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PROCURA DELLA REPUBBLICA

PRESSO IL TRIBUNALE DI XXXX


ATTO DI DENUNCIA/QUERELA

Il/La sottoscritt XXXXXX XXXXX, nat a xxxxxx il 00.00.1900, residente in


via xxxxxxx, nr. 00 a xxxxx (xx);

ESPONE QUANTO SEGUE:

Il giorno 00/00/2021 alle ore 00:00 circa, mi sono recato presso
XXXXX in via XXXXX nr,00 a XXXXXX (xx). Al mio rifiuto di esibire
il Certificato Verde, perché in probabile violazione della privacy
come trattamento illecito dei miei dati sensibili sanitari, mi è stato
impedito l’accesso/sono stato allontanato in grave condizione di
pregiudizio OPPURE Sarei voluto andare al

cinema/ristorante/palestra/treno/vacanza ecc.ecc. presso XXXXX


in via XXXXX nr,00 a XXXXXX (xx) ma, chiedendo le condizioni per
accedere, sarei obbligat* a possedere ed esibire il Certificato
Verde. La probabile violazione della privacy come trattamento
illecito dei miei dati sensibili sanitari mi ha creato un danno
morale, causato da una segregazione in grave condizione di
pregiudizio.

Come cittadino non posso che costatare che, grazie all’art. 9-bis
del decreto legge 52/2021 convertito in Legge 17 giugno 2021, n.

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87 (Impiego certificazioni verdi COVID-19), modificato da
Decreto-legge del 08/10/2021 n. 139 Articolo 1, a far data dal 6
agosto 2021, mi è proibito senza Green Pass l'accesso ai seguenti
servizi e attivita', procurandomi comunque un danno morale,
inteso come turbamento dello stato d'animo dovuto ad una
mancata equaglianza, che sembrerebbe causato dall’utilizzo
illecito del certificato verde sulla mia privacy:
a) servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio per il
consumo al tavolo, al chiuso, ad eccezione dei servizi di
ristorazione all'interno di alberghi e di altre strutture ricettive
riservati esclusivamente ai clienti ivi alloggiati;
b) spettacoli aperti al pubblico, eventi e competizioni sportivi,
nonche' attivita' che abbiano luogo in sale da ballo, discoteche e
locali assimilati;
c) musei, altri istituti e luoghi della cultura e mostre;

d) piscine, centri natatori, palestre, sport di squadra, centri


benessere, anche all'interno di strutture ricettive, limitatamente
alle attivita' al chiuso;
e) sagre e fiere, convegni e congressi;
f) centri termali, salvo che per gli accessi necessari all'erogazione
delle prestazioni rientranti nei livelli essenziali di assistenza e allo
svolgimento di attivita' riabilitative o terapeutiche, parchi tematici
e di divertimento;
g) centri culturali, centri sociali e ricreativi, limitatamente alle
attivita' al chiuso e con esclusione dei centri educativi per

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l'infanzia, compresi i centri estivi, e le relative attivita' di
ristorazione;
g-bis) feste conseguenti alle cerimonie civili o religiose;
h) attivita' di sale gioco, sale scommesse, sale bingo e casino';
i) concorsi pubblici.
Con l’articolo 9-ter.1 sempre del DL 52/2021 (Impiego delle
certificazioni verdi COVID-19 per l'accesso in ambito scolastico,
educativo e formativo) e sempre modificato da Decreto-legge del
06/08/2021 n. 111 Articolo 1 chiunque acceda alle strutture delle
istituzioni scolastiche, educative e formative deve possedere ed
esibire il certificato verde quindi non potrei partecipare come
parte attiva all’istruzione, socializzazione ed inclusione dei miei
figli. Invece con l’ art. 9-quater (Impiego delle certificazioni verdi
COVID-19 nei mezzi di trasporto), modificato da Decreto-legge
del 06/08/2021 n. 111 Articolo 2, a far data dal 1° settembre

2021 e fino al 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato


di emergenza, e' consentito esclusivamente ai soggetti muniti di
una delle certificazioni verdi COVID-19, l'accesso ai seguenti
mezzi di trasporto e il loro utilizzo:
a) aeromobili adibiti a servizi commerciali di trasporto di persone;
b) navi e traghetti adibiti a servizi di trasporto interregionale, ad
esclusione di quelli impiegati per i collegamenti marittimi nello
Stretto di Messina e di quelli impiegati nei collegamenti marittimi
da e per l'arcipelago delle Isole Tremiti;
c) treni impiegati nei servizi di trasporto ferroviario passeggeri di

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tipo Intercity, Intercity Notte e Alta Velocita';
d) autobus adibiti a servizi di trasporto di persone, ad offerta
indifferenziata, effettuati su strada in modo continuativo o
periodico su un percorso che collega piu' di due regioni ed aventi
itinerari, orari, frequenze e prezzi prestabiliti;
e) autobus adibiti a servizi di noleggio con conducente, ad
esclusione di quelli impiegati nei servizi aggiuntivi di trasporto
pubblico locale e regionale.
e-bis) funivie, cabinovie e seggiovie, qualora utilizzate con la
chiusura delle cupole paravento, con finalita' turistico-
commerciale e anche ove ubicate in comprensori sciistici, senza
limitazioni alla vendita dei titoli di viaggio. Creando anche una
possibile limitazione alla libera circolazione dato che mi rimanga
il solo andare a piedi se non possibile con auto.
Grazie all’Art. 2 bis (Misure concernenti gli accessi nelle strutture

sanitarie e socio-sanitarie), modificato da Decreto-legge del


23/07/2021 n. 105 Articolo 4, non potrei neanche accompagnare
qualcuno all’ospedale visto che è consentito agli accompagnatori
dei pazienti non affetti da COVID-19, muniti delle certificazioni
verdi COVID-19, nonche' agli accompagnatori dei pazienti in
possesso del riconoscimento di disabilita' con connotazione di
gravita' ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio
1992, n. 104, di permanere nelle sale di attesa dei dipartimenti
d'emergenza e accettazione e dei reparti di pronto soccorso
nonche' dei reparti delle strutture ospedaliere, dei centri di

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diagnostica e dei poliambulatori specialistici. Salvi i casi di
oggettiva impossibilita' dovuta all'urgenza, valutati dal personale
sanitario, per l'accesso alle prestazioni di pronto soccorso e'
sempre necessario sottoporsi al test antigenico rapido o
molecolare. Il governo si dimentica che un accompagnatore di un
paziente non è solo una “dama da compagnia” ma può esserne
anche il tutore legale. Come stabilito nei diritti del paziente (diritti
universali) essere accompagnati in nascita, morte e malattia non è
solo un diritto ma una questione inalienabile di salute e cura che
deve essere costituzionalmente garantita ed assicurata. Nessuno
può vietarci di stare vicino a chi vogliamo vicino in questi
momenti importanti della nostra vita.
Più avanti negli anni potrei essere anche recluso visto l’Art. 2
quater (Misure concernenti le uscite temporanee degli ospiti dalle
strutture residenziali), modificato da Legge del 17/06/2021 n. 87,

visto che le persone ospitate presso strutture di ospitalita' e


lungodegenza, residenze sanitarie assistite, hospice, strutture
riabilitative e strutture residenziali per anziani, autosufficienti e
no, strutture residenziali socioassistenziali e altre strutture
residenziali gli sono consentite uscite temporanee, purche' tali
persone siano munite delle certificazioni verdi COVID-19.

Come UNICO titolare dei miei dati personali ed esercitando il
diritto alla mia privacy sono consapevole che posso cederli solo in
presenza di Legge (conforme a Leggi e Regolamenti esistenti) e

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per contratto. Nel GDPR - Regolamento generale sulla protezione
dei dati (UE/2016/679), all’articolo 9 - Trattamento di categorie
particolari di dati personali – trovo: “1. È vietato trattare dati
personali che rivelino l'origine razziale o etnica, le opinioni
politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l'appartenenza
sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a
identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla
salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della
persona” dove le eccezioni sembrano chiare: “b) il trattamento è
necessario per assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti specifici
del titolare del trattamento o dell'interessato in materia di diritto
del lavoro e della sicurezza sociale e protezione sociale, nella
misura in cui sia autorizzato dal diritto dell'Unione o degli Stati
membri o da un contratto collettivo ai sensi del diritto degli Stati
membri, in presenza di garanzie appropriate per i diritti

fondamentali e gli interessi dell'interessato”; “h) il trattamento è


necessario per finalità di medicina preventiva o di medicina del
lavoro, valutazione della capacità lavorativa del dipendente,
diagnosi, assistenza o terapia sanitaria o sociale ovvero gestione
dei sistemi e servizi sanitari o sociali sulla base del diritto
dell'Unione o degli Stati membri o conformemente al contratto
con un professionista della sanità, fatte salve le condizioni e le
garanzie di cui al paragrafo 3” dove il paragrafo 3 specifica: “3. I
dati personali di cui al paragrafo 1 possono essere trattati per le
finalità di cui al paragrafo 2, lettera h), se tali dati sono trattati da

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o sotto la responsabilità di un professionista soggetto al segreto
professionale conformemente al diritto dell'Unione o degli Stati
membri o alle norme stabilite dagli organismi nazionali
competenti o da altra persona anch'essa soggetta all'obbligo di
segretezza conformemente al diritto dell'Unione o degli Stati
membri o alle norme stabilite dagli organismi nazionali
competenti”. Dove sia chiarissimo il connubio paziente=medico.
Per quanto riguarda la tutela della salute pubblica, che spetta
comunque al Sindaco/ASL, trovo: “i) il trattamento è necessario
per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica,
quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere
transfrontaliero (USMAF) o la garanzia di parametri elevati di
qualità e sicurezza dell'assistenza sanitaria e dei medicinali e dei
dispositivi medici, sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati
membri che prevede misure appropriate e specifiche per tutelare i

diritti e le libertà dell'interessato, in particolare il segreto


professionale”.

Le perplessità emergono perché il 14 giugno 2021 viene emesso il
REGOLAMENTO (UE) 2021/953 del Parlamento Europeo, che
vincola giuridicamente l’Italia e si colloca direttamente tra la
Costituzione e le Leggi Ordinarie. Il punto 1) mette in chiaro
l’utilità del certificato Covid digitale dell'UE, unico documento
anche sul territorio Italiano, con: “Ogni cittadino dell'Unione ha il
diritto fondamentale di circolare e di soggiornare liberamente nel

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territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le
condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in
applicazione degli stessi”. L’unica figura in Italia che può
comprimere il diritto di circolare o soggiornare, quindi limitazioni
sui cittadini, è SOLO il Sindaco in Italia, con ordinanze sulla stessa
emergenza epidemiologica, urgenti e contingenti come BEN
specificato nel DL 25 marzo 2020, n. 19, convertito in Legge 22
maggio 2020, n. 35 all’articolo 1: “c) limitazioni o divieto di
allontanamento e di ingresso in territori comunali, provinciali o
regionali, nonche' rispetto al territorio nazionale” dove i Comuni
potrebbero anche diventare “frontiere” ed essere
momentaneamente regolamentate con il certificato digitale EU
“Green Pass”. Il punto 14 dovrebbe essere significativo in quanto
afferma che: “Il presente regolamento è inteso a facilitare
l'applicazione dei principi di proporzionalità (richiesta alle

ordinanze del Sindaco in base alla Legge 241/90) e di non


discriminazione per quanto riguarda le restrizioni alla libera
circolazione durante la pandemia di COVID-19, perseguendo nel
contempo un livello elevato di protezione della salute pubblica.
Esso non dovrebbe essere inteso come un'agevolazione o un
incentivo all'adozione di restrizioni alla libera circolazione o di
restrizioni ad altri diritti fondamentali, in risposta alla pandemia
di COVID-19, visti i loro effetti negativi sui cittadini e le imprese
dell'Unione. La verifica dei certificati che costituiscono il
certificato COVID digitale dell'UE non dovrebbe comportare

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ulteriori restrizioni alla libertà di circolazione all'interno
dell'Unione o restrizioni ai viaggi all'interno dello spazio
Schengen. È opportuno che continuino ad applicarsi le esenzioni
dalle restrizioni della libertà di circolazione in risposta alla
pandemia di COVID-19 previste dalla raccomandazione (UE)
2020/1475 e si dovrebbe tenere conto della situazione specifica
delle comunità transfrontaliere che sono state particolarmente
colpite da tali restrizioni. Allo stesso tempo, grazie al quadro del
«certificato COVID digitale dell'UE» i certificati interoperabili
saranno disponibili anche per i viaggiatori aventi una funzione o
una necessità essenziale”. Infatti all’articolo 1 leggiamo che: “Il
presente regolamento stabilisce un quadro per il rilascio, la
verifica e l'accettazione di certificati COVID-19 interoperabili
relativi alla vaccinazione, ai test e alla guarigione (certificato
COVID digitale dell'UE) con lo scopo di agevolare l'esercizio del

diritto di libera circolazione durante la pandemia di COVID-19 da


parte dei loro titolari. Il presente regolamento contribuisce inoltre
ad agevolare la revoca graduale delle restrizioni alla libera
circolazione poste in essere dagli Stati membri, in conformità del
diritto dell'Unione, per limitare la diffusione del SARS-CoV-2 in
modo coordinato. Esso fornisce la base giuridica per il
trattamento dei dati personali necessari per rilasciare tali
certificati e per il trattamento delle informazioni necessarie per
verificare e comprovare l'autenticità e la validità di tali certificati
nel pieno rispetto del regolamento (UE) 2016/679”. Quindi il

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Green Pass può essere utilizzato SOLO dagli Addetti Aeroportuali
e frontalieri per AGEVOLARE i viaggi dei cittadini, se presente
normativa sulla Nazione dove si risiede oppure soggiorna, sulla
gestione dell’emergenza epidemica, come indicato nell’articolo 3
comma 9: “Gli operatori di servizio di trasporto passeggeri
transfrontalieri tenuti, a norma del diritto nazionale, ad attuare
determinate misure di sanità pubblica durante la pandemia di
COVID-19, garantiscono che la verifica dei certificati di cui al
paragrafo 1 sia integrata nel funzionamento delle infrastrutture di
trasporto transfrontaliere, quali aeroporti, porti, stazioni
ferroviarie e autostazioni, se del caso”. Gli Uffici di sanità
marittima, aerea e di frontiera (USMAF), sono uffici periferici del
Ministero della salute che si occupano del controllo sanitario su
passeggeri e merci che transitano attraverso i punti d'ingresso
transfrontalieri. Già possono controllare anche i libretti vaccinali

dei viaggiatori, se la Nazione prevede un obbligo vaccinale o


misure sanitarie, incrociandoli con i documenti di viaggio e
potrebbero usare tranquillamente anche l’app Verifica19, essendo
dipendenti del Ministero della Salute. Gli USMAF sono previsti da
Regolamento Sanitario Internazionale (RSI) - International Health
Regulations (IHR) che è uno strumento giuridico internazionale
che si prefigge di “garantire la massima sicurezza contro la
diffusione internazionale delle malattie, con la minima
interferenza possibile sul commercio e sui movimenti
internazionali, attraverso il rafforzamento della sorveglianza delle

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malattie infettive mirante ad identificare, ridurre o eliminare le
loro fonti di infezione o fonti di contaminazione, il miglioramento
dell’igiene aeroportuale e la prevenzione della disseminazione di
vettori”. Ecco perché si parli di Paesi extra EU e di viaggiatori. Solo
gli USMAF sono autorizzati al controllo Green Pass. Nessun altro,
neppure le Forze dell’Ordine, NAS compresi, possono richiederlo
se non viene pubblicata ordinanza del Sindaco.

All’articolo 10 del regolamento (EU) 2021/953 (Protezione dei
dati personali) viene scritto chiaramente che: “1. Al trattamento
dei dati personali effettuato in sede di attuazione del presente
regolamento si applica il regolamento (UE) 2016/679”; “2. Ai fini
del presente regolamento, i dati personali figuranti nei certificati
rilasciati a norma del presente regolamento sono trattati
unicamente al fine di accedere alle informazioni incluse nel

certificato e di verificarle per agevolare l'esercizio del diritto di


libera circolazione all'interno dell'Unione durante la pandemia di
COVID-19. Dopo la fine del periodo di applicazione del presente
regolamento non si procede ad alcun ulteriore trattamento”; “3. I
dati personali inclusi nei certificati di cui all'articolo 3, paragrafo
1, sono trattati dalle autorità competenti dello Stato membro di
destinazione o di transito, o dagli operatori di servizi di trasporto
passeggeri transfrontalieri tenuti, a norma del diritto nazionale,
ad attuare determinate misure di sanità pubblica durante la
pandemia di COVID-19, unicamente per verificare e comprovare

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lo stato di vaccinazione, il risultato del test o la guarigione del
titolare. A tal fine, i dati personali sono limitati allo stretto
necessario. I dati personali consultati a norma del presente
paragrafo non sono conservati”; “4. I dati personali trattati ai fini
del rilascio dei certificati di cui all'articolo 3, paragrafo 1,
compreso il rilascio di un nuovo certificato, non sono conservati
dal soggetto che ha rilasciato il certificato più a lungo dello stretto
necessario per il loro scopo e in nessun caso oltre il periodo
durante il quale i certificati possono essere utilizzati per
esercitare il diritto di libera circolazione”. Eppure un regolamento
europeo è un atto legislativo vincolante. Deve essere applicato in
tutti i suoi elementi nell'intera Unione europea. In presenza di una
legge nazionale che contrasti con una norma comunitaria, il
giudice ordinario deve disapplicare la legge nazionale nel caso
specifico e applicare il diritto dell'Unione, senza porre quesiti di

incostituzionalità o attendere che il legislatore nazionale risolva il


conflitto di giurisprudenza adeguandolo al diritto dell'Unione. Gli
atti comunitari prevalgono su quelli degli Stati membri, sia per
quelli preesistenti all'approvazione della norma comunitaria che
per quelli emanati successivamente. Si tratta quindi di una
priorità ontologica, non temporale. Nel caso dell'Italia, la Corte
Costituzionale è intervenuta in passato specificando che nel caso
in cui si profili un contrasto tra una norma interna e una norma
della Convenzione europea, il giudice nazionale comune deve
procedere ad una interpretazione della norma conforme alla

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Convenzione. La preminenza del diritto comunitario in Italia è
stata riconosciuta dalla sentenza della corte Costituzionale n.
170/84 e qui non abbiamo solo il regolamento (EU) 2021/953 ma
anche il regolamento (EU) 2016/679.

La stessa giurisprudenza di legittimità ha, peraltro, già avuto
modo di chiarire che il danno risarcibile “è costituito dal
pregiudizio, anche di natura non patrimoniale, subito dalla
persona cui si riferiscono i dati quale conseguenza dell'illecito
trattamento” (Cass. Pen., n. 29549/2017)”. In base all’articolo 167
Codice della Privacy D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 – Trattamento
illecito di dati – al comma 2 trovo: “Salvo che il fatto costituisca
più grave reato, chiunque, al fine di trarre per sé o per altri
profitto ovvero di arrecare danno all'interessato, procedendo al
trattamento dei dati personali di cui agli articoli 9 e 10 del

Regolamento in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 2-


sexies e 2-octies, o delle misure di garanzia di cui all'articolo 2-
septies ovvero operando in violazione delle misure adottate ai
sensi dell'articolo 2-quinquiesdecies arreca nocumento
all'interessato, è punito con la reclusione da uno a tre anni” ed al
comma 4: “Il Pubblico ministero, quando ha notizia dei reati di cui
ai commi 1, 2 e 3, ne informa senza ritardo il Garante” e 5: “Il
Garante trasmette al pubblico ministero, con una relazione
motivata, la documentazione raccolta nello svolgimento
dell'attività di accertamento nel caso in cui emergano elementi

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che facciano presumere la esistenza di un reato. La trasmissione
degli atti al pubblico ministero avviene al più tardi al termine
dell'attività di accertamento delle violazioni delle disposizioni di
cui al presente decreto”. La questione delicata mi ha portato a
ravvisare la presunta violazione dato che il decreto n.101/2018,
introducendo il nuovo art.140-bis al DLgs n.196/2003, stabilisce
che un interessato, in tutti i casi in cui ritenga che un trattamento
che lo riguarda sia svolto in violazione delle disposizioni del
Regolamento n.679/2016, possa rivolgersi alternativamente al
Garante mediante reclamo o all’autorità giudiziaria mediante
ricorso e si è preferito fare direttamente ricorso all’autorità
giudiziaria visto che se tra le medesime parti e per il medesimo
oggetto è già stata avviata un’azione davanti all’autorità
giudiziaria, il reclamo al Garante non può essere proposto, come
del resto, la presentazione del reclamo al Garante rende

improponibile un’ulteriore domanda dinanzi all’autorità


giudiziaria tra le stesse parti e per il medesimo oggetto, salvo
quanto previsto dall’art.10, comma 4, del decreto legislativo 1°
settembre 2011, n.150.

Bisogna ricordarsi che il termine “privacy” indica il diritto alla
riservatezza delle informazioni personali e della propria vita
privata. Le normative per la privacy che si sono susseguite negli
ultimi anni sono state pensate per salvaguardare e tutelare la
sfera privata del singolo individuo, impedendo che le informazioni

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riguardanti la sfera personale siano divulgate senza
l’autorizzazione dell’interessato e che soggetti terzi si
intromettano nella sfera privata. La tutela dei dati personali è
ormai riconosciuto come un diritto dell’individuo ad avere il
controllo sulle informazioni e sui dati riguardanti la sua vita
privata, per il quale la legislazione deve fornire gli strumenti
necessari. Nella Costituzione italiana il <<pieno sviluppo della
persona umana>> è valore sancito dall’art. 3 della Costituzione. La
protezione del dato personale è protezione della persona in ogni
suo aspetto. Chi lede il diritto della persona rispetto ad un suo
dato offende la persona nella sua integrità. E proteggere la
persona, in ogni suo dato personale, significa permetterne lo
sviluppo “pieno” cioè in ogni suo singolo aspetto. Il diritto alla
privacy è non solo il diritto a non comparire ma anche il diritto a
comparire, qualora lo si voglia, e a chiedere completezza e

correttezza rispetto a ciascun dato. È, insomma, il diritto a


esprimersi fino in fondo. Per favorire il pieno esercizio per
ciascuno della “sovranità su di sé”. Il considerando 85 del
Regolamento UE 2016/679 del Parlamento Europeo e del
Consiglio del 27 aprile 2016, cosiddetto GDPR (General Data
Protection Regulation), in sostituzione della direttiva 95/46/CE,
che si riporta integralmente, aiuta a comprendere quelle che
potrebbero essere le conseguenze di una violazione dei dati
personali: “Una violazione dei dati personali può, se non
affrontata in modo adeguato e tempestivo, provocare danni fisici,

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materiali o immateriali alle persone fisiche, ad esempio perdita
del controllo dei dati personali che li riguardano o limitazione dei
loro diritti, discriminazione, furto o usurpazione d'identità,
perdite finanziarie, decifratura non autorizzata della
pseudonimizzazione, pregiudizio alla reputazione, perdita di
riservatezza dei dati personali protetti da segreto professionale o
qualsiasi altro danno economico o sociale significativo alla
persona fisica interessata”.

Attualmente non esiste nessun obbligo né alla vaccinazione contro
il Covid-19 né al tampone antigenico o molecolare ma, se anche
fosse non tenendo conto del consenso informato, potrebbe
prevedere solo una sanzione amministrativa sui cittadini che
omettono l’obbligo ma nessun controllo né richiesta all’accesso da
nessuna parte dato si tratti di dati sensibili sanitari sempre vietati.


Se fosse una Legge che tratta emergenza epidemica o sanitaria,
troverebbe vita nelle ordinanze della massima autorità sanitaria
locale, il Sindaco. Non a caso tutte le sanzioni sulle violazioni
Covid-19 riportano al all’articolo 4 del decreto legge 19/2020
convertito in Legge 22 maggio 2020, n. 35 assolutamente vigente
dove, all’articolo 1 comma 2, si parli di LIMITAZIONE (oraria o
giornaliera) O SOSPENSIONE (chiusura fino a cessata emergenza)
delle varie ATTIVITA’ ma non tocca assolutamente i cittadini. Anzi
l’ordinanza di chiusura delle attività lavorative, previa istruttoria

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che ne identifichi urgenza e contingenza, giustificherebbe sia
l’assenza del dipendente e l’impedimento all’accesso del luogo di
lavoro ma soprattutto la sospensione dello stipendio da parte del
datore di lavoro. Nella nostra giurisprudenza SOLO l’ordinanza di
emergenza territoriale congela tutti i contratti dell’azienda in
essere, come anche le utenze, affitti, mutui ecc.ecc. ma mai
potrebbe modificare i termini discrezionali pattuiti con i
dipendenti né clienti. Men che meno lo può fare il Governo con un
decreto legge od il Presidente del Consiglio dei Ministri con un suo
decreto.

In base alla normativa vigente salta subito all'occhio che non
possa esistere emergenza nazionale, quindi anche la proroga della
delibera fino al 31 dicembre 2021 sembrerebbe inesistente, ma si
potrebbe configurare uno Stato di emergenza di RILIEVO

nazionale, regolamentato dal D.lgs. 1/2018 dove troviamo "Vista


la nota del 31 gennaio 2020, con cui il Ministro della salute ha
rappresentato la necessità di procedere alla dichiarazione dello
stato di emergenza nazionale di cui all'articolo 24 del decreto
legislativo n. 1 del 2018". Si sottolinea l’articolo 24 del D.lgs.
1/2018, il quale dispone: "delibera lo stato d'emergenza di
RILIEVO nazionale, fissandone la durata e DETERMINANDONE
L'ESTENSIONE TERRITORIALE con riferimento alla natura e alla
qualità degli eventi e autorizza l'emanazione delle ordinanze di
protezione civile", dove il Capo della Protezione Civile Curcio MAI

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ha determinato assieme al CTS, che era il suo staff preposto per
emettere le ordinanze, dove si passa sempre dal micro coi Comuni,
i quali sono obbligati ad emettere ordinanza di dichiarazione dello
stato d’emergenza sul proprio territorio (il D.lgs. 112/98
conferisce “alle regioni e (N.d.R: non “o”) agli enti locali e tra
queste, in particolare” (…) “dichiarazione dell'esistenza di
eccezionale calamità o avversità atmosferica, ivi compresa
l'individuazione dei territori danneggiati e delle provvidenze di
cui alla legge 14 febbraio 1992, n. 185”), per arrivare al macro
(aree territoriali, regioni) ma mai all'intero territorio nazionale
mancando uniformità e caratteristiche della calamità. La nube di
Chernobyl poteva essere una calamità sull'intero territorio
nazionale ma, l'epidemia di Covid-19, non interessa di certo tutta
la Nazione. L’epidemia potrebbe essere certamente un fatto
emergenziale, empiricamente individuato e scientificamente

provato, che mettendo in pericolo la salute dei singoli e la


sopravvivenza della comunità nel suo insieme impone al decisore
pubblico di individuare le soluzioni idonee a neutralizzare o
minimizzare i rischi anche attraverso la limitazioni di distinti
diritti e libertà fondamentali. Per comprendere meglio la gestione
statale a quale decisore pubblico fosse attribuita la competenza, lo
troviamo scritto chiaramente nel DL 23 febbraio 2020, n. 6
convertito in Legge 5 marzo 2020, n. 13 nell’articolo 1, comma 1:
“1. Allo scopo di evitare il diffondersi del COVID-19, nei comuni
(N.d.R: Sindaco) o nelle aree (N.d.R: Prefetto) nei quali risulti

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positiva almeno una persona (N.d.R: Condizione minima per avere
urgenza e contingenza cioè reale pericolo per la comunità) per la
quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali
vi è un caso non riconducibile ad una persona proveniente da
un'area già interessata dal contagio del menzionato virus, le
autorità competenti (N.d.R. Sindaco, Prefetto e Presidente di
Regione) sono tenute ad adottare ogni misura di contenimento e
gestione adeguata e proporzionata (N.d.R. Ordinanze comunali
previa istruttoria dello staff tecnico preposto) all'evolversi della
situazione epidemiologica”. Condizione poi richiamata anche dal
DL 25 marzo 2020, n. 19, convertito in Legge 22 maggio 2020, n.
35, dove all’articolo 1 comma 1 troviamo: “1. Per contenere e
contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus
COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale (N.d.R:
Comuni, città metropolitane, province) ovvero, occorrendo (N.d.R:

se riscontrato un positivo a Codiv-19 su tutti i Comuni d’Italia),


sulla totalità di esso, possono essere adottate, secondo quanto
previsto dal presente decreto, una o più misure tra quelle di cui al
comma 2, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non
superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte
fino al 31 dicembre 2021, termine dello stato di emergenza
dichiarato con delibera (delle ordinanze di protezione civile) del
Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, e con possibilità di
modularne l'applicazione in aumento ovvero in diminuzione
secondo l'andamento epidemiologico del predetto virus (N.d.R:

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Ordinanze, in questo caso atti necessitati, previa istruttoria)”. Nel
DL 16 maggio 2020, n. 33 convertito in Legge 14 luglio 2020, n. 74
e DL 7 ottobre 202, n.125 convertito in Legge 27 novembre 2020,
n. 159, si parla di limitazioni solo con provvedimenti adottati ai
sensi dell'articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020, in relazione a
specifiche aree del territorio nazionale, secondo principi di
adeguatezza e proporzionalità al rischio epidemiologico
effettivamente presente in dette aree. Seppur non vengano più
specificate le autorità competenti territoriali è lapalissiano che
siano sempre le stesse. Anche nel DL 7 ottobre 2020, n.125,
coordinato con la legge di 27 novembre 2020, n. 159, viene
inserita una nuovo limitazione, la «hh-bis) con obbligo di avere
sempre con sè dispositivi di protezione delle vie respiratorie, da
imporre sempre come atto necessitato da parte del Sindaco se
previsto dal peggioramento dell’andamento epidemiologico

territoriale. Non a caso tutte le sanzioni sulle violazioni Covid-19


riportano all’articolo 4 del decreto legge 19/2020 convertito in
Legge 22 maggio 2020, n. 35 assolutamente vigente. Senza
ordinanza nessuna violazione, senza violazione nessuna sanzione.

Le ordinanze contingibili ed urgenti producono modifiche nella
sfera giuridica dei soggetti cui sono dirette nonché potrebbero
anche limitarne i diritti. I presupposti di questi atti sono, tuttavia,
rappresentati dalle situazioni di necessità di carattere eccezionale
ed imprevedibile (naturali e non) che non possono essere

20
affrontate con gli strumenti ordinari offerti dall’ordinamento e che
legittimano la Pubblica Amministrazione ad esercitare poteri
extra ordinem. La peculiarità di tali ordinanze è, infatti, costituita
dalla “straordinarietà” la quale consente di superare i limiti
imposti alla normale attività amministrativa al fine di poter
intervenire con immediatezza, prima che la situazione di pericolo
divenga non più risolvibile. Quindi, i presupposti per l’adozione
dei provvedimenti de quibus possono essere individuati
nell’urgenza, cioè nella indifferibilità dell’atto, nella contingibilità,
ovvero nella straordinarietà (accidentalità) e imprevedibilità
dell’evento, nella temporaneità degli effetti del provvedimento
legata al perdurare dello stato di necessità. Il potere del sindaco di
emanare ordinanze contingibili e urgenti di cui agli articoli 50,
5°comma, e 54, 2°comma, del D.Lgs. 267/2000 permette anche
l’imposizione di obblighi di fare a carico dei destinatari e, quindi,

l’esercizio di questo potere non può prescindere dalla sussistenza


di un effettivo e concreto pericolo per l’incolumità pubblica
(almeno un positivo Codiv-19 sul territorio comunale), che deve
essere opportunamente motivato con una istruttoria approfondita
(sul punto vedi anche T.A.R. Campania Napoli sezione V, sentenza
11.05.2007 n.4992). In questo caso però abbiamo strumenti
dettagliatamente regolamentati che seguono l’ordinamento e ne
fanno indiscutibilmente “atti necessitati” che non possono
superare le limitazioni imposte da decreto legge. Infatti spetta alla
Regione intervenire per restringere una limitazione già vigente

21
ma che non sembra bastare. Ecco perché i Sindaci ed i Prefetti
sono chiamati in prima persona ad affrontare questa emergenza,
data una situazione non uniforme su tutto il territorio, infatti
vengono chiamati ad imporre UNA o PIU’ limitazioni in base
esclusivamente alla conferma di avere un malato di Covid-19 (una
limitazione lo è già con l’isolamento del malato che non richiede
risarcimento danni) sul proprio territorio e seguendo l’andamento
epidemiologico. Condizione che, in base alla giurisprudenza del
Giudice delle Leggi, diventa obbligo di motivazione con i principi
di ragionevolezza e proporzionalità dell’ordinanza rispetto alla
situazione da disciplinare. Il Cons. di Stato, sez. IV^, 11/12/2013,
n. 5973, afferma che: “Le cd. ordinanze extra ordinem, dove solo il
Sindaco, in qualità di rappresentante della comunità locale, possa
adottare le predette ordinanze in caso di emergenze sanitarie o di
igiene pubblica a carattere esclusivamente locale. Non hanno

carattere di fonti primarie dell’ordinamento giuridico, attesa la


loro efficacia meramente derogatoria, e non innovativa,
nell’ordinamento medesimo, né l’eventuale attribuzione ad esse
della qualifica di atti di alta amministrazione le sottrae al
sindacato giurisdizionale, dato che tali atti sono pacificamente
sindacabili dal giudice amministrativo.” È stato puntualmente
affermato, inoltre, che il potere d’ordinanza di cui si discute
presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge
di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da
istruttoria adeguata e da congrua motivazione che, in ragione

22
della contestuale sussistenza dei predetti requisiti, giustificano la
deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la
possibilità di derogare alla disciplina vigente. Questo vuol dire che
la positività a tamponi, la preoccupazione delle varianti del virus,
ad oggi troviamo normato solo il Sars Cov-2, e le decisioni basate
su un numero di riproduzione effettivo (Rt), mai menzionato in
nessuna Legge non possono essere un parametro da prendere in
considerazione per assumere decisioni importanti, non bastano
per giustificare qualunque restrizione dei diritti dei cittadini, quali
la libertà di riunione pacifica e senz’armi, la libertà di movimento
e di autodeterminazione in materia sanitaria, il diritto al lavoro,
alla vita privata e pubblica, nonché il diritto all’istruzione dei
minori, il quale comprende anche attività di socializzazione ed
inclusione. Se, ad esempio, tale ordinanza è stata emanata con
eccesso di potere, difetto di istruttoria, illogicità manifesta,

contraddittorietà della motivazione, travisamento dei fatti, difetto


di attribuzione o le altre figure che comportano l’annullabilità del
provvedimento amministrativo o la sua diretta nullità, rendendo
l’ordinanza non valida, questa non è nemmeno eseguibile. Per tale
ragione il mancato rispetto di un’ordinanza illegittima non è
sanzionabile.

In tema di interventi sostitutivi della Regione nei confronti di enti
locali, quindi Sindaci e Prefetti, la Corte Costituzionale ha stabilito
che, affinché questi possano essere correttamente esercitati

23
occorre che:
- l‘ipotesi di sostituzione sia prevista da una legge che fissi
precisi presupposti sostanziali e procedurali (N.d.R. La
collaborazione, ma non sostituzione, delle Regioni viene
menzionata all’articolo 1, comma 16 del DL 16 maggio
2020 n. 33);
- il potere sostitutivo concerna atti la cui obbligatorietà sia
espressiva di interessi di dimensione più ampia (N.d.R. Le
ordinanze regionali non possono comunque rivolgersi
direttamente ai cittadini, dato la non uniformità dei malati
di Codiv-19 sul territorio, quindi necessitano di essere
recepite tramite atti necessitati comunali pubblicati
sull’albo pretorio di ogni comune interessato alla Stato di
Emergenza);
- il relativo potere venga esercitato da organi di governo

della Regione;
- sia previsto un apposito procedimento, nel cui ambito, in
conformità al principio di leale collaborazione, sia
consentito all’ente, che deve essere sostituito, di
interloquire ed eventualmente di provvedere direttamente
(N.d.R. Rimane la legge regionale a stabilire le forme e i
metodi della partecipazione degli enti locali alla
formazione dei piani e dei programmi regionali e degli altri
provvedimenti della regione);
Risultano chiari la sinergia e lo sforzo richiamati dai Decreti Legge

24
nei confronti dei sindaci, dei prefetti e dei governatori di Regione,
ma in quest’ordine preciso.

I DPCM, regolamentati da LEGGE 23 agosto 1988, n. 400
all’articolo 18 comma 2 che oltretutto ci mostrano chiaramente
che sono esclusivamente atti di alta amministrazione, utilizzati
per la nomina di alte cariche dirigenziali. Diversi sono i Decreti del
Presidente della Repubblica, come i Decreti Ministeriali od i
Decreti Iinterministeriali. Con specifico riferimento alla potestà
regolamentare dei singoli ministeri, in base all'art. 17, commi 3 e 4
della legge n. 400/1988, con decreto ministeriale possono essere
adottati REGOLAMENTI nelle materie di competenza del ministro
o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge
espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per
materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con

decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita


autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed
interministeriali diventano fonti secondarie e non possono dettare
norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo in
quanto organo collegiale e devono essere comunicati al Presidente
del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione. Anche i
regolamenti ministeriali ed interministeriali, come quelli
governativi sono adottati previo parere del Consiglio di Stato e
sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e
pubblicati nella Gazzetta Ufficiale. Seppur richiamati dal DL 25

25
marzo 2020, n. 19, convertito in Legge 22 maggio 2020, n. 35,
dove all’Art. 2 - Attuazione delle misure di contenimento – comma
1. Le misure di cui all'articolo 1 sono adottate (N.d.R dal Sindaco)
con uno o piu' decreti del Presidente del Consiglio dei ministri,
su proposta del Ministro della salute, sentiti il Ministro
dell'interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell'economia e
delle finanze e gli altri ministri competenti per materia, nonche' i
presidenti delle regioni interessate, nel caso in cui riguardino
esclusivamente una regione o alcune specifiche regioni, ovvero il
Presidente della Conferenza delle regioni e delle province
autonome, nel caso in cui riguardino l'intero territorio nazionale”
non modificano la loro funzione ad atto di nomina di alta
amministrazione e non di regolamento se non come decreto
interministeriale. Infatti non hanno conferito al Presidente del
Consiglio dei ministri una funzione legislativa in violazione degli

artt. 76 e 77 Cost., né tantomeno poteri straordinari da stato di


guerra in violazione dell’art. 78 Cost., ma hanno ad esso attribuito
unicamente il compito di dare esecuzione alla norma primaria
mediante atti amministrativi sufficientemente tipizzati. Quindi
non solo non ci sentiamo obbligati da nessuna imposizione
emessa con i DPCM ma, se anche avessero la funzione di
regolamenti e non ce l’hanno, dato che le limitazioni previste nei
DL non potevano rivolgersi direttamente ai cittadini, i sindaci
devono, qualora ne sussistano i presupposti di necessità e urgenza
dovrebbero recepire i DPCM con ordinanza contingibile e urgente

26
applicativa di una o più misure, per poter forse aver forza di Legge
e forse comminare la sanzione amministativa prevista per la
violazione della stessa ma, in base alla Legge 241/90 le ordinanze
DEVONO avere base legislativa per poter essere emesse quindi i
DPCM non soddisfano questi requisiti obbligatori. Nemmeno
possono produrre la base legislativa per il trattamento dei dati
sensibili sanitari dei cittadini. Una specie di finto scudo penale che
poco regge se un cittadino ne diventa consapevole.

Un Comune che non abbia dichiarato l’emergenza (“chiesto aiuto”
alla Regione) NON è in essa coinvolto e NON ha ragione di
applicare le misure previste per gestire un’emergenza che in quel
Comune non esiste. Il Sindaco ha il dovere di informare la
popolazione che l’emergenza non c’è e la vita deve scorrere come
sempre, pur con le dovute attenzioni alle “raccomandazioni

sanitarie”, che sono “[…]appannaggio dello Stato. L’art. 112,


comma 3, lettera g) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle
regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo
1997, n. 59) ha da ultimo confermato, quanto alla sorveglianza ed
al controllo di epidemie di dimensioni nazionali e internazionali,
la competenza statale, pur delegata alle Regioni dall’art. 7, comma
1, lettera a) della menzionata legge n. 833 del 1978[…]” (stralcio
sentenza succitata del Giudice delle Leggi n. 37/21).

27
Tutte le superiori premesse, sono in sostanza confermate dalla
sentenza della Corte Costituzionale n. 37/21, giacché come
chiaramente espresso in sentenza “Val D’Aosta: “[…]che con tale
previsione il legislatore non abbia inteso riferirsi all’ovvio limite
territoriale di tutti gli atti assunti in sede decentrata, ma,
piuttosto, alla natura della crisi sanitaria da risolvere, viene poi
confermato dall’art. 117 del D. Lgs n. 112 del 1998, che modula
tra Comune, Regione e Stato gli interventi emergenziali nella
materia qui coinvolta, a seconda “della dimensione dell’emergenza
e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali
regionali”. Tale disciplina ha poi trovato conferma nell’art. 50,
comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 (Testo
Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali)[…]”. Infatti la
Corte Costituzionale richiama l’art. 50 del TUEL: “[…] in caso di
emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere

esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono


adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità
locale..”. Ed ancora la Corte continua :” […]L’art. 7, comma 1,
lettera c), in correlazione con l’art. 24 (ndr: Codice della
Protezione Civile) seguente, radica nello Stato il potere di adottare
ordinanze contingibili e urgenti di protezione civile, acquisita
l’intesa con le Regioni e le Province autonome «territorialmente
interessate», sicché, ancora una volta, è l’eventuale
concentrazione della crisi su di una porzione specifica del
territorio ad imporre il coinvolgimento delle autonomie quando,

28
pur a fronte di simile localizzazione, l’emergenza assuma
ugualmente “rilievo nazionale”, a causa della inadeguata «capacità
di risposta operativa di Regioni ed enti locali» (sentenza n. 327 del
2003; in seguito, sulla .necessità di acquisizione dell’intesa in tali
casi, sentenza n. 246 del 2019)[…]”. E nel senso di favorire
l’unitarietà dell’azione di tutti gli enti coinvolti, la Corte caldeggia:
“[…]un’azione o un coordinamento unitario può emergere come
corrispondente alla distribuzione delle competenze costituzionali
e alla selezione del livello di governo adeguato ai sensi dell’art.
118 Cost. e che “[…]le scelte compiute a titolo di profilassi
internazionale si intrecciano le une con le altre, fino a disegnare
un quadro che può aspirare alla razionalità solo se i tratti che lo
compongono sono frutto di un precedente indirizzo unitario[…]”,
che parta dalla base ovvero dalla disciplina prevista dall’art. 50,
comma 5 TUEL. Giova altresì sottolineare che le suesposte

considerazioni sono avallate dall’ art. 12 dell’Atto del Governo n.


479 Articolo 1 Legge 16 marzo 2017, n. 30 “Riordino delle
disposizioni legislative in materia di sistema nazionale della
protezione civile”: “[…]L’art. 12 specifica che il sindaco, in
coerenza con quanto previsto dal TUEL (decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267), per finalità di protezione civile è
responsabile, altresì, dei seguenti ambiti: l’adozione di
provvedimenti anche contingibili ed urgenti volti a prevenire ed
eliminare gravi pericoli per l’incolumità pubblica, anche sulla base
delle valutazioni formulate dalla struttura di protezione civile. Nel

29
caso in cui la calamità naturale o l’evento non possano essere
fronteggiati con i mezzi a disposizione del comune o di quanto
previsto nell’ambito della pianificazione, al sindaco spetta la
richiesta dell’intervento di altre forze e strutture al prefetto, che
adotta i provvedimenti di competenza, coordinando i propri
interventi con quelli della Regione”.

In estrema sintesi: l’emergenza di protezione civile deve partire
ed essere richiesta dal territorio, in cui si manifesta l’evento
calamitoso, rammentando che il D. lgs. 1/2018 non distingue tra
tipi di calamità e si occupa in particolare delle risorse per gestirle
e prevede che un’amministrazione possa “dichiarare lo stato di
crisi” SOLO QUANDO ABBIA ESAURITO LE RISORSE e abbia
necessità di accedere a quelle dell’amministrazione superiore.
Sindaci, prefetti e presidenti di Regione, dunque, hanno il preciso

compito di informare i cittadini sui reali rischi in base ai dati


epidemiologici (malati con diagnosi) e non virologici (positività al
tampone), nonché sulla effettiva non applicabilità dei decreti-
legge emessi per gestire l’emergenza laddove non sia stata
dichiarata emergenza alcuna. Un andamento che andava
MONITORATO ancora dal 23 febbraio 2020, con l’istituzione di
uno staff tecnico preposto dal Sindaco stesso. Andamento che
poteva essere preoccupante ma anche calmante per i cittadini.
Applicare ordinanze ma anche disapplicarle. Come mai i cittadini
hanno 18 mesi di limitazioni se le stesse non sono presenti negli

30
atti necessitati in emergenza? Andando a controllare l’albo
pretorio sia di Codogno o Bergamo, se non quello della regione
Lombardia, non si trova menzione di nessuna delibera di stato di
emergenza neanche a febbraio/marzo 2020. Come ha potuto il
Presidente del Consiglio Conte mettere in LockDown l’intera
Nazione? Chiudendo le scuole e le attività produttive e lavorative,
se non tutti i cittadini in casa, non avendone neanche la
competenza né autorità?

La gestione dell’emergenza epidemica partiva dai comuni fino alle
attenzioni regionali. Sono altresì fatti salvi i poteri degli organi
dello Stato preposti in base alle leggi vigenti alla tutela dell'ordine
pubblico” e il Decreto legislativo n. 112/1998, Art. 117 (Interventi
d'urgenza) dove troviamo: “1. In caso di emergenze sanitarie o di
igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze

contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale


rappresentante della comunità locale”. La possibilità di introdurre
limitazioni alle libertà fondamentali per accadimenti legati alle
esigenze di tutela della salute non discende solo dalla sua
coessenziale natura di “interesse della collettività” che lo
riconduce nel novero dei diritti sociali ma anche dal principio
fondamentale di solidarietà sociale evincibile dall’art. 2 della
Costituzione in forza del quale ciascun consociato è tenuto a
rinunciare ad una quota dei diritti della propria sfera di libertà per
esigenze superiori connesse alla comune appartenenza ad una

31
comunità organizzata vieppiù quando sia messa in pericolo la sua
stessa esistenza, quando comunque ne esistano i presupposti e
per periodi brevi e giustificati dall’emergenza stessa. Non di certo
per quasi due anni sull’intero territorio nazionale e sulla positività
di tamponi antigenici o molecolari senza ulteriori esami per
confermare la reale presenza del Sars Cov-2. Consultando il sito
internet della Protezione civile non risulta alcuna Ordinanza del
Capo della protezione civile (o.c.d.p.c.) che sia stata emessa prima
del 21 Gennaio 2020 in relazione “all'insorgenza di patologie
derivanti da agenti virali trasmissibili”, né risulta alcuna O.c.d.p.c.
in assoluto tra il 21 Gennaio 2020 ed il 3 Febbraio 2020.
Consultando il sito internet del Consiglio dei Ministri non risulta
alcun decreto del Presidente del Consiglio dei ministri a mezzo
del quale si disponga la mobilitazione strordinaria del Servizio
Nazionale di protezione civile, né delle eventuali regioni o

province autonome coinvolte che attestino il pieno dispiegamento


delle risorse territoriali disponibili. Da massiva consultazione
delle sezioni degli Albi pretori online di svariati comuni lungo il
territorio nazionale, nonché delle regioni non risulta alcun atto di
dichiarazione dello stato di emergenza da parte delle
amministrazioni regionali o comunali in tutto il territorio
nazionale. Con quale autorizzazione sono stati emessi gli aiuti
statali? La Corte dei Conti non si è accorta della mancanza di
delibera di stato di emergenza a rilievo nazionale? La delibera del
Consiglio dei ministri del 30 Gennaio 2020 e le successive

32
deliberazioni di proroga dichiarano l’esistenza di una “emergenza
nazionale” non prevista dal Codice di protezione civile che parla,
ben differentemente, di “emergenza di rilievo nazionale” e
inesistente di fatto nel panorama giuridico nazionale. L'articolo 24
del D. Lgs.vo 1/2018 prevede che il Consiglio dei Ministri sia
obbligato a determinare non solo la durata dell'emergenza ma
anche la sua estensione territoriale. In buona sostanza, nel caso di
specie, il Consiglio dei ministri ha illegittimamente effettuato una
inversione (rectius: uno sconvolgimento) procedurale rispetto a
quanto disciplinato dalla citata normativa, applicando
coattivamente una autoproclamata ed autoreferenziante
dichiarazione di emergenza nazionale, non giustificata neanche
dai dati epidemiologici esistenti a quella data.

Le Delibere del Consiglio dei Ministri con le quali veniva rinnovato

lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario


connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali
trasmissibili, visto il decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1,
ed in particolare gli articoli 25 e 27; viste la delibera del
Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, con la quale e' stato
dichiarato, per sei mesi, lo stato di emergenza sul territorio
nazionale relativo al rischio sanitario connesso all'insorgenza di
patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, la delibera del
Consiglio dei ministri del 29 luglio 2020 con cui il medesimo stato
di emergenza e' stato prorogato fino al 15 ottobre 2020, la

33
delibera del Consiglio dei ministri del 7 ottobre 2020 con cui il
medesimo stato di emergenza e' stato prorogato fino al 31
gennaio 2021, la delibera del Consiglio dei ministri del 13
gennaio 2021 che ha prorogato il citato stato di emergenza fino al
30 aprile 2021 e la delibera del Consiglio dei Ministri del 21 aprile
2021 che ha previsto l'ulteriore proroga dello stato di emergenza
fino al 31 luglio 2021; visto il decreto legge 22 aprile 2021, n.
52, recante «Misure urgenti per la graduale ripresa delle attivita'
economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di
contenimento della diffusione dell'epidemia da COVID-19»;
visto il decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105 recante «Misure
urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19
e per l'esercizio in sicurezza di attivita' sociali ed economiche»
che all'articolo 1 ha previsto l'ulteriore proroga dello stato di
emergenza fino al 31 dicembre 2021; non possono sottrarsi al

presente sindacato giurisdizionale né ove li si connoti quali atti


politici per tanto “liberi nei fini”, né, ancor più, ove si configurino,
più correttamente, quali atti di alta amministrazione.
L’attribuzione della qualifica di atto politico alla Delibera del
Consiglio dei ministri dichiarativa dello stato di emergenza di
rilievo nazionale ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lett. c) del D.
Lgs.vo 1/2018 (c.d. Codice della Protezione civile) potrebbe
essere, in realtà, errata poiché essa difetta del requisito oggettivo,
proprio degli atti politici, della cura di interessi statali supremi ed
unitari nella prospettiva volta a garantire il libero funzionamento

34
dei pubblici poteri che affondi le proprie radici nella Costituzione,
ovvero, come ritenuto da altra giurisprudenza, nell’essere l’atto
concernente la costituzione, la salvaguardia e il funzionamento dei
pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro
coordinata applicazione (ex plurimis: Cons. Stato, n.6083/2011;
Cons. Stato, n. 209/2007; Cons. Stato, 12 marzo 2001, n.
1397/2001). In realtà gli atti consistono e si sostanziano in atti di
alta amministrazione e non politici poiché, seppur connotati dal
carattere dell’ampia discrezionalità amministrativa, essi erano e
sono vincolati al perseguimento di un particolare interesse
pubblico. Ma, ancor di più, va osservato come migliore e più
evoluta giurisprudenza ha sottratto alla dicotomia atto
politico/atto di alta amministrazione la funzione di attribuzione
del carattere dell’insindacabilità cosicchè al fine di valutare
l’ammissibilità o meno della sottoposizione a vaglio giudiziale

dell’atto non debba prendersi le mosse dalla superiore


distinzione, ovvero dai suoi caratteri soggettivi ed oggettivi
(secondo una ormai risalente tradizione giurisprudenziale),
quanto piuttosto dalle caratteristiche della norma posta a
fondamento della funzione esercitata con l’atto impugnato .
Tale impostazione metodologica consegue ai noti approdi
giurisprudenziali di Corte Costituzionale num. 81/2012 del
05.04.2012 (Estensore Cartabia, Presidente Quaranta) e di Corte
Costituzionale 52/2016 del 10.03.2016 (Estensore Zanonn,
Presidente Cartabia). In particolare Corte Cost. 81/2012 insegna:

35
“Gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei
principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a livello
costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore
predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi,
in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto; nella
misura in cui l’ambito di estensione del potere discrezionale,
anche quello amplissimo che connota un’azione di governo, è
circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i
confini o ne indirizzano l’esercizio, il rispetto di tali vincoli
costituisce un requisito di legittimità e di validità dell’atto,
sindacabile nelle sedi appropriate”. Tale ratio decidendi è stata
ripresa anche dalla successiva sentenza della Corte Costituzionale
num. 52/2016. Anche Cons. Stato, Sez. V, n. 4502/2011 aveva , già
in precedenza, ritenuto che: “Il vero argumentum principis a
sostegno della insindacabilità sembra essere la mancanza di

parametri giuridici alla stregua dei quali poter verificare gli atti
politici. Le uniche limitazioni cui l’atto politico soggiace sono
costituite dall’osservanza dei precetti costituzionali, la cui
violazione può giustificare un sindacato della Corte Costituzionale
di legittimità sulle leggi e gli atti aventi forza di legge o in sede di
conflitto di attribuzione su qualsivoglia atto lesivo di competenze
costituzionalmente garantite”. Infine, parimenti, la Corte di
Cassazione ha aderito ad una siffatta impostazione. In particolare,
con la ordinanza 12 Luglio 2019, n. 18829, le Sezioni Unite Civili
hanno evidenziato come: “queste Sezioni Unite (cfr. Cass. Civ. sez.

36
un., n. 21581 del 2011; n. 10416 del 2014; n. 10319 del 2016; n.
3146 del 2018) hanno già avuto modo di porre in rilievo, in
consonanza con l’orientamento della Corte Costituzionale (Corte
Cost. n. 81 del 2012; n. 339 del 2007), che l’esistenza di aree
sottratte al sindacato giurisdizionale va confinata entro limiti
rigorosi. Ed, infatti, per ravvisare il carattere politico di un atto, al
fine di sottrarlo al sindacato del giudice, occorre che sia
impossibile individuare un parametro giuridico (sia norme di
legge, sia principi dell’ordinamento) sulla base del quale svolgere
il sindacato giurisdizionale: quando il legislatore predetermina
canoni di legalità ad essi la politica deve, appunto, attenersi, in
ossequio ai principi fondamentali dello Stato di diritto. In
concreto, quando l'ambito di estensione del potere discrezionale,
quale che esso sia, sia circoscritto da vincoli posti da norme
giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l’esercizio, il

rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di


validità dell’atto, sindacabile appunto, nei modi e nelle sedi
appropriate”. La dichiarazione dello stato di emergenza in
conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di
patologie derivanti da agenti virali trasmissibili adottata dal
Governo il dì 31.01.2020 con delibera nr. 36 del Consiglio dei
Ministri, rinnovata sino al 31 dicembre 2021 con decreto legge,
seppur connotata da ampia discrezionalità risulta, invece,
circoscritta da specifici vincoli di merito posti dalla Legge (D.
Lgs.vo 1/2018) che ne segnano e delineano i confini e ne

37
indirizzano l’esercizio di talchè il rispetto di siffatti vincoli
costituisce un requisito di legittimità e di validità dell’atto, sempre
sindacabile in sede giurisdizionale ove contrastante con i canoni
di ragionevolezza, adeguatezza e coerenza prescritti dall’Art. 97
Cost. Il problema è che non potrebbe neanche essere dichiarata
nulla ma diventerebbe inesistente. E’ noto come l’Art. 21 septies L.
241/1990 abbia normativizzato le ipotesi di nullità
configurandole come numerus clausus cosicchè essa,
rappresentando l’eccezione rispetto alla categoria generale
dell’annullabilità, sia adottabile nei soli casi di: a) difetto degli
elementi essenziali; b) difetto assoluto di attribuzione; c) adozione
dell’atto nullo in violazione o elusione del giudicato; d) in tutti gli
altri casi espressamente previsti dalla legge (Ex plurimis Cons.
Stato Sez. VI, 28/02/2006, n. 891; Cons. Stato, Sez. IV,
11/03/2013, n. 1473; T.A.R. Lazio Roma, Sez. I quater,

10/04/2018, n. 3943; Cons. Stato Sez. IV Sent. 18/11/2014, n.


5671; Cons. Stato Sez. V Sent. 04/05/2017, n. 2028;) ma come si
può impugnare una delibera che non c’è, dato venga prorogata
tramite un altro strumento non amministrativo come un decreto
legge? E su questo basare tutto l’impianto di gestione
dell’emergenza in Italia tenendo sotto scacco milioni di cittadini
ed i loro diritti? Come già menzionato, nella specie ricorrono ben
tre ipotesi di nullità insanabile e cioè:
- Sia il difetto assoluto di potere per avere il Consiglio dei
Ministri esercitato i poteri di declaratoria dello stato di

38
emergenza di rilevanza nazionale seppur difettasse
qualsivoglia delle fattispecie mentovate nell’articolo 7,
comma 1, lettera c) del Decreto legislativo 2 Gennaio 2018
num. 1;
- Sia il difetto assoluto dell’oggetto poiché lo stesso Codice
della protezione civile regola e disciplina all’Art. 24, pur
richiamato in seno ai contestati provvedimenti
amministrativi, la dichiarazione di “emergenza di rilievo
nazionale” e non mai una “emergenza nazionale ed
internazionale” con ciò palesando come un siffatto
provvedimento necessiti, oltre che e prima della sua
delimitazione temporale (Art. 24 comma 3°), della
individuazione e delimitazione territoriale della situazione
di emergenza la quale, insorgendo in una o più zone
specifiche del territorio della Repubblica italiana, dipoi,

per le sue conseguenze, l’intensità dei suoi effetti, la sua


diffusività e/o pervasività ininterrotta, sfoci in una
“emergenza di rilievo nazionale”.
- Sia, infine, il difetto assoluto della causa poiché i
provvedimenti sono stati adottati dal Governo italiano
previa integrale elusione di altro e pertinente strumento e
cioè il Piano Nazionale di preparazione e risposta alla
pandemia influenzale stilato secondo le indicazione
dell’organizzazione mondiale della Sanità il quale si
articola in ben 6 fasi commisurate al crescente livello di

39
intensità della diffusione virale e della gravità delle sue
conseguenza sul tessuto sociale.

La delibera nr. 36 del 31 dicembre 2020 sembrerebbe, altresì,
inficiata da nullità per assoluto difetto e sviamento di potere
giacchè, con esso e con le deliberazioni precedenti già menzionate,
si sono distolte le competenze attribuite agli organi ai quali l'unico
strumento veritieramente utilizzabile in occasione della diffusione
della pandemia da Covid 19, e cioè il piano pandemico nazionale,
assegnava specifiche funzioni, facoltà e competenze al fine di
affrontare una pandemia influenzale come lo è la patologia Covid
19. I provvedimenti hanno dato corso ad una gestione della
situazione di emergenza sanitaria che ha del tutto sviato dalle
linee guida individuate dal Piano pandemico nazionale sottraendo
poteri, competenze e funzioni agli organi istituzionalmente

preposti.

"Nelle ultime due settimane - ha dichiarato il direttore generale
dell'OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus nella conferenza stampa
di oggi su COVID19 - il numero di casi di COVID-19 al di fuori della
Cina è aumentato di 13 volte e il numero di paesi colpiti è
triplicato, ci sono più di 118.000 casi in 114 paesi e 4.291 persone
hanno perso la vita. Altre migliaia stanno lottando per la propria
vita negli ospedali.

40
Nei giorni e nelle settimane a venire, prevediamo che il numero di
casi, il numero di decessi e il numero di paesi colpiti
aumenteranno ancora di più. L'OMS ha valutato questo focolaio 24
ore su 24 e siamo profondamente preoccupati sia dai livelli
allarmanti di diffusione e gravità, sia dai livelli allarmanti di
inazione. Abbiamo quindi valutato che COVID-19 potrebbe essere
caratterizzato come una pandemia. Pandemia non è una parola da
usare con leggerezza o disattenzione."

"Descrivere la situazione come una pandemia - ha proseguito il
direttore dell'OMS - non cambia la valutazione dell'OMS sulla
minaccia rappresentata da questo virus. Non cambia ciò che l'OMS
sta facendo e non cambia ciò che i paesi dovrebbero fare.
Siamo grati per le misure adottate in Iran, Italia e Repubblica di
Corea per rallentare il virus e controllare le loro epidemie.

Sappiamo che queste misure stanno mettendo a dura prova le


società e le economie, proprio come hanno fatto in Cina."

L’ 11 marzo 2020 risulta palese che l’OMS dichiari a mezzo stampa
che il COVID-19 potrebbe essere caratterizzato come una
pandemia ma non ne applica poi il piano pandemico. Dall’idea sia
per l’OMS che il Ministero della Salute non c’erano poi realmente
le condizioni per gestirla come tale. Qui non è negare la pandemia,
è accettare che non ci sia mai stata se non per i titoli dei media od i
vari comunicati dei nostri politici. Il Piano nazionale di

41
preparazione ad una pandemia influenzale (c.d. Piano pandemico)
è un accordo fra la Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano ed il
Ministero della Salute. Tale accordo è stato adottato in data 9
Febbraio 2006 (GU n.77 del 1-4-2006 - Suppl. Ordinario n. 81) ai
sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.
281, che attribuisce alla Conferenza la facolta' di sancire accordi
tra Governo, Regioni e Province autonome, “in attuazione del
principio di leale collaborazione, al fine di coordinare l'esercizio
delle rispettive competenze per svolgere attivita' di interesse
comune”. In detta occasione, la conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e
Bolzano, nella seduta del 9 febbraio 2006, sanciva tale accordo tra
il Ministero della salute e le Regioni e le Province autonome
disponendo: “Vista la nota in data 1° febbraio 2006, con la quale il

Ministero della salute ha inviato a questa Conferenza la proposta


di accordo per un Piano nazionale di preparazione e risposta per
una pandemia influenzale, stilato secondo le indicazioni
dell'OMS del 2005, che aggiorna e sostituisce il precedente Piano
italiano multifase per una pandemia influenzale; Considerato che
il predetto Piano nazionale rappresenta il riferimento nazionale
in base al quale saranno messi a punto i Piani operativi regionali e
contiene, come allegato, le Linee guida per la stesura di tali Piani
regionali; Vista la nota in data 7 febbraio 2006, con la quale il
Coordinamento della Commissione salute delle Regioni ha

42
espresso il parere tecnico favorevole sulla proposta di accordo in
oggetto; Acquisito nel corso dell'odierna seduta l'assenso del
Governo e dei Presidenti delle Regioni e Province autonome
sull'accordo per un Piano nazionale di preparazione e risposta
per una pandemia influenzale, nei termini di cui all'allegato sub
A”. Il piano, stilato secondo le indicazioni dell'OMS del 2005 e
vigente fino al 2021, rappresentava, dunque, il riferimento
nazionale in base al quale devono essere messi a punto i Piani
operativi regionali. Esso si sviluppava secondo le 6 Fasi pre
pandemiche e pandemiche dichiarate dall'OMS, prevedendo per
ogni fase e livello, delle azioni da intraprendere e degli obiettivi da
raggiungere. L'obiettivo del Piano pandemico era rafforzare la
preparazione alla pandemia a livello nazionale e locale. Il Centro
nazionale prevenzione e controllo malattie (comitato scientifico
permanente) è il “primo organismo “federale” di coordinamento

tra i diversi livelli del sistema sanitario italiano, voluto dallo Stato
e dalle Regioni per fronteggiare le emergenze sanitarie e
promuovere la salute dei cittadini. Il CCM è stato istituito con la
Legge 138 del 26 maggio 2004 e il Decreto del Ministro della
Salute del 1° luglio 2004 ne ha definito l’organizzazione.
In coerenza con i Princìpi del Piano, il Ministero della salute si
faceva carico di individuare e concordare:
- con le Regioni le attività sanitarie sia di tipo preventivo che
assistenziale da garantire su tutto il territorio nazionale.
- con i Dicasteri coinvolti le attività extrasanitarie e di

43
supporto, finalizzate sia a proteggere la collettività che a
mitigare l’impatto sull’economia nazionale e sul
funzionamento sociale, comunque necessarie per
preparazione e per la risposta ad una pandemia, nonché gli
aspetti etici e legali a supporto delle attività concordate
- con il Ministero degli Affari Esteri e con gli Organismi
Internazionali preposti gli aspetti di cooperazione
internazionale e assistenza umanitaria
Con il Piano, l’Italia avrebbe dovuto adottare le nuove fasi
emanate dall’OMS nell’aprile 2005 e vigenti fino al 2021, e
condividere gli obiettivi di Sanita’ pubblica raccomandati dall’OMS
per ogni fase. Le fasi ed i livelli di rischio erano quindi così
categorizzate:
- Periodo interpandemico da Fase 1 a Fase 5
- Periodo Pandemico da Fase 6

Per ogni fase sono illustrati i rispettivi obiettivi di sanità pubblica.


La possibilità di valutare la dichiarazione dell’emergenza
epidemica e l’intervento della massima autorità sanitaria
territoriale (Sindaco) era prevista solo a partire dalla fase 5.
Fasi e livelli di rischio sono dichiarati dall’OMS, anche in
successione non sequenziale. Nell’eventualità di situazioni
simultanee che pongono differenti livelli di rischio pandemico, es.
nuovi e diversi sottotipi di virus influenzali o diversa estensione e
diffusione in diverse aree, la fase sarà determinata dal più alto
livello di rischio. Tutte le misure previste per le Fasi 1-6 sono da

44
intendersi addizionali e, quindi, ove l’evento pandemico sia
avviato nel Paese in un momento successivo alle prime fasi, tutte
le misure previste per le Fasi precedenti e non realizzate
dovranno essere contemporaneamente realizzate in aggiunta alle
misure espressamente previste per la fase dichiarata (se verrà
saltata una fase nel passaggio da una inferiore ad una superiore, si
deve intendere che le azioni della fase saltata devono essere
implementate, senza che esse siano superate dalle azioni della
nuova fase). Così, il raggiungimento di una fase e di un
determinato livello, devono costituire momenti preparatori per
l’implementazione di contromisure previste per fasi e livelli
successivi, tenendo conto della progressione epidemica.
La comunicazione/dichiarazione di fase, incluso l’incremento o il
depotenziamento, sarà fatta dal Direttore Generale dell’OMS, in
accordo con i regolamenti esistenti che governano la notifica e il

controllo delle malattie infettive (ad es. il Regolamento Sanitario


Internazionale) e, se necessario, in consultazione con altre
Organizzazioni e Istituzioni.
A livello nazionale, l’informazione sulla dichiarazione di fase
dell’OMS e sul corrispondente livello di allerta nel Paese verrà
data dal Ministro della salute, delle quali non si trovano menzione.
La comunicazione alla nazione della dichiarazione di pandemia da
parte dell’OMS sarà fatta dal Presidente del Consiglio su
indicazione del Ministro della salute, della quale però non si
trovano comunicati. La Conferenza Stato-Regioni nella seduta del

45
2021 ha sancito l’accordo, ai sensi dell’articolo 4 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le Regioni e le
Province autonome di Trento e Bolzano, sul Piano strategico-
operativo nazionale di preparazione e risposta a una pandemia
influenzale (PanFlu 2021-2023). Il Piano aggiorna e sostituisce i
precedenti Piani pandemici Influenzali ed è stato predisposto sulla
base delle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS). In ambito nazionale, trae il suo fondamento dal
Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025 e dal Piano
Nazionale della Prevenzione Vaccinale, del gennaio 2017. Questo
piano, pur facendo tesoro di quanto appreso dalla pandemia in
corso, si focalizza, nel suo testo principale e nelle sue appendici,
sulla preparazione rispetto a scenari pandemici da virus
influenzali. Per la sua realizzazione è stato formalmente istituito
un gruppo di lavoro istituzionale multidisciplinare e

multisettoriale esteso. Successivamente, considerando le lezioni


apprese dalla pandemia 2009 e dalla pandemia di COVID-19,
quando rilevanti per una futura pandemia influenzale, il
documento è stato rivalutato e rivisto nuovamente dai principali
attori coinvolti, avviando una consultazione sul piano stesso.
Questa attività ha prodotto la forma finale del documento. Il Piano
pandemico influenzale 2021-2023 identifica, per diverse
dimensioni operative, le azioni chiave per i prossimi tre anni.
Definisce i ruoli e le responsabilità del Servizio Sanitario
Nazionale nella preparazione e risposta ad una pandemia

46
influenzale, nel contesto della risposta dell’insieme degli organi e
delle istituzioni del Governo Nazionale, nell’ambito dello stato di
emergenza nazionale, che un tale evento determinerebbe, ai sensi
del Decreto Legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018. Con queste
considerazioni chiunque oggi parli di pandemia sta probabilmente
commettendo il reato previsto dall’articolo 656 c.p. con “E’ punito
chiunque pubblichi o diffonda notizie false, esagerate o
tendenziose, per le quali possa essere turbato l'ordine pubblico”.

Nel DL 23 febbraio 2021, n. 15, all’articolo 1 troviamo: “Art. 1 -
Denominazione del territorio nazionale in zone - 1 All'articolo 1
del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 luglio 2020, n. 74, dopo il comma
16-sexies e' aggiunto il seguente: «16-septies. Sono denominate:
“Zona Bianca-Gialla-Arancione-Rossa” dove la competenza per la

comunicazione della valutazione rischio per le aziende a rischio


biologico spetta ESCLUSIVAMENTE a queste autorità:
• Ministero della Salute
• Istituto Superiore di Sanità (ISS)
• Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul
lavoro (INAIL)
• Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
• Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie
(ECDC)
Mai si menziona il Governo od il Parlamento. Comunicazione che

47
poteva essere fatta anche tramite semplice circolare ministeriale
dato riguardanti le aziende sanitarie ed ospedaliere di
competenza del Ministero della Salute. Se si menziona l’art. 1
comma 16 del DL 16 maggio 2020, N. 33, come anche il DL
44/2021, entra in gioco non più un’emergenza epidemica ma una
valutazione rischi da parte del Ministero della Salute che
comporta le DVR Covid e le indicazioni alle aziende sanitarie ed
ospedaliere (come veterinarie e RSA) subordinate a tale
Ministero. Infatti al comma 16 troviamo: “Per garantire lo
svolgimento in condizioni di sicurezza delle attivita' economiche,
produttive e sociali, le regioni monitorano con cadenza giornaliera
l'andamento della situazione epidemiologica nei propri territori e,
in relazione a tale andamento, le condizioni di adeguatezza del
sistema sanitario regionale. I dati del monitoraggio sono
comunicati giornalmente dalle regioni al Ministero della salute,

all'Istituto superiore di sanita' e al comitato tecnico-scientifico di


cui all'ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile
del 3 febbraio 2020, n. 630, e successive modificazioni. In
relazione all'andamento della situazione epidemiologica sul
territorio, accertato secondo i criteri stabiliti con decreto del
Ministro della salute del ((30 aprile 2020, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 112 del 2 maggio 2020,)) e sue eventuali
modificazioni, nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente
del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 2 del decreto-legge n.
19 del 2020, la Regione, informando contestualmente il Ministro

48
della salute, puo' introdurre misure derogatorie, ampliative o
restrittive, rispetto a quelle disposte ai sensi del medesimo
articolo 2”. Ad aprile esce il “Documento tecnico sulla possibile
rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da
SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione”
dell’INAIL dove, che sia protocollo o linea guida, tutto deve essere
convertito ed adeguato al D. Lgs 81/08. Il colore bianco/verde,
giallo, arancione e rosso indica, tramite segnalazioni delle ASL, le
4 categorie di rischio, dichiarate dal Ministero della Salute, che
non colpiscono cittadini, men che meno studenti e minorenni,
come tutte le attività a rischio generico ma si riferiscono in modo
specifico solo alle aziende sanitarie/ospedaliere che NON
chiudono ma applicano DPI in base al rischio:
●Scenario 1 (bianco o verde) – Zone nelle quali non siano
presenti, nell’intera provincia, conclamati casi - Bassa probabilità

di diffusione del contagio


●Scenario 2 (giallo) – Zone nelle quali siano presenti, nella
provincia, conclamati casi - Media probabilità di diffusione del
contagio
●Scenario 3 (arancione) – Zone a ridosso delle ZONE ROSSE
(Comuni che hanno dichiarato lo Stato di Emergenza) ovvero nelle
quali siano presenti, nelle limistrofe città, conclamati casi - Elevata
probabilità di diffusione del contagio
●Scenario 4 (rossa) – Zone ROSSE (Comuni che hanno dichiarato
lo Stato di Emergenza) nelle quali siano presenti, nella medesima

49
città della sede di lavoro, conclamati casi - Molto elevata
probabilità di diffusione del contagio

Resta indiscusso che la dichiarazione di “Stato di Emergenza”,
pubblicata sull’Albo Pretorio, da parte dei Comuni SIA
OBBLIGATORIA proprio per identificare le “Aree Rosse”. La
normativa regionale, ovviamente, si articola nell’alveo di quella
nazionale, la quale prevede, sempre ricollegandosi al Codice della
Protezione Civile aggiornato con Dgls 1/2018. Quindi anche la
questione “regioni colorate” sembrerebbe gestita in maniera non
conforme.

La proliferazione e sovrapproduzione delle leggi con la
conseguente creazione di procedure farraginose determina
l’elefantiasi della burocrazia ed un sostanziale e diffuso

scadimento della buona amministrazione. Tutto questo determina


un senso di ostilità ed estraneità dal “legalese”, da parte dei
cittadini, che dovrebbero invece rivendicare il loro diritto di
essere messi in grado di capire le leggi e le parole e gli scritti di chi
le applica. La Costituzione prevede una sola ipotesi di attribuzione
al Governo di poteri normativi straordinari ed è, come noto, quella
prevista dall'Art. 78 relativa alla dichiarazione dello stato di
guerra per la quale norma: “Le Camere deliberano lo stato di
guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari“. Quindi una
specie di “ordinanza di Stato” in caso di guerra. I Decreti Legge

50
sono un atto normativo di carattere provvisorio dell'ordinamento
giuridico italiano avente forza di legge, adottato in casi
straordinari di necessità e urgenza dal Governo ai sensi dell'Art.
77 della Costituzione della Repubblica Italiana, e regolato ai sensi
dell'Art. 15 della legge 23 agosto 1988, n. 400. Tali provvedimenti
non possono rinnovare disposizioni di decreti non convertiti in
legge, riportare in vigore disposizioni dichiarate illegittime dalla
Corte costituzionale salvo che per vizi del procedimento, conferire
deleghe legislative, attribuire poteri regolamentari in materie già
disciplinate con legge. Il giorno stesso della sua emanazione il
decreto è presentato per la conversione in legge alla Camera dei
deputati che, anche se sciolta, è appositamente convocata e si
riunisce entro cinque giorni. Per l’emanazione segue una
procedura sottoposta a ben 5 organi di controllo totalmente
indipendenti e differenti. Il primo controllo spetta al Dipartimento

per gli affari giuridici e legislativi (DAGL), che è la struttura di


supporto al Presidente del Consiglio dei Ministri nella funzione di
coordinamento dell’attività normativa del Governo. In particolare,
il DAGL sovraintende alle diverse fasi del procedimento di
adozione degli atti normativi, coordinandone e promuovendone
l’istruttoria al fine di assicurare la qualità della regolazione e una
corretta e adeguata attuazione del programma di Governo,
ricordando che il legislatore ha l’obbligo di formulare norme
concettualmente precise sotto il profilo semantico della chiarezza
e intellegibilità dei termini impiegati, a garanzia della stessa

51
persona e delle sue libertà. Il destinatario della norma deve poter
trovare nell’ordinamento, in ogni momento, cosa gli è consentito,
cosa gli è vietato e cosa è tenuto a fare: per questo sono necessarie
leggi precise, chiare e uniformi, ossia non contraddittorie. Il
secondo organo di controllo è rappresentato dal Garante della
Costituzione, il Presidente della Repubblica, che emana i decreti
aventi valore di legge ed approvati dal Consiglio dei Ministri,
garantendone la legittimità con la sua firma, dato che la
Costituzione italiana fa del Capo dello Stato un organo super
partes deputato a controllare e tutelare il corretto equilibrio del
sistema istituzionale, mentre l’Ufficio Legislativo del Guardasigilli,
il Ministro della Giustizia, provvede all'analisi tecnico-normativa
delle leggi e garantisce la loro compatibilità con l'ordinamento
generale, apponendovi il Sigillo di Stato. Il giorno stesso della
pubblicazione in Gazzetta Ufficiale devono essere presentati alle

Camere ed il regolamento del Senato prevede ancora il parere


obbligatorio espresso preliminarmente dalla Commissione Affari
Costituzionali sulla sussistenza dei requisiti di necessità e
urgenza. Alla Camera invece il disegno di legge è sottoposto al
Comitato per la Legislazione. Il Comitato esprime alle
Commissioni pareri sulla qualità dei progetti di legge, valutandone
l'omogeneità, la semplicità, la chiarezza e proprietà di
formulazione, nonché l'efficacia per la semplificazione e il
riordinamento della legislazione vigente. Nell'esaminare i decreti
legge, valuta anche l'osservanza delle regole sulla specificità e

52
omogeneità e sui limiti di contenuto previste dalla legislazione
vigente. I Decreti Legge, riguardanti i cittadini, emessi a febbraio,
marzo e maggio potevano anche essere dei tipici casi in cui la
decretazione d’urgenza assolve alla funzione a cui è preposta, e
cioè l’apprestare misure temporalmente indifferibili in situazioni
emergenziali naturali, quali una emergenza epidemica, o altri
eventi catastrofici, come inondazioni o terremoti, ma non trova
più scopo dopo quasi due anni dai primi casi ed un’ampia
regolamentazione della epidemia stessa ed oltretutto su una
proroga di una delibera di stato di emergenza che sembrerebbe
inesistente dato che non delibera le ordinanze di Protezione Civile
sui Comuni che dichiarano Stato di Emergenza, come indicato nel
Dgls 1/2018. C’era tutto il tempo di decretare con atti ordinari e
non straordinari. Non volendo trovarmi davanti ad un abuso dei
Decreti-legge, utilizzati non più per fronteggiare un’emergenza ma

sembrerebbe per destabilizzare lo Stato di Diritto, che mai deve


venire a mancare, neanche in tempo di guerra e che non trova
modifiche normative al periodo pre-covid, mi permetto di far
notare delle non conformità che, agli occhi attenti degli organi di
controllo preposti, non sarebbero dovute passare inosservate.
Come può aver messo la firma il Garante della Costituzione ad una
tale incompetenza? Il Guardasigilli di Stato non si è accorto di
questo scempio legislativo che non può essere definito Legge? Tali
provvedimenti non possono rinnovare disposizioni di decreti non
convertiti in legge, riportare in vigore disposizioni dichiarate

53
illegittime dalla Corte costituzionale salvo che per vizi del
procedimento, conferire deleghe legislative, attribuire poteri
regolamentari in materie già disciplinate con legge. Men che meno
essere assolutamente non conformi a Legge anche Europea ed
assolutamente non permettere ai cittadini di commettere
violazioni di Legge nell’applicare i Decreti Legge.

Le disposizioni sanzionatorie devono contenere un inequivoco
riferimento alle corrispondenti disposizioni sostanziali, a meno
che la sanzione non si riferisca all'intero atto. Tutte le violazioni di
questi decreti-legge richiamano solo l’articolo 4 del Decreto-legge
25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22
maggio 2020, n. 35 ma non si riferiscono agli articoli ed ai comma
degli stessi. Il Decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito in
Legge 5 marzo 2020 n. 13, successivamente abrogata, all'articolo 3

comma 4, dispone: "Salvo che il fatto non costituisca più grave


reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al
presente decreto è punito ai sensi dell'articolo 650 del codice
penale (inottemperanza di un atto amministrativo - ordinanza del
Sindaco - che porta a 206 euro di sanzione o 3 mesi di carcere)": i
sindaci gestivano l'emergenza epidemica emettendo ordinanze,
articolo 1, giustificate da istruttoria in urgenza e contingenza e chi
le violava poteva subire sanzione. Il caos sembrerebbe avvenire
nel Decreto Legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito in Legge 22
maggio 2020, n. 35, dove, seppur si parli sempre di gestione

54
dell'emergenza del Sindaco con ordinanze necessitate (articolo 1),
viene modificato l'impianto sanzionatorio. Cioè rimane sempre il
650 del cp ma, all'articolo 4 comma 1: "Salvo che il fatto
costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento
di cui all'articolo 1, comma 2, individuate e applicate con i
provvedimenti adottati ai sensi dell'articolo 2, commi 1 e 2,
ovvero dell'articolo 3, è punito con la sanzione amministrativa del
pagamento di una somma da euro 400 a euro 1.000 e non si
applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall'articolo 650
del codice penale o da ogni altra disposizione di legge attributiva
di poteri per ragioni di sanità, di cui all'articolo 3, comma 3. Se il
mancato rispetto delle predette misure avviene mediante l'utilizzo
di un veicolo la sanzione prevista dal primo periodo è aumentata
fino a un terzo" ed in più al comma 2: "Nei casi di cui all'articolo 1,
comma 2, lettere i), m), p), u), v), z) e aa), si applica altresì la

sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell'esercizio o


dell'attività da 5 a 30 giorni". Anche nei decreti legge che
punirebbero chi non esibisce il Certificato Verde troviamo che la
violazione delle disposizioni è sanzionata ai sensi dell'articolo 4
del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con
modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, tutte
strettamente collegate alle ordinanze del Sindaco come massima
autorità sanitaria. Il principio di tassatività della fattispecie penale
implica che il fatto penale deve essere individuato
dettagliatamente nei suoi estremi. La norma penale cioè, deve

55
individuare gli estremi del fatto-reato in essa contenuti in modo
che si possa desumere con precisione ciò che è lecito e ciò che è
vietato. Il principio di legalità è un principio cardine di tutti gli
ordinamenti democratici e degli stati di diritto in genere. E' un
principio di garanzia per i cittadini, perché in tal modo tutti sono
in grado di sapere quali fatti sono vietati e quali sono permessi.
Inoltre solo la legge, essendo emanata per mezzo di un apposito
procedimento, assicura adeguate garanzie ai cittadini, la stessa
garanzia, invece, non potrebbe essere assicurata per mezzo di altri
strumenti, quali i regolamenti, la consuetudine, ecc., che
esporrebbero i cittadini all'arbitrio del potere esecutivo o del
potere giudiziario. La consuetudine consiste in un comportamento
costante, ripetuto nel tempo, cui la comunità si uniforma con la
convinzione di obbedire ad una norma giuridica anche se non è
possibile che per mezzo di una consuetudine si creino nuovi tipi di

reato o nuovi tipi di pena. Seppur consapevole che l’art. 650 del
c.p. sia definita una norma in bianco, che sanziona l'inosservanza
di un provvedimento legalmente dato dall'autorità, manca proprio
il provvedimento che, in questo caso, può essere solo un atto
necessitato della massima autorità sanitaria. Dico questo perché
sembrerebbe che sia stato preso l'articolo 650 del cp, l'unica
sanzione prevista, sia stata aumentato la sanzione amministrativa
pecuniaria da 206 euro a 400 da 1000 (senza tenere conto
dell'azione meno onerosa per il contribuente), è stata
depenalizzata la violazione (diventando non più reato ma

56
trasgressione per la difficoltà nel dimostrare il dolo), è stato
aggiunto il Codice della strada per aumentare di un terzo la
sanzione se avvenuta su veicolo ed imposto la chiusura degli
esercizi pubblici da 5 a 30 giorni (quindi aggiungendo azioni verso
il contribuente non previste) dato che, ai sensi delle vigenti
normative, un pubblico esercizio può subire la chiusura solo in
caso di flagranza di gravi reati commessi all’interno del locale, di
problemi di ordine pubblico o in emergenza o di sicurezza ed
igiene; le sanzioni per le violazioni delle misure disposte da
autorità statali sono irrogate dal Prefetto, mentre le sanzioni per
le violazioni delle misure disposte da autorità regionali e locali
sono irrogate dalle autorità che le hanno disposte, nel nostro caso
il Sindaco, visto che nessuno ha minimamente abrogato o
modificato l'articolo 650, che rimane ben impresso sul codice
penale, dato che la ratio legis in esame è diretta a tutelare l'ordine

pubblico, nonché l'interesse specifico perseguito dal


provvedimento amministrativo oggetto della condotta perseguita,
ben specificato negli atti necessitati del decreto-legge 25 marzo
2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio
2020, n. 35.

Considerato che non possa trattarsi di una condizione di tutela
della salute pubblica oppure emergenziale, che comunque
spetterebbe solo al Sindaco, non possiamo neanche parlare di
sicurezza sul luogo di lavoro visto che il Green Pass (come

57
tampone né vaccino) non è stato inserito nel Dgls 81/08, perché
non può essere considerato un DPI, non portando il dipendente
neanche a violazioni in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro. Il 14
marzo 2020 viene redatto il “Protocollo condiviso di
regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento
della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, con
approfondimenti il 24 aprile 2020 ed il 6 aprile 2021, dove
inizialmente “l’obiettivo del presente protocollo condiviso di
regolamentazione è fornire indicazioni operative finalizzate a
incrementare, negli ambienti di lavoro non sanitari, l’efficacia
delle misure precauzionali di contenimento adottate per
contrastare l’epidemia di COVID-19. Succedono anche altri due
protocolli sulla stessa linea dove il COVID-19 rappresenta un
rischio biologico generico, per il quale occorre adottare misure
uguali per tutta la popolazione. Il presente protocollo contiene,

quindi, misure che seguono la logica della precauzione e seguono


e attuano le prescrizioni del legislatore e le indicazioni
dell’Autorità sanitaria”, dove viene fatto credere che riguardi tutte
le attività ma che non trova riscontro nell’articolo 16 nel Decreto
Legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in Legge 24 aprile 2020, n.
27, con modificazione del DL 19 maggio 2020, n. 34 convertito in
Legge 17 luglio 2020, n. 77 dove troviamo all’articolo 66: “Per
contenere il diffondersi del virus COVID-19, fino al termine dello
stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri in
data 31 gennaio 2020, sull'intero territorio nazionale, per tutti i

58
lavoratori e i volontari, sanitari e no (NO=dipendenti esterni che
riguardano solo le attività a rischio biologico), che nello
svolgimento della loro attivita' sono oggettivamente
impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro
(N.d.R. tra dipendenti), sono considerati dispositivi di protezione
individuale (DPI), di cui all'articolo 74, comma 1, del decreto
legislativo 9 aprile 2008, n.81, le mascherine chirurgiche reperibili
in commercio, il cui uso e' disciplinato dall'articolo 34, comma 3,
del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9”, dove si parla di mascherine
CE (NON considerate DPI) esclusive per i lavoratori, pubblici o
privati che già predisponevano il filtrante facciale (APVR),
dipendenti delle aziende a rischio biologico (materiale biologico)
come lo sono le:
-Attività in industrie alimentari
-Attività nell'agricoltura

-Attività nelle quali vi è contatto con animali e/o prodotti di


origine animale
-Attività nei servizi sanitari, comprese le unità di isolamento e
post mortem
-Attività nei laboratori clinici, microbiologici, veterinari e
diagnostici (nei laboratori di microbiologia sono presenti
entrambi i rischi, quello potenziale e quello legato all'uso
deliberato di microrganismi)
-Attività negli impianti di smaltimento rifiuti e di raccolta di rifiuti
speciali potenzialmente infetti

59
-Attività negli impianti per la depurazione delle acque di scarico.

Per tutte le altre aziende (bar, ristoranti, uffici, scuole, palestre,
piscine ecc. ecc.) il biorischio è già calcolato ma mai vengono
applicati DPI specifici dato non vengano trattati né patogeni né
liquidi biologici. Gli agenti biologici, definiti secondo il D.Lgs
81/2008, Titolo X come "qualsiasi microrganismo anche
geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita
umano che potrebbe provocare infezioni, allergie, intossicazioni",
sono stati classificati secondo un criterio di pericolosità tenendo
conto delle condizioni prevalenti nell'area geografica presa in
considerazione. Nel Decreto-Legge 7 ottobre 2020, n. 125
convertito con modificazioni dalla L. 27 novembre 2020, n. 159
troviamo all’Art. 4 - Attuazione della direttiva (UE) 2020/739
della Commissione del 3 giugno 2020, concernente l'inserimento

del SARS-CoV-2 nell'elenco degli agenti biologici di cui e' noto


che possono causare malattie infettive nell'uomo – al comma 1.
“All'allegato XLVI del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, nella
sezione VIRUS, dopo la voce: «Coronaviridae - 2» e' inserita la
seguente: «Sindrome respiratoria acuta grave da coronavirus
2 (SARS-CoV-2)(0a) - 3»; La Direttiva (UE) 2020/739 della
Commissione del 3 giugno 2020 che modifica l’allegato III della
direttiva 2000/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per
quanto riguarda l’inserimento del SARS-CoV-2 nell’elenco degli
agenti biologici di cui è noto che possono causare malattie

60
infettive nell’uomo e che modifica la direttiva (UE) 2019/1833
della Commissione, dove riassumiamo con “La direttiva
2000/54/CE, al di sopra delle Leggi ordinarie nazionali, stabilisce
norme per la protezione dei lavoratori contro i rischi che derivano
o possono derivare per la loro sicurezza e salute dall’esposizione
agli agenti biologici durante il lavoro, ivi comprese norme per la
prevenzione di tali rischi. Essa si applica alle attività in cui i
lavoratori sono o possono essere esposti ad agenti biologici a
causa della loro attività lavorativa e stabilisce, per qualsiasi
attività che possa comportare un rischio di esposizione ad agenti
biologici, le misure da adottare al fine di determinare la natura, il
grado e la durata dell’esposizione dei lavoratori a tali agenti […]
Tenuto conto delle prove scientifiche più recenti e dei dati clinici
disponibili nonché dei pareri forniti da esperti che rappresentano
tutti gli Stati membri, il SARS-CoV-2 dovrebbe quindi essere

classificato come patogeno per l’uomo del gruppo di rischio 3 […]


La direttiva (UE) 2019/1833 ha modificato anche gli allegati V e
VI della direttiva 2000/54/CE, che stabiliscono le misure e i livelli
di contenimento per i laboratori, i servizi veterinari e l’industria
(aziende a rischio biologico)”. MAI si trova menzione delle
“varianti” di Sars Cov-2 che, ad oggi, non sono regolamentate
quindi giuridicamente irrilevanti per i cittadini.

Nell’allegato del Dgls 81/08 viene inserito il Sars Cov-2 nel
biorischio 3. Per Gruppo di rischio 3 si intende: elevato rischio

61
individuale, basso rischio collettivo. In questo gruppo sono
presenti tutti gli agenti patogeni che causano gravi malattie nella
singola persona e hanno una bassa-moderata probabilità di
diffondersi nella comunità. Tra questi ricordiamo il virus
dell’epatite C, il virus dell’epatite B, il virus dell’immunodeficienza
umana, il Mycobacterium tuberculosis ed il SARS CoV-2. Detto
questo riguarda SEMPRE le aziende a rischio biologico e non
generico dato che MAI ci si è preoccupati di cittadini infetti da
virus a biorischio 3 come HIV od epatite B ma anzi protetti da
privacy.

Nessuna Legge impone mascherina e distanziamento ai cittadini,
infatti tutte le imposizioni che sembrerebbero fuori Legge le
troviamo nella GUIDA OPERATIVA PER L'APPLICAZIONE DELLE
MISURE DI ISOLAMENTO PRESSO TUTTE LE STRUTTURE DI

CURA SANITARIA, con base del Ministero della Sanità Decreto


28.09.1990 - Norme di protezione dal contagio professionale da
HIV nelle strutture sanitarie ed assistenziali pubbliche e private -
dove si mira a migliorare la sicurezza delle cure sanitarie e fornire
metodi per ridurre la trasmissione interpersonale di agenti
patogeni noti e/o sospetti. La mascherina chirurgica viene
definita: Dispositivo Medico atto a proteggere il paziente
dall'esposizione ad agenti infettivi che colonizzano la bocca e/o il
naso degli operatori sanitari. Le misure aggiuntive sono adeguate
a prevenire la trasmissione per via aerea; droplet/goccioline;

62
contatto diretto ed indiretto. Le Precauzioni basate sulla modalità
di trasmissione (Precauzioni Aggiuntive) sono indicate per
pazienti con infezione accertata, sospetta o per pazienti
colonizzati da patogeni altamente trasmissibili o
epidemiologicamente importanti per i quali sono necessarie, per
interrompere la catena di trasmissione nei REPARTI INFETTIVI e
dovrebbe essere confinato solo lì, come lo è sempre stato. In
ospedale, se sei malato e ricoverato, non al bar od al supermarket,
men che meno a scuola e sul lavoro nelle attività a rischio
generico. Le mascherine facciali di tipo chirurgico hanno lo scopo
di evitare che chi le indossi contamini l’ambiente, in quanto
limitano la trasmissione di agenti infettivi, e sono utilizzate in
ambiente ospedaliero e in luoghi ove si presti assistenza a
pazienti. Non sono DPI le "mascherine chirurgiche" o "igieniche"
sprovviste di filtro di cui alla norma UNI EN 14683, comunemente

impiegate in ambito sanitario e nell'industria alimentare. Le


mascherine chirurgiche non possano rientrare, per loro
caratteristiche intrinseche, tra i dispositivi di protezione
individuali o i dispositivi di protezione collettiva, ma che restino
dispositivi medico chirurgici, come disposto da Regolamento
2017/745/UE. Nemmeno il medico del Lavoro potrebbe imporle a
tutti i dipendenti. Sebben siamo l’Italia dei protocolli e delle
circolari, questi devono essere conformi alla normativa vigente se
no non possono essere applicati.

63
L’Art. 32 della Costituzione dice che: "La Repubblica tutela la
salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della
collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può
essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non
per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i
limiti imposti dal rispetto della persona umana" dove la
DISPOSIZIONE DI LEGGE odierna, dato sia un Articolo della
Costituzione non può riferirsi ad una Legge Ordinaria, men che
meno ad un decreto legge, quindi oggi può riferirsi SOLO a queste
due situazioni specifiche. Per questioni di ordine pubblico il
Sindaco può imporre, con la firma di due medici con ordinanza
giustificata e dettagliata, la sedazione per il ricovero in psichiatria
oppure per l'arresto in caserma (TSO) oppure se un Giudice
giudica un cittadino INTERDETTO e gli affida un tutore (parente
od esterno) che decida per lui cure, trattamenti od esami tramite

la manifestazione del consenso informato. NON C'E' ALTRO CHE


POSSA COSTRINGERE UN ESSERE UMANO AD UN
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO PREVENTIVO COME LO SONO
ANCHE LE VACCINAZIONI OPPURE AD ESAMI IN ECCESSO COME
LO SONO I TAMPONI NASO-FARINGEI OD ALTRI TIPI. Il rapporto
medico-paziente è un mandato e soggiace pertanto alle relative
disposizioni del Codice delle Obbligazioni (CO). Questo tipo di
contratto non viene siglato per iscritto, bensì oralmente tramite il
cosiddetto comportamento concludente. Il contenuto del contratto
nasce dal colloquio tra medico e paziente. Nell’ambito di un tale

64
mandato, il medico si impegna, in base alle dichiarazioni del
paziente, a visitarlo, a sottoporlo a trattamenti, a consegnargli
farmaci e a prescrivere terapie secondo le regole dell’arte medica.
Nel farlo, il medico non è libero: è tenuto a comunicare
apertamente i risultati degli esami e a discuterli con il paziente, a
esporre i possibili trattamenti e le eventuali alternative, e a
coinvolgere il paziente nelle decisioni da prendere. Si ha diritto
alla libertà di coscienza la quale significa che non devono essere
esercitate pressioni o condizionamenti di tipo ideologico,
religioso, politico, sia nelle strutture sanitarie pubbliche che
private. Nel nostro Paese il Consenso Informato è un documento
in cui il paziente autorizza a ricevere qualsiasi
trattamento/esame/cura; se c’è consenso informato non può
esserci obbligo né sanzione né ricatti. La Legge n. 145 del 28
marzo 2001, con la ratifica della Convenzione sui diritti dell'uomo

e sulla biomedicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997, ha introdotto


nel nostro paese la regola generale secondo la quale ogni paziente
debba dare un consenso libero e informato: “Capitolo II –
Consenso - Articolo 5 – Regola generale “Un intervento nel campo
della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona
interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa
persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo
scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i
suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento,
liberamente ritirare il proprio consenso”. Con la Legge n. 219 del

65
2017, ha inoltre imposto che il consenso informato, sia esso
verbale o scritto, debba essere inserito nella cartella clinica e nel
fascicolo sanitario elettronico e non fa distinzioni tra i vari
trattamenti ed esami quindi le vaccinazioni sono veri e propri
trattamenti farmacologici preventivi regolamentati dalla stessa
dove leggiamo: “Art. 1 comma 3. Ogni persona ha il diritto di
conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in
modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla
diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti
diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonche' riguardo
alle possibili alternative e alle conseguenze dell'eventuale
rifiuto del trattamento sanitario e dell'accertamento
diagnostico o della rinuncia ai medesimi” dove “Comma 5. Ogni
persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in
parte, con le stesse forme di cui al comma 4, qualsiasi

accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal


medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento
stesso”. Quindi se negli anni 2000 si poteva ancora parlare di
vaccinazioni coatte sia pediatriche che per alcune categorie
lavorative come requisiti contrattuali discrezionali sulla mansione
lavorativa (metalmeccanici con antitetanica oppure sanitari con
l’anti epatiteB), la giurisprudenza, con l’inserimento del consenso
informato, toglie l’obbligo di Stato e mette al primo posto
l’autodeterminazione del paziente. Chi deve dare l’informazione?
La giurisprudenza di merito fa riferimento al personale medico,

66
mentre non si è pronunciata sull’idoneità dell’informativa fornita
dal restante personale sanitario. A chi va data l’informazione? Se
l’interessato è persona capace, l’informazione deve essere data
direttamente a lui da medici specializzati, nessuno può invitarli a
sottoporsi ad un trattamento farmacologico preventivo se non
nella riservatezza di uno studio medico, protetto da privacy.
Nessun’altra figura se non vuole imbattersi nell’usurpazione di
funzioni pubbliche e violenza privata.

Neanche il tampone è previsto nelle limitazioni imposte dal
Sindaco dal DL 19/2020, né in nessuna Legge vigente Dgls 81/08
compreso, quindi NON è obbligatorio ma rimane un esame
consigliato che spetta al paziente decidere di fare. Obbligare al
tampone potrebbe essere violenza privata ed un trattamento non
necessario potrebbero esporre il paziente a rischi inutili, senza

contare l’inutile aggravio della spesa per il Servizio sanitario, con


un danno erariale a discapito dei cittadini. Ma non si tratta
soltanto di sprechi: bisogna avere molto chiaro che una cura o un
esame non motivato, anche il meno invasivo, per il cittadino è un
inutile rischio per la salute dove anche tutti gli esami possono
dare esiti sbagliati. Sia perché non identificano un disturbo (falsi
negativi), sia perché lo identificano quando non c’è (falsi positivi).
Questo può creare una catena di conseguenze dannose: nel caso
dei falsi positivi, ad esempio, una serie di nuovi esami inutili, con
tutte le ansie, i rischi e le spese conseguenti. Ad oggi esistono varie

67
alternative ma sembrerebbero impossibili da attuare visto c’è
anche il tampone nasale; il tampone faringeo; il tampone salivare;
il tampone anale; il test sierologico veloce; le analisi del sangue
per la ricerca di IGM ed IGG, che porta ad un risultato più certo e
visto che, se c’è l’alternativa, poter scegliere è un diritto tutelato
dalla Legge 219/2017 e che “positivi a virus” non specifica in
nessun modo il tipo di esame da effettuare.

NON ESISTE la quarantena a contatto con positivi a tampone ma
può esistere, tramite ordinanza del Sindaco, l’isolamento del
paziente POSITIVO oppure MALATO. All'articolo 1 del DL
19/2020, nelle limitazione imposte dal Sindaco, troviamo: "d)
applicazione della misura della quarantena precauzionale ai
soggetti che hanno avuto contatti stretti (minimo 15 minuti, faccia
a faccia, senza dispositivi di precauzione) con casi confermati di

malattia infettiva diffusiva o che ((entrano nel territorio


nazionale)) da aree ubicate al di fuori del territorio italiano",
ribadito anche dall’Ordinanza Ministeriale del Ministero della
Salute del 21 febbraio 2020 dove: ”E' fatto obbligo alle Autorità
sanitarie territorialmente competenti di applicare la misura della
quarantena con sorveglianza attiva, per giorni quattordici, agli
individui che abbiano avuto contatti stretti con casi confermati di
malattia infettiva diffusiva COVID-19". Qui non si parla più di
positività a virus Sars Cov-2 ma di diagnosi certificata di patologia
Covid-19. Per capire come possa essere applicata la quarantena va

68
prima letta la Legge 9 febbraio 1982, n. 106 “Approvazione ed
esecuzione del regolamento sanitario internazionale, adottato a
Boston il 25 luglio 1969, modificato dal regolamento addizionale,
adottato a Ginevra il 23 maggio 1973” che dice all’articolo 1:
[“Quarantena (in)" indica la condizione o la situazione di una nave,
aeromobile, treno, veicolo stradale, altro mezzo di trasporto o
container nel periodo in cui un'autorità sanitaria applica nei suoi
confronti le misure atte a prevenire la diffusione di malattie, di
focolai di malattie o di vettori di malattie]. Quindi a cosa possiamo
collegare la quarantena, la quale non prevede un’aula scolastica
come un ufficio od un ristorante? A chi rientra da viaggi all’estero
per soggiorno o residenza. Infatti viene specificato che
l’applicazione della misura della quarantena precauzionale può
essere applicata ai soggetti che hanno avuto contatti stretti
(minimo 15 minuti, faccia a faccia, senza dispositivi di

precauzione) con casi confermati di malattia infettiva diffusiva o


(ovvero – di chi) ((entra nel territorio nazionale)) da aree ubicate
al di fuori del territorio italiano".

Non parliamo neanche della possibilità di essere accusati di
epidemia colposa, prevista SOLO per chi ha HIV conclamato ed
infetta intenzionalmente un altro. Nessun’altra patologia infettiva
e contagiosa presenta questa giurisprudenza. Neanche il Sars cov-
2.

69
Come dovere morale da cittadino e per evitare di alimentare la
psicosi di massa inerente alla gestione del Covid-19 ho accettato
di aderire alle varie imposizioni senza contestare. Andare in giro
senza febbre oppure sintomi, starnutire nel gomito, usare
fazzoletti usa e getta, igienizzarsi le mani o lavarsele
frequentemente, indossare una mascherina se si hanno sintomi
influenzali o meglio rimanere isolato a casa anche per rispetto
verso gli altri. Mai avrei immaginato che da questo si si potesse
passare alla perdita della mia dignità e partecipazione alla società.
A questo punto pretendo io che i miei dati di salute o sanitari
rimangano nello studio di un medico oppure vengano concessi per
agevolare la mia vita, non per precludermi qualcosa. Il danno
morale più grave è senz’altro dato dal diniego d’accesso di varie
attività, seppur sano come un grillo, se non assumo un farmaco
oppure non faccio un esame in eccesso a pagamento, non previsto

per la mia condizione di ottima salute, e del quale tutti possono


conoscono la mia scelta di cura.

Un’altra considerazione di probabile utilizzo illecito di dati
sensibili sanitari, se non un traffico illecito, lo può dare l’utilizzo
dei sistemi di verifica del Certificato Verde EU a persone che, in
base ai vari decreti legge elencati, non ne avrebbero competenza
né autorità. Non c’è dubbio che gli Stati membri debbano
rilasciare i certificati in formato digitale o cartaceo, o in entrambi i
formati. I potenziali titolari hanno il diritto di ricevere i certificati

70
nel formato di loro scelta. Tali certificati devono essere di facile
utilizzo e contenere un codice a barre interoperabile che consente
di verificarne l'autenticità, la validità e l'integrità in ogni parte del
Mondo e l’App “Verifica19” certamente può permettere agli
USMAF di facilitare questo compito. Gli Uffici di Sanità Marittima,
Aerea e di Frontiera (USMAF) del Ministero della Salute sono
strutture presenti presso porti, aeroporti, posti di confine (punti
di arrivi e partenze internazionali) per la messa in atto di misure
atte a ridurre o minimizzare il rischio di diffusione di malattie
infettive e di altre minacce per la salute umana. Per ridurre il
rischio di introduzione di malattie infettive sul territorio
nazionale, gli Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera non
espletano soltanto attività di vigilanza in frontiera, sui flussi
migratori irregolari, ma funzionano parimenti come centri di
profilassi per viaggiatori internazionali, fornendo consulenza

specialistica e raccomandazioni sulle misure di prevenzione


appropriate, in relazione alla meta, durata e scopo del viaggio;
somministrando, inoltre, le vaccinazioni internazionali
obbligatorie (attualmente, la sola vaccinazione contro la febbre
gialla) o raccomandate per viaggi all’estero. Le attività sanitarie
degli USMAF-SASN comprendono infine la
somministrazione dei vaccini obbligatori, nonché di quelli
raccomandati in relazione alla destinazione e tipologia del viaggio
o a specifici rischi e situazioni epidemiologiche, per i viaggiatori
internazionali. L’autorizzazione di un numero crescente di centri

71
per la somministrazione dei vaccini contro la febbre gialla (art.
73 della legge 106 del 9 febbraio 1982) ha ampliato la
disponibilità di strutture presso cui eseguire questa –
attualmente l’unica obbligatoria - ed altre vaccinazioni per
viaggiatori internazionali, con una conseguente lieve flessione di
questa attività nel corso del tempo. I dati personali raccolti
nell'ambito delle attivita' di sorveglianza, anche al fine di
rendere rintracciabili i passeggeri, vengono trattati
dall'autorita' sanitaria competente per motivi di interesse
pubblico nel settore della sanita' pubblica, ai sensi dell'art. 9,
paragrafo 2, del regolamento (UE) 2016/679, nel rispetto delle
disposizioni vigenti in materia di protezione dei dati personali, ivi
incluse quelle relative al segreto professionale ed al consenso
informato. Ed ecco perché il regolamento europeo 2021/953 li
identifichi come controllori preposti al Green Pass EU dove non

solo possono farne richiesta ai cittadini ma possono anche


incrociare i dati anagrafici per confermare validità e veridicità,
entrando senza problemi nel Nuovo Sistema Informativo Sanitario
(NSIS) che comprende sia il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE)
che l’Anagrafe Vaccinale Nazionale (AVN) oppure nella
piattaforma nazionale digital green certificate (Piattaforma
nazionale-DGC) tramite l’App “Verifica19” .

L’Anagrafe nazionale vaccini, istituita con Decreto del ministero
della Salute 17 settembre 2018, nasce con l'obiettivo di garantire

72
la corretta valutazione delle coperture vaccinali, utile sia a
monitorare l’attuazione dei programmi vaccinali in atto su tutto il
territorio nazionale, coerentemente con il calendario vaccinale
nazionale vigente, sia a fornire informazioni agli organi nazionali,
comunitari ed internazionali nell’ambito dello svolgimento di
funzioni e compiti correlati alla tutela della salute, anche mediante
l'elaborazione di indicatori a fini comparativi. Con l’istituzione
dell’Anagrafe vengono definite le informazioni che tutte le Regioni
e Province Autonome devono fornire al ministero della Salute e,
come previsto dal Decreto legge 7 giugno 2017, n. 73, sono
registrati nella medesima Anagrafe i dati relativi a:
- i soggetti vaccinati
- i soggetti da sottoporre a vaccinazione
- i soggetti immunizzati (art. 1, comma 2, Decreto legge 7
giugno 2017, n. 73)

- i soggetti per i quali le vaccinazioni possono essere omesse


o differite solo in caso di accertato pericolo per la salute
(art. 1, comma 3, Decreto legge 7 giugno 2017, n. 73)
- le dosi e i tempi di somministrazione delle vaccinazioni
effettuate
- gli eventuali effetti indesiderati.
Da gennaio 2021, come previsto dall’articolo 3 del Decreto-Legge
14 gennaio 2021 n. 2, l'Anagrafe Nazionale Vaccini viene
alimentata giornalmente dalle Regioni e Province autonome con i
dati relativi alle somministrazioni di massa dei vaccini anti COVID-

73
19, al fine di monitorare l’attuazione del Piano strategico
nazionale di preparazione e di implementazione della strategia
vaccinale anti COVID-19. Tali informazioni alimentano, sempre
giornalmente, la relativa dashboard pubblica e vengono trasmesse
all'ISS per attività di sorveglianza immunologica e farmaco-
epidemiologia. Il libretto vaccinale digitalizzato comunque fa
parte del Fascicolo Sanitario Elettronico.

Il FSE e' istituito dalle regioni e province autonome, nel
rispetto della normativa vigente in materia di protezione dei dati
personali, a fini di:
a) prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione
(puo' essere realizzata soltanto con il consenso dell'assistito e
sempre nel rispetto del segreto professionale);
b) studio e ricerca scientifica in campo medico, biomedico ed

epidemiologico;
c) programmazione sanitaria, verifica delle qualita' delle cure e
valutazione dell'assistenza sanitaria.
(le lettere b) e c) sono perseguite dalle regioni e dalle province
autonome, nonche' dal Ministero del lavoro e delle politiche
sociali e dal Ministero della salute nei limiti delle rispettive
competenze attribuite dalla legge, senza l'utilizzo dei dati
identificativi degli assistiti e dei documenti clinici presenti nel
FSE).
Il FSE fa parte della digitalizzazione della pubblica

74
amministrazione, per agevolare i cittadini e le procedure medico-
amministrative già in atto dai primi anni 2000. L’art. 1 comma 382
della Legge di Bilancio 2017, con un emendamento all’art. 12 DL
179/2012, ha previsto un’accelerazione nella realizzazione del
Fascicolo sanitario elettronico (FSE), attraverso la realizzazione
dell’Infrastruttura Nazionale per l’Interoperabilità (INI) dei
Fascicoli Sanitari Elettronici da parte del Ministero dell’economia
e delle finanze, utilizzando l’infrastruttura del Sistema Tessera
Sanitaria (TS). Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), per come
descritto nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del
29 settembre 2015, n. 178 - Regolamento in materia di fascicolo
sanitario elettronico - contiene la storia clinica del paziente
rappresentata da un insieme di dati e documenti. Tra questi alcuni
sono - per legge - obbligatori e fanno parte del cosiddetto “nucleo
minimo”. Il nucleo minimo dei dati e documenti del Fascicolo è

costituito da:
• dati identificativi e amministrativi dell'assistito;
• referti;
• verbali pronto soccorso;
• lettere di dimissione;
• profilo sanitario sintetico;
• dossier farmaceutico;
• consenso o diniego alla donazione degli organi e tessuti.
Particolare importanza riveste il Profilo Sanitario Sintetico (PSS)
anche detto “Patient Summary”, che si può considerare come la

75
“carta d’identità sanitaria” dell’assistito. Il documento viene
redatto e aggiornato dal Medico di Medicina Generale (MMG) o dal
Pediatra di Libera Scelta (PLS) e garantisce una continuità
assistenziale e una migliore qualità di cura soprattutto in
situazioni di emergenza o in mobilità. Al suo interno sono
contenuti, oltre ai dati identificativi del paziente e del suo medico
curante, tutte le informazioni cliniche che descrivono lo stato
dell’assistito come, ad esempio, la lista dei problemi rilevanti, le
diagnosi, le allergie, le terapie farmacologiche per eventuali
patologie croniche e tutte le indicazioni essenziali per garantire la
cura del paziente.
I dati e documenti facoltativi nel Fascicolo Sanitario Elettronico
(FSE), e quindi non obbligatori, invece sono:
• prescrizioni (specialistiche, farmaceutiche, ecc.);
• prenotazioni (specialistiche, di ricovero, ecc.);

• cartelle cliniche;
• bilanci di salute;
• assistenza domiciliare: scheda, programma e cartella
clinico-assistenziale;
• piani diagnostico-terapeutici;
• assistenza residenziale e semiresidenziale: scheda
multidimensionale di valutazione;
• erogazione farmaci;
• vaccinazioni;
• prestazioni di assistenza specialistica;

76
• prestazioni di emergenza urgenza (118 e pronto soccorso);
• prestazioni di assistenza ospedaliera in regime di ricovero;
• certificati medici;
• taccuino personale dell'assistito;
• relazioni relative alle prestazioni erogate dal servizio di
continuità assistenziale;
• autocertificazioni;
• partecipazione a sperimentazioni cliniche;
• esenzioni;
• prestazioni di assistenza protesica;
• dati a supporto delle attività di telemonitoraggio;
• dati a supporto delle attività di gestione integrata dei percorsi
diagnostico-terapeutici;
• altri documenti rilevanti per i percorsi di cura dell’assistito.
Dove i dati sanitari previsti nel Green Pass, un esame seppur non

diagnostico (tampone antigenico o molecolare PCR); un


trattamento farmacologico preventivo (vaccino contro il Covid-
19); una malattia pregressa (immunità naturale al Covid-19)
sembrerebbero essere facoltativi e quindi su esclusivo consenso
espresso del cittadino, salvo specifici casi di emergenza sanitaria
per i quali sono previste procedure particolari. L'assistito può
accedere al proprio FSE tramite le credenziali e le modalità
d’accesso stabilite dalla normativa e previste dalla
regione/provincia autonoma di assistenza (quali SPID, TS-CNS,
ecc.) ed iniziare a consultare la documentazione in esso

77
contenuta. L'assistito potrà, in qualunque momento, modificare le
indicazioni in merito a chi può consultare il proprio Fasciolo e
cosa può essere consultato, senza alcuna conseguenza per
l’erogazione delle prestazioni erogate dal SSN e dai servizi
socio-sanitari. Chi accede al FSE dovrà specificare il motivo per cui
sta effettuando l’accesso ed ogni accesso sarà tracciato e reso
visibile sul fascicolo. La revoca del consenso per la consultazione
dei dati e dei documenti presenti nel Fascicolo disabilita l’accesso
ai dati e ai documenti per i professionisti sanitari e socio-sanitari
precedentemente autorizzati, che solo in caso di nuova e
successiva prestazione del consenso da parte dell’assistito,
verranno riabilitati e potranno nuovamente consultare la
documentazione fino alla precedente operazione di revoca del
consenso. La consultazione dei dati e dei documenti presenti nel
Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) può avvenire esclusivamente

previo consenso da parte dell’assistito e sempre nel rispetto del


segreto professionale da parte dei medici che lo hanno in cura,
salvo specifici casi di emergenza sanitaria per i quali sono previste
procedure particolari. Il FSE puo' essere alimentato
esclusivamente sulla base del consenso libero e informato da
parte dell'assistito, il quale puo' decidere se e quali dati relativi
alla propria salute non devono essere inseriti nel fascicolo
medesimo.

Per ovviare ai dati sanitari nel FSE, previsti però dal Green Pass, il

78
Governo ha istituito «Piattaforma nazionale digital green
certificate (Piattaforma nazionale-DGC)» per l'emissione e
validazione delle certificazioni verdi COVID-19, cioè un sistema
informativo nazionale per il rilascio, la verifica e l'accettazione
di certificazioni COVID-19 interoperabili a livello nazionale ed
europeo. Per logicamente leggere TUTTI i green pass ed
assicurare l'interoperabilita' tra la Piattaforma nazionale-DGC e
le analoghe piattaforme istituite negli altri Stati membri
dell'Unione europea, tramite il Gateway europeo. La
Piattaforma nazionale - DGC è il Sistema informativo nazionale
per l’emissione, il rilascio e la verifica di Certificazioni verdi
COVID-19 (EU Digital COVID Certificate già Digital Green
Certificate-DGC) interoperabili a livello nazionale ed europeo, di
cui all’art. 9 del decreto-legge n. 52 del 2021 e all’art.42 del
decreto-legge n. 77 del 2021, realizzata attraverso l’infrastruttura

Tessera Sanitaria e gestita dalla società Sogei Spa per conto del
Ministero della salute, titolare del trattamento dei dati. La
Piattaforma nazionale - DGC svolge le seguenti funzioni:
- Raccolta dati: attraverso il Sistema Tessera Sanitaria, che
raccoglie e mette a disposizione della Piattaforma
nazionale - DGC, tre sorgenti di dati differenti: esiti/referti
dei test molecolari e antigenici e referti di guarigione,
trasmessi dalle Regioni e Province autonome o
direttamente da strutture sanitarie e medici, informazioni
sulle vaccinazioni trasmesse dall’Anagrafe Nazionale

79
Vaccini (AVN) del Ministero della salute;
- Generazione e conservazione delle Certificazioni verdi
COVID-19: la Piattaforma nazionale-DGC elabora le
informazioni necessarie ad emettere le Certificazioni verdi
COVID-19 sulla base di precise regole sanitarie e provvede
ad apporre un sigillo elettronico qualificato sugli stessi per
garantirne l’autenticità e l’integrità;
- Rilascio delle Certificazioni verdi COVID-19: la Piattaforma
nazionale- DGC rilascia le Certificazioni verdi COVID-19 e
consente all’interessato di acquisirli in sicurezza attraverso
diversi canali quali il portale della Piattaforma nazionale, il
fascicolo sanitario elettronico (in cui la certificazione verde
COVID-19 viene inserita oscurata per impostazione
predefinita) e l'APP IMMUNI, tramite codici univoci inviati
ai dati di contatto forniti al momento della prestazione

sanitaria. La certificazione verde COVID-19 può essere


acquisita anche per il tramite di operatori sanitari
autorizzati quali medici di medicina generale, pediatri di
libera scelta e i farmacisti;
- Utilizzo e verifica delle Certificazioni verdi COVID-19:
l’applicazione mobile VerificaC19 legge il QR code della
certificazione verde COVID-19 e ne verifica l’autenticità e la
validità, mostrando al verificatore esclusivamente il nome,
cognome e data di nascita dell’interessato e l’esito della
verifica. Nel caso sia richiesta la verifica della certificazione

80
verde COVID-19, per accedere a luoghi, eventi e usufruire
di servizi, tale verifica potrà essere fatta esclusivamente da
personale che utilizza l’app ufficiale (App VerificaC19),
unico strumento di verifica previsto dalla norma, che
garantisce che non vengano mostrati al verificatore le
informazioni di dettaglio contenute nella certificazione
stessa.

Quindi nulla di preoccupante inerente l’App, denominata
“VerificaC19”, la quale è sviluppata dal Ministero della Salute per il
tramite di SOGEI (Società Generale d'Informatica S.p.A. è
un'azienda italiana che opera nel settore dell'ICT ed è controllata
al 100% dal Ministero dell'economia e delle finanze del quale è
una società in house e svolge servizi di consulenza informatica per
la pubblica amministrazione), in particolare per il Ministero

dell'economia e delle finanze e per le Agenzie fiscali sulla base di


contratti di servizio pluriennali, per consentire il processo di
verifica dell’autenticità e validità delle Certificazioni verdi COVID-
19. Invece secondo le disposizioni contenute nel DPCM di cui
all’art.9 comma 10 del Decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52 l'App
VerificaC19 può essere utilizzata solo dai soggetti “verificatori”,
ovvero soggetti deputati al controllo delle Certificazioni verdi
COVID-19, che erogano servizi per fruire dei quali è prescritto il
possesso di tale certificazione e gli organizzatori di eventi ed
attività per partecipare ai quali è prescritto il possesso della

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medesima certificazione, nonché i pubblici ufficiali nell’esercizio
delle relative funzioni. In particolare, l’App consente di leggere il
QR code della Certificazioni verdi COVID-19 e mostra
graficamente al verificatore l’effettiva autenticità e validità della
Certificazione, nonché, il nome, il cognome e la data di nascita
dell’intestatario della stessa.

Come già ribadito, l’App Verifica19 era uno strumento per gli
USMAF per poter controllare tutti i certificati verdi nazionali ed
europei, incrociando la validità del green pass con i dati anagrafici
dei passeggeri. Ma le cose si complicano dato che i dati sanitari dei
cittadini, sempre vietati, passano di mano a terzi assolutamente
non autorizzati se non da DPCM che non fornisce base legislativa
neanche al trattamento dei dati. Infatti nel DPCM 12 ottobre 2021,
con un abile gioco di scatole cinesi troviamo “Modalità di verifica

del possesso delle certificazioni verdi COVID-19 in ambito


lavorativo -modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri 17 giugno 2021” e la possibilità di controllare il green
pass con altre funzioni che non rispetterebbero neanche la logica
del Green Pass/USMAF/Sindaco.

Così si potrà verificare manualmente il controllo del mio Green
Pass attraverso l'utilizzo dell'app «VerificaC19», gia' disponibile
negli store, ovvero attraverso l'integrazione dei sistemi
informatici utilizzati per il termoscanner o per la rilevazione

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automatica delle presenze (badge). Infatti per facilitare le
operazioni di verifica delle Certificazioni verdi COVID-19, in
aggiunta all’app Verifica C19, sono previsti sistemi automatizzati
di verifica che permettono sia l’interrogazione della Piattaforma
nazionale DGC del Ministero della Salute a partire dai codici fiscali
dei lavoratori presenti in servizio, anche in collaborazione con
INPS e NoiPA per i dipendenti della pubblica amministrazione,
Greenpass50+ per i dipendenti privati, l’Interoperabilità
applicativa per pubbliche amministrazioni di grandi dimensioni
con almeno 1.000 dipendenti, il SIDI (Sistema Informativo
Dell’Istruzione) per il personale scolastico, che l’integrazione del
sistema di lettura e verifica del QR code della Certificazione verde
COVID-19 nei sistemi di controllo automatizzato agli accessi fisici
(SDK - Software Development Kit).

Il SDK - Software Development Kit è un pacchetto di sviluppo per


applicazioni, ad oggi disponibili in forma piuttosto rozza, limitati
ad alcune piattaforme, sono generalmente utilizzate dai
produttori di totem anche termoscanner e postazioni per
automatizzare i controlli ai varchi e ai tornelli, disponibile dal 13
ottobre 2021 e rilasciato dal Ministero della salute con licenza
open source, che consente di integrare nei sistemi di controllo
degli accessi, inclusi quelli di rilevazione delle presenze, le
funzionalità di verifica della Certificazione verde COVID-19,
mediante la lettura del QR code. La modalità SDK offre le stesse

83
funzionalità dell’app di VerificaC19, mediante la lettura del QR
code della Certificazione verde COVID-19, ma in maniera
automatizzata. Il pacchetto di sviluppo per applicazioni può essere
utilizzato per la verifica della Certificazione verde COVID-19
anche in ambiti diversi da quello lavorativo e può altresì essere
utilizzato come riferimento per la realizzazione di ulteriori
librerie software. Praticamente tutti possono conoscere i dati
sanitari di chiunque abbia un codice fiscale.

Se parto dal presupposto che il Green Pass serva solo per
agevolare i viaggi dei passeggeri fino a fine giugno 2022, il
Governo si è dato molto da fare per aprire scenari che dovrebbero
far preoccupare qualsiasi cittadino, favorevole o meno al vaccino
che qui passa in secondo piano. Collegare i dati sanitari dei
cittadini, non solo su malattia ma anche su esami in eccesso su

pazienti sani oppure trattamenti farmacologici preventivi e non


curativi, a strumenti che con un semaforo rosso impediscono il
normale svolgersi della propria vita lavorativa che pubblica e
privata, dovrebbe porre una sola domanda. Cosa richiederanno
poi? Impediranno gli accessi a tutti i cittadini che non partecipano
alla vaccinazione antinfluenzale? Che non faranno uno dei 200
nuovi vaccini previsti nei prossimi anni? Che non prenderanno
una dose di antibiotico preventivo o farmaci sperimentali? Cioè
davvero lo stato di salute di un cittadino SANO e non malato
diventerà un’aggravante che lo isolerà da qualsiasi attività

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pubblica e sociale? Qui non è una questione di essere novax,
nogreenpass oppure noqualcosa, io sono pro diritti e pro legalità
senza subire soprusi, ricatti o minacce da nessuno, Governo
compreso. Lo stesso ha probabilmente deciso di fare una guerra
mediatica a chi decide, sul proprio corpo, di non subire
trattamenti od esami non richiesti nel pieno rispetto dei propri
diritti e delle leggi che regolamentano lo stato di salute dei
cittadini. La nuova “segregazione2.0” sta prendendo una piega
grottesca e sarebbe incredibile se davvero non potessi andare al
cinema, salire su un treno oppure, peggio ancora, recarmi sul
luogo di lavoro per il quale ho un regolare contratto. Invece di
sentirmi protetto per una scelta consapevole sul mio corpo
inviolabile, nella mia piena capacità di intendere o di volere,
rischio ovunque la gogna pubblica come il linciaggio da parenti e
conoscenti grazie ad una campagna mediatica e politica che non

ha precedenti. Una caccia all’untore che poteva andare bene negli


anni ’50 ma nel 2021 diventa imbarazzante. “Molestia” è ogni
attività che alteri dolorosamente o fastidiosamente l'equilibrio
psico-fisico normale di una persona. Tale definizione dottrinale
del concetto di molestia è stata peraltro ripresa dalla
giurisprudenza (Cass., sez. I, Sentenza 24 marzo 2005, n. 19718),
secondo cui tale elemento è costituito da tutto ciò che altera
dolosamente, fastidiosamente e importunamente lo stato psichico
di una persona, con azione durevole o momentanea; non è
necessario che tale condotta integri (anche) un serio attentato al

85
bene della integrità morale della persona offesa”. Quindi potrei
chiedere che venga valutato il reato di MOLESTIA VACCINALE
ogni volta che le vaccinazioni escono dallo studio del mio medico?
Sembrerebbe che il Governo, per bypassare il consenso informato
da Legge 219/2017, non previsto SOLO per le analisi del sangue, e
la privacy abbia usato in complicità non consapevole, tramite
obbligo di Legge, degli esercenti prima e dei datori di lavoro dopo,
per creare un controllo totale sulla popolazione con la scusa di
gestire un’emergenza che non trova vita né in quella epidemica né
pandemica quindi neanche a rilievo nazionale. Non vorrei
trovarmi di fronte ad un totalitarismo che accentra il potere in un
gruppo ristretto dove è caratterizzato soprattutto dal tentativo di
controllare capillarmente la società in tutti gli ambiti di vita,
imponendo l'assimilazione di un'ideologia in questo caso
scientifica o meglio uno scientismo che attibuisce alle scienze

fisiche e sperimentali, e ai loro metodi, la capacità di soddisfare


tutti i problemi e i bisogni dell'uomo, al pari di una nuova
religione verso la quale bisogna solo aver fede senza porsi
domande od avere dubbi. Il partito unico che controlla lo Stato
non si limita cioè a imporre delle direttive, ma vuole mutare
radicalmente il modo di pensare e di vivere della società stessa e
sta avvenendo sotto i nostri occhi. Se osservo attentamente posso
vedere una concentrazione del potere in capo ad un'oligarchia
inamovibile e senza nessun tipo di opposizione, l’imposizione di
una ideologia ufficiale che fa passare tutti i cittadini come

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colpevoli e punibili ma chi si oppone alle violazioni del suo diritto
soggettivo ancor più, un controllo delle forze dell’ordine operanti
nello Stato con uso smodato del terrore e della punizione ed infine
un completo controllo della comunicazione e dell'informazione
che porta avanti una regia che sta diventando inverosimile quanto
forzata. Se anche il Governo volesse fare counseling sui cittadini
esitanti non è proprio il metodo più corretto. Nessuno nega che sia
stato catalogato il virus Sars Cov-2, che molte persone abbiano
avuto conseguenze gravissime, anche il decesso, prodotte dalla
malattia Covid-19 ma dopo quasi due anni e tutti i sacrifici che ho
fatto anche io assieme agli altri non dovremmo trovarci in queste
condizioni politiche e sociali dove i diritti dei cittadini sembrano
messi in serio pericolo da decisioni governative che non
sembrerebbero essere lecite, legittime né giustificate. I partiti
politici nascono per delega dei cittadini su altri cittadini, non per

farne dei sudditi da bistrattare od ostaggi da torturare. Purtroppo


a causa dei social stiamo vivendo una sfrenata degenerazione
della democrazia in una specie di oclocrazia, dove la maggior
parte della massa, spinta da paura, incertezza ed ignoranza,
richiede a gran voce una giustizia sommaria, basata
pericolosamente sulle proprie opinioni personali non rendendosi
conto di prevaricare la Legge. Mentre la massa si illude di
esercitare liberamente la propria funzione, è invece diventata
"strumento animato" tramite fake news degli intenti dominanti di
una demagogia che la porta in un basso e torvo livello culturale e

87
un generale ottundimento della capacità critica. Il fattore
demagogico è dunque parte del populismo, in quanto si decide
basandosi su un algoritmo costruito per intercettare il consenso
espresso dagli umori di quel momento. Per farla breve, si creano
problemi per vendere soluzioni. Prima che questo avvenga io
chiedo che i miei dati sensibili sanitari vengano gestiti
esclusivamente dal medico che mi assiste e per le disposizioni di
Legge, conformi a Leggi, Costituzione e diritti. La vita sociale,
lavorativa, scolastica dei cittadini non può essere un gioco politico
o argomento di perenne campagna elettorale. Chiedere ai cittadini
di rispettare leggi che sembrerebbero illecite, mentre il Governo
sembrerebbe riscriverle a piacere o, persino, inventarsele, non è
di certo quel clima di cooperazione e sinergia di azioni per il
miglioramento e lo sviluppo della società democratica che è alla
base di uno Stato di Diritto, il quale non può essere stravolto per

un’emergenza, qualsiasi essa sia.



Tutto ciò premesso e ritenuto, il/la sottoscritt xxxxx xxxx, visti gli art.
336 e 337 del c.p.p. dichiara di sporgere, come in effetti sporge,
formale

Denuncia / Querela

Nei confronti del signor xxxx xxxx,
proprietario/presidente/sindaco/dirigente/direttore generale asl

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titolare della privacy xxxx xxxxx OPPURE nei confronti
dell’attività/associazione xxxxx con la figura protempore del suo
titolare privacy, che con qualsivoglia azione si sia reso responsabile, in
complicità con il suo delegato xxxx xxxx, nell’avere recato gravi
violazioni del mio diritto soggettivo, mediante l’abuso della propria
posizione e con coscienza e volontà abbia violato le disposizioni
normative previste dal Gdpr 679/2016 e Dgls 101/2018, nonché per
tutti i reati ed altri protagonisti che la S.V. Ill.ma vorrà ravvisare nei
fatti come sopra narrati, descritti e documentati chiedendone
espressamente la punizione a norma di legge.

Con riserva di costituzione di parte civile, onde ottenere il
risarcimento di tutti i danni subiti e comunque esercitare ogni e
qualunque diritto nelle competenti sedi e con le modalità e termini di
legge.


Ai sensi e per gli effetti dell’art. 406 – 408 comma 2 c.p.p. e 415 c.p.p. il
sottoscritto XXXXX XXXXXX in proprio chiede di essere informato della
eventuale richiesta di archiviazione della presente denuncia/querela e
della richiesta di proroga delle indagini preliminari.

FIRMA
Si offrono in produzione:
Doc. 1

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