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Arte africana
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Le "Arti Negre", termine col il quale venivano identificate in generale le arti tribali provenienti
dal continente africano e da quello oceanico, avviarono nella prima metà del XX secolo, una
serie di polemiche tra artisti e storici dell'arte europea, favorendo presto un inevitabile processo
di rivoluzione nelle arti plastiche.
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Le mostre universali sul colonialismo di Bruxelles del 1897[2], quella di Parigi del 1907(e
successivamente nel 1917 e 1919), avevano influenzato i più importanti artisti europei,
invogliandoli a collezionare oggetti africani come fonte di ispirazione per la realizzazione di
nuove opere[3].
Primo fra tutti, Pablo Picasso, il quale visitando le numerose mostre, aveva subìto
inevitabilmente il fascino magnetico delle 'maschere-feticcio' provenienti dal continente nero,
ma prima ancora Henri Matisse, tra i Fauve il primo ad avere riconosciuto nell'arte nera una
forza ed un'essenza formale di estremità assoluta.
Presto anche in Italia nasce l'esigenza di superare le Avanguardie storiche, per ritornare alla
tradizione, semplificando gli schemi attraverso una sintesi primitiva che prendeva spunto
proprio dall'arte nera.
Indice
Dalla Preistoria all'arte Nok
Africa occidentale
Sahel occidentale
Golfo di Guinea e Nigeria
Africa centrale
Africa orientale e australe
Note
Bibliografia
Voci correlate
Altri progetti
Collegamenti esterni
In Sudafrica vennero ritrovate delle pitture più moderne (III millennio) realizzate dai Boscimani
e raffiguranti scene di caccia, danze, combattimenti e riti magici, tra le quali la celebre "'Scena
del pascolo di bovini": in questa rappresentazione si mostra un intenso movimento di cacciatori
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Africa occidentale
In tutto il settore occidentale del continente, ad esclusione del Senegal, viene mantenuto ancora
un modello tribale, dovuto in maggior parte alla forte resistenza opposta alla penetrazione
dell'islam: questo isolamento ha favorito lo sviluppo di un'arte più personale ed individualistica.
All'infuori della Guinea-Bissau vivono i Bidyogo, artefici di un'arte molto simile ai loro vicini, i
Baga: realizzano infatti grandi maschere, a metà strada fra il naturalismo e l'astrazione,
evidenziando una grande varietà di temi ed un buon senso della massa. Da annoverare le
maschere dedicate agli spiriti Axiol e le statue antropomorfe collegate ai tamburi cerimoniali. I
Nalu, originari dall'alto Niger, sono dominati una casta sacerdotale che ne controlla la vita
sociale e religiosa: la loro opera più importante è la maschera Banda, che raggiunge anche
dimensioni superiori ai due metri. È decorata con motivi zoomorfi differenti, ad esempio delle
fauci di coccodrillo; create per seminare il terrore fra i non iniziati, rappresentano lo spirito
delle acque, chiamato con lo stesso nome. La maschera viene solitamente indossata
orizzontalmente sulla testa; l'artista comincia ispirandosi ad un volto umano che poi va
allungando, stilizzandone la forma, e si decora con motivi geometrici e con colori vivaci.
I Mendi, nella parte meridionale della Sierra Leone, si distinguono per le maschere Bundu
utilizzate nei riti d'iniziazione per le donne: impiegata nelle cerimonie rituali della pubertà
femminile, cioè al passaggio all'età fertile, sorprende per il suo aspetto caricaturale con
un'enorme testa, una fronte ampia ed una vistosa capigliatura, con una grande abbondanza di
elementi decorativi. Esiste un gruppo di etnie con caratteristiche molto simili comprese nella
denominazione Dan-Ngere, che si estendono soprattutto in Liberia, in Guinea e nell'est della
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Agli inizi del XVIII secolo la regina dei Baulé con tutto il suo
popolo abbandona la Confederazione Ashanti, e si
trasferisce nella Costa d'Avorio. Sono degli eccellenti orefici, Statuetta religiosa Baga.
come gli Ashanti, ma non posseggono l'abilità nell'intaglio
del legno, mestiere che impareranno dai Gurò: la loro arte
sorprende per la raffinatezza e la delicatezza e particolarmente per la rifinitura molto accurata,
caratteristiche per le quali vengono apprezzate nel mondo occidentale. Tende alla forma
geometrica, con un volto ovoidale, una pettinatura triangolare e con una forte predominanza
della curva degli occhi e delle sopracciglia. L'artista scolpisce le figure degli antenati, da essere
poi venerate come rappresentazione dei loro defunti; quando la figura umana viene ritratta, essa
ne conserva la solenne bellezza, così come appare nella maschera di un uomo e di una donna. Le
sculture sono dettagliate e plastiche, con il loro naturalismo e gli influssi sudanesi; richiedevano
una lunga preparazione e mostravano grande perizia anche nelle levigatura e nelle patine.[4] Per
sfortuna, l'arte attuale dei baulé si è fatta assai monotona e si limita a ripetere i modelli del
passato.
Sahel occidentale
A differenza delle altre regioni africane, qui si formano i grandi imperi, quasi tutti convertiti
all'islamismo: fra tutti spiccano i Bambara ed i Dogon, etnie stanziate nel Mali. Entrambi
praticano una religione animista ortodossa, in cui la vita culmina nel tyiwara, la tappa che
mette in contatto l'uomo con la natura. Questi realizzano molte maschere, denominate anche
tyiwara, che ne evocano la comunione spirituale: queste maschere hanno le sembianze di una
antilope e sono elaborate quasi in due dimensioni.
I Dogon si stabiliscono nel loro attuale insediamento verso il XIV secolo; allo stesso modo dei
Bambara, rifiutano in un primo momento l'imperialismo religioso dell'islam. Oggi tuttavia
abbondano le moschee, come quella di Djenné, uno dei pochi esempi dell'architettura
monumentale in Africa. La moschea, la cui facciata principale presenta tre torri, mostra
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numerosi pilastri che rompono la monotonia del muro con effetti di dinamismo e di
chiaroscuro; perfino nelle travi conficcate si cerca di mantenere la distanza e la proporzione. La
loro arte è condizionata dal fatto che lo scultore ed il fabbro sono la stessa persona, quindi si
applica un'indubbia rigidità di piani ed un'accentuata astrazione.
Assieme ad una grande varietà di maschere è frequente incontrare
opere che ricordano i nommos, o spiriti degli antenati. Tra le svariate
maschere, circa settantacinque, le più caratteristiche sono quella
monumentale che raffigura il serpente iminama, che può raggiungere
i dieci metri di altezza e la siringe a forma di casa contenente figure di
antenati. I Dogon hanno realizzato una produzione di statue solenni,
talvolta caratterizzate dalle braccia alzate, per indicare l'invocazione
della pioggia. Tre le più tipiche vi sono le statue gemelle e quelle con
due teste, che ricordano un mito Dogon sui gemelli divini.
In Nigeria gli Yoruba, originari del lago Ciad, creano un forte centro di potere, che alterna
anch'esso l'arte cortigiana a quella popolare; la loro arte eredita i tratti del Benin ed è nelle
numerose immagini femminili dove meglio si esprime, come si può notare nella famosa "Donna
che porta suo figlio", che simboleggia l'importanza della donna come protettrice della società
tribale esemplificata dal bambino. È molto tipica degli Yoruba l'adorazione dei gemelli -
chiamati ibeji - a tal punto che se uno dei due muore, la madre ne fa realizzare una statua che lo
rappresenti e che lei possa proteggere tanto come l'altro figlio vivo.
In stretta collaborazione con gli Yoruba, venne ritrovato l'importante Regno del Benin, che vede
le sue origini già nel XIII secolo. Spicca di nuovo un'interessante arte cortigiana, in cui domina
la fusione del bronzo; in un'epoca così precoce, intorno al 1400, entrano in contatto con i
portoghesi, che descrivono la capitale come un recinto circondato da una muraglia alta tre metri
e con edifici lussuosi al suo interno. A quest'epoca corrispondono i bassorilievi che presentano
individui in abiti europei e le enormi placche bronzee decoranti il palazzo reale. L'epoca di
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splendore artistico trascorre fra il XIV ed il XV secolo, il cui frutto sono le magnifiche teste di
Ora. Molto vicine al naturalismo dell'arte ife, queste immagini vengono usate durante le feste
annuali, creando un netto contrasto fra la soavità del volto e la decorazione della capigliatura.
Al sud della Nigeria, lungo il corso del fiume Niger vivono una serie di popolazioni, quali gli
Igbo, gli Ibibio e gli Ekoi. Gli Igbo sono pescatori che vivono sul delta del Niger; in questa etnia
il colore bianco è simbolo della morte, rappresentando infatti la nuova vita spirituale dell'aldilà;
quindi, le maschere e le figure degli antenati appaiono solitamente con i volti imbiancati. Gli
Ibibio al contrario si dedicano principalmente all'agricoltura, appartenendo ad una società
molto gerarchica. Vicino alla frontiera con il Camerun vivono gli Ekoi, creatori di un particolare
realismo che li porta perfino a ricoprire le statue con pelle di antilope, come per esempio,
nell'opera le teste umane. Le loro statue sono imponenti, massicce, come il loro caratteristico
akwanshi, pietrone a forma di campana che raggiunge anche i due metri di altezza, impreziosito
da una decorazione in rilievo che raffigura i re-sacerdoti ntoon.
Africa centrale
I regni più potenti di quest'area furono quelli del Congo e Loango alle foci
del fiume Congo, e i Kuba, Luba e Lunda-Tchokne a sudest: in questi luoghi
sono molto caratteristiche le case rettangolari con il tetto piramidale. Nel
passato si formarono nella regione degli stati feudali, composti da diversi
regni: i Kuba, attivi dal XVII secolo, sono autori di molte opere che esaltano
la figura dei propri nyim, re locali che - pur dotati di attributi sacri - erano
eletti da un'assemblea che poteva destituirli. I re venivano rappresentati in
statuette di legno note come ndop in attitudine solenne e con una spada Statuina di divinità
cerimoniale quasi distrutta, impugnata con la mano sinistra, come attributo yoruba.
di potere.
Ai confini orientali dei Kuba si estendeva il regno Luba, collocato al nord del lago Tanganica: fra
le opere principali di questo popolo risaltano i poggiatesta, anche oggi molto comuni; un senso
estetico comune animava gli artisti, per cui è difficile distinguere fra arte cortigiana e popolare.
Uno dei primi regni che entrò in contatto con le altre civiltà fu quello dei Bakongo che, fin dal
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Note
1. ^ Universo, pp. 117-119.
2. ^ EXPO 1897 BRUXELLES - MilanoPlatinum.com, in MilanoPlatinum.com, 25 agosto 2016.
URL consultato il 3 novembre 2017.
3. ^ InStoria - Influenze africane nell'arte europea, su www.instoria.it. URL consultato il 3 novembre
2017.
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4. ^ Mandel, p. 62.
Bibliografia
Beppe Berna, La forma selvaggia ... il piacere dell’arte africana, 1983/2008. URL consultato il
12 dicembre 2020 (archiviato dall'url originale il 5 marzo 2014).
Beppe Berna, Alle origini del primitivismo, 1985.
AA.VV., Enciclopedia Universo, vol. 1, Novara, De Agostini, 1962,
SBN IT\ICCU\LO1\0344036.
Gabriele Mandel, Arte etnica, Milano, Mondadori, 2001, ISBN 978-88-04-44754-2.
Ivan Bargna, L'arte in Africa, Milano, Jaca Book, 2008, ISBN 88-16-60392-5.
Egidio Cossa, Arte africana, in Dossier Art, n. 38, Firenze, Giunti Editore, 1989.
Giovanni Incorpora, Sculture d'Africa. Guida all'arte tra miti e culture, Vicchio di Mugello,
Polaris, 2007, ISBN 978-88-6059-013-8.
Voci correlate
El Anatsui
Fathi Hassan
Ben Enwonwu
Africa
Arte contemporanea africana
Maschere tradizionali africane
Altri progetti
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of_Africa?uselang=it)
Collegamenti esterni
(EN) Arte africana / Arte africana (altra versione), su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc.
Artes Africanae - Arte africana, su artesafricanae.org. URL consultato il 25 luglio 2020 (archiviato
dall'url originale il 12 gennaio 2020).
African Art-Africart-Art Africain-Arte Africana / Marcello Lattari, su africarte.it.
Maschere Africane, su sites.google.com.
Thesaurus BNCF 2490 (https://thes.bncf.firenze.sbn.it/termine.php?id=2490) · LCCN
(EN) sh85007528 (http://id.loc.gov/authorities/subjects/sh85007528) · BNF
Controllo di (FR) cb119338968 (https://catalogue.bnf.fr/ark:/12148/cb119338968) (data) (https://da
autorità ta.bnf.fr/ark:/12148/cb119338968) · BNE (ES) XX531177 (http://catalogo.bne.es/uhtbi
n/authoritybrowse.cgi?action=display&authority_id=XX531177) (data) (http://datos.bn
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