Argomenti:
- Attualità del Medioevo
- Formazione del concetto storiografico di “Medioevo”
- Problema della periodizzazione in storia
- Uso attuale del concetto di Medioevo
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Si ricorda un erudito italiano del 1700 fondamentale nella creazione di una conoscenza dell’epoca
medievale: Ludovico Antonio Muratori, uomo di attività prodigiosa, e che tra i molti lavori ha
raccolto cronache e testimonianze originali su cosa avveniva in Italia nel medioevo, e li ha pubblicati
a stampa in una grande raccolta “Rerum Italicarum Scriptores”. Questa opera ha creato la
possibilità di uno studio sistematico e critico, fondato su documenti accertati, di ciò che avveniva in
Italia nel Medioevo.
La storia dell’Italia inizia nel Medioevo, e non nell’età antica. Non è che l’età medievale venga subito
rivalutata e vista come epoca di grande civiltà: rimane sempre l’ipoteca di un giudizio negativo, di
un’età barbarica e sgradevole, ma contemporaneamente sono tutti più sensibili a configurare
questa età di mezzo come un’età in cui c’è sviluppo e incivilimento. Muratori vi legge un
incivilimento per tappe che conduce all’epoca moderna, del 1700 (per Muratori).
Nello stesso tempo, durante l’Illuminismo francese, l’età medievale è oggetto di aspre critiche:
Voltaire ha tracciato un racconto dell’età medievale, ma all’insegna di una derisione per la rozzezza
dei costumi e di condanna per la barbarie e l’ignoranza. Se, da un lato, la conoscenza e la
disponibilità all’apprezzamento migliorano, dall’altro lato c’è la condanna per la superstizione che
avrebbe dominato le menti delle persone in età medievale, e la continuazione della polemica per
un’età considerata antimoderna, da combattere perché culla dei soprusi e delle inciviltà che
l’illuminismo francese combatte. Contro il Medioevo l’Illuminismo proponeva nuovi modelli di
società giuridica.
Andando ancora avanti nel tempo, il giudizio negativo formulato dall’Illuminismo viene capovolto
quando si passa alla sensibilità di tipo preromantico e romantico: il Romanticismo ha riscoperto il
Medioevo in antitesi all’età moderna. Pensatori, filosofi, poeti di età romantica hanno identificato
nel Medioevo una società organizzata, basata su sentimenti profondi, passioni autentiche, l’età
dell’onore, della cavalleria. Nessuno di questi concetti si può applicare criticamente all’epoca
medievale, ma l’insieme di queste riflessioni è stato importante per recuperare il Medioevo come
un’epoca positiva, contrapposta all’età contemporanea ottocentesca nella quale i pensatori, i
filosofi e gli intellettuali si sentivano a disagio. I ruderi, i resti dell’età medievale suscitavano stupore,
ammirazione, e evocavano un periodo fantastico che stava alle spalle dell’età moderna. Nel 1800 vi
è una valutazione decisamente positiva dell’epoca medievale, che poteva ora reggere il confronto
con l’epoca classica. Nel corso del 1800, tuttavia, la conoscenza, la ricostruzione degli aspetti
giuridici, economici, ecc. hanno fatto passi avanti perché la scienza storica si è professionalizzata.
Fino ad ora la scienza storica era di letterati e umanisti, ora si è professionalizzata. L’800 è l’epoca
della fondazione della storia critica, e delle ricerche storiche fatte su basi scientifiche. Si è capito
come era complessa la società europea, e ricca, durante i 1000 anni che costituiscono l’età
medievale.
Quello che noi conosciamo della società del Medioevo si fonda su ciò che è stato consolidato dai
nostri predecessori ottocenteschi. Oggi, però, interpretiamo i dati più sofisticamente perché
abbiamo strumenti più raffinati.
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Si può mantenere l’idea di medioevo e concentrarci su come si caratterizza il Medioevo, cosa vuol
dire parlare, studiare, definire l’età medievale.
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Lezione n. 2: La società dell’Impero nel IV sec.
Gli argomenti:
- il peso dello Stato sulla società
- l’attività economica
- la chiesa cristiana
- Cristianesimo e paganesimo
L’attività economica
L’attività economica nel IV secolo, nell’età costantiniana, presenta segni che non si accordano
bene con questa premessa: contemporaneamente constatiamo dei segni di ripresa dell’attività
economica rispetto al III secolo, segni di miglioramento della qualità della vita urbana, segni di
prosperità, di un tenore di vita di alcuni ceti piuttosto elevato.
Sappiamo per certo che nel IV secolo si costituiscono e hanno occasioni di vita agiata dei grandi
proprietari fondiari, che costruiscono ville, residenze rurali di grande qualità artistica e
architettonica: luoghi di vita agitata e, contemporaneamente, centri di organizzazione dello
sfruttamento agrario di una grande proprietà. Si tratta di complessi di edifici, di residenze,
laboratori e magazzini che spesso hanno un grande rilievo monumentale e artistico (per esempio
la Villa di Piazza Armerina in Sicilia). Dalla grande qualità di questi complessi possiamo desumere
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che esistevano ancora maestranze che soddisfacevano una committenza che aveva esigenze e
gusti di alto livello, e questo aspetto si vede anche nelle ville africane.
Oltre ad avere testimonianze della costruzione di proprietà fondiarie ben gestite che costituiscono
il quadro di un’attività anche culturale e sociale di alto livello, e ci sono intere regioni che si
specializzano in produzioni di qualità per l’esportazione. Un esempio di regione specializzata in
produzioni da esportare è l’Africa: nella slide c’è una carta di distribuzione delle produzioni olearie
africane nel IV secolo. L’odierna Tunisia, allora la Proconsolare, vede una forte specializzazione
nella produzione olearia, per la distribuzione in tutto il bacino mediterraneo.
Da un lato pensiamo quest’epoca come caratterizzata dallo Stato esattore, ma dall’altro lato
abbiamo grandi proprietà fondiarie, e regioni specializzate nella produzione di beni per la
distribuzione. Si veda la slide che mostra le forme delle anfore africane in cui veniva esportato
l’olio; si veda anche la slide che mostra un corredo da tavola in cui si mettono in evidenza prodotti
ceramici di origine africana.
In Africa, oltre all’olio, si producono stoviglie da tavola di buona qualità a causa delle tecniche di
lavorazione e rifinitura: i prodotti vengono poi diffusi in tutto il bacino occidentale del
Mediterraneo, sulle stesse rotte commerciali dell’olio e del grano africano. L’Africa è una delle
terre più ricche, in quanto più produttive, dell’Impero nel IV secolo, quindi si pensa che il sistema
fiscale non fosse così opprimente da fiaccare la produzione.
Non solo l’Africa e non solo questo tipo di prodotti caratterizzano l’attività economica del IV
secolo. Ci sono anche prodotti di lusso, di ceramica sigillata o cristallo di rocca, anche nell’area
renana: quell’area è specializzata in prodotti in vetro.
Lo stesso Impero si preoccupa di istituire e gestire delle manifatture di stato dedicate alla
produzione di armi nell’esercito romano, in alcune località idonee. Anche questa è un’attività
produttiva gestita dallo Stato, testimonianza di un’organizzazione imprenditoriale, che forniva la
possibilità di dare lavoro e di fare circolare prodotti.
Nel IV secolo non c’è un quadro totalmente negativo, e nemmeno il quadro di una società che
uniformemente ha lo stesso livello di imprenditorialità e produttività economica. Alcune regioni
sono più favorite, alcuni centri di produzione e consumo sono privilegiati, come le grandi città
imperiali; altre città, per contro, nel corso del IV secolo si avviano invece a un destino di grande
decadenza che le porterà a estinguersi.
Nella parte orientale dell’Impero il livello della vita sociale, imprenditoriale, e dei consumi, è più
alto che in occidente. L’Oriente è caratterizzato da un fenomeno urbano più sviluppato e un
mercato più sviluppato, anche grazie ai contatti con la Persia e con l’India.
In occidente ci sono aree di produzione e, accanto, aree di crisi. Nelle campagne la popolazione
rurale si raggruppa in grandi villaggi, dove nascono forme di solidarietà e di assistenza collettiva.
Il dittico di Stilicone e Serena testimonia la grande abilità artigianale ancora disponibile nel mondo
imperiale romano.
Il IV secolo è complesso, ma non può essere considerato un secolo di crisi nonostante lo stato
vorace: è un mondo non omogeneo, un mondo in cui tra oriente e occidente si delineano delle
separazioni di struttura. In occidente l’attività si ruralizza e la ricchezza si fonda sempre di più sulla
grande proprietà fondiaria, concentrata in poche mani a discapito della piccola proprietà fondiaria
che tende a ridursi.
La chiesa cristiana
La Chiesa cristiana era già diffusa quando Costantino ha legalizzato il culto in tutto l’Impero, ed
era già organizzata nella sua forma tipica, per vescovati. Non era ancora una chiesa con la strutta
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complessa e centralizzata che culmina nel papa come unico capo di tutta la chiesa, che
gerarchicamente deriva le sue funzioni dal papa in quanto vicario di Pietro.
Nel III e IV secolo c’è una rete di vescovati autonomi, che organizzano la vita della comunità
cristiana in maniera spontanea e locale. Ogni città dell’Impero ha visto affermarsi una comunità
cristiana con a capo un amministratore che la gestisce, presiede ai culti e guida la vita spirituale dei
membri: ogni sede ha un vescovo, e un clero che aiuta il vescovo. Quando Costantino riconosce la
liceità del culto cristiano, questa rete diventa legittima e acquista la sicurezza di poter possedere,
la sicurezza di una fondazione patrimoniale e economica, che si esplica anche in carità e assistenza.
Il fondamento economico della chiesa è essenziale per praticare la carità cristiana, l’assistenza dei
poveri e dei membri più deboli della comunità.
Nel IV secolo non c’è una vera e propria struttura gerarchica, anche se inizia a delinearsi una
ripartizione in 5 grandi aree di coordinamento, i patriarcati:
- Antiochia
- Gerusalemme
- Alessandria
- Roma
- Costantinopoli (nel V secolo).
Che cosa tiene insieme questi patriarcati? I patriarcati sono delle grandi provincie ecclesiastiche
che si richiamano a una medesima tradizione, e che hanno un richiamo a una lingua popolare
(come il siriaco, o il copto per l’area egiziana) oppure l’autorità alla sede imperiale, nel caso del
patriarcato di Costantinopoli. Non si tratta di un’articolazione istituzionale, ma di una formazione
spontanea di grandi provincie i cui vescovi riportano al patriarca, capo di una grande provincia.
Il patriarca ha alcuni poteri di coordinamento dei vescovi, e ha potere sulla loro nomina, e può
convocarli per discutere di questioni della chiesa.
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conservano un’ideale di vita e spiritualità che trova principale riferimento in Virgilio, esprimendo
devozione agli dei che proteggevano il mondo e la cultura romana.
Dall’altra parte c’è anche un mondo cristiano, dinamico, in cui la riflessione sulla figura, la
divinità e la missione di cristo è oggetto di appassionati dibattiti. La slide mostra il Sarcofago con
Cristo Seduto come un giovane filosofo nell’atto di ammaestrare: si tratta di un’immagine diversa
dalla nostra più profonda raffigurazione di Cristo, che è la crocifissione. Nel IV secolo, infatti, di
Cristo si preferisce evidenziare l’aspetto di docente. Dall’immagine si capisce che vi sono diverse
possibilità di intuire la figura storica e divina di Cristo, ma ci sono anche problemi più complicati
che agitano il mondo cristiano a proposito della divinità di Cristo, e dei suoi rapporti con la
divinità che lui chiama Dio padre: problemi di rapporto tra padre e figlio. Il figlio incarnato e
morto in croce e il padre non incarnato. Quale rapporto tra i due? Su questo nacque all’inizio del IV
secolo un conflitto teologico e dottrinale, ad Alessandria, sostenuto da Ario, sulla qualità della
divinità che si poteva attribuire a Cristo in rapporto alla divinità del padre. Ario sosteneva che, per
il fatto di essersi incarnato sulla Terra, il figlio non aveva la stessa identica sostanza divina del
padre, il figlio era la prima creatura del padre, perfetta, non Dio increato ma una creatura divina
creata, e perciò inferiore rispetto al padre. Questa interpretazione poneva dei problemi, come
quello della salvezza. Si trattava di una concezione che rendeva più comprensibile la passione di
Cristo, ma poneva il problema del valore del riscatto umano operato attraverso la passione di
Cristo. Se questi era una creatura, in quale modo poteva avere riscattato la peccaminosità
dell’uomo?
Si registrano conflitti violenti ad Alessandria tra Attanasio (che sosteneva che Cristo fosse
identicamente divino come il padre) e Ario, ma si diffondono anche in oriente tanto che
Costantino nel 325 convoca un concilio di vescovi della parte orientale dell’impero, a Nicea, per
dibattere questo problema. In quell’occasione la formula ariana di Ario viene condannata come
ereticale, ma l’arianesimo continua a vivere nel corso del IV secolo in forme seminascoste e
mitigate. Il rapporto tra cristianesimo e paganesimo, che è complesso, si complica di conflitti
all’interno dello stesso cristianesimo sulla divinità della figura di Cristo.
L’impero adotta formalmente il cristianesimo solo alla fine del IV secolo, e da quel momento gli
imperatori faranno una politica di favore del cristianesimo e di rimozione del paganesimo. Si veda
la slide con indicazioni cronologiche che mostrano come gli imperatori alla fine del IV secolo
prendono iniziative che progressivamente eliminano il paganesimo dal rango di religione legittima
dell’Impero, mentre solo il cristianesimo rimane religione accettata, riconosciuta e protetta
dall’autorità imperiale. La conversione ufficiale dell’impero al cristianesimo avviene nell’ultimo
quarto del IV secolo, con la dinastia Teodosiana, quando l’impero affronta problemi nuovi, le
scorrerie barbariche. Da quel momento gli imperatori scelgono la religione cristiana come
protettrice dell’impero. Il paganesimo, allora, non scompare ma perde ogni sostegno statale e
progressivamente verrà meno nel corso del V secolo.
Nel IV secolo in oriente si diffonde un fenomeno di esperienza eroica del messaggio cristiano,
l’ascetismo e l’eremitismo, che si diffondono dall’Egitto.
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Lezione n.3: Le invasioni Barbariche
L’ultimo quarto del IV secolo è un’epoca di grandi trasformazioni perché viene meno la dinastia
costantiniana e, insieme a una nuova dinastia che si afferma nell’Impero, incominciano i guai per
l’Impero: altri guai, non più di sorgente interna. Le grandi invasioni barbariche.
Gli argomenti:
• I barbari e l’Impero romano
• La rottura del limes
• Le invasioni nell’impero d’Occidente
• La resistenza nell’impero (prima metà V secolo)
• La crisi dell’impero (seconda metà del V secolo)
• Le ultime invasioni del V secolo
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La resistenza nell’impero (prima metà V secolo)
L’impero nella prima metà del V secolo riesce a resistere anche dopo la soppressione di Stilicone,
in quel momento è ancora in grado di controllare e arginare i nemici. C’è poi, a capo dell’impero,
un grande generale: gli imperatori sono il simbolo dell’impero, ma sul campo i protagonisti sono i
grandi generali, che attuano anche una politica nei confronti delle popolazioni barbariche.
Ezio, il grande generale, è un romano che però conosce bene i barbari, e in diverse occasioni
interviene per frenare l’espansionismo dei Visigoti. In una data intermedia tra il 439 e il 451 si era
anche occupato di una popolazione barbarica insediata nel bacino del Reno, che cercava di entrare
in Gallia: i Burgundi, contro i quali chiama gli Unni, che ora hanno costituito un grande impero
guidato da Attila. Attila distrugge i Burgundi, e i superstiti vengono acquartierati in Savoia.
Successivamente anche gli Unni tendono a espandersi in Gallia e non rimangono fedeli all’impero,
e nel 451 ha luogo una grande battaglia che vede la vittoria di Ezio sugli Unni. Interessante che
nell’esercito romano di Ezio ci sia un contingente di Visigoti, e il re dei Visigoti perda la vita
combattendo per i romani. Grandi contrasti, tensioni, ma anche accomodamenti e patti. Una
situazione complessa.
Attila, ritirandosi dalla Gallia, tenta un’invasione dell’Italia fermata dalla famosa ambasceria di
papa Leone I che lo avrebbe persuaso a rinunciare. Il clima politico nella corte imperiale è torbido
e, nonostante tutti i meriti, Ezio viene assassinato dall’imperatore Valentiniano III, e lo stesso
imperatore l’anno dopo viene ucciso dalle guardie del corpo di Ezio per vendetta. L’anno dopo, nel
455, Genserico invade e saccheggia Roma.
L’incapacità dell’impero di organizzare una politica coerente ha come conseguenza l’incapacità di
resistere, e quindi c’è un nuovo sacco di Roma.
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Lezione n.4: Barbari e Romani
Gli argomenti:
- Rapporti tra barbari e romani
- Chi sono i barbari?
- Le condizioni dei romani: il secolo V in Occidente
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vita urbana e una ricchezza tali da consentire la manutenzione delle strutture come durante
l’impero. La stessa cosa vale per le campagne: gli insediamenti in campagna si contraggono, si
raggruppano e la qualità delle grandi ville patrizie diminuisce, e diminuisce lo splendore degli
ambienti. La crisi della società romana non è determinata dalle invasioni, ma va di pari passo con
le invasioni. Sono due mondi che vanno di pari passo, in forte mutamento, con strumenti di
integrazione e dialogo, in un contesto di crisi e decadenza dei livelli della vita associata, cittadina
ed economica.
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Lezione n.5: I Regni Romano- Barbarici. Istituzioni, educazione, vita
religiosa
Gli argomenti:
- Le strutture politico-istiuzionali
- La cultura e la vita religiosa nel V e nel VI secolo
- Il monachesimo
- La chiesa romana
Le strutture politico-istiuzionali
La slide mostra una carta, uno schema geografico che riproduce grosso modo l’anno 526:
l’Occidente è articolato in una serie di grandi regni.
- L’Italia è occupata dal regno degli Ostrogoti, che si estende anche su una parte dell’Istria e
in una parte della Provenza.
- A nord, poi, c’è un territorio intermedio, il regno dei Burgundi, un regno romano barbarico
che ha una vita molto breve. Ancora nord il grande regno dei Franchi, che si estende fino al
Reno.
- Oltre al Reno altre popolazioni barbariche che non costituiscono regni romani barbarici
perché non sono entrati nei territori dell’impero: i Turingi, gli Alamanni, e nell’Inghilterra
meridionale una serie di piccoli regni ancora poco strutturati, i regni anglosassoni.
- L’altro grande e importante regno romano barbarico è quello dei Visigoti che occupa la
Spagna attuale e una parte della Francia meridionale, allora chiamata la Settimania.
- Un altro regno che non avrà vita lunga occupa una parte del Portogallo e una parte della
Spagna, ed è quello dei Suedi;
- e poi ci sono i Vandali che occupano la costa africana vicino alla Sicilia, la parte più ricca e
prospera, dove c’era Cartagine. I Vandali hanno esteso il loro dominio sulle isole Baleari, la
Sardegna e la Corsica.
I sovrani dei popoli barbarici
sono interessati a costruire una
stabilità del loro dominio del
regno, e passano da una
concezione di esercito barbarico
che emigra, invade e si insedia, a
una concezione di
organizzazione politico-
istituzionale permanente in cui i
rapporti tra barbari e romani
sono regolati da leggi e ci sono
istituzioni che garantiscono il
governo. Il regno è governato
dal sovrano barbarico e viene amministrato con l’aiuto dei ceti dirigenti romani. I sovrani
barbarici hanno il modello dell’impero e dell’imperatore: loro vengono da una tradizione di potere
militare, ma dopo l’insediamento tendono ad assumere caratteristiche di potere istituzionale che
tende a imitare le caratteristiche del potere imperiale.
Nella slide si vedono alcune monete che testimoniano che si continua a emettere monete d’oro
imperiali nei territori governati dai re barbari, con l’immagine dell’imperatore. I regni non si
pongono in contrasto con l’impero ma, anzi, ne adottano il modello politico-istituzionale. Il
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sistema monetario era articolato, e quello che poteva sopravvivere della tradizione imperiale
veniva tenuto in piedi.
I sovrani barbarici tendono a tenere in piedi le strutture imperiali, e cercano di sganciare
l’accesso al potere dalla antica consuetudine germanica. Il re veniva scelto all’interno di un gruppo
di famiglie, ma il re barbarico tradizionalmente viene eletto dai guerrieri, e ha bisogno del
consenso dei guerrieri. La capacità di guidare il popolo alla vittoria è il fondamento al consenso. In
territorio romano, invece, il sovrano germanico cerca di diventare un capo di stato che ha funzioni
di garante di una struttura governativa che ha una certa permanenza. Questo tentativo pone
qualche difficoltà perché non sempre le popolazioni barbariche e le aristocrazie militari sono
d’accordo a assecondare le tendenze di chi arriva al potere regio e cerca di consolidarsi. Un modo
per consolidarsi è la trasmissione ereditaria della carica, utilizzando la tecnica bizantina di
associare il figlio ancora giovane potere, in modo che una volta morto il padre il figlio era già re e
continuava a governare. Di solito questo escamotage non riesce, solo a volte ci sono trasmissioni
ereditarie, e normalmente non per più di due generazioni.
Solo nel regno dei franchi si stabilisce il privilegio della famiglia del fondatore, Clodoveo. Solo i
franchi hanno una dinastia che rimane ereditaria per due secoli, anche se con dei problemi, perché
non è stato un vantaggio per il dinamismo del potere regio stesso.
I sovrani barbarici riescono a governare tessendo reti di rapporti con i centri di potere locali
centrati sulle città. L’organizzazione della società ha sede nelle città, dove risiede il potere dei
vescovi, che è di natura religiosa, ma nel V e VI secolo diventa anche un potere di governo della
città. Il vescovo diventa funzionario religioso, ma con competenze civili; proviene in genere da
una famiglia di alto ceto romano. I sovrani barbarici stabiliscono rapporti con i vescovi e, in
occasione degli incontri con questi, si informano sullo stato del regno e possono avere il polso
delle situazioni locali. Accanto ai vescovi un ruolo importante hanno funzionari laici, i conti,
designati dal re, che svolgono le funzioni del governo in sede locale: la garanzia
dell’amministrazione della giustizia, il comando militare locale, la funzione di polizia e funzioni
fiscali. Non è detto che i conti siano di origine germanica e barbarica, nella Gallia meridionale i
conti provengono da famiglie romane. L’integrazione in queste forme di governo può essere anche
avanzata.
I sovrani barbarici cercano di conservare in funzione il sistema delle imposte romane. Lo stato
romano funzionava perché aveva un sistema fiscale molto severo, che colpiva soprattutto il
possesso terriero, la produzione terriera, i gruppi di persone e le persone fisiche. Questo è
fondamentale anche per i re barbarici per fornire risorse allo stato, per assicurare le spese
dell’amministrazione, dell’organizzazione, della guerra, della fedeltà delle persone, e quindi il
tesoro e il fisco sono elementi essenziali. Anche in questo caso ci sono difficoltà, così come per
l’ereditarietà, avversata dalle aristocrazie guerriere barbariche che non intendono privarsi del loro
strumento di controllo e di accesso al regno. Per il sistema fiscale i sovrani barbarici devono fare i
conti con la difficoltà di mantenere aggiornati i catasti, i cittadini e le chiese cercano di avere
esenzioni, e i discendenti della popolazione barbarica non pagano tasse per definizione. Solo i
romani pagano le tasse, e cercano di scappare in tutti i modi al pagamento, per esempio facendosi
accogliere nell’esercito barbarico, diventando barbari e non pagando quindi le tasse. Lentamente
l’incapacità dei governi barbarici di tenere in piedi il sistema fiscale romano determina
l’impoverimento della monarchia, e quindi l’indebolimento dei re, che difficilmente possono
privarsi del consenso delle aristocrazie guerriere o ecclesiastiche, detentrici di ricchezza.
Rimane in piedi il sistema di tassazione indiretta, che colpiva il movimento delle merci o degli
uomini, tassati in determinati punti come porti, magazzini, ponti: il ricavato, in teoria, andava al
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sovrano. Spesso, però, chi riscuoteva il tributo se ne teneva una parte, causando anche su questo
punto delle difficoltà ai sovrani.
In questa epoca vi sono istituzioni in cui si tenta di conservare una struttura statale a vantaggio
della monarchia, e questo sistema in parte funziona, in parte resta in piedi con difficoltà.
Il monachesimo
Uno degli aspetti più significativi dell’esperienza religiosa e della sua organizzazione è il
monachesimo, importante perché si diffonde nell’Occidente tra gli inizi del V solo e il VI. Nasce in
Oriente, in Egitto, Siria e Palestina, con caratteri estremi di rifiuto del mondo, ascesi condotta in
maniera eroica: presto si sente la necessità di regolare queste esperienze e si formano comunità di
asceti che praticano queste scelte in forma comunitaria, secondo norme che regolano l’intensità
delle esperienze eroiche e ascetiche. La norma si chiama regola.
Queste forme arrivano anche in occidente, dove si creano nuove regole e nascono comunità
monastiche, che costituiscono la nuova scuola di esperienza ascetica per i giovani che nascono
dalla società mista romano barbarica.
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La consacrazione più importante del monachesimo occidentale è quella realizzata dalla figura di
San Benedetto: si veda la slide con l’affresco che raffigura San Benedetto. San Benedetto vive nei
primi decenni del VI secolo, la sua importanza consiste nel fatto che la regola che aveva scritto per
i monaci delle abbazie che aveva fondato, ci è rimasta e si è diffusa moltissimo. Si tratta della
regola fondamentale e più tipica del monachesimo occidentale: la sua caratteristica è l’equilibrio
tra il lavoro e la preghiera, ora et labora. C’è un equilibrio tra le diverse esigenze dell’attività
umana, la regola non prescrive una dura ascesi esercitata attraverso costrizioni o privazioni
eroiche o disumane. Secondo la regola benedettina il monaco vive la penitenza, ma commisurata
alle possibilità dell’essere umano, ed articolata in forme diverse: lavoro manuale, preghiera,
studio. Nella regola benedettina c’è un’attenzione a non spingere la privazione al di là dei limiti
sopportabili per una persona, ed è una garanzia di continuità e stabilità del monaco, ecco perché
ha rivestito tanta importanza e ha avuto questo successo.
I monasteri si diffondono in tutto l’occidente e costituiscono un elemento di novità e
ripopolamento delle campagne, una possibilità di vita che è nuova e avrà un grande sviluppo nei
secoli a venire.
La chiesa romana
Ricordiamo che l’impero cristiano era articolato in patriarcati, ovvero grandi estensioni territoriali
in cui la cristianità era divisa a seconda delle tradizioni linguistiche o delle tradizioni di determinate
città nella diffusione del cristianesimo. I patriarcati erano quattro, tre in oriente (Alessandria
d’Egitto, Antiochia e Gerusalemme) e uno in occidente (Roma). Il rapporto del patriarcato romano
con gli altri patriarcati e con il potere imperiale è importante.
Il vescovo di Roma è il patriarca d’Occidente e ha l’autorità giurisdizionale su tutte le chiese
dell’occidente, che diventa barbarico: nello stesso tempo il papato rimane inserito nel potere
imperiale, rimane in rapporto con l’imperatore e con gli altri patriarcati, e ha un ruolo nel
combattere una certa idea di chiesa imperiale che si andava affermando. L’idea è che la chiesa
cristiana ha come suo capo in terra l’imperatore (d’oriente, l’unico rimasto), che non è un prete
ma è il responsabile davanti a dio dell’ordine della chiesa, della purezza della fede. Questa è la
posizione della chiesa cristiana in oriente.
La posizione del papato rispetto a questa ideologia è di inserimento e contrasto: il papa rivendica
una posizione particolare sia nei confronti della chiesa, sia nei confronti degli altri patriarcati. Il
papa è successore di Pietro, primo vescovo, ma fin dal IV e V secolo la concezione è che Pietro ha
ricevuto da Cristo una particolare autorità, un primato che si riflette nel primato del papato sugli
altri patriarcati, e nel fatto che il papa ha capacità di opporsi, di limitare l’autorità dell’imperatore
nella chiesa dell’impero.
Il conflitto si sviluppa nel corso del V secolo, e un personaggio importante in queste vicende è papa
Leone I, Leone Magno, che teorizza la pienezza dei poteri del papato anche all’interno della
chiesa imperiale.
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Lezione n.6: L’Impero e l’Occidente. La riunificazione di Giustiniano
Gli argomenti:
- L’impero d’oriente dopo le invasioni barbariche
- Giustiniano
- La conquista longobarda dell’Italia
Giustiniano
Nella slide si vede un medaglione con Giustiniano a cavallo in adventus. Giustiniano regna dal 527
al 565. È un illirico, un occidentale dalla penisola balcanica, ed è un militare che arriva al potere
imperiale attraverso la sua carriera militare; Giustiniano, però, ha anche un’educazione
intellettuale ed è consapevole dell’importanza del prestigio dell’impero. Per lui l’impero deve
essere potenziato, deve essere rafforzato in tanti aspetti, militari, istituzionali, di amministrazione,
simbolici, ideologici, religiosi.
Uno dei più grandi segni lasciati da Giustiniano a Costantinopoli è la chiesa dedicata a Santa Sofia
= la saggezza divina. Si tratta di una grande chiesa, forse il centro più interessante per chi visita
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Istanbul, che serviva per ospitare i grandi cerimoniali liturgici a cui partecipavano l’imperatore e la
corte. La grandezza della chiesa, infatti, era collegata alla grandiosità imperiale.
Uno dei vertici dell’attività di Giustiniano è la riorganizzazione del diritto romano: è un argomento
importante in quanto il diritto era la base, contemporaneamente culturale e organizzativa, sulla
quale si reggeva l’impero come struttura di civiltà e come apparato politico che garantiva la
giustizia. Il diritto era uno dei fondamenti e delle caratterizzazioni dell’impero romano, ciò che
distingueva i romani dalle altre popolazioni. Con questa idea forte del prestigio e dell’autorità
dell’impero, Giustiniano promuove subito una riorganizzazione dell’apparato amministrativo e
della sapienza giuridica che si era sviluppata nei secoli. Egli incarica una commissione di giuristi
presieduta da Treboniano di riordinare l’apparto delle leggi e delle istituzioni che nei secoli
aveva governato il mondo romano, e l’apparato della giurisprudenza, cioè delle valutazioni di
coloro che applicavano il diritto, sulle leggi. Si tratta di un’opera che dura molti anni, 4 o 5, e che
dà vita al Corpus Iuris Civilis, cioè il corpo del diritto civile romano riorganizzato, razionalizzato e
promulgato da Giustiniano come promotore del lavoro dei tecnici del diritto. Giustiniano, con il
Corpus Iuris Civilis, ha trasmesso alle epoche successive la conoscenza sistematica del diritto
romano: ancora oggi è alla base della cultura giuridica dell’occidente di tradizione romana.
L’importanza di questo corpo di leggi consiste anche nel fatto che da quel momento in poi c’è un
fondamento al quale si aggiungeranno le leggi dei vari imperatori, ma che sarà alla base della
parte occidentale dell’impero.
A partire da Giustiniano l’impero romano comincia ad assumere queste caratteristiche che
saranno proprie dell’impero nella sua parte orientale, che possiamo iniziare a chiamare bizantina.
A partire da Giustiniano, che pur è ancora un imperatore di tradizione romana, l’impero romano
comincia ad assumere le caratteristiche che saranno proprie della sua fase medievale.
La seconda grande iniziativa di Giustiniano, importante anche per il suo significato storico, è il
grande tentativo di riportare l’occidente sotto la sua l’autorità di unico imperatore. Nella slide si
vede una carta geografica che mostra come l’occidente fosse tutto conquistato dai barbari e
organizzato come una serie di regni romano barbarici.
La riconquista dell’occidente avviene in tre grandi momenti militari.
1) Giustiniano lancia una prima campagna contro il regno vandalico in Africa, il più debole tra
quelli occidentali perché i vandali non avevano cercato la collaborazione delle popolazioni
locali, non coinvolgendoli nel loro dominio. La riconquista, quindi, è facile e veloce:
Belisario, generale di Giustiniano, in 2 anni riconquista l’Africa e la riporta sotto
Costantinopoli.
2) La seconda impresa avviata da Giustiniano per mezzo di Belisario mirava all’Italia, dove i
goti e il re Teodorico avevano chiesto la collaborazione dei ceti dirigenti senatori italiani,
che si era poi guastata per sospetti reciproci. Da un lato, infatti, i ceti senatoriali non erano
convinti di dover continuare a collaborare e a rinunciare la lealtà all’impero, che ancora
sentivano, e dall’altro lato Teodorico non si fidava più di loro. Alla morte di Teodorico il
rapporto tra goti e romani si incrina, e si incrinano anche gli equilibri interni al popolo
gotico, tra gruppi che volevano continuare a collaborare con i romani, e i gruppi che
volevano privilegiare la tradizione germanica. È in questi ultimi gruppi, quelli che volevano
privilegiare la tradizione germanica, che si insinua la volontà di Giustiniano di riconquistare
l’Italia, attraverso una serie di campagne che devasta il territorio della penisola per
vent’anni: la guerra greco-gotica (greci bizantini contro i goti che dura dal 535 al 553).
Questa lunga guerra iniziata nel 523 è fatta di avanzate e ritorni indietro, devastazioni e
assedi.
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3) Alle imprese in Africa e in Italia si aggiunge poi l’impresa che Giustiniano compie in Spagna:
nel 554 una crisi dinastica gli consente di fare sbarcare delle truppe in Spagna e di
riconquistare la parte meridionale, corrispondente all’attuale Andalusia.
Giustiniano nel giro di vent’anni è riuscito a riconquistare una buona parte dell’impero romano
d’occidente, e questo testimonia la volontà, mai venuta meno, di considerare l’impero ancora
esistente: la riconquista, tuttavia, è un’impresa debole, che non durerà ed è l’ultimo tentativo di
costruire un’unità mediterranea dell’impero, tentativo che viene meno e non lascia tracce.
Una gran parte dell’occidente non era stata recuperata al dominio dell’impero: il regno dei franchi
e dei visigoti non è messo in crisi dalla riconquista giustinianea. La riconquista, inoltre, non
incontra un grande favore nelle stesse popolazioni riportate alla sovranità imperiale, anche per la
durezza dell’imposizione del dominio imperiale sulle terre conquistate.
In Italia Giustiniano cerca di ricostruire un ordine sociale, il primato sociale e politico e
amministrativo del ceto senatoriale, ma anche di ricostituire un apparato amministrativo e fiscale
sentiti come oppressivi dalle popolazioni. Vengono quindi ricostituite strutture amministrative di
tipo romano, con una divisione tra poteri civili e poteri militari.
Il potere civile viene fiancheggiato e consolidato dalle nuove funzioni dei vescovi di protezione e
di amministrazione delle comunità, e di controllo dei funzionari civili. In questa fase venne anche
reintrodotto un pesante sistema fiscale, soprattutto a carico delle nuove provincie riconquistate,
che con le loro tasse avrebbero dovuto pagare la riorganizzazione dell’impero. Le tasse venivano
percepite in modo molto gravoso in Italia, Spagna e Africa.
La riconquista di Giustiniano è compromessa anche dalla politica religiosa dell’imperatore,
perché è chiaro che l’impero bizantino si fonda sul diritto, ma anche sul rapporto strettissimo tra
potere imperiale e tradizione cristiana. Esiste un forte conflitto tra monofisisti e difisiti, che ha
come conseguenze conflitti sociali, e l’imperatore deve intervenire in maniera dogmatica. Nel 543
Giustiniano condanna con una disposizione certe tesi difisite, cioè ortodosse, che però
sembravano formulare la doppia natura di Cristo in modo troppo pronunciata. Giustiniano cerca di
trovare un punto di conciliazione tra le due tesi, emanando la Condanna dei tre Capitoli, ossia i
tre testi di formulazione difisita che erano eccessivi. Più tardi, volendo una convalida ecclesiastica,
obbliga nel 553 il papa Virgilio a confermare questa condanna.
Le deliberazioni imperiali in materia di fede suscitano resistenza nell’episcopato e tra i fedeli
nell’occidente riconquistato, che rifiutano di aderire a questa delibera dell’imperatore: si crea,
quindi, uno scisma. Questa situazione crea uno scollamento nei confronti dell’impero da parte
delle provincie riconquistate.
Motivi fiscali e motivi religiosi fanno sì che la riconquista non abbia grande consenso nelle
provincie riconquistate.
Dopo la morte di Giustiniano la mancanza di consenso nelle provincie conquistate è un
problema: in quel momento, infatti, l’impero è nuovamente attratto in oriente perché riprendono
forza i conflitti di confine con i persiani, e l’occidente rimane abbandonato alle sue risorse militari.
Sulla frontiera orientale dell’Italia si profila il pericolo dei longobardi, che nel 568-69 superano il
confine ed entrano nell’Italia settentrionale. È uno degli episodi più importanti della storia d’Italia,
e incomincia così l’età medievale in Italia.
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che procedono a occupare e controllare la parte centrale dell’Italia e la zona appenninica dell’Italia
centro meridionale, da Benevento fino in Calabria.
Non conosciamo bene le connessioni tra la conquista a nord e le espansioni centro meridionale,
non sappiamo se si tratti dello stesso fenomeno, o di fenomeni paralleli. I Longobardi
rappresentano una cultura barbarica, perché hanno conservato forti le loro tradizioni barbariche
nonostante fossero stati insediati per alcuni decenni nell’antica provincia romana della Pannonia,
in parte romanizzata.
Si veda la slide con elementi di abbigliamento, fibule, spilloni decorati con motivi ornamentali tipici
di una cultura figurativa germanica. Come si desume dalla preziosa impugnatura di una spada, il
ruolo delle armi nell’abbigliamento maschile era molto importante.
In merito alla religiosità, i longobardi sono teoricamente cristiani, ma di osservanza ariana, non
cattolici: in realtà, comunque, c’è una forte componente di paganesimo che sopravvive. Le
crocette nella slide sono connesse con i riti funerari cristiani, ma le decorazioni si rifanno a
esperienze figurative e sensibilità di radice pagana. Nelle sepolture, insieme con il morto, venivano
deposti anche i corredi personali: spada, scudo, bacile di bronzo, placchette d’argento che
decoravano la cintura e le briglie del cavallo. Si tratta di un costume non cristiano, perché i cristiani
non usavano seppellire i morti con un corredo, che era invece legato a una cultura pagana.
Il rapporto dei longobardi con i romani era di persecuzione, almeno nei primi tempi. Abbiamo
notizia di grandi persecuzioni dei ceti dominanti, dei grandi proprietari fondiari. I longobardi
vogliono sostituirsi al ceto dominante per prendere il controllo politico ed economico della società.
La situazione è ambigua sotto certi aspetti, perché accanto a questi episodi di persecuzione
violenta, abbiamo altre testimonianze che fanno pensare a un accordo e all’accettazione dei
romani di questa presenza nuova, e a dei tentativi da parte dei re dei longobardi di trovare un
accordo con i vescovi e con il ceto dirigente romano.
I tempi sono durissimi: l’Italia è stata fortemente compromessa a causa della lunga guerra greco
gotica, e si vede sottoposta a questa nuova dominazione barbarica, gestita con criteri primitivi.
Quella dei longobardi è una dominazione dura in cui la collaborazione con i romani non viene
praticata, al contrario di quanto faceva Teodorico. Questa situazione si prolunga per circa 30 anni,
(la prima formalizzazione della presenza longobarda in Italia è del 610) caratterizzati da incertezza
istituzionale e difficoltà nei rapporti. Sono anni in cui l’impero bizantino in Italia non ha forza,
anche se organizza alcune parti dell’Italia rimaste sotto il suo dominio, perché i longobardi hanno
occupato a chiazze la penisola. Non c’è una controffensiva da parte dell’impero. Tra le parti
rimaste dell’impero ci sono Roma e il Lazio: papa Gregorio Magno si trova in un momento
difficoltà, di ripresa dell’espansione longobarda e di inefficacia dell’impero nella difesa delle
provincie dell’impero. Gregorio Magno deve organizzare la difesa della città dai Longobardi, e
deve supplire all’impero che non è in grado di farlo, neppure sul piano militare per la difesa delle
mura. Gregorio, però, si continua a sentire legato all’impero, alla romanità, alle tradizioni legate al
governo imperiale. Si vive un momento di confusione in cui diversi protagonisti si scontrano sul
territorio italiano. L’Italia non è più un’unità, si divide in due aree di civiltà diverse che si
appoggiano a tradizioni differenti.
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Lezione n.7: Maometto e l’espansione islamica
Si tratta del capitolo finale dei grandi cambiamenti del mondo avviati con la trasformazione
dell’impero romano, le invasioni e le modifiche politiche e territoriali avvenute dal IV secolo.
Gli argomenti:
- Arretramento dell’impero bizantino in occidente
- Le difficoltà dell’impero bizantino in oriente
- Maometto
- L’espansione islamica nel bacino del Mediterraneo
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l’esercito alla sconfitta dei persiani e alla conquista di Ctesifonte, recupera le reliquie della croce e
costringe il figlio di Cosroe a sottomettersi all’impero, accettando condizioni gravissime per
l’impero persiano (per esempio la restituzione dell’Armenia). Quello che Cosroe era riuscito a fare
viene nel giro di pochi anni perso.
L’impero bizantino e l’impero persiano sono in conflitto secolare. Il 613 e il 614 sono le date delle
conquiste persiane in Siria e Palestina, mentre Eraclio regna tra il 622 e il 630. In questi conflitti i
due imperi si sono logorati, indeboliti, i poteri politici hanno perso gran parte del consenso delle
popolazioni. Sia in Siria sia in Egitto si creano forti scontenti popolari dovuti alle tasse e ai conflitti
religiosi sulle diverse fedi nell’ambito del cristianesimo: mentre la dottrina ufficiale dell’impero
riconosce a Cristo due nature, umana e divina, in Siria e in Egitto i cristiani mettono l’accento sulla
natura divina. Questo conflitto teologico ha una grande ripercussione negli atteggiamenti sociali:
Siria e Egitto sono due provincie evolutissime, ma a rischio, e l’impero ha perso la capacità militare
di controllarle, e lo stesso è accaduto all’impero persiano con la provincia della Mesopotamia.
Maometto
Maometto nasce in Arabia e la sua storia è legata alla predicazione tra gli arabi e all’espansione
degli arabi nelle terre del Mediterraneo, animati dalla nuova fede. L’Arabia apparentemente può
sembrare una terra periferica, e può sembrare da spiegare come possa essere nato in Arabia un
movimento come l’espansione islamica. In realtà in questi secoli, ma già precedentemente,
l’Arabia era uno dei centri del mondo povero, in gran parte era desertica e con condizioni
ecologiche poco favorevoli: conosceva, tuttavia, fiorenti insediamenti cittadini nelle oasi,
caratterizzati dall’ostilità con le tribù dei beduini.
Nella slide di vede la cartina della penisola arabica, che va a contatto con la costa del
Mediterraneo in Egitto, Siria e Palestina. Le linee tracciate sulla cartina sono itinerari commerciali
che dal II e III secolo d.C., e ancora nel VI e VII attraversano l’Arabia: vengono dall’India per mare,
poi per vie carovaniere raggiungono il Mediteranno, e poi partono dall’Etiopia e arrivano al
Mediterraneo, dove si incontrano con gli itinerari commerciali dell’impero.
Lungo queste vie commerciali circolano le spezie, i prodotti dell’oriente, i prodotti dell’Africa. Si
ricordano i prodotti lussuosi, come l’incenso, importato in occidente per scopi liturgici partendo
dall’Etiopia lungo la via dell’incenso. Lungo queste vie che portavano dalle sponde sui versanti
indiani e africani dell’Arabia si trova il centro della Mecca, che era uno dei più importanti centri
sulle vie carovaniere. L’importanza della Mecca era dovuta alla posizione geografica e alla molta
acqua a disposizione. Alla Mecca si sviluppa un centro di culto importante, che era come una sorta
di Pantheon di divinità venerate dalle popolazioni arabe ancora pagane, e dove si fanno nuove
esperienze religiose individuando una divinità superiore agli altri idoli, chiamata Allah.
Alla Mecca c’è un potente apparato di controllo delle risorse economiche e politiche, ci sono dei
clan che hanno un radicamento nella città e che controllano le risorse della Mecca e i rapporti con
gli altri centri e con le tribù.
In questo contesto Maometto nasce e inizia la sua predicazione. Ha una posizione debole in un
clan, e ha un’esperienza iniziale da non appartenente ai ceti dirigenti di questo gruppo di potere
locale. Nasce intorno al 570 e gli elementi di biografia sono: nel 595 sposa una ricca vedova che gli
permise di fare il mercante, venendo a contatto con nuclei insediati nelle oasi non solo di religione
araba, ma anche con ebrei e cristiani. Maometto può fare esperienza di genti diverse e di diverse
pratiche religiose.
Nel 610 Maometto riceve una rivelazione che gli fa sapere di essere stato scelto come profeta di
Allah e da quel momento sviluppa la sua predicazione, inizialmente alla Mecca tra i membri del
suo clan. La prima moglie muore, e dopo lei lui avrà altre mogli, utili per stabilire rapporti con altri
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clan importanti. Dal 610, avendo rivelazioni successive, predica e individua una forma di
religiosità nuova e originale, adotta elementi di altre religioni e li reinventa in maniera differente.
La sua religiosità si può riassumere in un unico dio potente e misericordioso, che in parte si
identifica con Allah. Maometto ritiene che i fedeli debbano ricambiare la bontà e la misericordia di
dio con la compassione per i più deboli, e promette a chi si mantiene nella sottomissione ad Allah
una vita ultraterrena beata nel paradiso, o drammatica nell’inferno. Questa religiosità suscita
anche una certa ostilità nei clan dominanti alla Mecca, sicché nel 622 Maometto dopo aver preso
contatti con i gruppi egemoni di Medina, fugge da La Mecca. L’anno 622, ovvero la fuga di
Maometto, segna l’inizio del computo del tempo musulmano perché è il momento fondamentale,
come la nascita di Cristo. Il tempo della vera e nuova fede per i musulmani.
Il seguito della vicenda di Maometto è complicato: la predicazione si somma con i conflitti tra
diversi clan, tra diverse e importanti sedi della società araba. A Medina Maometto costruisce
consenso intorno alla sua predicazione e alle sue rivelazioni, ma resta l’ostilità della Mecca e ci
sono episodi militari, e anche episodi militari di controllo e di diffusione della predicazione tra i
beduini nel deserto.
Nel 628 ai seguaci di Maometto viene permesso di compiere pellegrinaggio alla Mecca. Nel 630
Maometto entra alla Mecca a capo di un esercito perché le resistenze continuavano a esistere,
resistenze di religione ma anche di conflitto per il predominio con i clan di Medina. Grazie
all’indebolimento dell’impero persiano, che aveva esercitato fino ad allora il controllo sulla
popolazione arabica, è possibile creare sulla base della nuova predicazione una sorta di
confederazione tra le tribù, e Maometto è attivissimo sul piano della predicazione e dell’iniziativa
politica.
Lo stesso Maometto alla fine del 630 conduce una grande razzia fino ai confini della Siria bizantina,
e muore nel 632. È straordinario che subito dopo la morte di Maometto iniziano due grandiosi
fenomeni politico militare, guidati dalla nuova fede religiosa ma che hanno conseguenze, ai nostri
occhi, di natura politica unita alla conseguenza della grande diffusione della religione nuova
predicata da Maometto.
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l’estenuazione dell’impero bizantino e di quello persiano, che si sono logorati a vicenda e non
riescono a controllare i loro territori, nei quali crescono le ostilità.
In genere i conquistatori arabi che arrivano nei territori persiani e bizantini, sono accolti
favorevolmente dalle popolazioni locali perché impongono una dominazione militare, che però
non pretende di soffocare la società locale o, almeno inizialmente, di imporre la nuova religione.
Le popolazioni della Siria, dell’Egitto, della Mesopotamia, possono conservare la loro religione e i
propri capi locali, e continuare nella vita organizzata nella maniera tradizionale senza risentire
troppo della presenza di questi conquistatori, che si pongono come un ceto sovrapposto e
dominante che non si mescola alla società. Si costruiscono campi militari in cui i guerrieri arabi
risiedono senza mescolarsi alla società, con la quale si instaura un rapporto di tipo economico.
Questa convivenza si può regolare difficilmente, e a patto che i dominati paghino delle tasse: una
sul patrimonio, che già pagavano all’impero bizantino e persiano, e una per l’esercizio della propria
religione. Queste tasse confluiscono in centri amministrativi importanti e gestiti dai dominatori
arabi, e servono per provvedere alla necessità dell’esercito.
I conquistatori hanno un atteggiamento diversificato nei confronti dei dominati. Solo chi ha
accettato la presenza araba e la dominazione araba viene dominato in questo regime di
tolleranza, mentre chi è stato conquistato con la violenza viene privato dei beni, delle terre,
ridotto in schiavitù, e le terre vengono attribuite ai guerrieri arabi. Si comincia, quindi, a stabilire
una presenza degli arabi nelle provincie conquistate come proprietari fondiari, che inizialmente
hanno scarso interesse per i terreni a causa dell’origine beduina, e conservano la loro impronta
militare e guerriera. Si cominciano, perciò, a formare ricchezze amministrate attraverso
intendenti di origine locale delle provincie.
L’espansione prosegue dopo essersi localizzata in questa parte amplissima di mondo, nella
seconda metà del secolo, verso l’Africa bizantina che viene strappata al dominio bizantino, verso
le regioni del medio oriente, fino ai confini con l’India, e la conquista della Spagna, tolta ai Visigoti
all’inizio dell’VIII secolo. Tutta la parte meridionale e orientale del bacino del Mediterraneo, più
tutto l’impero persiano fino al Turquestein e all’India viene islamizzata e sottoposta al dominio dei
conquistatori arabi.
La slide riporta uno schema con i riferimenti ai successori di Maometto. Quando Maometto muore
c’è il problema di scegliere un successore dell’uomo che era stato un profeta ma anche un capo
politico e militare, e il suo gruppo rischia di sfasciarsi dopo la sua morte, perché le tribù beduine
che lo componevano riprendono una certa autonomia. Si pone anche il problema di chi deve
succedere a Maometto, inizialmente i suoi parenti per via di matrimonio, che però appartengono
a clan della Mecca. Il primo Abubak, il secondo Omar, poi Othman, sotto il quale iniziano conflitti
interni tra i seguaci, i parenti e i discendenti di Maometto. Inizia un grande conflitto con Alì, che
era egli stesso un parente un cugino e genero del profeta, ma non faceva parte dei clan importanti
della Mecca. Si stabilisce una divisione tra i portatori dell’eredità del Profeta che avrà ripercussioni
forti. Alì diventa califfo, ossia successore di Maometto, ma viene assassinato tragicamente, e poi
diventa califfo Moawya, che è importante perché dà una definizione istituzionale e geografica alla
serie di conquiste realizzate fino a quel momento. Moawya appartiene a un clan originario della
Mecca, ma è stato governatore della Siria prima di diventare califfo, e una volta che riesce a
diventare successore del profeta, pone una residenza stabile del califfo in Siria, a Damasco, e
fonda una dinastia ereditaria per trasmettere il titolo del califfo: la dinastia degli Omniadi, che
governa l’impero musulmano dal momento in cui prende potere Moawya fino a 747, quando una
congiura accompagnata da una rivolta popolare pone fine alla dinastia con un grande
cambiamento nell’organizzazione del mondo islamico.
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Qual è l’importanza dell’espansione del mondo islamico nel Mediterraneo? È stata famosa
l’interpretazione e la lettura di questa espansione come una grandiosa catastrofe che, dividendo
l’ambito del Mediterraneo in due sfere caratterizzate da due religioni concorrenti, la religione
islamica e cristiana, avrebbe impedito che esistesse una circolazione, avrebbe reso il Mediterraneo
una frontiera tra due mondi ostili, e avrebbe bloccato i contatti tra questi, la circolazione. Questa è
ipotesi di Henry Pirenne, e forse è eccessiva.
In realtà l’espansione islamica non è stata un blocco radicale delle possibilità di contatto tra
l’oriente e l’occidente, ma nuove forme di rapporto e integrazione con la costituzione di un
grande impero dall’India alla Spagna avrebbe reso possibile la circolazione di idee e di merci.
A partire dall’espansione islamica nel bacino del Mediterraneo gravitano tre mondi diversi,
caratterizzati ciascuno da un assetto politico e religioso:
- il mondo del Mediterraneo meridionale, africano orientale e medio orientale controllato
dalla potenza araba e della religione musulmana,
- il mondo bizantino di tradizione greca
- il mondo occidentale, che è il mondo cristiano fortemente caratterizzato dalla presenza dei
barbari
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Lezione n.8: Dall'Impero Romano all'Occidente medievale.
Ricapitolazione
Si tratta di un grande processo epocale attraverso il quale si è passati dall’impero romano
all’occidente medievale, diverso per estensione e connotazione politica, economica, sociale e
culturale.
Gli argomenti:
- Oriente e occidente nell’impero romano
- La presenza dei barbari in Occidente
- La riunificazione fallita di Giustiniano
- Il ruolo del papato tra impero romano bizantino e regni barbarici
- L’invasione araba
- L’inizio del Medioevo
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La riunificazione fallita di Giustiniano
Su questa situazione si innesta l’ultimo vero forte tentativo dell’impero romano, che è ormai
d’oriente, di ristabilire la sua autorità anche sull’occidente: un tentativo interessante perché con
Giustiniano siamo alla metà del VI secolo, settant’anni dopo la caduta dell’impero romano
d’occidente. Nell’arco di settant’anni l’impero romano in oriente non aveva perso l’idea che la sua
giurisdizione si estendesse anche in occidente, dove c’erano i regni barbarici. L’idea era che
l’impero continuasse ad avere diritto su tutte le terre che lo avevano costituito nel IV e V secolo, e
in questo quadro si colloca il grandioso tentativo di Giustiniano di riconquistare militarmente
l’occidente riportandolo sotto la giurisdizione dell’unico impero romano, unico vero spazio di
civiltà e religiosità ortodossa. Giustiniano riesce a conquistare Africa, Italia e una parte della
Spagna, ma questo straordinario tentativo è destinato a fallire in breve tempo. Il motivo del
fallimento risiede nello spirito dell’impresa della riconquista, che non è intende restituire
all’occidente la sua peculiarità, le sue caratteristiche e un’auto amministrazione.
Nei territori riconquistati si instaura il dominio di Costantinopoli, ossia di un impero che non
torna a porre in atto l’impero d’occidente, ma intende gestire tutti i territori riconquistati partendo
dal centro dell’oriente.
Nella parte orientale si parlava greco, anche se persiste il latino come lingua ufficiale: le leggi
nuove di Giustiniano furono promulgate in greco. La distinzione linguistica si somma alle
differenze già sottolineate, e su questa base si aggiunge anche il discorso che l’oriente diventa il
centro egemone rispetto alle provincie occidentali, provocando la disaffezione dei romani.
Rilevanti, inoltre, i problemi religiosi, perché Giustiniano attua una politica religiosa ispirata ai
problemi delle comunità cristiane d’oriente, e le sue decisioni fanno crescere lo scontento in
occidente, dove c’è una religiosità molto più semplice, molto meno preoccupata di sottigliezze
dogmatiche, e dove viene mal tollerata l’autorevolezza dell’imperatore lontano.
Sia in Italia, sia in Africa e in Spagna si determina un movimento di rivolta e di resistenza anche
verso il papa, che era stato costretto ad approvare le politica teologica di Giustiniano. Le chiese
d’oriente e di occidente, quindi, si sono separate, perché la chiesa romana era considerata troppo
compromessa dalla politica teologica dell’imperatore. Venne attuata una riconquista militare
senza una vera riorganizzazione della solidarietà imperiale in tutte le provincie.
Nel giro di 15/20 anni, poi, gran parte dell’Italia viene sottratta al dominio bizantino
dall’espansione dei longobardi, quindi la terra appena riconquistata viene per più di metà perduta
dall’impero. Anche in Spagna la riconquista non ha funzionato: i bizantini (dall’epoca di
Giustiniano l’impero romano d’oriente può essere considerato impero bizantino) non sono riusciti
a riconquistare tutto il regno visigotico, e la spinta si è arrestata nella provincia meridionale, che
viene riconquistata in pochi decenni dai re visigoti prima con Cordova, e poi con tutta la penisola.
In pochi anni la penisola viene liberata dalla presenza dei bizantini.
Il mondo barbarico ha opposto resistenza nei confronti della riconquista, da un lato con la nuova
invasione dei longobardi, e poi con la solidarietà istituita tra le popolazioni romane e quelle
barbariche. Quanto alla Gallia, Giustiniano non ci ha neppure provato perché il regno dei franchi
era già molto solido. La riconquista è fallita perché il mondo occidentale resiste alla riconquista
da parte dell’impero, che è una realtà politica e culturale e religiosa che l’occidente avverte
come separata, diversa e lontana.
L’invasione araba
In un momento in cui ci sono tensioni tra oriente e occidente, si scatena l’invasione araba che
parte dalla penisola arabica e si estende in Asia e nel vicino oriente e nella parte settentrionale
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dell’Africa, fino a scavalcare lo stretto di Gibilterra e a conquistare quasi l’integrità della penisola
iberica. L’occidente cristiano si trova ridotto al regno dei franchi, ai piccoli regni degli angli e dei
sassoni, all’Italia e alla Dalmazia. Contemporaneamente dalle aree centrali dell’Europa iniziano le
penetrazioni degli slavi. All’impero d’oriente rimangono l’Anatolia, la Grecia e la Tracia, un
modesto territorio, strozzato sulla penisola balcanica dall’espansione degli slavi. Anche dal mondo
meridionale l’impero bizantino è limitato nelle sue possibilità di contatto con il mondo occidentale.
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Lezione n.9: L'evoluzione dei regni nell'Occidente barbarico
La lezione tratta i secoli VII e VIII nell’occidente, che si enuclea dallo smembramento dell’antico
impero romano.
Gli argomenti:
- Caratteri dei regni barbarici nel VII e VIII secolo
- Il regno dei Visigoti
- Il regno dei Franchi
- La struttura economica dell’Occidente nel VII e VIII secolo
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Lezione n.10: Il destino dell'Italia
Gli argomenti:
- La riorganizzazione del regno longobardo
- La crisi del dominio bizantino in Italia e il papato
- Il conflitto tra Franchi e Longobardi in Italia
- L’origine del dominio temporale del papato
Dopo Cuniperto, nel 712, c’è un altro sovrano longobardo che porta avanti lo sforzo di
riorganizzazione istituzionale e politica: Liutprando, il sovrano più significativo e innovativo nella
storia longobarda. Liutprando ha l’idea dello stato, dell’organizzazione dei poteri politici, della
figura regia, del funzionamento del governo in forme propriamente statali. È un sovrano
legislatore e dota il popolo di un complesso di leggi. Regna per 30 anni, e per 15 volte emana un
complesso di leggi che si aggiungono a quelle di Rotari promulgate 50 anni prima, e che
costituivano la codificazione del patrimonio di leggi tradizionali. Il corpo di leggi promulgato da
Liutprando costituisce la modernizzazione di questo patrimonio, per adattarlo alle nuove esigenze
della società, che si sta ampliando e sta diventando moderna, e ha bisogno di una legislazione
nuova. Il corpo di leggi di Liutprando, per esempio, regola questioni di traffici e commerci.
Liutprando ha chiara l’idea dell’organizzazione amministrativa del regno come un complesso
coerente: vede il regno come un insieme di distretti a capo dei quali c’è una persona che esercita il
potere giudiziario, e lui configura tutto il regno come un regno ordinato, finalizzato alle relazioni
legali pacifiche tra la popolazione e il sovrano. In più, Liutprando organizza il fisco regio, le
proprietà regie, organizzate per nuclei autonomi ciascuno dei quali produce un reddito che
sostiene la regalità nell’esercizio del potere regio.
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Questa legittimazione viene sfruttata dal successore di Zaccaria, Stefano II, che viene eletto
quando Astolfo si impadronisce di Ravenna ed esercita una politica di pressione su Lazio e Roma.
Per resistere a questa pressione Stefano II si rivolge Pipino III, oramai re dei franchi dal 751.
Rivendicando l’autorità della chiesa e il beneficio che Zaccaria aveva conferito alle aspirazioni
regie, Stefano II chiede aiuto ai franchi, non contro gli imperatori ma contro il re dei longobardi.
Questa richiesta di aiuto è accolta da Pipino III, che si sente legato alla sede papale, anche perché il
suo potere era frutto di un colpo di stato e l’unica legittimazione che aveva era dal papa.
Pipino III interviene contro Astolfo, due volte, nel 754 e 756: il risultato delle campagne militari in
cui l’esercito longobardo si squaglia, è singolare. Pipino III impone al re longobardo di rendere i
territori bizantini che aveva occupato, l’Esarcato e Pentapoli. Ma a chi? In teoria i territori
sarebbero dovuti tornare all’imperatore bizantino, ma Pipino III impone la restituzione a San
Pietro, al papato. Dietro questo singolare concetto di restituzione ci sono molti problemi di tipo
teorico e giuridico, difficili da ricostruire in quanto la documentazione è scarsa. A partire dal 756,
però, il papato gode dei diritti di sovranità in tre grandi provincie dell’ex impero bizantino:
l’Esarcato, la Pentapoli e il ducato romano. Non si può ancora parlare di uno stato della chiesa,
ma queste terre sono il patrimonio di San Pietro, e il papa vi esercita tutti i diritti della sovranità.
Pipino III dopo l’elezione di un nuovo re dei longobardi, si definisce in maniera complessa.
Alla morte di Pipino III il potere di questa famiglia regia si indebolisce, e il nuovo re longobardo
Desiderio cerca di approfittarsene per ristabilire un dominio in Italia contro il papa, che è
diventato una potenzia territoriale. Desiderio cerca di tornare a proporre una politica aggressiva
nei confronti del papato per creare a Roma un atteggiamento più favorevole verso l’egemonia
longobarda nella penisola.
Il papato di Stefano III è il momento più acuto di questo processo, che vede violenze inaudite
dentro la città stessa di Roma. Questo sistema viene meno con papa Adriano I, che proviene dalla
nobiltà romana e ha una fortissima idea della dignità di Roma. Adriano I impone a Desiderio di
smettere questa politica aggressiva per riportare Roma nell’egemonia longobarda, e si rivolge al
nuovo re dei franchi, Carlo Magno, figlio di Pipino III, che ha superato la crisi ed è l’unico re dei
franchi.
Adriano I chiede sostegno e Carlo Magno interviene: una spedizione militare basta per provocare
la catastrofe dell’esercito longobardo. Nell’esercito longobardo vi sono problemi di organizzazione
militare e tecniche di combattimento, e di coesione politica. Queste figure di re che svolgono una
politica importante, inoltre, forse non hanno un consenso abbastanza forte nel regno. Il regno dei
longobardi viene invaso da Carlo Magno, Desiderio viene catturato, e questa volta Carlo Magno
depone il re e si nomina re dei longobardi. La sovranità autonoma dei longobardi viene meno per
sempre, e viene confermata per sempre la sovranità dei papi sui territori dell’Italia centrale.
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Lezione n.11: Carlo Magno e l'unificazione dell'Occidente
L’occidente con Carlo Magno viene unificato dopo il frazionamento delle invasioni barbariche e dei
regni romano barbarici.
Gli argomenti:
- Carlo Magno: guerre e conquiste
- La riflessione sul governo: i consiglieri del Re
- L’organizzazione amministrativa del regno di Carlo Magno
- La definizione della nuova regalità
- La promozione all’impero
- La riflessione sula dignità imperiale
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I conti sono i rappresentanti del sovrano sul territorio e hanno poteri di natura pubblica, sono
scelti da Carlo Magno e sono legati a lui da un giuramento di fedeltà. I conti hanno una fedeltà
giurata e rappresentano il potere pubblico nel territorio, articolato in tante contee, tra le 200 e le
300.
Il conte è l’istituzione fondamentale dell’organizzazione statale nel mondo carolingio. Accanto al
conte ci sono altre figure, per esempio i vassalli fedeli al re, che hanno un rapporto di aiuto
politico e militare, non esercitano poteri di natura pubblica ma sono distribuiti sul territorio dove
ricevono in beneficio proprietà fondiarie e hanno una funzione di collaborazione con i conti, e al
bisogno di controllo dei conti, e rappresentano una forte presenza di fedeltà al sovrano sul
dominio franco. Carlo Magno utilizza anche le strutture ecclesiastiche, i vescovati. I vescovi
esercitano un potere di inquadramento e guida per la società cristiana, non solo per le funzioni
ecclesiastiche, ma anche per collaborare con i conti e per fare regnare pace e giustizia. Carlo
Magno dimostra alcune preoccupazioni lucide e consapevoli, e ricerca un’organizzazione
perseguita con criterio, metodo, strategia. Egli tende a creare le strutture di un governo che
rispecchiano i principi giuridici e religiosi della convivenza tra le persone. Si tratta dei principi che
stanno alla base del rapporto tra re e uomini liberi, ossia alla base del suo potere, il corpo politico
dello stato.
Conti e vescovi rappresentano i governanti, ma il rapporto con gli uomini liberi è alla base. Gli
uomini liberi prestano servizio militare, e Carlo Magno ha come finalità di assicurare al popolo dei
liberi la giustizia, in quanto popolo del re e fondamento ultimo del potere regio.
Carlo Magno crea un sistema che si serve di tutte le risorse disponibili per realizzare un governo
giusto.
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Papa Leone III aveva una forte idea dell’importanza di Carlo Magno nel mondo cristiano, era
persuaso che le fortune e il primato del papato potessero sopravvivere solo con una stretta
associazione al potere militare e cristiano del re franco. Leone III aveva fatto raffigurare sé stesso e
Carlo Magno: lui con simbolo del potere vescovile, e Carlo Magno con il vessillo di un potere di
comando, forse in Roma. Leone III ebbe un grande infortunio, consistente in un colpo di stato a
Roma, in seguito al quale riesce a fuggire e si rifugia a Aquisgrana, chiedendo aiuto.
L’anno successivo Carlo Magno viene a Roma per mettere ordine in queste questioni, e ci riesce,
condannando gli assalitori del papa (con un esercizio di autorità giuridica a Roma).
Conseguentemente, la notte di Natale dell’800, papa Leone III incorona Carlo Magno mentre gli
astanti lo acclamano imperatore dei romani.
Con questa incoronazione viene riportato in occidente l’imperatore, un sovrano franco con
fisionomia di grande capo militare, controllore dell’Europa cristianizzata e cristianizzato lui stesso
nelle sue funzioni e nell’esecuzione del suo potere.
La promozione all’impero
La riflessione sulla dignità imperiale
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Lezione n.12: Grandezza e fragilità dell'Impero Carolingio
Gli argomenti:
- L’idea dell’impero cristiano
- L’impero e l’aristocrazia militare
- Gli abusi del potere
- La crisi della dinastia carolingia
- Il fallimento e i lasciti dell’ideale carolingio
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Lez. 13 - I mutamenti dell’economia dai regni Romano – Barbarici
all’impero Carolingio
Gli argomenti:
- L’economia dell’occidente del VII e VIII secolo
- L’organizzazione della proprietà fondiaria nell’età carolingia (tra VIII e IX secolo)
- Proprietà fondiaria comprendente
- Mercato e moneta in età carolingia
- L’interpretazione dell’economia carolingia: stagnazione, espansione, commercializzazione
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continentale con affaccio sul mondo nordico si sta creando un nuovo sistema economico
fondato sullo scambio tra le risorse della parte continentale e le risorse della parte a nord.
Nell’VIII secolo questa situazione si consolida, e i Franchi, sotto il dominio di Carlo Martello, si
impadroniscono della Frisia per controllare questo commercio. Si consolida anche un nuovo
assetto dell’economia produttiva, di base agraria, più organizzata e dinamica di quanto non fosse
quella dei secoli precedenti.
Quali sono le caratteristiche nuove nell’area continentale (Francia settentrionale)? Sono
l’introduzione nuove tecniche di aratura e un nuovo tipo di sfruttamento del suolo tramite la
rotazione triennale delle colture agrarie. Secondo la rotazione triennale delle colture, un campo è
coltivato nel corso di un ciclo di tre anni con tre differenti tipi di coltura: una prima volta con grani
invernali, una seconda volta con grani primaverili, e un terzo anno a prato, anche destinato al
pascolo. Il terreno si può più facilmente rigenerare, può offrire due raccolti in uno stesso periodo,
e si compensa il momento di riposo con il maggior raccolto nei momenti di produzione. Questo
sistema funziona nei terreni pesanti dell’Europa continentale, dà ottimi risultati, mentre meno
significativi sono i risultati nella zona mediterranea.
Questo nuovo sistema di colture è uno dei motivi della ripresa del commercio, anche se il
commercio dei frisoni era più focalizzato su oggetti artigianali, che non prodotti agricoli.
Nell’Europa continentale controllata dalla dinastia carolingia ci sono importanti miglioramenti
della conduzione agraria, e espansione dei territori messi a coltura, e si verifica il tentativo di
coltivare terre fino a quel momento incolte. Si sviluppa una razionalizzazione della proprietà: si
costruiscono sistemi di grandi proprietà fondiaria, parallelamente all’aristocrazia militare e
parallelamente alla formazione di grandi proprietà ecclesiastiche.
In queste grandi proprietà fondiarie si studiarono modi di produrre di più e meglio, aggregando
piccole proprietà contadine con grandi proprietà fondiarie. La costruzione di patrimoni è fondata
sull’integrazione di questi due cellule fondamentali del controllo del suolo: i nuclei di famiglie
contadine, ciascuna delle quali controlla un podere, e i grandi complessi territoriali, che
comprendono anche territori incolti e vaste estensioni di terreno.
Vi è un’estensione delle ragioni delle grandi proprietà fondiarie, e la riduzione in un rapporto di
dipendenza delle famiglie di contadini, che vengono integrate anche contrattualmente.
Contemporaneamente si organizza lo sfruttamento razionale delle tenute controllate dai grandi
proprietari.
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Le sceattas e i protopennies sono già una moneta che alimenta il commercio nel mare del nord, e
la moneta carolingia si aggancia a questa circolazione e la migliora, non è una moneta debole.
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Lezione 14 – I popoli esterni all’assalto del mondo carolingio
Gli argomenti:
- I popoli oltre le frontiere: danesi, saraceni, magiari
- Le incursioni nel territorio dell’impero
- Disordine e insicurezza
- Il mondo fuori dall’impero
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Disordine e insicurezza
Le conseguenze di queste invasioni sono il disordine e l’insicurezza dovuti alle scorrerie e alle
invasioni imprevedibili e incontrollabili. Si propagano disaffezione e sfiducia nei confronti
dell’impero, che non ha la capacità militare di fronteggiare questo tipo di invasioni. Mettere
insieme un esercito vassallatico, infatti, richiede molto tempo, mentre invece queste invasioni
sono fulminee. La stessa natura delle invasioni favorisce la crescita delle difese locali per rendere
più difficili le incursioni di questi gruppi di invasori. I conti diventano sempre più importanti per
sviluppare una difesa, e diventano importanti le difese passive, come le fortificazioni, e la
costruzione di ostacoli a queste invasioni fulminee. Tutto questo determina uno smembramento
del sistema istituzionale carolingio, perché questi sovrani patteggiano con gli invasori e perdono
di prestigio, quindi possono comandare sempre di meno e la difesa diventa meno efficiente.
Le scorrerie accelerano la disgregazione dell’impero carolingio.
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Lez. 15 – l’età dei particolarismi
Siamo alle battute finali dell’impero carolingio, che si disgrega per ragioni intrinseche e per assalto
di popoli esterni.
Cosa succede dal punto di vista dell’organizzazione politica dentro all’impero?
Gli argomenti:
- La divisione dell’impero carolingio
- L’affermazione dei poteri locali
- L’incastellamento e la signoria
- L’inizio della società feudale
- La dinamica economica nel X secolo
Si veda la slide con una cartina: fin dall’840 si verificano liti tra i figli di Ludovico il Pio, e negli anni
successivi si verifica la divisione dell’impero carolingio in più di tre regni, ossia cinque. I regni in cui
si divide l’impero carolingio sono: una parte occidentale, la Francia Occidentale; una parte
orientale, il regno della Francia Orientale; l’area centrale che comprendeva la Lotaringia, la
Borgogna, la Provenza, e Italia Settentrionale, (questa parte era l’asse imperiale perché
comprendeva le due capitali di tradizione imperiale: Aquisgrana e Roma). All’interno della parte
centrale ben presto si smembrano 3 regni: Italia, Provenza e Lotaringia. Questi regni hanno una
storia complicata, perché quando i sovrani muoiono senza eredi, i regni vengono rivendicati dai
sovrani confinanti. Tutto questo sistema, tenuto insieme con accorgimenti politici labili, collassa
con la morte dell’ultimo imperatore di discendenza carolingia, Carlo il Grosso, di discendenza del
re di Francia orientale Ludovico il Germanico. Egli tenta di riunificare formalmente sotto il titolo
imperiale tutto questo complesso di regni, però si rivela un sovrano debole e screditato,
soprattutto nei confronti dei normanni. Quando Carlo il Grosso viene deposto dai grandi
dell’impero, e nell’888 muore, si ripropone la frammentazione sulla base della tripartizione,
complicata da conflitti all’interno dei gruppi di potenti consolidati in ciascun regno. Non c’era solo
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potere regio, ma anche un potere aristocratico che sosteneva il regno e consentiva al re di
regnare dando supporto politico e militare.
Dopo morte di Carlo il Grosso avvengono lotte all’interno degli stessi gruppi aristocratici per
accedere al potere regio, e il diritto dei membri della famiglia carolingia a essere re viene messo in
discussione nei vari regni = conflittualità interna e divisione ulteriore di questi complessi politici.
Si smembrano anche queste unità ridotte che si erano impiantante sull’antico impero.
In Francia c’è un discendente carolingio, Carlo (ma è piccolo), e un conte non Carolingio, Eude: il
conflitto divide l’aristocrazia e divide il territorio della Francia Occidentale, da cui si staccano
Provenza e Borgogna. Nella parte settentrionale viene eletto re il conte Eude, che si era distinto
nella lotta contro i normanni.
Lo stesso succede in Italia, dove si ha la presenza contemporanea di due re, anche se non si divide
il regno di Italia: non c’è un carolingio che aspiri alla corona d’Italia, ma ci sono due grandi duchi e
marchesi che si contendono la corona. Tutti e due riescono ad avere la corona regia: uno è
Berengario del Friuli, e l’altro Guido di Spoleto, che per un momento aspira alla corona del regno
della Francia Occidentale.
SI tratta di un problema di disordine e di legittimità, e uno scatenamento di ambizioni.
Guido da Spoleto riesce ad avere a Roma l’incoronazione imperiale: è un sovrano che governa in
maniera imprecisa e incompleta, e a malapena, il regno d’Italia. Ciò nonostante ottiene
l’incoronazione imperiale. Vi è una connessione tra il titolo imperiale e la corona del regno
d’Italia.
Berengario è il più longevo, sopravvive a Guido e a suo figlio, ma, anche se rimane l’unico re
incoronato i nobili italiani gli contrapporranno dei re che contro di lui dovrebbero assumere la
corona del regno d’Italia e vengono chiamati in Italia da Oltralpe. Una mancanza del principio di
nazionalità, le aristocrazie non sono animate dalla difesa di identità nazionale, ma dal desiderio di
controllo del potere regio.
In Francia orientale la discendenza carolingia sopravvive un po’ più a lungo, il figlio di Carlomanno,
Arnolfo di Carinzia, diventa re di Germania col consenso dell’aristocrazia, ma poco dopo la
prerogativa carolingia viene meno e viene eletto re Corrado di Franconia che non è nella
discendenza diretta dei carolingi. La nobiltà riesce a imporre il proprio re e a far controllare
l’istituzione regia indipendentemente dalla tradizione carolingia.
Il quadro dell’articolazione dei poteri formali dopo la deposizione di Carlo il Grosso è mobile,
incerto, e caratterizzato dalla lotta dei grandi aristocratici, che ora gestiscono i poteri creando
consensi e contrastando il re quando non sono d’accordo.
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I sovrani sono ormai debolissimi, esponenti di questo stesso mondo dell’alta aristocrazia, che oltre
a gestire i propri principati, aspirano al potere regio: si tratta, di fatto, di sovrani tra pari.
È un fenomeno che avviene ovunque, anche in Italia, in Francia, e in Germania. In Germania si
costituiscono dei ducati, in forma complessa, che stabiliscono rapporti tra il duca e una base che
costituisce una nazione dentro la nazione (una nazione bavarese dentro a quella tedesca, per
esempio). Si tratta di una creazione di poteri che hanno trasmissione dinastica e estensione
regionale: questa è una caratteristica di tutti i territori carolingi.
I regni continuano a esistere, ma la struttura dei regni all’interno muta profondamente con la
costruzione di questo complesso di principati legati al sovrano da legame di natura contrattuale e
volontaria.
Sono i grandi signori che sostengono il sovrano perché lo vogliono e ne hanno interesse, perché il
sovrano non limita i loro poteri ma li legittima. Il fenomeno di costruzione di principati territoriali
porta in sé il germe della sua distruzione, perché avviene un fenomeno di signorie all’interno degli
stessi principati. Le signorie hanno un’origine complessa e ambigua. Si prenda il caso di un grande
signore terriero che possiede un’estensione di beni e un patrimonio fondiario organizzato secondo
le forme della signoria curtense, un proprietario ecclesiastico. Normalmente le proprietà
ecclesiastiche godevano di una immunità, erano esenti dall’autorità giurisdizionale del conte del
territorio. Una immunità comportava che l’esercizio dei poteri pubblici all’interno dei territori
immunitari era esercitato dal proprietario dell’immunità. Questo tipo di signoria immunitaria si
trasforma ben presto, con la crisi dell’impero carolingio, in una signoria in cui l’abate o il vescovo
esercitano poteri di giurisdizione e di costrizione analoghi ai poteri di origine pubblica esercitati dal
conte: il potere che permette di imporre obblighi e divieti, e di dare giudizio. Questo complesso di
poteri si chiama di banno, che è proprio la capacità di costringere e porre divieti.
Tra IX e X secolo se ne appropriano quei signori che per prestigio economico e sociale e militare
sono in grado di costringere e porre divieti all’attività delle persone. Il costringere consiste nella
costrizione all’attività militare, al pagamento di tributi, ai servizi di utilità. Un divieto, per esempio,
era quello di allontanarsi dal territorio in cui si risiede.
Si tratta di costruzioni spontanee che tendono a occupare gli spazi di giurisdizione lasciati liberi
dall’autorità pubblica. Si tratta di poteri di origine privata, ma che hanno la stessa forza di quelli
di origine pubblica. Ciascuna realtà tende a essere autonoma, e i poteri di diversa natura si
omogeneizzano e prendono corpo nei poteri espressi nel banno.
Un altro modo di creazione di una signoria locale è la costruzione di un castello.
L’incastellamento e la signoria
Quando si parla della costruzione di un castello tra la fine del IX e il X secolo, non dobbiamo
immaginarci i castelli che caratterizzano il nostro immaginario fiabesco. Si tratta di costruzioni di
legno, spesso consistenti in una torre di legno costruita su una collinetta di terra artificiale, dove
vive il signore, che vive come un poveretto. Siamo alle origini di questo fenomeno. Accanto alla
parte fortificata, protetta da una cinta di pali, c’è solitamente un piccolo complesso di servitori
del castello che vivono in un recinto di terra circondato da un fossato.
Il castello è una struttura che consente a una persona di essere militarmente protetta e di
controllare il territorio circostante. Il titolare del castello esercita nei confronti della popolazione
del circondario un potere di costrizione e una possibilità di difesa, al bisogno.
Da questo tipo di strutture, che nel X secolo proliferano in tutta Europa, nasce un altro tipo di
signoria, legata alla capacità di dominazione, cioè la signoria di castello. La signoria in questo caso
non viene esercitata da un conte, o da un signore immunitario, ma da chi ha costruito un castello e
ha costretto gli abitanti circostanti a sottostare a una dominazione. Anche il signore di castello
esercita la capacità di imporre tributi e lavoro, per esempio un turno di guardia alle fortificazioni, e
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esercita una giurisdizione, ossia una capacità di giudicare. Le persone che vivono dentro questi
territori sono liberi, e dovrebbero avere come loro giudici i conti, che però non rappresentato più il
potere, e il signore di castello riesce a esercitare una giurisdizione sostitutiva di quella del conte,
senza garantire diritto di appello al tribunale del conte. È l’epoca in cui si riescono ad affermare
tantissimi poteri, tutti quelli che riescono a imporsi e affermarsi. È l’epoca dell’anarchia feudale.
Il tipo di poteri che abbiamo descritto sono poteri signorili, perché ancora non abbiamo introdotto
il discorso tecnico del rapporto feudale, cioè il rapporto giurato tra titolari di signorie.
Il rapporto giurato tra titolari di signorie avviene nel momento in cui tra i titolari di signorie si
stabilisce un rapporto giurato di vassallaggio, ossia il rapporto di sottomissione onorevole di
alcune persone ad altre all’interno di una società militare, in cui la sottomissione è una forma di
accompagnamento di un capo da parte dei seguaci. È in questo momento che il potere delle
signorie si coordina in una rete di poteri vassallatico beneficiari: questo non esclude che i grandi
signori concedano anche signorie a loro seguaci, uomini d’armi, a seguito di un giuramento di
fedeltà. In questo caso i poteri del vassallo nascono da un conferimento di signoria da parte del
signore, che fa nascere la fedeltà di un vassallo dandogli una signoria, ma i due livelli vanno
concettualmente tenuti distinti anche se spesso si integrano nella società feudale.
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Lezione 16 - La rinascita dell’impero germanico
Gli argomenti:
- Il regno di Germania nel X secolo
- La dinastia di Sassonia
- La promozione di Ottone I all’impero
- L’organizzazione istituzionale dell’impero
- L’ideologia dell’impero
- L’integrazione dei popoli periferici
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Enrico I l’Uccellatore elabora anche un inizio di attività politica, che consiste nella proiezione verso
una serie di territori insediati da tribù slave. Stabilendo la soggezione su queste tribù, già Enrico I
cerca di consolidare una frontiera nei confronti delle popolazioni che possano provenire da nord.
Un’altra importante realizzazione di Enrico I è di assicurare la successione al figlio Ottone I. In
questo momento, con una successione già prevista, si consolida l’idea che il regno dovesse
continuare e che il potere regio dovesse rafforzarsi anche con trasmissioni ereditarie.
Siamo alla costituzione di una vera dinastia di Sassonia.
La dinastia di Sassonia
La dinastia di Sassonia si perpetua per quattro generazioni:
- Ottone I
- Ottone II
- Ottone III
- Enrico II
Si tratta di una dinastia che occupa dagli anni ‘30 del X secolo agli anni ‘20 dell’XI.
Ottone I è il sovrano più importante, fornisce una nuova sistemazione ai rapporti interni anche
nelle strutture organizzative, tra il re e i duchi e tra il re e il regno, e avvia la costruzione di una
vasta area di egemonia che si estende sulla Boemia, sull’Italia settentrionale, nel mondo
scandinavo e sulle popolazioni slave.
Ottone I persegue l’obiettivo della fondazione dell’impero, precorsa e resa significativa da una
preparazione di dominio e dall’influenza del regno di Germania sulle strutture politiche che si
estendono fuori dai confini. Inizialmente anche Ottone I deve affrontare il problema degli Ungari,
ma si predispone con misure organizzative dei territori. Anche Ottone I ha una forte politica di
presenza sui territori di insediamento slavo, e trasforma un semplice controllo nella costruzione di
marche, distretti organizzati con funzioni militari in questa zona di confine.
Le marche vengono strutturate sia sotto il profilo del controllo e della difesa del territorio, sia
sotto il profilo ecclesiastico, perché viene instaurato un processo di evangelizzazione realizzato
con la costituzione di sedi vescovili. L’evangelizzazione non viene più portata avanti da monaci
missionari, ma si organizzano strutture istituzionali forti e consolidate, che vengono create nei
territori di confine per evangelizzare. È importante la costituzione di un centro di irraggiamento e
la promozione culturale a Magdeburgo. Tra le espressioni più importanti di questa attenzione ai
territori confinanti a oriente, ci sono i rapporti con la Boemia, ducato slavo retto dal duca
Boleslao, che viene sottoposto a una sorta di egemonia tedesca che fa sì che la Boemia sia inserita
dentro l’impero ottoniano. La sottomissione tra principi faceva sì che il duca di Boemia fosse
subordinato anche dal punto di vista vassallatico al re di Germania.
Ricordiamo anche gli interventi in Italia: nel 951 Ottone I interviene in Italia per fare giustizia a una
questione intricata. Nel 951 un grande signore italiano, Berengario, Marchese di Ivrea, si
impadronisce della corona d’Italia, un regno con capacità politiche labili, ma esisteva come titolo
e come ambito tendenziale di sovranità, e per apparati burocratici e amministrativi. Non era
indifferente potersi fregiare del titolo di re d’Italia. Berengario, però, aveva stretto un patto
vassallatico con Ottone I per questioni interne, e la sua promozione a re senza il consenso
preventivo del signore, essendo in rapporto vassallatico con Ottone I, viene tollerata male da
quest’ultimo, anche perché Berengario ha dei nemici interni. Berengario si era fatto dei nemici
interni perché aveva imprigionato la vedova del precedente re di Italia, la principessa borgognona
Adelaide, che aveva chiesto di essere soccorsa al re di Germania. Ragioni politiche e romanzesche,
provocano l’intervento di Ottone I in Italia a seguito del quale Berengario è deposto e Ottone I
assume la corona del regno di Italia, facendo rivivere l’antica tradizione del regno longobardo.
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Nel 951 abbiamo un re di Germania che è riuscito a regolare, anche se attraverso lotte continue, i
rapporti con i duchi nel regno. Il regno di Ottone I è caratterizzato dalle rivolte dei duchi, dei
famigliari e dei figli, che temono di non avere una quota di potere. A causa delle rivolte e delle
alleanze tra duchi, l’interno del regno continua a essere un’area difficile per l’autorità regia,
nonostante Ottone I sia un sovrano energico e abbia molte risorse per farsi valere. Spesso lui ha
reagito alle rivolte sostituendo il duca con persone della sua famiglia o di fiducia, ecco perché il
potere di Ottone nel regno è piuttosto assestato; esso esercita l’egemonia su Boemia, ha
strutturato delle marche ai confini con popoli slavi, diventa re dei longobardi in Italia, e la sua
figura diventa di portata europea.
Nel 955 riesce, con una battaglia campale, ad avere ragione di una grande scorreria di ungari. Si
tratta di una battaglia essenziale per bloccarli definitivamente, e inizia il percorso di stabilizzazione
definitiva di questi popoli in Ungheria. Questa vittoria è importante anche perché, essendo stata
conseguita da un sovrano che aveva già maturato la fisionomia di sovrano di più regni, consolida la
particolare autorevolezza della persona di Ottone I e lo candida alla dignità imperiale. Esiste una
tradizione secondo la quale l’esercito stesso avrebbe proclamato Ottone imperatore, anche se
questa leggenda è discutibile perché c’era una tradizione già consolidata secondo la quale l’impero
si poteva ricevere solo a Roma, e attraverso la cerimonia di unzione, ossia il conferimento di
sacramento e incoronazione da parte del papa. L’acclamazione a imperatore sul campo di battaglia
non aveva nessuna tradizione, ma significa che i ceti egemoni tedeschi ritenevano di avere una
sorta di disponibilità del potere imperiale e riconoscevano in Ottone una qualità imperiale.
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L’organizzazione istituzionale dell’impero
L’idea sacerdotale dell’imperatore ha un parallelo e una ripercussione anche nell’organizzazione
istituzionale dell’impero. Abbiamo detto che Ottone I ha promosso la realizzazione di vescovati
che dovevano fare la conversione e il controllo religioso delle popolazioni di confine e slave, ma
anche all’interno dell’impero Ottone si basa molto sulle istituzioni ecclesiastiche. Ottone, tuttavia,
non si basa esclusivamente sulla chiesa, ma anche sui duchi e sulle nuove marche, e ha un forte
apparato militare; si fonda, tuttavia, anche sul concorso delle istituzioni ecclesiastiche. Attribuisce
ai grandi dignitari della chiesa, vescovi e abati, da un lato benefici, possedimenti e beni fondiari, e
regalie: la capacità di esercitare le funzioni del governo sovrano nei territori delle rispettive
circoscrizioni. Vescovi e abati vengono incaricati di assicurare il controllo giustizia e la leva
militare nei loro territori, e di concorrere con il sovrano alla gestione politica e amministrativa
del regno. Si tratta del modello di funzionario ecclesiastico e statale che viene riassunto nella
formula del vescovo conte, un modello si attua in alcuni casi, ma è universale che i grandi signori
ecclesiastici diventano espressione della organizzazione politica e istituzionale del potere regio e
imperiale. Questo sistema è chiamato lo stato-chiesa: lo stato fa parte di questo complesso di
organizzazione politica di tutti i cristiani, che ricadono sotto il dominio diretto dell’imperatore.
Il potere di Ottone I ha una base politico militare ma si configura come organizzazione generale
di cristianità in cui la chiesa è coinvolta e ha fini di salvezza, di ordine, di retto governo basato su
ideali religiosi. L’impero non prevede, con Ottone I, la creazione di nuove forme istituzionali, ma
salva le strutture istituzionali già esistenti attraverso la tradizione carolingia e le tradizioni locali,
si coordina con essi attraverso relazioni di tipo vassallatico, e crea questa rete unitaria di istituzioni
ecclesiastiche che vengono chiamate a collaborare nell’organizzazione dell’impero.
Sotto l’egida di Ottone si realizza in Germania, specialmente in Sassonia, una rinascita della
cultura, una nuova capacità di educazione intellettuale e spiritate di cui beneficia l’alto clero.
L’ideologia dell’impero
I suoi successori, Ottone II e Ottone III, sviluppano molto l’ideologia dell’impero, e sono due
sovrani che non fanno altro che conservare, senza riuscirci perfettamente, quello che ha costruito
Ottone I. Elaborano il concetto dell’impero in una crescente sacralizzazione del potere e della
stessa persona dell’imperatore. La slide mostra una miniatura con la figura dell’imperatore
intronizzato in una mandorla con la persona divisa da un panno, raffigurazione simbolica del cielo.
La parte inferiore dell’imperatore riposa sul trono e sulla terra, la parte superiore riceve dalla
mano di dio la consacrazione personale, che ripete consacrazione ottenuta dal papa. L’imperatore,
quindi, è un colosso che si erge tra terra e cielo. Da questa immagine si evince una forte
consacrazione del potere imperiale.
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La rinascita del Mille – Lez. 17
Gli argomenti:
- L’espansione demografica
- Lo sviluppo dell’agricoltura
- L’accumulazione signorile
- La Manifattura
- Origini della “rivoluzione commerciale”
- Rinascita delle città
- Le nuove cittadinanze
L’espansione demografica
L’espansione demografica è l’argomento più caratteristico di una situazione che nel suo insieme si
può configurare come situazione nuova, e che cogliamo con concretezza tra X e XI secolo, quando
la popolazione in occidente aumenta. Non è, tuttavia, facile dire le misure del fenomeno perché
non abbiamo censimenti, e non esisteva neppure l’interesse ad avere un numero esatto di persone
del regno.
Di questo fenomeno abbiamo tracce indirette: sappiamo che la superficie coltivata è in
espansione perché si cerca di allargare il territorio agrario, e questo avviene forse per maggiore
necessità di sfamare persone. I dati numerici non sono sistematici, ma ci mostrano, per esempio,
che su un podere contadino, un manso, vivono più persone di quante non ci vivessero
precedentemente. Si rileva una tendenza alla crescita delle persone che vivono sulla stessa
estensione di terreno.
Si tratta di tracce, in generale, che danno l’idea di una maggiore frequenza di persone anche nelle
città tra X e XI secolo: queste tracce sono riferite a una maggiore mobilità delle persone, e alla
creazione di insediamenti rurali nuovi anche nelle forme del castello.
La molteplicità di castelli fa pensare che ci sia una maggiore quantità di persone a popolare questi
centri di organizzazione e controllo. Le tracce indirette convergono nel suggerire una crescita della
popolazione su tutto il territorio europeo.
La crescita che percepiamo dal X secolo si conferma e diventa sempre più evidente nel l’XI, XII, e
XIII secolo: si sono tentate valutazioni che leggerebbero, a seconda delle diverse regioni, il
raddoppio o la triplicazione della popolazione europea. Ci si attesta, in questa fase, sull’ambito di
alcune decine di milioni di abitanti in Europa. Si tratta di un trend significativo, è l’aspetto più
caratteristico e fondamentale che consente di impostare il discorso di una rinascita del Mille, che è
un movimento che comincia già prima dell’XI secolo, e nell’XI secolo prende una fisionomia più
marcata e una visibilità maggiore: questa tendenza, tuttavia, è cominciata precedentemente, forse
già dal IX secolo.
Cosa ha reso possibile la crescita progressiva ma continua della popolazione europea? È difficile
dirlo, perché si tratta di fenomeni in gran parte imperscrutabili nelle loro cause, anche se ne sono
suggerite molte, come il venire meno di condizioni che impedivano la crescita, l’instabilità, il
pericolo, l’incertezza, la violenza delle relazioni sociali. Queste situazioni che sono venute meno
erano caratteristiche della decadenza dell’impero romano, per esempio le invasioni barbariche e la
seconda ondata delle incursioni nell’impero carolingio. Si è anche tentata una spiegazione in
termini di mutamento climatico che avrebbe favorito la crescita della specie umana. Possiamo
constatare il fenomeno, ma individuare la causa prima è molto difficile.
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Lo sviluppo dell’agricoltura
L’espansione demografica è considerata alla radice di un’altra grande trasformazione, lo sviluppo
dell’agricoltura, che conosciamo da indizi indiretti concomitanti.
Una delle tracce indirette è quella dell’aumento della superficie di terreno coltivato: si procede
alla conquista di terre nuove e vi è un’erosione del bosco, e una bonifica di terreni svantaggiati e
paludosi. Questo significa che l’agricoltura si espande e c’è una maggiore produzione.
Intorno al X e XI secolo si diffondono miglioramenti nell’attrezzatura e nelle tecniche di
coltivazione, per esempio un sistema di rotazione triennale dei campi, che prevede che su uno
stesso campo si avvicendino, in un ciclo di tre anni, tre tipi di cultura: un anno cereali invernali, un
anno cereali primaverili, un anno maggese. Durante il ciclo del maggese è possibile ottenere la
ricostituzione della fertilità del suolo. Il sistema era noto anche prima, ma si diffonde nel X e XI
secolo, soprattutto in quei territori che lo consentono: in Italia, per esempio, i suoli agrari non
sono favorevoli a questo tipo di avvicendamento. Sappiamo che vengono introdotti miglioramenti
nelle attrezzature, nell’uso e nella configurazione dell’aratro che, dove i suoli lo permettono,
diventa un aratro pesante che consente un migliore rinnovamento e una maggiore fertilità del
terreno. In quest’epoca sappiamo che queste innovazioni si diffondono, e pensiamo che
l’agricoltura si organizzi.
Le stesse popolazioni rurali si concentrano e organizzano gli insediamenti rurali in maniera più
razionale, per migliorare la produttività attraverso la specializzazione delle colture che fa
riferimento, magari, anche a un castello. Si annoverano modifiche tecniche, un’estensione
dell’area coltivata, la razionalizzazione delle colture: questi cambiamenti fanno pensare a uno
sviluppo dell’agricoltura nei termini di miglioramento della produzione e di una maggior quantità
di prodotto, che deve bastare all’aumentato numero di bocche, e che però mette in modo un
cambiamento di qualità nell’organizzazione della produzione agraria. L’obiettivo diventa sfamare
un maggior numero di bocche e produrre dei surplus che non vengono consumati. Una slide
mostra una formella che evoca il lavoro dei contadini.
L’accumulazione signorile
La crescita della popolazione e il miglioramento della produzione agraria avvengono in contesto di
signorilizzazione della società. In questo contesto si diffondono le signorie, sotto il controllo di
signori dalla fisionomia militare che possiedono una fortezza o un castello, che controllano tutte
le persone che abitano il territorio controllato dalla fortezza. I poteri si trasferiscono a questi
signori che sono in grado di esercitare il banno.
Si tratta di un sistema istituzionale molto fluido, caratterizzato dalla signoria bannale, che esercita
il banno. Tra i diritti di banno vi è la caratteristica del prelievo di quote di lavoro, prodotto, o censi
e tributi a scapito dei contadini. I contadini devono versare al signore locale un reddito, che può
essere costituito da un surplus o da una trasformazione del surplus in denaro attraverso la vendita
sul mercato. Si consolida un principio di prelievo signorile diffuso, che copre tutta la popolazione,
localmente determinato e fondato sulla capacità di costringere a cedere una parte dei surplus
della produzione al signore locale, che in cambio esercita protezione. Si consolida, quindi un
sistema di protezione in cambio di tributi.
L’accumulazione signorile nasce dal fatto che uno stesso signore raccoglie introiti da più
coltivatori, che gli consentono di avere qualcosa in più da mandare sul mercato, e trasformare in
reddito monetario, e quindi investire. I signori vivono e accumulano parti di ricchezza a spese dei
produttori, ma questa ricchezza non resta improduttiva, perché viene investita in consumi che
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non sono solo alimentari di sopravvivenza, ma anche di ostentazione, come l’acquisto di beni di
lusso, o la costruzione di edifici, per esempio i castelli stessi.
I castelli prendono una fisionomia più complessa, a partire dall’XI secolo inizia a nascere
l’architettura militare in pietra, che richiede tecniche e competenze costruttive notevoli. I signori
spendono una parte dei proventi signorili nella fondazione di chiese e monasteri, che diventano
della loro famiglia e esprimono il bisogno di preghiera dei signori, e di intercessione e espiazione di
peccati commessi in una vita di violenze, soprusi e ingiustizie. Questa vita militare signorile in
qualche misura viene compensata dalla protezione di istituti ecclesiastici dove si prega dio anche
per il signore locale. Con la promozione di costruzioni, l’accumulazione signorile diventa
costruttiva e produttiva.
I signori cercano di organizzare il movimento in parte spontaneo di riaggregazione delle
popolazioni contadine, con la riappropriazione di territori da coltivare. Il movimento è in parte
organizzato dai signori, che promuovono bonifiche, costruzione di ponti, mercati.
Contemporaneamente all’apertura di mercati, i signori creano una zecca locale per coniare la
moneta utile per il mercato. I signori promuovono la costruzione dei mulini, e si diffonde il mulino
ad acqua. L’accumulazione signorile è un elemento importante, da un lato opera come una forma
di prelievo sul prodotto primario dei contadini, e ha degli aspetti oppressivi e negativi, dall’altro
lato significa la costituzione di un ceto che ha dei bisogni complessi. Questo nuovo ceto
promuove l’investimento di una parte dei proventi in opere e iniziative che ritornano a vantaggio
degli stessi ceti rurali: questi proventi si trasformano in attrezzature del territorio, nel
coordinamento delle persone e delle strutture organizzative.
La Manifattura
In questo contesto decolla tra X e XI secolo la manifattura, che riceve un incremento. Un esempio
di questa tendenza sono le costruzioni: vi è una maggior richiesta di artigianato edilizio connesso
con le tecniche di costruzione.
Uno dei beni più essenziali, inoltre, è quello dei tessuti. Nel sistema carolingio e post carolingio, le
diverse fasi della produzione dei tessuti (per esempio la filatura e la tessitura) venivano fatte in
officine collegate ai centri signorili nelle grandi proprietà fondiarie, dove si tendeva a produrre
quasi tutto. Dentro la proprietà fondiaria si producevano sia i beni primari agricoli, sia i beni di
natura artigianale, come tessuti e metallurgia, all’interno di officine localizzate nella signoria. Con
la crescita della popolazione e la razionalizzazione della produzione agricola, si inizia a scorporare
la produzione agraria da quella artigianale, soprattutto quando questi beni hanno una larga
richiesta. Continua una produzione domestica, ma nasce anche una produzione specializzata
concentrata in alcune sedi, non più connesse con le sedi rurali e con i luoghi di produzione agraria:
si tratta di luoghi di produzione manifatturiera specializzata. Alcuni centri di produzione
manifatturiera specializzata si trovano nelle Fiandre, per esempio, e in Lombardia, dove la
fabbricazione di panni si concentra nella Pianura Padana. In quest’area si producono non solo
panni, ma ci sono centri dedicati alla metallurgia. I prodotti metallurgici sono di estrema
importanza sia per l’attività agraria sia per quella militare, e si iniziano a creare specializzazioni
locali. Quando si specializza la produzione separandola dai beni agrari, nasce il problema dello
scambio di un tipo di beni con gli altri: prima lo scambio era interno, ora anche esterno.
Nasce quindi il bisogno dello scambio, la necessità del mercato, che era presupposta anche dalla
stessa accumulazione signorile. I signori avevano richieste di prodotti di lusso che non si trovavano
sempre nella regione in cui i signori si trovavano a vivere.
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Origini della “rivoluzione commerciale”
È questo il contesto della cosiddetta rivoluzione commerciale del medioevo, che significa che a
partire dall’XI secolo, ma più marcatamente nel XII e XIII secolo, l’economia europea si riorganizza
in funzione del mercato. L’attività commerciale è trainante per la società europea, e si tratta della
prima rivoluzione che caratterizza lo sviluppo economico europeo (seguita da quella industriale, e
da quella informatica/post-industriale). La rivoluzione commerciale è la prima trasformazione
strutturale dell’economia europea: le sue origini potrebbero essere collocate nel momento che
stiamo studiando, tra il X e l’XI secolo, ma il fenomeno esplode nel XIII secolo.
I movimenti commerciali esistevano anche precedentemente, esistono a ridosso dell’Europa
continentale già a partire dall’VIII secolo due aree di movimenti commerciali: una a nord dal mare
del nord al Mar Baltico, e dalla Russia al Mar Nero e Caspio, e poi Costantinopoli e la Persia. È la
linea di interesse egemonizzata dal mondo vichingo, e che mette in comunicazione il nord
scandinavo, l’oriente bizantino, la Fiandra e l’Inghilterra: questa linea si espande, e nel IX, X, e
ancora nell’XI secolo funziona. Esisteva anche, inoltre, un bacino mediterraneo controllato dal
mondo islamico ma al quale partecipava anche l’Italia. Era un bacino già attivo nell’VIII secolo, che
si consolida nel IX e X.
Sono due movimenti commerciali destinati al commercio di merci pregiate, poche merci ma
preziose. In questa fase i due bacini commerciali in questione hanno un ruolo importante nelle
origini della rivoluzione commerciale, alimentata dalla crescita degli scambi all’interno del
movimento europeo. La rivoluzione commerciale ha origine nell’aumentata produzione agraria e
nella specializzazione manifatturiera, che consente di scambiare la manifattura con i servizi, o
con la produzione agraria con la mediazione del denaro. Il denaro torna a circolare in misura
molto intensa in Europa, e una delle ragioni del successo dell’impero sassone riposa nella grande
disponibilità di argento e di moneta d’argento che hanno i sovrani tedeschi e sassoni; è durante il
dominio della dinastia sassone che vengono valorizzate le miniere d’argento che consentono la
coniazione di denari d’argento di buona qualità. Questi denari, a loro volta, alimentano la
circolazione commerciale che si estende fino al baltico.
Su questa rinascita dello scambio interno si innestano quei due bacini commerciali, settentrionale
e mediterraneo, che vengono potenziati. La creazione di mercato, la diffusione della moneta e
l’aumento di prodotti di lusso stimola la creazione di gruppi che si specializzano nel trasporto di
merci di lusso, e anche di merci di un minor livello di prestigio, ma essenziali come i prodotti
industriali. Amalfi, per esempio, si specializza nel trasporto tra oriente e occidente, insieme con
Venezia: queste città riescono a innestare la loro attività sul rifiorire dei mercati, che è
determinato dalla crescita della popolazione, della disponibilità agraria e dalla accresciuta
domanda signorile.
I generi che vengono commercializzati, anche nel nord, sono oreficerie, tessuti di lusso e spezie:
queste ultime non sono solo condimenti alimentari, ma hanno anche una funzione in medicina o
nella produzione industriale.
Le nuove cittadinanze
Con le città nascono nuovi corpi, nuove categorie di persone.
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Lez. 18 - La chiesa nell’XI secolo
Gli argomenti:
- La chiesa e il mondo dei laici
- Il problema dei costumi del clero
- La rivendicazione della libertà della chiesa
- Il conflitto del papato con l’impero
- Le conseguenze del conflitto
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Il problema dei costumi del clero
Il problema consiste nel fatto che il clero, anche se apparteneva a famiglie aristocratiche e veniva
scelto con le migliori intenzioni (spesso si trattava di persone con grande preparazione e coscienza
ecclesiastica), tuttavia vive seguendo modi di vita simili a quelli dell’aristocrazia laica e militare. Si
veda il caso dei vescovi di impero, frutto di una preparazione ecclesiastica importante ottenuta
nelle sedi di educazione degli ecclesiastici: essi vengono scelti in base alla loro preparazione e alla
loro capacità di guida spirituale in Germania. Ci sono, però, anche vescovi e abati che considerano
l’abbazia una rendita con la quale fare vita da grande signore dedito alla caccia e alla guerra, e ad
esercitare signoria sulle popolazioni contadine, anche in modo violento.
Non sempre i costumi del clero corrispondono a quelli di una guida spirituale: la società si divide
in una parte militare e una parte ecclesiastica, ma il mondo è dominato dai valori di una società in
profonda trasformazione in cui la violenza e la sopraffazione sono comuni a tutti quelli che
vogliono appartenere a un ceto dominante.
Già nel corso del X secolo prendono piede movimenti di affermazione della vocazione spirituale
di coloro che abbracciano una carriera ecclesiastica: è il caso del movimento cluniacense
all’interno dell’ordine benedettino, che vuole ristabilire specificità, purezza e austerità
nell’osservazione della regola monastica. Il Monastero di Cluny viene fondato dal duca
d’Aquitania come monastero privato, ma stabilisce alcuni privilegi istituzionali, come l’esenzione
dal controllo della famiglia stessa del fondatore, una libertà accordata dal fondatore al monastero,
e garantita dal fatto che il duca pone il monastero sotto il patronato di Pietro a Paolo, e quindi
dona il monastero al papato, con la garanzia spirituale e giurisdizionale del papato, per liberarlo
dall’influenza giurisdizionale del vescovo competente. I vescovi sono feudalizzati, possono
ragionare come grandi signori e sostituire un dominio non proprio spirituale al dominio di cui si sta
privando il fondatore del monastero. Il monastero di Cluny in cento anni diventa un punto di
riforma della cristianità occidentale, e la riforma si diffonde ad altri monasteri e ottiene di potere
organizzare tutti quelli aderenti in una sorta di grande congregazione che si estende a tutte le
provincie dell’occidente cristiano, dalla Francia alla Germania, in Italia, in Spagna: si tratta di
un’enorme congregazione di monasteri, tutti dipendenti a livello di organizzazione e giurisdizione
dall’abate di Cluny.
In cosa consiste la riforma della vita monastica? Affermazione e pratica di costumi monastici
austeri, rinuncia alla volontà di potenza militare, alla volontà di dominio economico, e rinuncia
anche alla vita gradevole, e castità dei monaci. I monaci sono come angeli, due volte: perché casti
e perché, come gli angeli, sono impegnati nella celebrazione continua delle lodi di dio. La
celebrazione continua dell’ufficio divino e il canto continuo dei salmi sono considerate la forma
più alta di preghiera. I monaci pregano per tutta la cristianità, continuamente, in forme liturgiche
di grande splendore. La slide mostra un’incisione settecentesca dell’abbazia. L’apparato liturgico si
esprimeva sia nell’architettura abbaziale sia nella liturgia. Le cerimonie dovevano cadere a
vantaggio di tutta l’umanità, e la ricorrenza del 2 novembre è stata inventata dai monaci di Cluny,
che si assumevano l’incarico di pregare per tutta la cristianità, e per i morti di tuta la cristianità. La
funzione ecclesiastica e religiosa è distinta dalle funzioni del secolo, ma non opposta: i monaci
sono stati in ottimi rapporti con gli imperatori e con i poteri laici, ma c’è l’idea di una
separatezza dell’ordine monastico e delle funzioni ecclesiastiche. Si aspira alla separazione e alla
distinzione tra le funzioni e il personale della chiesa dal mondo dei laici. Ci sono anche altri
movimenti di riforma.
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Vi sono anche altri monasteri che, senza essere legati alla riforma cluniacense, sperimentano una
riforma, e anche in ambiente episcopale si delineano istanze verso il miglioramento e la
spiritualizzazione dei costumi del clero.
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dell’intromissione di un potere estraneo alla chiesa, e anche questo cominciava a essere avvertito
come un fatto illecito. Era percepito un innesto di ragioni non esclusivamente ecclesiastiche nella
vita della chiesa. Come comportarsi nei confronti del clero già insediato? Farli tutti deporre? Anche
gli stessi papi si sarebbero trovati in situazioni difficili: bisognava salvare l’esistente e fare però
ordine.
Il conflitto del papato con l’impero
Fino a due terzi dell’XI secolo si innesta anche il conflitto del papato con l’impero, quando diventa
papa uno che aveva una fortissima idea dell’autorità papale nella chiesa, Gregorio VII, nel 1073.
Con lui scoppia uno scandalo. Si tratta di una personalità fortissima, aggressiva e intransigente:
Gregorio VII era convinto che nell’autorità di San Pietro incarnata del papa ci fosse la soluzione a
tutti questi problemi, altre alla purificazione della società ecclesiastica, e attraverso di lui
passassero le linee direttrici per separare il mondo della chiesa e il mondo laico. L’aspirazione alla
libertà della chiesa diventa una lotta per espellere il mondo laico dall’organizzazione della vita
ecclesiastica.
Si verifica un conflitto con Enrico IV, una grande personalità, un forte temperamento e una forte
consapevolezza della tradizione dell’impero e dei significati spirituali del potere imperiale. Scoppia
un violentissimo conflitto quando Gregorio VII dichiara illecite le investiture laiche dei vescovi, e
Enrico IV depone il papa: il conflitto prende, allora, toni drammatici. Gregorio VII scomunica
l’imperatore e l’imperatore deve recarsi a cospetto del papa a Canossa per essere riammesso alla
comunione dei fedeli. La slide mostra il celebre episodio dell’imperatore davanti alla contessa
Matilde, patrocinato dall’abate di Cluny. Il perdono supplicato indebolisce il prestigio
dell’imperatore, ma non risolve nessun problema perché il conflitto riprende rapidamente.
In Germania viene eletto un re contro Enrico IV, Rodolfo di Svevia. Il conflitto tra Gregorio VII e
Enrico IV si protrae, e loro concludono la loro vita senza aver trovato una soluzione al problema.
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Lez. 19 – Feudalità e cavalleria
Gli argomenti:
- Il mondo feudale nell’XI secolo
- La creazione dell’etica cavalleresca
- Le grandi imprese della cavalleria feudale:
o La riconquista spagnola
o La conquista normanna dell’Italia meridionale
o La conquista normanna in Inghilterra
o La prima crociata
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Questa società complicata, mobile e bellicosa è tenuta insieme dal vicolo fondamentale, che è
quello feudo vassallatico, del giuramento di fedeltà che i seguaci fanno nei confronti di un capo.
Questo giuramento di fedeltà oramai è sistematicamente remunerato dalla concessione di un
feudo. Entrare in una clientela militare sostenuta dal rapporto di fedeltà significa, per i guerrieri
che non hanno patrimonio famigliare, avere una forte possibilità di conquistarsi una signoria nelle
forme feudali. Si creano, quindi, raggruppamenti, eserciti privati, e il rapporto di fedeltà non è
talmente solido da assicurare la costituzione di gruppi politici ben saldi e durevoli, ma al contrario
in quest’epoca il rapporto di fedeltà può essere infranto. Può anche accadere che uno stesso
guerriero o titolare di feudo possa cercare di ingrandire il suo patrimonio prestando omaggio e
fedeltà a più signori, moltiplicando gli omaggi, per ottenere più patrimoni. Nel momento in cui due
di questi signori vengono a conflitto non si sa bene a chi dei due il vassallo è fedele.
C’è un principio di ordine, quello della fedeltà, e un principio di disordine che è la
spregiudicatezza: questi due principi coesistono nella cornice di una società mobile e aggressiva.
Il quadro si complica, dal punto di vista del numero di persone che aspirano a una carriera
all’interno dell’esercizio delle armi, perché a partire dall’XI secolo si cominciano a costituire i
lignaggi a tutti i livelli nelle famiglie signorili: questo fenomeno avviene a partire dal X e XI secolo
nelle famiglie illustri e più potenti, e poi nell’XI anche tra i titolari di feudi minori e castellanie. Si
cominciano a chiudere le famiglie e a trasmettere il patrimonio feudale soltanto in una linea
maschile, e in una trasmissione che favorisce i primogeniti. Intorno al patrimonio di ciascuno di
questi gruppi che hanno conquistato posizioni di potere, si specializza la trasmissione del feudo e
del patrimonio famigliare: mentre da un lato si consolida perché il feudo rimane compatto, nello
stesso tempo esclude tutti i fratelli che non hanno partecipazione all’eredità, i cadetti.
I cadetti diventano cavalieri, ma senza patrimonio, e perciò una massa di persone disponibili per
entrare nel servizio dei signori che li possono accogliere, nutrire e remunerare, oppure disponibili
per l’avventura ovunque ci sia speranza, per ottenere proprietà, possessi onore e ricchezza.
La slide mostra una miniatura che raffigura la genealogia dei signori di Canossa. La struttura
genealogica delle famiglie comincia a prendere valore, e viene descritta, annotata e memorizzata
a partire dall’XI secolo. Nello stesso tempo in cui si costituiscono questi lignaggi, si definisce anche
una memoria genealogica e si costruiscono le identità famigliari e le tradizioni famigliari.
La riconquista spagnola
Nel 711 la Spagna era stata in gran parte conquistata dagli arabi provenienti da Africa e Marocco.
La Spagna era rimasta divisa, la massima parte era stata conquistata dagli arabi e sottoposta alla
loro dominazione; erano però rimasti nelle Asturie e ai piedi dei Pirenei dei piccoli principati
cristiani, delle piccole isole limitate, senza una vera possibilità di fare fronte comune, se non per il
fatto che la stessa espansione araba si era arrestata.
Nella parte islamica della Spagna si sviluppa una complessa cultura, e si affermano delle forme
statali molto evolute, certamente più evolute dell’Europa post carolingia caratterizzata dalla
disgregazione feudale. Nel 756 i territori islamici vengono organizzati in un emirato sotto
l’autorità dell’ultimo discendente che aveva costituito il califfato, e nel 929 un discendente si
proclama califfo, ponendo la sua sede a Cordova. Questo califfo, che entra in competizione con il
califfo della parte orientale e afferma l’autonomia statale e morale della Spagna islamica rispetto
al resto del mondo musulmano, si chiama Abdaraman, ed è colui che ha promosso l’edificazione
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vicino a Cordova di una vera e propria città regia, una sua residenza che ha il nome di Medina
Azara. Medina Azara è un complesso archeologico di straordinario fascino e che dimostra la
ricchezza e la capacità progettuale di questo califfo e del mondo della Spagna islamica. Il mondo
della Spagna islamica è ricco, c’è un grande sviluppo delle attività commerciali, e il califfo stesso è
ricchissimo grazie al fatto che si sostiene con le imposte pagate dai sudditi e dai mercanti.
È nei confronti di questo mondo che avviene il fenomeno della riconquista, che parte da quei
piccoli nuclei di stati cristiani sopravvissuti nel nord della Spagna, e che a partire dalla metà
dell’XI secolo vengono animati da un nuovo slancio demografico, che si trasforma e si manifesta
anche in slancio militare e aggressività militare nei confronti del mondo esterno alla cristianità.
Questo slancio militare spagnolo è facilitato dal fatto che il califfato di Cordova si scioglie nel 1031,
quando non viene più nominato un califfo e il complesso dei territori musulmani si fraziona in
piccoli regni, e si indebolisce molto la capacità militare, mentre si rafforza la capacità militare
degli stati cristiani attraverso accorpamenti. Si costituisce un gruppo politico militare che unisce
Castiglia e Leon, e uno che unisce Aragona e Navarra: attraverso queste associazioni in parte
dinastiche e in parte frutto di pianificazioni ereditarie, si rafforza la capacità aggressiva sostenuta
dalla nascita e dalla crescita di un mondo di tipo militare e cavalleresco, non propriamente nel
modello francese ma sostanzialmente nella stessa linea di crescita, espansione, e capacità
aggressiva di un ceto militare che vede nella lotta contro i regni islamici una possibilità di
espansione, di arricchimento, consacrata dalla difesa e dal sostegno della fede cristiana, che
funziona benissimo per legittimare un’azione militare permanente e durevole, che si estende e si
sviluppa per due secoli e mezzo a danno delle formazioni politiche della stessa società musulmana.
Questa riconquista dei cristiani sulle terre musulmane ha, già nella seconda metà dell’XI secolo, dei
notevoli risultati: nel 1085, il re di Castiglia Alfonso VI, conquista Toledo, che era stata la capitale
del regno visigotico, importante città nell’organizzazione della Spagna musulmana. Questa
conquista ha un valore simbolico e sarà molto importante perché con l’annessione di Toledo
all’Europa cristiana comincerà a essere possibile tra la rinascente cultura intellettuale
dell’occidente cristiano e la tradizione intellettuale del mondo islamico. Come Alfonso VI nella
parte centrale della Spagna, il re Sancho I di Aragona e Navarra si estende nelle zone aragonesi a
danno del regno di Saragozza, e la conquista di Saragozza è un punto importante.
Il personaggio caratteristico di questo mondo è Rodrigo Diaz de Vivar, il Cid Campeador, un
avventuriero cristiano che parte dalla Castiglia e compie una serie di avanzate e di conquiste,
razzie in territorio musulmano, in parte in collegamento con il re di Castiglia Alfonso VI, e in parte
nel proprio interesse con i guerrieri legati a lui. Riesce a conquistare diverse città tra cui Valencia,
dove instaura un dominio personale, non ben collegato con il movimento di riconquista.
In questo periodo iniziative regie, iniziative cavalleresche e iniziative autonome di capi militari si
intrecciano, e significano che il ceto militare in Spagna sta svolgendo una sua attività nei confronti
del mondo islamico.
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un itinerario che li portava al pellegrinaggio al santo sepolcro, altri gruppi arrivano in Italia perché
sanno che tra i diversi poteri ci sono situazioni di lotta, soprattutto in Puglia. I normanni arrivano
in gruppi di cavalieri, anche piccoli, composti da venti o trenta uomini, e svolgono un servizio
mercenario tra i diversi signori che si combattono, come i signori longobardi e le cittadinanze
bizantine. Per il momento non arrivano in Sicilia, ma in Italia meridionale fanno fortuna e
stabiliscono due domini territoriali, uno vicino a Napoli e uno tra Basilicata e Puglia vicino a Melfi.
Da questi punti di partenza, la lotta dei normanni in Italia meridionale è di accaparramento e
posizione di potere, signorie, castelli, tributi da parte delle cittadinanze, non ha una giustificazione
giurisdizionale. Diventa una fisionomia diversa quando nel 1059 uno di questi capi, Roberto il
Guiscardo, viene investito da papa Nicolò II da un titolo creato al momento, ossia Duca di Puglia,
Calabria e futuro Duca di Sicilia. Con questa mossa il papa intendeva servirsi di questi cavalieri
disponibili al servizio militare, per difendere le ragioni della chiesa in un momento in cui si
profilano le diverse situazioni del conflitto con l’impero. A partire dal 1059, e poi nel 1060, inizia
anche la penetrazione in Sicilia di guerrieri normanni capeggiati da Ruggero, e in questo caso la
lotta è contro i musulmani, gli infedeli: in questo caso la lotta si nobilita, e viene intesa come
liberazione di terre già cristiane e cacciata dagli infedeli. Da questo momento il movimento
normanno acquista un decoro e una consacrazione, ma resta il fatto che per tutto l’XI secolo e per
qualche decennio del XII si tratta di un fenomeno di conquista cavalleresca di beni, terre, onori e
titoli che si articola secondo le strutture e i rapporti tipici della società feudale descritti in Francia
La prima crociata
La prima crociata venne bandita dal papa Urbano II a Clairmont, e fu portata avanti da gruppi di
cavalieri provenienti soprattutto dalla Francia, che si dirigono a Costantinopoli e poi
Gerusalemme, dove esisteva un dominio turco e musulmano. In questo caso la consacrazione
religiosa è la più evidente, ma il movimento della crociata può essere considerato come lo sviluppo
delle paci di dio, la tregua della violenza feudale in occidente, e l’orientamento di queste forze
verso la riconquista del sepolcro di Cristo.
I cavalieri che fanno la crociata sono in parte sensibili a questo ideale, ma in gran parte alla
speranza di arricchirsi, trovare feudi e ricchezze, fare fortuna, fare bei gesti militari e avere
onore nei confronti un nemico islamico tradizionale. La crociata darà luogo a una serie di
insediamenti organizzati in base alle strutture feudali in oriente nei territori della costa della Siria
e della Palestina, e sarà il momento culminante di questa fase di espansione della cavalleria
francese, ma in generale europea, verso il mondo circostante che non aveva fatto parte
dell’impero carolingio e che si era sviluppato in modi diversi, ora omogeneizzato dall’espansione
della cavalleria, della feudalità.
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Lez. 20 – I nuovi regni del XII secolo
Gli argomenti:
- I nuovi regni e i nuovi stili di governo
- I Normanni in Sicilia
- I normanni e Plantageneti in Inghilterra
- I Re di Francia
- L’impero di Federico Barbarossa
I Normanni in Sicilia
Il regno dei Normanni è una formazione tarda, del XII secolo, e ha inizio quando Ruggero II venne
incoronato Re, diventando il primo re di questo nuovo regno. Abbiamo parlato della conquista
normanna dell’Italia meridionale e della Sicilia, che diede luogo a una serie di principati con una
fisionomia non ben precisa, legati a un capo militare, all’andamento della conquista, alla capacità
dei capi di imporsi.
Proprio perché la situazione istituzionale è indefinita, non si costituisce un vero stato. Solo con
Ruggero II, della famiglia Altavilla, viene raccolta l’eredità della conquista fatta dai suoi
predecessori e si rivendica la successione in Sicilia e in Italia meridionale, riuscendo a ottenere che
gli venga riconosciuta dal 1127. Dopo tre anni, nel 1130, si promuove a re perché c’è un processo
tra ideologico e giuridico e l’ambito del suo potere viene riconosciuto come di regno, e non solo
di conquista. Deve combattere per imporre effettivamente la sua autorità regia e farla riconoscere
dall’esterno, ma quando un regno di Sicilia esiste e viene accettato dalle altre potestà
internazionali, lui organizza il regno in forme nuove come sopra descritte. Non c’era una
tradizione precedente di regno, e in quella concrezione di poteri nati nei regni carolingi della
Francia centrale. In cosa consistono le novità? Nomina e imposizione di funzionari e rappresentati
del re non appartenenti all’ordine feudale, dislocati: camerari e giustizieri, con le due funzioni
essenziali di assicurare la fiscalità regia, la percezione dei tributi che toccavano al sovrano, e
assicurare la giustizia del sovrano nel regno in alternativa o opposizione dei signori feudali. Poi ci fu
l’imposizione di questo potere regio nuovo: l’obiettivo era di ridurre il mondo feudale nato dalla
cavalleria normanna che aveva realizzato la conquista e che si era strutturata in signorie feudali. Si
voleva costringere questo mondo di signori feudali a dipendere feudalmente dal re, a ricevere dal
re tutti i possessi feudali e vincolarsi con giuramento al sovrano. Si impone il dominio regio su
tutte le città del regno. Il fenomeno cittadino è sviluppato, le città costiere hanno ricchezze
considerevoli grazie all’attività commerciale, e tendono a forme di auto amministrazione locale per
la difesa e per sviluppare propri interessi e diritti. Il nuovo re limita fortemente la capacità politica
dei corpi cittadini, ai quali impone la fedeltà e la presenza di funzionari regi in città, che devono
controllare la sottomissione delle cittadinanze alla monarchia, e assicurare che le cittadinanze
contribuiscano alle tasse del sovrano. Poi nelle città il re appena può insedia una guarnigione in un
castello, con la funzione di assicurare la soggezione della città. Si instaura una rete di funzionari, e
una rete di dipendenze: entrambe possibili perché sostenute con interventi gravissimi nei
confronti di chi si oppone, e in questo il re ha il vantaggio di chi ha le risorse proprie della
monarchia. La monarchia può disporre di grandi ricchezze, che derivano dalle ricchezze stesse
della Sicilia, e poi dei corpi di milizie specializzate di saraceni, dominatori della Sicilia prima della
conquista normanna e poi sottomessi dalla conquista normanna. Ruggero, ora, usa i corpi di
milizie specializzate di saraceni come truppe regie per avere un corpo armato efficace esterno alle
relazioni feudali.
Come negli altri regni, anche nel regno di Sicilia questa affermazione dell’autorità regia si appoggia
e si serve della costruzione di strutture di governo e amministrazione centrale per cui a Palermo si
sviluppa una corte, un insieme di uffici amministrativi. Si tratta di un sistema amministrativo che
fa forte uso delle registrazioni scritte per annotare tutte le prestazioni che i signori feudali devono
al sovrano, tutti i tributi da enti e comunità, e il famoso catalogo dei baroni del regno e dei servizi
2
militari che ciascuno deve alla monarchia in forza della soggezione feudale. Per realizzare questo
complesso di amministrazione Ruggero si sarebbe servito di consiglieri provenienti da tutto il
mondo, e avrebbe scelto tra le varie istituzioni quelle più utili per rendere funzionante il suo regno.
La slide mostra la Cappella Palatina fatta costruire da Ruggero a Palermo.
Durante il lungo e pacifico regno di Guglielmo II le istituzioni di governo si raffinarono e
perfezionarono, l’impianto amministrativo divenne più regolare e complesso, la feudalità venne
coinvolta nell’amministrazione del regno, e si predisposero le condizioni per trasformare il
complesso di territori nati dalla conquista, in un possibile nascente regno nazionale.
Con i suoi successori questo apparato si perfeziona, soprattutto l’esazione fiscale con il tribunale
dello scacchiere, corte alla quale si dovevano presentare annualmente gli sceriffi per rendere
conto del loro operato, e versare quanto raccolto. Si perfeziona, inoltre, lo strumento di
collegamento tra l’amministrazione centrale e i funzionari periferici, ossia dei ritz, ordini scritti che
il sovrano inviava ai suoi rappresentanti per avviare cause giudiziarie, indagini, ecc… sistema di
integrazione tra la giustizia centrale e gli organi periferici del regno.
Questo sistema si perfeziona con la dinastia dei Plantageneti, che è di origine francese, e Goffredo
Plantageneto è un signore feudale francese che sposa Matilde, nipote di Guglielmo, e dalla loro
unione nasce Enrico II Plantageneto, che riuscì a mettere insieme sotto il suo dominio un’enorme
3
quantità di principati e di contee, oltre al regno di Inghilterra: Normandia, Angiò, ecc… tutta la
Francia nord occidentale.
In Inghilterra Enrico II perfeziona l’organizzazione dello stato, soprattutto potenziando
l’amministrazione della giustizia, che diventa un aspetto qualificante che legittima l’esercizio di
questi poteri sempre più forti esercitati anche con la prepotenza, e diventa garanzia dell’ordine nel
regno, dell’uniformità del regno al di là della molteplicità dei poteri signorili. Nel 1164 Enrico II con
le costituzioni di Clarendons impone il controllo regio anche sulla Chiesa: la chiesa tende fin
dall’XI secolo a distaccarsi dal potere dei laici, negando ogni relazione e inquinamento con il potere
politico dei laici, ma nel XII secolo questi regni nuovi tendono a imporre il controllo regio
sull’episcopato del regno. In Inghilterra questo originerà il famoso conflitto tra Enrico II e Thomas
Beckett, prima suo cancelliere e poi arcivescovo di Canterbury.
Il principio è quello che il potere regio vuole affermare il suo controllo sul clero e limitare la sua
autonomia.
I Re di Francia
Il modello del re di Francia è tutto diverso, un re feudale quando non dispone di queste risorse
esercita il potere in una situazione fortemente determinata da quanto successo dall’epoca
carolingia in poi. Il regno di Francia è vecchio, con strutture consolidate e poteri feudali forti. I re
di Francia nel XII secolo non riescono a mettere in piedi una presenza del re capillarmente
diffusa su tutto il territorio, ma devono accontentarsi di funzionare come re feudali, di avere un
omaggio feudale dei grandi principi della Francia, di funzionare come arbitri nelle contese feudali,
e di avere la fisionomia di protettori della chiesa del regno.
Il re di Francia è consacrato, e si lavora molto per potenziare questa fisionomia di re consacrato,
una fisionomia unica tra i principi del regno, e nasce la leggenda e la credenza del potere
taumaturgico del re di Francia, di guarire una malattia ghiandolare. Si tratta delle premesse per
una successiva ripresa di potere anche del sovrano francese che avrà luogo alla fine del XII secolo.
4
Lez. 21 – Le città e i governi cittadini
Gli argomenti:
- Lo sviluppo delle città italiane nei secoli IX – XI
- L’origine dei governi comunali
- La cultura civica nei comuni italiani
- Città e governi cittadini anche fuori d’Italia
2
rappresentanti della città e di titolari di investiture formali dell’impero, e potevano conferire
legittimità di potere.
La costituzione di queste associazioni giurate della cittadinanza, coordinate e egemonizzate da ceti
dirigenti costituiti nel periodo precedente, si ritrova anche in altre città, come a Pisa, dove la
costituzione di un gruppo di governo dei maggiorenti e del popolo cittadino si coordina intorno al
visconte, un funzionario laico.
A Genova l’accordo avviene tra tre grandi quartieri della città, i grandi nuclei dell’insediamento
cittadino, ognuno organizzato in una costituzione giurata: alla fine si riuniscono in un’unica
compagnia che, sulla base di un accordo giurato, si stabilisce per un determinato numero di anni e
elegge consoli per governare la città in accordo col vescovo.
Si afferma una situazione di costituzione di una forma strutturata di autogoverno da parte delle
cittadinanze e da parte dei ceti egemoni, un fenomeno che avviene in forme differenti sulla base
delle situazioni che già esistevano, e che diventa un fenomeno generale, che noi chiamiamo
origine dell’organizzazione del reggimento comunale.
Si tratta di una fase embrionale: il comune nell’età consolare è ancora un comune senza sistema di
istituzioni nettamente definite e organizzate, e i rapporti sono ancora fluidi e sperimentali.
Questo fenomeno di crescita dei gruppi dirigenti cittadini riguarda anche il meridione, dove tra X e
XI secolo si rafforzano i gruppi di cittadini che collaborano al governo delle autorità istituzionali,
e hanno rilevanza i giudici. In meridione c‘è anche un’aristocrazia fondiaria, ma di vocazione
militare, che collabora nelle città longobarde con i principi longobardi, mentre nelle città bizantine
c’è un’aristocrazia urbana che collabora con i funzionari bizantini, o li osteggia facendo valere gli
interessi della cittadinanza. Nella prima metà dell’XI secolo in Puglia sono frequenti le rivolte della
cittadinanza, intorno a capi identificabili o a gruppi di famiglie. Nel mezzogiorno non si arriva alla
definizione di quei patti giurati tra la cittadinanza, che non avvengono perché le autorità statali,
sia longobarde sia bizantine, sono forti, hanno una tradizione radicata e continuano a esercitare
potere di natura pubblica e non è possibile sostituirle.
Nell’Italia del nord, l’emergere in autonomia delle funzioni di governo cittadino da parte della
cittadinanza è facilitata dal fatto che l’impero, che rappresentava la fonte del diritto, è in crisi a
causa delle lotte per le investiture, e in alcuni casi la posizione per cui cercano sostegno per la loro
politica ecclesiastica fa sì che gli imperatori concedano privilegi, esenzioni, capacità limitate di
autogoverno ad alcune cittadinanze per aggregarsele e averne sostegno. Nell’Italia settentrionale
la debolezza del potere statale facilita la creazione di questi autogoverni da parte dei gruppi
cittadini.
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rappresentato nella slide contenente il dipinto di Ambrogio Lorenzetti, che raffigura una cinta di
mura e torri.
L’elemento militare di difesa, controllo e aggressione è caratteristico dell’attività politica interna
e esterna. La fisionomia istituzionale e il livello di autocoscienza e di organizzazione delle città con i
governi comunali si precisa e matura nel corso del XII secolo. Una circostanza che facilita questa
maturazione è il conflitto con Federico Barbarossa.
Federico Barbarossa quando assume i poteri e quando intende ristabilire l’autorità imperiale nel
nord Italia, non intende abolire o rendere impossibile la vita e l’esistenza dei governi comunali
delle diverse città, ma inquadrarli e sottoporli all’affermazione potente dell’autorità dell’impero.
Federico barbarossa è disponibile a consentire forme di autogoverno ai corpi cittadini e ai ceti
dirigenti, ma nella forma di concessione imperiale e con certi limiti, e con certe contropartite. I
limiti sono che i consoli devono essere nominati dall’imperatore; le contropartite sono che i
comuni, in cambio della concessione di diritti di autogoverno, devono versare alle casse imperiali
censi e tributi rilevanti, commisurati alla ricchezza dell’attività economica. Federico Barbarossa,
inoltre, si riserva di nominare funzionari che si insediano nelle città accanto ai consoli, ossia i
podestà. I comuni sono disponibili a questa imposizione, ma nello stesso tempo non lo sono: dal
punto di vista teorico non possono negarla, dal punto di vista pratico cercano degli
accomodamenti, e soprattutto c’è un gioco politico di relazioni tra comuni, e tra comuni e impero.
Resta il fatto che il peso economico della richiesta imperiale è pesante ed è per questo che i
comuni dell’area padana si coordinano per stabilire delle intese economiche, un regolamento
delle relazioni, e per difendersi collettivamente dall’esosità delle richieste imperiali. Sono queste
leghe, come la lega di Verona e la lega lombarda, che danno filo da torcere all’imperatore, e che
con la battaglia di Legnano arrivano a una vittoria.
Con la pace di Costanza del 1183, l’imperatore riconosce ai comuni il libero esercizio dei diritti di
sovranità, giustizia, fiscalità, guerra, fortificazione, come l’attribuzione permanente del governo
comunale. L’imperatore riconosce la libera elezione dei consoli, che poi lui riconferma, e il
riconoscimento delle consuetudini locali: i comuni, cioè, si possono dare leggi, gli statuti, che
regolano i rapporti di diritto civile e penale all’interno della cittadinanza. È da questo momento
che i comuni italiani guadagnano consapevolezza giuridica, e costruiscono strutture di tipo
statale, e si danno istituzioni di tipo più organizzato e regolare. Quando i comuni raggiungono
questa maturità, si determina l’espressione di una cultura comunale che da un lato si esprime nei
grandi monumenti, mura e porte, e dall’altro nella letteratura, e nella storiografia legata alla
registrazione delle vicende politiche dei comuni, e nell’epica, con una serie di componimenti
poetici in lode della città o in lode delle grandi imprese dei cittadini, anche militari.
Alla fine del XII secolo compare una nuova figura, il podestà, espressione di un nuovo sistema di
organizzazione dei poteri politici all’interno del comune, e compaiono anche i primi palazzi
comunali che si oppongono al panorama delle torri.
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ma i poteri non raggiungono mai la totale emancipazione dall’autorità sovrana regionalmente
competente.
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Lez. 22 dalla rinascita carolingia alla rinascita del XII secolo
Gli argomenti:
- Limiti della rinascita carolingia
- Il disordine post carolingio
- Il trend espansivo
- La rinascita del XII secolo
- Le fonti
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costituito da un centro molto all’avanguardia e funziona finché i funzionari dirigenti, che hanno
accompagnato i carolingi nella loro ascesa, trovano i propri interessi soddisfatti, rappresentati e
potenziati dall’apparato di istituzioni del progetto carolingio. Quando i gruppi dirigenti e la società
non si trovano più inquadrati in questo sistema di istituzioni, però, c’è uno scollamento e chi perde
è il modello, perché è fragile, imposto dall’alto.
Il mondo che si crea sul disfacimento dell’impero carolingio è disordinato. Questo disordine, però,
significa che c’è un grandioso tentativo di costruire nuovi poteri, più aderenti alla società, di
controllare il territorio in maniera meno astratta, di esercitare il controllo reale della società, anche
su gruppi piccoli, e di creare dei gruppi realmente coerenti con la dinamica, le forze e il movimento
della società. Questo disordine è di natura formale, un’anarchia dei poteri, ma ha anche in sé uno
sforzo implicito verso la costituzione di poteri più reali e aderenti alle condizioni di vita della società,
e uno spostamento di necessità economiche dei gruppi. Si tratta di un processo di ricostruzione
dell’autorità dal basso: non è un processo intenzionale, non c’è una strategia generale, ma una
spontanea ricerca di situazioni nuove e concrete in cui il potere viene esercitato su una base
materiale di potere, di coordinamento di poteri, in una situazione più realistica anche se meno
definita culturalmente. Si configura una società dinamica che rompe gli schemi e cerca situazioni
nuove, una società in espansione, non una società statica.
Il trend espansivo
Questo mondo cavalleresco, violento, aggressivo e feudale, funziona e si caratterizza perché questa
sua sperimentazione di potere avviene in un momento di crescita demografica e economica, ed è
fondamentale tenerlo a mente per capire cosa c’è di nuovo.
Anche nel VII e VIII secolo abbiamo assistito a una crisi dello stato: i regni romano-barbarici, così
come i merovingi e i visigoti, hanno subito una crisi che li ha portati alla disgregazione per un
fenomeno apparentemente analogo a quello carolingio. Si è creata un’aristocrazia che
progressivamente ha eroso il potere del re e si è appropriata delle risorse dello stato al punto da
mettere in crisi la stessa istituzione regia, determinandone la scomparsa o la sostituzione. Vi è,
tuttavia, una grandissima differenza tra il sistema di poteri concorrenti o competitivi a quello regio
di VII e VIII secolo, e quello di ricerca di ricostruzione di potere del IX e X secolo. I poteri del VII secolo
sono esercitati da grandi proprietari e signori fondiari, che concentrano la proprietà fondiaria,
sottomettono la popolazione contadina privandola della libertà, e il potere è concentrato in gruppi
ristretti con seguiti militari. Nel IX e X secolo c’è un potere diffuso a livello sociale, a livello basso,
non concentrato, e si assiste a una moltiplicazione di poteri, a una ricerca sperimentale di
formazioni di potere nuove che avviene non in un contesto di economia latifondistica, ma in un
contesto in cui la ricchezza si produce in altri modi. Il potere economico di queste nuove
3
aristocrazie in formazione si fronda sul controllo e sullo sfruttamento di produzione di ricchezza,
che la società produce in forme diverse.
Le fonti
Proprio per questa vitalità e per questo arricchimento anche spirituale della vita politica della
società europea, le fonti per ricostruire questo periodo sono tante rispetto a quelle prodotte per
l’età precedente, e di natura variata.
Le Cronache dell’Anno Mille di Rodolfo il Glabro sono uno dei documenti più significativi per
studiare il modo in cui si concepiva il racconto storico nella cultura monastica dell’XI secolo,
un’epoca in cui si avvertiva ancora difficoltà a comprendere il senso delle cose che stanno
accadendo. Un’altra fonte è l’Autobiografia di Abelardo, e lettere che si scambiarono Abelardo e
Eloisa dopo la monacazione di entrambi. Si ricordino, poi, i romanzi cortesi di Chretien de Troyes.
Una fonte interessante, infine, è l’opera della monaca visionaria Ildegarden di Bingen: esistono sue
opere tradotte in italiano, come Horto Virtutum.
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Lez. 23 - Società ed economia nell’Europa del XIII secolo
Gli argomenti:
- Espansione della società borghese
- Città e campagna nel XIII sec.
- Manifattura e organizzazione delle arti
- Consolidamento della rete commerciale
- Ansa tedesca
- Rete continentale
- Moneta
Ansa tedesca
L’area mediterranea non è l’unica dove si sviluppi quest’attività commerciale; vi è anche un’area
settentrionale in cui si forma il sistema della navigazione commerciale tedesca. L’area è quella del
Baltico, dove si sviluppa una intensa attività di mercanti tedeschi che partono dai porti della costa
settentrionale della Germania. Importante, in questo contesto, è Lubecca. I mercanti tedeschi si
dirigono verso l’isola di Gotlam, la Svezia, la costa settentrionale della Polonia, inserendosi in linee
di traffico che raccolgono il traffico della Russia e lo integrano con risorse tipiche della pesca (uno
dei prodotti è il pesce salato) e con risorse della produzione delle foreste, svedesi.
L’evoluzione della nave nel Mediterraneo ha anche risentito delle esperienze baltiche.
Lubecca è la città da cui parte movimento di espansione dei mercanti tedeschi, che mettono in
relazione le risorse del Baltico con i bisogni e la produzione della Germania interna, fino a quando
non arrivano a stabilire contatti con l’Inghilterra e con le fiandre, nella città di Bruges, che diventa
un centro internazionale di scambi commerciali in cui convergono mercanti tedeschi, inglesi,
italiani. A Bruges si sviluppa un sistema di credito a sostegno del commercio. I tedeschi avranno un
ruolo di primo piano in questo, e anche i londinesi, appoggiati dal re. Oltre al pesce essiccato, anche
pelli e pellicce che vengono dalla Russia.
Rete continentale
Nel corso del Duecento queste intense circolazioni avvengono non solo lungo il mare; anche
attraverso il continente si stabiliscono itinerari che collegano l’Italia con la Francia e con la Fiandra,
e collegano l’area tedesca con zone di nuova colonizzazione. La colonizzazione viene promossa dai
mercanti tedeschi, e dai coloni che cercano insediamento nelle regioni slave in Boemia e Polonia, e
che creano insediamenti cittadini con un particolare diritto, mantenendo una forte identità tedesca
separata da quella delle popolazioni slave. Essi hanno un’attività manifatturiera e agricola, e sono
collegati a movimenti di tipo commerciale. Nel XII e nella prima metà del XIII secolo le linee interne
danno luogo a punti di incontro dei marcanti in cui la produzione e l’attività mercantile si incontra
con la produzione e il traffico dall’Italia, soprattutto in Champagne, dove hanno successo le fiere, i
punti del commercio internazionale all’interno del territorio continentale. Presso queste fiere ci
sono zecche che emettono la moneta necessaria alle transazioni, ma si sviluppa anche il credito,
perché non tutte le transazioni vengono regolate in moneta sul posto. Le fiere di Champagne
perdono di importanza alla seconda metà del XIII secolo, mentre acquistano importanza le fiere
permanenti nelle città che hanno anche rilevanza politica: cresce così l’importanza di Parigi, che
diventa il grande mercato della Francia settentrionale, mentre Londra diventa un mercato
permanente.
Moneta
Lo slancio commerciale trova il suo obbligatorio complemento nel rinnovamento del suo principale
complemento, la moneta, che ne corso del Duecento in Italia non era molto forte. Si conia una
buona moneta d’argento, più pesante e con più valore. Il sintomo di una nuova economia
fortemente monetizzata è il ritorno alla coniazione della moneta d’oro, che non era stata più
coniata in occidente dalla crisi del VII secolo, con la crisi della moneta aurea romana. Si coniano il
fiorino e il genovino, e pochi anni più tardi il ducato, la moneta d’oro veneziana. Il ritorno alla
moneta pesante è il sintomo migliore dello sviluppo del commercio, della monetizzazione crescente
del sistema economico, e del bisogno di fare assegnazione a una moneta forte.
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Lezione 24 - La cultura della borghesia cittadina
Gli argomenti:
- I governi cittadini in Italia
- I governi cittadini negli altri paesi
- La religiosità
- L’istituzione
- La letteratura borghese
La religiosità
All’interno delle cittadinanze fin dal XII secolo si sono determinati gruppi, persone, istanze che
tendono a una pratica della religiosità nel mondo cittadino più intensa e consapevole. Essi che non
trovano soddisfazione nell’adesione e nella sottomissione alle pratiche liturgiche della chiesa
ufficiale, che assume caratteri mondani, di potenza di gestione di una autorità forte, di capacità di
controllo formale della società, e perde in qualificazione morale, prestigio religioso: questo
fenomeno dà luogo alla ricerca di forme di vita più consone. Viene ricercato un modello vita
evangelica, seguita dagli Apostoli e da Cristo stesso. Alla fine del XII secolo si definiscono gruppi
che vivono una vita all’interno del mondo, lavorando, ma in condizione di povertà e con un
comportamento austero o ascetico, e praticano una predicazione laica, volta a stimolare una
pratica di vita consona agli ideali della semplicità. Questi ideali corrispondono a un bisogno diffuso
nella società: Valdesi (Lione), Umiliati (Lombardia), e cercano coordinamento e attenzione da parte
delle autorità ecclesiastiche, che però sono sospettose verso la volontà dei laici di predicare. Spesso
questi gruppi subiscono una condanna formale delle loro esperienze da parte della chiesa, e coloro
che praticano queste esperienza sono condannati e vengono perseguitati come eretici. Si diffonde,
una forma più marcata e più organizzata di religiosità popolare alternativa a quella ufficiale, che è il
catarismo, che si innesta su un bisogno di vita religiosa profonda, semplice e austera, nella vita nel
mondo: su questo si innestano anche suggestioni di natura teologica che dividono il mondo in due
regni, sia quello terreno sia quello divino, in due principi uno buono e uno cattivo, un conflitto
eterno nel quale gli uomini devono fare le loro scelte, e solo con l’adesione alla rinuncia, all’austerità,
possono favorire nella lotta il principio del bene contro quello del male. Questa pratica e teologia si
diffonde moltissimo nella Francia meridionale e in Italia, dove si somma ai movimenti comunali,
sicché spesso queste esigenze di religiosità diverse si uniscono alle fazioni. Il catarismo gode della
protezione delle piccole aristocrazie, e in Italia si associa al ghibellinismo. Il catarismo fonda una
3
propria chiesa, con propri vescovi, e questo è un problema per la chiesa ufficiale, che interviene
pesantemente con una serie di iniziative che culminano nella guerra contro i catari e nella loro
persecuzione.
Si tratta di istanze che hanno un radicamento nelle società borghese, e sono riflesse da una
straordinaria esperienza, che si costituisce intorno alla persona di San Francesco di Assisi (1182 –
1226): l’ispirazione è quella della penitenza fatta dai laici, della volontà di imitare la vita apostolica
e di Cristo nella semplicità, nell’umiltà, nell’obbedienza, nel rifiuto della ricchezza. Si ricercano
forme di lavoro umile in mancanza del quale anche elemosina viene accettata. Anche Francesco
stimola la predicazione laica, che è fondata sull’esempio, sull’esperienza di autorità della vita, che
viene portata in giro, sulla predicazione itinerante come modello di vita cristiana per formare il
fondamento e la legittimazione di una predicazione che invita le popolazioni cittadine e borghesi al
pentimento e alla penitenza. Francesco riscuote un successo straordinario: predica in totale
sottomissione al potere della chiesa, non si pone come esperienza alternativa, ma il rapporto con
la chiesa ufficiale è travagliato, e presto la chiesa si rende conto della forza di penetrazione, della
capacità di contrasto che ha questo movimento. La chiesa si dimostra interessata ad assorbirlo e
normalizzarlo, e costituirlo come un organo della chiesa e forte strumento di predicazione
conversione e legittimazione della chiesa stessa.
Lo stesso si può dire per l’altro grande movimento, dei domenicani, che ha la sua fondazione con
l’opera di San Domenico, chierico con una forte preparazione teologica, che inizia la predicazione
itinerante fondata su austerità e povertà. Anche Domenico ha rapporti con la chiesa ufficiale e
riceve la conferma di una regola e la legittimazione all’esercizio della predicazione. I francescani
hanno un radicamento popolare e si rivolgono alla pietà, i domenicani hanno una grossa
competenza teologica e dottrinale e cercano collegamenti con le istituzioni comunali, e cercano di
fare inserire norme per la persecuzione degli eretici. Promuovono, inoltre, movimenti di
pacificazione tra i gruppi e le fazioni, e accedono all’insegnamento universitario e all’inquisizione.
Attraverso la predicazione di questi due ordini le esigenze religiose della società comunale vengono
appagate. Nel Duecento questa esigenza si esprime nella costituzione di una confraternita della
penitenza e di mutua assistenza e solidarietà tra le persone che trovano in un culto particolare il
punto di aggregazione.
L’istruzione
Gli organismi comunali hanno delle scuole, ma di tipo elementare, in cui ai ragazzi viene insegnato
a leggere e scrivere e fare di conto, mentre l’istruzione vera e propria viene praticata nelle botteghe
professionali. Gli aspiranti alla mercatura fanno la loro pratica e apprendono nelle imprese dei
mercanti, e gli aspiranti alla pratica notarile ricevono una preparazione tecnica professionale nelle
botteghe dei notai. Nel Duecento attraverso questa forma di apprendimento professionale si
sviluppano tecniche importanti di finanza, di contabilità, partita doppia.
La letteratura borghese
L’università nel corso del Duecento non è diffusa in tutte le città, ma è comunque il punto in cui il
ceto borghese omogeneamente consegue la formazione: indipendentemente dal sistema
scolastico che nel corso del Duecento la cultura borghese produce una sua letteratura. Nel Duecento
siamo alle origini della letteratura italiana in volgare, che nasce come letteratura della borghesia
soprattutto nell’Italia centrale e meridionale. Una letteratura di natura religiosa, una poetica di
carattere più elevato e raffinato, che sviluppa esperienze provenzali, e una letteratura di natura
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tecnico professionale, retorica, che imposta i criteri della comunicazione politica e diplomatica, della
espressione pubblica da parte dei titolari di autorità e poteri all’interno dei comuni.
Si sviluppa un interesse per una letteratura nuova, consona ai gusti e alle esigenze del nuovo ceto
borghese.
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Lez. 25 – Il consolidamento dei regni nel XIII secolo
Gli argomenti:
- le istituzioni di governo nei regni europei: Sicilia, Francia, Inghilterra
- i poteri del re
- re e corpo del regno
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come vertice della piramide feudale, cui tutti i poteri del regno sono richiamati. Con questo si ottiene
una struttura politica compatta dal punto di vista giuridico, e poi una struttura che vede i signori
feudali come un corpo unitario sotto il re. Luigi IX introduce un giuramento che i vassalli dovevano
al re in quanto signore dei signori. L’altro grande aspetto innovativo è la redazione e la
promulgazione di leggi valide per tutto il regno: i signori feudali avevano la possibilità di legiferare
in materia di diritto consuetudinario, ma ora il sovrano emana delle ordinanze che hanno un valore
superiore alle disposizioni dei diversi signori, e un valore esteso al regno intero, superiore sia alle
tradizioni legali delle diverse regioni e feudi, sia alle disposizioni dei principi feudali. La giustizia
diventa quasi l’esponente dell’autorità regia nei confronti dei sudditi, il fondamento del potere. Luigi
IX stesso dice giustizia, e dirime direttamente le cause. Il sovrano si presenta come garante della
legalità e della giustizia in tutto il regno, grazie all’apparato di istituzioni di governo. Luigi IX, inoltre,
è stato canonizzato, è un santo della chiesa cattolica perché è una persona profondamente religiosa
e ispirata ai principi di coscienza cristiana. In questi principi di coscienza cristiana ha il fondamento
l’attenzione a forme caritative del governo, ispirate a un senso di sollecitudine per i sudditi. Nei
domini diretti della monarchia, in più, Luigi IX abolisce la servitù personale. Nell’atteggiamento
personale di Luigi IX risiede il fondamento delle due imprese più famose, ossia le due crociate che
egli svolse. Una di queste due crociate si svolge a metà del suo regno, nel 1248, ed è diretta in Egitto
nella speranza di fiaccare il centro del potere islamico, con risultati devastanti. L’idea del re religioso,
giusto, benefico e crociato ebbe un ruolo fondamentale nel consolidare il prestigio e la devozione
delle popolazioni e dei sovrani nei confronti di questo personaggio. Nel 1270 ha luogo un’altra
crociata, diretta in Tunisia, dove Luigi IX stesso muore. La monarchia francese si consolida tantissimo
e alla fine del secolo riesce ad avere successi straordinari nell’organizzazione del potere monastico,
nel conflitto con la chiesa e nel conflitto contro l’Inghilterra.
L’Inghilterra: il potere dei sovrani provenienti dalla famiglia Plantageneta, che si era insediata con
Enrico II, prosegue con i figli di Enrico II, Riccardo Cuordileone e Giovanni Senzaterra. Si tratta di un
impianto autoritario, un sistema di governo fiscalmente molto duro: questi sovrani sviluppano i
diritti feudali che hanno, e che consentivano delle contribuzioni al re, in quanto signore feudale dei
suoi vassalli. I sovrani plantageneti insistono parecchio nello sfruttare questi diritti, e impongono
tasse anche ai liberi del regno: questo provoca una situazione di scontento tra i baroni e i giovani
ecclesiastici. Quando Giovanni Senzaterra viene sconfitto nella battaglia di Bouvines, e tutte le spese
di guerra si rivelano inutili, e si perdono molti domini in Francia, i baroni del regno impongono ai
sovrani la Magna Charta. La Magna Charta è un importante documento che sancisce il diritto su base
feudale dei vassalli del re di essere consultati per discutere l’imposizione delle tasse sul ceto feudale.
I vassalli del re impongono al sovrano la costituzione di un organo permanente di consultazione, la
Magna Curia, nei quali intervengono a discutere ciò che li riguarda direttamente, dal punto di vista
giurisdizionale e dal punto di vista fiscale. Il corpo e l’assemblea dei vassalli del re vuole essere
presente. Su questa struttura si innesta l’evoluzione dei rapporti tra il sovrano e i ceti feudali del
regno: la Magna Curia del regno estende progressivamente le sue competenze arrivando a occuparsi
non solo di questioni di diritto feudale, ma anche della rappresentanza degli interessi generali del
regno presso il re. La Magna Curia, tuttavia, non è un organo limitativo del potere del re, perchè non
impedisce l’esercizio dell’autorità regia e il rafforzamento delle istituzioni centrali di governo (in
questo periodo gli sceriffi diventano funzionari nominati dal re, da semplici appaltatori delle tasse
sul regno). Non c’è antagonismo tra l’assemblea dei baroni e il potere regio, bensì una dialettica che
intende fare partecipare il corpo del regno all’esercizio della sovranità regia.
Qualcosa di simile avviene anche in Castiglia: la sovranità regia si sviluppa nel corso del XIII secolo,
si crea un vastissimo patrimonio regio attraverso la riconquista, e si sviluppa una tipica istanza di
discussione, una dialettica tra i ceti giuridicamente privilegiati del regno (per esempio il ceto
3
ecclesiastico e la nobiltà) e il re stesso. Questa dialettica prende forma nelle cortes, le assemblee in
cui i rappresentanti degli ordini collaborano con il re per discutere la ripartizione delle imposte che
il re assegna al regno.
I poteri del re
Si assiste a una crescita del potere effettivo del re, a una estensione del dominio diretto, a
un’estensione delle imposte, al controllo feudale sulla nobiltà, che viene ricondotta dentro l’unità
della giurisdizione regia, l’amministrazione della giustizia regia. Contemporaneamente si elabora
una dottrina del significato del potere regio: il re viene presentato come custode e garante del bene
comune, e non può dipendere da nessuno nell’ordine feudale, e tutte le giurisdizioni del regno
dipendono dalla sua sovranità. Il potere pubblico viene gestito dal re, ma si tratta di un potere
pubblico gestito dal regno. C’è una distinzione tra la Corona, che è eterna, e il re che è titolare dei
poteri della corona, ma è pro tempore, e muore mentre la corona continua a esistere
indipendentemente dalla persona.
Si sviluppano, nello stesso momento, discussioni sui fondamenti e sui limiti dei poteri del re, che
hanno come funzione fondamentale di emanare la legge e custodirla. Il fatto che il re emani la legge,
tuttavia, non significa che sia superiore alla legge. Si discute molto se il re sia sopra o sotto la legge,
se debba osservarla o ne sia esente: la linea è che il re è tenuto a osservare la legge, oltre ai principi
di giustizia naturale. Mentre si sviluppa l’idea che l’autorità del sovrano nel regno è totale, e che il
re non ha superiori, contemporaneamente si afferma l’altro principio che ciò che riguarda tutti deve
essere approvato da tutti. Quest’ultimo è un principio dell’organizzazione istituzionale che ha la sua
espressione negli organi assembleari, nell’assemblea dei baroni in Inghilterra e nelle cortes.
A partire dal 1268 partecipano all’assemblea anche i rappresentanti delle città del regno: questa
strutturazione dei poteri del regno è anche alla base della genesi del sentimento nazionale, e prima
del XIII secolo non corrisponde con le strutture politiche dei regni.
A partire dal XIII secolo nasce un senso di appartenenza morale dei sudditi al complesso di istituzioni
che fa capo al re. Nasce, inoltre, il concetto di morire per la patria, e un concetto di personificazione
delle terre del re: se ne ha un esempio nella Benedetta Signora Spagna, Dolce Francia.
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Lezione 26 – La Chiesa nel XIII secolo
Gli argomenti:
- Consolidamento della Chiesa come apparato istituzionale: l’autorità del papa
- Autorità dei vescovi
- Controllo ecclesiastico sulla società
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Lezione 27 - Le crisi dei XIV secolo: società ed economia
Gli argomenti:
- L’arresto della crescita
- La crisi demografica
- Le disfunzioni del sistema economico
- Il peso della politica sull’economia
- L’instabilità sociale
La crisi demografica
La crisi demografica è frutto delle carestie alimentari e della grande epidemia di peste che si
diffonde in tutta Europa nel 1348. L’immagine nella slide rappresenta un tema che si diffonde in
questo periodo, quello dei tre vivi che incontrano i tre morti, legato al monito della precarietà
della vita e dell’incombere della morte. Un altro tema è il trionfo della morte, che incombe sul
mondo dei vivi e semina terrore. Un’immagine significativa è il monumento funebre di Guille
Lefrancois in cui il morto è rappresentato come un cadavere, la decomposizione della carne:
questa iconografica rappresenta l’atteggiamento cambiato che dà il senso dello spavento che le
epidemie di peste seminarono in Europa.
La grande pestilenza che cominciò nel 1348 ebbe riflessi catastrofici sulla popolazione europea:
con proporzioni variabili dalle regioni, venne portata via da ¼ a 1/3 della popolazione. Vi sono
anche casi singolari in cui la peste non attaccò delle comunità, come quella urbana di Milano.
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La peste ha ruolo gravissimo nello spopolare l’Europa, e questo si aggiunge alla difficoltà della
situazione produttiva e ambientale.
La peste del 1348 non fu l’unica epidemia: dopo che fu superata, in tutta la seconda metà del 1300
e nella prima metà del 1400 ci sono successive ricadute, delle nuove epidemie meno gravi, ma tali
da tenere la popolazione europea sotto stress, impedendo che avvenisse un recupero
demografico. In alcuni casi ci vogliono cento anni prima che la popolazione possa ricominciare a
crescere, e questo ha ripercussioni significative sulla situazione economica.
L’instabilità sociale
In questa situazione il panorama dei rapporti sociali si deteriora e vengono meno i tradizionali ruoli
degli ordini che governavano la società: la nobiltà fallisce il suo compito fondamentale, ossia
difendere la società. In queste guerre dei re la nobiltà tradizionale, cavalleresca a base fondiaria,
fallisce della conduzione della guerra, mentre diventano preminenti le fanterie, formazioni militari
a leva non aristocratica. Tra le fanterie a base popolare, i gruppi di arcieri diventano un’arma
strategica che ha la meglio sulla cavalleria corazzata feudale. Ecco le ripercussioni evidenti
nell’immagine in slide: la rivolta di contadini ai signori feudali, che non li sanno più garantire dal
punto di vista militare. Anche nelle città si verificano grandi rivolte e tumulti, sia a Parigi, sia nelle
Fiandre, sia nell’Italia centrale, per esempio a Firenze: si verificano rivolte dei ceti urbani contro il
patriziato che controllava gli strumenti centrali della produzione e della finanza, il governo delle
città e i rapporti economici e i salari. I ceti più poveri e meno protetti si rivoltano dando luogo a
grandi instabilità.
Si delinea così un quadro complesso e di pericolo sociale e economico.
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Lez. 28 - Le crisi del XIV secolo: le istituzioni religiose e politiche
Gli argomenti:
- Il papato e la chiesa
- L’Impero
- I Regni
- L’espansione dei turchi
Il papato e la chiesa
Nel corso del XIII secolo il papato ha affermato la sua pretesa dottrinale e giuridica di egemonia
sulla cristianità intera e sul mondo. Dal punto di vista politico questo fenomeno ha delle
ripercussioni limitate, perché non c’è stato un reale, diffuso e accettato dominio del papato. In
alcune situazioni, anzi, si è verificato un conflitto dei sovrani nei confronti della rivendicazione
della capacità di ingerenza del papato sulla politica dei regni. Filippo IV il Bello ha uno scontro con
Bonifacio VIII, uno dei più grandi rappresentanti della dottrina teocratica del papato: Bonifacio VIII
esce sconfitto dallo scontro con il re di Francia. L’episodio di Anagni vede il papa alla mercé di una
banda di milizie francesi: è una situazione scandalosa, che il capo della cristianità nonché il vicario
di Cristo sia rimasto prigioniero! Queste vicende complicate si inseriscono una situazione di Roma
incerta e torbida. Dopo la morte del successore di Bonifacio VIII, Benedetto XI, viene eletto papa
dai cardinali un vescovo francese, che prende nome di Clemente V.
Essendo Clemente V in Francia nel momento dell’elezione, ritarda l’arrivo a Roma e si sposta nella
Francia meridionale, e alloggia ad Avignone, una città della Francia meridionale che era territorio
papale, rimandando il momento di arrivo a Roma per consentire alla situazione locale di chiarirsi e
avere la previsione di un soggiorno romano abbastanza tranquillo. Ciò che avviene
transitoriamente, tuttavia, si sistematizza e per settant’anni i papi non vengono a Roma,
consolidando la presenza in Avignone. Questa situazione è alquanto singolare, perché il papa è
anche il vescovo di Roma, e sebbene la dottrina teocratica ne abbia ampliato la fisionomia
facendone il vicario di Cristo, è anche il successore di Pietro, cosa che legittimava il potere del papa
perché legato alla presenza degli apostoli Pietro e Paolo. Che il papa lasci la sede caratteristica
crea una situazione anomala, giustificata dal punto di vista teorico in forza di questa nuova
fisionomia, per cui si dice che dove c’è il papa, ivi è Roma. Resta il fatto che la dottrina teocratica e
giuridica non convince tutti i devoti e gli spiriti pensosi della cristianità.
Nei settant’anni in cui i papi si sono trattenuti ad Avignone la fisionomia del governo della chiesa
universale è mutata: si assiste a un grande sviluppo dell’attività giurisdizionale, finanziaria e
politica. Il periodo avignonese vede lo sviluppo di una grande attività e l’organizzazione e
l’amministrazione della chiesa universale, che ora è centrata nella curia papale ad Avignone. Nel
periodo avignonese vengono anche sviluppate le funzioni legate agli interessi e alla finanza
pontificia, che si arricchisce enormemente. Il papato controlla tutte le chiese della cristianità, alle
quali impone tassazioni e interventi del papa. La capacità del papa di nominare direttamente i
vescovi e i capi dei monasteri si accentua, così come si accentuano i prelievi che la curia papale fa
sulle rendite ordinarie. Il papato si mondanizza, i costumi della curia di Avignone sono quelli di un
grande principato terreno, non quelli del centro della guida d’anime della cristianità: questo
scollamento crea dissenso e inquietudine all’interno della cristianità. La chiesa si distacca dagli
ideali di gestione spirituale intesa all’attività religiosa.
La partenza dei papi venne avvertita dai romani come motivo di povertà e incertezza, anche se si
erano spesso trovati in conflitto con l’autorità papale. Roma perde una fonte di reddito
straordinaria e rimane abbandonata al dominio dei ceti baronali, sempre in conflitto tra di loro. Ad
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Avignone lo splendore della corte pontificia, e il livello principesco della vita che vi si conduceva, è
testimoniata dalla costruzione di un palazzo per i papi, in tempi successivi alla metà del ‘400.
Si determinano prese di posizione preoccupate dal punto di vista religioso e spirituale: anche
Dante si scaglia contro il prevalere degli interessi mondani di Avignone, e poi Francesco Petrarca,
che deplora lo scandalo della vita che si conduceva alla corte papale di Avignone. Si levano voci da
più parti di Europa che invitano i papi a tornare a Roma per riorganizzare la chiesa e per
ripristinare il primato degli aspetti religiosi. Si levano anche voci di contestazione
dell’organizzazione della chiesa e del potere papale: uno dei teorici più significativi di questa
rimessa in discussione è Marsilio da Padova, un pensatore politico che unisce la dottrina politica a
una riconsiderazione del ruolo della Chiesa dentro la società umana. Marsilio da Padova dice che la
chiesa è fondata non dalla gerarchia dei preti, ma dalla università dei fedeli, ossia la collettività dei
fedeli, all’interno della quale i chierici hanno una funzione di predicazione ma non hanno
giurisdizione, così come non ha giurisdizione il papa sulle strutture organizzative del mondo
politico, e guidano su un piano terreno la comunità dei fedeli cristiani. Marsilio da Padova teorizza
che in questa organizzazione basata sulla concezione di una chiesa corrispondente alla collettività
dei fedeli, la massima autorità non sta nel papa ma nel concilio, ossia nella rappresentanza di tutta
la comunità dei fedeli che, solo nel suo essere una totalità, ha fondamento della capacità di
decidere e governare anche sul piano ecclesiastico.
Questa dottrina viene condannata e non si diffonde immediatamente, anche perché Marsilio si
lega a una situazione politica debole, ma matura e troverà nella seconda metà del Trecento una
nuova espressione nel pensiero di Giovanni Wyclif, professore di università inglese, formazione
dottrinale e teologica. Giovanni Wyclif nega alla chiesa gerarchica la capacità di governare il
popolo cristiano: la chiesa ha una funzione di predicazione e una funzione sacramentale, ma i
singoli ecclesiastici devono essere soggetti alle autorità laiche che governano i regni. La chiesa
deve essere povera, i chierici non devono avere risorse materiali legate all’apparato ecclesiastico.
Giovanni Wyclif rivendica la capacità di tutti fedeli di accedere direttamente al testo sacro della
rivelazione, la Bibbia, unico fondamento per il sostegno dottrinale della fede cristiana al di là
dell’apparato dell’insegnamento e della formazione ecclesiastica. Questo approccio è il frutto della
profonda modifica delle basi culturali, stimolata dalla polemica nei confronti della chiesa
avignonese e dei suoi aspetti mondani e di governo terreno. Si tratta di un elemento di crisi perché
la chiesa istituzionale non è più punto di riferimento per le coscienze, ma un elemento di scandalo.
Nel quadro di trasformazione, incertezza e difficoltà che caratterizza questa epoca, il venire meno
del punto di riferimento fondamentale che era stata la chiesa, contribuisce allo smarrimento delle
coscienze.
L’Impero
L’istituzione imperiale non ha mai avuto questo valore di reale riferimento universale che la chiesa
aveva conquistato dalla riforma gregoriana: è una istituzione ambigua, aspira a essere
l’organizzazione politica universale di tutta la cristianità, ma contemporaneamente i suoi poteri
concreti vanno sempre di più restringendosi.
L’impero alla fine diventa un regno di Germania e Italia, fino al governo imperiale di Federico II,
che è concretamente sovrano di Germania e Italia. Ma già lui sfugge alla volontà di comandare
tutti i popoli della cristianità. L’impero non riesce a diventare il fondamento di uno stato
monarchico di tipo nazionale come quelli che si andavano costituendo in Francia, Inghilterra,
Castiglia, Aragona, Portogallo, e nel XIV secolo nei territori slavi. L’impero non si trasforma in uno
stato monarchico con base omogenea, e dopo la morte di Federico II viene meno la stessa
istituzione imperiale perché non si crea un successore diretto a Federico II. La stessa base tedesca
e italiana dell’impero non ha un’unità politica, ma è frazionata in diversi potentati: in Germania si
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creano potentati di natura feudale o città libere, in Italia si creano i comuni o gli stati regionali.
Questo sgretolamento del territorio su cui si estende l’autorità dell’imperatore fa sì che non sia
possibile prevedere la costruzione di uno stato aggregato e unitario, e fa sì che gli elettori non
nominino gli imperatori o si orientino su candidati in lotta tra loro, disgregando quindi il prestigio
dell’istituzione imperiale.
Nel XIV secolo vengono nuovamente eletti imperatori, ma questi non hanno un’attività di governo
reale in Germania, e il loro interesse storico consiste nel fatto che intorno a loro si aggregarono dei
teorici che cercarono di ridare significato all’istituzione imperiale. L’istituzione imperiale
continuava a esistere solo come simbolo di una tradizione che non veniva abbandonata, ma non
c’era una capacità concreta di iniziativa politica. Questi imperatori sono Enrico VII, e poi Ludovico il
Bavaro.
Intorno a Enrico VII, principe di Lussemburgo con una modestissima base di potere famigliare, si
concentrarono le speranze di alcuni ideologi che davanti alla difficoltà di intravedere un ordine nel
mondo politico europeo e in particolare italiano, cercarono nell’istituzione imperiale una speranza
di riorganizzazione dell’assetto politico: uno di questi ideologi è Dante.
Dante tentò di proporre la realizzazione di una nuova idea dei valori politici che doveva governare
la cristianità. L’assetto di governo della cristianità e, in generale, dell’umanità era un fine in sé, un
fine connaturato con l’uomo, e l’impero doveva assicurare la realizzazione di questo fine naturale
dell’uomo, che riunito in un’organizzazione politica tende a raggiungere la felicità terrena, che non
esclude la felicità celeste ma comunque è un fine indipendente. L’impero era la ricostruzione di
una società umana autonoma, governata dall’imperatore, con fini propri che si realizzavano in
questo mondo, ed era la premessa per i fedeli per realizzare anche i fini superiori del mondo
religioso, indipendentemente dall’apparato della chiesa e dal potere temporale della chiesa. La
chiesa deve essere un’istituzione di predicazione, di virtù e di ammaestramento religioso. Questo
ideale fallì clamorosamente perché le forze di questo imperatore erano minime: Enrico VII tentò
una spedizione in Italia per portare ordine nella penisola, ma fallì e vi morì nel 1313, proprio nel
corso della spedizione.
Intorno a Ludovico il Bavaro, che tiene l’istituzione imperiale tra il 1314 e il 1346, si coalizza un
altro tipo di opposizione intellettuale, soprattutto al dominio dei papi. La dottrina di Marsilio da
Padova considera l’impero come il governo politico di una università dei cittadini, la collettività
degli uomini che hanno bisogno di un’organizzazione politica e istituzionale, spontanea e
connaturata al genere umano. Anche dal punto di vista della dottrina politica Marsilio da Padova
ritiene che il fondamento della sovranità stia nella collettività dei cittadini, non nelle ragioni del
sovrano: sono i cittadini che delegano all’imperatore l’esercizio della sovranità, che risiede nel
popolo. Nella dimensione religiosa dell’umanità, la sovranità religiosa e dottrinale risiede nel
concilio e non nei vertici della gerarchia. Si tratta di concezioni politiche originali, ci si trova quasi
alla definizione di un principio di sovranità popolare. Queste teorie d’avanguardia non trovano la
possibilità di realizzarsi perché i sovrani sono deboli. Ludovico il Bavaro è in conflitto con il papa
del tempo, ed è un imperatore scomunicato che viene incoronato a Roma non dalla chiesa ma dai
rappresentanti del popolo romano. Si verificano situazioni prive di rilevanza istituzionale, indice
della difficoltà dell’epoca, perché questi tentativi di prevedere una migliore organizzazione
dell’umanità significano che i rapporti esistenti sono in crisi e non si trova un principio di
riorganizzazione della società. La società, infatti, va sfaldandosi in conflitti e situazioni morali
insoddisfacenti.
La situazione dell’impero nel corso del XIII secolo dal punto di vista istituzionale si assesta grazie
all’imperatore Carlo IV re di Boemia, che razionalizza il sistema di elezione dell’imperatore e il
rapporto tra questo e l’intervento dell’autorità ecclesiastica, che fino a quel momento era stato
indispensabile. Con una bolla d’oro, un documento solenne, nel 1356 viene stabilito da Carlo IV
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che chi viene eletto re in Germania e incoronato a Aquisgrana, automaticamente conquista la
dignità imperiale. Si stabilisce anche chi sono gli elettori: gli elettori del re di Germania e
imperatore sono sette, tre ecclesiastici e quattro laici, e costituiscono il collegio elettorale che
risolve il problema della base elettorale. Si tratta in parte di una rinuncia alla pretesa di
universalità del potere imperiale, però anche di un adattamento e di una presa di coscienza del
fatto che questo principio non aveva più il fondamento e la possibilità di essere riconosciuto
perché quelle speranze formulate da ideologi e pensatori, in realtà non potevano realizzarsi in quel
contesto politico. Si trattò, quindi, di prenderne atto e di limitare la tradizione imperiale a un
coordinamento di prestigio sulle forze presenti in Germania, e in parte rinunciando a una politica
attiva in Italia.
I Regni
Anche i regni nel Trecento vivono un prolungato momento di debolezza, in cui non riescono a
risolvere le funzioni per cui si erano costruiti nel corso del secolo precedente. I due grandi regni
della Francia e Inghilterra si scontrano in una serie di vicende militari, guerre e ostilità, che inizia
agli inizi del secolo e si protrae fino alla metà del Quattrocento.
Il momento che storicamente definisce meglio questo lungo conflitto tra Francia e Inghilterra è la
guerra dei Cent’anni, che nasce come guerra dinastica con un conflitto di rivendicazioni sulla
corona di Francia, e viene combattuta sul territorio francese a più riprese con il predominio degli
inglesi in territorio francese. Sembra che la monarchia di Francia, così forte e evoluta nel
Duecento, non riesca a fare fronte a un governo unitario e strutturale del regno. A più riprese i re
di Inghilterra si vedono riconosciuto diritto a prendere la corona di Francia, mentre in Francia i
nobili di dividono, e la famiglia dei duchi di Borgogna si separa dai destini del regno di Francia e si
allea all’Inghilterra. Il principio nazionale non è avvertito né dai re né dalle aristocrazie, dove
prevale interesse dinastico.
Durante le vicende della guerra dei Cent’anni, i sentimenti nazionali si radicano a livello del
popolo, mentre a livello alto non vengono riflessi. Anche questi conflitti determinano insicurezza
politica, incertezza sull’organizzazione dei regni, e si attua una soluzione interlocutoria (=non
definitiva, ancora in trattativa). Solo col tempo si potranno ricostituire le strutture di governo degli
stati.
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Lez. 29 - Verso un nuovo sistema
Gli argomenti:
- Ripresa dell’economia
- Riorganizzazione dei regni
- Chiesa e Stati
- Società del XV secolo
- Caso italiano
Ripresa dell’economia
Dopo tanti dissesti e difficoltà, dopo la crisi e dopo l’incapacità delle strutture di fronteggiare e
superare le difficoltà congiunturali, a partire dalla seconda metà del XV secolo la situazione va
lentamente migliorando. Si assiste al superamento di tutte le situazioni diffuse che, nel loro
insieme, definivano un quadro di crisi europea. Abbiamo indizi di una ripresa della consistenza
demografica della popolazione europea, della rimessa a coltura di terre abbandonate, della
crescita della popolazione in determinate aree. Non sappiamo la causa di questa ripresa
demografica, e se ci siano stati spostamenti di popolazioni: anche l’organizzazione economica
comincia a ristrutturarsi e a presentare occasioni che facciano valere la pena spostamenti
consistenti di popolazione. Vi è una riorganizzazione dell’attività e della produzione agraria: si
assiste al ritorno a una coltura dei campi, e nella seconda metà del ‘400 si sviluppa in Europa una
produzione più soddisfacente e meglio organizzata. Viene messa in atto una migliore
organizzazione dell’attività agraria, e si determina anche un diverso rapporto tra proprietari delle
terre e i contadini: vi sono nuovi sistemi di conduzione, si sviluppa la libertà contadina e vengono
meno sistemi di servitù e dipendenza agraria. Si sviluppa il contratto di mezzadria in cui lavoratore
e il proprietario concorrono nella messa a frutto della terra con un rapporto di cessione in fitto
della terra e con la collaborazione nel miglioramento dell’attrezzatura agraria, acquisto delle
sementi, disponibilità degli animali per la coltivazione, a fronte della ripartizione del prodotto. Si
coinvolgono i proprietari delle terre nella prospettiva di migliorare il sistema agrario. Si
diversificano le colture, mentre prima erano realizzate su base locale e affidate al mercato solo per
le eccedenze, e un grande commercio esisteva a intermittenza, e solo per i cereali: le colture ortive
successivamente si diversificano, e si razionalizza il rapporto tra le diverse colture con un occhio
alla possibilità del mercato regionale e all’integrazione tra i mercati regionali.
Si mette in atto la costruzione di spazi economici integrati che superano la dimensione locale, e
che creano la possibilità di una organizzazione imprenditoriale della produzione agraria e
industriale. Vi è la possibilità di una previsione del mercato che non era connaturata con
l’organizzazione economica e produttiva dei secoli precedenti. Anche la produzione tessile, che
prima era fondata soprattutto sulla produzione di lana, si diversifica: in questa fase assume
importanza la produzione di tessuti di seta, che prima non erano organizzati. Si incrementano la
produzione e la commercializzazione di tessuti di seta, e questo avviene in molti centri, non solo in
Italia. Si tratta di una produzione di lusso, oppure di una produzione economica, come quella dei
fustagni, che mescolano lana e cotone, e le tele, facilmente smerciabili e per un mercato più vasto.
Si assiste all’articolazione della produzione, e si crea una varietà di occasioni che danno impulso a
un tessuto produttivo più diffuso e meno concentrato.
Si creano le premesse per una riorganizzazione economica diffusa, meno episodica e meno
soggetta alle crisi congiunturali. Poi vi sono anche nuove attività, che hanno un ruolo nel creare
lavoro e nel riorganizzare il tessuto sociale delle varie regioni d’Europa: una di queste è l’edilizia,
1
importante in particolare per Firenze, ma per tutte le città italiane che rinnovano il loro volto con
l’affermazione di corti cittadine.
Si afferma l’utilizzo delle rendite nuove che vengono dalla diversa gestione della proprietà agraria
e dai vantaggi che vengono dalla partecipazione al governo accanto ai signori: questi fondi si
utilizzano anche per abbellire il volto delle città e per creare una struttura monumentale di edifici
di grande decoro, come palazzo Strozzi di Firenze. Questo è un fenomeno non sono fiorentino e
non solo italiano, perché i patriziati che si fondano in tutta Europa hanno tutti interesse a creare
dimore private e ambienti pubblici di qualità illustre. Si citi anche un’altra nuova attività
importante che si sviluppa nel ‘400, ossia l’attività mineraria estrattiva. Una delle cause
dell’insicurezza e della confusione economica e istituzionale era la politica monetaria dei governi,
determinata dalla penuria di metallo prezioso, ma nel ‘400 la ricerca di miniere dà buoni risultati,
si aprono miniere nuove e torna a essere abbondante l’argento in Europa, e questo sostiene due
cose: per i governi la possibilità di ricostituire la moneta, e per gli imprenditori che finanziano la
ricerca mineraria e l’estrazione, la costituzione di importanti capitali che finanziano attività
bancarie importanti. Tutti questi fenomeni sono gestiti a livello locale, signorile e di patriziati
urbani, ma anche coordinati, sorvegliati e partecipati dai poteri statali, in particolare dalle
monarchie che si riorganizzano nella seconda metà del XV secolo all’uscita da questa grande crisi, il
cui vertice è nella guerra dei Cent’anni tra Francia e Inghilterra.
Chiesa e Stati
In questi processi di riorganizzazione e di razionalizzazione dei rapporti dei regni e delle economie,
anche la chiesa è coinvolta. La chiesa aveva subìto, nel corso del Trecento, una crisi di
autorevolezza morale, connessa con il soggiorno dei papi ad Avignone, con la grave
mondanizzazione e con il prevalere di aspetti economici, finanziari e di potere esercitato nei
confronti delle stesse strutture ecclesiastiche. La curia rivendica una pesante partecipazione
economica nelle risorse delle chiese locali, sotto forma di tasse o di controllo delle rendite e delle
posizioni delle chiese locali. Proprio questa forte ingerenza nella vita delle chiese locali fa sì che la
curia romana subisca un discredito accentuato all’interno della chiesa, e all’esterno.
La slide mostra la navicella papale di San Pietro, con il papa e con i due cardinali che navigano in
acque tempestose, e la scritta dice che stanno per naufragare.
La via d’uscita per la chiesa è di trovare un’autorità che possa affiancare quella del papa e
promuovere la riconversione degli atteggiamenti dell’esercizio del potere in senso più consono alla
domanda della cristianità. Il papato torna a Roma dal 1377, ma nella stessa occasione avviene una
catastrofe ancora più grande. Alla morte del papa che aveva riportato la sede pontificia a Roma
viene eletto Urbano VI, ma le condizioni dell’elezione e le scarse garanzie che questo pontefice
sembrava dare al collegio cardinalizio, fanno sì che una parte dei cardinali rifiutino e eleggano un
altro papa, Clemente VII. Da questo momento, e per quarant’anni, la cristianità ha due papi
contrapposti, apparentemente entrambi legittimi e che si scomunicano a vicenda. Una rimane a
Roma, l’altro torna ad Avignone. Il seguito che ciascun papa ha nella cristianità non è più
caratterizzato dall’adesione degli ordini religiosi, ma è gestito dalle convenienze politiche degli
stati, all’interno dei quali il clero e gli episcopati hanno atteggiamenti condizionati dalle
costellazioni politiche in cui sono inseriti gli stati. Il papa di Avignone riceve appoggio del re
francese e del clero francese; siccome siamo nell’ambito della guerra dei Cent’anni, il clero inglese
aderisce al papato di Roma.
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La cristianità si divide non sulla base di un riconoscimento di legittimità e su una discussione della
legittimità, ma si divide in base a considerazioni politiche: significa che le chiese all’interno dei
regni cominciano ad avere una struttura nazionale. Finché i regni sono deboli è un processo in
parte sotterraneo, ma diventa evidente quando la crisi si attenua e il potere dei sovrani si rafforza.
In questo periodo la chiesa del regno diventa una chiesa nazionale legata alle ragioni di una
autonomia all’interno del corpo della cristianità.
I papi dal 1409 diventano addirittura tre: un concilio a Pisa ne elegge un terzo. Una situazione del
genere dà forza a una dottrina che era già stata enunciata fin dagli inizi del Trecento: la dottrina
conciliarista, che per mettere un freno alle aberrazioni del governo centralizzato e papale, e per
risolvere il conflitto dei tre papi, sostiene con ragioni teologiche e giuridiche il primato del concilio
universale nella struttura della chiesa. Il concilio è la rappresentanza di tutti i fedeli dell’Europa
occidentale. Il concilio stesso, in rappresentanza di tutta la cristianità, è costituito dai titolari di
uffici ecclesiastici. Si tratta di una dottrina rivoluzionaria, perché esiste una lunga tradizione che
risale a Gregorio VII che dice che il potere supremo nella chiesa è quello del papa: è un’idea nuova
e originale che introduce il principio parlamentare nelle strutture ecclesiastiche.
In questa grande difficoltà le stesse autorità politiche riescono a convocare un grande concilio nel
1414 a Costanza, che incarna e realizza l’affermazione del principio conciliare come l’unica istanza
istituzionale che può risolvere la crisi e gettare le basi per una riorganizzazione della chiesa. Il
rapporto tra papi e concilio è difficile, e a metà del XV secolo viene risolto con la riaffermazione
della prevalente autorità papale. Il clero delle diverse nazioni si organizza in maniera autonoma e i
sovrani rafforzano la costituzione di un’organizzazione nazionale delle chiese come ulteriore
elemento di identificazione di un regno coerente e controllato dal potere del sovrano.
Caso italiano
In Italia gli stati sono molti e nel corso del ‘400 si organizzano su base regionale, e sviluppano
tecniche di governo e situazioni economiche affini a quelli che abbiamo descritto per i regni. La
ripresa dell’agricoltura anche in Italia è importante.
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Lez. 30 - L’eredità del Medioevo
Gli argomenti:
- Idea di Europa
- Civiltà medievale
- Le fonti nella Storia
La crisi del Trecento, che abbraccia anche la prima metà del Quattrocento, può essere considerata
come la fine del medioevo, oppure no? Gli ultimi tempi del Trecento possono essere considerati gli
ultimi tempi dell’età medievale.
Lo storico Henri Pirenne considera che la lunga crisi sia stata la conclusione di un ciclo economico
che a un certo momento si blocca e determina la fine di un sistema socioeconomico, culturale e
politico, dopo il quale comincerà un altro stadio della storia, discontinuo rispetto al passato. Un
altro storico, Johan Huizinga, considera i secoli Trecento e Quattrocento come i secoli che
configurano l’autunno di un’epoca, il lento esaurimento dello slancio vitale di una società. Gli
ultimi secoli del medioevo sono caratterizzati da un atteggiamento di stanchezza che si esprime
nella ritualità della vita, delle istituzioni, in un cortocircuito dello spirito su sé stesso che testimonia
l’indebolimento di una civiltà.
I secoli Trecento e inizio Quattrocento costituiscono il termine di una civiltà; però abbiamo anche
esposto aspetti che non coincidono con questa prospettiva. Avviene in questo momento la
riorganizzazione dell’economia, della società, del mondo politico, di una struttura che supera la
crisi: si verifica la ricostruzione di un’economia nuovamente produttiva, di un nuovo sistema
sociale, un’organizzazione politica che rafforza gli stati. I materiali utilizzati sono gli stessi che
erano già stati elaborati nel Duecento, che vengono riorganizzati, razionalizzati e ristrutturati: non
siamo davanti a un mutamento strutturale, alla costruzione di un sistema economico e
sociopolitico completamente diverso.
Prima della crisi gli elementi sopra descritti potevano funzionare in un contesto espansivo, poi la
crisi ha messo in luce alcuni punti di mancanza di coordinamento, e gli stessi elementi dopo la crisi
sono quelli che caratterizzano la riorganizzazione della società e del mondo politico e istituzionale
nella seconda metà del Quattrocento. C’è una continuità tra Duecento e Quattrocento,
attraversata da una crisi. Lo stesso umanesimo italiano, che rappresenta sotto il piano culturale la
novità più forte, in realtà non è talmente nuovo e rivoluzionario come potrebbe apparire perché
queste tendenze sono già mature e in corso nel XIV secolo.
La personalità di Petrarca è l’esempio migliore.
I secoli Trecento e Quattrocento sono secoli di grande trasformazione, ma l’età medievale non
termina bruscamente con questa crisi, non c’è una cesura forte ma un processo di trasformazione.
Questo avviene cominciando già dalla fine del Duecento: poi, accentuandosi, porta alle grandi
trasformazioni quattrocentesche. Nel ‘500, invece, comincia davvero l’età moderna. I secoli prima
sono un complesso di trasformazione di situazioni strutturali che mutano ma non cambiano in
maniera radicale.
Idea di Europa
La slide mostra un mappamondo di XII secolo. Tra i lasciti importanti dell’età medievale c’è la
genesi dell’idea di Europa come la concepiamo noi oggi. Come termine geografico, come
continente, l’Europa era un concetto noto alla geografia antica pre-medievale: si sapeva che il
mondo era articolato in tre parti, ossia l’Europa, l’Asia e l’Africa. L’Europa, però, non coincideva
allo spazio di una civiltà o a un complesso politico significativo e identificabile, perché lo spazio
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politico e culturale era quello dell’impero romano, che non corrisponde all’estensione dell’Europa
(tocca l’Asia e l’Africa), e non coincide con l’Europa, anche perché molte regioni non erano incluse,
come tutta la parte dell’Europa centro settentrionale. I geografi antichi conoscono l’Europa come
parte del mondo, ma solo come descrizione di spazi geografici a cui non corrisponde una struttura
sociale e politica unitaria.
Il passaggio alla situazione moderna in cui lo spazio geografico corrisponde allo spazio di cultura e
politica, è un passaggio che avviene nel corso dell’età medievale, e che caratterizza uno degli
aspetti più interessanti da seguire. Le prima manifestazioni di un modo diverso di concepire
l’Europa vengono dagli inizi dell’età barbarica e vengono non da esponenti della cultura romana,
ma da esponenti della cultura dei nuovi popoli. Si ricorda un’interessante testimonianza agli inizi
del VII secolo in cui un monaco irlandese, Colombano, scrive al papa del tempo dicendo che tutte
le chiese d’Europa si rivolgono al papa: Colombano pensa alle chiese dell’Irlanda, del mondo
anglosassone, del regno dei franchi. L’Europa definisce una nuova realtà di queste formazioni
romano barbariche che vengono considerate come parti di una realtà contemporaneamente
ideale e geografica estesa a una configurazione diversa rispetto all’impero romano. Il fondamento
non è la cultura classica, ma l’ispirazione religiosa concretizzata nelle chiese che si stanno creando.
Il concetto d’Europa affiora sporadicamente. Si può citare un’altra fonte, scritta nella Spagna
soggetta ai musulmani, in cui si racconta della battaglia tra i musulmani e Carlo Martello, la
battaglia di Poitiers, in cui Carlo Martello sconfigge i musulmani. In questa fonte viene detto che
“gli europei fermarono i musulmani”: gli europei sono i franchi cristiani che difendono la fede, e il
territorio della fede.
La parola Europa viene reinterpretata da questi autori medievali in un senso nuovo rispetto ai
geografi antichi, e per definire realtà umane e territoriali diverse dell’Europa come terza parte del
mondo. Il dominio franco si consolida nell’impero di Carlo Magno, che viene messo in relazione
con un’idea originale di Europa: Carlo Magno viene chiamato padre dell’Europa, oppure vertice
dell’Europa, faro di Europa, che ha una struttura geografica diversa, si riferisce al complesso dei
territori conquistati da Carlo Magno e includono territori della Germania mai inclusi nell’impero
romano, e ora inquadrati nell’impero. L’Europa diventa il complesso delle popolazioni
cristianizzate incluse nel dominio ispirato alla realizzazione dell’ordine cristiano nella terra. Si
ampliano i confini spaziali di questo territorio e si perfeziona la sostanza caratteristica di questa
realtà.
L’idea di Europa concepita in questa maniera trova espressioni saltuarie nel IX e X secolo e viene
ripresa dall’impero sassone, perché anche i cronisti che raccontano le gesta di Ottone I, II, III,
descrivono l’attività dei sovrani come in difesa dei popoli dell’Europa: in questo caso Europa
significa complesso di terre cristianizzate e organizzate nella struttura carolingia e nel sistema dei
regni post carolingi che era minacciato dall’aggressione di Ungari e Magiari, contro cui gli
imperatori sassoni costruiscono una diga per stabilizzare gli invasori. Europa definisce un’unità
politica e spirituale, ma anche un’unità costituita di pluralità: quando l’impero carolingio si
smembra, resta l’idea che i regni che subentrano all’unità carolingia, tra i quali si divide il mondo
carolingio, costituiscano i regni dell’Europa, che nel loro insieme ricalcano la struttura generale
dello spazio politico culturale europeo definito dalle conquiste di Carlo Magno.
Si afferma la tradizione secondo la quale, dopo il diluvio universale, l’Europa sarebbe stata
popolata da uno dei tre figli di Noè, Iafet, e i suoi discendenti sarebbero stati i capostipiti delle
varie popolazioni europee. In questa versione si esprime la consapevolezza della sostanziale unità
dell’Europa, ma dell’articolazione delle diverse famiglie/popoli europei che si realizza attraverso la
successione dei discendenti dell’unico capostipite. La costruzione di un’idea nuova di spazio e
cultura non viene dimenticata, ma viene sottolineata meno tra XI e XIII secolo, quando la comunità
della civiltà europea viene espressa attraverso il concetto di cristianità.
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Le idee generali vengono gestite con grande acume dal papato, che ricostruisce tutto il territorio
della cristianità occidentale come ambito della chiesa romana. Il concetto di cristianità è
tendenzialmente illimitato perché il sacrificio di Cristo è stato fatto per tutto il genere umano e la
cristianità deve coincidere con tutto il genere umano. Questo funziona bene con la pratica
espansiva, commerciale, di esplorazione, attraverso gli inviati del papa che vanno alla corte dei
mongoli. Si tratta dell’irraggiamento della civiltà cristiana, che ha la sua maggiore espressione nei
regni dell’Europa: questa idea viene meno quando entra in crisi l’aspetto dell’universalità, di
controllare ed egemonizzare l’intera cristianità, che coincide con l’umanità tutta.
Quando l’idea di un’unificazione di tutto il mondo sotto l’autorità del papa crolla a causa della crisi
dell’autorità morale del papato, riemerge l’idea di una diversa ragione di aggregazione delle
popolazioni europee e dei regni che si sono rafforzati in Europa: questo concetto funziona bene
per spiegare l’estensione della civiltà che si è costituita.
Nel XIV secolo si estendono i paesi slavi, dove si organizzano i regni di Boemia, Ungheria, Polonia,
che si riorganizzano intorno a idee, esperienze tecniche di governo, istruzione, organizzazione
ecclesiastica e sociale che sono maturate nell’Europa del primo nucleo e adesso vengono adottati
dai paesi di tradizione slava e magiara, e lo stesso vale per l’area scandinava. L’Europa è articolata
in regni, ma nello stesso tempo è caratterizzata da un patrimonio comune di esperienze e di idee.
Vi è una sostanziale unità e coerenza nella diversità di questa società europea, che si caratterizza
come una società unitaria e articolata. La specificità dei limiti dell’Europa si consolida quando
l’espansione dei turchi mette a rischio tutta la parte meridionale del territorio europeo, e rischia di
aggredire l’Europa centrale, oramai saldamente integrata in questo complesso europeo. Nel 1453 i
turchi conquistano Costantinopoli, l’unico avanzo dell’impero d’oriente e dell’impero bizantino,
spegnendo la tradizione cristiana che si basava su fondamenti simili a quelli dell’Europa
occidentale: questo è il momento in cui l’Europa si definisce come spazio chiuso. L’Europa arriva
fino ai confini con i turchi, ma nello stesso tempo è fin dove c’è il cristianesimo.
L’Europa è la roccaforte della cristianità del mondo, e l’articolazione in stati si rafforza perché si
consolidano le identità nazionali. L’unità dell’Europa è espressa come l’unità delle membra di un
corpo, che fanno tutte parte della stessa persona. Questa è l’idea che viene lasciata in eredità
all’età moderna e alla coscienza di noi contemporanei.
Civiltà medievale
Durante i 1000 anni del medioevo le situazioni sono cambiate enormemente e la situazione
culturale è cambiata moltissimo. Si tratta del momento in cui i superstiti del mondo romano e i
nuovi venuti hanno cercato di salvare il salvabile, e di costruire delle forme di vita civile: questo
processo viene interpretato come una lotta per la salvezza della civiltà.
Questa situazione, poi, viene superata con la costruzione delle grandi ideologie di governo, di
fondamento religioso del potere, di missione dei poteri ecclesiastici e laici di organizzare la società
secondo i principi cristiani e per il bene di tutti coloro che vivono nel territorio europeo.
Il processo si snoda fino all’esplosione di risorse e di entusiasmi che caratterizza i secoli centrali del
medioevo e che si accompagna, sul piano dell’elaborazione culturale, a un fiorire di pensiero
nuovo, di una nuova concezione dell’uomo, della natura, del rapporto tra l’uomo e dio, delle
potenzialità dell’uomo, tutto organizzato dentro i suggerimenti e la forza organizzatrice della
tradizione cristiana, sia che essa venisse espressa dagli organi ecclesiastici, sia che venisse
interpretata dagli intellettuali che non rientravano nel mondo istituzionale della chiesa.
Il grande successo della cultura medievale è quello di creare una nuova interpretazione del
mondo, funzionale alle strutture effettive del potere, della società e dei modi di vita, rapportata ai
principi e alle ispirazioni del messaggio cristiano. La costruzione di una società cristiana è il grande
successo della cultura medievale.
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Uno dei prodotti più straordinari è la sensibilità che precorre quella moderna, che trova le sue
espressioni più raffinate nell’epoca della crisi del Trecento, crisi anche di affinamento delle
esperienze culturali e sentimentali. Il medioevo è stato un succedersi di grandi costruzioni e
sistemi, non si è trattato di una civiltà povera, primitiva e infantile, ma una società adulta che ha
saputo affrontare sfide e formalizzare in termini di cultura, costruzione politica e artistica.