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Diritto penale lezione 1 - 13/10

FUNZIONE DELLA PENA


Il discorso sulla funzione della pena in base al testo costituzionale art 27 2 comma

Rieducazione/risocializzazione non può essere in uno stato italiano laico democratico pluralista non è
l’unica possibilità

Dalla costituzione della teoria della funzione della pena è polifunzionale che prende le mosse da quello che
è la general prevenzione nella duplice concezione della minaccia deterrente e dell’orientamento culturale,
tuttavia con una serie di ancoraggi: principio di proporzione e al principio di umanità (centralità della
persona) che esclude comunque il perseguimento della funzione preventiva generale negativa e positiva
possa avvenire attraverso un opera di strumentalizzazione del singolo soggetto e poi deve combinarsi con
quella che è la finalità di risocializzazione prevista dall’art 27. Questo vuol dire che in qualche modo nella
fase della pena edittale rispetto ad una situazione che è ancora in astratto prevale la funzione di
prevenzione generale perché è la funzione di messaggio dell’ordinamento non verso un soggetto specifico
ma verso la generalità dei consociati e allora in questo senso, sicuramente, la prevenzione generale (nella
sua doppia concezione) ha la sua massima espressione. Viceversa questa portata general-preventiva viene
progressivamente attenuandosi in favore della finalità special-preventiva man mano che abbiamo un
soggetto concretamente individuato e si proceda quindi poi alla fase della commisurazione della pena che
riguarda la personalizzazione della pena rispetto ad un dato soggetto e alla condotta posta in essere e infine
nella fase della esecuzione della pena.
Quindi la funzione general-preventiva (funzione obiettiva) sicuramente prevale nella fase della previsione
edittale che lascia via via il posto della finalità rieducativa che deve essere preminente nella fase della
commisurazione e esecuzione della pena.
Tuttavia però è ovvio che la finalità di risocializzazione non può essere come qualcuno aveva sostenuto
esclusivamente circoscritta nella fase della esecuzione, (teoria sostenuta da coloro che leggono l’art 27 in
maniera riduttiva) perché chiaramente, poiché il giudice del dibattimento ?la commisurazione? nel definrie
le modalità di esecuzione della pena e il giudice di sorveglianza nella fase dell’esecuzione della pena sono
sempre giudici soggetti alla legge cioè questa discrezionalità ampissima deve essere esercitata nel quadro
della legge, è chiaro che la finalità di risocializzazione non può non essere tenuta in considerazione anche
nella fase edittale.
Quindi nella quantità di pena e tipologia di pena e dunque nel prospettare la pena in astratto prevale la
funzione general-preventiva ma non è assente la funzione special-preventiva (perché devo prevedere,
seppur in astratto tra le possibili tipologie di pene e modalità di esecuzione, un percorso di risocializzazione.
Quindi tra il minimo e il massimo edittale e nell’esecuzione è già presente una considerazione della
funzione special preventiva perché il legislatore deve mettere in grado il giudice del dibattimento e del
giudice di sorveglianza di avere gli strumenti per potersi muovere nel quadro della sanzione come prevista
dalla legge.
Conclusione: dunque sono entrambe presenti però c’è un inversamente proporzionale ossia la general
preventiva (con i limiti della proporzione e della dignità della persona) certamente preminente nella fase
edittale e poi scemata nella fase della commisurazione e sicuramente nella fase dell’esecuzione, viceversa
la special-preventiva sicuramente presente ma non prevalente nella fase edittale ed assolutamente
dominante nella fase della commisurazione della pena e soprattutto nella fase dell’esecuzione della pena.

L’interprete deve risolvere un altro problema cioè mettere in coerenza queste prescrizioni del testo
costituzionale con quello che troviamo nel codice penale perché quest’ultimo nasce in un momento storico
diverso con un modello di stato diverso e quindi un problema di compatibilità di legittimità costituzionale
delle disposizioni del codice ce lo dobbiamo porre.
Quali sono le idee da cui parte il codice del 30’? Il codice rivela una sorta di sdoppiamento di personalità, (il
legislatore ha tentato una sintesi di quelle che erano le ideologie entrambe presenti all’inizio del 900’, da un
lato l’ideologia liberale – presente già nel codice Zanardelli e che poi ritorna con la costituzione con i suoi
principi quali la centralità della persona, il soggetto che può essere chiamato a rispondere penalmente
quando il suo agire è frutto della sua libera scelta e se in questo caso abbia leso un interesse della
collettività merita la pena (una risposta afflittiva) in corrispondenza di una situazione di accertata
responsabilità di un individuo che può esprimere libere scelte di azioni ossia aveva la possibilità di agire
diversamente ma invece, o perché ha voluto o per negligenza (colpa) si è posto in contrasto con
l’ordinamento. Nei primi del 900’ in Italia vi era un’altra idea che si contrappone all’idea liberale ossia il
positivismo che si ricollega al determinismo francese. Si sviluppa soprattutto in Francia e il suo presupposto
fondamentale è costituito “dall’idea di uomo non dotato di libero arbitrio, nel senso che l’uomo è convinto
di operare liberamente ma in realtà i suoi comportamenti non sono frutto di libere scelte ma sono l’esito di
determinati condizionamenti che in qualche modo plasmano la personalità del soggetto e che in qualche
modo in un certo momento della sua vita commetta dei reati o meno.
I positivisti francesi dicevano che l’uomo dipende sempre da tre condizionamenti: le condizioni familiari (le
origini), il momento storico, il contesto sociale in cui il soggetto è cresciuto e dunque certi soggetti sono più
propensi a commettere reati rispetto ad altri. In Italia abbiamo avuto studiosi che hanno sviluppato questa
idea del positivismo in maniera particolare, oggi ormai superata, ad es. il Lombroso (che si approcciò allo
studio di tipologie di agenti). Ricordato perché ricollegava alcuni tratti somatici alla propensione o meno a
delinquere. Queste sono tesi poco rispettose della dignità umana, perché se io posso ricavare la
propensione al crimine dai tratti fisici ciò può legittimare l’adozione di limitazione della libertà anche prima
che il soggetto abbia commesso un fatto. Questa idea di uomo non è compatibile con l’idea di
responsabilità penale perché se il soggetto è condizionato a rispondere anche se non è libero, non ha senso
parlare di sofferenza in quanto tale ossia adottare delle misure per curarlo. La categoria che si attaglia a
questa situazione non è quella del soggetto penalmente responsabile ma del “soggetto pericoloso” per la
società. Se è questa la situazione secondo i positivisti non ha senso parlare di pena ma adottare delle
misure per mettere in sicurezza il gruppo. Si contrappone all’idea di pena l’idea di misura di sicurezza
toccando o il patrimonio o la sua libertà personale. Portare all’estrema conseguenze tale idea ci porta a
scontrarci con le problematica della prevenzione speciale, perché nei casi più gravi l’interesse è di
neutralizzare il soggetto (butto la chiave delle sbarre), e comunque se il problema è la propensione al
crimine l’intervento penale non attende uno specifico fatto di reato ma si focalizza sul loro trascorso, è una
misura di cura che prescinde dal compimento del fatto.

Il legislatore del 30” tenta una sintesi: il c.d. sistema del doppio binario: cioè che la risposta del sistema
non ha una unica forma ma può assumere sia la forma della pena sia della forma di sicurezza con due
funzioni diverse. La misura di sicurezza essendo basata sull’accertamento della pericolosità sociale del
soggetto (il binario della diretta espressione del positivismo) ci saranno tipologie di misure che seguiranno
certe regole e poi la pena che seguirà altre regole.
Due sono i problemi:
1) su quale ragionamento si fonda l’accettazione del doppio binario:
Un uomo può essere considerato dotato di libero arbitrio ossia di libere scelte di azioni e in certi casi l’uomo
condizionato non libero di scegliere. Questo non è banale, perché se pensiamo al soggetto minore di età,
un’incapace affetto di malattia mentale che realizzi una lesione è ragionevole che l’ordinamento preveda un
doppio binario e quindi seguirà per il binario della responsabilità che porta irrogazione della pena al
soggetto che è dotato di libertà di autodeterminazione e sceglierà il percorso dell’accertamento della
pericolosità sociale che culmina con la disposizione di una misura di sicurezza nell’ipotesi in cui quel fatto
sia stato realizzato da un soggetto che risulti in qualche modo condizionato (es. deficit di età o qualsiasi
altro incapacità di intendere e di volere) e non possa essere mossa nei confronti di tali soggetti un vero e
proprio rimprovero ma predisponendo una misura di sicurezza. Tuttavia per funzionare ciò ci sono 2
importanti requisiti affinché le due vie non siano sovrapponibili: il primo non debba riguardare lo stesso
soggetto (infatti o è in grado di fare libere scelte di azioni e quindi essere responsabile e di consguenza
essere destinatario di pene; o è un soggetto non in grado di intendere e di volere e quindi destinatario di
misure di sicurezza); il secondo requisito è che le misure di sicurezza siano per definizione diverse rispetto
alle pene, che le condizioni per l’adozione delle misure siano diverse dalle condizioni per l’adozione delle
pene e soprattutto per quanto riguarda il criterio di scelta diverso rispetto alle pene e le modalità di
esecuzione delle misure di sicurezze siano diverse rispetto a quello delle pene.
Però il codice penale pasticcia un po', perché un soggetto può essere non solo destinatario di pene ma
anche di misure di sicurezza, ossia fermo restando che un soggetto è riconosciuto incapace di intendere e di
volere il nostro ordinamento prevede la misura di sicurezza e qui il binario è unico; invece le strade si
incrociano per i soggetti capaci di intendere e di volere, la cui azione sia frutto di una libera scelta, il codice
prevede la pena ma con la possibilità di integrarla con una misura di sicurezza in cui stando al suo
comportamento durante il processo, tenendo conto delle sue condizione e scelte di vita potrebbe derivare
una pericolosità sociale essendo cosi destinatario anche di una misura di sicurezza. Ciò crea problemi. Se
guardiamo l’art 133 c.p., rubricato commisurazione della pena, troviamo già i fattori quali il comportamento
del soggetto o le sue scelte di vita precedenti che dovrebbero essere l’oggetto di quella valutazione
ulteriore per la disposizione della misura di sicurezza. Salta quel discorso teorico fatto sopra. A confermare
queste confusioni di piani, l’art 203, rubricato commisurazioni delle misure, rinvia all’art 133. Sempre al
fallimento della teoria del doppio binario si aggiunge che, al di là della loro diversa dicitura che le misure di
sicurezza hanno rispetto alle pene, spesso nel modo in cui queste misure vengono eseguite c’è una
sovrapposizione, perché sono misure che si ricollegano a misure di tipo patrimoniale es. la confisca esiste
anche la confisca penale, o misure di tipo personale es. ospedale psichiatrico (eliminati e che peraltro
avrebbe dovuto prevederne altre strutture o altre modalità), allora ci si chiede dove sono andati a finire
queste misure di sicurezza di tipo personali? Si sono trasformate in carcere. Quindi le modalità di
esecuzione di queste misure vanno a coincidere sostanzialmente con quelle delle pene con gravissima
conseguenza: siccome la legge vuole che le misure di sicurezza siano attuate a completamento
dell’esecuzione della pena, di fatto è un prolungamento della pena. Tale costituisce un grosso corto circuito
e fallimento del sistema del doppio binario una volta attuato.

2) Questo duplice binario come si concilia con il testo costituzionale che a questa duplicità non fa
rifermento se non prevedendo l’unica finalità quale quella di risocializzazione?
Qualcuno ha detto, con un errore metodologico, che la costituzione tenderebbe alla risocializzazione, non
solo con la pena ma anche con le misure di sicurezza. Tale inteprtazione crerebbe piu caos priviando
dell’innovazione la risocializzazione e il cambio netto del modello di stato. Dall’art 27 si ricava che l’idea
della risposata dello stato ad un fatto di reato è un idea monista cioè deve essere considerato nella sua
unità che è una e una sola (la pena), ma ciò non nega che in condizioni diverse questa pena possa assumere
le forme sia della pena in senso stretto e della misura di sicurezza perseguendo una stessa finalità.
Art 133: 1 comma ilo giudice deve tenere conto della gravita del reato dedotto da una serie di elementi che
vengono indicati dal legislatore in tre punti: oggetto, modalita della condotta, dal tempo, ecc; l’identià del
danno; intensità del dolo (dolo intenzionale, diretto, eventuale) e della colpa (negligenza imperia e
imprudenza).
2 comma: il giudice considera anche la pericolosità sociale del soggetto e prevede degli indici fattuali come
nel primo comma il cui giudice deve guardare: dei motivi a delinquere e del carattere del reo; Di precedenti
penali, dalla condotta e dalla vita del reo; dalla condotta contemporanea e susseguente al reo; dalle
condizioni di vita familiare e sociale del reo. Essi sono i classici fattori condizionanti l’agente secondo la
filosofia dei positivisti. La particolarità e che nell’art in commento non si fa riferimento alla pericolosità
sociale del soggetto ma della “capacità a delinquere” spostando il focus dal fatto alla persona (di come è
l’agente). L’art si applica in toto ossia quando il giudice si trova davanti ad un caso da decidere e la pena
edittale va da un minimo e un massimo deve tenere conto non solo della gravità del reato (1 comma) e
della capacità a delinquere del reo (2 comma). Se poi deve valutare ancche la pericolosità sociale di fatto
riprendere gli stessi elemnti dll’art 133, perche l’art 203 nel dare i criteri ci rinvia al 133. Questa è un
aproblemativa interna al codice.
Adesso bisogna guardare alla problemaitica del 133 rispetto al modello di pena deducibile dalla
costituzione:
Assenza dell’art 133 riguardo alla definizione degli indici fattuali o finalistici (mi indicano un dato di fatto o
mi indicano la finlalità che il giudice deve perseguire nel commisurare la pena)? Sono degli indici
meramente fattuali. Dall’art 133 come in altre norme del codice non sappiamo ricavare nulla circa la finalità
che il giduice deve persequire nel commisraure la pena. Il priblema non è di poco conto perche uno stesso
indice mi può poratere a risultati diversi secodno se perseguo una finalita rispetto un'altra. Es. se io
perseguo una funzione di prevenzione generale massima è chiaro che l’indice della gravita del danno è un
indice che darò più peso rispetto a quello personale. Ma non solo se devo dare un messaggio chiaro la mia
scelta della sanzione si muoverà tendenzialmente vicino al massimo. Duqnue se si persegue una finalità di
prevenziona generale il giudice sarà orientato verso il massimo. La situazione cambio se perseguiamo una
finalità special prventiva il giudice da peso al secondo comma ripsetto al secondo, diventando dei criteri
molto manipolabili.
si pone il problema di una lettura dell’art 133 costituzionalmente orientata, e quindi essere certo che il
giudice nel commisurare la pena si prevista in costituzione ossia la tendenziale risocializzazione e quidni alla
combinazione della general e specal preventica con netta preminenza di quest’ultima nella fase della
commisurazione. Quindi il finalismo che manca dall’art 133 lo ricaviamo dalla costituzione. La lettura
orientata ci serve per risolvere due imporatnti questioni:
la prima è l’eventuale gerarchia del primo e secondo comma dell’art 133. Dalla costituzione ricaviamo che il
diritto penale italiano è un diritto penale del fatto e non d’autore. Quindi il primo comma deve prevalere
rispetto agli indici del secondo comma. Ma possiamo anche rinforzare ciò con semplice espressione
“altresì” utilizzata del secondo comma. (non ci sono problemi di compatibilità con il testo costituzionale). Il
problema invece si individua circa la gerarchia all’interno degli indici del primo comma. Come deve
maneggiare questi indici il giudice? Perche se ritengo preminete l’indice oggettivi es un fatto realizzato e
che abbia prodotto un danno ingente che sia stato realizzato con colpa. Secondo lindice del danno il giudice
deve muvoersi verso il massimo di pena, se invece utilizza l’indice della dimenzione soffettiva non arriva al
masimo ma arriva nella prima metà del parametro edittale. Come risolve il probloema? Potremmo dire che
siccome è messo nel terzo dobbiamo pensare che lo utilizzi per ultimo che tutto sommato non è un
ragionamento stupido (logica del legilsatore del 30), ma questo tipo di ragioanmento ossia un apreminenza
degli indici obbiettivi rispetto a quelli soggettivi è perfettemten caompatibile con il testo costituzionale che
mette al centro la persona e poggia su una responsabilità personale del soggetto? Ma si può dire che una
condotta è frutto di una libera scelta di azione non solo se o meno agire ma anche nel dominio di questa
quindi se io ho agito con colpa è chiaro che se la centralità della persona la risposta sanzionatoria non può
essere il massimo anche se il danno è partiocolametne ingente

Definizione di reato
Prima definizione: qualsiasi comnortemnto umano cui l’ordinamento ricollega una sanzione penale.
Andiamo oltre. La funzione della pena è quella preventiva nella duplice funzione generale e speciale,
preventiva nel senso di prevenrie tutelare gli interessi fodnamentali del gruppo, duqneu un comportemnto
umano che offende un interesse fondamentale del gruppo. Offendere un bene giuridico che sta per
sinonimo di interesse fondamentale che l’ordinamento ritenga di necessitare la tutela penale. (non tutti gli
interessi sono beni giuridci ma solo quelli che il legilsatore)
OFFENDE: dalla funzione di tutela che ricaviamo dal contesto costituzionale ricaviamo che caratteristica
imprescindibile perché un comportamento possa considerarsi legittimamente essere considerato reato e
che sia un comportamento offensivo di un bene giuridico, ciò significa che il modo di essere dell’autore non
può costituire per se stesso reato e che un principio cardine dell’ordinamento è il principio di offensività o
necessaria lesività (nel senso di lesione o esposizione al pericolo). Questo comunque è il dover essere del
diritto penale. Può anche accadere che quel determinato comportamento non esponga quel bene giuridico
a nessun pericolo (reati di pericolo presunto).

Il legilsatore nell’art 133 non fa riferimento a nessun tipo di funzione della pena (c.d. indici finalisti) ma solo
indici fattuali (relativi al fatto – oggettiiv). Questo non è una scelta libera di non indicare quest indici perché
l’indice fattuale rischia di essere cieco, peche possono avere un peso specifico diverso secondo che la
funzione perseguita al momento in cui si va ad irrogare la pena sia di tipo special o general preventivo. Lo
stesso indice fattuale può dare esiti diverso secondo quello che è la funzione che si persegue. Il
giudice ,oggi, nella fase della commisurazione della pena non può dire di basarsi sul 133. Gli indici fattuali
trovano una loro legittima combinazione solo laddove inseriti all'interno del discorso della funzione della
pena ricavato dal testo costituzionale, in base all’art 27 e devono tendere alla rieducazione de avere una
funzione general preventiva.
Detto questo si guarda con occhio critico al doppio binario, che non nasce dal fatto stesso del doppio
binario di per sé stesso legittimo e neanche di poter combinarle. Va in tilt quando nel modo in cui regola il
doppio binario non mantiene il doppio binario. Gia il 133 entrano in gioco indici fattuai previsti dall’art 203
per la misura di sicurezza, e duqnue una doppia risposta repressiva ad un medesimo soggetto.

Lezione 2 18/10
Il fatto costituente reato
in base all’art 25 cost. costituisce reato un fatto “commesso”… ci porta ad escludere che nel nostro
ordinamento possa essere qualificato fatto di reato il modus essendi dell’autore ma un certo
comportamento. Questa definizione non è sufficiente, perché il legislatore potrebbe giocare nel richiedere
un minimo comportamento che possa in qualche modo giustificare la sanzione nei confronti di un soggetto
rispetto al suo modo di essere: dire che è sufficiente che l’ubriaco vaga nella pubblica via possa essere
condannato; allora in questo caso c’è un comportamento e non un semplice stato di ubriachezza e che
comunque gisutifica il legilatore a sanzionate penalmente ‘ubriavo. Ancora una volta ci viene in soccorso il
quadro del tsto costituzionale, quelal centralità della persona e della dignità, che per costituire reato non
soltanto il reato deve consistere in un comportamento/condotta e non un modo di essere ma non deve
essere neppure un qualsiasi comportamento ma deve essere un comportamento offensivo (ledere o
esporre al pericolo) un intesse fondamentale del gruppo. Da qui possiamo dare una definizione più
sostanziale di reato come fatto lesivo o offensivo di un interesse del gruppo: se nel caso concreto non abbai
comportato una lesione o esposizione a pericolo di quell’interesse (bene giuridico) non può costituire reato.
Questo requisito del reato della necessaria offensività lo troviamo in costituzione? Dibattito sul principio di
offensività. Non lo troviamo in nessuna disposizione costituzionale. nella ricerca del fondamento normativo
di offensività vi è stata una corrente dottrinale che ha trovato fondamento del principio all’art 49 c.p. (reato
impossibile: inesistenza dell’oggetto o dell’inidoneità dell’azione), secondo questo orientamento si
troviamo difronte ad un fatto inoffensivo (teoria realistica del reato). Questo ragionamento, benché non
mette in discussione che un reato deve essere offensivo e cerca un dato normativo che dia certezza, non è
condivisibile perché si fa riferimento ad un articolo del codice e dunque una disposizione della legge
ordinaria la quale può essere modificata.
L’orientamento più condivisibile è quella che vede il principio di offensività che per quanto un principio non
previsto espressamente in costituzione sia comunque un principio di rango costituzionale implicito perché
lo ricaviamo dalla centralità della persona umana, dall’art 13, e dunque la conseguenza del contesto
costituzionale, diventano per il giudice una condizione di legittimità e un eventuale parametro di controllo
davanti alla corte costituzionale. Principio che opera come vincolo a livello del legislatore, perché nello
scegliere le situazione da qualificare come reato dovrà e potrà qualificare solo esclusivamente come reato
condotte che rispondono al requisito della offensività ma pure funge da vincolo per il giudice nel momento
in cui vada ad applicare la fattispecie astratta prevista dall’ordinamento, il quale deve porsi il problema che
il comportamento posto in essere non sia solo riconducibile alla fattispecie astratta ma che in concreto ci
sia stata una vera e proprio offensività: es. il furto di un grappolo d’uva, condotta sussunta in astratto alla
fattispecie del furto ma in concreto non ha prodotto nessun tipo di offensività (diminuzione del patrimonio
o messa in pericolo dello stesso). Qui il fatto di reato non sussiste: perché in assenza di offensività non
integra gli estremi della condotta penalmente rilevante (non integrando la condotta).
L’orientamento della teoria realistica l’art 49, oltre al problema delle fonti, sembra richiedere una duplicità
di accertamenti da parte del giudice:
1 che il comportamento è astrattamente riconducibile al tipo legale
2 escluderne nel caso concreto la risposta sanzionatoria perché in realtà è conforme al tipo ma inoffensivo
Se invece ragioniamo come abbiamo fatto attribuendo al principio di offensività un elemento essenziale al
reato, questa duplicità di accertamento non può starci, perché hai fini della stessa riconducibilità al tipo
legale che il giudice deve accertare l’effettiva offensività del comportamento (e non dire che è condotta ma
poi ne escludo la punibilità). Dunque se un comportamento è inoffensivo anche se poi è apparentemente
conforme al tipo, non è un comportamento tipico (c.d. tipicità apparente).
Per essere conformi a questo principio tutte le fattispecie penali devono essere o di “danno” (richiedere
l’effettiva lesione del bene giuridico tutelato) o per lo meno la concreta “esposizione al pericolo” del bene
giuridico, perché in mancanza andremmo a punire solo una disobbedienza (distinzione reato di danno e di
pericolo). Sanzionare la mera disobbedienza non si attaglia a un ordinamento liberale.
Non tutti i reati previsti dal codice rispondono perfettamente a questa esigenza ponendosi il problema di
legittimità costituzionalità con il principio di offensività.
Il legislatore del 30 nel prevedere le misure di sicurezza ha stabilito i requisiti fondamentali: la pericolosità
sociale è un requisito necessario ma non sufficiente. L’altro requisito fondamentale è il compimento di un
fatto di reato per lo meno nella forma del tentativo, limitando così il possibile ambito di applicazione delle
misure di sicurezza secondo i positivisti cioè a tutti i soggetti malati, pericolosi. Questo conferma,
anticipando il testo costituzionale, che il diritto penale del nostro ordinamento è un diritto penale del fatto,
perché un soggetto per essere il destinatario delle misure di sicurezza occorre che abbia realizzato una
condotta riconducibile al tipo anche se solo nel tentativo.
Ancora, l’art 115 ci dice che l’accordo concluso e quindi l’avvenuto incontro di volontà di commettere il
reato (una volonta criminosa) non è punibile se l’accordo non abbia per lo meno raggiunta la soglia del
tentativo. Con questo l’ordinamento riconosce non la mera volontà criminosa ma ci vuole il “fatto”. Il 2
comma prevede laddove l’accordo abbia ad oggetto un delitto il giudice può sulla base dell’accordo
disporre una misura di sicurezza (ossia il giudice può disporre la misura di sicurezza pure in assenza della
commissione di un fatto di reato almeno nella forma del tentativo), eccezione alla regola è prevista pure
dall’art 49 (quasi-reato).

Sempre facendo riferimento alla definizione di reato, per completarla dobbiamo dire che oltre ad essere un
comportamento offensivo (nella forma della lesione o messa in pericolo), deve toccare necessariamente un
interesse generale c.d. “bene giuridico”. Ma tale definizione ci permette di cogliere le caratteristiche
strutturali di un comportamento perché questo possa essere considerato lesivo di un bene giuridico? No
perché ci manca la definizione di bene giuridico.
Quando la sanzione penale è legittimata ad intervenire, dato che l’ordinamento ha altri modi per farlo? Solo
quando le altre modalità di tutela di cui l’ordinamento ha non sono sufficienti. Quando cioè tenendo conto
di due fattori: da un lato, tenendo conto del particolare rango elevato dell’interesse; dall’altro tenendo
conto della particolare intensità della condotta offensiva di quello interesse, altre possibili risposte
dell’ordinamento civile, amministrativa, extra giuridica risultino inefficaci inadeguate a dare la tutela
necessaria a quel interesse. Si parla del c.d. principio di meritevolezza. Ciò non è sufficiente, data il loro
rango bisognerà vedere se necessitano di tutela penale (extrema ratio).
Definizione di bene giuridico: è un interesse non soltanto meritevole di sanzione penale ma anche
“necessitante” la sanzione penale, perché gli altri strumenti non sono in grado di tutelare quei beni
giuridici.
Il ragionamento che deve tenere il legislatore nella creazione di norme penali è quello di selezionare
interessi che in un certo momento storico sono particolarmente interessanti (meritevolezza di tutela) e
successivamente deve accertare in concreto (empirica) che altre forme di risposta (civile, amministrativa)
non assicurerebbero una tutela adeguata se non quella penale.
Dobbiamo porci una domanda. Ma questa definizione è in grado di limitare le scelte del legislatore? No,
perché lascia ancora il legislatore arbitro di decidere quale sia l’interesse meritevole e necessitante di tutela
penale non vincolando il legislatore, il quale potrebbe decidere di promuovere la rilevanza di un interesse
non ancora avvertito all’interno del gruppo. Il legislatore non può creare interessi da tutelare ma devono
trattarsi di interessi già “preesistente”, ossia devono riscontrano un giudizio di disvalore sociale
consolidato. Molto spesso però ci sono dei settori tecnici in cui le condotte lesive non riguardano situazioni
cosi percepibili, con una consolidazione solo per alcuni consociati ma ovviamente con riferimento a quelle
categorie di soggetti di tecnici, altrimenti le scelte del legislatore sarebbe ancora arbitrarie.
(questo è il dovere essere del diritto penale che prevede una selezione di meritevolezza di pena di tal
genere, però bisogna vedere se ciò che troviamo scritto corrisponde veramente a ciò)

Teoria critica del bene giuridico


Teoria metodologia del bene giuridico

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