: questo fenomeno avviene a partire dal X e XI secolo
nelle famiglie illustri e più potenti, e poi nell’XI anche tra i titolari di feudi minori e castellanie. Si
cominciano a chiudere le famiglie e a trasmettere il patrimonio feudale soltanto in una linea
maschile, e in una trasmissione che favorisce i primogeniti. Intorno al patrimonio di ciascuno di
questi gruppi che hanno conquistato posizioni di potere, si specializza la trasmissione del feudo e
del patrimonio famigliare: mentre da un lato si consolida perché il feudo rimane compatto, nello
stesso tempo esclude tutti i fratelli che non hanno partecipazione all’eredità, i cadetti.
I cadetti diventano cavalieri, ma senza patrimonio, e perciò una massa di persone disponibili per
entrare nel servizio dei signori che li possono accogliere, nutrire e remunerare, oppure disponibili
per l’avventura ovunque ci sia speranza, per ottenere proprietà, possessi onore e ricchezza.
La slide mostra una miniatura che raffigura la genealogia dei signori di Canossa. La struttura
genealogica delle famiglie comincia a prendere valore, e viene descritta, annotata e memorizzata
a partire dall’XI secolo. Nello stesso tempo in cui si costituiscono questi lignaggi, si definisce anche
una memoria genealogica e si costruiscono le identità famigliari e le tradizioni famigliari.

La creazione dell’etica cavalleresca


Nei confronti di questa turbolenza del ceto militare cavalleresco ci sono importanti tentativi di
costruire un’etica, soprattutto da parte della chiesa, che in parte era associata allo stesso mondo
feudale. Molti esponenti di famiglie illustri, per esempio, se non avevano possibilità di vita militare
potevano entrare nelle istituzioni ecclesiastiche e trovare una sistemazione nelle chiese vescovili,
nelle cattedrali.
La chiesa era coinvolta in questo stesso mondo, ma era anche una vittima, perché qualora
l’istituzione ecclesiastica non fosse in grado di difendere patrimoni, beni, contadini, era facilmente
oggetto di violenze, espropriazioni: la chiesa che per definizione non dovrebbe praticare la
violenza era esposta alla violenza del mondo feudale. Ci fu un tentativo, quindi, di diffondere dei
principi di ordine e di freno alla violenza.
E’ nell’XI secolo che si sviluppa il famoso movimento delle Paci di Dio, ossia delle tregue di dio,
con cui il clero nelle diverse regioni della Francia (si parla, infatti, di un fenomeno che al momento
è tipicamente ambientato nella Francia feudale post carolingia) promuove dei movimenti di pace
di dio, cioè pacificazione tra famiglie feudali in conflitto tra di loro, o una sospensione dell’attività
militare da parte dei cavalieri per certi periodi significativi come la quaresima, ma anche in certi
periodi della settimana. Si bandisce una sospensione delle attività militari da parte dei cavalieri,
per esempio dal martedì alla domenica compresa: in quei giorni i cavalieri si asterranno
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volontariamente dal combattere, dall’esercitare la violenza con le armi, che era lo strumento
fondamentale del rapporto politico tra le diverse signorie, tra vassalli diversi, tra persone che
aspiravano a istituire domini dove c’erano altri domini. Contro la guerra il movimento delle paci di
dio prende piede e ha successo nel corso dell’XI secolo. La chiesa vescovile e anche i movimenti
monastici come quello cluniacense, tendono a responsabilizzare gli appartenenti al ceto militare
assegnando loro una funzione migliore dell’esercizio delle armi, provvidenziale, nella direzione
che diventerà canonica nel modello del cavaliere medievale: la difesa pace, la protezione di
inermi e deboli della società, assicurare l’ordine che i re non erano più in condizione di assicurare.
Questa funzione, vista come essenziale per la sopravvivenza della società cristiana, viene attribuita
dagli ecclesiastici ai cavalieri, ed è questo il momento in cui si teorizza e si diffonde
l’interpretazione dell’ordine della società come articolato in tre grandi blocchi, stati sociali.
I tre ordini della società nel pensiero della chiesa tra X e XI secolo sono:
- l’ordine di coloro che pregano e predicano, l’ordine ecclesiastico;
- l’ordine di coloro che combattono con una funzione specializzata che deve esplicarsi a
vantaggio di tutta la società;
- l’ordine di coloro che lavorano, i contadini.
Ancora la città non ha un particolare sviluppo. Il mondo cristiano si configura in questa prospettiva
come articolato tra ecclesiastici, guerrieri e contadini, ma l’idea fondamentale è che ciascuno dei
tre ordini svolge la sua funzione a vantaggio degli altri due. Si tende a dare all’attività militare una
connotazione etica, e una funzione nell’ordine della società cristiana. Il problema fondamentale è
che cosa viene recepito da parte dei guerrieri: spesso gli aspetti rituali, le paci di dio vengono
giurate e in parte osservate, e questa idea di una funzione provvidenziale viene accolta, ma spesso
ciò accade solo tra i titolari di alti poteri, di autorità di livello più alto e complesso.
In realtà la società feudale resta nel corso dell’XI secolo una società altamente turbolenta, ma ciò
che è interessante è che questa turbolenza viene canalizzata in parte dalla stessa chiesa, in parte al
di fuori del mondo francese e della società cristiana, al di fuori degli ambiti dell’Europa post
carolingia verso terre dove le situazioni erano diverse e sembrava possibile esercitare la funzione
delle armi e trovare gratificazioni come il piacere di combattere e l’arricchimento, senza infrangere
la convivenza tra cristiani, e senza che la violenza diventasse un fatto interno della cristianità
stessa.

Le grandi imprese della cavalleria feudale:


Questa possibilità anima e caratteristica le grandi imprese della cavalleria feudale.

La riconquista spagnola
Nel 711 la Spagna era stata in gran parte conquistata dagli arabi provenienti da Africa e Marocco.
La Spagna era rimasta divisa, la massima parte era stata conquistata dagli arabi e sottoposta alla
loro dominazione; erano però rimasti nelle Asturie e ai piedi dei Pirenei dei piccoli principati
cristiani, delle piccole isole limitate, senza una vera possibilità di fare fronte comune, se non per il
fatto che la stessa espansione araba si era arrestata.
Nella parte islamica della Spagna si sviluppa una complessa cultura, e si affermano delle forme
statali molto evolute, certamente più evolute dell’Europa post carolingia caratterizzata dalla
disgregazione feudale. Nel 756 i territori islamici vengono organizzati in un emirato sotto
l’autorità dell’ultimo discendente che aveva costituito il califfato, e nel 929 un discendente si
proclama califfo, ponendo la sua sede a Cordova. Questo califfo, che entra in competizione con il
califfo della parte orientale e afferma l’autonomia statale e morale della Spagna islamica rispetto
al resto del mondo musulmano, si chiama Abdaraman, ed è colui che ha promosso l’edificazione
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vicino a Cordova di una vera e propria città regia, una sua residenza che ha il nome di Medina
Azara. Medina Azara è un complesso archeologico di straordinario fascino e che dimostra la
ricchezza e la capacità progettuale di questo califfo e del mondo della Spagna islamica. Il mondo
della Spagna islamica è ricco, c’è un grande sviluppo delle attività commerciali, e il califfo stesso è
ricchissimo grazie al fatto che si sostiene con le imposte pagate dai sudditi e dai mercanti.
È nei confronti di questo mondo che avviene il fenomeno della riconquista, che parte da quei
piccoli nuclei di stati cristiani sopravvissuti nel nord della Spagna, e che a partire dalla metà
dell’XI secolo vengono animati da un nuovo slancio demografico, che si trasforma e si manifesta
anche in slancio militare e aggressività militare nei confronti del mondo esterno alla cristianità.
Questo slancio militare spagnolo è facilitato dal fatto che il califfato di Cordova si scioglie nel 1031,
quando non viene più nominato un califfo e il complesso dei territori musulmani si fraziona in
piccoli regni, e si indebolisce molto la capacità militare, mentre si rafforza la capacità militare
degli stati cristiani attraverso accorpamenti. Si costituisce un gruppo politico militare che unisce
Castiglia e Leon, e uno che unisce Aragona e Navarra: attraverso queste associazioni in parte
dinastiche e in parte frutto di pianificazioni ereditarie, si rafforza la capacità aggressiva sostenuta
dalla nascita e dalla crescita di un mondo di tipo militare e cavalleresco, non propriamente nel
modello francese ma sostanzialmente nella stessa linea di crescita, espansione, e capacità
aggressiva di un ceto militare che vede nella lotta contro i regni islamici una possibilità di
espansione, di arricchimento, consacrata dalla difesa e dal sostegno della fede cristiana, che
funziona benissimo per legittimare un’azione militare permanente e durevole, che si estende e si
sviluppa per due secoli e mezzo a danno delle formazioni politiche della stessa società musulmana.
Questa riconquista dei cristiani sulle terre musulmane ha, già nella seconda metà dell’XI secolo, dei
notevoli risultati: nel 1085, il re di Castiglia Alfonso VI, conquista Toledo, che era stata la capitale
del regno visigotico, importante città nell’organizzazione della Spagna musulmana. Questa
conquista ha un valore simbolico e sarà molto importante perché con l’annessione di Toledo
all’Europa cristiana comincerà a essere possibile tra la rinascente cultura intellettuale
dell’occidente cristiano e la tradizione intellettuale del mondo islamico. Come Alfonso VI nella
parte centrale della Spagna, il re Sancho I di Aragona e Navarra si estende nelle zone aragonesi a
danno del regno di Saragozza, e la conquista di Saragozza è un punto importante.
Il personaggio caratteristico di questo mondo è Rodrigo Diaz de Vivar, il Cid Campeador, un
avventuriero cristiano che parte dalla Castiglia e compie una serie di avanzate e di conquiste,
razzie in territorio musulmano, in parte in collegamento con il re di Castiglia Alfonso VI, e in parte
nel proprio interesse con i guerrieri legati a lui. Riesce a conquistare diverse città tra cui Valencia,
dove instaura un dominio personale, non ben collegato con il movimento di riconquista.
In questo periodo iniziative regie, iniziative cavalleresche e iniziative autonome di capi militari si
intrecciano, e significano che il ceto militare in Spagna sta svolgendo una sua attività nei confronti
del mondo islamico.

La conquista normanna dell’Italia meridionale


Sono i cavalieri che stanno facendo la storia in questo momento. Hanno la cotta di maglia e
combattono con la lancia in resta. Come si vede nella cartina presentata nella slide, l’Italia
meridionale al momento è divisa in diversi domini, uno bizantino che occupa la Puglia, uno
longobardo che occupa la parte centrale, e un dominio islamico in Sicilia, conquistata dagli arabi
d’Africa.
I normanni, cavalieri francesi che appartengono al mondo descritto prima, cadetti che non
ereditano i beni paterni, arrivano in Italia meridionale in maniera estemporanea, senza missioni da
svolgere. Nulla di confrontabile con la riconquista spagnola. I normanni arrivano in Italia, alcuni su

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un itinerario che li portava al pellegrinaggio al santo sepolcro, altri gruppi arrivano in Italia perché
sanno che tra i diversi poteri ci sono situazioni di lotta, soprattutto in Puglia. I normanni arrivano
in gruppi di cavalieri, anche piccoli, composti da venti o trenta uomini, e svolgono un servizio
mercenario tra i diversi signori che si combattono, come i signori longobardi e le cittadinanze
bizantine. Per il momento non arrivano in Sicilia, ma in Italia meridionale fanno fortuna e
stabiliscono due domini territoriali, uno vicino a Napoli e uno tra Basilicata e Puglia vicino a Melfi.
Da questi punti di partenza, la lotta dei normanni in Italia meridionale è di accaparramento e
posizione di potere, signorie, castelli, tributi da parte delle cittadinanze, non ha una giustificazione
giurisdizionale. Diventa una fisionomia diversa quando nel 1059 uno di questi capi, Roberto il
Guiscardo, viene investito da papa Nicolò II da un titolo creato al momento, ossia Duca di Puglia,
Calabria e futuro Duca di Sicilia. Con questa mossa il papa intendeva servirsi di questi cavalieri
disponibili al servizio militare, per difendere le ragioni della chiesa in un momento in cui si
profilano le diverse situazioni del conflitto con l’impero. A partire dal 1059, e poi nel 1060, inizia
anche la penetrazione in Sicilia di guerrieri normanni capeggiati da Ruggero, e in questo caso la
lotta è contro i musulmani, gli infedeli: in questo caso la lotta si nobilita, e viene intesa come
liberazione di terre già cristiane e cacciata dagli infedeli. Da questo momento il movimento
normanno acquista un decoro e una consacrazione, ma resta il fatto che per tutto l’XI secolo e per
qualche decennio del XII si tratta di un fenomeno di conquista cavalleresca di beni, terre, onori e
titoli che si articola secondo le strutture e i rapporti tipici della società feudale descritti in Francia

La conquista normanna in Inghilterra


I caratteri sono differenti: il Duca di Normandia decide di avere dei diritti sulla tradizionale corona
inglese, sul regno di Inghilterra, e decide di andarselo a conquistare. Il protagonista di questa
vicenda è Guglielmo il Conquistatore, duca di Normandia. Anche in questo caso l’aggressione del
Duca di Normandia nei confronti di un regno cristiano e organizzato in maniera evoluta, ma non
nelle forme post carolingie dell’organizzazione feudale: l’aggressione è sostenuta dal ceto
cavalleresco e militare del ducato di Normandia e della Francia settentrionale. Sono questi
guerrieri che combattono contro l’esercito sassone. La cavalleria è la forma più efficiente e
efficace. I normanni riescono a sconfiggere i Sassoni ad Hasting nel 1066, e Guglielmo il
Conquistatore diventa re di Inghilterra.

La prima crociata
La prima crociata venne bandita dal papa Urbano II a Clairmont, e fu portata avanti da gruppi di
cavalieri provenienti soprattutto dalla Francia, che si dirigono a Costantinopoli e poi
Gerusalemme, dove esisteva un dominio turco e musulmano. In questo caso la consacrazione
religiosa è la più evidente, ma il movimento della crociata può essere considerato come lo sviluppo
delle paci di dio, la tregua della violenza feudale in occidente, e l’orientamento di queste forze
verso la riconquista del sepolcro di Cristo.
I cavalieri che fanno la crociata sono in parte sensibili a questo ideale, ma in gran parte alla
speranza di arricchirsi, trovare feudi e ricchezze, fare fortuna, fare bei gesti militari e avere
onore nei confronti un nemico islamico tradizionale. La crociata darà luogo a una serie di
insediamenti organizzati in base alle strutture feudali in oriente nei territori della costa della Siria
e della Palestina, e sarà il momento culminante di questa fase di espansione della cavalleria
francese, ma in generale europea, verso il mondo circostante che non aveva fatto parte
dell’impero carolingio e che si era sviluppato in modi diversi, ora omogeneizzato dall’espansione
della cavalleria, della feudalità.

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Lez. 20 – I nuovi regni del XII secolo
Gli argomenti:
- I nuovi regni e i nuovi stili di governo
- I Normanni in Sicilia
- I normanni e Plantageneti in Inghilterra
- I Re di Francia
- L’impero di Federico Barbarossa

I nuovi regni e i nuovi stili di governo


Dal disfacimento dell’impero carolingio erano emersi regni con questo titolo e un re, ma erano
regni feudali, e il potere del re era limitato e accompagnato dal potere dalla feudalità. Il processo
disfacimento carolingio deriva dal fatto che i titolari di potere pubblico, di cui erano stati investiti
dal sovrano, diventano i pari del sovrano se non dal punto di vista giuridico, dal punto di vista
delle risorse militari ed economiche e il potere del sovrano diventa un potere tra gli altri. Il regno
mantiene il nome e l’estensione, ma non è più un’organizzazione di potere che riceva dal centro il
suo coordinamento e risponda al sovrano.
Rispetto a questo modello si pone la novità dei regni del XII secolo: il tentativo riuscito di
ricostruire l’autorità regia e un governo centrale capace di imporsi su tutti gli altri poteri che
esistono nel regno, da quello feudale a quello della chiesa, e le aspirazioni delle città rinascenti.
Come è possibile? Il fondamento è la costituzione di risorse proprie del re, di natura economica (i
re dispongono di fondamenti materiali per esercitare autorevolmente un potere che praticamente
non si è potuto esercitare efficacemente prima). Si è voluta ricostituire una base fiscale, sede di
introiti della monarchia, e i diritti giurisdizionali del sovrano su tutto il complesso di giurisdizioni
che si erano affermate nei secoli precedenti. L’immediata espressione di questo tentativo è la
creazione di una presenza maggiore del sovrano nel regno attraverso rappresentanti che curano i
suoi interessi fiscali e giurisdizionali, cioè la capacità di far valere l’autorità giuridica legale, e di
intervenire nell’esercizio della giustizia. Un altro punto è la capacità che il re intervenga
militarmente nel regno a sostegno dei suoi funzionari, per far valere i suoi interessi e le sue
ragioni. L’autorità è reale, e il re può riportare l’ordine e costringere all’obbedienza: quindi il re
deve disporre di una forza militare che non dipende completamente dai vassalli, anche senza il
consenso del complesso del mondo feudale del suo regno.
L’esercizio di questa presenza del re nel regno deve essere vantaggioso per i sudditi, la giustizia del
re deve essere più affidabile di quella signorile, e questo si realizza attraverso tribunali e
funzionari che assicurano una giustizia alternativa o di appello rispetto a quella signorile. Questo
è possibile solo se l’autorità del re è forte, oppure pericolosa se vi si resiste.
L’autorità regia diventa pesante, forte, spietata nei confronti di chi si ribella: da un lato si creano
strutture di presenza dell’autorità regia nel regno, dall’altro si accentua il carattere stesso
dell’autorità del re, che può raggiungere la crudeltà, necessaria per fare regnare la giustizia e
riportare a un ordinamento coerente tutto il complesso di potestà e di giurisdizioni sviluppatisi.
Si sviluppano le strutture di un’amministrazione centrale, le corti diventano un insieme di uffici
specializzati nelle diverse attività presiedute dal re, uffici finanziari, amministrativi, giudiziari, nei
quali presta servizio personale sempre più specializzato, in grado di usare lo strumento dello
scritto, e spesso con una preparazione giuridica. La corte non è solo dove il sovrano ha il suo
seguito, ma anche il centro di amministrazione centrale sempre più burocratizzata e che adotta
sistematicamente le registrazioni scritte del volere, le disposizioni e le pratiche che caratterizzano
la nuova incidenza della volontà del sovrano nella vita dei sudditi.
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Questo stile di autorità prima non era possibile, perché il sovrano feudale esercitava un’autorità
contrattuale, limitata dal consenso degli altri proprietari di autorità: è un capo, ma vincolato da un
impegno contestuale a quello che i grandi signori assumono nei suoi confronti quando giurano
fedeltà. Nel XII secolo i re si distaccano da questa fisionomia e affermano un diritto proprio e
superiore.

I Normanni in Sicilia
Il regno dei Normanni è una formazione tarda, del XII secolo, e ha inizio quando Ruggero II venne
incoronato Re, diventando il primo re di questo nuovo regno. Abbiamo parlato della conquista
normanna dell’Italia meridionale e della Sicilia, che diede luogo a una serie di principati con una
fisionomia non ben precisa, legati a un capo militare, all’andamento della conquista, alla capacità
dei capi di imporsi.
Proprio perché la situazione istituzionale è indefinita, non si costituisce un vero stato. Solo con
Ruggero II, della famiglia Altavilla, viene raccolta l’eredità della conquista fatta dai suoi
predecessori e si rivendica la successione in Sicilia e in Italia meridionale, riuscendo a ottenere che
gli venga riconosciuta dal 1127. Dopo tre anni, nel 1130, si promuove a re perché c’è un processo
tra ideologico e giuridico e l’ambito del suo potere viene riconosciuto come di regno, e non solo
di conquista. Deve combattere per imporre effettivamente la sua autorità regia e farla riconoscere
dall’esterno, ma quando un regno di Sicilia esiste e viene accettato dalle altre potestà
internazionali, lui organizza il regno in forme nuove come sopra descritte. Non c’era una
tradizione precedente di regno, e in quella concrezione di poteri nati nei regni carolingi della
Francia centrale. In cosa consistono le novità? Nomina e imposizione di funzionari e rappresentati
del re non appartenenti all’ordine feudale, dislocati: camerari e giustizieri, con le due funzioni
essenziali di assicurare la fiscalità regia, la percezione dei tributi che toccavano al sovrano, e
assicurare la giustizia del sovrano nel regno in alternativa o opposizione dei signori feudali. Poi ci fu
l’imposizione di questo potere regio nuovo: l’obiettivo era di ridurre il mondo feudale nato dalla
cavalleria normanna che aveva realizzato la conquista e che si era strutturata in signorie feudali. Si
voleva costringere questo mondo di signori feudali a dipendere feudalmente dal re, a ricevere dal
re tutti i possessi feudali e vincolarsi con giuramento al sovrano. Si impone il dominio regio su
tutte le città del regno. Il fenomeno cittadino è sviluppato, le città costiere hanno ricchezze
considerevoli grazie all’attività commerciale, e tendono a forme di auto amministrazione locale per
la difesa e per sviluppare propri interessi e diritti. Il nuovo re limita fortemente la capacità politica
dei corpi cittadini, ai quali impone la fedeltà e la presenza di funzionari regi in città, che devono
controllare la sottomissione delle cittadinanze alla monarchia, e assicurare che le cittadinanze
contribuiscano alle tasse del sovrano. Poi nelle città il re appena può insedia una guarnigione in un
castello, con la funzione di assicurare la soggezione della città. Si instaura una rete di funzionari, e
una rete di dipendenze: entrambe possibili perché sostenute con interventi gravissimi nei
confronti di chi si oppone, e in questo il re ha il vantaggio di chi ha le risorse proprie della
monarchia. La monarchia può disporre di grandi ricchezze, che derivano dalle ricchezze stesse
della Sicilia, e poi dei corpi di milizie specializzate di saraceni, dominatori della Sicilia prima della
conquista normanna e poi sottomessi dalla conquista normanna. Ruggero, ora, usa i corpi di
milizie specializzate di saraceni come truppe regie per avere un corpo armato efficace esterno alle
relazioni feudali.
Come negli altri regni, anche nel regno di Sicilia questa affermazione dell’autorità regia si appoggia
e si serve della costruzione di strutture di governo e amministrazione centrale per cui a Palermo si
sviluppa una corte, un insieme di uffici amministrativi. Si tratta di un sistema amministrativo che
fa forte uso delle registrazioni scritte per annotare tutte le prestazioni che i signori feudali devono
al sovrano, tutti i tributi da enti e comunità, e il famoso catalogo dei baroni del regno e dei servizi
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militari che ciascuno deve alla monarchia in forza della soggezione feudale. Per realizzare questo
complesso di amministrazione Ruggero si sarebbe servito di consiglieri provenienti da tutto il
mondo, e avrebbe scelto tra le varie istituzioni quelle più utili per rendere funzionante il suo regno.
La slide mostra la Cappella Palatina fatta costruire da Ruggero a Palermo.
Durante il lungo e pacifico regno di Guglielmo II le istituzioni di governo si raffinarono e
perfezionarono, l’impianto amministrativo divenne più regolare e complesso, la feudalità venne
coinvolta nell’amministrazione del regno, e si predisposero le condizioni per trasformare il
complesso di territori nati dalla conquista, in un possibile nascente regno nazionale.

I normanni e Plantageneti in Inghilterra


Il regno di Inghilterra nasce anch’esso da una conquista: il Duca di Normandia Guglielmo il
Conquistatore ha conquistato il regno sassone di Inghilterra, che aveva una tradizione gloriosa
ma non delle strutture di governo e di potere centrale forti. Il re sassone è un sovrano il cui potere
è fortemente limitato dalle tradizionali prerogative delle aristocrazie e delle comunità locali:
quando Guglielmo prende il regno deve fondare un potere regio forte. Il grande problema è di
dividere i diritti della feudalità militare dall’esercizio della giurisdizione del sovrano: insieme con
Guglielmo hanno partecipato alla conquista anche i suoi compagni d’arme, cavalieri e feudatari,
per avere bottino e vantaggi. Il re, quindi, è costretto a fare una distribuzione di feudi, e questo
potrebbe ricostituire le premesse a un regno feudale: Guglielmo riesce a evitarlo facendo sì che i
feudi attribuiti abbiano poteri signorili, cioè il titolare di un feudo è signore nei confronti della
popolazione del suo feudo ma non esercita poteri statali sui suoi dipendenti.
I feudali sono signori di terre che devono un servizio militare al sovrano, ma a fianco viene
potenziato un sistema di presenza nel regno, garantito da funzionari che hanno una tradizione
sassone, gli sceriffi, che diventano i rappresentanti del re nelle contee, e esercitano per il re due
funzioni essenziali: il prelevamento fiscale e la giustizia di contea, di circoscrizione, che si fonda su
un tribunale popolare, e sulla delega di poteri di giustizia dati direttamente dal re.
Esiste una giustizia pubblica garantita dal re, e a fianco una giustizia privata che i signori feudali
possono esercitare all’interno della loro signoria, ma la giustizia pubblica è di livello superiore e lo
sforzo di Guglielmo è di fare sì che la giustizia del re sia sempre più presente e sicura e possa
funzionare come livello di appello. Come può assicurarsi le posizioni di forza per rendere operanti
queste direttive? Assicurando le entrate fiscali del regno, e per fare questo crea e impone
l’operazione originale di realizzare un grande censimento, un catasto delle proprietà e degli
abitanti del regno, in base al quale era possibile sapere che cosa ogni abitante e titolare di funzioni
e circoscrizioni doveva dare al re come tributo o servizio militare: Doomsday Book. Si tratta di una
sorta di giudizio universale fatto dal re a fini di consolidamento del potere regio e di affermazione
dei diritti regi nel regno. In questo modo il sovrano poteva sapere sempre chi aveva delle terre,
che cosa doveva per quelle terre, e come regolare il sistema di prelievi fiscali e militari che
consolidavano il potere della monarchia.

Con i suoi successori questo apparato si perfeziona, soprattutto l’esazione fiscale con il tribunale
dello scacchiere, corte alla quale si dovevano presentare annualmente gli sceriffi per rendere
conto del loro operato, e versare quanto raccolto. Si perfeziona, inoltre, lo strumento di
collegamento tra l’amministrazione centrale e i funzionari periferici, ossia dei ritz, ordini scritti che
il sovrano inviava ai suoi rappresentanti per avviare cause giudiziarie, indagini, ecc… sistema di
integrazione tra la giustizia centrale e gli organi periferici del regno.
Questo sistema si perfeziona con la dinastia dei Plantageneti, che è di origine francese, e Goffredo
Plantageneto è un signore feudale francese che sposa Matilde, nipote di Guglielmo, e dalla loro
unione nasce Enrico II Plantageneto, che riuscì a mettere insieme sotto il suo dominio un’enorme
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quantità di principati e di contee, oltre al regno di Inghilterra: Normandia, Angiò, ecc… tutta la
Francia nord occidentale.
In Inghilterra Enrico II perfeziona l’organizzazione dello stato, soprattutto potenziando
l’amministrazione della giustizia, che diventa un aspetto qualificante che legittima l’esercizio di
questi poteri sempre più forti esercitati anche con la prepotenza, e diventa garanzia dell’ordine nel
regno, dell’uniformità del regno al di là della molteplicità dei poteri signorili. Nel 1164 Enrico II con
le costituzioni di Clarendons impone il controllo regio anche sulla Chiesa: la chiesa tende fin
dall’XI secolo a distaccarsi dal potere dei laici, negando ogni relazione e inquinamento con il potere
politico dei laici, ma nel XII secolo questi regni nuovi tendono a imporre il controllo regio
sull’episcopato del regno. In Inghilterra questo originerà il famoso conflitto tra Enrico II e Thomas
Beckett, prima suo cancelliere e poi arcivescovo di Canterbury.
Il principio è quello che il potere regio vuole affermare il suo controllo sul clero e limitare la sua
autonomia.

I Re di Francia
Il modello del re di Francia è tutto diverso, un re feudale quando non dispone di queste risorse
esercita il potere in una situazione fortemente determinata da quanto successo dall’epoca
carolingia in poi. Il regno di Francia è vecchio, con strutture consolidate e poteri feudali forti. I re
di Francia nel XII secolo non riescono a mettere in piedi una presenza del re capillarmente
diffusa su tutto il territorio, ma devono accontentarsi di funzionare come re feudali, di avere un
omaggio feudale dei grandi principi della Francia, di funzionare come arbitri nelle contese feudali,
e di avere la fisionomia di protettori della chiesa del regno.
Il re di Francia è consacrato, e si lavora molto per potenziare questa fisionomia di re consacrato,
una fisionomia unica tra i principi del regno, e nasce la leggenda e la credenza del potere
taumaturgico del re di Francia, di guarire una malattia ghiandolare. Si tratta delle premesse per
una successiva ripresa di potere anche del sovrano francese che avrà luogo alla fine del XII secolo.

L’impero di Federico Barbarossa


Anche l’impero tedesco è fortemente limitato dai forti poteri principeschi e feudali, ma anche lui
cerca di creare una base di potere sovrano sviluppando e costruendo domini diretti del sovrano,
amministrati da rappresentanti diretti del sovrano, i ministeriali, un ceto nuovo e non feudale che
presta funzione di amministrare e governare le terre regie, dipendendo direttamente
dall’imperatore senza mediazione. E poi sviluppa risorse proprie della monarchia con la sua
politica italiana: la lotta contro i comuni e con l’imposizione dell’autorità imperiale sui comuni per
garantire redditi forti.
Attraverso il controllo dei diritti regali in Italia contava di avere 30000 libbre d’argento pagate dai
comuni italiani, che gli servivano per potersi rivolgere con più forza verso il mondo feudale
tedesco. Anche nell’impero, nonostante questi limiti tradizionali, c’è la costruzione di un’autorità
nuova.

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Lez. 21 – Le città e i governi cittadini
Gli argomenti:
- Lo sviluppo delle città italiane nei secoli IX – XI
- L’origine dei governi comunali
- La cultura civica nei comuni italiani
- Città e governi cittadini anche fuori d’Italia

Lo sviluppo delle città italiane nei secoli IX – XI


In Italia la città non ha mai perso la fisionomia di centro organizzativo e direzionale del territorio, è
sempre rimasta sede di poteri economici e amministrativi. Economici perché, anche in epoca
barbarica, longobarda e carolingia, la città è rimasta sede di proprietari terrieri che vi risiedevano,
e anche sede del governo vescovile, religioso e ecclesiastico dei vescovi. I vescovi hanno anche
assunto capacità di coordinamento di una popolazione ecclesiastica e laica, e esperti di diritto,
imprenditori di attività economiche. Per questo, quando Carlo Magno conquista l’Italia e impone il
suo sistema di amministrazione, i conti, ossia i rappresentanti del potere carolingio, vengono
insediati in città. Le città sono centri direzionali dei territori circostanti, ma anche sedi
istituzionali dei poteri religiosi e civili. In Italia settentrionale la città ha sempre conservato
notevole importanza, superiore a quella delle città oltralpe che con le invasioni barbariche e con
l’evoluzione dei rapporti economici sociali, perdono di importanza. Questa importanza della città
nel tessuto insediativo e nei rapporti politici non solo vale per l’Italia nord, ma anche del sud.
Anche nel sud restano i poli di organizzazione del territorio, sia dal punto di vista economico, sia
giuridico.
L’Italia è suddivisa in diverse dominazioni:
- un’area di principati longobardi,
- un’area che è una provincia dell’impero bizantino,
- e poi le città costiere che hanno una costituzione autonoma sotto l’autorità nominale
dell’impero bizantino.
In ciascuna area la città rimane egemone nel controllo del territorio. I principi longobardi hanno
tutti e tre residenza in città, a Salerno, Benevento e Capua, ma anche il dominio bizantino ha i suoi
poli istituzionali amministrativi nelle città, come Bari, ma anche in altre città della costa pugliese.
Lo stesso si può dire per le città campane, con la preminenza della città nella struttura del
territorio; l’organizzazione del sistema di controlli economici e istituzionali è comune a nord e sud.
Nel X secolo, il mondo organizzato dall’impero carolingio si disfa e i corpi cittadini e i vescovi
cominciano a esercitare forme di auto amministrazione e cura degli interessi locali, delle
organizzazioni interne, delle attività istituzionali e economiche: vi è una situazione di presa in
carico delle necessità di governo della città che parte dal corpo cittadino e trova riconoscimento
nelle autorità, in questi sovrani che hanno poca autorità ma conservano il deposito della tradizione
legale dei poteri regi, e quindi pubblici.
Per esempio nel 904 il vescovo e i cittadini di Bergamo ottengono da Berengario I l’autorizzazione
a restaurare le mura della città; l’autorità e diritto di disporre le fortificazioni cittadine, che aveva
una connotazione pubblica, viene assunta dalla cittadinanza e dal vescovo in assenza di iniziativa
regia. Il vescovo ha la funzione di promotore delle iniziative, e di riconoscibilità del corpo cittadino
nei confronti dell’autorità regia.
A Mantova nel 945 il re concede al vescovo il diritto di controllare la monetazione nella città, un
diritto fondamentalmente statale che viene accordato al vescovo in rappresentanza della
cittadinanza. Le cittadinanze, insieme con i vescovi, si prendono cura dei propri interessi e si
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pongono come soggetti politici, interlocutori del potere regio, e come soggetti che hanno una
forma di auto amministrazione e di cura dei propri interessi che coinvolge l’esercizio di poteri
pubblici, normalmente statali.
Questa situazione viene sviluppata con la dinastia Ottoniana e con il conferimento ai vescovi
cittadini di funzioni comitali, ossia delle funzioni del conte. Uno dei sistemi di governo della
dinastia ottoniana è quello di coinvolgere i vescovi nell’amministrazione del governo locale
attribuendo loro poteri comitali di giustizia, controllo apparato fiscale. Con il conferimento ai
vescovi di poteri comitali non si ha più una situazione spontanea di tendenza all’autogoverno, ma
si ha da parte del vescovo l’esercizio di poteri pubblici per l’investitura dell’autorità centrale. La
città torna a essere un nucleo di autogoverno col pieno esercizio dei poteri pubblici e statali
conseguenti all’investitura vescovile.
Intorno ai vescovi si costruisce un gruppo dirigente, un ceto di governo di cittadini dalle diverse
componenti della città. I vescovi hanno seguiti vassallitici attraverso i quali esercitano il controllo
e la costrizione impliciti nella funzione comitale; nelle città, comunque, esiste anche un
importante ceto di giuristi, un gruppo di esperti del diritto che controllano l’amministrazione della
giustizia e le tecniche della legalità nei rapporti giuridici tra i cittadini. Il ceto dei giudici è molto
potente e ha una forte qualificazione per la partecipazione al governo cittadino. Continuano a
esserci, inoltre, esponenti della proprietà fondiaria, e esistono anche persone che praticano
attività economiche come monetieri (zecche), orefici, e persone che praticano il commercio, anche
se a livello ridotto. I rappresentanti di questi ceti egemoni, elevati, collaborano col vescovo e
costituiscono il gruppo di governo e di sostegno al governo vescovile. Questo gruppo non è tanto
omogeneo e coerente da essere pacifico nell’esercizio di queste funzioni.

L’origine dei governi comunali


L’XI secolo vede delle difficoltà di rapporto all’interno di questi gruppi egemoni che in alcuni casi
raggiungono alti livelli di conflittualità. In questo contesto si pongono i fenomeni all’origine dei
governi comunali. Nell’XI secolo la popolazione cittadina cresce, e non tutti i nuovi arrivati fanno
parte dei ceti dirigenti e si instaura una disparità sociale nelle città.
L’esempio più noto ha luogo a Milano all’interno del ceto dirigente intorno al vescovo, e
all’interno della popolazione milanese. A Milano nell’XI secolo vi sono scontri violenti, e c’è un
momento in cui l’aristocrazia militare signorile raccolta intorno al vescovo si divide e i grandi
vassalli si oppongono ai loro stessi vassalli, ai vassalli dei vassalli: i due ceti poi si ricompongono,
ma si manifesta un conflitto tra il popolo e questa aristocrazia. Gli esponenti del ceto dei grandi
vassalli del vescovo, e il vescovo stesso, devono abbandonare la città. Vi sono poi lotte anche nella
seconda metà dell’XI secolo, tra gruppi popolari e il clero milanese, contro l’apparato di potere: si
tratta di lotte, tra le altre cose, per il controllo del comportamento del clero. Queste divisioni
vengono composte e sistemate con una serie di paci giurate che costituiscono la base per una
ristrutturazione generale della cittadinanza dentro un sistema di autogoverno. Si tratta di
un’intesa generale dalla quale nasce la costituzione di un potere nuovo, originale, ossia il potere
dei consoli, che compaiono non solo a Milano ma anche in altre città italiane (soprattutto al nord):
i consoli rappresentano un momento di intesa raggiunta dai diversi gruppi cittadini in cui la
cittadinanza decide e si propone per il governo della città, per l’esercizio di quei poteri pubblici che
nelle città erano ormai radicati attraverso l’acquisizione spontanea e il conferimento di poteri
pubblici al vescovo. La cittadinanza si costituisce in maniera da esercitare in proprio poteri di
governo e autogoverno, in opposizione al vescovo, emarginando il vescovo dall’esercizio di questi
poteri, oppure in accordo dovuto al fatto che in ogni caso i vescovi conservavano la fisionomia di

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rappresentanti della città e di titolari di investiture formali dell’impero, e potevano conferire
legittimità di potere.
La costituzione di queste associazioni giurate della cittadinanza, coordinate e egemonizzate da ceti
dirigenti costituiti nel periodo precedente, si ritrova anche in altre città, come a Pisa, dove la
costituzione di un gruppo di governo dei maggiorenti e del popolo cittadino si coordina intorno al
visconte, un funzionario laico.
A Genova l’accordo avviene tra tre grandi quartieri della città, i grandi nuclei dell’insediamento
cittadino, ognuno organizzato in una costituzione giurata: alla fine si riuniscono in un’unica
compagnia che, sulla base di un accordo giurato, si stabilisce per un determinato numero di anni e
elegge consoli per governare la città in accordo col vescovo.
Si afferma una situazione di costituzione di una forma strutturata di autogoverno da parte delle
cittadinanze e da parte dei ceti egemoni, un fenomeno che avviene in forme differenti sulla base
delle situazioni che già esistevano, e che diventa un fenomeno generale, che noi chiamiamo
origine dell’organizzazione del reggimento comunale.
Si tratta di una fase embrionale: il comune nell’età consolare è ancora un comune senza sistema di
istituzioni nettamente definite e organizzate, e i rapporti sono ancora fluidi e sperimentali.
Questo fenomeno di crescita dei gruppi dirigenti cittadini riguarda anche il meridione, dove tra X e
XI secolo si rafforzano i gruppi di cittadini che collaborano al governo delle autorità istituzionali,
e hanno rilevanza i giudici. In meridione c‘è anche un’aristocrazia fondiaria, ma di vocazione
militare, che collabora nelle città longobarde con i principi longobardi, mentre nelle città bizantine
c’è un’aristocrazia urbana che collabora con i funzionari bizantini, o li osteggia facendo valere gli
interessi della cittadinanza. Nella prima metà dell’XI secolo in Puglia sono frequenti le rivolte della
cittadinanza, intorno a capi identificabili o a gruppi di famiglie. Nel mezzogiorno non si arriva alla
definizione di quei patti giurati tra la cittadinanza, che non avvengono perché le autorità statali,
sia longobarde sia bizantine, sono forti, hanno una tradizione radicata e continuano a esercitare
potere di natura pubblica e non è possibile sostituirle.
Nell’Italia del nord, l’emergere in autonomia delle funzioni di governo cittadino da parte della
cittadinanza è facilitata dal fatto che l’impero, che rappresentava la fonte del diritto, è in crisi a
causa delle lotte per le investiture, e in alcuni casi la posizione per cui cercano sostegno per la loro
politica ecclesiastica fa sì che gli imperatori concedano privilegi, esenzioni, capacità limitate di
autogoverno ad alcune cittadinanze per aggregarsele e averne sostegno. Nell’Italia settentrionale
la debolezza del potere statale facilita la creazione di questi autogoverni da parte dei gruppi
cittadini.

La cultura civica nei comuni italiani


Una volta che si costituiscono questi gruppi di governo fondati su un patto giurato e sulla
rappresentanza della cittadinanza esercitata dai ceti egemoni, i ceti egemoni conservano la natura
militare della loro caratterizzazione. Questo fatto spiega perché il panorama urbano delle città,
soprattutto a nord in cui si affermano regimi comunali, sia caratterizzato dalle torri, punti di forza
urbani delle grandi famiglie, dei gruppi che costituiscono il ceto dirigente del comune consolare.
Questi, anche se non hanno un’origine feudale, assumono i costumi del ceto militare feudale, e
all’interno di questo ceto dirigente la conflittualità è forte. Le torri sono anche strumenti di
controllo militare e di combattimento interno tra i gruppi contendenti. Inoltre le città che
conseguono questa organizzazione istituzionale tendono ad affermare un controllo sul territorio
esterno. L’aspetto militare delle città nel periodo dell’organizzazione del comune consolare è

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rappresentato nella slide contenente il dipinto di Ambrogio Lorenzetti, che raffigura una cinta di
mura e torri.
L’elemento militare di difesa, controllo e aggressione è caratteristico dell’attività politica interna
e esterna. La fisionomia istituzionale e il livello di autocoscienza e di organizzazione delle città con i
governi comunali si precisa e matura nel corso del XII secolo. Una circostanza che facilita questa
maturazione è il conflitto con Federico Barbarossa.
Federico Barbarossa quando assume i poteri e quando intende ristabilire l’autorità imperiale nel
nord Italia, non intende abolire o rendere impossibile la vita e l’esistenza dei governi comunali
delle diverse città, ma inquadrarli e sottoporli all’affermazione potente dell’autorità dell’impero.
Federico barbarossa è disponibile a consentire forme di autogoverno ai corpi cittadini e ai ceti
dirigenti, ma nella forma di concessione imperiale e con certi limiti, e con certe contropartite. I
limiti sono che i consoli devono essere nominati dall’imperatore; le contropartite sono che i
comuni, in cambio della concessione di diritti di autogoverno, devono versare alle casse imperiali
censi e tributi rilevanti, commisurati alla ricchezza dell’attività economica. Federico Barbarossa,
inoltre, si riserva di nominare funzionari che si insediano nelle città accanto ai consoli, ossia i
podestà. I comuni sono disponibili a questa imposizione, ma nello stesso tempo non lo sono: dal
punto di vista teorico non possono negarla, dal punto di vista pratico cercano degli
accomodamenti, e soprattutto c’è un gioco politico di relazioni tra comuni, e tra comuni e impero.
Resta il fatto che il peso economico della richiesta imperiale è pesante ed è per questo che i
comuni dell’area padana si coordinano per stabilire delle intese economiche, un regolamento
delle relazioni, e per difendersi collettivamente dall’esosità delle richieste imperiali. Sono queste
leghe, come la lega di Verona e la lega lombarda, che danno filo da torcere all’imperatore, e che
con la battaglia di Legnano arrivano a una vittoria.
Con la pace di Costanza del 1183, l’imperatore riconosce ai comuni il libero esercizio dei diritti di
sovranità, giustizia, fiscalità, guerra, fortificazione, come l’attribuzione permanente del governo
comunale. L’imperatore riconosce la libera elezione dei consoli, che poi lui riconferma, e il
riconoscimento delle consuetudini locali: i comuni, cioè, si possono dare leggi, gli statuti, che
regolano i rapporti di diritto civile e penale all’interno della cittadinanza. È da questo momento
che i comuni italiani guadagnano consapevolezza giuridica, e costruiscono strutture di tipo
statale, e si danno istituzioni di tipo più organizzato e regolare. Quando i comuni raggiungono
questa maturità, si determina l’espressione di una cultura comunale che da un lato si esprime nei
grandi monumenti, mura e porte, e dall’altro nella letteratura, e nella storiografia legata alla
registrazione delle vicende politiche dei comuni, e nell’epica, con una serie di componimenti
poetici in lode della città o in lode delle grandi imprese dei cittadini, anche militari.
Alla fine del XII secolo compare una nuova figura, il podestà, espressione di un nuovo sistema di
organizzazione dei poteri politici all’interno del comune, e compaiono anche i primi palazzi
comunali che si oppongono al panorama delle torri.

Città e governi cittadini anche fuori d’Italia


Nella slide si vede la città di Feurs, in Francia. La caratteristica fondamentale dei governi cittadini
affermatisi in Fiandra, Francia, Germania e Inghilterra, è che non raggiungono mai il livello di una
formazione statale autonoma che gestisca la sovranità. I diritti di autogoverno e le forme di
autogoverno sono diritti concessi da un’autorità che conserva la sovranità per sé, e il controllo
dell’esercizio dell’autogoverno. In Francia i diritti concessi dal re o dai principi, e il panorama delle
comunità cittadine, sono meno articolati e complessi di quelli italiani: le comunità cittadine, infatti,
hanno prevalente una base mercantile e imprenditoriale, il ceto dirigente costituisce un patriziato,

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ma i poteri non raggiungono mai la totale emancipazione dall’autorità sovrana regionalmente
competente.

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Lez. 22 dalla rinascita carolingia alla rinascita del XII secolo
Gli argomenti:
- Limiti della rinascita carolingia
- Il disordine post carolingio
- Il trend espansivo
- La rinascita del XII secolo
- Le fonti

Limiti della rinascita carolingia


La slide mostra il ritratto di Lotario. La riorganizzazione carolingia è stata un grandioso tentativo di
rimettere ordine nel mondo uscito dalle invasioni, imponendo modelli di organizzazione riguardanti
campo politico istituzionale e culturale intellettuale, strettamente associati.

Il disordine post carolingio


Carlo Magno ha cercato di organizzare i suoi domini come un grande stato che riuniva tutta la
popolazione, per unire i principi dei regni romano-germanici e cristiani, e organizzandoli in un
sistema di istituzioni in cui il potere nella società carolingia veniva esercitato per delega del
sovrano. Questo era l’ordine della società: il potere veniva esercitato in una circoscrizione definita
e territorialmente chiara, secondo un modello razionale e progredito rispetto alla società barbarica,
ma anche un modello astratto, costruito razionalmente ma non completamente corrispondente alla
struttura della società e alla vocazione della società carolingia.
Il potere viene esercitato per delega del sovrano, che esercita tutti i poteri pubblici. Questa delega
si sovrappone a una serie di poteri che non corrispondevano esattamente: i potenti che
collaborano con Carlo Magno sono già potenti per fatti loro, sono grandi signori fondiari e militari.
L’idea della struttura organica in cui tutti i poteri vengono esercitati per delega è un tentativo di
mettere ordine. Alcuni funzionari accettano e comprendono questo grande disegno, che però è
studiato a priori e viene calato su una realtà che non sempre è corrispondente.
In parte anche la rinascita culturale è un’imposizione dal centro, una scoperta fatta da un gruppo
di consiglieri, l’imposizione di un’istruzione e di un modello di cultura riscoperti dall’antichità e
proposti come norma obbligatoria per la riorganizzazione dell’istruzione e del sapere in tutti i
territori dell’impero. Si tratta di un programma grandioso per riscolarizzare la società franca e post
barbarica, dove c’era la necessità di un livello scolastico più evoluto: si tratta, però, di un modello
trovato a freddo e imposto alla società, che in parte comprende e si adegua, ma in parte non è
soddisfatta.
L’impero carolingio si presenta come un mondo chiuso. La caratteristica del governo politico e
religioso di Carlo Magno è di chiudere le frontiere, e di creare una netta separazione tra ciò che c’è
dentro l’impero e ciò che c’è fuori, e le frontiere sono linee che devono essere chiuse e difese.
L’istituzione delle marche è configurata per bloccare le frontiere e per l’esclusione netta tra chi è
dentro e chi è fuori, eliminando la funzione strategica e culturale caratteristica delle zone di frontiera,
ossia il contatto, l’integrazione, le sperimentazioni di rapporti tra sistemi politici culturali differenti.
Questa chiusura è una caratteristica di debolezza, ecco perché l’impero è fragile. Il sistema è

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costituito da un centro molto all’avanguardia e funziona finché i funzionari dirigenti, che hanno
accompagnato i carolingi nella loro ascesa, trovano i propri interessi soddisfatti, rappresentati e
potenziati dall’apparato di istituzioni del progetto carolingio. Quando i gruppi dirigenti e la società
non si trovano più inquadrati in questo sistema di istituzioni, però, c’è uno scollamento e chi perde
è il modello, perché è fragile, imposto dall’alto.
Il mondo che si crea sul disfacimento dell’impero carolingio è disordinato. Questo disordine, però,
significa che c’è un grandioso tentativo di costruire nuovi poteri, più aderenti alla società, di
controllare il territorio in maniera meno astratta, di esercitare il controllo reale della società, anche
su gruppi piccoli, e di creare dei gruppi realmente coerenti con la dinamica, le forze e il movimento
della società. Questo disordine è di natura formale, un’anarchia dei poteri, ma ha anche in sé uno
sforzo implicito verso la costituzione di poteri più reali e aderenti alle condizioni di vita della società,
e uno spostamento di necessità economiche dei gruppi. Si tratta di un processo di ricostruzione
dell’autorità dal basso: non è un processo intenzionale, non c’è una strategia generale, ma una
spontanea ricerca di situazioni nuove e concrete in cui il potere viene esercitato su una base
materiale di potere, di coordinamento di poteri, in una situazione più realistica anche se meno
definita culturalmente. Si configura una società dinamica che rompe gli schemi e cerca situazioni
nuove, una società in espansione, non una società statica.

Il disordine post carolingio


Il processo è grave e turbolento, ma anche di adeguamento della struttura dei poteri alla realtà
della società in movimento. Si tratta di un fenomeno creativo, importante, non solo di distruzione,
e lo stesso vale per la produzione culturale, che non ha la struttura formale, l’equilibrio, la sapienza
e la canonicità della produzione carolingia. La produzione culturale del mondo post carolingio,
infatti, è meno riportabile a modelli unificati, è sperimentale, rarefatta, ma con alcune personalità
originalissime e che non si possono ricondurre a scuole: una delle personalità più caratteristiche è
Gerberto d’Orillacq, erudito, maestro di scuola, amico di Ottone III, e da lui promosso al pontificato.
Gerberto d’Orillacq diventa, infatti, papa con il nome di Silvestro II.
È importante ricordare l’originalità e l’a-sistematicità del mondo post carolingio di X secolo.
Tuttavia anche in questo mondo così complesso e disgregato, esiste sempre la memoria dell’ideale
carolingio di assicurare al popolo cristiano una guida unitaria, ovvero un’ideologia che aveva ispirato
tutti i tentativi di organizzazione di Carlo Magno.
L’aspirazione alla guida unitaria di un mondo che andava frazionandosi viene ripresa dall’impero
sassone, ottoniano, nella sua rinascita in Germania. La slide mostra un avorio di tradizione
bizantina, che mette in evidenza i fondamenti del consistente potere degli imperatori sassoni,
fondato sul controllo della regione su cui esercitavano un potere ducale, ma fondato anche su una
vocazione ideologica a definire le funzioni religiose e provvidenziali dell’autorità imperiale, di cui si
servono per caratterizzare la loro autorità e per creare un progetto di ricostituzione di una
tradizione imperiale. Gli imperatori sassoni sanno che la loro autorità non si estende sul complesso
delle religioni cristiane, quindi una uniformazione politica di tutta la cristianità è molto lontana, ma
l’impero veglia sulla vita religiosa della chiesa e apre le frontiere. È nella riapertura delle frontiere
che risiede la caratteristica della vocazione politica ottoniana: loro proiettano la loro attività politica
e militare verso popoli nuovi da evangelizzare e aggregare. L’impero ottoniano e sassone ha una
struttura che non si prefigge di ricostituire il governo del complesso dei territori attraverso un
ordinato sistema di distretti territoriali ben definiti, e di autorità che si pongono come funzionari
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nominati dall’imperatore. La struttura dell’impero ottoniano ha una concezione più empirica, e ha
un’autorità con la funzione di raccordo tra i molti poteri sorti durante l’anarchia. L’impero non
pretende di imporre un modello di stato ideato dall’alto, ma si propone di raccordare i poteri, tutti
legati all’autorità imperiale, con un giuramento di fedeltà: in questo modo l’impero si costruisce
come un insieme di potentati tutti fedeli all’imperatore e tutti coinvolti nella struttura politica
istituzionale. Si tratta di un progetto notevole, di grandissimo fascino e prestigio morale, che
prevede e richiede una grande mobilità. Gli imperatori sassoni sono costretti a spostarsi
continuamente per rendere operante la loro funzione di poteri che sono invece radicati sul territorio.
Gli imperatori sassoni devono svolgere un coordinamento dei punti di potere già radicati nel
territorio.
Lo stesso sistema cluniacense consiste in una confederazione di monasteri uniti dall’osservanza di
una stessa regola: è un sistema per aggregare realtà territoriali diverse, e non a caso gli abati di
Cluny si spostano continuamente e stanno in contatto con i diversi poteri politici. La mancanza di
una struttura coerente li obbliga a spostarsi sul territorio.
Qualcosa del genere avviene anche nella chiesa ufficiale, nella chiesa papale. Tutto il processo di
riforma che culmina nella lotta alle investiture è un tentativo di raccordare le realtà ecclesiastiche
in una realtà ecclesiastica universale, e può fare i conti su una realtà più profonda di un raccordo
politico, perché per le realtà ecclesiastiche c’è un fondamento spirituale e divino, e il papato
coordina e costituisce un corpo compatto distinto all’interno della società cristiana e fortemente
coordinato dal papato stesso: per questo motivo ha luogo il conflitto tra papato e impero, e il
papato toglie all’impero la supremazia sull’autorità religiosa, e da questo momento le ideologie
politiche dovranno trovare un riferimento diverso per affermarsi.
In quest’epoca si assiste allo smembramento delle strutture statali e all’affermazione dei
particolarismi. Si deve comprendere tutto questo fenomeno che caratterizza lo slancio e il disordine
di fine IX, X e XI secolo inserendo la vicenda politico istituzionale in un trend espansivo.

Il trend espansivo
Questo mondo cavalleresco, violento, aggressivo e feudale, funziona e si caratterizza perché questa
sua sperimentazione di potere avviene in un momento di crescita demografica e economica, ed è
fondamentale tenerlo a mente per capire cosa c’è di nuovo.
Anche nel VII e VIII secolo abbiamo assistito a una crisi dello stato: i regni romano-barbarici, così
come i merovingi e i visigoti, hanno subito una crisi che li ha portati alla disgregazione per un
fenomeno apparentemente analogo a quello carolingio. Si è creata un’aristocrazia che
progressivamente ha eroso il potere del re e si è appropriata delle risorse dello stato al punto da
mettere in crisi la stessa istituzione regia, determinandone la scomparsa o la sostituzione. Vi è,
tuttavia, una grandissima differenza tra il sistema di poteri concorrenti o competitivi a quello regio
di VII e VIII secolo, e quello di ricerca di ricostruzione di potere del IX e X secolo. I poteri del VII secolo
sono esercitati da grandi proprietari e signori fondiari, che concentrano la proprietà fondiaria,
sottomettono la popolazione contadina privandola della libertà, e il potere è concentrato in gruppi
ristretti con seguiti militari. Nel IX e X secolo c’è un potere diffuso a livello sociale, a livello basso,
non concentrato, e si assiste a una moltiplicazione di poteri, a una ricerca sperimentale di
formazioni di potere nuove che avviene non in un contesto di economia latifondistica, ma in un
contesto in cui la ricchezza si produce in altri modi. Il potere economico di queste nuove

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aristocrazie in formazione si fronda sul controllo e sullo sfruttamento di produzione di ricchezza,
che la società produce in forme diverse.

La rinascita del XII secolo


La rinascita del XII secolo è stata illustrata ampiamente. Cosa ha di nuovo rispetto alla rinascita
culturale carolingia? La novità è la libertà della ricerca rispetto al modello normativo fisso e
imposto. Si assiste a una ricerca entusiastica di nuove fonti, di nuove risorse, di nuove basi di
sapere e di una riflessione critica sulla validità del sapere. Questa è un’innovazione straordinaria che
rivela la maturità della cultura europea del XII secolo. Si costituisce, inoltre, una cultura europea
comune: questa ricerca, questa realizzazione e questa sintesi si diffondono in maniera omogenea
nella società europea per una richiesta dal basso. È la società che chiede una dottrina, il sapere,
l’informazione e la formazione; e lo stesso vale per le istituzioni politiche, che dopo la crisi della
dispersione e della sconsacrazione dell’impero, cercano nuove forme di coordinamento e nuovi
significati. Si tratta di una ricerca sperimentale e funzionale che non adotta modelli consolidati, ma
crea strumenti dell’amministrazione, le esperienze e l’ambito del potere, che cerca di coordinare
territori nei quali si definisce l’autorità che viene esercitata con criteri razionali e organizzata in
forme statali di efficienza. Si assiste a una rinascita della razionalità anche nella vita politica e
nell’organizzazione politica.

Le fonti
Proprio per questa vitalità e per questo arricchimento anche spirituale della vita politica della
società europea, le fonti per ricostruire questo periodo sono tante rispetto a quelle prodotte per
l’età precedente, e di natura variata.
Le Cronache dell’Anno Mille di Rodolfo il Glabro sono uno dei documenti più significativi per
studiare il modo in cui si concepiva il racconto storico nella cultura monastica dell’XI secolo,
un’epoca in cui si avvertiva ancora difficoltà a comprendere il senso delle cose che stanno
accadendo. Un’altra fonte è l’Autobiografia di Abelardo, e lettere che si scambiarono Abelardo e
Eloisa dopo la monacazione di entrambi. Si ricordino, poi, i romanzi cortesi di Chretien de Troyes.
Una fonte interessante, infine, è l’opera della monaca visionaria Ildegarden di Bingen: esistono sue
opere tradotte in italiano, come Horto Virtutum.

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Lez. 23 - Società ed economia nell’Europa del XIII secolo
Gli argomenti:
- Espansione della società borghese
- Città e campagna nel XIII sec.
- Manifattura e organizzazione delle arti
- Consolidamento della rete commerciale
- Ansa tedesca
- Rete continentale
- Moneta

Espansione della società borghese


Nel XIII secolo si afferma in tutta Europa un ceto nuovo, che non corrisponde al ceto militare o al
ceto di contadini, ma a persone che vivono in città, e che vivono di un’economia fondata sulla
manifattura e sul commercio. Si tratta del ceto borghese. Il termine borghese nel medioevo è una
parola che esiste, ma significa colui che gode del diritto dei cittadini, e non indica una classe sociale
o economica. Questo altro significato matura nel corso dell’età moderna, quando il ceto borghese
è giuridicamente definito, e ha una connotazione giuridica omogenea. Nell’ 800 e nel ‘900, poi,
indica una classe sociale caratterizzata da una certa situazione economica. Utilizzare la parola
borghese nel medioevo crea qualche difficoltà, è un traslato, e non sarebbe corretto parlare di
borghesia in senso moderno. La parola medievale più appropriata è popolo, perché con questo
termine si definisce questo nuovo soggetto sociale. Anche il termine popolo deve essere usato con
prudenza, perché oggi vi attribuiamo un significato diverso, più popolare e proletario; allora era il
ceto dei piccoli imprenditori, dei piccoli proprietari fondiari, che aveva una partecipazione politica
che costituisce la novità dei regimi cittadini nel XIII secolo.
L’affermazione di questo nuovo ceto sociale va di pari passo con l’espansione dell’attività
economica nelle città: il XIII secolo è un passo ulteriore di sviluppo fondato sull’incremento della
produzione, sulla razionalizzazione delle tecniche produttive, sull’espansione dei mercati e sulla
crescita e il consolidamento dei mercati. Il ceto sociale si forma e si afferma parallelamente a
un’ulteriore espansione delle attività economiche.

Città e campagna nel XIII secolo


Parallelamente si modificano rapporti tra città e campagna. La città è egemone e la campagna è
assoggettata alle necessità economiche della città. La campagna ha un diritto diverso, e la
produzione, l’organizzazione sociale e la vita delle persone viene strutturata sulle esigenze della
città, che esercita il controllo sciale e politico sulla campagna.

Manifattura e organizzazione delle arti


Essenziale è l’organizzazione delle attività manifatturiere nel sistema delle arti. Un’arte è una
corporazione di mestiere, un’associazione di botteghe che producono la stessa cosa: si ricordano,
per esempio, le botteghe dei panettieri, degli orefici, dei tintori dei panni di lana o dei notai.
L’organizzazione delle arti e dei mestieri abbraccia tutte le attività economiche, che diventano
articolate, complesse e specializzate a causa della crescita delle attività economiche e della
razionalizzazione del sistema produttivo. L’arte ha i propri organi consultivi, e vengono eletti
magistrati che ne coordinano l’attività, e sono chiamati consoli. La finalità dell’arte è di regolare la
produzione assicurando la possibilità di sopravvivere a tutti coloro che gestiscono una bottega.
L’arte agisce imponendo standard qualitativi dei prodotti, standard di lavorazione, e regole
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dell’attività economica, (per esempio il divieto della concorrenza, dell’innovazione tecnologica, del
superamento di determinate quote di produzione): l’importante è conservare un assetto sociale che
consenta la prosperità a tutti coloro che sono entrati a far parte dell’arte.
Questo sistema, però, non promuove la ricerca di soluzioni nuove, di innovazioni tecniche, e la
crescita della produzione, che viene controllata per evitare crisi di sovrapproduzione con
conseguenza di diminuzione dei prezzi. L’arte coordina anche la carriera degli appartenenti
all’arte: in ciascuna bottega ci sono figure professionali di diverso livello di esperienza, come il
maestro, gli apprendisti e i lavoratori salariati, che svolgono le funzioni più umili e meno protette. Il
numero delle arti è vasto, ne abbiamo un’indicazione per Parigi nel 1278, quando si rilevano
centouno mestieri organizzati in arti.
In Italia abbiamo molte arti, e molto consistente è la quantità di popolazione urbana che fa
riferimento al sistema delle arti. Le arti delle città sono tutte finalizzate al mantenimento del livello
produttivo, ma non sono tutte sullo stesso piano però: ci sono diversi livelli di prestigio e diversa
capacità di presenza e credito sociale. Nel Duecento le arti che hanno il più grande sviluppo
nell’organizzazione delle città sono quelle legate alla tessitura e alla produzione dei panni, che è il
settore trainante. Si tratta quindi di un’attività manifatturiera, non si parla ancora di produzione
industriale, che è un sistema moderno. Il sistema delle arti è frazionato, ogni bottega è autonoma
e ha la sua produzione. Ci sono anche innovazioni tecniche che nel Duecento migliorano la qualità
dei panni o accelerano la produzione, e il ciclo del sistema delle arti che ruotano attorno alla
produzione dei tessili comincia dal reperimento della lana, passa attraverso tutte le fasi di
lavorazione e termina nell’arte dei mercanti che curano la commercializzazione del prodotto. Il
prodotto, infatti, ha un mercato internazionale, e per questo il complesso delle arti dedicate diventa
fondamentale. Quello dei panni di lana, dei tessili, è il tipo di produzione che più immediatamente
raggiunge mercato internazionale.

Consolidamento della rete commerciale


Il commercio è un altro grande aspetto dell’espansione economica del XIII secolo. Si tratta di
un’attività economica, una situazione non nuova: l’attività commerciale era già decollata in parte
dalla fine del X secolo, e poi nell’XI e nel XII secolo. L’attività commerciale si sviluppa nei due grandi
bacini in comunicazione marittima che si trovano ai poli opposti del territorio europeo, il bacino del
Mediterraneo e quello del Mar Baltico. Le attività di navigazione fioriscono dall’ XI e dal XII secolo,
e le stesse crociate si inquadrano in questo senso. Nel XIII secolo questo movimento raggiunge livelli
di straordinaria intensità e dinamismo nel movimento delle merci e nella conquista dei mercati: per
quanto riguarda il Mediterraneo, protagoniste sono le due città italiane che noi conosciamo come
repubbliche marinare, Venezia e Genova. Venezia e Genova costruiscono nel corso del XIII secolo,
al da là di una rete di navigazione, dei veri e propri imperi mercantili, e nel XIII secolo si è parlato di
un’epopea del mercante che subentra e sostituisce l’epopea del cavaliere caratteristica del XI e XII
secolo. Il mercante è il nuovo protagonista che viene alla ribalta dello scenario dell’epoca: le rotte
mediterranee da Venezia, costeggiando la costa, arrivano a Costantinopoli. Si tratta di un
importante punto di contatto sia con le linee di trasporto delle merci dall’Oriente, sia con quelle che
venivano dal Mar Nero.
Ai primi del XIII secolo Venezia riesce a superare queste limitazioni: nel 1204 ha luogo la quarta
crociata, in cui i cavalieri che dovevano recarsi in Egitto, perché da lì partiva il controllo islamico
sulla Palestina, vengono dirottati dai veneziani su Costantinopoli. I crociati conquistano
Costantinopoli ed eliminano l’impero bizantino costituendo un impero latino. Chi fa la parte del
leone in questa ristrutturazione dell’impero bizantino è Venezia, che costituisce un impero
commerciale fondato su una serie di colonie territoriali date ai crociati veneziani in cambio del
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trasporto navale e del sostegno alle crociate. I veneziani si stabiliscono in Creta e hanno scali e città
in Dalmazia, nella costa illirica e in Grecia: ottengono insediamenti a Costantinopoli e l’esenzione
doganale totale sui traffici nel Mediterraneo. Si registra un progresso straordinario veneziano nel
controllo delle linee di navigazione, e della tradizionale rotta mercantile controllata da Venezia.
Nel corso del Duecento sorge la grande antagonista di Venezia, cioè Genova, che tra XI e XII secolo
si è specializzata e ha potenziato la sua attività di navigazione nel Mediterraneo occidentale in
relazione alla conquista della Spagna e al nuovo regno normanno in Italia meridionale. Ha
proceduto alla creazione di insediamenti e al controllo del dominio coloniale sulle grandi isole al
centro del Mediterraneo occidentale, e anche sull’Africa.
Genova si scontra con Pisa, che ha gli stessi interessi e le stesse rotte, e entrambe hanno una meta
in Terrasanta perché sia i pisani sia i genovesi hanno creato empori lungo la costa del vicino oriente.
È Genova che ha la meglio nei confronti di Pisa e Venezia, perché stabilisce col dominio bizantino
sopravvissuto a Nicea, in Asia Minore, un’alleanza che facilita il ritorno al potere a Bisanzio di questa
famiglia bizantina che recupera potere dell’impero, espellendo i latini. I genovesi ricevono dai loro
alleati, come il nuovo imperatore Michele Ottavo Paleologo, privilegi e vantaggi commerciali che
prima si erano accaparrati i Veneziani. I Veneziani vengono cacciati da Costantinopoli.
L’impero restaurato è molto debole, e nella parte finale del XIII secolo si assiste al ritorno dei
Veneziani: si stabilisce una sorta di compresenza di veneziani e genovesi, e si aprono gli stretti, e
con essi la possibilità di stabilire colonie commerciali in Crimea e sulle sponde del Mar Nero.
A partire dal 1270 tutta l’area interna che si estende fino la Cina, è unificata da una grande pacifica
dominazione mongola, e da questi scali economici si entra in contatto con questa grande area
economica da cui si trae ricchezza.
I due sistemi politici, veneziano e genovese, hanno caratteristiche diverse, e anche
l’imprenditorialità è diversa. A Venezia l’imprenditorialità è dello stato; a Genova dei privati, e lo
stato ha solo funzione di coordinamento. I genovesi hanno una flessibilità maggiore, non sono legati
a un’impalcatura statale rigida, e potenziano i rapporti con la Spagna e con l’occidente; attivano una
nuova rotta commerciale che, doppiando la Spagna, va lungo l’Atlantico fino a raggiungere le
Fiandre, che sono uno dei grandi poli di produzione tessile in Europa. Questa rotta apre la strada
dell’Atlantico, e sono genovesi gli esploratori che nel 1291 cercano di circumnavigare
fallimentarmente l’Africa per arrivare alle Indie: questo episodio rivela il dinamismo e la ricerca di
occasioni degli imprenditori commerciali genovesi.
Nel Duecento c’è un miglioramento delle tecniche di navigazione commerciale. La navigazione
tradizionale è la galera a remi, ma nel corso del XIII secolo si sviluppa un diverso tipo di imbarcazione,
la nave, che ha una struttura tonda, un castello di poppa, il doppio ponte e consente di trasportare
più merci. Poi si introduce l’uso della bussola, la creazione e l’utilizzazione di portolani, mappe delle
coste con indicazione della linea di costa approdi e altri punti che facilitano la navigazione. Vengono
introdotte anche tecniche finanziarie, commerciali, giuridiche, legate all’attività commerciale.
Quali sono le merci? Soprattutto le spezie: ma non solo pepe, aromi, cannella, profumi, incenso, ma
anche cera, rame, materiali tintori, l’allume utilizzato nella lavorazione dei panni, la colla. Sembrano
cose irrisorie ma, in un sistema economico così, anche prodotti di questo genere erano strategici
per svolgere le lavorazioni, oltre ai medicinali. Anche le derrate alimentari venivano trasportante,
soprattutto grano, che veniva trasportato in città italiane, dove in caso di crisi si poteva porre
rimedio. Come pagano queste merci orientali i genovesi e i veneziani? Esportano tessuti, tele, e
pagano con l’argento, che viene esportato in lingotti perché la moneta d’argento dalla fine del XII
secolo non va tanto bene per il mercato internazionale. Gli itinerari importanti non sono solo queste
rotte che portano i prodotti dall’oriente a Genova e Venezia, ma anche da Genova e Venezia le merci
vengono convogliate nell’Europa: da Genova attraverso la Francia alle Fiandre, poi via mare. Da
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Venezia attraverso il Brennero viene attivata la linea che va verso la Germania e verso i nuovi paesi
orientali dell’Europa, l’Ungheria e la Polonia.

Ansa tedesca
L’area mediterranea non è l’unica dove si sviluppi quest’attività commerciale; vi è anche un’area
settentrionale in cui si forma il sistema della navigazione commerciale tedesca. L’area è quella del
Baltico, dove si sviluppa una intensa attività di mercanti tedeschi che partono dai porti della costa
settentrionale della Germania. Importante, in questo contesto, è Lubecca. I mercanti tedeschi si
dirigono verso l’isola di Gotlam, la Svezia, la costa settentrionale della Polonia, inserendosi in linee
di traffico che raccolgono il traffico della Russia e lo integrano con risorse tipiche della pesca (uno
dei prodotti è il pesce salato) e con risorse della produzione delle foreste, svedesi.
L’evoluzione della nave nel Mediterraneo ha anche risentito delle esperienze baltiche.
Lubecca è la città da cui parte movimento di espansione dei mercanti tedeschi, che mettono in
relazione le risorse del Baltico con i bisogni e la produzione della Germania interna, fino a quando
non arrivano a stabilire contatti con l’Inghilterra e con le fiandre, nella città di Bruges, che diventa
un centro internazionale di scambi commerciali in cui convergono mercanti tedeschi, inglesi,
italiani. A Bruges si sviluppa un sistema di credito a sostegno del commercio. I tedeschi avranno un
ruolo di primo piano in questo, e anche i londinesi, appoggiati dal re. Oltre al pesce essiccato, anche
pelli e pellicce che vengono dalla Russia.

Rete continentale
Nel corso del Duecento queste intense circolazioni avvengono non solo lungo il mare; anche
attraverso il continente si stabiliscono itinerari che collegano l’Italia con la Francia e con la Fiandra,
e collegano l’area tedesca con zone di nuova colonizzazione. La colonizzazione viene promossa dai
mercanti tedeschi, e dai coloni che cercano insediamento nelle regioni slave in Boemia e Polonia, e
che creano insediamenti cittadini con un particolare diritto, mantenendo una forte identità tedesca
separata da quella delle popolazioni slave. Essi hanno un’attività manifatturiera e agricola, e sono
collegati a movimenti di tipo commerciale. Nel XII e nella prima metà del XIII secolo le linee interne
danno luogo a punti di incontro dei marcanti in cui la produzione e l’attività mercantile si incontra
con la produzione e il traffico dall’Italia, soprattutto in Champagne, dove hanno successo le fiere, i
punti del commercio internazionale all’interno del territorio continentale. Presso queste fiere ci
sono zecche che emettono la moneta necessaria alle transazioni, ma si sviluppa anche il credito,
perché non tutte le transazioni vengono regolate in moneta sul posto. Le fiere di Champagne
perdono di importanza alla seconda metà del XIII secolo, mentre acquistano importanza le fiere
permanenti nelle città che hanno anche rilevanza politica: cresce così l’importanza di Parigi, che
diventa il grande mercato della Francia settentrionale, mentre Londra diventa un mercato
permanente.

Moneta
Lo slancio commerciale trova il suo obbligatorio complemento nel rinnovamento del suo principale
complemento, la moneta, che ne corso del Duecento in Italia non era molto forte. Si conia una
buona moneta d’argento, più pesante e con più valore. Il sintomo di una nuova economia
fortemente monetizzata è il ritorno alla coniazione della moneta d’oro, che non era stata più
coniata in occidente dalla crisi del VII secolo, con la crisi della moneta aurea romana. Si coniano il
fiorino e il genovino, e pochi anni più tardi il ducato, la moneta d’oro veneziana. Il ritorno alla
moneta pesante è il sintomo migliore dello sviluppo del commercio, della monetizzazione crescente
del sistema economico, e del bisogno di fare assegnazione a una moneta forte.
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Lezione 24 - La cultura della borghesia cittadina
Gli argomenti:
- I governi cittadini in Italia
- I governi cittadini negli altri paesi
- La religiosità
- L’istituzione
- La letteratura borghese

I governi cittadini in Italia


Il XIII secolo vede una organizzazione del governo comunale. Già dalla fine del XII compare la figura
istituzionale del podestà, che deve portare ordine e pacificazione, e che si diffonde nel XIII secolo,
diventando caratteristico. È un funzionario esterno alla città, e proprio in questa sua estraneità
risiede l’imparzialità nel conflitto tra i gruppi, e il tentativo di stabilire un governo equo
nell’interesse e nel raccordo di tutti i gruppi che partecipavano al potere cittadino.
Il podestà è un funzionario retribuito dal comune, che arriva con un suo seguito di armati e uno staff
di esperti dell’amministrazione: giudici, notai, ecc… che collaborano nel governo della città sotto il
profilo dell’esercizio dei poteri esecutivi, e nell’amministrazione della giustizia. Il podestà è
nominato per 6 mesi / 1 anno, e alla fine del mandato è sottoposto a un sindacato sul suo operato.
Nel corso del Duecento il mestiere del podestà diventa un’attività professionale fatta da un gruppo
di tecnici che provengono da famiglie con connotazione militare: sono questi i due aspetti che
coesistono, quello giuridico e di amministrazione, ma anche il saper reggere l’ordine pubblico e
poter intervenire contro i perturbatori dell’ordine pubblico. Si scrivono anche trattati e manuali
destinati ai podestà, ma oltre alla figura podestarile il Duecento è l’epoca in cui i comuni organizzano
uffici e amministrazione, e definiscono le proprie competenze e tecniche di governo in senso statale.
I comuni hanno una quantità di competenze: insieme con il podestà si definiscono meglio le
istituzioni consigliari dell’amministrazione comunale. Anche in età consolare vi è l’esistenza di una
grande assemblea di persone, l’arengo, che partecipava alla politica. Nel Duecento si definiscono
consigli elettivi su base rionale, sono rappresentativi delle diverse componenti sociali della
cittadinanza; a questi consigli rimane il potere esecutivo, mentre il potere legislativo viene
esercitato dalla cittadinanza attraverso i consigli. Forte partecipazione della cittadinanza, e i consigli
deliberano su molte cose dell’amministrazione comunale. Si definiscono anche una serie di uffici
che costituiscono il governo e l’amministrazione del comune: l’ufficio del camerlengo che tiene la
contabilità, un complesso di uffici di natura giuridica come i notai, che registrano le deliberazioni
degli organi, la cancelleria, l’organo di gestione dei rapporti tra comuni, politici legali e diplomatici.
Vi sono funzionari deputati a particolari incarichi e funzioni, con il titolo di balivi: essi sono deputati
alla realizzazione delle opere pubbliche, e sono ufficiali delegati a rifornimenti annonari. Nel corso
del Duecento, insomma, si stabiliscono uffici con specializzazioni e competenze ben precise: si
definisce bene la fiscalità comunale, perché i comuni hanno bisogno di soldi per funzioni e esigenze
fisse, come il pagamento degli stipendi ai funzionari. Un’importante attività dei comuni è quella
della guerra per difendere la posizione sul territorio e gli interessi nei confronti del territorio
esterno, dei residui dell’aristocrazia, e degli altri centri cittadini. I comuni, quindi, devono
anche organizzare il servizio militare, cui tutti i maschi adulti sono tenuti, in forme diverse a seconda
delle tradizioni famigliari e della condizione economica. Le tradizioni di famiglia che distinguono le
diverse forme di servizio militare risalgono nell’aristocrazia feudale, e abilitano i successori di quelle
famiglie al servizio a cavallo; sono tenuti al servizio a cavallo i cittadini più facoltosi, che essendo
spesso artigiani o mercanti non hanno una vocazione militare, ma possono pagare qualcuno che lo
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faccia per loro. Il resto della cittadinanza è obbligata al servizio militare a piedi, e la leva avviene su
reclutamento topografico basato sulla residenza.
I comuni, quindi, devono organizzare un sistema fiscale capillare, e impongono tasse dirette e
indirette: impongono quelle dirette elaborando sistema di imposizione fiscale fondato sui fuochi,
per cui vengono tassati i nuclei famigliari, ma si sviluppa anche un sistema di tassazione più simile
ai criteri moderni per cui vengono tassate la ricchezza e la proprietà attraverso la denuncia del
proprio patrimonio, che viene registrata da ufficiali comunali, gli allibratori.
Il comune ha un’attività vasta, oltre a queste funzioni di governo, di guerra e fiscalità: si tratta di
competenze che vanno dal controllo del territorio urbano, all’edilizia, alla promozione di opere
pubbliche, ai rifornimenti annonari, alla cura delle strade, alla politica urbanistica e dell’ambiente,
al controllo sulle produzioni artigianali e vivibilità dell’ambiente, al controllo sulle corporazioni e sui
salari, sui livelli dei prezzi. Si tratta di una grossa attività di gestione della società cittadina,
minuziosa e capillare, che esercita competenze statali.
Nei comuni italiani esiste una lotta politica molto forte che si sviluppa nel corso del Duecento man
mano che il popolo acquista compattezza, coscienza di sé e aspira a gestire un governo comunale.
Questo avviene in antagonismo con esponenti dei ceti che prima avevano monopolizzato il controllo
delle risorse del governo comunale. Si verifica una lotta per l’accesso al governo, combattuta sulla
base di una distinzione di classe: i popolani si organizzano anche militarmente per difendersi dal
predominio del ceto di origine militare e cavalleresca, e per portare anche con la forza delle armi le
loro rivendicazioni di gestione degli affari, degli interessi e degli uffici comunali. Si costituisce una
societas populi con caratteristiche militari e che si contrappone alla societas militum che raccoglie
gli esponenti dell’aristocrazia espressa nel governo consolare. È una lotta che avviene per le strade
dei comuni, e fa sì che la vita interna dei comuni italiani sia turbolenta. Il popolo si organizza con
propri consigli e con propri funzionari, rappresentanti che hanno il titolo di priori o anziani, e che
coordinano gli interessi e l’organizzazione di questa parte popolare: essi affiancano gli organi
comunali come i consigli del comune e il podestà, attraverso l’istituzione del capitano del popolo,
un capo che ha anche poteri militari. Si sviluppa una struttura di governo dualistica in cui le
istituzioni di governo comunali sono affiancate da quelle consigliari e di governo della parte
popolare.
Questo conflitto si radicalizza nella seconda metà del XIII secolo come conflitto tra popolani e
magnati, ossia coloro che vivono nel comune con uno stile di vita e delle consuetudini di natura
signorile, cavalleresca e militare. L’essere magnati non è legato precisamente a una tradizione
ereditaria di famiglia; è la voce collettiva che designa alcune famiglie come famiglie di magnati in
base al tenore di vita e alle consuetudini. I rappresentanti del popolo tendono a limitare sempre di
più la partecipazione agli uffici comunali, anche se non la escludono completamente perché poi i
magnati rappresentavano una importante tradizione cittadina, e rivestivano un ruolo sia nella
rappresentanza di onore, sia nella condotta della guerra: non vengono esclusi, ma limitati e
discriminati dal punto di vista giuridico. I procedimenti giudiziari contro i magnati, per esempio,
possono avvenire per strade spicciative, e possono essere fondati su semplici accuse portate dai
popolani senza approfondimento.
A questa distinzione si somma poi, dalla metà del secolo, le divisioni tra ulteriori fazioni, guelfi e
ghibellini. Sono fazioni che si affermano nei comuni italiani in relazione alla politica di Federico II,
che cerca di rinnovare nei confronti dell’Italia centro settentrionale quel tentativo di imporre
l’autorità imperiale che già era stato di suo nonno Federico Barbarossa: nei confronti di Federico II,
che cerca di entrare nel gioco politico dei comuni italiani, si determinano fazioni che si appoggiano
sui conflitti già in corso nei comuni. I ghibellini sono favorevoli alla presenza imperiale, i guelfi sono
contrari e perciò si appoggiano al papa e all’autorità papale. Questi conflitti si sommano e si
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determina una rissosità che ha come sua espressione caratteristica il bando, il fuoriuscitismo delle
fazioni che vengono sconfitte, che perdono beni, le cui case vengono distrutte e i cui membri
vengono esiliati. Negli esili i fuoriusciti stabiliscono alleanze con le parti corrispondenti delle altre
città e creano reti di relazioni, di rapporti tra città e città, fazioni e fazioni, che costituisce una forma
di coordinamento politico più vasto.
Quello italiano comunale è un sistema con una grande conflittualità interna, tanto che ci si può
domandare come non abbia danneggiato il benessere economico delle città italiane, eppure non lo
compromise. I ceti dirigenti in questi comuni si definiscono, e al di là delle fazioni sono abbastanza
stabili da garantire continuità.

I governi cittadini negli altri paesi


I governi cittadini negli paesi presentano un livello di conflittualità e articolazione sociale meno forte
e dinamico. Il ceto aristocratico di Francia, Fiandre e Germania non esiste all’origine della città, ma
esiste un patriziato, un gruppo iniziatore dell’ascesa cittadina, che tra XI e XII secolo ha maturato il
controllo del territorio, i rapporti con il sovrano che ha la giurisdizione sulla città e sul territorio. Si
tratta di un patriziato all’interno del quale vengono eletti gli scabini, ossia gli esperti di diritto.
Questo patriziato tende a conservare, tra XII e XIII secolo, un’egemonia cittadina contro i nuovi
venuti e le persone che fanno carriera e fortuna nell’esercizio delle arti e della mercatura. Il conflitto
non raggiunge la violenza italiana, anche perché le città oltralpe non sono completamente
autonome, ma sono soggette al controllo di un principe o di un sovrano, che limita la possibilità di
conflitto entro certi livelli di asprezza. Solo in Fiandre ci sono momenti in cui la lotta sociale in città
diventa molto aspra e violenta.

La religiosità
All’interno delle cittadinanze fin dal XII secolo si sono determinati gruppi, persone, istanze che
tendono a una pratica della religiosità nel mondo cittadino più intensa e consapevole. Essi che non
trovano soddisfazione nell’adesione e nella sottomissione alle pratiche liturgiche della chiesa
ufficiale, che assume caratteri mondani, di potenza di gestione di una autorità forte, di capacità di
controllo formale della società, e perde in qualificazione morale, prestigio religioso: questo
fenomeno dà luogo alla ricerca di forme di vita più consone. Viene ricercato un modello vita
evangelica, seguita dagli Apostoli e da Cristo stesso. Alla fine del XII secolo si definiscono gruppi
che vivono una vita all’interno del mondo, lavorando, ma in condizione di povertà e con un
comportamento austero o ascetico, e praticano una predicazione laica, volta a stimolare una
pratica di vita consona agli ideali della semplicità. Questi ideali corrispondono a un bisogno diffuso
nella società: Valdesi (Lione), Umiliati (Lombardia), e cercano coordinamento e attenzione da parte
delle autorità ecclesiastiche, che però sono sospettose verso la volontà dei laici di predicare. Spesso
questi gruppi subiscono una condanna formale delle loro esperienze da parte della chiesa, e coloro
che praticano queste esperienza sono condannati e vengono perseguitati come eretici. Si diffonde,
una forma più marcata e più organizzata di religiosità popolare alternativa a quella ufficiale, che è il
catarismo, che si innesta su un bisogno di vita religiosa profonda, semplice e austera, nella vita nel
mondo: su questo si innestano anche suggestioni di natura teologica che dividono il mondo in due
regni, sia quello terreno sia quello divino, in due principi uno buono e uno cattivo, un conflitto
eterno nel quale gli uomini devono fare le loro scelte, e solo con l’adesione alla rinuncia, all’austerità,
possono favorire nella lotta il principio del bene contro quello del male. Questa pratica e teologia si
diffonde moltissimo nella Francia meridionale e in Italia, dove si somma ai movimenti comunali,
sicché spesso queste esigenze di religiosità diverse si uniscono alle fazioni. Il catarismo gode della
protezione delle piccole aristocrazie, e in Italia si associa al ghibellinismo. Il catarismo fonda una
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propria chiesa, con propri vescovi, e questo è un problema per la chiesa ufficiale, che interviene
pesantemente con una serie di iniziative che culminano nella guerra contro i catari e nella loro
persecuzione.
Si tratta di istanze che hanno un radicamento nelle società borghese, e sono riflesse da una
straordinaria esperienza, che si costituisce intorno alla persona di San Francesco di Assisi (1182 –
1226): l’ispirazione è quella della penitenza fatta dai laici, della volontà di imitare la vita apostolica
e di Cristo nella semplicità, nell’umiltà, nell’obbedienza, nel rifiuto della ricchezza. Si ricercano
forme di lavoro umile in mancanza del quale anche elemosina viene accettata. Anche Francesco
stimola la predicazione laica, che è fondata sull’esempio, sull’esperienza di autorità della vita, che
viene portata in giro, sulla predicazione itinerante come modello di vita cristiana per formare il
fondamento e la legittimazione di una predicazione che invita le popolazioni cittadine e borghesi al
pentimento e alla penitenza. Francesco riscuote un successo straordinario: predica in totale
sottomissione al potere della chiesa, non si pone come esperienza alternativa, ma il rapporto con
la chiesa ufficiale è travagliato, e presto la chiesa si rende conto della forza di penetrazione, della
capacità di contrasto che ha questo movimento. La chiesa si dimostra interessata ad assorbirlo e
normalizzarlo, e costituirlo come un organo della chiesa e forte strumento di predicazione
conversione e legittimazione della chiesa stessa.
Lo stesso si può dire per l’altro grande movimento, dei domenicani, che ha la sua fondazione con
l’opera di San Domenico, chierico con una forte preparazione teologica, che inizia la predicazione
itinerante fondata su austerità e povertà. Anche Domenico ha rapporti con la chiesa ufficiale e
riceve la conferma di una regola e la legittimazione all’esercizio della predicazione. I francescani
hanno un radicamento popolare e si rivolgono alla pietà, i domenicani hanno una grossa
competenza teologica e dottrinale e cercano collegamenti con le istituzioni comunali, e cercano di
fare inserire norme per la persecuzione degli eretici. Promuovono, inoltre, movimenti di
pacificazione tra i gruppi e le fazioni, e accedono all’insegnamento universitario e all’inquisizione.
Attraverso la predicazione di questi due ordini le esigenze religiose della società comunale vengono
appagate. Nel Duecento questa esigenza si esprime nella costituzione di una confraternita della
penitenza e di mutua assistenza e solidarietà tra le persone che trovano in un culto particolare il
punto di aggregazione.

L’istruzione
Gli organismi comunali hanno delle scuole, ma di tipo elementare, in cui ai ragazzi viene insegnato
a leggere e scrivere e fare di conto, mentre l’istruzione vera e propria viene praticata nelle botteghe
professionali. Gli aspiranti alla mercatura fanno la loro pratica e apprendono nelle imprese dei
mercanti, e gli aspiranti alla pratica notarile ricevono una preparazione tecnica professionale nelle
botteghe dei notai. Nel Duecento attraverso questa forma di apprendimento professionale si
sviluppano tecniche importanti di finanza, di contabilità, partita doppia.

La letteratura borghese
L’università nel corso del Duecento non è diffusa in tutte le città, ma è comunque il punto in cui il
ceto borghese omogeneamente consegue la formazione: indipendentemente dal sistema
scolastico che nel corso del Duecento la cultura borghese produce una sua letteratura. Nel Duecento
siamo alle origini della letteratura italiana in volgare, che nasce come letteratura della borghesia
soprattutto nell’Italia centrale e meridionale. Una letteratura di natura religiosa, una poetica di
carattere più elevato e raffinato, che sviluppa esperienze provenzali, e una letteratura di natura

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tecnico professionale, retorica, che imposta i criteri della comunicazione politica e diplomatica, della
espressione pubblica da parte dei titolari di autorità e poteri all’interno dei comuni.
Si sviluppa un interesse per una letteratura nuova, consona ai gusti e alle esigenze del nuovo ceto
borghese.

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Lez. 25 – Il consolidamento dei regni nel XIII secolo
Gli argomenti:
- le istituzioni di governo nei regni europei: Sicilia, Francia, Inghilterra
- i poteri del re
- re e corpo del regno

Le istituzioni di governo nei regni europei: Sicilia, Francia, Inghilterra


La novità della costituzione dell’organizzazione dei regni nel XIII secolo in Europa è che si organizza
meglio tutto il potere centrale. Si creano, infatti, degli uffici centrali attraverso i quali si gestisce e
si organizza la funzione di controllo del regno e l’esercizio delle funzioni regie. Quello che è
caratteristico del XIII secolo è che l’autorità del sovrano riesce a raccogliere sotto di lui le diverse
giurisdizioni che esistevano. Nel XII secolo, invece, ossia nel secolo precedente, l’autorità regia è
una fra le altre, e si apre la strada attraverso la rete di giurisdizioni feudali ed ecclesiastiche. Nel XIII
secolo la giurisdizione regia riduce sotto di sé tutte le altre giurisdizioni, organizzando il regno come
un complesso unitario dal punto di vista istituzionale e giuridico.
Sicilia: si assiste al consolidamento del Regno di Sicilia sotto Federico II. Abbiamo già parlato di
Federico Barbarossa e di come egli cerca di organizzare il potere dell’impero tedesco con nuove
risorse ed espedienti. Uno degli espedienti è l’aver combinato il matrimonio di suo figlio Enrico VI
con l’erede dei normanni di Sicilia, Costanza d’Altavilla. Dall’unione di Enrico IV e Costanza D’Altavilla
nasce Federico II, che ha un ingresso nel potere estremamente travagliato perché i due genitori
muoiono presto. La prima fase della sua vita è agitatissima, l’ingresso nel potere può avvenire tardi,
e in Sicilia prima che nel regno di Germania. In Sicilia ottiene il potere per protezione, per
intercessione del papa Innocenzo III, suo tutore, che lo salva da una lotta di fazioni, principi, ecc, e
invia il giovane Federico II a conquistare regno di Germania e la corona Imperiale. A partire dal
1220 Federico II torna in Italia, nel suo regno di Sicilia, e si dedica al consolidamento del potere
monarchico e poi al consolidamento e alla definizione del regno nella sua organizzazione
istituzionale e organizzativa. Federico II avoca tutti i diritti della sovranità e del regno a sé, sottopone
al suo controllo tutti i diritti, le giurisdizioni e i privilegi prima usurpati, e impone la verifica del
fondamento legale dell’esercizio di questi diritti, tra i quali l’incastellare (ovvero il disporre
fortificazioni). L’iniziativa più importante è la promulgazione di un codice di leggi nel 1231, le
Costituzioni di Melfi pubblicate nel Liber Augustalis, ossia libro imperiale. Federico II assommava
in sé la figura di Re di Sicilia e imperatore. Si tratta di un complesso di leggi organico, caratterizzato
dal riordinamento sistematico di tutte le istituzioni del regno in un modo coerente fondato sulla
separazione delle funzioni amministrative, giudiziarie e fiscali, con uffici che vanno in livelli diversi:
dai funzionari sul territorio a livello locale, ai funzionari intermedi e poi la corte regia, che tiene le
fila dell’amministrazione e dell’organizzazione del regno.
L’idea che regge questa grossa opera di legislazione è quella che il sovrano debba garantire il
benessere del regno, degli abitanti: in questo ridiede la sua funzione essenziale. Uno dei modi per
raggiungere questo obiettivo è quello di imporre una sorta di etica a tutti i funzionari, il cui
comportamento è legato a una correttezza moralità, e alla celerità delle disposizioni. Federico II
organizza le risorse del regno attraverso la riorganizzazione degli introiti fiscali, mirati a colpire tutte
le grandi attività commerciali, ma anche attraverso l’istituzione di aziende regie per la produzione,
per creare reddito a favore delle casse dello stato. Il regno, quindi, può funzionare anche in assenza
del sovrano, sotto il coordinamento di altissimi funzionari come il grande giustiziere del regno.
L’autorità regia è di protezione nei confronti di tutti i sudditi, e a tal fine si instaura l’istituzione della
defensa: si tratta di una possibilità che ha ciascun suddito del regno di essere difeso dal nome del
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sovrano in caso di violenza fisica. Con l’istituzione della defensa un’aggressione esercitata dopo la
pronuncia del nome del sovrano viene punita con pene severissime: lo stesso nome del sovrano,
infatti, dà sicurezza a tutti gli abitanti. Viene elaborata un’organizzazione che sopravvive allo stesso
Federico II, e dopo la sua morte una serie di vicende fanno sì che il regno passi dalla dinastia sveva
alla dinastia francese, sotto l’egida del papato che combatte gli svevi per il predominio in Italia. La
struttura istituzionale, tuttavia, la funzione del regno, continua anche sotto la nuova dinastia, perché
coerente, organica e in grado a resistere al cambiamento di dinastia regia.
Le slide mostrano la moneta Augustale di Federico II e un castello: Federico II costruì molti castelli
per potenziare punti forti sul territorio, sedi delle guarnigioni, le cui funzioni sono descritte nel Liber
Augustalis.
Francia: abbiamo descritto la situazione del regno in Francia nel XII secolo come se l’autorità del re
fosse meno presente e forte nei confronti di un sistema di principati feudali che erano
profondamente radicati e che potevano reggere il confronto con il potere del re, salvo che sul piano
teorico e religioso. Nel XIIII secolo in Francia si registra un grande sviluppo del potere regio a seguito
delle vicende politiche e della maturazione della cultura del governo e del potere regio. Le vicende
politiche si realizzano durante regno di Filippo II, che prende il soprannome di Augusto perché
secondo l’etimologia avrebbe aumentato i territori e il potere del re. Filippo Augusto (1179 – 1223)
sfrutta un conflitto che oppone la dinastia regia dei capetingi contro gli Angioini, conti in Francia,
duchi in Normandia e re in Inghilterra, in maniera favorevole all’autorità del re di Francia. Agli inizi
del XIII secolo il conflitto è tra Filippo Augusto e Giovanni Senzaterra, re di Inghilterra, che viene
convocato a un tribunale feudale dal re di Francia in qualità di accusato, in quanto vassallo in
Normandia. Giovanni Senzaterra rifiuta e nasce un conflitto armato, dove Filippo Augusto ha la
meglio nella battaglia di Bouvines. A seguito di questa vittoria il re di Francia riesce a estendere un
dominio diretto su tutte le provincie che erano state degli angioini, e quindi del re di Inghilterra: egli
triplica l’estensione del territorio su cui ha dominio. Filippo Augusto, re di Francia, obbliga i titolari
di potere a giurargli fedeltà, e estende una rete di amministrazione locale strutturata sui
rappresentanti del re non nobili, ma che esercitano un controllo fiscale e giudiziario sul territorio
che risponde all’autorità del re.
Anche le risorse della monarchia francese crescono, e l’autorevolezza di un sovrano che ha un
patrimonio di dominio più grande di tutti gli altri principi feudali. Inoltre comincia subito
l’organizzazione di una struttura centrale di governo perché il consiglio re, un’istituzione informale
ma importante, si struttura con divisioni che ne fanno il complesso di uffici di governo centrale del
regno. Continua a esistere un consiglio ufficiale di collaboratori, ma a fianco si istituisce un
parlamento, un’istituzione di tipo giudiziario: vi è una corte giudiziaria che funziona al centro del
regno, il tribunale del re, cui afferiscono le cause riservate al re o le cause di appello alla giustizia
feudale.
Questo sistema si articola con i successori di Filippo Augusto, ossia Luigi VIII e Luigi IX; sono sovrani
esponenti di questa crescita della monarchia francese nel potere amministrativo e politico, ma sono
anche i promotori dell’elaborazione della figura ideale del sovrano e delle strategie di consenso del
popolo e dei sudditi nei confronti della loro autorità.
Gli aspetti tecnici di questa crescita sono diversi, soprattutto sotto Luigi IX: vi sono dei sistemi di
controllori regi che controllano l’amministrazione dei funzionari locali a danno degli amministrati.
L’obiettivo è di proteggere il popolo dagli abusi, e di garantire i diritti della corona, assicurandone le
rendite. Si istituisce una corte dei conti che è destinata a ricevere rendiconti finanziari e verificare
l’amministrazione finanziaria. Si decide la riserva al sovrano di un numero di casi giudiziari che non
possono essere trattati dalle corti locali, ma solo dalla corte centrale del sovrano. Si assiste alla
riduzione dei signori feudali in un più stretto rapporto di fedeltà nei confronti del re, che si pone

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come vertice della piramide feudale, cui tutti i poteri del regno sono richiamati. Con questo si ottiene
una struttura politica compatta dal punto di vista giuridico, e poi una struttura che vede i signori
feudali come un corpo unitario sotto il re. Luigi IX introduce un giuramento che i vassalli dovevano
al re in quanto signore dei signori. L’altro grande aspetto innovativo è la redazione e la
promulgazione di leggi valide per tutto il regno: i signori feudali avevano la possibilità di legiferare
in materia di diritto consuetudinario, ma ora il sovrano emana delle ordinanze che hanno un valore
superiore alle disposizioni dei diversi signori, e un valore esteso al regno intero, superiore sia alle
tradizioni legali delle diverse regioni e feudi, sia alle disposizioni dei principi feudali. La giustizia
diventa quasi l’esponente dell’autorità regia nei confronti dei sudditi, il fondamento del potere. Luigi
IX stesso dice giustizia, e dirime direttamente le cause. Il sovrano si presenta come garante della
legalità e della giustizia in tutto il regno, grazie all’apparato di istituzioni di governo. Luigi IX, inoltre,
è stato canonizzato, è un santo della chiesa cattolica perché è una persona profondamente religiosa
e ispirata ai principi di coscienza cristiana. In questi principi di coscienza cristiana ha il fondamento
l’attenzione a forme caritative del governo, ispirate a un senso di sollecitudine per i sudditi. Nei
domini diretti della monarchia, in più, Luigi IX abolisce la servitù personale. Nell’atteggiamento
personale di Luigi IX risiede il fondamento delle due imprese più famose, ossia le due crociate che
egli svolse. Una di queste due crociate si svolge a metà del suo regno, nel 1248, ed è diretta in Egitto
nella speranza di fiaccare il centro del potere islamico, con risultati devastanti. L’idea del re religioso,
giusto, benefico e crociato ebbe un ruolo fondamentale nel consolidare il prestigio e la devozione
delle popolazioni e dei sovrani nei confronti di questo personaggio. Nel 1270 ha luogo un’altra
crociata, diretta in Tunisia, dove Luigi IX stesso muore. La monarchia francese si consolida tantissimo
e alla fine del secolo riesce ad avere successi straordinari nell’organizzazione del potere monastico,
nel conflitto con la chiesa e nel conflitto contro l’Inghilterra.
L’Inghilterra: il potere dei sovrani provenienti dalla famiglia Plantageneta, che si era insediata con
Enrico II, prosegue con i figli di Enrico II, Riccardo Cuordileone e Giovanni Senzaterra. Si tratta di un
impianto autoritario, un sistema di governo fiscalmente molto duro: questi sovrani sviluppano i
diritti feudali che hanno, e che consentivano delle contribuzioni al re, in quanto signore feudale dei
suoi vassalli. I sovrani plantageneti insistono parecchio nello sfruttare questi diritti, e impongono
tasse anche ai liberi del regno: questo provoca una situazione di scontento tra i baroni e i giovani
ecclesiastici. Quando Giovanni Senzaterra viene sconfitto nella battaglia di Bouvines, e tutte le spese
di guerra si rivelano inutili, e si perdono molti domini in Francia, i baroni del regno impongono ai
sovrani la Magna Charta. La Magna Charta è un importante documento che sancisce il diritto su base
feudale dei vassalli del re di essere consultati per discutere l’imposizione delle tasse sul ceto feudale.
I vassalli del re impongono al sovrano la costituzione di un organo permanente di consultazione, la
Magna Curia, nei quali intervengono a discutere ciò che li riguarda direttamente, dal punto di vista
giurisdizionale e dal punto di vista fiscale. Il corpo e l’assemblea dei vassalli del re vuole essere
presente. Su questa struttura si innesta l’evoluzione dei rapporti tra il sovrano e i ceti feudali del
regno: la Magna Curia del regno estende progressivamente le sue competenze arrivando a occuparsi
non solo di questioni di diritto feudale, ma anche della rappresentanza degli interessi generali del
regno presso il re. La Magna Curia, tuttavia, non è un organo limitativo del potere del re, perchè non
impedisce l’esercizio dell’autorità regia e il rafforzamento delle istituzioni centrali di governo (in
questo periodo gli sceriffi diventano funzionari nominati dal re, da semplici appaltatori delle tasse
sul regno). Non c’è antagonismo tra l’assemblea dei baroni e il potere regio, bensì una dialettica che
intende fare partecipare il corpo del regno all’esercizio della sovranità regia.
Qualcosa di simile avviene anche in Castiglia: la sovranità regia si sviluppa nel corso del XIII secolo,
si crea un vastissimo patrimonio regio attraverso la riconquista, e si sviluppa una tipica istanza di
discussione, una dialettica tra i ceti giuridicamente privilegiati del regno (per esempio il ceto

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ecclesiastico e la nobiltà) e il re stesso. Questa dialettica prende forma nelle cortes, le assemblee in
cui i rappresentanti degli ordini collaborano con il re per discutere la ripartizione delle imposte che
il re assegna al regno.

I poteri del re
Si assiste a una crescita del potere effettivo del re, a una estensione del dominio diretto, a
un’estensione delle imposte, al controllo feudale sulla nobiltà, che viene ricondotta dentro l’unità
della giurisdizione regia, l’amministrazione della giustizia regia. Contemporaneamente si elabora
una dottrina del significato del potere regio: il re viene presentato come custode e garante del bene
comune, e non può dipendere da nessuno nell’ordine feudale, e tutte le giurisdizioni del regno
dipendono dalla sua sovranità. Il potere pubblico viene gestito dal re, ma si tratta di un potere
pubblico gestito dal regno. C’è una distinzione tra la Corona, che è eterna, e il re che è titolare dei
poteri della corona, ma è pro tempore, e muore mentre la corona continua a esistere
indipendentemente dalla persona.
Si sviluppano, nello stesso momento, discussioni sui fondamenti e sui limiti dei poteri del re, che
hanno come funzione fondamentale di emanare la legge e custodirla. Il fatto che il re emani la legge,
tuttavia, non significa che sia superiore alla legge. Si discute molto se il re sia sopra o sotto la legge,
se debba osservarla o ne sia esente: la linea è che il re è tenuto a osservare la legge, oltre ai principi
di giustizia naturale. Mentre si sviluppa l’idea che l’autorità del sovrano nel regno è totale, e che il
re non ha superiori, contemporaneamente si afferma l’altro principio che ciò che riguarda tutti deve
essere approvato da tutti. Quest’ultimo è un principio dell’organizzazione istituzionale che ha la sua
espressione negli organi assembleari, nell’assemblea dei baroni in Inghilterra e nelle cortes.
A partire dal 1268 partecipano all’assemblea anche i rappresentanti delle città del regno: questa
strutturazione dei poteri del regno è anche alla base della genesi del sentimento nazionale, e prima
del XIII secolo non corrisponde con le strutture politiche dei regni.
A partire dal XIII secolo nasce un senso di appartenenza morale dei sudditi al complesso di istituzioni
che fa capo al re. Nasce, inoltre, il concetto di morire per la patria, e un concetto di personificazione
delle terre del re: se ne ha un esempio nella Benedetta Signora Spagna, Dolce Francia.

Re e corpo del regno

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Lezione 26 – La Chiesa nel XIII secolo
Gli argomenti:
- Consolidamento della Chiesa come apparato istituzionale: l’autorità del papa
- Autorità dei vescovi
- Controllo ecclesiastico sulla società

Consolidamento della Chiesa come apparato istituzionale: l’autorità del papa


Un aspetto caratteristico nella storia della chiesa romano-latina occidentale, durante il XIII secolo, è
lo sviluppo delle premesse implicite nelle lotte per la libertà della chiesa, già imbastite nel XI secolo
con Gregorio VII.
Nel corso del XII, e poi XIII secolo c’è una maturazione imponente che consiste nella trasformazione
dell’apparato della chiesa in una struttura chiusa, organizzata, gerarchica e discendente
dall’autorità del papa, intesa come massima autorità esistente nel mondo sia nel campo spirituale,
sia nel campo delle relazioni tra le persone. Doppio processo: costruzione dell’apparato ecclesiastico
come chiuso, separato dalla società, e contemporaneamente dell’elaborazione della sovranità del
papa su questa struttura e su tutta l’umanità. Alcune di queste indicazioni erano già implicite in
intuizioni di Gregorio VII, che aveva rivendicato controllo del papato sulle elezioni vescovili, sui legati
papali, sui messi papali in tutte le provincie della cristianità, e aveva affermato che il papa in virtù
della sua elezione è automaticamente santificato, e il suo potere è superiore a quello di tutti i
principi laici. I principi definiti in quel momento sono, per esempio, la guerra per sostenere l’azione
del papa nella lotta contro l’impero, ma queste idee sono elaborate nel corso del XII e XIII secolo.
Nel corso del XII secolo si sviluppano principi e funzioni che tendono a esaltare l’autorità del papa
all’interno della chiesa e su tutte le istituzioni ecclesiastiche, l’idea della plenitudo potestatis, della
totalità del potere papale all’interno della chiesa, superiore a ogni altro potere interno alla chiesa.
Deriva dal fatto che il papa è vicario di Pietro, ma progressivamente la figura di vicario di Pietro si
trasforma in Vicario di Cristo, e quindi in qualche misura rivendica l’esercizio di quella autorità che
competeva a Cristo in quanto persona divina. Da un punto di vista pratico si esprime questa
aspirazione in una serie di attività istituzionali, per esempio si sviluppano certe figure come giudice
papale delegato che agisce nelle diverse provincie della cristianità e ha poteri superiori a quelli del
vescovo locale, e si sviluppa la figura del legato papale a latere, con poteri molto estesi nelle
provincie. Nello stesso tempo si sviluppano casi e situazioni in cui si rivendica unica competenza in
cui si afferma assoluta autorità del papa, come casi giudiziari: si riservano alla definizione del papa
e del suo tribunale una serie di casi giudiziari, e si riservano anche alcuni peccati che possono essere
assolti soltanto dal pontefice. Si comincia a definire una riserva papale sulla possibilità di creare
nuovi santi. Quello dei santi è sempre stato problema complesso nella chiesa primitiva, prima
avveniva anche spontaneamente, su canonizzazioni popolari, ma dal XII secolo si definisce che il
riconoscimento dei nuovi santi è materia riservata al papa. Concetto del potere del papa nella chiesa,
e poi interventi di emissari del papa: nel corso del XII secolo l’autorità del pontefice cresce e si
impone sul corpo della chiesa cristiana.
Questo processo ha un punto di definizione molto alta con il pontificato di Innocenzo III, che
pontifica dal 1206 al 1216, e dal punto di vista del governo ecclesiastico gli si possono attribuire
alcuni momenti di crescita: perfeziona il concetto della pienezza dei poteri papali, facendo
riferimento alla figura di cristo. Il papa è vicario di cristo e esercita i suoi poteri di natura spirituale
e temporale (Cristo come sacerdote e come re). Il papa rivendica questa doppia autorità, spirituale
come erede di cristo sacerdote, e temporale come erede di cristo re. Questo viene sviluppato sotto
vari aspetti da Innocenzo III, non in maniera particolarmente innovativa e rivoluzionaria per quanto
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riguarda l’autorità del papa nel mondo laico, ma all’interno della chiesa consolida l’autorità papale,
per esempio rivendicando superiorità rispetto alla giurisdizione dei vescovi, che viene definita
come una partecipazione del potere giurisdizionale del papa. I poteri di vescovi sono una parte dei
poteri del papa, e controllati e dipendenti dall’autorità spirituale e ecclesiastica del papa. Esercita il
controllo sulle elezioni vescovili discusse, oppure in casi di vacanza di seggi vescovili nei quali
sull’ufficio vacante si estende l’autorità, che è sempre presente, della chiesa romana e del papa che
la incarna. Sviluppa anche quelle riserve alla giurisdizione papale di quei peccati e situazioni
giudiziarie. L’iniziativa più significativa e grandiosa è a convocazione del IV concilio lateranense del
1215: doveva essere concilio universale di tutta la chiesa, in cui si sarebbero trattati grandi questioni
politiche, e impostare una grande riforma della chiesa sotto il profilo istituzionale, amministrativo e
giuridico. Al concilio vennero presentate una serie di costituzioni, che vennero approvate, con le
quali si riordinata tutto l’impianto istituzionale della chiesa a seconda di cariche e funzioni,
l’amministrazione dei sacramenti, la predicazione, la possibilità di creare nuovi ordini monastici, ecc.
tutte le materie che attenevano all’organizzazione e funzionamento della chiesa come complesso di
istituzioni. I deliberati diventarono immediatamente fondamento del diritto ecclesiastico insieme
con la raccolta di canoni dei secoli precedenti del decreto di Graziano, testo fondamentale nella
costruzione di una base giuridica, e insieme con le decretali, lettere papali relative a questioni di
importanza giuridica nella chiesa emanate dai papi precedenti. È il papa che crea il diritto nella
chiesa. Innocenzo III ha anche un’attività in campo temporale, sebbene non abbia desunto dalla
figura di re e sacerdote una autorità diretta del papa nelle questioni temporali. Innocenzo III ha
ritenuto che dovesse intervenire sia come signore feudale nei territori che dipendevano dalla santa
sede, come il regno di Sicilia, sia dove la chiesa romana esercitava un dominio diretto, negli stati
della chiesa: Lazio, Umbria, Romagna. Al di fuori di queste situazioni giuridiche Innocenzo III ritiene
che il papa debba intervenire dove ci sono in ballo questioni di natura religiosa, spirituale, morale.
Interventi in occasione del tentato divorzio di Filippo re di Francia dalla moglie.
Il campo dove il papa interviene più esplicitamente e incisivamente è nella questione dell’impero,
sollevata dal fatto che alla morte del figlio di Federico Barbarossa, Enrico VI, la successione
nell’impero romano germanico è agitata, ci sono conflitti, e il papa interviene perché l’impero è
una istituzione tradizionalmente legata alla chiesa, perché per la sua stessa storia era una struttura
politica che aveva finalità di natura religiosa, di proteggere assecondare la chiesa nella sua funzione
di governo spirituale del popolo cristiano. Innocenzo III sceglie tra i candidati all’Impero, Ottone IV,
che poi si rivela un cattivo alleato, e interviene di nuovo per sostituirgli un candidato migliore, il
giovane Federico II.
Esiste un esercizio di autorità politica, di intervento e guida degli eventi che Innocenzo ritiene
competere specialmente al pontefice. Dove Innocenzo III sviluppa un’attività di comando, di
coordinamento e di indirizzo di poteri temporali ai fini ecclesiastici e religiosi, è nella cura che gli
prende per le crociate, cerca di organizzarne una per liberare Terrasanta ricaduta nelle mani degli
infedeli: esito particolare, la quarta crociata che viene guidata dai veneziani alla conquista di
Costantinopoli con un’operazione che al papa non piace, ma che accetta perché ritiene che possa
essere la premessa per la riorganizzazione di un’unica cristianità tutta sotto il dominio del papa. Poi
organizzò anche un’altra strana crociata, una spedizione militare contro gli eretici catari, nella
Francia meridionale, che non avevano niente a che vedere con la Terrasanta ma che apparivano una
minaccia gravissima e il papa non esitò a promuovere questa spedizione e a darle le caratteristiche
religiose e morali e giuridiche tipiche delle spedizioni crociate. Vi è un esercizio di grandi poteri del
papa anche nella gestione di questo patrimonio di autorità spirituale connesso con l’idea di crociata.
Il papa e la chiesa romana sono i due aspetti di questa riorganizzazione della chiesa universale
sotto il dominio del papa.
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Nel corso del XIII secolo i successori di Innocenzo III portano alle estreme conseguenze queste
riflessioni sul potere temporale e spirituale del papa: i suoi successori sono dei canonisti, dei tecnici
di diritto ecclesiastico, forte preparazione giuridica. Gregorio IX, tra 1227 e 1241, Innocenzo IV tra
1243 e 1254, e Bonifacio VIII fino al 1303. Tutti loro hanno orientamenti comuni che sviluppano il
potere del papa di intervenire nelle elezioni vescovili della cristianità, di competenza
esclusivamente della comunità che doveva eleggere il vescovo, collegio dei canonici che officiava
stabilmente nella cattedrale. Però i papi riesco a volte, dove c’è interesse, a intervenire nelle elezioni.
C’è numero significativo di famigliari dei cardinali romani che riescono a ottenere cattedra vescovile.
Sviluppano nel XIII secolo i tribunali di curia per le cause riservate al giudizio papale in prima
istanza o in sede di appello, ci sono giudici di curia con particolari competenze. Si sviluppa ancora
una capacità nuova di tipo economico del papato, di disporre dei benefici ecclesiastici in tutta la
cristianità, rendite connesse con cariche ecclesiastiche, che servono per mantenere il titolare della
carica. Normalmente i benefici ecclesiastici sono incardinati nelle sede cattedrali, ma nel corso del
Duecento il papato riesce a ottenere sempre di più la possibilità di utilizzare benefici vacanti in
favore di persona di propria scelta, che collaborano con la sede centrale e non hanno una grande
possibilità di trovare benefici sufficienti. E quindi gli si offrono cariche anche in seggi lontani. Questo
sviluppa sistema negativo per la vita quotidiana delle chiese, quello dell’assenteismo: un titolare di
una carica ecclesiastica in un paese lontano o lontanissimo, che però presta servizio nella sede
centrale di Roma, non svolge le sue funzioni nell’altra sede. Però questo crea anche legami, è più
possibile che ci siano informazioni, persone, che circolano tra le provincie della cristianità e Roma.
Nel corso del XIII secolo si sviluppa la teoria del potere del papa nelle questioni temporali,
protagonista Innocenzo IV, impegnato in lotta contro Federico II imperatore, e sviluppa oltre a
provvedimenti di guerra, una teoria secondo la quale il papa è signore naturale dell’imperatore e
ha la possibilità di intervenire nella gestione dell’impero perché in virtù di questo si rivendica quale
signore dell’imperatore (vicariato di cristo). Innocenzo IV è il anche pontefice che teorizza la signoria
totale e illimitata su tutto l’universo, anche sugli infedeli, e ha giurisdizione e sovranità anche sugli
infedeli. Si tratta di elaborazioni teoriche che non sempre hanno una rispondenza pratica.
Innocenzo IV sviluppa anche la dottrina canonistica della crociata e rivendica al papa la facoltà di
dare le caratteristiche di crociata a qualunque azione bellica nella quale il papa vedesse implicati gli
interessi spirituali e politici della chiesa. Che cosa fondava la natura spirituale della partecipazione
alla crociata? Con la partecipazione si otteneva indulgenza per i peccati, un grande vantaggio
spirituale. Indulgenza è diverso da assoluzione, dopo la quale ci vuole comunque una penitenza.
L’indulgenza è la soppressione della penitenza per i peccati commessi. Il papa attribuisce
l’indulgenza nelle situazioni in cui gli sembra opportuno.
Queste elaborazioni raggiungono il massimo con Bonifacio VIII: due aspetti del suo pontificato. Il
giubileo del 1300 venne indetto da Bonifacio VIII in base a una richiesta diffusa, che veniva dal basso,
che si aspettava una straordinaria indulgenza, un evento spirituale di grandissima estensione e
portata. Dopo una serie di vicende emanò la bolla con cui indiceva Giubileo, pellegrinaggio a Roma
in conseguenza del quale si otteneva indulgenza totale per i peccati: il pontefice diventa il gestore
della possibilità di cancellare le penitenze per i peccati commessi. Il pontefice esercita autorità
spirituale straordinaria, perchè investe tra la giustizia divina e i comportamenti degli uomini. Sulla
base del tesoro dei meriti, grande deposito di meriti spirituali creato dalla passione di cristo e dalla
sofferenza dei martiri, e rappresenta credito dell’umanità nei confronti di dio, si impadronisce di
questo tesoro e lo elargisce ai fedeli cancellando la necessità di una penitenza sulla base di una
misurata e limitata penitenza che è quella della visita a Roma. Bisogna anche ricordare la bolla Unam
Sanctam, documento teologico giuridico emanato nel 1303, dove si ribadisce la sovranità universale
del papa su tutte le creature, i fedeli e le podestà. Poiché il papa è vicario e successore di Cristo e
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ha perciò potere su tutta la chiesa, umanità e potestà, è necessario alla salvezza che ogni creatura
umana sia sottomesso al pontefice. È per questo che Bonifacio VIII fece trasformare la tiara,
copricapo pontefici, aggiungendo due corone nella parte alta, per simboleggiare la sovranità
spirituale, regia e imperiale, incarnate e immanenti nel potere del papa. Affermazione estrema che
porterà a un conflitto con i re di Francia, dal quale Bonifacio VIII uscirà umiliato, e sarà anche
tenuto prigioniero per un certo periodo. Queste dottrine teocratiche non hanno applicazione nel
mondo die poteri laici, l’unica autorità laica debole che viene travolta da questo è l’impero, ma i
regni non accettano queste imposizioni. Lo stesso Luigi IX, anche se è re santo, ha delle remore.

Autorità dei vescovi


Anche i vescovi hanno un’importante autorità, sebbene limitata alla loro diocesi, dove difendono
le prerogative ecclesiastiche nei confronti di quelle statali, e nei confronti della crescente autorità
papale. Hanno l’obbligo di sorvegliare sulla vita religiosa del gregge loro affidato, cioè dei fedeli
della diocesi. Una funzione che si sviluppa è l’inquisizione contro l’eresia. Si tratta di inquisizioni
contro gli eretici, indipendentemente che venissero portate accuse nei confronti di queste persone.
Si afferma la ricerca ex officio degli eretici nella società, e si sviluppa anche il principio della tortura
degli eretici per indurli alla confessione. Il sistema inquisitoriale aveva dei difetti: non si poteva
condannare il reo se non dopo una sua confessione, e la confessione veniva facilitata dall’esercizio
di una moderata tortura, legittimata dagli stessi pontefici. Quello della diffusione dell’eresia è
problema gravissimo, e affrontato radicalmente dalla chiesa istituzionale, oltre che con mezzi più
pacifici come la diffusione degli ordini mendicanti che hanno funzione importante nel riconvertire
la società cristiana.

Controllo ecclesiastico sulla società

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Lezione 27 - Le crisi dei XIV secolo: società ed economia
Gli argomenti:
- L’arresto della crescita
- La crisi demografica
- Le disfunzioni del sistema economico
- Il peso della politica sull’economia
- L’instabilità sociale

L’arresto della crescita


Tra XII e XIII secolo c’è un processo di sviluppo economico senza interruzioni che aumenta il
benessere, la ricchezza e la stabilità sociale in tutta Europa: si assiste allo sviluppo dell’agricoltura,
e vengono messe a coltura terre sempre più estese, perché era necessario produrre di più per la
crescente popolazione europea. Si sviluppa e si estende anche l’attività produttiva di tipo
artigianale e manifatturiero, e la connessa l’attività commerciale.
Questa tendenza nel 1300 si ferma: come desumiamo da vari indizi, per esempio il restringimento
della superficie coltivata in tutta Europa, causato dall’abbandono delle terre che erano state
conquistate alla coltura agraria. Vi sono delle difficoltà che hanno espressione sul piano sociale: si
verificano scioperi e altri problemi che investono i centri manifatturieri più importanti come la
Fiandra e la Toscana. Il restringimento delle superfici coltivate dà luogo a una serie di carestie
molto gravi, la prima delle quali avviene negli anni 1313 – 1317: la produzione diventa insufficiente
per i bisogni della popolazione europea, e anche la produzione manifatturiera trova difficoltà.
È difficile trovare le cause dell’inceppamento nello sviluppo economico che fino ad allora era
andato crescendo. Non abbiamo delle indicazioni che consentano di dare una spiegazione unitaria
e definitiva. Sono stati fatti dei tentativi, ma non c’è una causa unica. Si è ipotizzata una causa
scatenante di un processo di trasformazioni: il deterioramento del clima (questa è un’ipotesi).
Dagli inizi del 1300 abbiamo indicazioni che il clima sia diventato più rigido, freddo e piovoso.
L’indicazione più interessante è il raffreddamento della Groenlandia. La Groenlandia
originariamente deve il suo nome al verde, significa terra verde: in quell’area si potevano fare
raccolti, e l’espansione dei Vichinghi in quella zona era dovuta al fatto che era possibile crearci
degli insediamenti basati sull’agricoltura. Nel 1300 inizia a diventare quello che è ora, una terra di
ghiacci. Non è, però, una spiegazione che possa risolvere tutti i problemi: c’è un altro fenomeno
che caratterizza la storia demografica e sociale dell’Europa nel XIV secolo, ovvero le epidemie.

La crisi demografica
La crisi demografica è frutto delle carestie alimentari e della grande epidemia di peste che si
diffonde in tutta Europa nel 1348. L’immagine nella slide rappresenta un tema che si diffonde in
questo periodo, quello dei tre vivi che incontrano i tre morti, legato al monito della precarietà
della vita e dell’incombere della morte. Un altro tema è il trionfo della morte, che incombe sul
mondo dei vivi e semina terrore. Un’immagine significativa è il monumento funebre di Guille
Lefrancois in cui il morto è rappresentato come un cadavere, la decomposizione della carne:
questa iconografica rappresenta l’atteggiamento cambiato che dà il senso dello spavento che le
epidemie di peste seminarono in Europa.
La grande pestilenza che cominciò nel 1348 ebbe riflessi catastrofici sulla popolazione europea:
con proporzioni variabili dalle regioni, venne portata via da ¼ a 1/3 della popolazione. Vi sono
anche casi singolari in cui la peste non attaccò delle comunità, come quella urbana di Milano.

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La peste ha ruolo gravissimo nello spopolare l’Europa, e questo si aggiunge alla difficoltà della
situazione produttiva e ambientale.
La peste del 1348 non fu l’unica epidemia: dopo che fu superata, in tutta la seconda metà del 1300
e nella prima metà del 1400 ci sono successive ricadute, delle nuove epidemie meno gravi, ma tali
da tenere la popolazione europea sotto stress, impedendo che avvenisse un recupero
demografico. In alcuni casi ci vogliono cento anni prima che la popolazione possa ricominciare a
crescere, e questo ha ripercussioni significative sulla situazione economica.

Le disfunzioni del sistema economico


Il sistema economico aveva cominciato a incontrare delle difficoltà indipendentemente dalle
epidemie di peste. La slide presenta la riproduzione del mercato dei panni di Ypres, nelle Fiandre.
Si tratta di un grande edificio del XIII secolo, un’epoca di espansione: è un grande complesso
destinato allo smercio dei panni prodotti, ed è grandissimo, testimoniando l’importanza
dell’attività produttiva e commerciale su cui erano fondati il benessere delle Fiandre e la possibilità
di controllare i rapporti sociali all’interno di queste città. Il mercato era il punto di incontro tra
patriziati cittadini e i cittadini lavoratori che concorrevano alla produzione.
Questo sistema entra in crisi per motivi difficili da individuare. Le crisi si presentano in due
direzioni: nel XIV secolo il sistema delle botteghe artigiane in arti si irrigidisce e si chiude, mentre
prima era un sistema aperto che aveva consentito arruolamento di manodopera dalle campagne e
fare carriera. Si chiudono questi organismi, che diventano di controllo dirigistico della produzione.
Si tende a impedire l’accesso alle arti ai nuovi arrivati, che vengono fatti lavorare in qualità di
salariati e non di titolari di una posizione all’interno della struttura corporativa: per loro questo
coincideva con l’esclusione da ogni speranza di miglioramento, e la soggezione alla pressione del
mercato e delle persone iscritte alla corporazione. Per gli iscritti alla corporazione, inoltre, c’era
una grande difficoltà a diventare maestri da apprendisti. La struttura delle arti diventa difensiva, e
alla fine chi non è figlio di un maestro d’arte non può diventare maestro d’arte, secondo il
principio dell’ereditarietà.
Un altro aspetto grave, che mette in crisi i rapporti, è che le singole arti diventano sempre meno
capaci di conquistare il mercato. Dove esiste una produzione di massa e la necessità di utilizzare un
sistema commerciale evoluto, sono i mercanti imprenditori che controllano tutto il sistema di
produzione e smercio dell’attività manifatturiera. Assumono sempre più importanza le figure di
imprenditori capitalisti, che cominciano con l’acquisto della lana nelle manifatture tessili, il settore
di punta. Questi imprenditori sono proto capitalisti che controllano il processo in tutte le fasi,
dall’acquisto della lana alla lavorazione, affidata a diverse botteghe che non sono coordinate tra
loro: ciascuna arte svolge un solo passaggio. I collegamenti tra le varie arti, e quindi tra le varie fasi
della produzione, vengono tenuti da questi grandi imprenditori, che alla fine smerciano prodotto
finito. Questi imprenditori hanno il controllo della situazione, e possono anche fare il prezzo delle
diverse operazioni di lavorazioni, e il prezzo finale: il controllo dall’alto così stabilitosi, nega quel
principio di autosufficienza e ordinato equilibrio dei rapporti economici che era stato alla base
della fondazione delle arti, e che aveva garantito pace e prosperità nel XII e XIII secolo.
Su questa difficoltà intrinseca del sistema produttivo si sommano quelle prodotte dalla grande crisi
demografica precedentemente descritta, che ha effetti non sempre coerenti. L’effetto principale è
che diminuiscono i lavoratori e i consumatori, perché c’è meno gente viva, e questa diminuzione
ha effetti differenti. La diminuzione della manodopera ha come conseguenza diretta l’aumento del
costo della manodopera: imprenditori e proprietari fondiari sono soggetti a maggiori richieste da
parte dei lavoratori, che sono diminuiti di numero, e il cui lavoro è diventato più raro. La reazione
degli imprenditori è diversa: in alcuni casi i salari maggiori sono conseguiti, in altri casi gli
imprenditori corrono ai ripari. Nella produzione agraria, per esempio, i grandi proprietari, che
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avevano anche potere politico, cercano di servirsene per costringere i lavoratori agrari a più miti
pretese, e chiedere prestazioni di lavoro gratuite per conto dei signori. Da un lato la crisi
demografica apre la possibilità di un miglioramento, mentre dall’altro c’è una sorta di blocco da
parte dei proprietari fondiari, che con strumenti extra economici tentato di riportare i lavoratori a
una condizione di soggezione e di povertà economica: questo determina crisi sociali e rivolte.
Un altro aspetto della diminuzione della popolazione è il problema dei prezzi, che calano: il prezzo
del grano diminuisce perché c’è meno consumo, mentre la produzione rimane altra, e oltre al
grano si fanno altre colture più ricche. In certi casi la produzione in eccesso provoca il crollo dei
prezzi, quindi il crollo delle rendite da parte dei grandi proprietari, che cercano di controllare la
situazione della produzione e del mercato.
Si delineano anche problemi di sovrapproduzione nell’industria tessile, che crolla nella quantità di
pezze di tessuto prodotte e vendute. Si legge una crisi nella sovrapproduzione e
nell’organizzazione della produzione, però i prezzi dei tessili crescono e le industrie del lusso si
rafforzano, perché ci sono strani atteggiamenti in questa popolazione soggetta a carestie e peste:
vi è una maggiore richiesta di prodotti di lusso da parte di chi sopravvive.
Ulteriori squilibri di questo sistema sono che i sopravvissuti sono più ricchi rispetto alla
popolazione sterminata: in un numero minore di mani si raccoglie la stessa quantità di ricchezza
che c’era prima. Chi sopravvive è più ricco e più attrezzato per maggiori consumi, e per consumi di
lusso: aumentano quindi i prezzi di questo tipo di consumo, ma non tutti i centri manifatturieri
sono attrezzati per questo tipo di produzione. I dissesti sono di varia natura e concorrono a creare
un panorama di incertezze e disequilibri che non si può solo descrivere come crisi uniforme,
perché ci sono anche aspetti contraddittori, e differenze territoriali.

Il peso della politica sull’economia


Nel 1300 inizia una nuova fase della storia politico/diplomatica e militare dell’Europa, in cui gli
stati si combattono tra di loro. Questo aspetto è un portato degli stati monarchici, che si erano
formati nel 1100 e nel 1200: una delle conseguenze è che il livello dei conflitti si sposta. Mentre
prima i conflitti erano tra principi feudali, o tra re e principi feudali, e portavano a una
organizzazione di queste strutture monarchiche, nel 1300 sono le monarchie che cominciano a
combattersi tra loro, per problemi territoriali, dinastici e economici.
Le guerre tra stati monarchici di vasta estensione e complessa strutturazione sono guerre molto
costose. Si veda la slide con l’assalto della città: l’artiglieria è molto costosa, e i sovrani oltre
all’artiglieria devono ricorrere in misura sempre più consistente a truppe mercenarie, organizzate
in compagnie e bande che hanno propri comandanti e che prestano servizio sulla base di contratti
economici. Anche questo richiede investimenti notevoli, per i quali le finanze dei regni non sono
adeguate, e i sovrani devono ricorrere a una quantità di espedienti che impoveriscono la società e
che pesano sull’economia. L’espediente più tipico è quello dei prestiti dalle grandi compagnie
bancarie, garantiti con l’appalto della riscossione delle tasse, ma quando un sovrano fa bancarotta
la compagnia bancaria fallisce e si genera una situazione di instabilità monetaria e di incertezza del
credito. L’altra risorsa è la tassazione, e le tasse vengono imposte a tutti gli strati della
popolazione, impoverendoli. Sono tasse che vengono imposte a seconda dei bisogni del sovrano,
arbitrarie, e colpiscono sia la borghesia sia i contadini, e si aggiungono come fattore di
impoverimento. Poi gli stati, nel 1300, ricorrono anche a un sistema ancora più subdolo e dannoso
di finanziamento dell’attività militare: la svalutazione della moneta. Siamo in un’epoca in cui la
moneta è metallica e il suo valore dipende dalla quantità di metallo contenuta in ciascuna moneta.
In un momento di grande bisogno della moneta corrente, il problema è procurarsi il metallo
prezioso, che nel 1300 va diminuendo. L’oro, importato dall’Africa sub sahariana, risente di crisi
interne degli stati africani ed è difficile procurarselo. Si verifica anche una penuria di argento, non
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si sa da cosa determinata: gran parte dell’argento europeo nel 1300 migra verso oriente perché
viene portato dai mercanti per comprare merci nel mondo asiatico e mediorientale, dove viene
accettato come mezzo di pagamento buono. L’Europa si depaupera dell’argento. I sovrani, quindi,
creano monete in cui il valore nominale è uguale, ma la quantità di metallo prezioso all’interno è
inferiore, provocando una svalutazione: questo ha un’influenza sul livello dei prezzi. I prezzi
salgono, con ripercussioni sul problema dei salari e conseguente crisi per gli strati più bassi della
popolazione. Le situazioni e gli stati continuano a funzionare, sopravvivono, e i prezzi dei generi
alimentari tendono a diminuire e compensano i bassi salari, ma non c’è ordine in questi fenomeni.
Di regione in regione si verificano aspetti contraddittori e diminuisce la possibilità di spostamento
della popolazione.

L’instabilità sociale
In questa situazione il panorama dei rapporti sociali si deteriora e vengono meno i tradizionali ruoli
degli ordini che governavano la società: la nobiltà fallisce il suo compito fondamentale, ossia
difendere la società. In queste guerre dei re la nobiltà tradizionale, cavalleresca a base fondiaria,
fallisce della conduzione della guerra, mentre diventano preminenti le fanterie, formazioni militari
a leva non aristocratica. Tra le fanterie a base popolare, i gruppi di arcieri diventano un’arma
strategica che ha la meglio sulla cavalleria corazzata feudale. Ecco le ripercussioni evidenti
nell’immagine in slide: la rivolta di contadini ai signori feudali, che non li sanno più garantire dal
punto di vista militare. Anche nelle città si verificano grandi rivolte e tumulti, sia a Parigi, sia nelle
Fiandre, sia nell’Italia centrale, per esempio a Firenze: si verificano rivolte dei ceti urbani contro il
patriziato che controllava gli strumenti centrali della produzione e della finanza, il governo delle
città e i rapporti economici e i salari. I ceti più poveri e meno protetti si rivoltano dando luogo a
grandi instabilità.
Si delinea così un quadro complesso e di pericolo sociale e economico.

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Lez. 28 - Le crisi del XIV secolo: le istituzioni religiose e politiche
Gli argomenti:
- Il papato e la chiesa
- L’Impero
- I Regni
- L’espansione dei turchi

Il papato e la chiesa
Nel corso del XIII secolo il papato ha affermato la sua pretesa dottrinale e giuridica di egemonia
sulla cristianità intera e sul mondo. Dal punto di vista politico questo fenomeno ha delle
ripercussioni limitate, perché non c’è stato un reale, diffuso e accettato dominio del papato. In
alcune situazioni, anzi, si è verificato un conflitto dei sovrani nei confronti della rivendicazione
della capacità di ingerenza del papato sulla politica dei regni. Filippo IV il Bello ha uno scontro con
Bonifacio VIII, uno dei più grandi rappresentanti della dottrina teocratica del papato: Bonifacio VIII
esce sconfitto dallo scontro con il re di Francia. L’episodio di Anagni vede il papa alla mercé di una
banda di milizie francesi: è una situazione scandalosa, che il capo della cristianità nonché il vicario
di Cristo sia rimasto prigioniero! Queste vicende complicate si inseriscono una situazione di Roma
incerta e torbida. Dopo la morte del successore di Bonifacio VIII, Benedetto XI, viene eletto papa
dai cardinali un vescovo francese, che prende nome di Clemente V.
Essendo Clemente V in Francia nel momento dell’elezione, ritarda l’arrivo a Roma e si sposta nella
Francia meridionale, e alloggia ad Avignone, una città della Francia meridionale che era territorio
papale, rimandando il momento di arrivo a Roma per consentire alla situazione locale di chiarirsi e
avere la previsione di un soggiorno romano abbastanza tranquillo. Ciò che avviene
transitoriamente, tuttavia, si sistematizza e per settant’anni i papi non vengono a Roma,
consolidando la presenza in Avignone. Questa situazione è alquanto singolare, perché il papa è
anche il vescovo di Roma, e sebbene la dottrina teocratica ne abbia ampliato la fisionomia
facendone il vicario di Cristo, è anche il successore di Pietro, cosa che legittimava il potere del papa
perché legato alla presenza degli apostoli Pietro e Paolo. Che il papa lasci la sede caratteristica
crea una situazione anomala, giustificata dal punto di vista teorico in forza di questa nuova
fisionomia, per cui si dice che dove c’è il papa, ivi è Roma. Resta il fatto che la dottrina teocratica e
giuridica non convince tutti i devoti e gli spiriti pensosi della cristianità.
Nei settant’anni in cui i papi si sono trattenuti ad Avignone la fisionomia del governo della chiesa
universale è mutata: si assiste a un grande sviluppo dell’attività giurisdizionale, finanziaria e
politica. Il periodo avignonese vede lo sviluppo di una grande attività e l’organizzazione e
l’amministrazione della chiesa universale, che ora è centrata nella curia papale ad Avignone. Nel
periodo avignonese vengono anche sviluppate le funzioni legate agli interessi e alla finanza
pontificia, che si arricchisce enormemente. Il papato controlla tutte le chiese della cristianità, alle
quali impone tassazioni e interventi del papa. La capacità del papa di nominare direttamente i
vescovi e i capi dei monasteri si accentua, così come si accentuano i prelievi che la curia papale fa
sulle rendite ordinarie. Il papato si mondanizza, i costumi della curia di Avignone sono quelli di un
grande principato terreno, non quelli del centro della guida d’anime della cristianità: questo
scollamento crea dissenso e inquietudine all’interno della cristianità. La chiesa si distacca dagli
ideali di gestione spirituale intesa all’attività religiosa.
La partenza dei papi venne avvertita dai romani come motivo di povertà e incertezza, anche se si
erano spesso trovati in conflitto con l’autorità papale. Roma perde una fonte di reddito
straordinaria e rimane abbandonata al dominio dei ceti baronali, sempre in conflitto tra di loro. Ad

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Avignone lo splendore della corte pontificia, e il livello principesco della vita che vi si conduceva, è
testimoniata dalla costruzione di un palazzo per i papi, in tempi successivi alla metà del ‘400.
Si determinano prese di posizione preoccupate dal punto di vista religioso e spirituale: anche
Dante si scaglia contro il prevalere degli interessi mondani di Avignone, e poi Francesco Petrarca,
che deplora lo scandalo della vita che si conduceva alla corte papale di Avignone. Si levano voci da
più parti di Europa che invitano i papi a tornare a Roma per riorganizzare la chiesa e per
ripristinare il primato degli aspetti religiosi. Si levano anche voci di contestazione
dell’organizzazione della chiesa e del potere papale: uno dei teorici più significativi di questa
rimessa in discussione è Marsilio da Padova, un pensatore politico che unisce la dottrina politica a
una riconsiderazione del ruolo della Chiesa dentro la società umana. Marsilio da Padova dice che la
chiesa è fondata non dalla gerarchia dei preti, ma dalla università dei fedeli, ossia la collettività dei
fedeli, all’interno della quale i chierici hanno una funzione di predicazione ma non hanno
giurisdizione, così come non ha giurisdizione il papa sulle strutture organizzative del mondo
politico, e guidano su un piano terreno la comunità dei fedeli cristiani. Marsilio da Padova teorizza
che in questa organizzazione basata sulla concezione di una chiesa corrispondente alla collettività
dei fedeli, la massima autorità non sta nel papa ma nel concilio, ossia nella rappresentanza di tutta
la comunità dei fedeli che, solo nel suo essere una totalità, ha fondamento della capacità di
decidere e governare anche sul piano ecclesiastico.
Questa dottrina viene condannata e non si diffonde immediatamente, anche perché Marsilio si
lega a una situazione politica debole, ma matura e troverà nella seconda metà del Trecento una
nuova espressione nel pensiero di Giovanni Wyclif, professore di università inglese, formazione
dottrinale e teologica. Giovanni Wyclif nega alla chiesa gerarchica la capacità di governare il
popolo cristiano: la chiesa ha una funzione di predicazione e una funzione sacramentale, ma i
singoli ecclesiastici devono essere soggetti alle autorità laiche che governano i regni. La chiesa
deve essere povera, i chierici non devono avere risorse materiali legate all’apparato ecclesiastico.
Giovanni Wyclif rivendica la capacità di tutti fedeli di accedere direttamente al testo sacro della
rivelazione, la Bibbia, unico fondamento per il sostegno dottrinale della fede cristiana al di là
dell’apparato dell’insegnamento e della formazione ecclesiastica. Questo approccio è il frutto della
profonda modifica delle basi culturali, stimolata dalla polemica nei confronti della chiesa
avignonese e dei suoi aspetti mondani e di governo terreno. Si tratta di un elemento di crisi perché
la chiesa istituzionale non è più punto di riferimento per le coscienze, ma un elemento di scandalo.
Nel quadro di trasformazione, incertezza e difficoltà che caratterizza questa epoca, il venire meno
del punto di riferimento fondamentale che era stata la chiesa, contribuisce allo smarrimento delle
coscienze.

L’Impero
L’istituzione imperiale non ha mai avuto questo valore di reale riferimento universale che la chiesa
aveva conquistato dalla riforma gregoriana: è una istituzione ambigua, aspira a essere
l’organizzazione politica universale di tutta la cristianità, ma contemporaneamente i suoi poteri
concreti vanno sempre di più restringendosi.
L’impero alla fine diventa un regno di Germania e Italia, fino al governo imperiale di Federico II,
che è concretamente sovrano di Germania e Italia. Ma già lui sfugge alla volontà di comandare
tutti i popoli della cristianità. L’impero non riesce a diventare il fondamento di uno stato
monarchico di tipo nazionale come quelli che si andavano costituendo in Francia, Inghilterra,
Castiglia, Aragona, Portogallo, e nel XIV secolo nei territori slavi. L’impero non si trasforma in uno
stato monarchico con base omogenea, e dopo la morte di Federico II viene meno la stessa
istituzione imperiale perché non si crea un successore diretto a Federico II. La stessa base tedesca
e italiana dell’impero non ha un’unità politica, ma è frazionata in diversi potentati: in Germania si
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creano potentati di natura feudale o città libere, in Italia si creano i comuni o gli stati regionali.
Questo sgretolamento del territorio su cui si estende l’autorità dell’imperatore fa sì che non sia
possibile prevedere la costruzione di uno stato aggregato e unitario, e fa sì che gli elettori non
nominino gli imperatori o si orientino su candidati in lotta tra loro, disgregando quindi il prestigio
dell’istituzione imperiale.
Nel XIV secolo vengono nuovamente eletti imperatori, ma questi non hanno un’attività di governo
reale in Germania, e il loro interesse storico consiste nel fatto che intorno a loro si aggregarono dei
teorici che cercarono di ridare significato all’istituzione imperiale. L’istituzione imperiale
continuava a esistere solo come simbolo di una tradizione che non veniva abbandonata, ma non
c’era una capacità concreta di iniziativa politica. Questi imperatori sono Enrico VII, e poi Ludovico il
Bavaro.
Intorno a Enrico VII, principe di Lussemburgo con una modestissima base di potere famigliare, si
concentrarono le speranze di alcuni ideologi che davanti alla difficoltà di intravedere un ordine nel
mondo politico europeo e in particolare italiano, cercarono nell’istituzione imperiale una speranza
di riorganizzazione dell’assetto politico: uno di questi ideologi è Dante.
Dante tentò di proporre la realizzazione di una nuova idea dei valori politici che doveva governare
la cristianità. L’assetto di governo della cristianità e, in generale, dell’umanità era un fine in sé, un
fine connaturato con l’uomo, e l’impero doveva assicurare la realizzazione di questo fine naturale
dell’uomo, che riunito in un’organizzazione politica tende a raggiungere la felicità terrena, che non
esclude la felicità celeste ma comunque è un fine indipendente. L’impero era la ricostruzione di
una società umana autonoma, governata dall’imperatore, con fini propri che si realizzavano in
questo mondo, ed era la premessa per i fedeli per realizzare anche i fini superiori del mondo
religioso, indipendentemente dall’apparato della chiesa e dal potere temporale della chiesa. La
chiesa deve essere un’istituzione di predicazione, di virtù e di ammaestramento religioso. Questo
ideale fallì clamorosamente perché le forze di questo imperatore erano minime: Enrico VII tentò
una spedizione in Italia per portare ordine nella penisola, ma fallì e vi morì nel 1313, proprio nel
corso della spedizione.
Intorno a Ludovico il Bavaro, che tiene l’istituzione imperiale tra il 1314 e il 1346, si coalizza un
altro tipo di opposizione intellettuale, soprattutto al dominio dei papi. La dottrina di Marsilio da
Padova considera l’impero come il governo politico di una università dei cittadini, la collettività
degli uomini che hanno bisogno di un’organizzazione politica e istituzionale, spontanea e
connaturata al genere umano. Anche dal punto di vista della dottrina politica Marsilio da Padova
ritiene che il fondamento della sovranità stia nella collettività dei cittadini, non nelle ragioni del
sovrano: sono i cittadini che delegano all’imperatore l’esercizio della sovranità, che risiede nel
popolo. Nella dimensione religiosa dell’umanità, la sovranità religiosa e dottrinale risiede nel
concilio e non nei vertici della gerarchia. Si tratta di concezioni politiche originali, ci si trova quasi
alla definizione di un principio di sovranità popolare. Queste teorie d’avanguardia non trovano la
possibilità di realizzarsi perché i sovrani sono deboli. Ludovico il Bavaro è in conflitto con il papa
del tempo, ed è un imperatore scomunicato che viene incoronato a Roma non dalla chiesa ma dai
rappresentanti del popolo romano. Si verificano situazioni prive di rilevanza istituzionale, indice
della difficoltà dell’epoca, perché questi tentativi di prevedere una migliore organizzazione
dell’umanità significano che i rapporti esistenti sono in crisi e non si trova un principio di
riorganizzazione della società. La società, infatti, va sfaldandosi in conflitti e situazioni morali
insoddisfacenti.
La situazione dell’impero nel corso del XIII secolo dal punto di vista istituzionale si assesta grazie
all’imperatore Carlo IV re di Boemia, che razionalizza il sistema di elezione dell’imperatore e il
rapporto tra questo e l’intervento dell’autorità ecclesiastica, che fino a quel momento era stato
indispensabile. Con una bolla d’oro, un documento solenne, nel 1356 viene stabilito da Carlo IV
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che chi viene eletto re in Germania e incoronato a Aquisgrana, automaticamente conquista la
dignità imperiale. Si stabilisce anche chi sono gli elettori: gli elettori del re di Germania e
imperatore sono sette, tre ecclesiastici e quattro laici, e costituiscono il collegio elettorale che
risolve il problema della base elettorale. Si tratta in parte di una rinuncia alla pretesa di
universalità del potere imperiale, però anche di un adattamento e di una presa di coscienza del
fatto che questo principio non aveva più il fondamento e la possibilità di essere riconosciuto
perché quelle speranze formulate da ideologi e pensatori, in realtà non potevano realizzarsi in quel
contesto politico. Si trattò, quindi, di prenderne atto e di limitare la tradizione imperiale a un
coordinamento di prestigio sulle forze presenti in Germania, e in parte rinunciando a una politica
attiva in Italia.

I Regni
Anche i regni nel Trecento vivono un prolungato momento di debolezza, in cui non riescono a
risolvere le funzioni per cui si erano costruiti nel corso del secolo precedente. I due grandi regni
della Francia e Inghilterra si scontrano in una serie di vicende militari, guerre e ostilità, che inizia
agli inizi del secolo e si protrae fino alla metà del Quattrocento.
Il momento che storicamente definisce meglio questo lungo conflitto tra Francia e Inghilterra è la
guerra dei Cent’anni, che nasce come guerra dinastica con un conflitto di rivendicazioni sulla
corona di Francia, e viene combattuta sul territorio francese a più riprese con il predominio degli
inglesi in territorio francese. Sembra che la monarchia di Francia, così forte e evoluta nel
Duecento, non riesca a fare fronte a un governo unitario e strutturale del regno. A più riprese i re
di Inghilterra si vedono riconosciuto diritto a prendere la corona di Francia, mentre in Francia i
nobili di dividono, e la famiglia dei duchi di Borgogna si separa dai destini del regno di Francia e si
allea all’Inghilterra. Il principio nazionale non è avvertito né dai re né dalle aristocrazie, dove
prevale interesse dinastico.
Durante le vicende della guerra dei Cent’anni, i sentimenti nazionali si radicano a livello del
popolo, mentre a livello alto non vengono riflessi. Anche questi conflitti determinano insicurezza
politica, incertezza sull’organizzazione dei regni, e si attua una soluzione interlocutoria (=non
definitiva, ancora in trattativa). Solo col tempo si potranno ricostituire le strutture di governo degli
stati.

L’espansione dei turchi


L’espansione dei turchi avviene in tutta la parte sud orientale dell’Europa. A partire dai primi
decenni dell’XI secolo avevano conquistato il vicino oriente, e si erano poi estesi nel corso del
Duecento in Asia Minore. Successivamente si determina l’affermazione della dinastia degli
ottomani, che nel corso del Trecento si estende enormemente in Europa, a fasi successive: si
conquista l’area della Serbia, i Bulgari, si sconfigge anche un tentativo di reazione sul campo, si
estende il dominio a tutta la Grecia e si minaccia Costantinopoli, l’ultimo avanzo dell’impero
bizantino, che agli inizi del Quattrocento si riduce a un’unica città assediata dai turchi.
Anche quel grande ideale dell’unità della cristianità viene così compromesso da questa ultima e
grandiosa espansione di un popolo diverso sui territori cristiani europei.

4
Lez. 29 - Verso un nuovo sistema
Gli argomenti:

- Ripresa dell’economia
- Riorganizzazione dei regni
- Chiesa e Stati
- Società del XV secolo
- Caso italiano

Ripresa dell’economia
Dopo tanti dissesti e difficoltà, dopo la crisi e dopo l’incapacità delle strutture di fronteggiare e
superare le difficoltà congiunturali, a partire dalla seconda metà del XV secolo la situazione va
lentamente migliorando. Si assiste al superamento di tutte le situazioni diffuse che, nel loro
insieme, definivano un quadro di crisi europea. Abbiamo indizi di una ripresa della consistenza
demografica della popolazione europea, della rimessa a coltura di terre abbandonate, della
crescita della popolazione in determinate aree. Non sappiamo la causa di questa ripresa
demografica, e se ci siano stati spostamenti di popolazioni: anche l’organizzazione economica
comincia a ristrutturarsi e a presentare occasioni che facciano valere la pena spostamenti
consistenti di popolazione. Vi è una riorganizzazione dell’attività e della produzione agraria: si
assiste al ritorno a una coltura dei campi, e nella seconda metà del ‘400 si sviluppa in Europa una
produzione più soddisfacente e meglio organizzata. Viene messa in atto una migliore
organizzazione dell’attività agraria, e si determina anche un diverso rapporto tra proprietari delle
terre e i contadini: vi sono nuovi sistemi di conduzione, si sviluppa la libertà contadina e vengono
meno sistemi di servitù e dipendenza agraria. Si sviluppa il contratto di mezzadria in cui lavoratore
e il proprietario concorrono nella messa a frutto della terra con un rapporto di cessione in fitto
della terra e con la collaborazione nel miglioramento dell’attrezzatura agraria, acquisto delle
sementi, disponibilità degli animali per la coltivazione, a fronte della ripartizione del prodotto. Si
coinvolgono i proprietari delle terre nella prospettiva di migliorare il sistema agrario. Si
diversificano le colture, mentre prima erano realizzate su base locale e affidate al mercato solo per
le eccedenze, e un grande commercio esisteva a intermittenza, e solo per i cereali: le colture ortive
successivamente si diversificano, e si razionalizza il rapporto tra le diverse colture con un occhio
alla possibilità del mercato regionale e all’integrazione tra i mercati regionali.
Si mette in atto la costruzione di spazi economici integrati che superano la dimensione locale, e
che creano la possibilità di una organizzazione imprenditoriale della produzione agraria e
industriale. Vi è la possibilità di una previsione del mercato che non era connaturata con
l’organizzazione economica e produttiva dei secoli precedenti. Anche la produzione tessile, che
prima era fondata soprattutto sulla produzione di lana, si diversifica: in questa fase assume
importanza la produzione di tessuti di seta, che prima non erano organizzati. Si incrementano la
produzione e la commercializzazione di tessuti di seta, e questo avviene in molti centri, non solo in
Italia. Si tratta di una produzione di lusso, oppure di una produzione economica, come quella dei
fustagni, che mescolano lana e cotone, e le tele, facilmente smerciabili e per un mercato più vasto.
Si assiste all’articolazione della produzione, e si crea una varietà di occasioni che danno impulso a
un tessuto produttivo più diffuso e meno concentrato.
Si creano le premesse per una riorganizzazione economica diffusa, meno episodica e meno
soggetta alle crisi congiunturali. Poi vi sono anche nuove attività, che hanno un ruolo nel creare
lavoro e nel riorganizzare il tessuto sociale delle varie regioni d’Europa: una di queste è l’edilizia,

1
importante in particolare per Firenze, ma per tutte le città italiane che rinnovano il loro volto con
l’affermazione di corti cittadine.
Si afferma l’utilizzo delle rendite nuove che vengono dalla diversa gestione della proprietà agraria
e dai vantaggi che vengono dalla partecipazione al governo accanto ai signori: questi fondi si
utilizzano anche per abbellire il volto delle città e per creare una struttura monumentale di edifici
di grande decoro, come palazzo Strozzi di Firenze. Questo è un fenomeno non sono fiorentino e
non solo italiano, perché i patriziati che si fondano in tutta Europa hanno tutti interesse a creare
dimore private e ambienti pubblici di qualità illustre. Si citi anche un’altra nuova attività
importante che si sviluppa nel ‘400, ossia l’attività mineraria estrattiva. Una delle cause
dell’insicurezza e della confusione economica e istituzionale era la politica monetaria dei governi,
determinata dalla penuria di metallo prezioso, ma nel ‘400 la ricerca di miniere dà buoni risultati,
si aprono miniere nuove e torna a essere abbondante l’argento in Europa, e questo sostiene due
cose: per i governi la possibilità di ricostituire la moneta, e per gli imprenditori che finanziano la
ricerca mineraria e l’estrazione, la costituzione di importanti capitali che finanziano attività
bancarie importanti. Tutti questi fenomeni sono gestiti a livello locale, signorile e di patriziati
urbani, ma anche coordinati, sorvegliati e partecipati dai poteri statali, in particolare dalle
monarchie che si riorganizzano nella seconda metà del XV secolo all’uscita da questa grande crisi, il
cui vertice è nella guerra dei Cent’anni tra Francia e Inghilterra.

Riorganizzazione dei regni


La riorganizzazione dei regni è l’altro aspetto importante del cambiamento della situazione
strutturale e dell’apertura verso un nuovo sistema, che è anche sul campo politico e istituzionale.
La slide mostra l’incoronazione di re Giacomo I di Maiorca.
Il processo che avviene a partire dalla seconda metà del XV secolo è la riaffermazione e la
ricostruzione dell’autorità regia in un nuovo contesto di relazioni politiche e istituzionali.
La novità è che l’autorità regia sviluppa, perfeziona e recupera adeguandoli alle nuove possibilità,
quegli strumenti di governo già messi in opera nel XIII secolo. Si tratta di un maggiore controllo del
territorio, della giustizia del regno, dei ceti di governo del regno e delle risorse finanziarie. Tutto
ciò è già avviato nel XIII secolo, e nel XIV il processo si inceppa.
Terminati gli sconvolgimenti che inceppano il processo, il processo di affermazione dei sovrani
continua e rende efficace l’autorità del sovrano e la coesione del regno. La coesione del regno
viene ottenuta con vari mezzi e profittando di situazioni prodotte dell’epoca precedente, come
l’indebolimento della nobiltà feudale. Nel 1300 i re erano riusciti a coordinare in un rapporto
feudale la nobiltà, rispettando però i poteri che questa esercitava nelle signorie, e la
partecipazione all’esercizio dei poteri sovrani. L’autorevolezza sociale e politica della nobiltà
feudale non era messa in discussione: si vede nella guerra dei Cent’anni, quando la nobiltà ha dato
luogo a fenomeni gravi, di incapacità di gestire la guerra, ma anche la creazione di potere regionale
che ha fortemente limitato quello del sovrano, come il ducato di Borgogna, e in Inghilterra
addirittura una sostituzione di dinastia.
Vi sono poteri politici che possono trasformarsi in poteri principeschi. La crisi di prestigio e di
potere della nobiltà realizzatasi con la guerra dei Cent’anni, e in Inghilterra, dopo, con la Guerra
delle Due Rose, facilità nella seconda metà del XV secolo l’affermazione del potere del sovrano,
che avviene in vari modi. Alcuni di questi grandi principati vengono ricondotti sotto il potere del re,
con politiche matrimoniali, oppure con l’avvocazione di feudi meno importanti al diretto controllo
della monarchia, che nello stesso tempo promuove un’altra forma di aggregazione del regno
attraverso lo strumento economico.
Un protagonista è il Re di Francia Luigi XI: la monarchia organizza una politica economica per il
regno, che si configura in una protezione della produzione interna, nel favore nella circolazione
2
delle merci all’interno del regno, nell’appoggio all’esportazione di merci, e nel contingentamento e
scoraggiamento dell’importazione di merci (per esempio nel settore tessile e nel settore agricolo).
La monarchia francese cerca di organizzare dei rifornimenti di merci orientali favorendo la
creazione di flottiglie mercantili che avrebbero dovuto liberare il regno di Francia dalla posizione di
mediazione che tengono i genovesi. Si tratta di una sorta di mercantilismo economico ante
litteram. Si assiste alla definizione del regno come un grande spazio in cui le attività produttive
possono integrarsi in un grande mercato protetto e favorito dai sovrani.
Tra le forme di riorganizzazione dei regni, le forme di affermazione del potere del re, è il
potenziamento delle entrate fiscali, che tendono a diventare regolari e automatiche sulla base di
una disposizione legale del sovrano a percepire entrate non solo sui traffici e nelle situazioni
straordinarie di guerra, ma su una base regolare e ricorrente. Si assiste alla razionalizzazione di un
sistema economico della monarchia, che era già stato messo in essere e che ora si riorganizza e
razionalizza. Le risorse dei sovrani a partire dalla seconda metà del ‘400 dipenderanno sempre
meno dallo sfruttamento patrimoniale del dominio diretto della monarchia, e sempre più da
sistema fiscale. Si delinea un rafforzamento dello spazio geografico e finanziario del regno. Gli
spazi iniziano a essere gestiti in modo coerente, anche attraverso l’unificazione della procedura
giuridica sotto controllo dell’autorità dei sovrani. Si tratta di un mondo in cui il potere e
l’organizzazione statale tendono a riorganizzarsi, e tende a riorganizzarsi anche la società, in parte
per impulso della monarchia.
L’Inghilterra negli ultimi decenni del XV secolo vede il superamento dei conflitti e l’affermazione di
un potere monarchico più efficace e incisivo, legato alla riorganizzazione dello spazio geografico
anche sotto il profilo economico e giuridico.

Chiesa e Stati
In questi processi di riorganizzazione e di razionalizzazione dei rapporti dei regni e delle economie,
anche la chiesa è coinvolta. La chiesa aveva subìto, nel corso del Trecento, una crisi di
autorevolezza morale, connessa con il soggiorno dei papi ad Avignone, con la grave
mondanizzazione e con il prevalere di aspetti economici, finanziari e di potere esercitato nei
confronti delle stesse strutture ecclesiastiche. La curia rivendica una pesante partecipazione
economica nelle risorse delle chiese locali, sotto forma di tasse o di controllo delle rendite e delle
posizioni delle chiese locali. Proprio questa forte ingerenza nella vita delle chiese locali fa sì che la
curia romana subisca un discredito accentuato all’interno della chiesa, e all’esterno.
La slide mostra la navicella papale di San Pietro, con il papa e con i due cardinali che navigano in
acque tempestose, e la scritta dice che stanno per naufragare.
La via d’uscita per la chiesa è di trovare un’autorità che possa affiancare quella del papa e
promuovere la riconversione degli atteggiamenti dell’esercizio del potere in senso più consono alla
domanda della cristianità. Il papato torna a Roma dal 1377, ma nella stessa occasione avviene una
catastrofe ancora più grande. Alla morte del papa che aveva riportato la sede pontificia a Roma
viene eletto Urbano VI, ma le condizioni dell’elezione e le scarse garanzie che questo pontefice
sembrava dare al collegio cardinalizio, fanno sì che una parte dei cardinali rifiutino e eleggano un
altro papa, Clemente VII. Da questo momento, e per quarant’anni, la cristianità ha due papi
contrapposti, apparentemente entrambi legittimi e che si scomunicano a vicenda. Una rimane a
Roma, l’altro torna ad Avignone. Il seguito che ciascun papa ha nella cristianità non è più
caratterizzato dall’adesione degli ordini religiosi, ma è gestito dalle convenienze politiche degli
stati, all’interno dei quali il clero e gli episcopati hanno atteggiamenti condizionati dalle
costellazioni politiche in cui sono inseriti gli stati. Il papa di Avignone riceve appoggio del re
francese e del clero francese; siccome siamo nell’ambito della guerra dei Cent’anni, il clero inglese
aderisce al papato di Roma.
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La cristianità si divide non sulla base di un riconoscimento di legittimità e su una discussione della
legittimità, ma si divide in base a considerazioni politiche: significa che le chiese all’interno dei
regni cominciano ad avere una struttura nazionale. Finché i regni sono deboli è un processo in
parte sotterraneo, ma diventa evidente quando la crisi si attenua e il potere dei sovrani si rafforza.
In questo periodo la chiesa del regno diventa una chiesa nazionale legata alle ragioni di una
autonomia all’interno del corpo della cristianità.
I papi dal 1409 diventano addirittura tre: un concilio a Pisa ne elegge un terzo. Una situazione del
genere dà forza a una dottrina che era già stata enunciata fin dagli inizi del Trecento: la dottrina
conciliarista, che per mettere un freno alle aberrazioni del governo centralizzato e papale, e per
risolvere il conflitto dei tre papi, sostiene con ragioni teologiche e giuridiche il primato del concilio
universale nella struttura della chiesa. Il concilio è la rappresentanza di tutti i fedeli dell’Europa
occidentale. Il concilio stesso, in rappresentanza di tutta la cristianità, è costituito dai titolari di
uffici ecclesiastici. Si tratta di una dottrina rivoluzionaria, perché esiste una lunga tradizione che
risale a Gregorio VII che dice che il potere supremo nella chiesa è quello del papa: è un’idea nuova
e originale che introduce il principio parlamentare nelle strutture ecclesiastiche.
In questa grande difficoltà le stesse autorità politiche riescono a convocare un grande concilio nel
1414 a Costanza, che incarna e realizza l’affermazione del principio conciliare come l’unica istanza
istituzionale che può risolvere la crisi e gettare le basi per una riorganizzazione della chiesa. Il
rapporto tra papi e concilio è difficile, e a metà del XV secolo viene risolto con la riaffermazione
della prevalente autorità papale. Il clero delle diverse nazioni si organizza in maniera autonoma e i
sovrani rafforzano la costituzione di un’organizzazione nazionale delle chiese come ulteriore
elemento di identificazione di un regno coerente e controllato dal potere del sovrano.

Società del XV secolo


La slide mostra i monumenti funebri inglesi. La società europea si riorganizza all’interno di questa
nuova dimensione dei regni, e l’articolazione in classi si struttura in forme nuove. Esistono sempre
il ceto urbano, la nobiltà fondiaria e il clero. La caratteristica di ciascun ordine comincia a essere
definito giuridicamente e avere fisionomia di ceti del regno, e si configura uno stato giuridico dei
borghesi, dei nobili proprietari fondiari e del clero, tutti coordinati dall’autorità del re.

Caso italiano
In Italia gli stati sono molti e nel corso del ‘400 si organizzano su base regionale, e sviluppano
tecniche di governo e situazioni economiche affini a quelli che abbiamo descritto per i regni. La
ripresa dell’agricoltura anche in Italia è importante.

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Lez. 30 - L’eredità del Medioevo
Gli argomenti:
- Idea di Europa
- Civiltà medievale
- Le fonti nella Storia

La crisi del Trecento, che abbraccia anche la prima metà del Quattrocento, può essere considerata
come la fine del medioevo, oppure no? Gli ultimi tempi del Trecento possono essere considerati gli
ultimi tempi dell’età medievale.
Lo storico Henri Pirenne considera che la lunga crisi sia stata la conclusione di un ciclo economico
che a un certo momento si blocca e determina la fine di un sistema socioeconomico, culturale e
politico, dopo il quale comincerà un altro stadio della storia, discontinuo rispetto al passato. Un
altro storico, Johan Huizinga, considera i secoli Trecento e Quattrocento come i secoli che
configurano l’autunno di un’epoca, il lento esaurimento dello slancio vitale di una società. Gli
ultimi secoli del medioevo sono caratterizzati da un atteggiamento di stanchezza che si esprime
nella ritualità della vita, delle istituzioni, in un cortocircuito dello spirito su sé stesso che testimonia
l’indebolimento di una civiltà.
I secoli Trecento e inizio Quattrocento costituiscono il termine di una civiltà; però abbiamo anche
esposto aspetti che non coincidono con questa prospettiva. Avviene in questo momento la
riorganizzazione dell’economia, della società, del mondo politico, di una struttura che supera la
crisi: si verifica la ricostruzione di un’economia nuovamente produttiva, di un nuovo sistema
sociale, un’organizzazione politica che rafforza gli stati. I materiali utilizzati sono gli stessi che
erano già stati elaborati nel Duecento, che vengono riorganizzati, razionalizzati e ristrutturati: non
siamo davanti a un mutamento strutturale, alla costruzione di un sistema economico e
sociopolitico completamente diverso.
Prima della crisi gli elementi sopra descritti potevano funzionare in un contesto espansivo, poi la
crisi ha messo in luce alcuni punti di mancanza di coordinamento, e gli stessi elementi dopo la crisi
sono quelli che caratterizzano la riorganizzazione della società e del mondo politico e istituzionale
nella seconda metà del Quattrocento. C’è una continuità tra Duecento e Quattrocento,
attraversata da una crisi. Lo stesso umanesimo italiano, che rappresenta sotto il piano culturale la
novità più forte, in realtà non è talmente nuovo e rivoluzionario come potrebbe apparire perché
queste tendenze sono già mature e in corso nel XIV secolo.
La personalità di Petrarca è l’esempio migliore.
I secoli Trecento e Quattrocento sono secoli di grande trasformazione, ma l’età medievale non
termina bruscamente con questa crisi, non c’è una cesura forte ma un processo di trasformazione.
Questo avviene cominciando già dalla fine del Duecento: poi, accentuandosi, porta alle grandi
trasformazioni quattrocentesche. Nel ‘500, invece, comincia davvero l’età moderna. I secoli prima
sono un complesso di trasformazione di situazioni strutturali che mutano ma non cambiano in
maniera radicale.

Idea di Europa
La slide mostra un mappamondo di XII secolo. Tra i lasciti importanti dell’età medievale c’è la
genesi dell’idea di Europa come la concepiamo noi oggi. Come termine geografico, come
continente, l’Europa era un concetto noto alla geografia antica pre-medievale: si sapeva che il
mondo era articolato in tre parti, ossia l’Europa, l’Asia e l’Africa. L’Europa, però, non coincideva
allo spazio di una civiltà o a un complesso politico significativo e identificabile, perché lo spazio
1
politico e culturale era quello dell’impero romano, che non corrisponde all’estensione dell’Europa
(tocca l’Asia e l’Africa), e non coincide con l’Europa, anche perché molte regioni non erano incluse,
come tutta la parte dell’Europa centro settentrionale. I geografi antichi conoscono l’Europa come
parte del mondo, ma solo come descrizione di spazi geografici a cui non corrisponde una struttura
sociale e politica unitaria.
Il passaggio alla situazione moderna in cui lo spazio geografico corrisponde allo spazio di cultura e
politica, è un passaggio che avviene nel corso dell’età medievale, e che caratterizza uno degli
aspetti più interessanti da seguire. Le prima manifestazioni di un modo diverso di concepire
l’Europa vengono dagli inizi dell’età barbarica e vengono non da esponenti della cultura romana,
ma da esponenti della cultura dei nuovi popoli. Si ricorda un’interessante testimonianza agli inizi
del VII secolo in cui un monaco irlandese, Colombano, scrive al papa del tempo dicendo che tutte
le chiese d’Europa si rivolgono al papa: Colombano pensa alle chiese dell’Irlanda, del mondo
anglosassone, del regno dei franchi. L’Europa definisce una nuova realtà di queste formazioni
romano barbariche che vengono considerate come parti di una realtà contemporaneamente
ideale e geografica estesa a una configurazione diversa rispetto all’impero romano. Il fondamento
non è la cultura classica, ma l’ispirazione religiosa concretizzata nelle chiese che si stanno creando.
Il concetto d’Europa affiora sporadicamente. Si può citare un’altra fonte, scritta nella Spagna
soggetta ai musulmani, in cui si racconta della battaglia tra i musulmani e Carlo Martello, la
battaglia di Poitiers, in cui Carlo Martello sconfigge i musulmani. In questa fonte viene detto che
“gli europei fermarono i musulmani”: gli europei sono i franchi cristiani che difendono la fede, e il
territorio della fede.
La parola Europa viene reinterpretata da questi autori medievali in un senso nuovo rispetto ai
geografi antichi, e per definire realtà umane e territoriali diverse dell’Europa come terza parte del
mondo. Il dominio franco si consolida nell’impero di Carlo Magno, che viene messo in relazione
con un’idea originale di Europa: Carlo Magno viene chiamato padre dell’Europa, oppure vertice
dell’Europa, faro di Europa, che ha una struttura geografica diversa, si riferisce al complesso dei
territori conquistati da Carlo Magno e includono territori della Germania mai inclusi nell’impero
romano, e ora inquadrati nell’impero. L’Europa diventa il complesso delle popolazioni
cristianizzate incluse nel dominio ispirato alla realizzazione dell’ordine cristiano nella terra. Si
ampliano i confini spaziali di questo territorio e si perfeziona la sostanza caratteristica di questa
realtà.
L’idea di Europa concepita in questa maniera trova espressioni saltuarie nel IX e X secolo e viene
ripresa dall’impero sassone, perché anche i cronisti che raccontano le gesta di Ottone I, II, III,
descrivono l’attività dei sovrani come in difesa dei popoli dell’Europa: in questo caso Europa
significa complesso di terre cristianizzate e organizzate nella struttura carolingia e nel sistema dei
regni post carolingi che era minacciato dall’aggressione di Ungari e Magiari, contro cui gli
imperatori sassoni costruiscono una diga per stabilizzare gli invasori. Europa definisce un’unità
politica e spirituale, ma anche un’unità costituita di pluralità: quando l’impero carolingio si
smembra, resta l’idea che i regni che subentrano all’unità carolingia, tra i quali si divide il mondo
carolingio, costituiscano i regni dell’Europa, che nel loro insieme ricalcano la struttura generale
dello spazio politico culturale europeo definito dalle conquiste di Carlo Magno.
Si afferma la tradizione secondo la quale, dopo il diluvio universale, l’Europa sarebbe stata
popolata da uno dei tre figli di Noè, Iafet, e i suoi discendenti sarebbero stati i capostipiti delle
varie popolazioni europee. In questa versione si esprime la consapevolezza della sostanziale unità
dell’Europa, ma dell’articolazione delle diverse famiglie/popoli europei che si realizza attraverso la
successione dei discendenti dell’unico capostipite. La costruzione di un’idea nuova di spazio e
cultura non viene dimenticata, ma viene sottolineata meno tra XI e XIII secolo, quando la comunità
della civiltà europea viene espressa attraverso il concetto di cristianità.
2
Le idee generali vengono gestite con grande acume dal papato, che ricostruisce tutto il territorio
della cristianità occidentale come ambito della chiesa romana. Il concetto di cristianità è
tendenzialmente illimitato perché il sacrificio di Cristo è stato fatto per tutto il genere umano e la
cristianità deve coincidere con tutto il genere umano. Questo funziona bene con la pratica
espansiva, commerciale, di esplorazione, attraverso gli inviati del papa che vanno alla corte dei
mongoli. Si tratta dell’irraggiamento della civiltà cristiana, che ha la sua maggiore espressione nei
regni dell’Europa: questa idea viene meno quando entra in crisi l’aspetto dell’universalità, di
controllare ed egemonizzare l’intera cristianità, che coincide con l’umanità tutta.
Quando l’idea di un’unificazione di tutto il mondo sotto l’autorità del papa crolla a causa della crisi
dell’autorità morale del papato, riemerge l’idea di una diversa ragione di aggregazione delle
popolazioni europee e dei regni che si sono rafforzati in Europa: questo concetto funziona bene
per spiegare l’estensione della civiltà che si è costituita.
Nel XIV secolo si estendono i paesi slavi, dove si organizzano i regni di Boemia, Ungheria, Polonia,
che si riorganizzano intorno a idee, esperienze tecniche di governo, istruzione, organizzazione
ecclesiastica e sociale che sono maturate nell’Europa del primo nucleo e adesso vengono adottati
dai paesi di tradizione slava e magiara, e lo stesso vale per l’area scandinava. L’Europa è articolata
in regni, ma nello stesso tempo è caratterizzata da un patrimonio comune di esperienze e di idee.
Vi è una sostanziale unità e coerenza nella diversità di questa società europea, che si caratterizza
come una società unitaria e articolata. La specificità dei limiti dell’Europa si consolida quando
l’espansione dei turchi mette a rischio tutta la parte meridionale del territorio europeo, e rischia di
aggredire l’Europa centrale, oramai saldamente integrata in questo complesso europeo. Nel 1453 i
turchi conquistano Costantinopoli, l’unico avanzo dell’impero d’oriente e dell’impero bizantino,
spegnendo la tradizione cristiana che si basava su fondamenti simili a quelli dell’Europa
occidentale: questo è il momento in cui l’Europa si definisce come spazio chiuso. L’Europa arriva
fino ai confini con i turchi, ma nello stesso tempo è fin dove c’è il cristianesimo.
L’Europa è la roccaforte della cristianità del mondo, e l’articolazione in stati si rafforza perché si
consolidano le identità nazionali. L’unità dell’Europa è espressa come l’unità delle membra di un
corpo, che fanno tutte parte della stessa persona. Questa è l’idea che viene lasciata in eredità
all’età moderna e alla coscienza di noi contemporanei.

Civiltà medievale
Durante i 1000 anni del medioevo le situazioni sono cambiate enormemente e la situazione
culturale è cambiata moltissimo. Si tratta del momento in cui i superstiti del mondo romano e i
nuovi venuti hanno cercato di salvare il salvabile, e di costruire delle forme di vita civile: questo
processo viene interpretato come una lotta per la salvezza della civiltà.
Questa situazione, poi, viene superata con la costruzione delle grandi ideologie di governo, di
fondamento religioso del potere, di missione dei poteri ecclesiastici e laici di organizzare la società
secondo i principi cristiani e per il bene di tutti coloro che vivono nel territorio europeo.
Il processo si snoda fino all’esplosione di risorse e di entusiasmi che caratterizza i secoli centrali del
medioevo e che si accompagna, sul piano dell’elaborazione culturale, a un fiorire di pensiero
nuovo, di una nuova concezione dell’uomo, della natura, del rapporto tra l’uomo e dio, delle
potenzialità dell’uomo, tutto organizzato dentro i suggerimenti e la forza organizzatrice della
tradizione cristiana, sia che essa venisse espressa dagli organi ecclesiastici, sia che venisse
interpretata dagli intellettuali che non rientravano nel mondo istituzionale della chiesa.
Il grande successo della cultura medievale è quello di creare una nuova interpretazione del
mondo, funzionale alle strutture effettive del potere, della società e dei modi di vita, rapportata ai
principi e alle ispirazioni del messaggio cristiano. La costruzione di una società cristiana è il grande
successo della cultura medievale.
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Uno dei prodotti più straordinari è la sensibilità che precorre quella moderna, che trova le sue
espressioni più raffinate nell’epoca della crisi del Trecento, crisi anche di affinamento delle
esperienze culturali e sentimentali. Il medioevo è stato un succedersi di grandi costruzioni e
sistemi, non si è trattato di una civiltà povera, primitiva e infantile, ma una società adulta che ha
saputo affrontare sfide e formalizzare in termini di cultura, costruzione politica e artistica.

Le fonti nella Storia


La storia si fa con le fonti, che ci permettono di conoscere il passato. Possono essere di ogni tipo, e
il problema è di accedervi. Dopo l’epoca barbarica e carolingia, man mano che la cultura cresce, si
complica e si arricchisce, anche la natura di questi lasciti si moltiplica e diventa non gestibile sulla
base di pochi esempi: si veda un esempio di documento notarile, una delle forme fondamentali di
documentazione.

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