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Hoarding Disorder: the impact on families and


possible interventions

Thesis · July 2016


DOI: 10.13140/RG.2.1.2220.4403

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1 author:

Elena Bracaloni
University of Padova
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA

Dipartimento di Psicologia Generale

Corso di laurea magistrale in Psicologia Clinica

Tesi di laurea magistrale

Il disturbo da accumulo: impatto sui familiari e


possibili strategie di intervento

Hoarding Disorder: the impact on families and possible interventions

Relatore
Ch.mo Prof. Ezio Sanavio

Laureanda:
Elena Bracaloni
Matricola:
1040364

Anno Accademico 2015/2016


Indice

1 Il disturbo da accumulo e il suo impatto sui familiari ………………..……….1


1.1 Il disturbo da accumulo ………………………………………………… 2
1.1.1 Criteri diagnostici ……………………………………………4
1.1.2 Le tre facce del disturbo da accumulo ………………………..6
1.2 Impatto del disturbo da accumulo sui membri della famiglia …………….9
1.2.1 I modi in cui il disturbo da accumulo può colpire i familiari ..10
1.2.2 Rassegna bibliografica sull’argomento ……………………..19

2 Possibili strategie di intervento ………………………………………………33


2.1 Educare i familiari alla comprensione del disturbo ……………………..34
2.1.1 La Riduzione del Danno …………………………………….35
2.1.2 Un intervento psicoeducativo: il Family-As-Motivators
training ……………………………………….……....…….38
2.2 Gruppi di auto-aiuto in rete ……………………………………………..40

3 Indagine svolta nel territorio di Pisa …………………………………………41


3.1 Intervista a due tecnici della prevenzione del servizio di
Igiene Pubblica …………………………………………………………45
3.2 Intervista al comandante dei vigili urbani ………………………………47
3.3 Intervista ai gestori di un mercatino dell’usato …………………………49
3.4 Intervista a un familiare ………………………………………………...52
3.5 Intervista a uno psichiatra ………………………………………………60
3.6 Intervista a un’assistente sociale ………………………………………..63

4 Conclusioni ……………………………………………………………………69

Bibliografia

Sitografia
Appendice ……………………………………………………………………………….I
Strumenti psicodiagnostici ……………………………………………………...II
Hoarding Rating Scale (HRS) …………………………………………...II
Clutter Image Rating Scale (CIRS) ……………………………………...V
Saving Cognitions Inventory (SCI) …………………………………….XI
Home Environment Index (HEI) ………………………………………XV
Family Impact Scale for Hoarding (FISH) ……………………………XIX
Documenti ………………………………………………………………….XXIV
Outline of FAM training - 14 session version ………………………XXIV
Comunicato Stampa ASL Milano ………………………………...XXXIV
Introduzione all’intervista …………………………………………XXVII
Tracce per le interviste ……………………………………………XXXIX
Interviste ……………………………………………………………………XLIII
1a trascrizione (prima parte) ………………………………………...XLIII
1a trascrizione (seconda parte) ……………………………………...XLVI
2a trascrizione ………………………………………………………...LIV
3a trascrizione …………………………………………………………LX
4a trascrizione …………………………………………………...LXXXIII
5a trascrizione ………………………………………………………....CII
6a trascrizione ……………………………………………………....CXVI
Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima,
uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le
sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: - Roba mia, vientene con me! -

Da “La Roba”, in Novelle Rusticane di Giovanni Verga


Capitolo 1

Il disturbo da accumulo e il suo impatto sui familiari

Fino a qualche anno fa l’accumulo di oggetti era comunemente considerato un


comportamento clinicamente poco significativo e legato ad aspetti di personalità
marginali. Anche i clinici stessi faticavano a comprenderne il significato. Il quadro è
cambiato soprattutto grazie al lavoro di studio e di ricerca di Randy Frost, Gail Steketee,
e dei loro collaboratori. Negli ultimi venti anni questi studiosi hanno sviluppato la ricerca
e una teoria per la comprensione del disturbo e hanno dato un contributo fondamentale
per il riconoscimento del disturbo come categoria diagnostica a sé stante.
Ancora non sono del tutto chiari i meccanismi che sottendono il disturbo né la sua
eziopatogenesi, anche se, come spesso accade per i disturbi mentali, il modello esplicativo
potrebbe essere genericamente di tipo biopsicosociale. Molto probabilmente ulteriori
grandi passi in avanti si faranno nei prossimi anni nella comprensione del comportamento
di accumulo proprio grazie al fatto di aver dato un nome e una dignità diagnostica a questa
forma di disagio psicologico.
Quello che si evince per il momento dalla letteratura è che il disturbo da accumulo (DA),
o disposofobia, è un disturbo mentale caratterizzato principalmente da tre aspetti: la
tendenza ad accumulare e/o acquisire un numero eccessivo di oggetti, la persistente
difficoltà ad eliminare o separarsi dai propri beni, a prescindere dal loro reale valore, e la
difficoltà ad organizzare in modo funzionale i propri oggetti. Si parla di DA quando l’esito
di questi tre problemi connessi tra loro dà luogo a un disordine domestico significativo il
quale crea intralcio negli ambienti e produce un disagio significativo all’interno
dell’abitazione (Frost & Hartl, 1996). Inoltre per parlare di DA devono esserci delle
conseguenze significative importanti che riguardino: serie limitazioni nell’uso degli spazi
in casa, rischi sanitari e nella sicurezza della casa, isolamento sociale, significativo
disagio e peggioramento della qualità della vita.
È stato riconosciuto che il DA può avere un impatto negativo significativo sulla salute
fisica e psicosociale e sul benessere sia degli accumulatori che dei membri della famiglia
(Büscher, Dyson, & Cowdell, 2014); questo può includere malattie fisiche e mentali,

1
disagi lavorativi, finanziari e legali, situazioni di pericolo e condizioni di vita insane,
disagi e tensioni all’interno delle relazioni familiari.
Perché queste persone accumulano recando disagio anche ai propri familiari?
Quali effetti può avere il comportamento di accumulo sugli altri membri della famiglia e
sulle relazioni con i familiari?
Quali sono le strategie funzionali che un familiare può mettere in atto per migliorare la
situazione?
Nella presente dissertazione inizialmente presenterò brevemente il disturbo, cercando di
descriverne le caratteristiche principali nel modo più chiaro possibile. Proseguirò
descrivendo l’impatto che il disturbo ha sui familiari e andando anche ad analizzare i
risultati di alcuni studi derivati dalla ricerca scientifica. Successivamente esporrò le
principali strategie di intervento rivolte ai familiari, derivanti da un corpus di ricerca
psicologica molto recente. Infine inserirò il resoconto di un’indagine che ho svolto
attraverso alcune interviste e che considero particolarmente significativa per cogliere
appieno la rilevanza degli argomenti trattati. Concluderò con delle riflessioni personali
nel tentativo di tradurre le informazioni emerse dall’indagine in termini applicativi,
proponendo una gestione del disturbo che tenga conto anche delle complesse relazioni
col sistema famiglia.

1.1 Il disturbo da accumulo

Come già sottolineato, molti aspetti del DA non sono ancora chiari poiché è un
disturbo che viene studiato da soli venti anni e da un numero ristretto di ricercatori. Ciò
nonostante molto è stato fatto nella direzione della comprensione e del trattamento del
disturbo. Per comprendere il DA è necessario partire da una considerazione preliminare
che riguarda il rapporto patologico con gli oggetti: le persone con DA hanno una qualità
del rapporto con gli oggetti che non è diversa dal rapporto che abbiamo tutti noi, nel senso
che le motivazioni che spingono ad accumulare non sono, dal punto di vista qualitativo,
diverse dalle motivazioni che spingono ognuno di noi a conservare degli oggetti (Frost &
Gross, 1993). Quasi tutti noi abbiamo degli oggetti che ci portiamo dietro per anni, non
tanto per il loro valore intrinseco o strumentale, ma perché siamo in qualche modo legati
ad essi, e buttarli via può risultarci problematico. Questo succede perché, per una forma

2
di “pensiero magico”, spesso gli oggetti assumono delle qualità psicologiche che, ad
esempio, possono riguardare una persona con cui l’oggetto è stato in contatto, oppure il
rapporto che abbiamo o abbiamo avuto con la persona con cui l’oggetto è stato in contatto.
Sono state alcune serie televisive di documentari con riprese di scene di vita reali prodotte
negli Stati Uniti e diffuse da emittenti statunitensi (come “Hoarders” o “Hoarding:
Buried Alive”) e in seguito ritrasmesse in Italia (“Sepolti in casa”) a portare il DA alla
conoscenza del grande pubblico. Recentemente la collaborazione fra Discovery Italia e la
Azienda Sanitaria Locale (ASL) di Milano ha prodotto il programma televisivo “Vite
Sommerse” che seguendo l’esempio dei docu-reality americani racconta la storia di
alcune persone con questo disturbo, con un focus sul territorio italiano. Seppur
semplificando molto il problema, questo tipo di programmi televisivi ha il pregio di
sensibilizzare la popolazione alzando il livello di consapevolezza generale sul tema. In
realtà il DA è uno dei disturbi meno conosciuti anche dai clinici stessi (Frank &
Misiaszek, 2012), sia perché è stato riconosciuto come disturbo mentale autonomo solo
da un tempo relativamente breve, sia perché è un disturbo che raramente arriva
all’osservazione dei clinici poiché i pazienti difficilmente chiedono un aiuto psicologico.
Spesso invece sono i familiari a richiedere un intervento, esasperati da situazioni che si
trascinano in modo ingravescente, a volte da decine di anni.
Steketee e Frost (2013a) stimano che la prevalenza del DA sia di circa il 5% nella
popolazione generale (più precisamente fra il 2 e il 6%), anche se presumono che il
fenomeno sia sottostimato. Il DA risulterebbe quindi essere un disturbo molto diffuso,
anche più del Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC), la cui prevalenza è inferiore al 3%.
Il DA risulta più diffuso tra persone nubili/celibi e sole, e per quanto riguarda gli aspetti
legati alla prevalenza rispetto al genere non risulta ancora possibile determinare se esista
una reale differenza saliente. Di solito l’esordio del DA è molto precoce e nella maggior
parte dei casi coincide con l’età giovanile, ma il disturbo nella sua pienezza emerge a
distanza di anni e per questo motivo la diagnosi spesso è tardiva. È rarissima la remissione
spontanea; se il DA non è curato di solito tende a essere un disturbo cronico e ad
aggravarsi col passare del tempo. Il peggioramento è preceduto da eventi tipici e molto
frequenti come la separazione dal partner, la perdita e il lutto. È interessante sottolineare
quanto emerge dalla ricerca di Landau, Iervolino, Pertusa, Santo, Singh e Mataix-Cols
(2011), cioè che le persone che soffrono di DA presentano un’incidenza maggiore di

3
vissuti o eventi di tipo traumatico rispetto alla popolazione generale ma anche rispetto ad
altri gruppi clinici. Ciò nonostante i disposofobici tendono a non presentare sintomi di
tipo post-traumatico a fronte di eventi traumatici, come se l’accumulo di oggetti fosse una
strategia di coping alternativa al disturbo post-traumatico da stress.

1.1.1 Criteri diagnostici

Nella quarta edizione revisionata del Manuale Diagnostico e Statistico dei


Disturbi Mentali (DSM-IV-TR, 2000) realizzata dall’American Psychiatric Association
(APA), il comportamento di accumulo era considerato come uno dei possibili sintomi del
Disturbo Ossessivo Compulsivo di Personalità (DOCP): “l’individuo è incapace di gettare
via oggetti consumati o di nessun valore, anche quando non hanno alcun significato
affettivo”. Inoltre nel DSM-IV-TR l’accumulo estremo compariva non come criterio
diagnostico del Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) ma come espressione di una
particolare manifestazione di DOC. Tuttavia i clinici hanno osservato che in molti casi
l’accumulo patologico sembrava essere indipendente da altri disturbi psichiatrici, inclusi
DOCP e DOC, ma conduceva ugualmente a disagio e disabilità clinicamente
significative.
Dopo circa venti anni di ricerche e studi epidemiologici, e dopo venti anni dalla prima
definizione di DA data da Frost e Hartl (1996), solo di recente, con la pubblicazione della
quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5; APA,
2013), il DA è stato riconosciuto come disturbo autonomo, acquisendo di fatto una propria
identità diagnostica. Nel DSM-5 il DA è considerato come una condizione che si colloca
all’interno dello spettro dei disturbi ossessivo-compulsivi.
La decisione della dizione “Disturbo da accumulo” (Hoarding Disorder, nella versione
statunitense) è stata dettata dal voler nettamente distinguere tale disturbo da
manifestazioni secondarie di altri disturbi (ad esempio, accumulo patologico come
compulsione del DOCP). La tarda realizzazione di questa categoria diagnostica finora è
stata sicuramente un limite nella diagnosi ma anche nella comprensione del disturbo e
quindi nel trattamento, poiché se un disturbo non viene riconosciuto e diagnosticato non
viene nemmeno trattato. Tuttavia, quello che un tempo era considerato alla stregua di un
“segreto di famiglia”, oggi lentamente comincia ad acquisire una propria dignità come

4
disturbo, riducendo pertanto la vergogna di pazienti e parenti e favorendo l’accesso alla
terapia.
I criteri diagnostici del DA che sono stati messi in luce dal DSM-5 sono i seguenti:

A. Persistente difficoltà ad eliminare o separarsi dai propri beni, a prescindere dal


loro reale valore.

B. Tale difficoltà è dovuta ad un forte bisogno di conservare tali beni e/o al disagio
associato alla loro eliminazione.
C. I sintomi risultano nell’accumulo di un gran numero di beni che progressivamente
ingombrano zone della casa o del posto di lavoro fino al punto in cui la loro
destinazione d’uso non è più possibile. Se tali aree tornano ad essere sgombre è
dovuto ad interventi di terzi (ad esempio, familiari, imprese di pulizie, autorità).
D. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione nell’area
sociale, lavorativa, o in altre importanti aree di funzionamento (incluso il
mantenimento di un ambiente sicuro per sé e per gli altri).
E. I sintomi di accumulo non sono dovuti a una condizione medica generale (per
esempio, danno cerebrale, malattia cerebrovascolare).
F. I sintomi di accumulo non sono ascrivibili ad altro disturbo mentale (per esempio,
accumulo a causa di ossessioni dovute a Disturbo Ossessivo-Compulsivo,
diminuzione di energia dovuta a Disturbo Depressivo Maggiore, deliri nella
Schizofrenia o altro Disturbo Psicotico, deficit cognitivi nella Demenza, interessi
ristretti nei disturbi dello Spettro Autistico, accumulo di alimenti nella sindrome
di Prader-Willi).

Inoltre il DSM-5 prevede anche due specificatori: il primo, oltre all’esistenza di condotte
di accumulo (intese come difficoltà/blocco dell’eliminazione), richiede di specificare la
presenza o meno di condotte di acquisizione (con acquisto/raccolta di beni in quanto utili,
convenienti, ecc.); il secondo richiede di specificare il grado di insight del paziente in
merito al problema su una scala a tre livelli, e quindi se il paziente manifesta verso i suoi
comportamenti e credenze relative all’accumulo buon insight (riconosce che esse sono
problematiche), basso insight (pochissime volte riconosce che esse sono problematiche,
a dispetto dell’evidenza) o insight assente (non riconosce che esse sono problematiche, a
dispetto dell’evidenza).

5
Nel Manuale la diagnosi di DA come espressione sintomatica di DOC viene ristretta,
rispetto al DSM-IV-TR, ai soli casi in cui siano presenti i seguenti criteri: il
comportamento di accumulo è guidato dalla paura di contaminazione o da pensieri
superstiziosi; il comportamento di accumulo è indesiderato o altamente angosciante;
l’individuo non mostra alcun interesse per gli oggetti accumulati; l’acquisizione eccessiva
si presenta solo in relazione ad una categoria determinata di oggetti legati ad ossessione
specifica.
Il DSM-5 si concentra molto su due aspetti del DA che sono: la difficoltà a separarsi dagli
oggetti, e l’accumulo e/o l’acquisizione (o accaparramento) degli oggetti. Il DA si
caratterizza anche per un terzo aspetto (Frost & Steketee, 2012), trascurato dal DSM-5,
che riguarda la difficoltà ad organizzare gli oggetti. Questo aspetto contribuisce a
produrre il disordine tipico delle case degli accumulatori.

1.1.2 Le tre facce del disturbo da accumulo

L’accumulo e/o l’acquisizione di troppi oggetti

Per chi soffre di comportamento di accumulo patologico gli oggetti possono avere
un grande significato affettivo come non averne affatto. Il materiale o gli oggetti che le
persone conservano possono essere di qualsiasi tipo: dalla collezione di oggetti di valore
all’ammasso di spazzatura, fino all’accumulo di animali. Molto frequente è l’accumulo
di libri e giornali o di materiali che contengono informazioni e possono aumentare le
conoscenze.
È necessario a questo punto fare una distinzione fra accumulo come espressione
sintomatica di un altro disturbo e accumulo come disturbo a sé stante:

 gli accumulatori che vivono in uno stato di estremo disordine o squallore come
risultato di un’altra condizione psicologica o neurologica (DOC, DOCP, disturbi
genetici, disturbi dello Spettro Autistico e Asperger, specifiche lesioni cerebrali,
sindrome di Diogene, Disturbo Depressivo Maggiore, Schizofrenia o Demenza),
in genere non percepiscono nessun tipo particolare di attaccamento ai propri
oggetti;

6
 nei casi di DA come disturbo a sé stante tale patologia può presentarsi come unica
osservabile oppure, in alcuni casi, co-occorrere con altri disturbi. Il
comportamento di accumulo si presenta spesso in comorbilità con altri disturbi
psicopatologici. Le condizioni di comorbilità più comuni sono: i Disturbi
Depressivi, i Disturbi d’Ansia (specialmente il Disturbo d’Ansia e il Disturbo
d’Ansia Generalizzato), i disturbi legati al controllo degli impulsi e il Disturbo da
Deficit di Attenzione/Iperattività (Frost & Steketee, 2014). Gli accumulatori in
questo caso provano un forte sentimento di attaccamento e percepiscono un
legame stretto con gli oggetti che accumulano (Neziroglu & Donnelly, 2013).

La motivazione che maggiormente viene data al comportamento di accumulo sia dalle


persone con DA che dai soggetti normali è quella relativa al mantenimento della memoria
e del ricordo. Emerge quindi il timore di dimenticare se non si conservano le cose, la
paura di perdere i ricordi personali o collettivi.
Una caratteristica del DA che lo differenzia da altri disturbi come il DOC è il fatto che
può essere molto piacevole. Gli aspetti piacevoli dell’accumulare sono più evidenti
durante il processo di acquisizione di oggetti, che può avvenire attraverso lo shopping
compulsivo nei centri commerciali o negli acquisti on line, l’acquisizione di oggetti
gratuiti, addirittura i furti. Alcuni ricercatori inoltre hanno suggerito che lo shopping
compulsivo sia una forma di comportamento dipendente simile alla tossicodipendenza
(Frost & Steketee, 2012).

La difficoltà a separarsi dagli oggetti

In questi pazienti è possibile inoltre osservare la difficoltà a separarsi dagli oggetti.


Il discrimine fra il DA e quella che potrebbe essere una forma di collezionismo è proprio
questa difficoltà affettiva a gettare gli oggetti, pur sapendo che non servono e che molti
altri li butterebbero. L’atto di rimandare il momento della separazione dagli oggetti
sembrerebbe un modo per evitare l’ansia. La difficoltà a separarsi dagli oggetti può essere
talmente intensa da arrivare al suicidio; per esempio negli Stati Uniti, durante le situazioni
di sgombero forzato legate a ragioni di sicurezza e socio-sanitarie, le autorità hanno
autorizzato l’intervento anche dello psicologo, proprio a causa dell’alta percentuale di

7
suicidi registrati successivamente agli sgomberi. Lo psicologo durante la delicata fase
dello sgombero cerca di educare alla separazione, rendendola graduale.
Come motivazione alla difficoltà a separarsi dagli oggetti il tema dell’evitamento dello
spreco è centrale e ha una connotazione anche morale, tant’è che spesso chi soffre di DA
critica aspramente la società consumistica moderna e il più delle volte il comportamento
di accumulo è coperto e giustificato da motivazioni ambientaliste. Ad esempio le persone
con DA si definiscono come persone ipersensibili all’ambiente e al tema del riciclo,
perciò non buttano un oggetto finché non sono sicuri di trovarne un nuovo utilizzo, poiché
altrimenti il loro comportamento sarebbe moralmente sbagliato. Darsi questo tipo di
spiegazioni, oltre a rinforzare il comportamento di accumulo, abbassa ulteriormente la
consapevolezza di malattia.
Inoltre dal punto di vista dell’accumulatore gli oggetti diventano parte della sua storia
personale e in un certo senso definiscono la sua identità.

La difficoltà ad organizzare gli oggetti

La difficoltà ad organizzare gli oggetti è legata a trovare difficoltà nella creazione


di categorie, ovvero ogni oggetto è percepito come unico e viene collocato in una
categoria a sé. Probabilmente questo malfunzionamento delle capacità di
categorizzazione - e quindi di attenzione, di memorizzazione, di pianificazione e di
decisione - è uno dei motivi per cui questi pazienti tendono ad avere difficoltà a
discriminare quali sono gli oggetti più inutili da quelli che sicuramente sono da tenere
(Frost & Steketee, 2014). Nel processo di categorizzazione sembra che questi individui
si basino su un numero maggiore di categorie sotto-inclusive. Questo aspetto si riflette
anche in un linguaggio particolare e caratteristico: i pazienti con disturbo da accumulo
tendono ad essere molto prolissi, hanno difficoltà a stabilire delle priorità, aprono
tantissime parentesi, fanno moltissime specificazioni e tendono ad avere difficoltà ad
arrivare al punto (Frost & Steketee, 2012).
Chi soffre di DA può rendersi conto dell’eccesso e può ammettere che i propri averi sono
troppi e che andrebbero messi in ordine, però spesso tende anche a pensare che i motivi
per tenere gli oggetti sono giustificati ed è convinto che c’è sempre un buon motivo per
cui tenere tutto. Tipicamente si osserva anche la tendenza a rimandare e la tendenza ad

8
avere scarsa consapevolezza di malattia. I pazienti disposofobici solitamente conoscono
ogni singolo oggetto che conservano e ne sanno spiegare la possibile funzione o la ragione
per cui lo conservano. Inoltre, in relazione all’accumulo, quello che sembrano dirsi queste
persone è che si tratta di una circostanza momentanea, di un qualcosa che si sta per
risolvere, anche se la situazione è rimasta la stessa in stallo da decine di anni.

1.2 Impatto del disturbo da accumulo sui membri della famiglia

Oltre che sulla salute pubblica il DA ha non solo conseguenze dirette sulla vita di
chi ne soffre, ma è ormai ben documentato in letteratura che, a differenza di altri disturbi,
la disposofobia ha come sua caratteristica peculiare quella di riversarsi sulla famiglia, sia
letteralmente che in maniera figurata. Infatti le conseguenze del comportamento di
accumulo colpiscono gli accumulatori stessi nello spazio in cui essi vivono e pertanto
vanno a colpire anche le persone che vivono insieme all’accumulatore, causando rischi
per la salute, peggioramento della qualità di vita e conseguenze significative a livello
emotivo ed esistenziale.
In particolare i figli degli accumulatori, i quali spesso non hanno altra scelta che quella di
vivere insieme al proprio familiare (anche se idealmente possono non condividerne il
disordine), sono coloro che ne subiscono l’impatto maggiore. È necessario considerare
che i figli degli accumulatori spesso subiscono passivamente l’accumulo da parte del
proprio genitore o dei propri genitori fin dalla prima infanzia, costretti quindi a crescere
loro malgrado in un ambiente inadatto al normale sviluppo personale e sociale. Il disturbo
agisce nello spazio abitativo, per definizione condiviso, spazio che nelle manifestazioni
più severe del disturbo può diventare totalmente invaso dagli oggetti accumulati. Nei casi
più gravi gli spazi abitativi perdono la loro funzionalità, rendendo difficile o addirittura
impossibile compiere le normali attività quotidiane come cucinare, mangiare, accedere ai
sanitari. A tutto questo per i membri della famiglia si aggiunge lo stress di numerosi
tentativi, sforzi e proposte per risolvere il problema del DA del loro familiare a cui si
somma parallelamente la sistematica delusione e frustrazione derivate dal non vedere
miglioramenti nel corso degli anni. Tale situazione è spesso accompagnata da uno scarso
insight sul problema da parte dell’accumulatore stesso, aspetto che rende impossibile ai
familiari ogni tipo di confronto, esasperando ulteriormente i rapporti (Tolin, Fitch, Frost,

9
& Steketee, 2010b). È pertanto comprensibile che rabbia, tristezza, risentimento,
imbarazzo, isolamento e frustrazione siano i sentimenti nutriti dalla maggior parte dei
familiari, come riportato dalla maggior parte degli studi.

1.2.1 I modi in cui il disturbo da accumulo può colpire i familiari

Prima di esaminare le ricerche disponibili in letteratura relative allo studio


dell’impatto che il DA ha sui membri della famiglia e sulle relazioni familiari, ritengo
opportuno descrivere i modi in cui il DA può interessare e colpire i familiari.
Neziroglu e Donnelly (2013) hanno scritto il primo libro rivolto specificatamente a figli
di accumulatori. Le autrici descrivono i disagi che il DA può causare non solo a livello
psicologico, ma anche per quanto riguarda i rischi legati alla salute, alla sicurezza e ad un
generale peggioramento della qualità della vita. Di seguito approfondisco ognuno di
questi aspetti, alcuni dei quali oltre che per i figli possono essere considerati validi anche
per altri componenti della famiglia come i genitori, i coniugi o i fratelli.

Rischi per la salute e per la sicurezza

Il DA può avere forte impatto a livello fisico sui familiari, sia per aspetti legati ai
rischi per la salute che per la sicurezza delle persone e della casa. Come già sottolineato,
esistono pochi disturbi psicologici che costringono i familiari a vivere o subire le
conseguenze di uno stile di vita disfunzionale nello stesso modo totalizzante in cui lo fa
il DA. Chiunque viva con un accumulatore solitamente vive come un accumulatore, a
partire dalle condizioni antigieniche dell’abitazione. Pur non riuscendo a superare il loro
comportamento disposofobico, gli accumulatori talvolta provano vergogna e sono
imbarazzati dalle condizioni degli ambienti nei quali vivono. Essi diventano vittime di
una soluzione disfunzionale. Le abitazioni degli accumulatori sono tipiche per essere
caratterizzate da squallore e degrado. L’incuria e la trascuratezza domestica sono causa
delle condizioni antigieniche che si creano all’interno dell’abitazione e che a loro volta
possono provocare una serie di ulteriori problemi sanitari come infezioni, parassitosi o
infestazioni.

10
Quando gli oggetti in una casa iniziano ad accumularsi eccessivamente può diventare
difficile riuscire a mantenere l’ambiente in condizioni di pulizia e igiene, in particolar
modo nelle zone in cui vengono conservati avanzi deperibili e altri scarti reali o potenziali
che possono risultare invitanti per insetti e altri animali infestanti. Proprio a causa delle
condizioni della casa e della difficoltà nel muoversi attraverso i cumuli di oggetti può
essere sempre più difficile individuare ed eliminare la sporcizia. Purtroppo
frequentemente l’accumulo di oggetti è una condizione che crea terreno fertile per
infestazioni da parte di formiche, mosche, ragni, cimici, scarafaggi, topi e ratti, e allora a
seconda della gravità del DA i membri della famiglia possono ritrovarsi a dover convivere
con i problemi derivanti da queste infestazioni. In casi estremi è stato osservato che i figli
degli accumulatori sembrano non far caso a tali ospiti indesiderati, mostrandosi abituati
alla loro presenza, probabilmente per non aver mai vissuto una condizione domestica
diversa.
Oltre al disagio dovuto alle infestazioni, ritengo sia fondamentale soffermarsi sulle
malattie di cui gli animali suddetti sono potenziali vettori: sono esempi di antropozoonosi
la sindrome polmonare da Hantavirus, la salmonellosi e la leptospirosi.
Inoltre, in presenza di un’infestazione, la repulsione per gli animali coinvolti e/o per i loro
escrementi può causare preoccupazioni e tensioni molto forti all’interno della famiglia.
La situazione domestica può peggiorare particolarmente nel caso in cui siano presenti in
casa anche animali domestici. A causa della difficoltà nel muoversi liberamente
all’interno della casa per poter eseguire le normali operazioni di pulizia, gli escrementi o
i rifiuti abbandonati dagli animali domestici rischiano di depositarsi in luoghi
inaccessibili, causando gravi rischi per la salute.
Nei casi in cui ad essere accumulati siano gli animali stessi, il mancato controllo della
quantità di escrementi e il loro conseguente accumularsi può portare a situazioni
esponenzialmente peggiori. Il livello di ammoniaca (sostanza volatile dall’odore
pungente presente nell’urina degli animali) nelle abitazioni degli accumulatori di animali
spesso supera quello che è considerato il limite massimo di sicurezza per la salute. Un’alta
concentrazione di ammoniaca è potenzialmente pericolosa in ambienti non ventilati e può
condurre a problemi respiratori fino all’arresto cardiaco. L’accumulo di animali inoltre
aumenta il rischio di presenza di parassiti e di infestazioni da parte di insetti e roditori,
rendendo le condizioni dell’ambiente domestico ulteriormente critiche. Oltre agli effetti

11
nocivi sulla salute descritti in precedenza, l’accumulo di animali aumenta le probabilità
di contrarre malattie come la toxoplasmosi, infezioni da Stafilococco, rickettsiosi
trasmesse dal morso di zecca, la malattia da graffio di gatto, e addirittura la rabbia.
Le persone che accumulano un gran numero di animali, in particolar modo cani e gatti,
spesso vedono il loro comportamento come parte di una missione per preservarli e
salvarli; talvolta essi sono convinti di avere qualche potere o abilità speciale per
realizzarla. Paradossalmente queste persone sono spesso ignare delle reali minacce allo
stato di salute e delle condizioni potenzialmente pericolose in cui costringono a vivere i
loro animali (Frost & Steketee, 2012). Infine, in una sorta di perverso circolo vizioso, la
presenza di animali malati, a cui non vengono prestate le dovute cure, che si trovano in
fin di vita, o addirittura deceduti, contribuisce ad aumentare lo squallore e le condizioni
antigieniche dell’abitazione.
Le case degli accumulatori spesso si contraddistinguono per l’odore da cui sono permeate;
oltre a quello ammoniacale un altro odore tipico può essere dovuto alla presenza di polveri
e muffe. Sia le polveri che le muffe possono causare o esacerbare seri problemi
all’apparato respiratorio, come allergie respiratorie e l’asma, specialmente nei bambini
molto piccoli e negli anziani. Gli oggetti accumulati possono portare al blocco parziale o
totale di porte o finestre e come conseguenza portare ad una scarsa ventilazione causando
aumento e ristagno di umidità, il che crea le condizioni ideali per la crescita della muffa.
La presenza di polveri oltre che di muffe intensifica gli effetti negativi sulla salute.
All’interno di una casa troppo piena di oggetti e trasandata, non sufficientemente esposta
alla luce solare e ad aerazione periodica, si può comunemente riscontrare la presenza di
muffe che possono associarsi a varie problematiche sanitarie. Alcuni tipi di muffe che
attaccano sostanze alimentari o i loro scarti possono contenere micotossine (sostanze
chimiche tossiche prodotte da funghi il cui scopo è quello di indebolire l’ospite).
Negli USA, dove l’uso del legno è comune come materiale da costruzione, è stata rilevata
una muffa definita tossica: a seconda del tipo di muffa, della concentrazione di spore della
muffa nell’aria, e della vulnerabilità della persona esposta, la muffa tossica può
danneggiare il sistema linfatico, inibire il funzionamento del sistema immunitario, e
causare danni al sistema nervoso centrale.

12
Finora ho esposto quali possono essere i rischi per la salute sia dell’accumulatore che dei
suoi familiari; adesso descriverò quali possono essere i rischi per la sicurezza delle
persone e della casa.
L’accumulo di oggetti spesso rende difficile l’accedere e il muoversi all’interno
dell’abitazione. Durante l’infanzia ai figli degli accumulatori può mancare la piena
consapevolezza dei gravi rischi per la sicurezza dovuti alla scarsa accessibilità all’interno
della casa, ma possono raggiungerla più o meno gradualmente con l’età adolescenziale e
adulta. Può accadere che essi maturino il proposito di tenere i propri figli lontani dal
parente disposofobico per timore di eventi avversi di varia natura. In generale i familiari
possono vivere un forte senso di apprensione poiché la scarsa accessibilità negli spazi di
un’abitazione comporta, soprattutto per le persone più vulnerabili come i minori, gli
anziani o i disabili, il rischio di incidenti o lesioni traumatiche, insieme alla difficoltà di
accesso per i soccorritori.
Nelle abitazioni di chi soffre di disposofobia spesso si creano i cosiddetti “sentieri di
capra”, ovvero corridoi non più larghi di trenta centimetri tra un cumulo di oggetti e
l’altro, lungo i quali le persone si muovono per spostarsi all’interno della casa. È difficile
farsi strada attraverso tali percorsi perché spesso sono molto stretti oltre che instabili,
poiché delimitati da pile di oggetti. La caduta dei materiali accatastati può causare lesioni
traumatiche gravi, purtroppo talora anche con tragiche conseguenze (si veda il caso dei
fratelli Collyer).
Se il grado di accumulo di oggetti accatastati all’interno dell’abitazione arriva a livelli di
estrema gravità, possono crearsi i presupposti per un reale pericolo di incendio. Più la
casa sarà piena di oggetti, più si renderà vulnerabile all’innesco di una fiamma; sarà
inoltre maggiormente probabile che un piccolo focolaio si trasformi in un incendio più
grande e in caso di bisogno diminuiranno le probabilità che i vigili del fuoco e i
soccorritori riescano a raggiungere e salvare le persone intrappolate all’interno
dell’abitazione.
Le case degli accumulatori sono spesso pericolose anche a causa di problemi legati allo
stato dell’impianto elettrico. I disposofobici tendono a vergognarsi delle condizioni della
propria abitazione e ad essere molto riservati; per questo motivo spesso evitano il contatto
con tecnici come elettricisti o idraulici e raramente fanno entrare degli estranei all’interno
dell’abitazione. Le zone della casa che presentano un deterioramento dell’impianto

13
elettrico sono spesso rese inaccessibili a causa degli oggetti che occupano la maggior
parte dello spazio. Spesso non è possibile eseguire delle riparazioni, a meno che non
vengano effettuate opere di pulizia e sgombero. Se ciò non avviene, può verificarsi un
cortocircuito o un surriscaldamento di cavi, circostanze che possono dare origine a un
incendio.
Oltre a queste eventualità, un’altra può essere legata al fatto che i disposofobici tendono
ad accumulare oggetti facilmente infiammabili (come pile di giornali, riviste, libri e
spazzatura). Inoltre l’ampio volume di materiale che si trova accumulato all’interno
dell’abitazione aumenta la quantità di materiale combustibile: maggiore è la quantità di
materiale combustibile, più grave sarà l’incendio, e più difficile sarà riuscire a spegnerlo
per i vigili del fuoco. A causa della grande quantità di oggetti accumulati chi vive nella
casa potrebbe non accorgersi immediatamente della presenza di un incendio, ma per lo
stesso motivo - una volta presa coscienza del pericolo - potrebbe comunque essere
difficile se non impossibile uscire in sicurezza dall’abitazione. Questa è un’eventualità a
cui la maggior parte degli accumulatori non pensa.
A seconda della quantità di materiale accumulato le abitazioni dei disposofobici possono
risultare a rischio anche per quanto riguarda l’integrità strutturale. In certi casi le
fondamenta possono risultare in pessime condizioni, per esempio a causa di perdite
dell’impianto idraulico o degli scarichi e loro mancata manutenzione e riparazione in
conseguenza dell’inaccessibilità dovuta al DA. In altri casi dal tetto danneggiato possono
prodursi infiltrazioni di acqua all’interno di una o più pareti divenute inaccessibili a causa
della grande quantità di oggetti accumulati, finché col tempo le infiltrazioni possono
arrecare gravi danni a livello strutturale. Le zone della casa strutturalmente deteriorate
possono diventare ulteriormente vulnerabili per azione di infestazioni ad opera di insetti
(formiche, termiti) o altri animali attratti dall’umidità.
Da quanto esposto finora si può facilmente dedurre quanto le condizioni dell’abitazione
di un disposofobico possono essere critiche e rischiose per la salute e la sicurezza.

Peggioramento della qualità della vita

Al di là delle questioni legate alla sicurezza e alla salute, il DA può portare a


un’importante peggioramento della qualità della vita di tutte le persone che vivono con

14
l’accumulatore. La qualità della vita si riferisce all’appagamento personale percepito in
varie aree della propria quotidianità (affetti e relazioni familiari, attività legate al tempo
libero, allo studio o al lavoro, faccende domestiche, ecc.). Una buona qualità di vita
presuppone una soddisfazione nella maggior parte delle aree della propria esistenza, con
un buon bilanciamento fra di loro.
Le persone che vivono nella stessa abitazione di un parente con DA sono obbligate a
sottostare ad una serie di compromessi, fino a compromettere la propria qualità di vita
sotto vari profili. La perdita di spazio pienamente agibile e funzionante in cui poter vivere
all’interno della casa ne è un esempio. L’eccessivo accumulo di oggetti o di animali può
causare ovvie limitazioni nell’uso degli spazi della casa, come il non avere (più) a
disposizione un’area libera per attività comuni o personali come studiare o giocare,
l’arrivare a non avere neanche uno spazio libero per preparare e consumare il cibo, fino
al non poter utilizzare la vasca da bagno o addirittura il non poter accedere ai sanitari.
Gli accumulatori spesso tentano spontaneamente di limitare le pile di oggetti nei propri
spazi personali all’interno della casa, o vengono stimolati a farlo dai propri familiari, ma
il più delle volte l’accumulo di oggetti raggiunge gradualmente anche le aree comuni.
Quando la stanza da bagno è troppo piena di oggetti per poter essere usata per il suo scopo
originario, l’igiene personale dei membri della famiglia ne risente in maniera
significativa; quando un salotto o un soggiorno è quasi completamente occupato da
oggetti accumulati, la famiglia non ha più uno spazio comune da dedicare ad eventi
condivisi. In altre parole, quando un membro della famiglia soffre di DA, tutta la routine
domestica è stravolta e le attività legate alla famiglia sono ridotte, interrotte o del tutto
impossibili.
I familiari possono sentirsi letteralmente violati dal comportamento di accumulo del
proprio familiare quando dagli spazi comuni le pile di oggetti arrivano a riversarsi
all’interno dei loro spazi personali. Col passare del tempo infatti è molto comune che gli
accumulatori depositino oggetti in tutti gli spazi della casa, fino ad arrivare al noleggio di
magazzini esterni (fenomeno molto comune e diffuso negli USA). Questa tendenza
invasiva è molto disturbante in particolar modo per i figli degli accumulatori, a
prescindere dalla fase evolutiva che stanno attraversando. I bambini nelle prime fasi dello
sviluppo hanno bisogno di uno spazio dedicato in cui giocare e apprendere, così come gli
adolescenti hanno bisogno di uno spazio personale da organizzare e decorare in linea con

15
la propria identità in crescita oltre che uno spazio in cui studiare per avere successo negli
studi. Anche i figli ormai adulti che convivono coi propri genitori hanno bisogno di uno
spazio esclusivo per mantenere liberamente la propria privacy.
Uno degli aspetti più critici e invalidanti per i figli degli accumulatori - durante tutte le
varie fasi dello sviluppo - riguarda la perdita della possibilità di una normale vita sociale
all’interno della propria casa. Per esempio a causa del DA gli ambienti comuni della casa
spesso possono non essere utilizzabili per organizzare feste o per fare i compiti di scuola
insieme agli amici ma, come già sottolineato in precedenza, anche negli ambienti
personali diventati inagibili può mancare spazio per giocare o studiare insieme ai propri
coetanei. In età adulta i figli dei disposofobici possono incontrare difficoltà di altro tipo,
come ad esempio non poter invitare il/la proprio/a partner in casa per presentarlo/a ai
propri genitori per il disagio o la vergona legati alle condizioni domestiche di disordine,
sporcizia e degrado legate al problema dell’accumulo. È rimarchevole che in ogni fase
della crescita i figli dei disposofobici possono maturare un senso di perdita per quelle
opportunità sociali di cui altre persone hanno potuto godere a differenza loro.
Molti degli aspetti legati agli stili di vita descritti fin qui possono far sorgere interrogativi
per quanto riguarda questioni sia etiche che legali. Ad esempio, se il DA comporta delle
condizioni di vita potenzialmente pericolose per un bambino, i servizi sociali possono
prendere provvedimenti e intervenire per far trasferire il figlio dalla propria casa ad una
struttura più adeguata o procedere all’affidamento. Molti professionisti che lavorano con
i bambini - insegnanti, pediatri, psicologi o assistenti sociali - sono legalmente autorizzati,
se necessario, ad informare i servizi sociali e/o le Forze dell’Ordine, se ritengono che un
bambino si trovi in una situazione di serio pericolo. Una volta che i servizi sociali
vengono attivati, possono conseguirne indagini e visite dei tecnici della prevenzione
nell’ambiente e nei luoghi di lavoro (TPALL) e della Polizia Municipale all’interno
dell’abitazione per valutare i potenziali pericoli. Per tutti i motivi descritti finora, cioè
quando il DA è grave e le condizioni dell’abitazione possono rappresentare un vero
pericolo per i minori, l’intervento legale può essere legittimo. I disposofobici che non
godono di un buon insight purtroppo possono non rendersi conto dei rischi legati al
proprio disturbo, come quello di perdere la custodia dei propri figli.
È frequente che in un quartiere o in un piccolo paese gli accumulatori siano ben conosciuti
dalle autorità e dalle amministrazioni locali. Spesso sono i vicini di casa a chiedere

16
l’intervento delle autorità che in prima istanza a loro volta sollecitano l’accumulatore a
intervenire personalmente e a proprie spese per risanare gli immobili coinvolti. Al
disposofobico è richiesto di provvedere alla pulizia dell’abitazione secondo le comuni
norme igienico-sanitarie e di attuare le riparazioni necessarie per riportare la casa in
condizioni abitabili. Se questo non avviene entro un certo periodo di tempo le Forze
dell’Ordine, le Unità Funzionali di Igiene Pubblica e i servizi sociali possono intervenire
nuovamente e procedere allo sgombero forzato, previo il dovuto permesso del Sindaco.
Quando i figli degli accumulatori hanno un’età che li rende capaci di comprendere che le
condizioni in cui è ridotta la loro casa potrebbero causare lo sgombero forzato e/o lo
sfratto, per timore delle conseguenze che seguirebbero all’intervento delle autorità, spesso
rifuggono dal segnalare la situazione di degrado in cui vivono. I conflitti interni causati
dall’assumersi la responsabilità di rompere l’omertà, dividere la famiglia e finire in
affidamento, con i timori e l’incertezza per il futuro proprio e dei familiari, uniti alla
vergogna per l’esposizione al giudizio pubblico e alla riprovazione sociale, possono
causare nei figli degli accumulatori uno stress di forte intensità e durata.

Impatto a livello psicologico

Quando un individuo presenta questo disturbo la sua condizione interferisce sul


funzionamento dell’intero sistema familiare, che si trova di fronte alla necessità di
strutturare le proprie abitudini e il proprio equilibrio. Da alcune ricerche che approfondirò
nel prossimo paragrafo è emerso che il comportamento di accumulo causa nei familiari
un disagio sia affettivo che cognitivo (Tolin, Frost, Steketee & Fitch, 2008a). Il ruolo del
caregiver riveste un aspetto fondamentale nella vita di un familiare. Le attenzioni che
vengono rivolte all’accumulatore riguardano una serie di attività legate alla vita
quotidiana che altrimenti l’accumulatore non riuscirebbe a gestire autonomamente. Ad
esempio il familiare può avere un ruolo importante nell’aiutare l’accumulatore a gestire
la contabilità personale e familiare, nell’incoraggiare a eliminare gli oggetti superflui e a
fare ordine, nel supervisionare la cura di sé (igiene personale, incolumità fisica, dieta
adeguata), nell’aiutare a prendere contatti con i servizi presenti sul territorio (come
appuntamenti con assistenti sociali, tecnici della prevenzione dell’Istituto di Igiene,
psichiatri, ecc.) o nel accollarsene la piena responsabilità.

17
Spesso i familiari degli accumulatori provano sentimenti di rabbia, vergogna e imbarazzo;
talvolta vivono una sensazione di confusione, poiché non riescono a trovare spiegazioni
per il comportamento di accumulo. Essi possono tentare costantemente di superare la
situazione fingendo che il problema non esista oppure impuntandosi a contrastare il
comportamento dell’accumulatore. Possono vivere sentimenti di privazione, provare
preoccupazione per il proprio futuro e per quello del familiare accumulatore e/o nutrire
un persistente risentimento. Il desiderio di aiutare il proprio familiare accumulatore che
si scontra col rifiuto di ricevere aiuto da parte dello stesso genera preoccupazioni per la
salute e per la sicurezza della famiglia. Tale rifiuto può dare origini a conflitti e a un senso
di inadeguatezza nei familiari che non riescono a intravedere possibili soluzioni né a
vedere una fine alla propria sofferenza emotiva. A questi problemi si somma la
frustrazione per la presa di coscienza della mancanza di insight del proprio familiare con
la conseguente sensazione di impotenza. Le ruminazioni in proposito conducono a un
circolo vizioso che trova alimento in ansia e preoccupazioni.
I rapporti familiari sono fortemente provati dalla convivenza con l’hoarder: i familiari in
genere si trovano a scegliere fra due percorsi, l’allontanamento (o la fuga) oppure la
convivenza forzata. Il primo è un percorso doloroso e mai soddisfacente per chi decide di
“salvarsi”, lasciando all’accumulatore la libertà di vivere come vuole, eventualmente
limitandosi a monitorare la situazione a distanza e ripromettendosi di intervenire solo in
caso di emergenza (incidenti domestici, riparazioni, malattia). Nel secondo caso talvolta
non si tratta di una vera scelta ma di un adeguamento dovuto a motivi economici o alla
presenza di minori, nel malinteso tentativo di tutelarli mantenendoli in un ambiente
comunque malsano; la vita quotidiana in questi casi è spesso segnata da una situazione di
costante disagio e conflittualità.
In entrambi i casi i familiari e in particolar modo i figli degli accumulatori possono
presentare sentimenti molto contrastanti e di ambivalenza verso i propri genitori. Nel caso
della convivenza forzata, tali sentimenti sono esacerbati poiché, a differenza dei coniugi
o di altri parenti conviventi, i minori figli degli accumulatori non hanno altra scelta se
non quella di vivere nel disordine insieme ai genitori. Una volta adulti i figli di
accumulatori hanno spesso relazioni molto difficili con i genitori. I figli possono
incolpare i genitori non solo per le condizioni dell’abitazione ma anche per le
conseguenze che il comportamento di accumulo può aver avuto sul loro sviluppo

18
evolutivo: essi provano rancore per le occasioni perdute nel periodo dell’infanzia e per il
condizionamento a cui sono stati sottoposti, che può esporli a maggior rischio di
sviluppare un DA. Infatti alcuni studi hanno suggerito che c’è una connessione tra il
crescere con un familiare accumulatore e lo sviluppare un forte attaccamento emotivo
verso i propri averi (Tolin, Meunier, Frost, & Steketee, 2010a). Questo indica che spesso
il DA non è solo una notevole fonte di stress nella vita familiare: la convivenza con
familiari accumulatori durante l’età dello sviluppo rende più difficile maturare la
consapevolezza che tale comportamento sia patologico così come la capacità di
distaccarsi dai propri averi. È da tenere in considerazione che se più di un componente
della famiglia ha problemi di accumulo, è probabile che il disordine si sviluppi a una
velocità esponenzialmente maggiore rispetto alle conseguenze del DA di un’unica
persona.
Inoltre questo disturbo può avere ripercussioni sia sulle relazioni col proprio parente
accumulatore che con gli altri membri della famiglia, portando ad ulteriori complicazioni
nella gestione del disturbo.

1.2.2 Rassegna bibliografica sull’argomento

In merito all’oggetto della dissertazione, cioè all’impatto che questo disturbo


produce sulla famiglia, ho svolto una ricerca bibliografica recuperando articoli dai
database elettronici PsycINFO e MEDLINE (Medical Literature Analysis and Retrieval
System Online). Nella ricerca ho utilizzato i termini “hoarding”, “hoarding disorder”,
“family”, “children”, “parent”, “partner”, “burden”. Da questa fase esplorativa sono
emersi articoli anche non inerenti lo specifico tema di studio, quindi ho considerato solo
quelli legati specificatamente al tema di mio interesse.

Li descriverò partendo da una revisione sistematica di Büscher, Dyson e Cowdell


(2014) che riassume ed esamina le evidenze provenienti dalla letteratura relative
all’impatto che il DA produce sui membri della famiglia. Per una ricerca iniziale
sull’argomento di interesse gli autori hanno utilizzato i database CINAHL (Cumulative
Index to Nursing and Allied Health Literature), MEDLINE e PsycINFO usando termini
piuttosto ampi. Inizialmente sono stati identificati 63 articoli, ridotti successivamente a

19
20 e infine a 4. In particolare la review include due sondaggi (Tolin, Frost, Steketee, &
Fitch, 2008a; Tolin, Fitch, Frost, & Steketee, 2010b), uno studio qualitativo (Wilbram,
Kellett, & Beail, 2008) e un caso studio (Tompkins, 2011), a partire dai quali gli autori
hanno cercato di identificare le implicazioni per la pratica clinica e le eventuali lacune
nelle conoscenze attuali, cercando di sottolineare le priorità nelle attività di ricerca future.
Come metodo di analisi per questa ricerca qualitativa gli autori hanno utilizzato la
thematic analysis, seguendo il procedimento diviso in sei fasi di Braun e Clarke (2006):
l’iniziale acquisizione di familiarità con i dati, la creazione di codici iniziali, l’indagine
sui temi, la revisione dei temi, la definizione e assegnazione di un nome ai temi e la
scrittura di un resoconto finale.
Prima di esaminare quanto emerso dall’analisi dei dati, riassumo brevemente gli studi
inclusi nella review.
Li descrivo partendo da quello meno recente pubblicato da Wilbram, Kellett e Beail nel
2008, quando ancora il DA non compariva nel DSM come categoria diagnostica. Gli
autori hanno utilizzato un approccio fenomenologico (Interpretive Phenomenological
Analysis, IPA) per indagare le esperienze dei familiari di persone con manifestazioni di
comportamento di accumulo. Essi hanno condotto dieci interviste semi-strutturate a key
carers di familiari con una diagnosi di DOC e presenza di comportamento di accumulo.
I soggetti hanno riferito il disagio, gli sforzi, i sacrifici e le ripercussioni sia nelle proprie
condizioni di vita che nelle relazioni interpersonali.
Dalle interviste sono emersi i seguenti temi:

 la mancanza di una normale vita familiare;


 il bisogno di comprendere la situazione;
 il bisogno di affrontare la situazione;
 l’impatto sulle relazioni;
 l’emarginazione.

I soggetti della ricerca hanno riportato il bisogno di ricevere istruzioni e sostegno che
potesse aiutarli nel comprendere: il comportamento di accumulo, come supportare al
meglio il proprio familiare, come gestire l’impatto che questo comportamento ha sulla
propria vita.

20
È da sottolineare che in questo studio gli accumulatori non sono stati coinvolti
direttamente e che il campione di familiari intervistati potrebbe non essere
rappresentativo poiché i partecipanti sono stati reclutati esclusivamente tramite
un’organizzazione benefica presente nel Regno Unito che fornisce informazioni,
consulenza e sostegno a chi soffre di DOC e alle rispettive famiglie.
Un limite di questo studio è che non comprende le esperienze dei familiari che non si
occupano dell’accumulatore. Questo rimane un aspetto importante soprattutto tenendo
conto di quanto emerso dallo studio di Tolin, Frost, Steketee e Fitch (2008a), ovvero che
il comportamento di accumulo ha un impatto anche su questi membri della famiglia. È
importante pertanto che le ricerche future svolgano indagini per approfondire questo
aspetto, esplorando le esperienze di questi familiari con lo scopo di comprenderne meglio
i vissuti personali e per sviluppare degli interventi specifici ed efficaci.
La rassegna comprende inoltre uno studio pubblicato da Tolin e collaboratori (2008a) i
quali hanno svolto un’indagine self-report retrospettiva attraverso un ampio sondaggio
proposto su Internet, con l’obiettivo di provare a identificare e quantificare le componenti
di impatto del DA sulle relazioni familiari. La ricerca ha coinvolto un campione di 665
soggetti, tutti familiari maggiorenni di accumulatori, selezionati su un database di 8000
soggetti, ai quali è stato richiesto di compilare una serie di scale di valutazione volte a
misurare il livello di disagio e sofferenza che avevano vissuto a causa dell’hoarding. I
soggetti hanno fornito alcune informazioni demografiche (età sesso, relazione con
l’accumulatore, ecc.) e hanno completato:

 la Hoarding Rating Scale-Self-Report (HRS-SR), cioè una versione adattata della


Hoarding Rating Scale-Interview (HRS-I; Tolin, Frost & Steketee, 2007), per la
valutazione indiretta del familiare con DA [vedi Appendice nella sezione
Strumenti psicodiagnostici a pagina II];
 una scala di Clutter Rating, nello specifico la Clutter Image Rating (CIR; Frost &
Steketee, 2006) [vedi Appendice nella sezione Strumenti psicodiagnostici a
pagina V];
 una scala di Insight Rating adattata dall’item 11 della Yale-Brown Obsessive
Compulsive Scale (Y-BOCS; Goodman et al., 1989);

21
 la Patient Rejection Scale (PRS; Kreisman, Simmens & Joy, 1979) per la
valutazione del livello di frustrazione sperimentato come caregivers;
 infine una scala di Distress Rating.

Il dato più interessante riguarda l’indice di Patient Rejection che risulta


significativamente più alto rispetto a quello riportato per pazienti con DOC ed
è comparabile a quello misurato nei rapporti tra familiari e pazienti schizofrenici
ospedalizzati. Dai risultati è emerso che il livello di Patient Rejection correla direttamente
con la severità del comportamento di accumulo, il livello di consapevolezza
del problema da parte dell’accumulatore (minore è il livello di consapevolezza, maggiore
è la tendenza al rifiuto e all’allontanamento da parte del familiare) e l’età di esposizione
(minore è l’età iniziale di esposizione del familiare alla situazione di hoarding, maggiore
è la tendenza al rifiuto e all’allontanamento da parte del familiare). Dalla ricerca emerge
inoltre che i familiari che hanno vissuto con l’accumulatore prima dei 21 anni,
presumibilmente i figli, hanno riportato un livello di sofferenza significativamente più
alto durante l’età dello sviluppo rispetto a quelli che non vi hanno convissuto prima di
tale età (come ad esempio i partner). Per questi soggetti la convivenza è stata
caratterizzata da rapporti più tesi, maggiore imbarazzo per le condizioni della casa,
mancanza di relazioni sociali, frequenti emozioni negative come rabbia o tristezza. Il
livello di sofferenza, in questo sottogruppo, è risultato significativamente più alto per le
femmine rispetto ai maschi (questa è l’unica differenza di genere riportata dall’indagine).
In particolare il gruppo con maggiore livello di sofferenza è risultato essere quello dei
figli che hanno vissuto col genitore accumulatore prima dei 10 anni di età e con un livello
di severità del disturbo quantificabile da “moderato” a “severo”. Sia la severità dei
sintomi legati al disturbo, sia la convivenza con l’accumulatore durante l’infanzia,
correlano con il livello di sofferenza del familiare. Questi risultati suggeriscono che la
convivenza con un familiare accumulatore ha un forte impatto sui membri della famiglia,
anche su coloro che non si occupano più direttamente di accudire il proprio familiare.
Ulteriori ricerche sarebbero necessarie per comprendere meglio le esperienze di questi
membri della famiglia che hanno scelto di allontanarsi dal familiare accumulatore.
È da sottolineare che questo studio di Tolin, Frost, Steketee e Fitch (2008a) rappresenta
il primo che indaga il rapporto tra familiari e accumulatori su un campione così esteso,

22
dando conferma del grave impatto che il disturbo esercita sulle relazioni familiari e sulla
vita dei membri della famiglia. È da tenere presente che l’indagine si basa sul ricordo dei
familiari di eventi accaduti molto tempo prima nella loro vita e perciò non è da escludere
del tutto la presenza di errori sistematici (recall bias).
La review comprende un ulteriore studio condotto da Tolin, Fitch, Frost e Steketee
(2010b) i quali hanno utilizzato i dati della succitata ricerca per misurare il livello di
insight degli accumulatori. Gli autori hanno chiesto a 558 familiari di accumulatori di
stimare la gravità dei problemi legati al DA del proprio familiare e il loro livello di insight.
Successivamente è stata chiesta di nuovo ai partecipanti una stima della gravità e
dell’insight ma stavolta dal punto di vista dell’accumulatore, ovvero come si sarebbero
valutati gli accumulatori secondo i loro familiari. I risultati indicano che i membri della
famiglia credono che i propri familiari accumulatori abbiano uno scarso insight nella
stessa misura della gravità del disturbo e dei suoi effetti. Nel campione sono stati inclusi
anche i familiari con una diagnosi di DA, i quali potrebbero essere stati accumulatori a
loro volta ed in cerca di aiuto come tali invece che come familiari di accumulatori. È da
sottolineare che gli strumenti utilizzati in questo studio sono stati sviluppati o adattati
specificamente per questa indagine, pertanto non ci sono prove della loro validità e
affidabilità.
Infine lo studio di Tompkins (2011) illustra due casi studio di disposofobici e si focalizza
sulla realizzazione di un intervento che coinvolge direttamente i familiari, utilizzando un
modello che approfondirò nel prossimo capitolo: l’approccio rivolto alla Riduzione del
Danno (Harm Reduction Approach). La ricerca offre inoltre una descrizione dettagliata
dell’esperienza vissuta dai membri della famiglia.
Considerando i quattro studi descritti, dalla thematic analysis sono emersi 23 codici
iniziali che sono stati combinati e uniti in tre temi e dieci sotto-temi rilevanti per i fini
della ricerca (vedi Figura 1). I temi identificati sono: “qualità di vita”, “famiglie distrutte”,
“esprimere supporto”.

 La “qualità di vita” si riferisce al benessere fisico, mentale e sociale dei membri


della famiglia. Questo tema include tre ulteriori sotto-temi: il ritiro, riferito alla
tendenza della famiglia dell’accumulatore a ritirarsi dal mondo esterno;
l’isolamento vissuto dai familiari, inteso come la sensazione di essere tagliati fuori

23
dal mondo; il rifugio, riferito alle aree accessibili all’interno dell’abitazione che i
familiari vivono come un riparo libero dal caos e dal disordine.
 Il tema delle “famiglie distrutte” si suddivide in quattro sotto-temi: il conflitto,
riferito alle discussioni sull’accaparramento compulsivo, sul disordine e sul
fallimento nel disfarsi degli oggetti; il controllo, inteso come tentativo dei
familiari di gestire la situazione nonostante la negazione della presenza di un
problema da parte dell’accumulatore (spesso questo è uno dei motivi per cui gli
accumulatori allentano le loro relazioni con gli amici e con la famiglia); la perdita;
la trappola sia fisica che emotiva, fenomeno particolarmente evidente per quei
familiari che vivono in casa con l’accumulatore.
 Il tema “esprimere supporto” descrive vari atteggiamenti reattivi che i membri
della famiglia possono manifestare in relazione al comportamento di accumulo.
Questo tema include i seguenti sotto-temi: il dovere e la dedizione che i familiari
possono provare, accompagnati anche da paura o da rassegnazione; la collusione,
intesa come il rassegnarsi a convivere con la situazione; la speranza dei familiari
che la situazione migliori e la loro perseveranza nel cercare aiuto e nell’agire come
caregivers.

Ritiro

Tema 1 Isolamento
Qualità di vita
Rifugio

Conflitto
Tema 2
Famiglie Controllo
Effetti del DA sui distrutte
familiari Perdita

Trappola

Dovere e dedizione
Tema 3
Esprimere Collusione
supporto
Speranza

Figura 1
Effetti del DA sui familiari: temi e sotto-temi

24
Dai tre temi rilevati emerge un quadro complesso. Come sottolineano Büscher, Dyson e
Cowdell, i familiari non riescono a identificare le cause del problema di accumulo e
vengono sovraccaricati dalle conseguenze legate al disturbo. Questa continua tensione
può creare un progressivo deterioramento dei rapporti fino alla rottura, lasciando
l’accumulatore a badare a se stesso da solo. Tuttavia questa decisione può fare aumentare
lo stress dei familiari, che si rendono conto della mancanza di insight dell’accumulatore
in relazione alla sicurezza personale, alle conseguenze sulla salute e ad eventuali
problematiche legali. Gli autori rilevano che alla sensazione di isolamento dei familiari
contribuisce il mancato ricorso ad una figura professionale di supporto. Infatti, con la
pubblicazione del DSM-5, il DA è riconosciuto da una cerchia ristretta di addetti ai lavori
(psicologi e psichiatri), mentre mancano ancora un approfondimento rivolto ad altri
operatori della salute e del sociale così come una divulgazione estesa alla collettività;
questo ai fini non solo di aiutare l’accumulatore, ma anche di dare sostegno ai familiari
in quanto dagli studi considerati (Wilbram et al., 2008; Tolin et al., 2008a, 2010b;
Tompkins, 2011) emerge che il mancato supporto professionale a questi soggetti è un
fattore che contribuisce allo sviluppo del problema. Nonostante i sentimenti di
isolamento, sconfitta e solitudine che i familiari dell’accumulatore arrivano a provare,
dalla review emergono casi contrari dove nelle famiglie si registrano sentimenti di
speranza e capacità di superare problemi e discussioni grazie alla solidarietà e alla volontà
di impegnarsi in un “lavoro di squadra” all’interno della famiglia. Alcuni di questi casi si
verificano in presenza di una supervisione professionale ma altri si realizzano solo grazie
alla forza delle relazioni familiari. Gli autori sottolineano quanto sia importante
considerare il bisogno di assistenza e supporto espresso dai familiari. L’obiettivo degli
operatori della salute secondo gli autori dovrebbe essere quello di aiutare i membri della
famiglia a vivere insieme secondo i propri desideri e rispettando allo stesso tempo la
diversità delle persone all’interno della famiglia. L’intervento dell’operatore dovrebbe
essere personalizzato, mirato al singolo caso, e non tendente a conformarsi a modelli
orientati alle aspettative istituzionali indotte relativamente all’assistenza sanitaria e
sociale.
Gli studi considerati presentano dei limiti: non c’è uniformità nei metodi e la qualità delle
evidenze non è omogenea; inoltre sono indagini ormai datate e possono non riflettere con
accuratezza la situazione attuale. Gli autori della review affermano che dalla letteratura

25
esistente non si attingono prove sufficienti sulle quali basare modifiche rilevanti ai fini
della pratica clinica. La rassegna ha pertanto individuato la necessità di ulteriori ricerche,
con lo scopo di fornire una base di conoscenze più solida per sostenere i familiari delle
persone con questo disturbo. Il pregio di questo lavoro è l’aver suggerito di includere
nell’impostazione delle future ricerche sul DA i seguenti aspetti: indagini
epidemiologiche sulla prevalenza del DA (nelle diverse nazioni); ricerche sulle
convinzioni, informazioni e abilità degli operatori dei servizi sanitari e sociali; una
verifica del servizio fornito abitualmente sia dal punto di vista dei familiari che da quello
degli operatori; un approfondimento dei bisogni percepiti dai familiari degli
accumulatori. Con queste indicazioni la review vorrebbe contribuire allo sviluppo di linee
guida basate sull’evidenza per assistere gli accumulatori e i loro familiari.

Proseguendo la rassegna bibliografica riporto uno studio qualitativo di Sampson


(2013) il quale ha indagato l’esperienza di dodici familiari di accumulatori: dieci donne
e due uomini (11 Caucasici e un Cinese), di età variabile fra i 20 e i 63 anni. I partecipanti
sono stati reclutati tramite un annuncio pubblicato su Internet; è stata scelta questa
modalità a causa della relativa difficoltà nell’individuare i soggetti. Successivamente alla
fase di reclutamento i soggetti sono stati selezionati secondo i seguenti criteri: che non
fossero essi stessi accumulatori ma che avessero almeno un membro della famiglia con
DA (ad esempio il genitore, il coniuge, il fratello) patendone sofferenza e disagio. I
partecipanti hanno raccontato la propria storia personale e le difficoltà relative alla
gestione del comportamento di accumulo del proprio familiare tramite interviste semi-
strutturate. L’obiettivo della ricerca è stato comprendere i vissuti cognitivi ed emotivi dei
partecipanti e conoscere approfonditamente le percezioni, le esperienze e le risposte
comportamentali dei familiari conviventi nella relazione con l’accumulatore.
Sampson ha ipotizzato che la teoria della “perdita ambigua” di Boss (1999) potesse
fornire un quadro di riferimento per comprendere l’esperienza delle persone che hanno a
che fare coi comportamenti di accumulo di un familiare. Il concetto di “perdita ambigua”
(o indefinita) si riferisce a una perdita o a una situazione di trauma che rimane incompleta,
confusa o incerta per i membri della famiglia. Nel caso del DA i familiari possono non
riuscire a comprendere il comportamento dell’accumulatore (Wilbram et al., 2008), e
questa mancanza di chiarezza può impedire alle famiglie di definire in modo tangibile la

26
propria situazione e di affrontare e gestire in modo efficace il problema dell’accumulo e
la condizione di disagio che ne consegue. Quando la “perdita ambigua” all’interno di un
sistema familiare non viene affrontata, essa può influenzare la percezione che le persone
hanno delle proprie relazioni, delle proprie risorse e del livello di stress percepito.
Come metodo di analisi l’autore ha scelto un’analisi interpretativa fenomenologica, con
lo scopo di fornire un resoconto altamente descrittivo e approfondito delle esperienze dei
partecipanti allo studio. Sia all’interno che trasversalmente alle interviste sono emersi
cinque temi principali (sovra-ordinati, discreti e interconnessi) e alcuni sotto-temi:

 sentimenti negativi verso la persona che accumula (ad esempio: sdegno, rabbia,
rassegnazione, frustrazione, sensazione di inutilità e di non essere apprezzato per
i propri sforzi, disgusto, imbarazzo, sensazione di sconfitta, risentimento);
 assenza di comprensione del comportamento di accumulo;
 vissuti di perdita (accompagnati da sentimenti di pena, afflizione e dispiacere);
o la perdita di relazioni;
o la perdita di riti familiari;
o la perdita di opportunità future;
 barriere interne alla ricerca di sostegno (a causa della percezione di un giudizio
esterno e dei propri sentimenti di colpa ed imbarazzo);
o invisibilità sociale;
o sentimenti di vergogna;
 conflitti interni (ad esempio: difficoltà nel separarsi dagli oggetti, sentimenti di
colpa e di imbarazzo, paura di “trasformarsi in un accumulatore” e costante ansia
nell’organizzare azioni e comportamenti per evitare di diventare come il proprio
familiare accumulatore).

I temi rilevati dallo studio supportano i risultati emersi dalle ricerche precedenti (Tolin et
al., 2008a; Wilbram et al., 2008) e sostengono ulteriormente la necessità di un intervento
mirato per i familiari, attraverso percorsi psicoeducativi e trattamenti specifici.
Basandosi sui temi emersi dalle interviste, Sampson propone l’applicazione della teoria
della “perdita ambigua” di Boss nella pratica clinica. Come sostenuto da Boss (1999)
eventi ambigui - come la convivenza con il DA - risultano estremamente stressanti per i

27
familiari. Il modello di Boss offre sei linee guida per la resilienza quando si abbia a che
fare con una perdita ambigua:

 trovare un significato;
 moderare i comportamenti autoritari;
 ricostruire l’identità;
 normalizzare i sentimenti contrastanti;
 modificare l’attaccamento;
 apprendere la speranza.

Sampson suggerisce che i terapeuti potrebbero utilizzare questi strumenti psicoeducativi


nel trattamento di sostegno al familiare, con l’obiettivo di supportare il vissuto di “perdita
ambigua”.
Un limite di questo studio relativo al campione è la sovra-rappresentazione di donne nel
gruppo dei partecipanti; le ricerche future potrebbero approfondire questo aspetto,
esaminando gli aspetti legati alle differenze di genere.

Per concludere la rassegna bibliografica descrivo infine la ricerca di Drury, Ajmi,


Fernández de la Cruz, Nordsletten e Mataix-Cols (2014). L’obiettivo degli autori è stato
quello di indagare: la salute e il benessere (testualmente “health and well-being”) delle
persone che presentano questo disturbo e dei loro familiari; l’impatto del DA sia sugli
accumulatori che sui familiari; la misura ad accondiscendere al comportamento di
accumulo da parte dei familiari. Alla ricerca hanno partecipato: 37 soggetti con diagnosi
di DA (seguendo i criteri del DSM-5), 55 familiari di individui diagnosticati come
accumulatori (seguendo i criteri del DSM-5), un gruppo di collezionisti formato da 51
soggetti e un gruppo di familiari di collezionisti composto da 25 soggetti. I familiari
reclutati non erano tutti necessariamente imparentati con gli accumulatori o coi
collezionisti partecipanti allo studio, ma solo il 50% circa. I soggetti sono stati reclutati
tramite annunci pubblicati su forum appropriati e sui social network più popolari. In
seguito i soggetti sono stati contattati tramite un’intervista telefonica, in base alla quale
sono stati selezionati quelli idonei a partecipare alla ricerca. Successivamente è stato

28
richiesto loro di compilare alcuni strumenti di valutazione. Gli accumulatori e i
collezionisti hanno compilato:

 la Hoarding Rating Scale-Self-Report (HRS-SR; Tolin et al., 2008a), cioè una


versione adattata della Hoarding Rating Scale-Interview (HRS-I; Tolin, Frost &
Steketee, 2007), per un confronto diretto con i risultati della ricerca di Tolin et al.
(2008) [vedi Appendice nella sezione Strumenti psicodiagnostici a pagina II];
 la Saving Cognitions Inventory (SCI; Steketee et al., 2003), per la valutazione
delle credenze legate all’accumulo [vedi Appendice nella sezione Strumenti
psicodiagnostici a pagina XI];
 la Clutter Image Rating (CIR; Frost & Steketee, 2008), per la valutazione visiva
della gravità del disordine [vedi Appendice nella sezione Strumenti
psicodiagnostici a pagina V];
 la Home Environment Index (HEI; Rasmussen, Steketee, Frost, Tolin & Brown,
2014), per la valutazione dello stato di squallore [vedi Appendice nella sezione
Strumenti psicodiagnostici a pagina XV];
 la Short Form Health Survey (SF-36; Ware & Sherbourne, 1992) per la
valutazione del livello di salute e benessere;
 la Work and Social Adjustment Scale (WSAS; Mundt, Marks, Shear & Greist,
2002), per la valutazione del funzionamento nella vita di tutti i giorni (lavoro,
faccende domestiche, relazioni interpersonali).

I familiari degli accumulatori e dei collezionisti hanno compilato, in relazione a se stessi:

 la Hoarding Rating Scale-Self-Report (HRS-SR; Tolin et al., 2008a);


 la Saving Cognitions Inventory (SCI; Steketee et al., 2003);
 la Short Form Health Survey (SF-36; Ware & Sherbourne, 1992);
 la Work and Social Adjustment Scale (WSAS; Mundt et al., 2002);
 la Caregiver Burden Inventory (CBI; Novak & Guest, 1989);
 la Family Impact Scale for Hoarding Disorder (FISH; Nordsletten, Fernández de
la Cruz, Drury, Ajmi, Saleem & Mataix- Cols, 2014), per la valutazione sia del
livello di condiscendenza al comportamento di accumulo dei familiari sia

29
dell’impatto del disturbo sui familiari [vedi Appendice nella sezione Strumenti
psicodiagnostici a pagina XIX].

Inoltre essi hanno compilato, in relazione al familiare accumulatore/collezionista:

 la Hoarding Rating Scale-Self-Report (HRS-SR; Tolin et al., 2008a);


 la Clutter Image Rating (CIR; Frost & Steketee, 2008);
 la Home Environment Index (HEI; Rasmussen et al., 2014);
 una scala di Insight Rating adattata dall’item 11 della Yale-Brown Obsessive
Compulsive Scale (Y-BOCS; Goodman et al., 1989).

Come era prevedibile, il gruppo degli accumulatori ha riportato il livello più alto di
sintomi di accumulo rispetto agli altri gruppi. I soggetti accumulatori e i familiari di
accumulatori hanno riportato valori di insufficienza funzionale equivalenti fra di loro e
significativamente maggiori rispetto ai collezionisti e ai familiari dei collezionisti. Questo
dato è particolarmente rilevante poiché conferma ed estende quanto emerso dalle ricerche
precedenti e, quantificando il livello di disagio, evidenzia che il DA ha un effetto
disfunzionale in ugual misura sia sugli accumulatori che sui familiari. Inoltre, rispetto al
gruppo dei familiari di collezionisti, i familiari degli accumulatori hanno riportato:
maggiori difficoltà legate all’assistenza dell’hoarder, livelli più alti di condiscendenza al
comportamento di accumulo dei familiari e un maggiore impatto dovuto al disturbo.
Il livello percepito dello stato di squallore, la convivenza con l’accumulatore e l’età
avanzata dell’accumulatore sono stati rilevati come fattori predittivi e significativi
dell’impatto del disturbo sui familiari. Questi tre fattori potrebbero essere utilizzati nella
pratica clinica per identificare i familiari a cui potrebbe giovare maggiormente di un
intervento di supporto.
Infine i ricercatori, confrontando i dati della loro ricerca con quelli presenti in letteratura,
hanno evidenziato che i familiari degli accumulatori vivono un disagio equivalente o
addirittura maggiore rispetto al disagio vissuto dai familiari di pazienti con demenza.
Questi risultati avvalorano quanto già affermato dagli studi precedenti, riaffermando che
i familiari degli accumulatori potrebbero beneficiare di un supporto e suggerendo che
sarebbe vantaggioso il loro coinvolgimento diretto nel trattare il disturbo del familiare,

30
soprattutto se si tiene conto della tendenza degli accumulatori ad avere uno scarso insight
rispetto al disturbo.

Questa rassegna bibliografica testimonia le gravi difficoltà e i disagi associati al


DA, sia degli accumulatori che dei familiari di soggetti che presentano questo disturbo.
Dalla letteratura considerata emerge il bisogno di supporto da parte dei familiari. La
comprensione del disturbo, delle sue comorbilità e delle sue cause potrebbe consentire ai
familiari la ridefinizione del problema e attenuare gli attriti all’interno della vita familiare.
Il coinvolgimento dei familiari nel programma di intervento potrebbe avere molteplici
vantaggi: favorire la disponibilità da parte del familiare accumulatore ad intraprendere e
mantenere un percorso di sostegno e assistenza, incentivare la sua aderenza al trattamento
e ridurre le ricadute; inoltre ne risulterebbero anche benefici economici e possibili
miglioramenti nel funzionamento sociale e lavorativo di tutte le persone coinvolte.

31
32
Capitolo 2

Possibili strategie di intervento

Fino a pochi anni fa nessun gruppo di ricerca aveva mai condotto studi specifici
su possibili interventi che prevedessero il coinvolgimento dei familiari nel trattamento
del DA, nonostante i risultati nel trattamento dei comportamenti compulsivi che sono stati
riscontrati a favore degli interventi focalizzati sulla famiglia (Maina, Saracco & Albert,
2006). Solo negli ultimi anni, in concomitanza con l’inserimento del DA nel DSM-5,
alcuni ricercatori hanno proposto delle strategie di intervento in cui i membri della
famiglia possono giocare un ruolo fondamentale, acquisendo competenze rivolte a
migliorare sia le condizioni domestiche sia la gestione dei propri vissuti sia le dinamiche
relazionali col familiare. Nel seguente capitolo approfondirò in particolare le seguenti
strategie di intervento: la Riduzione del Danno (Tompkins & Hartl, 2009; Tompkins,
2015) e il Family-As-Motivators training (FAM training; Chasson, Carpenter, Ewing,
Gibby & Lee, 2014).
È necessario coinvolgere i familiari nella terapia proprio perché spesso sono essi stessi a
chiedere aiuto. Tolin, Frost, Steketee e Fitch (2008a) sostengono che i familiari prendono
contatti con gli esperti nel DA circa nel doppio dei casi rispetto alle persone che
presentano il disturbo.
La richiesta di intervento da parte dei familiari frequentemente si scontra con la volontà
dell’accumulatore. Infatti, per i seguenti motivi, è poco probabile che sia chi soffre di
questo disturbo a prendere l’iniziativa e cercare un aiuto: la frequente mancanza di
consapevolezza del problema, la perdita di speranza dovuta a uno stato depressivo, la
paura che la situazione venga allo scoperto (col relativo timore di sfratto), i profondi
sentimenti di vergogna derivanti dalle condizioni di disordine, sporcizia e squallore della
propria casa, l’angoscia di dover subire umiliazioni, un possibile atteggiamento
rancoroso, diffidente e difensivo (dovuto a precedenti interventi non andati a buon fine e
che hanno complicato ulteriormente i rapporti sociali), e poi la persistente convinzione di
riuscire a trovare una soluzione al problema per conto proprio.

33
Molto spesso i familiari di pazienti disposofobici tendono ad intraprendere delle condotte
di comportamento controproducenti, come tentare di costringere il proprio parente
accumulatore a disfarsi o a gettare i propri oggetti, addirittura in blocco, oppure possono
eseguire operazioni di pulizia all’insaputa dell’accumulatore, approfittando di quando
questi non si trova in casa o perfino giungendo a farlo allontanare con delle scuse.
Inevitabilmente questo tipo di approccio produce risentimento, ostilità ed avversione fra
i membri della famiglia (Frost, 2010), peggiorando sostanzialmente la situazione. In altri
casi i familiari adottano atteggiamenti di condiscendenza eccessiva verso il
comportamento di accumulo del proprio familiare; agendo in questo modo i familiari
evitano solo momentaneamente i conflitti con l’accumulatore, però allo stesso tempo
contribuiscono all’instaurarsi di stili di vita disfunzionali. In altri casi ancora i parenti
decidono di allontanarsi, perché non riescono più a tollerare la situazione o perché
sperano, agendo in questo modo, di indurre un cambiamento nel comportamento
dell’accumulatore.
È importante che i parenti raggiungano la consapevolezza che il proprio familiare non
sceglie di vivere in quella determinata maniera, piuttosto la sua peculiare visione del
mondo contribuisce a un pattern di comportamento disfunzionale e dannoso. Riconoscere
le motivazioni del comportamento di accumulo e comprenderle può aiutare i familiari a
gestire meglio il proprio disagio e a muoversi in una direzione costruttiva.

2.1 Educare i familiari alla comprensione del disturbo

Gli incontri psicoeducativi di gruppo per i familiari che manifestano un


comportamento di accumulo offrono la possibilità di avviare e di approfondire la
conoscenza del disturbo, di ristrutturare le proprie credenze e i significati associati ai
propri vissuti, e di acquisire strumenti per reindirizzare le dinamiche interpersonali.
Sampson, Yeats, e Harris (2012) hanno condotto uno studio pilota in cui hanno valutato
gli esiti di un intervento di psicoeducazione e di supporto rivolto a un gruppo di otto
familiari di accumulatori. Durante tale intervento, della durata di sei settimane, gli autori
hanno applicato le linee guida suggerite dalla teoria della “perdita ambigua” di Boss
(1999). I partecipanti che hanno completato l’intervento sono stati contattati a due mesi
dalla sua conclusione per partecipare a un’intervista, con lo scopo di valutare le loro

34
impressioni sull’esperienza di supporto e di psicoeducazione di gruppo. Due di questi non
hanno acconsentito all’intervista, mentre gli altri sei hanno aderito. Dalle loro interviste
si è evidenziata una maggiore comprensione dei comportamenti di accumulo del proprio
familiare, una migliore comprensione delle proprie esperienze legate al comportamento
di accumulo e del suo impatto sul sistema familiare. Inoltre i sei intervistati hanno riferito
che il supporto personale e professionale da parte di terze persone, che comprendono a
fondo il comportamento di accumulo, è stato loro utile nel ridurre lo stress e migliorare
le relazioni con i propri familiari. Nonostante i limiti dello studio (la difficoltà nel poter
generalizzare i risultati, la mancanza di un gruppo di controllo, il campione ridotto, il
tasso di abbandono) i risultati di questa ricerca suggeriscono che interventi di supporto e
di psicoeducazione di gruppo basati sulla teoria della “perdita ambigua” di Boss
potrebbero offrire un sostegno efficace ai familiari.
Nel loro libro dedicato ai figli degli accumulatori Neziroglu e Donnelly (2013) si
focalizzano in modo particolare sugli effetti interpersonali causati dal DA e propongono
delle strategie per ridurre i conflitti (ad esempio attraverso tecniche di comunicazione
assertiva) e per migliorare le condizioni dell’abitazione e la relazione col parente
disposofobico. Gli autori si ispirano all’approccio orientato all’accettazione e alla
dedizione (Acceptance and commitment therapy, ACT; Hayes, Strosahl &Wilson, 1999)
il quale a sua volta ha tre basi: l’approccio Mindfulness (il programma segue il manuale
originale di Siegel del 2009), un atteggiamento di accettazione verso la situazione, un
distacco consapevole da quello che è il problema per continuare a vivere la propria vita
coerentemente ai valori personali che la rendono degna di essere vissuta.
Di seguito approfondisco la Riduzione del Danno (Tompkins & Hartl, 2009; Tompkins,
2015) e il FAM training (Chasson et al., 2014), due strategie che a mio parere appaiono
più strutturate e hanno un rigore scientifico più convincente.

2.1.1 La Riduzione del Danno

La strategia della Riduzione del Danno (Harm Reduction, HR) non è un vero e proprio
trattamento ma consiste in un insieme di strategie pragmatiche sviluppate originariamente
per ridurre le conseguenze dannose legate ai comportamenti di consumo di sostanze di
abuso autosomministrate per via endovenosa (Marlatt, 1998). Lo scopo iniziale non era

35
tanto l’interruzione della dipendenza, quanto ridurre la trasmissione di malattie nei
consumatori di tali sostanze attraverso la consapevolezza del rischio e l’adeguamento a
comportamenti più prudenti (come evitare lo scambio di siringhe).
Tompkins (2015) ha adattato tale strategia per poterla applicare al DA. Secondo questo
studioso l’obiettivo a cui tendere per chi soffre di DA in fondo è lo stesso, ovvero quello
di minimizzare le conseguenze più pericolose legate al disturbo (come ad esempio il
rischio di incidenti, di lesioni o di patologie fisiche). La Riduzione del Danno si rivolge
soprattutto a coloro che hanno scarsa consapevolezza di malattia e può essere considerata
un’opzione preliminare al trattamento oppure un’alternativa agli interventi tradizionali di
trattamento (come la terapia cognitivo-comportamentale). Tale strategia si focalizza
sull’allentare le resistenze dell’accumulatore, collaborando insieme a lui per risolvere i
pericoli imminenti, con ciò aumentando la probabilità di una sua disponibilità
nell’accettare un aiuto specialistico in futuro. Per ottenere questo risultato la Riduzione
del Danno dà molto peso alla relazione fra la persona che soffre di DA e i membri della
famiglia (o i conoscenti), educa i familiari alla comprensione del disturbo e offre degli
strumenti per migliorare le relazioni; consente inoltre ai familiari di poter iniziare a “fare
qualcosa”, intervenendo dal punto di vista igienico, sanitario ed abitativo e mettendo in
sicurezza l’accumulatore.
La Riduzione del Danno applicata al DA assume i seguenti principi, indirizzati ai familiari
e ai conoscenti degli accumulatori:

 prima di tutto, non recare danno;


 non è necessario che l’accumulatore interrompa completamente le condotte di
acquisizione;
 due situazioni di accumulo non sono mai identiche;
 la persona che accumula è un membro essenziale del team della Riduzione del
Danno;
 il cambiamento richiede tempo;
 i fallimenti lungo il percorso fanno parte dell’approccio della Riduzione del
Danno e non significano che l’approccio stia fallendo;
 gli accumulatori possono raggiungere dei cambiamenti positivi nella loro vita,
anche se continuano ad accumulare.

36
La Riduzione del Danno prevede le seguenti fasi:

 il coinvolgimento della persona che accumula nell’approccio di Riduzione del


Danno attraverso l’intervista motivazionale;
 la costruzione del team di Riduzione del Danno di cui fanno parte i familiari e
altre persone (amici, conoscenti, vicini di casa, volontari, servizi, ecc.);
 la valutazione delle potenziali fonti di maggior disagio (cosiddetti HR targets, ad
esempio infestazioni o questioni legate alla sicurezza);
 la creazione, da parte del team di Riduzione del Danno, del piano di Riduzione
del Danno, che consiste in una serie di routine che saranno seguite dai componenti
del team;
 l’implementazione del piano di Riduzione del Danno attraverso il monitoraggio
della situazione.

L’approccio prevede l’utilizzo di un ampio ventaglio di tecniche e strumenti,


dettagliatamente formulati. La loro scelta e combinazione varia a seconda del caso e delle
fasi del percorso.
Ad esempio per identificare e definire gli obiettivi dell’intervento di Riduzione del
Danno, è suggerito uno strumento siglato dall’acronimo S.M.A.R.T. (Specific,
Measurable, Attainable, Relevant, Time-bound) per orientarsi verso target specifici,
misurabili, realizzabili, rilevanti/pertinenti e vincolati a una scadenza.
Gli autori poi raccomandano di utilizzare - e riutilizzare più volte - la strategia L.E.A.R.N.
(Listen, Empathize, Affirm, Redirect, Negotiate), cioè “ascoltare in modo attivo,
manifestare empatia, comunicare in maniera assertiva, reindirizzare la motivazione
dell’accumulatore con garbo e fermezza, negoziare”, allo scopo di coinvolgere il
familiare nelle operazioni di pulizia.
Un’altra tecnica è quella cosiddetta delle “3 P” (Plan, Pace, Partner) che viene messa in
pratica durante le fasi di selezione di quanto accumulato, secondo i principi del
“pianificare, dare un ritmo e cercare l’appoggio e la collaborazione di agenzie o assistenti
professionali”.
I familiari apprendono anche altre strategie specifiche e imparano ad utilizzarle insieme
all’accumulatore, il quale a sua volta impara ad accettare l’aiuto che gli viene porto da

37
parte del team, facendo lui stesso parte del gruppo e collaborando attivamente alla
risoluzione dei problemi legati all’accumulo.

2.1.2 Un intervento psicoeducativo: il Family-As-Motivators training

Chasson, Carpenter, Ewing, Gibby e Lee (2014) hanno progettato il Family-As-


Motivators training per insegnare ai familiari di accumulatori come gestire il disturbo e
come contribuire a motivare il proprio familiare ad intraprendere un trattamento [per
approfondimenti vedi Outline of FAM Training - 14 session version in Appendice nella
sezione Documenti a pagina XXIV, ottenuto per gentile concessione del Dr. Gregory S.
Chasson, Department of Psychology, Towson University, USA].
I ricercatori hanno condotto uno studio pilota in cui hanno utilizzato tale pratica con nove
familiari di accumulatori (sette donne e due uomini, con un’età media di 46.22), i quali
hanno partecipato a 14 incontri bi-settimanali di circa 50 minuti l’uno. Il FAM training
prevede quattro moduli:

 Psicoeducazione (2 incontri): ai familiari vengono date informazioni che


riguardano il DA, con lo scopo di aumentare la comprensione del disturbo;
 Intervista Motivazionale (6 incontri): ai familiari vengono illustrate delle
specifiche strategie per migliorare le proprie abilità di ascolto empatico nei
confronti dell’accumulatore; questo modulo ha l’obiettivo di sollecitare una
comunicazione di tipo costruttivo fra l’accumulatore e i membri della famiglia,
oltre a quello di promuovere l’accettazione di un supporto da parte
dell’accumulatore;
 Riduzione del danno (4 incontri): ai familiari viene presentato l’approccio della
Riduzione del Danno (Tompkins, 2015);
 Prevenzione della condiscendenza da parte dei familiari (2 incontri): attraverso
l’utilizzo di un approccio motivazionale i familiari imparano a minimizzare gli
atteggiamenti di condiscendenza; l’obiettivo di questo modulo è quello di
incoraggiare a non tollerare i comportamenti di accumulo da parte dei familiari,
aumentando così la probabilità di una ricerca di trattamento da parte
dell’accumulatore.

38
Tutti i soggetti hanno compilato una serie di scale di valutazione prima, durante e dopo
l’intervento:

 Family Member Impact Scale (FMIS; Orford, Templeton, Velleman & Copello,
2005);
 Quality of Life Scale (QOLS; Burckhardt, Woods, Schults & Ziebarth, 1989);
 Brief COPE (Carver, 1997);
 Hopefulness-Hopelessness Scale (HHS; Orford et al., 2005);
 Helpful Response Questionnaire (HRQ; Miller, Hedrick & Orlofsky, 1991);
 Test of Hoarding Knowledge (THK; Chasson et al., 2014);
 Motivational Interviewing Knowledge and Attitudes Test (MIKAT; Leffingwell,
2006);
 Family Response to Hoarding Scale (FRHS; Steketee & Frost, 2013b);
 Hoarding Rating Severity (HRS; Tolin, Frost & Steketee, 2010);
 Treatment Acceptability Questionnaire-Extended (TAQ-E; Hunsley, 1992).

Questo studio pilota ha portato a risultati incoraggianti: i partecipanti hanno mostrato un


miglioramento statisticamente significativo nell’uso di alcune strategie di coping e un
aumento statisticamente significativo dei sentimenti di speranza; hanno riferito un ridotto
impatto negativo del DA sulla famiglia (ovvero una diminuzione di circa il 25% della
gravità dei comportamenti di accumulo); hanno indicato una diminuzione degli
atteggiamenti di condiscendenza verso il comportamento di accumulo del proprio
familiare, una migliore comprensione del disturbo e una migliore abilità nell’applicazione
di tecniche per la conduzione delle interviste motivazionali.
Sebbene si tratti di uno studio preliminare e come limiti presenti l’esiguità del campione,
un elevato tasso di abbandono (44%), la mancanza di un gruppo di controllo, questo
studio pilota suggerisce che il FAM training è risultato soddisfacente per i partecipanti, i
quali l’hanno valutato come “altamente accettabile”. Per ovviare al rischio di abbandono
e ottenere una maggiore aderenza gli autori hanno ridimensionato le sessioni a 10 dalle
14 originarie: andrà verificato negli studi successivi se otterranno quanto si propongono
con questo accorgimento. Questa pratica comunque sembrerebbe promettente nel
migliorare la vita dei familiari di coloro che soffrono di DA.

39
2.2 Gruppi di auto-aiuto in rete

Siamo nell’era del digitale e su Internet, soprattutto negli Stati Uniti, esistono e si stanno
diffondendo siti web rivolti specificamente ai familiari degli accumulatori.
Children of Hoarders (www.childrenofhoarders.com) ne è un esempio. Tramite questo
sito web gli utenti hanno la possibilità di raccontare dettagliatamente le proprie
esperienze, condividendole e confrontandosi fra loro. Il sito web offre inoltre:
informazioni sul disturbo, considerazioni e suggerimenti che riguardano il riordino e il
suo mantenimento, contatti con gruppi di sostegno presenti nella zona dell’utente,
supporto on-line da parte di professionisti.
Un altro esempio di gruppo di supporto on-line, affiliato al sito precedente, è quello dei
figli degli accumulatori e dei coniugi dei figli degli accumulatori: Children of Hoarders
and Spouses of Children of Hoarders Online Support Group
(www.groups.yahoo.com/neo/groups/childrenofhoarders/info). Questo gruppo offre
un’ulteriore opportunità di supporto sociale per i figli di accumulatori e per le persone
legate ad essi. Questo sito web si focalizza sulla condivisione delle esperienze fra i
membri del gruppo, i quali raccontano i propri vissuti e gli effetti del comportamento di
accumulo dei loro congiunti.
Attualmente in Italia non esistono siti web così specializzati, ma navigando nella pagina
www.disposofobia.org è possibile ricevere informazioni sul disturbo e i familiari possono
raccontare la propria esperienza: manca un forum di confronto fra pari e l’interlocutore di
chi si interfaccia col sito è un’équipe di tecnici da cui dipende la scelta di pubblicare o
meno i racconti pervenuti; queste due circostanze limitano la possibilità dell’auto-aiuto.
La pagina web succitata è legata al sito web del Centro Clinico Crocetta di Torino
(www.centroclinicocrocetta.it). Gli specialisti di questo Centro offrono informazioni via
email e la possibilità di partecipare a incontri psicoeducativi di gruppo rivolti ai familiari.
Sarebbe auspicabile che venisse creato un sito italiano indirizzato ai familiari degli
accumulatori, che preveda un forum dove i familiari si possano confrontare direttamente
fra di loro, in modo da creare un vero e proprio gruppo di auto-aiuto on-line.

40
Capitolo 3

Indagine svolta nel territorio di Pisa

Prima di parlare della ricerca svolta nel territorio pisano vorrei proporre una breve
introduzione gettando uno sguardo su quello italiano per comprendere quanto, seppur
lentamente, si sta realizzando per divulgare la conoscenza del disturbo e informare sulle
strategie di intervento a disposizione. In Italia, a differenza di altri Paesi, ancora non esiste
un protocollo ufficiale di cura e di assistenza per il DA. Questo può dipendere dal fatto
che il disturbo passa in secondo piano rispetto ad altre comorbilità o arriva tardi
all’attenzione degli operatori, quando la situazione è ormai grave. Ad esempio lo
psicologo o lo psichiatra si possono accorgere dopo anni che un proprio paziente soffre
anche di DA solo nel momento in cui hanno occasione di entrare per la prima volta
nell’abitazione del paziente per un incontro o dopo lamentele da parte dei familiari. La
stessa considerazione può valere per il medico di medicina generale (MMG), per il
medico di continuità assistenziale (già conosciuto come guardia medica) o per gli
assistenti sociali. Non contribuisce positivamente il fatto che il disturbo può venire
confuso da familiari e amici con un aspetto caratteriale, o rimanere nascosto all’interno
della cerchia familiare per motivi culturali e per vergogna.
Esistono tuttavia delle realtà in cui il disturbo è ben conosciuto ed è possibile ricevere il
supporto adeguato. Ad esempio solo a Milano nel 2010 l’ASL ha individuato 350 casi di
accumulatori; alcuni operatori dell’ASL di Milano stanno cercando di creare una rete di
sostegno, segnalando i casi a tutti gli enti che possono aiutare chi soffre di DA [vedi
Comunicato Stampa ASL Milano in Appendice nella sezione Documenti a pagina
XXXIV].
A Torino presso il Centro Clinico Crocetta è presente un servizio orientato al trattamento
del DA che, oltre a trattamenti integrati di tale disturbo, offre la possibilità ai familiari di
ricevere consulenze individuali e di conoscere meglio il disturbo e le sue dinamiche
interpersonali attraverso una serie di incontri psicoeducativi di gruppo. Inoltre questo
team ha un proprio sito Internet che offre informazioni sul disturbo e la possibilità di
contattare l’équipe che se ne occupa. In un’intervista il Dottor Alessandro Marcengo,
psicologo psicoterapeuta del Centro e membro della Società Italiana di Terapia

41
Comportamentale e Cognitiva, ha riferito: “I parenti ci chiedono spesso se esista una
pillola che curi il disturbo […] Ora grazie a Internet abbiamo un filo più diretto con i
familiari, e riceviamo una quantità impressionante di email”.
Nel 2015 una Scuola di Psicoterapia denominata SPC (Scuola di Psicoterapia Cognitiva)
ha organizzato nel territorio italiano due Simposi incentrati sul tema del DA dal titolo “Il
Disturbo da Accumulo: Diagnosi e Psicoterapia Cognitivo Comportamentale” (uno a
Grosseto in data 25 settembre 2015 e l’altro ad Ancona in data 23 ottobre 2015). Fra i
relatori erano presenti Perdighe e Mancini, coautori del primo libro italiano dedicato al
DA (2015). Ho colto l’occasione di partecipare a uno di questi eventi e ho trovato
l’incontro interessante sia per l’aspetto divulgativo che per la partecipazione e il
coinvolgimento da parte del pubblico, che era composto non solo da tecnici ma anche da
alcune persone colpite dal disturbo. In particolare mi ha fatto molto riflettere l’intervento
di una donna fra il pubblico che si è presentata come accumulatrice e che si è dichiarata
interessata a sapere di più sulla terapia farmacologica. Dalla sua richiesta si percepiva la
sofferenza e la speranza quasi magica in un rimedio semplice. Mi ha colpito altrettanto la
delicatezza dei relatori nel cercare di indirizzarla ad un atteggiamento di accettazione di
un percorso graduale. Altro aspetto interessante è stata la testimonianza riportata da alcuni
Psicoterapeuti presenti tra il pubblico circa la frequenza di casi venuti alla loro
osservazione.
Tutti questi dati sembrerebbero confermare la dimensione del problema relativo al DA
anche nel nostro Paese.

Mi sono chiesta quale fosse la situazione nella zona dove risiedo, a Pisa e province
limitrofe. A causa dell’indisponibilità da parte di alcuni operatori attivi nelle province di
Lucca e Livorno, ho potuto condurre la mia indagine esclusivamente nella provincia di
Pisa. Al fine di approfondire vari aspetti legati al disturbo e alla sua gestione ho condotto
una ricerca nei contesti clinici, sociali ed amministrativi della città. Ho quindi scelto di
raccogliere testimonianze tramite interviste semi-strutturate individuali a diversi operatori
che lavorano sul territorio presso la ASL (e in particolare l’Istituto di Igiene e l’Unità
Funzionale Salute Mentale Adulti, UFSMA) e che possono venire più facilmente in
contatto con persone che soffrono di questo disturbo. In corso d’opera ho avuto

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l’occasione di intervistare anche altre persone che comunque hanno avuto contatti con
vissuti di DA.
Descrivo in ordine cronologico chi sono i sette intervistati da cui ho ricevuto la
disponibilità per l’intervista: inizialmente mi sono rivolta ai tecnici della prevenzione del
servizio di Igiene Pubblica, supponendo che probabilmente potessero essere quelli che
per primi e più da vicino avessero a che fare con questo tipo di situazioni. Ho potuto
intervistarne due ed essi mi hanno messo in contatto con il comandante dei vigili urbani,
in considerazione del fatto che talora - per esempio nei casi di sgombero forzato per
motivi igienico-sanitari - viene richiesto l’intervento della Forza Pubblica.
Successivamente ho intervistato i gestori di un mercatino dell’usato e anche una ragazza
che si è offerta come testimone della sua esperienza di figlia di accumulatori. Questa
intervista in particolare si è rivelata alquanto preziosa ai fini della mia indagine sia per le
descrizioni molto dettagliate dei vissuti personali, sia per i contenuti emersi (che verranno
descritti successivamente nel paragrafo dedicato all’intervista). Infine uno psichiatra e
un’assistente sociale entrambi dipendenti dell’Azienda USL Toscana nord ovest
(comprendente ex Azienda Usl 5 di Pisa) mi hanno concesso di intervistarli.
Tutti i soggetti intervistati hanno acconsentito alla registrazione audio dell’intervista [è
possibile consultare le trascrizioni delle interviste all’interno dell’Appendice nella
sezione Interviste a pagina XLIII]. La durata delle interviste varia dai 60 ai 100 minuti;
cinque interviste si sono svolte di persona e una è stata condotta tramite Skype.
L’obiettivo dell’intervista era quello di conoscere il più possibile il disturbo e il suo
impatto sulle relazioni familiari proprio attraverso l’esperienza degli operatori e delle
persone coinvolte più da vicino. Inoltre il mio intento è stato quello di verificare se esiste
un protocollo condiviso per gestire situazioni di DA venute allo scoperto e di
comprendere come viene percepito il disturbo da parte di coloro che hanno un contatto
diretto con questo genere di situazioni, siano essi operatori o altre figure. Ero interessata
inoltre ad avere una stima approssimativa della prevalenza di questo disturbo all’interno
della popolazione del territorio pisano. Mi interessava conoscere anche eventuali bisogni
degli operatori, soprattutto in relazione all’esistenza e alla qualità del lavoro di rete e
riguardo alla percezione di una necessità di integrazione con altre figure professionali
accanto a quelle già attualmente coinvolte. Infine, con lo scopo di comprendere come

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viene trattato il disturbo, ho raccolto informazioni sulla presa in carico e sull’eventuale
coinvolgimento della famiglia nel programma di sostegno.
Per venire in contatto con gli operatori e con i responsabili dei servizi, ed individuare chi
si sarebbe detto disponibile ad essere intervistato, ho inviato alcune mail di presentazione
a cui ho allegato una breve introduzione all’intervista [vedi Appendice nella sezione
Introduzione all’intervista a pagina XXXVII]. In tale introduzione ho descritto
brevemente che cos’è il DA, con qualche esemplificazione, e gli scopi dello studio,
anticipando i contenuti dell’intervista senza anticipare le domande che avrei rivolto. Per
le persone coinvolte nell’intervista non a titolo tecnico mi sono comportata diversamente.
Il contatto con il familiare è stato diretto e colloquiale, senza bisogno di descrivere il
problema del DA in quanto già noto e le domande sono state focalizzate a comprendere
gli inconvenienti principali e le strategie di gestione. Il contatto con i gestori del mercatino
dell’usato è stato ricercato da parte mia nell’ipotesi duplice che essi potessero riferirmi di
testimonianze sia di accumulatori clienti per l’acquisto, sia per la vendita di oggetti (in un
tentativo di auto-aiuto con la cessione anche solo parziale di oggetti accumulati) e che
attraverso l’osservazione di tali casi potessero delineare una loro originale definizione del
disturbo.
Separatamente ho stilato un elenco di domande aperte focalizzate sull’argomento,
orientate ad esplorare i vari aspetti del problema. Ho appuntato le domande costruendo
quattro differenti tracce di interviste in base al target della somministrazione: gli operatori
a contatto con il disturbo (tecnici della prevenzione e vigili urbani), i responsabili dei
servizi (psichiatri e assistenti sociali), il familiare, i gestori dei mercatini dell’usato [vedi
Appendice nella sezione Tracce per le interviste a pagina XXXIX]. Di queste tracce ho
tenuto conto durante tutte le interviste, ma adattando le domande a seconda di chi mi
trovavo di fronte, in base al ruolo, alla professionalità e alle esperienze dei miei
interlocutori. Poiché lo strumento che ho utilizzato nel mio lavoro sono state interviste di
tipo semi-strutturato mi sembra utile sottolineare che il mio scopo era scoprire la struttura
dei significati attribuiti dall’intervistato specificamente al disturbo e ai temi ad esso
collegati.
Fra gli operatori che mi hanno risposto ma non ho potuto intervistare per loro
indisponibilità c’è stato lo psichiatra responsabile dell’UFSMA per la zona Piana di
Lucca, il quale ha riferito via email che nessuno dei suoi collaboratori si occupa

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specificamente del DA; lo psichiatra non ricordava situazioni cliniche inerenti occorse
negli ultimi tempi. Inoltre il Direttore dell’Unità Funzionale di Psicologia dell’ex Azienda
Usl 2 di Lucca ha riferito per email di non conoscere situazioni di DA e ha suggerito di
contattare assistenti sociali e psichiatri. Con le corrispondenti figure della ASL 6 di
Livorno sono intercorsi solo contatti telefonici a cui non c’è stato seguito.
I nomi delle persone intervistate e menzionate sono stati sostituiti con nomi fittizi per
garantirne la privacy. Di seguito riassumo i contenuti emersi dalle interviste.

3.1 Intervista a due tecnici della prevenzione del servizio di Igiene Pubblica

La prima persona da cui ho ricevuto disponibilità per l’intervista è stata il Direttore


dell’Unità Operativa (U. O.) tecnici della prevenzione Unità Funzionale (U. F.) di Igiene
Pubblica dell’Azienda USL Toscana nord ovest (comprendente ex Azienda Usl 5 di Pisa);
il secondo intervistato è stato un tecnico della prevenzione che il Direttore ha contattato
durante il nostro incontro. Poiché i due tecnici non desiderano essere identificati non
riporto i loro nomi. L’intervista si è tenuta a Pontedera in provincia di Pisa, presso la sede
dell’Unità Funzionale Igiene Sanità Pubblica Alimenti e Nutrizione (ISPAN) per la Zona
Valdera [per il testo integrale vedi Appendice, 1a e 2a trascrizione, nella sezione Interviste
a pagina XLIII].
I tecnici della prevenzione si occupano principalmente di valutare le condizioni di
abitabilità degli immobili dal punto di vista igienico-sanitario. Dall’intervista è emerso
che nei casi di accumulo patologico la richiesta di intervento tramite sopralluogo viene
avviata solitamente dalla Polizia Municipale in circa 8 casi su 10 e dai servizi sociali in 2
casi su 10. Molto meno frequentemente la segnalazione viene fatta dai vicini di casa per
situazioni già evidenti, e ancora più raramente sono i familiari a richiedere un intervento.
I tecnici della prevenzione eseguono il sopralluogo verificando le condizioni
dell’abitazione e il materiale presente, e in seguito redigono una loro valutazione a cui
segue un verbale che viene valutato dal medico responsabile igienista, il quale decide che
tipo di richieste fare e in quali tempi, a seconda dell’urgenza e della gravità del caso. La
relazione viene successivamente inviata all’autorità sanitaria del Comune di competenza,
ovvero il Sindaco, il quale può agire emanando un’ordinanza contingibile e urgente

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oppure inviando un atto di diffida (solitamente viene adottato quest’ultimo
provvedimento per non far ricadere tutte le spese sulla collettività).
Quando la notizia di un caso giunge in primis all’attenzione dei tecnici della prevenzione,
essi fanno una segnalazione al Comune, che a sua volta attiva gli assistenti sociali. I due
tecnici hanno sottolineato il fatto che spesso casi del genere non arrivano alla loro
attenzione o a quella dei servizi sociali fino a che, ad esempio, la presenza di materiali
vari accumulati non si rende visibile all’esterno dell’abitazione e qualche vicino di casa
ne fa segnalazione. A tale proposito essi hanno evidenziato una frequente “mancanza di
tutela del territorio” e di “sorveglianza di situazioni di disagio nel territorio” a causa della
mancanza di informazioni, in ciò riferendosi a casi che difficilmente vengono alla luce se
non dopo molti anni, di solito solo a causa di lamentele da parte dei vicini.
I due tecnici durante l’intervista hanno riferito che negli ultimi quindici anni sono
intervenuti in 7-8 casi di accumulo patologico e che fra questi hanno eseguito un solo
sgombero forzato; inoltre non escludono che esistano altri casi non emersi per vari motivi.
Essi hanno riportato diverse situazioni osservate nel corso degli anni di servizio e la loro
percezione del disturbo è che si tratti di persone o famiglie con problemi “quasi
psichiatrici” e che in alcuni casi “le dinamiche dei rapporti tra parenti portano familiari e
amici a disinteressarsi dell’accumulatore”, motivo per cui “le situazioni problematiche
emergono spesso troppo tardi”. I due tecnici hanno raccontato che, per la loro esperienza,
le segnalazioni partono più frequentemente da parte dei vicini di casa piuttosto che da
parte dei familiari. Un esempio da loro citato è il caso di due donne, madre e figlia,
entrambe accumulatrici, caso in cui sono stati i vicini ad avvisare e a lamentarsi
periodicamente (“ogni due o tre anni”) della confusione presente nel loro giardino.
Hanno inoltre riportato il caso di un’altra donna, che viveva da sola, senza nessuna
famiglia alle spalle, e presentava un disturbo da accumulo di animali (aveva 30-40 animali
fra cani e gatti); essendo già seguita dai servizi sociali, a seguito della loro segnalazione,
i tecnici hanno raccontato di un intervento coordinato anche col servizio veterinario, coi
vigili urbani e coi Carabinieri.
La percezione dei due intervistati è che a queste persone manchi in genere un rapporto o
un supporto da parte della famiglia, sempre che questa esista, e che spesso sono persone
anziane, sole, e isolate dalla collettività. Poiché il contatto fra questi operatori e gli
accumulatori o le loro famiglie è minimo, mi è stato suggerito di contattare i servizi sociali

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per acquisire ulteriori informazioni sugli interventi che vengono compiuti e sull’eventuale
coinvolgimento dei familiari in base all’esperienza di questi operatori.
I tecnici hanno riferito mancanza di interazione con i servizi socio-sanitari e di un lavoro
integrato in una rete organizzata, poiché “molte volte tornano dai sopralluoghi senza aver
concluso niente di concreto, mancando conoscenze che solo una rete rende possibili”.
Inoltre essi spesso non vengono neppure a conoscenza di come si conclude l’iter. Ad
esempio dopo il loro intervento e relativo verbale, essi non ricevono comunicazioni su
come si è evoluto il caso, cioè se ne consegue l’emanazione da parte del Sindaco di
un’ordinanza o di un atto di diffida; se vengono coinvolti anche i servizi sociali sono
questi ultimi che monitorano la situazione, ma senza coinvolgere nuovamente i tecnici
della prevenzione, neppure a titolo di semplici aggiornamenti informativi. Solo nel tempo
può succedere che i tecnici ricevano un riscontro, che spesso arriva da nuove segnalazioni
da parte dei vicini. I tecnici hanno quindi espresso il bisogno di momenti di discussione
condivisi con gli altri operatori (assistenti sociali e vigili urbani).
Infine mi è stato suggerito di contattare il comandante dei vigili urbani di Pontedera, dal
quale ho ottenuto successivamente la disponibilità per l’intervista.

3.2 Intervista al comandante dei vigili urbani

L’intervista a Michele Stefanelli, comandante generale dei vigili urbani di


Pontedera (in provincia di Pisa), si è tenuta presso la sede dell’Unione Valdera a
Pontedera [per il testo integrale vedi Appendice, 2a trascrizione, nella sezione Interviste
a pagina LIV].
I vigili urbani intervengono insieme ai tecnici della prevenzione durante i sopralluoghi
presso le abitazioni segnalate. Mentre i tecnici della prevenzione avevano indicato di aver
osservato in media un caso ogni due anni, il comandante dei vigili urbani ha indicato circa
50 casi osservati nella sua esperienza ventennale, per una media di 2-3 l’anno.
Il comandante dei vigili urbani ha raccontato diversi casi, probabilmente classificabili
come DA, osservati nel corso degli anni del suo servizio; fra questi ne ha inclusi alcuni
che non sembravano coincidere coi criteri diagnostici del DA. Durante l’intervista ho
quindi più volte presentato i criteri principali legati al disturbo, cercando di adattarmi al
linguaggio dell’operatore. Ho osservato una conoscenza del disturbo piuttosto scarsa;

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dalle affermazioni del comandante, in alcuni casi è emersa la mancanza di una vera e
propria presa in carico, a causa di un disinteresse sia dei servizi sociali che degli psichiatri.
L’intervistato ha affermato che non è previsto un contatto con lo psicologo né un
trattamento psicologico specifico e piuttosto la tendenza è quella di ricorrere a cure
psichiatriche. Nonostante queste criticità il comandante ha riportato altri casi in cui il
lavoro di collaborazione fra vigili urbani, assistenti sociali e psichiatri ha funzionato e gli
interventi si sono rivelati funzionali. L’intervistato ha inoltre riferito che in alcuni casi il
lavoro di supporto viene svolto solo dai vigili urbani.
L’immagine degli accumulatori che emerge dai racconti del comandante è quella di
persone tendenzialmente sole e che hanno chiuso i rapporti con le rispettive famiglie (ad
esempio: “aveva un’unica sorella con cui però non voleva avere niente a che fare; con la
famiglia aveva completamente chiuso i rapporti”).
Solo in un caso fra quelli riportati i parenti hanno inviato una segnalazione alle autorità
poiché non vedevano il proprio familiare da tempo e pensavano fosse deceduto. Si tratta
del caso più grave riportato dal comandante, il quale ha riferito che durante l’intervento
gli operatori son dovuti ricorrere all’abbigliamento protettivo contro le infezioni da
quanto erano gravi le condizioni igieniche all’interno dell’abitazione. In questo caso,
dopo il ricovero di un mese in ospedale a causa di un’epatite, la persona è stata
riavvicinata dalla famiglia che se ne è fatta carico.
Nel caso di due donne, madre e figlia, il comandante ha riportato che: “C’era uno
stranissimo rapporto tra le due […]. La loro vita girava intorno ad una esagerata affezione
nei confronti dei gatti […]. La casa era molto sporca e anche le due signore erano in
precarie condizioni igieniche […]. Vivevano in condizioni estreme di apparente
indigenza (candele invece dell’elettricità, mancanza di acqua corrente in casa), i soldi
saltavano fuori al momento di comprare lo scatolame per nutrire i gatti (8) e i cani (2)
[…]. La madre aveva 80 anni. La figlia - passiva e succube - e condizionata dalla madre
e dagli animali vissuti come “dominus” […] vivevano in un loro mondo malato. La figlia
tendeva a scaricare tutta la responsabilità della situazione sulla madre […]. Non riusciva
a essere razionale, era totalmente condizionata dalla madre e avvinghiata in un circolo
vizioso”. Questo estratto illustra brevemente una situazione in cui è evidente il bisogno
di un supporto esterno. In questo caso i rapporti con altri familiari erano conflittuali e
quasi del tutto assenti. Il comandante ha riportato che “c’è stato il tentativo di fare

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intervenire volontariato e servizi sociali (in quel momento non empatici e totalmente
assenti) ma senza reali progressi” e che “è un caso che va avanti da dieci anni e ogni tanto
si ripresenta”. Questo è l’unico caso di cui non si ritiene soddisfatto rispetto alla qualità
del lavoro svolto: “la rete non ha funzionato per niente perché gli assistenti sociali e la
psichiatria non ne hanno voluto sapere nulla”. Questo caso che - secondo quanto riferito
dall’intervistato - non è stato preso in carico né dai servizi sociali né dagli psichiatri
purtroppo dà l’idea di come talvolta queste famiglie vengono lasciate a vivere senza
assistenza in una condizione di abbandono e trascuratezza.

3.3 Intervista ai gestori di un mercatino dell’usato

Come già premesso ho ricercato il contatto con i gestori di uno dei tanti mercatini
dell’usato presenti nel territorio pisano allo scopo di indagare i seguenti quesiti: se
potessero riferire la loro esperienza di incontri con accumulatori in veste di venditori o di
acquirenti e se in base a tali frequentazioni potessero essersi formati una qualche forma
di categorizzazione relativa al disturbo. La scelta del negozio vintage è stata casuale,
privilegiando un quartiere dalla composizione socio-economica variegata. Nella
conduzione dell’intervista mi sono adattata agevolmente al linguaggio dei miei
interlocutori per lasciarli esprimere in maniera spontanea [per il testo integrale vedi
Appendice, 3a trascrizione, nella sezione Interviste a pagina LX].
Ho iniziato il nostro colloquio chiedendo direttamente in cosa consiste questo
disturbo secondo loro.
Uno dei due soci, Simone, ha asserito di essersi fatto un’idea personale del DA, dove
malgrado il suo bisogno di crearsi delle categorie (“incasellare per capire il senso”) non
si ritrova nell’ipotesi di uno schema rigido ma piuttosto in uno spettro che va dai bianchi
ai neri passando per una “marea di grigi”. Ha poi chiarito che cosa intendeva con questa
metafora sulle gradazioni dal bianco al nero: i bianchi sono persone indenni dal problema
dell’accumulo; i neri sono l’estremo opposto; i grigi si distribuiscono in una scala molto
sfaccettata che comprende una gamma pressoché infinita di categorizzazioni individuali
(“ci sono veramente tante categorie […] Ognuno è un caso a sé”), e secondo lui sono la
maggioranza e forse non escludono nessuno. Data l’indeterminatezza della platea dei
grigi Simone ha affermato di sentire il bisogno che gli studiosi con le loro ricerche

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rivolgessero sempre di più il loro interesse su di loro perché secondo la sua concezione,
applicandosi a studiare le varie possibili fasi di passaggio che conducono alla categoria
dei neri, si potrebbe arrivare a comprendere meglio la natura stessa del disturbo.
Luisa ha concordato che anche per lei “ci sono tante sfumature nel fenomeno
dell’accumulo fino ad arrivare ai casi estremi e patologici”.
Il successivo intervento di Simone è stato teso a puntualizzare la differenza che secondo
lui esiste tra accumulatore e collezionista: quest’ultimo “vuole acquistare quanti più
oggetti possibile a un prezzo conveniente” e in questa ricerca dello sconto presentano
tratti compulsivi.
Simone è stato interrotto dalla socia che, in disaccordo con lui, gli ha replicato che a suo
parere il collezionista ha a cuore una sola tematica riguardo alla quale fa acquisti in gran
quantità ma con una compulsione legata al possesso dell’oggetto in sé, per ottenere il
quale è disposto a non trattare sul prezzo.
Per Luisa la differenza fra chi è un collezionista e chi è un accumulatore è che
quest’ultimo si accaparra “un po’ di tutto” e arriva a dubitare dell’esistenza dei bianchi
perché secondo lei “siamo un po’ tutti accumulatori […] è una tendenza comune”.
Simone ha ripreso la parola per precisare la sua definizione di accumulatore: a suo parere
anch’egli può nutrire il desiderio di voler acquistare quanti più oggetti possibili, magari a
un prezzo conveniente, come un collezionista, ma esagerando e portando
all’esasperazione la propria passione; come esempi di questo eccesso porta la perdita di
libertà, di movimento in casa, di uso degli spazi comuni, della possibilità di svolgere le
normali operazioni di pulizie, e nel mantenimento delle condizioni igieniche di sicurezza.
Ha sottolineato che a suo parere un altro punto saliente del disturbo è l’intestardirsi a
tenere a tutti i costi i propri oggetti con sé e a non volerli dare via in tutto o in parte. Ha
concluso ponendosi la domanda se questa posizione derivi da un “desiderio represso”
potenzialmente identificabile perché dentro di sé collega il disturbo alla storia e ai
possibili trascorsi della persona interessata. Altre sue notazioni riguardano la percezione
del disturbo come risultato deteriore della società consumistica e rimarca un’insorgenza
del fenomeno scandita dall’età con manifestazioni ingravescenti col passare del tempo
che alla fine lo fanno emergere e lo rendono visibile all’esterno.
Ho proseguito l’intervista chiedendo se avessero osservato tra i loro clienti delle
situazioni che definirebbero come lampanti casi di accumulo.

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Mi hanno descritto una serie di casi. Secondo Luisa e Simone tra i collezionisti rientrano:
un signore che ha una gran quantità di giocattoli antichi; la moglie di questo signore che
a sua volta colleziona esclusivamente bambole; una signora definita “folle di
apparecchiature” perché acquista e rivende in continuazione i serviti di “ciottolame” con
cui è bravissima ad allestire apparecchiature, fino a mostrare quasi “una sorta di disturbo
compulsivo”, e riuscendo anche a mantenere ordinata e organizzata la propria casa per
quanto piena di questi oggetti.
Tra gli accumulatori hanno citato altri casi: hanno appena citato il caso di una signora
precisissima e che acquista tanti oggetti perché le piacciono e riesci ad organizzarla in
casa in modo che non rimangano chiusi in una scatola (l’unica differenza con la signora
delle apparecchiature sembra che sia l’indisponibilità a cedere quanto acquistato); hanno
invece ritenuto eclatante riferirmi la testimonianza indiretta del caso di una “ragazza”
(una giovane adulta) appartenente a una famiglia che presenta disagio sociale, abita in
una casa non ben organizzata e che tiene la propria camera in condizioni di completo
disordine e sporcizia ma arriva a rubare i soldi alla madre per comprare “un po’ di tutto
ma soprattutto la roba della Barbie”.
A proposito di diverse modalità di accumulo Luisa ha ricordato quello digitale, ad
esempio si è definita “folle di foto” perché non riesce ad eliminare nessuna delle immagini
che scarica o che riceve sui suoi dispositivi elettronici; questa passione l’ha ereditata dal
padre che a suo dire è un accumulatore mancato perché malgrado manifesti la tendenza
questa viene decisamente contenuta dalla moglie.
Nel corso dell’intervista Simone ha raccontato di sé tratteggiando un proprio
ritratto come persona “precisa in certe cose e sprecisa in altre”, circostanza che Luisa
come interpreta come una contraddizione e Simone come una “valvola di sfogo”: un
compromesso tra il dover essere preciso (a lavoro), le occasioni in cui vuole essere preciso
(hobby), e pause di sospensione della precisione. Simone ha riconosciuto in sé una
tendenza a procrastinare, poi il bisogno di conservare quello che fa parte della sua storia,
si è detto vittima in passato di accumulo digitale e di condotte di acquisizione di oggetti
relativi a diversi tipi di Modellismo. Parlando del loro negozio ha raccontato che l’inizio
dell’attività gli ha dato la possibilità di portare molti dei suoi oggetti accumulati per
metterli in vendita e che in questo modo per la prima volta è riuscito a separarsi da una
parte di questi oggetti. Simone ha detto spontaneamente che ha ancora tante scatole di

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Modellismo anche mai aperte sia in casa, che nelle cantine, che nell’ufficio dove lavora,
ma che continua a disfarsene un po’ alla volta. Tuttavia quello che Simone considera “il
vero valore aggiunto è che non solo ora ha meno oggetti, ma non li sta neanche
reintegrando”. Questa notazione permetterebbe forse di “incasellare” Simone tra i grigi.

3.4 Intervista a un familiare

Come precedentemente anticipato, durante il lavoro di raccolta di testimonianze


ho avuto l’occasione di interpellare una ragazza interessata alla mia indagine che si è
offerta volontariamente per l’intervista. Nel corso della conversazione avvenuta via
Skype Giovanna (nome fittizio per tutelarne la privacy) mi ha raccontato la sua esperienza
di figlia di genitori probabilmente accumulatori [per il testo integrale vedi Appendice, 4a
trascrizione, nella sezione Interviste a pagina LXXXIII].
La mia prima richiesta è stata che mi descrivesse il problema.
Giovanna ha iniziato l’intervista parlando di un trasloco, ovvero l’avvenimento principale
legato alla sua infanzia; ha raccontato di aver passato i primi otto anni della sua vita in un
appartamento insieme alla madre e ai due fratelli maggiori, mentre il padre era spesso
lontano per motivi di lavoro, e successivamente di essersi trasferita lei soltanto con i
genitori e la nonna materna in campagna in un’abitazione indipendente a due piani. Nella
nuova casa solo il piano superiore era abitato, mentre il piano terra era completamente
occupato da scatoloni e imballaggi e così è rimasto per alcuni anni.
Giovanna ha raccontato che dopo il trasloco dalla città alla campagna si sono resi sempre
più evidenti e aggravati col tempo i limiti della madre per quanto riguarda
l’organizzazione, l’ordine e la pulizia, e che sua madre ha utilizzato proprio tale evento
negli anni successivi come giustificazione anche con gli ospiti che entravano nella casa
di campagna, continuando a usare verbi al presente contro ogni evidenza: “Stiamo
traslocando”.
A 19 anni Giovanna si è trasferita a circa 200 chilometri di distanza per gli studi
universitari. I suoi genitori sono andati ad abitare al piano terra mentre il piano superiore
veniva adibito a Bed & Breakfast con un’attività di affittacamere con Giovanna come
intestataria. In coincidenza con questa attività la madre ha manifestato una tendenza ad
esagerare con gli acquisti, in particolare di biancheria. Per la pulizia delle camere degli

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ospiti c’erano persone addette per l’incapacità della madre di provvedere in autonomia a
una casa così grande.
Infine tale attività di Bed & Breakfast fu interrotta, con la motivazione ufficiale del
raggiungimento di un’età troppo avanzata da parte dei gestori per mantenere il carico di
una simile responsabilità, mentre per Giovanna il vero motivo era l’incapacità nella
gestione negli aspetti pratici dell’attività e l’assenza di consapevolezza di quanto il loro
comportamento potesse risultare scorretto sia nei confronti dei clienti che in quelli della
figlia.
Quando i genitori hanno cominciato a invecchiare e con tutta la casa a loro disposizione,
Giovanna ha osservato gli effetti combinati dell’accumulo eccessivo e della difficoltà a
separarsi dagli oggetti (“Mia madre non butta niente […] Erano concordi sul non buttare
nulla”) uniti all’acquisizione impropria degli oggetti più disparati da parte dei genitori,
che li hanno portati a vivere in condizioni di scarsa igiene richiedendo l’intervento di
Giovanna in prima persona e il successivo graduale coinvolgimento di persone addette
alle pulizie.
Alla mia richiesta di puntualizzare gli inconvenienti principali legati al problema
Giovanna ha riferito che nel periodo della preadolescenza si sentiva trascurata da parte
della madre per certi aspetti riguardanti sia l’educazione a tenere puliti gli ambienti sia la
sua stessa igiene personale; ha inoltre raccontato di essersi stupita quando, confidandosi
con lei su tale argomento, ha scoperto che anche la sorella si sentiva trascurata per quanto
riguardava l’igiene personale.
Mano a mano che cresceva e si confrontava con persone esterne alla famiglia, Giovanna
comprendeva che “la situazione in cui viveva a casa sua non era tanto normale”. Ha
espresso la “fatica di vivere così”, il disagio, l’imbarazzo, la vergogna e il senso di
umiliazione che provava, in particolare quando ricevevano visite.
Giovanna afferma che si era “abituata alla situazione” ma ha ricordato che una volta ha
rimproverato sua madre, pur chiedendole scusa per la critica, dicendole che non era una
brava casalinga, dal momento che malgrado lei stessa come figlia tenesse a mantenere il
decoro domestico e si impegnasse a sistemare e a fare attenzione una volta fatto ordine e
pulizia, la casa era sempre in “condizioni pietose”. Sua madre si giustificava per il
disordine e lo sporco, affermando che “non ce la faceva” ma nonostante ciò persisteva a
non chiedere aiuto né metteva regole per tentare di rimediare e di migliorare la situazione,

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e neppure si organizzava né cercava di insegnare a Giovanna come poter agire in
autonomia. A sua volta Giovanna giustificava la madre, concedendole che l’incapacità di
organizzarsi potesse essere un problema “suo” costitutivo, chissà da cosa originato, o in
alternativa derivato dalla circostanza che nell’appartamentino occupato precedentemente
era più semplice organizzarsi per le dimensioni ridotte e col vantaggio di un aiuto da parte
della figlia maggiore, la quale riusciva a compensare le mancanze materne.
A sua volta Giovanna ricorda di aver ricevuto continui rimproveri da parte della madre
per il proprio disordine. Dall’intervista è emerso fortemente il perenne vissuto di senso di
colpa di Giovanna, legato non solo al disordine e allo sporco ma anche alla difficoltà nel
riuscire a supportare la madre nelle imprese di pulizia e soddisfare le sue aspettative:
“Quello che ricordo di quando ero piccola è un costante, continuo senso di colpa di tutto
quello che avevamo intorno perché c’era disordine, ma lei non si faceva aiutare e non te
lo chiedeva mai, ma dava per scontato che tu lo dovevi fare, e se lo facevi, ti diceva di
non farlo, e così via. Niente era comodo, nulla era pulito, però ricadeva su di me questa
mancanza di organizzazione anche nel mio piccolo riguardo alla mia pulizia personale,
della mia camera, ecc. E così mi sentivo in colpa, per esempio se la mia camera non era
pulita o era in disordine”.
Per quanto riguarda il periodo della gestione del Bed & Breakfast Giovanna ha potuto
rendersi conto delle carenze dei suoi genitori. Ha raccontato che i suoi genitori “non
sapevano organizzarsi, e nemmeno riuscivano a gettare via quanto acquistato in quantità
non commisurata al bisogno e ormai scaduto, arrivando addirittura a tentare di riciclarlo
magari nell’alimentazione dei loro animali”. Così, quando il problema dei genitori ha
cominciato a interferire anche con la vita degli ospiti, Giovanna ha affermato di essersi
sentita fortemente a disagio nei confronti degli ospiti: nel descrivere questa situazione
Giovanna ha espresso il suo disgusto, la rabbia, l’imbarazzo, il dispiacere e la
disapprovazione verso il comportamento dei suoi genitori; il tono e il linguaggio usato
evidenziano i sentimenti di frustrazione e inutilità vissuti costantemente.
Cessata l’attività e con i genitori che diventavano anziani Giovanna ha continuato a
raggiungerli periodicamente tentando di mantenere pulita e ordinata la loro casa, ma ha
sottolineato che quando tornava dalla città in cui risiedeva si accorgeva che i suoi genitori
avevano raccolto oggetti dai rifiuti per portarli in casa loro (“Avevamo di tutto e
tornavano a casa con roba presa dalla spazzatura! […] Per esempio i materassi, o le

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poltrone, o una volta una seggiola bruttissima che non serviva a niente...”). Questo tipo
di iniziative partiva da ambedue i suoi genitori.
Nonostante tutto Giovanna ha superato la rabbia e la frustrazione, continuando a pulire
dappertutto fino a “infilarsi in angoli inesplorati da anni”, per esempio arrivando
addirittura a vincere la propria fobia nei confronti dei ragni. Durante queste periodiche
attività di pulizia, descritte come molto difficili e impegnative, Giovanna ha raccontato
di essersi scontrata con l’atteggiamento difensivo dei genitori (“Riuscivano sempre a
trovare qualche scusa”) che addirittura andavano a recuperare dal sacco della spazzatura
gli oggetti malconci e vecchi gettati da lei (“Facevo i sacchi pieni di roba e loro li
svuotavano!): per questo sentiva che il suo sacrificio e il suo impegno non erano
considerati e rimaneva sgomenta.
Durante l’intervista ho sollecitato Giovanna a parlarmi dei suoi tentativi di
intervento in prima persona o coinvolgendo altre persone (i familiari, altri operatori, le
Istituzioni).
A partire dai 12 anni Giovanna ha una serie di ricordi vividi e precisi in proposito. Quando
attendevano visite, si metteva d’impegno a riordinare e pulire la casa, ma si sentiva in
imbarazzo e impotente se qualche ospite arrivava all’improvviso. Per alleggerire in parte
il proprio disagio Giovanna sollecitava la madre a risolvere la situazione ma senza svolte
decisive.
Nel periodo dell’apertura del Bed & Breakfast Giovanna ha vigilato: si è “dedicata allo
sfinimento ad organizzare, a rimettere a posto la casa e a controllare le cose riposte nel
frigo”. Si è impegnata a tentare di modificare la mentalità dei genitori e l’ha definita come
“una fatica ed un’impresa durissima e che non trovava una fine”, perché con tutti i suoi
ragionamenti non è riuscita a convincerli e a modificare i loro comportamenti.
Come da bambina, ma ormai ventenne, Giovanna si è sentita in dovere di rimproverare la
madre per il suo comportamento perché lo riteneva carente in ordine e pulizia e non
accettabile in una persona adulta. In questa fase Giovanna era l’unica dei tre figli ad
occuparsi dei genitori, e anche nel periodo successivo seguito alla chiusura del Bed &
Breakfast, per quanto abbia affermato di essersi sentita poco adeguata per una simile
responsabilità, per esempio facendo un confronto con la sorella maggiore: “Sono stata io
ad occuparmi di questa cosa. Piano piano ma la casa alla fine ha preso delle sembianze
normali a forza di buttar via cose un po’ alla volta. Io non mi sento portata per un compito

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del genere, rispetto a mia sorella, ma mi son sentita di farlo e l’ho fatto”. D’altra parte da
tempo la sorella non frequentava più i suoi genitori e nemmeno il fratello voleva avere a
che fare con determinati problemi.
Dopo la chiusura del Bed & Breakfast Giovanna ha raccontato che i genitori si
opponevano alle sue pulizie, e lei si chiedeva come avrebbe potuto lasciarli con
indifferenza in certe condizioni. I genitori avevano reazioni diverse: con il padre c’erano
continui litigi perché lui avrebbe voluto che Giovanna smettesse, mentre lei insisteva che
la lasciasse fare. Giovanna invece comprendeva la madre che si sentiva in imbarazzo a
farla entrare in camera e cercava di evitarlo, ma, malgrado le discussioni, Giovanna “lo
faceva e basta - con loro che dicevano di no - perché andava fatto”.
Con i genitori sempre meno capaci di badare a sé stessi, per farli vivere in condizioni
decorose Giovanna ha ottenuto che prendessero a servizio una donna per assisterli nelle
loro necessità ma ad essa inizialmente i suoi genitori consentivano di pulire solo due sale.
Per anni Giovanna ha alternato tentativi di persuasione e interventi di supplenza nelle
pulizie in quelle zone della casa dove i suoi genitori non permettevano l’accesso a
estranei, arrivando fino a tenere sempre chiuse le persiane della camera matrimoniale;
nell’ultimo anno è riuscita ad ottenere che la donna delle pulizie potesse entrare e pulire
in cucina e in seguito anche nella camera matrimoniale. Per arrivare a tanto Giovanna ha
cercato la collaborazione dei suoi genitori, insistendo con spiegazioni calme, pazienti e
ripetute unite ad altri accorgimenti. Nel caso della cucina ha redatto un “contratto” che
permetteva e regolava la pulizia della cucina da parte dell’assistente domiciliare, firmato
dai genitori ed appeso nella stanza. Nel caso della camera matrimoniale ha ottenuto dai
suoi genitori il consenso a che l’assistente domiciliare vi accedesse per la pulizia
quotidiana, ma solo a condizione di una previa “superpulizia” eseguita da Giovanna
stessa.
Quindi Giovanna ha riferito che da un anno circa la sorella ha ripreso ad andare a trovare
i genitori e le ha dato una mano nel senso che si sono divise il lavoro. La sorella è stata
in grado di tranquillizzarla e aiutarla a semplificare la selezione. E Giovanna ha affermato
che “insieme alla sorella hanno fatto un lavoro meraviglioso perché rispetto a una volta
l’ordine e la pulizia si mantengono, dato che ormai i suoi genitori non ce la fanno ad
accumulare come un tempo e poi rispetto a prima c’è sempre qualcuno in casa
[l’assistente domiciliare] che monitora la situazione, mentre prima tutte le volte era una

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lotta”. I genitori ormai anziani accettano “senza lamentarsi più di tanto” questo tipo di
interventi, tuttavia Giovanna ha sottolineato che questo avviene non tanto per
un’arrendevolezza senile, ma grazie anche a percorso lungo e impegnativo che ha fatto
con loro cercando di trovare delle strategie che favorissero un accordo in modo da
raggiungere un patto basato sulla fiducia e sul rispetto.
Giovanna ha affermato che si è impegnata in questo percorso avvertendo la difficoltà
perché da figlia non era distaccata. Sente la sua fatica ripagata dalla consapevolezza che
se non si fosse messa in gioco i suoi genitori si sarebbero ritrovati a vivere come i
protagonisti dei programmi televisivi dedicati agli accumulatori sulla scorta di un format
di origine statunitense.
Riguardo all’intervento delle Istituzioni, Giovanna ritiene che non si sia mai arrivati a un
punto critico che lo rendesse necessario. Ha comunque sottolineato come all’interno della
sua famiglia di origine ci sia stata una percezione non univoca del DA, tra il non parlarne
come se si trattasse di un tabù, e non poterlo riconoscere come disturbo di cui prendere
coscienza in quanto non ancora categorizzato come tale né divulgato capillarmente.
Ho invitato Giovanna ad esprimere le sue personali riflessioni in merito alla sua
interpretazione dei comportamenti dei suoi genitori.
Così come Giovanna ha rilevato la concordanza di intenti e di gesti tra i suoi genitori, in
determinate occasioni, d’altra parte non ha potuto fare a meno di riferire una
contraddizione da parte della madre che sembra mancare di autocritica mentre non lesina
critiche al marito e rimproveri alla figlia minore. Infatti la madre sembra tendere
all’autoindulgenza e all’autogiustificazione riguardo all’incapacità di organizzare
l’ordine e la pulizia in casa, ma più facilmente appare intransigente verso chi non si
mostra corresponsabile nel mantenimento di ordine e pulizia, quasi giustificando la
propria incapacità (“non ce la faccio, come si può?”) con “un senso di colpa ma rivolto
verso l’esterno: era colpa di qualcosa o di qualcuno”.
Anche Giovanna, più che avere un comportamento giudicante, sembra mostrarsi
indulgente verso il comportamento della madre definito come “una debolezza”,
riconoscendo che in generale la madre “è una persona poco costante nelle cose, che non
ce la fa a far di più”.
Ricorda una nonna materna precisissima e un fratello della madre che lo è altrettanto fino
a livelli maniacali, ma non compie collegamenti mettendo in opposizione la sua mamma

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a questi familiari: pare piuttosto mettere in relazione il cambiamento di atteggiamento
della madre principalmente con l’evento scatenante del trasloco.
Giovanna ha detto che per tutta la vita sua madre l’ha esortata al risparmio evocando i
“tempi di guerra” e che la madre pensava di “avere cura e tenere alle cose”, ma per
Giovanna la condotta materna non rifletteva un’autentica cura per le cose: “Anzi, sei
schiava delle cose che [accumuli e] non usi perché non sai nemmeno più di averle”.
Ho avvertito un senso di compassione verso la madre quando Giovanna ha raccontato che
“dopo aver finito le operazioni di pulizia rimetteva qualche oggetto sul divano, per non
far sentire sola sua madre”: la percezione di Giovanna potrebbe essere stata che quegli
oggetti fossero significativi per la madre.
Sebbene Giovanna abbia riferito di non riuscire a trovare una motivazione precisa al
comportamento di accumulo dei genitori e alla loro difficoltà a separarsi dagli oggetti,
sembrerebbe comunque tendere a trovare qualche spiegazione rispetto al ruolo che gli
oggetti hanno, in particolare per la madre.
Giovanna da una parte incolpa i genitori per l’accumulo, associando questa “debolezza”
a un tratto caratteriale, dall’altra tende a giustificarli enfatizzando le cause esterne legate
ad esempio alla difficoltà a tenere in ordine a causa del trasferimento in un’abitazione più
grande, eccetera. Questa “esternalizzazione” potrebbe essere stato un importante fattore
protettivo per preservare la relazione con i genitori, come suggeriscono alcuni autori
(Wilbram et al., 2008).
Giovanna ha riferito che il problema dei suoi genitori è vissuto diversamente da lei
rispetto ai suoi fratelli perché essi non hanno condiviso la sua esperienza di convivenza
dopo il trasloco nella casa di famiglia in campagna: infatti, quando abitavano tutti insieme
in appartamento, “tutto era diverso” rispetto al periodo successivo in cui i genitori
vivevano solo con lei in un altro contesto.
Infine Giovanna ha affermato che nel complesso: “Ora va meglio, è più sotto controllo,
ma tutto questo rimane non facile da gestire”.
In complesso per quanto riguarda i vissuti esposti fino a questo punto dell’intervista, mi
sembra che ci sia una sostanziale coincidenza con i dati disponibili in letteratura, sempre
tenendo conto che da parte dei familiari non esiste una modalità di reazione unica ed
omologabile.

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Riguardo ai vissuti interni in relazione al proprio rapporto con l’accumulo,
stimolandola a raccontare di sé e a riflettere sui propri comportamenti, si può constatare
che durante tutta l’intervista Giovanna ha descritto molti vissuti e sentimenti negativi (in
generale “un costante disagio, presente in tutte le fasi della sua vita”) però non si descrive
mai come rassegnata, anzi sembra volersi fare carico della situazione e si dimostra molto
motivata a “sistemarla”.
Tra i vissuti negativi Giovanna stessa ha sottolineato le problematicità relative al periodo
del Bed & Breakfast, quando condivideva un appartamento con il fratello ed entrambi
faticavano a mantenere la propria stanza in condizioni decorose, il che le ha provocato
sentimenti di colpa e di vergogna. Ha tuttavia differenziato il disagio che provava lì da
quello patito nel rapporto con la madre: si è trovata a vivere una sorta di contraddizione
dal momento che nei confronti dei genitori si impegnava al massimo, e
contemporaneamente iniziava a celare, accumulandolo, quanto non riusciva a mantenere
in ordine nella propria stanza di studentessa universitaria, finendo con l’isolarvisi. I
problemi si sono riproposti quando ha traslocato in un appartamento di 20 metri quadri
ma ha avuto modo di notare come si fossero ridimensionati grazie alle ridotte dimensione
dell’abitazione unite alla frequente apertura all’ospitalità.
Successivamente in un periodo di convivenza con la sorella, consapevole di questa sua
tendenza, ha ammesso che si notava la differenza fra la propria camera e il resto della
casa, disciplinato all’ordine. In un ulteriore periodo di coabitazione con un coinquilino
(“precisissimo”) Giovanna ha detto che “per fortuna aveva un armadio enorme in cui
poteva nascondere tutte le sue cose”.
Da allora è passato del tempo e Giovanna ha attraversato altre fasi della sua vita.
Durante la conversazione ha affermato che “riesce a pulire e mettere in ordine per gli altri,
ma nei suoi spazi non riesce a fare ordine, nonostante riesca a pulire”, e allora ho provato
a suggerirle che magari avrebbe potuto chiedere un aiuto, ma Giovanna ha affermato che
si “vergognerebbe da morire e che [per esempio] non farebbe mai mettere le mani nel suo
armadio da qualcuno”.
Giovanna è convinta che il problema della madre ha ripercussioni su di lei e se ne sente
condizionata; in merito a questo ha asserito: “Sono fatta così, sono come lei”, riferendosi
a sua madre.

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In seguito Giovanna mi ha confidato che prova una “fatica” crescente nei tentativi di
organizzare e selezionare i propri oggetti al fine di conservarli o separarsene e che - per
attaccamento o per pigrizia - tende a ritardare e a rimandare questo momento, ma non per
questo si definirebbe un’accumulatrice. Ciò nonostante quanto da lei riferito sembra
concordare con la connessione suggerita da Tolin et al. (2010a) tra il crescere con un
familiare accumulatore e lo sviluppare un forte attaccamento emotivo verso i propri averi
che comporta difficoltà nel separarsene.
In generale Giovanna si è dimostrata consapevole di una sua tendenza, anche attuale, ad
una progressiva incapacità di gestione degli oggetti che le appartengono (dalle provviste
in frigo agli abiti nell’armadio fino agli indumenti dismessi o ai vecchi quaderni di
appunti). Questa tendenza le provoca preoccupazione, senso di colpa e vergogna, ma
Giovanna non perde la speranza e non si stanca di progettare strategie per superare il
proprio limite.

3.5 Intervista a uno psichiatra

Successivamente ho proposto l’intervista a Paolo Marinari, un medico psichiatra


responsabile del Centro Salute Mentale (CSM) di San Frediano a Settimo (Cascina, in
provincia di Pisa), dell’Unità Funzionale Salute Mentale Adulti (UFSMA) dell’Azienda
USL Toscana nord ovest (comprendente ex Azienda Usl 5 di Pisa) e dirigente del Centro
Diurno dell’Azienda USL Toscana nord ovest (comprendente ex Azienda Usl 5 di Pisa)
per la Zona Pisana. Tramite email lo psichiatra ha espresso il suo interesse per
l’argomento e ha riferito di avere esperienza di molti casi con tale problematica
nell’ambito dell’UFSMA della Zona Pisana. L’intervista si è tenuta presso il CSM di San
Frediano a Settimo. L’intervistato si è proposto di raccontare alcuni dei tanti casi osservati
negli anni [per il testo integrale vedi Appendice, 5a trascrizione, nella sezione Interviste
a pagina CII].
Prima di descrivere dettagliatamente alcuni dei casi osservati, ha evidenziato che con
questa tipologia di utenti è necessario fare un lavoro preliminare per entrare in relazione.
Lo psichiatra ha inoltre rimarcato quanto sia importante con i pazienti accumulatori la
definizione di un contratto terapeutico fra lo psichiatra e il paziente, poiché il patto di
lavoro condiviso comprende delle fasi molto delicate. Ha raccontato ad esempio del caso

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di una paziente in cui “era stato fatto un contratto secondo cui tutto ciò che veniva buttato
via, lei - anche se ci stava male - avrebbe visto di cosa si trattava a essere buttato via.
Insomma non si sarebbe fatto niente senza che lei non lo sapesse, e così è stato […].
Venivano fatte addirittura riprese a casa sua e successive proiezioni allo scopo di mostrare
cosa sarebbe stato buttato via per fare una cernita insieme”. Lo psichiatra ha riportato che
in un altro caso “lo sgombero aveva un contenuto terapeutico e non solo uno scopo
concernente l’igiene […]. Andavano operatori ed alcuni pazienti che selezionavano
oggetti, li portavano a dei parenti che poi li rivendevano e infine i soldi ricavati venivano
riconsegnati a lui [al paziente], non presente ma presenziante, che decideva cosa potevano
vendere o meno, perché si ricordava grosso modo tutto quello che aveva”.
Ritengo particolarmente significativo sottolineare che lo psichiatra ha definito il DA un
disturbo “criptico”, che tende a rimanere sommerso, di cui è difficile dare una stima della
prevalenza poiché “molte volte non viene neppure alla nostra attenzione”. Durante
l’intervista ha inoltre asserito: “Ho osservato molti casi, ma per quanti casi abbia visto, il
mio parere è che comunque il DA resti sottostimato […]. Probabilmente i casi
effettivamente presenti sono più di quelli che vengono osservati”.
L’intervistato ha avuto occasione di prestare servizio di assistenza come psichiatra
territoriale, e, a conferma della mancanza di coscienza di malattia che caratterizza la
maggior parte degli accumulatori ha riportato: “I pazienti non ne parlano di questo
problema e il DA non emerge se non si effettua una visita presso il domicilio”. Parlando
dell’esperienza con una paziente: “Arrivato a casa a fare la visita a domicilio, mi accorsi
del DA, perché lei non ne aveva mai accennato, ed è venuto fuori un mondo […] mi stupii
con lei della marea di roba che conservava e di cui non ci eravamo mai accorti […]. Credo
che lei, che non ne aveva riferito inizialmente, […] non avesse consapevolezza di avere
un problema del genere […]. È interessante che vedendola in ambulatorio ti colpivano
delle cose, e andando a casa ti colpiva il DA […]. Erano tutti disponibili verso di lei, ma
non sapevano dei suoi problemi, perché lei non ne parlava”. Inoltre lo psichiatra ha
riportato che la difficoltà con cui questi casi emergono potrebbe essere dovuta al fatto che
le persone vicine all’accumulatore non segnalano la situazione (“La committenza è
difficile che provenga da chi ha il DA, da un familiare, da un parente, da un vicino o da
un conoscente”), ad eccezione dei vicini di casa che talvolta chiamano ad esempio per
segnalare l’accumulo di spazzatura da parte di anziani (Sindrome di Diogene).

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La maggior parte dei casi riportati dallo psichiatra presentano una comorbilità con altri
disturbi, ad esempio con i Disturbi Depressivi (“L’infermiera che periodicamente andava
a trovarla e a fare le visite […] riferiva che l’accumulo aumentava sempre di più, ma
quello che più colpiva era il problema legato al tono dell’umore per cui periodicamente
si deprimeva”), con i Disturbi del Comportamento Alimentare, con il Disturbo Ossessivo-
Compulsivo e con i Disturbi Psicotici. Durante l’intervista è intervenuta anche una
collega dello psichiatra che ha riferito di alcuni casi di cui si stava occupando in cui c’era
un sospetto di DA in co-occorrenza con altri disturbi: “Una donna che ha un Disturbo
Ossessivo gravissimo si è bloccata al livello della pulizia di casa […]. Lei non butta mai
via niente”. Le manifestazioni di DA in assenza di altri disturbi psichiatrici sembrerebbero
essere molto più rare.
Lo psichiatra ha riferito che queste persone spesso vivono da sole e i rapporti familiari e
sociali sono limitati: “Quando se ne parlava nelle riunioni, l’accumulo non diventava
l’argomento principale; forse perché il focus era la preoccupazione che lei stesse sola,
non avendo rapporti se non con un’unica amica […]. Questa amica era l’unica persona
che lei frequentava […]. I rapporti erano ridotti a poche persone […]. Il fratello è uscito
molto presto dal nucleo familiare ed ha sempre avuto uno scarsissimo rapporto con Giulia
[…]. Riusciva a stare con i ragazzini della scuola dove lavorava […], però poi non aveva
nessuna relazione sociale con la cittadinanza”. Fra i casi di accumulatori isolati è emerso
il seguente: “Lei aveva un cane e un gattino, e accumulava tutte le scatolette di cibo per
cani e gatti, usate e vuote e che emanavano cattivo odore, tenendole addirittura in
camera”.
Talvolta la mancanza di rapporti coi familiari è dovuta a un volontario allontanamento da
parte di questi ultimi: “Col fratello rapporti non li ha avuti per l’evitamento da parte di lui
che la considerava completamente matta, più di quello che fosse, e non ne voleva saper
niente: col fratello no, poi li avuti forse coi nipoti che la vanno a trovare all’RSA dove
risiede da dopo l’ictus. L’unico contatto di lui con lei era che lui in quanto macellaio le
portava la carne il venerdì, lasciandola in fondo alle scale senza incontrarla, e per il resto
la lasciava affidata a psichiatri e assistenti sociali”.
È emerso anche un caso di riavvicinamento da parte dei familiari: “Ora la casa l’ha presa
il fratello e l’ha affittata. Lei sta presso una RSA e vanno a trovarla e aiutarla il fratello,
la cognata, i nipoti”.

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Lo psichiatra ha sottolineato l’importanza di avere un contatto e intrecciare una relazione
con la famiglia. Ha raccontato ad esempio di un caso in cui i familiari si interessano e
sono coinvolti attivamente nel programma di sostegno: “Nelle riunioni che vengono fatte
con i familiari queste due cugine si alternano e vengono”.
Successivamente ha riportato un caso in cui più di un membro familiare aveva la tendenza
ad accumulare: “Ricordo un altro caso che è una sorta di “follia a due”, sia il figlio che la
madre accumulavano […]. È un caso rimasto irrisolto, di quelli che non è possibile
entrarci in contatto, poi magari ci si riesce dopo anni”. È interessante notare come in
questo caso sia difficile anche per un professionista riuscire a intervenire fino a che non
emerge la volontà di fare qualcosa da parte delle persone interessate.
Inoltre lo psichiatra ha brevemente illustrato il caso di un paziente che “aveva accumulato
una quantità di cose che per lui avevano un valore affettivo quasi magico”; questa
percezione risulta coerente col tipico attaccamento che gli accumulatori sviluppano verso
i propri averi.
Il dato emerso dall’intervista che mi ha colpito maggiormente è legato ai frequenti
tentativi autolesivi conseguenti al doversi distaccare dai propri oggetti, fino alla
realizzazione del suicidio. In un caso: “Dopo tante situazioni si è cercato di dare un senso
proponendo di eliminare le pubblicazioni più vecchie, che poi erano le più sciupate, e lei
in un primo momento ha acconsentito, se non che poi ha tentato di togliersi la vita”. In un
altro caso: “L’assistente sociale tolse tutto e così quando questa donna fu dimessa e fece
ritorno a casa, si gettò dalla finestra e morì […]. Purtroppo l’assistente sociale - giovane,
alle prime armi e male aiutata, e che in seguito cambiò lavoro - ritenne che fosse
sufficiente il fatto di essere d’accordo con il marito (un insufficiente mentale), anziché
parlare e “contrattare” con la persona interessata”. Questo dato sottolinea l’assoluta
necessità di un supporto nel difficile processo di separazione dai propri oggetti e
l’esigenza di continuo aggiornamento da parte degli operatori.

3.6 Intervista a un’assistente sociale

Infine mi ha concesso di intervistarla Edi Pieri, l’assistente sociale che lo


psichiatra mi aveva dato modo di contattare. Si tratta di una dipendente dell’Azienda USL

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Toscana nord ovest (comprendente ex Azienda Usl 5 di Pisa), in forza all’Unità
Funzionale Salute Mentale Adulti (UFSMA).
L’intervista si è tenuta a Pisa presso l’Unità Funzionale Salute Mentale Adulti (UFSMA)
dell’Azienda USL Toscana nord ovest (comprendente ex Azienda Usl 5 di Pisa) [per il
testo integrale vedi Appendice, 6a trascrizione, nella sezione Interviste a pagina CXVI].
L’assistente sociale ha affermato: “Di casi ce ne sono tanti […] Se ne vede di tanti tipi e
gradazioni […] Ne incontriamo uno o due l’anno, ma si tratta di casi ormai giunti a livelli
di una situazione molto compromessa e visti solo dopo un qualche evento critico (lo
sfratto, lamentele dei vicini per motivi vari fino all’infestazione di insetti), mentre in realtà
di casi in fasi ancora “sfumate” ce ne sono molti di più, che non emergono se non dopo
un evento fortuito”.
L’intervistata ha affermato che né la persona, né il coniuge, né la famiglia si rivolgono
direttamente e in modo specifico per il DA ai servizi ma, nei casi in cui segnalano, si
rivolgono alla sezione del servizio sociale che si occupa di adulti o di marginalità e che
si occupa di pagamento utenze, richieste economiche e sfratti. L’assistente sociale ha
dichiarato che i casi di accumulo è più facile che vengano segnalati al loro servizi
piuttosto che ai medici, e a questo proposito cita un caso di accumulo di spazzatura in cui
da parte di due pazienti psichiatrici padre e figlia che, dopo una prima segnalazione ai
servizi sociali, subirono un trattamento sanitario obbligatorio e una volta che la casa fu
bonificata vi fecero ritorno ma con l’assistenza domiciliare e tutta una serie di presidi. In
questo caso entrambi non avevano coscienza del problema e venne fatto un percorso con
la figlia per aiutarla a mantenere in seguito in casa i livelli di igiene raggiunti dopo la
bonifica.
L’intervistata ha aggiunto che “se il caso non è già noto e seguito in precedenza dal
servizio sociale della Salute Mentale, sezione anziani o adulti o marginalità, può venir
segnalato dai vicini, dal medico di famiglia, dai medici psichiatri, a volte anche dai medici
di continuità assistenziale, in seguito a una chiamata per visita domiciliare. Da chiunque
parta la segnalazione la cosa viene poi condivisa”.
Ha precisato che se l’accumulatore vive insieme ai familiari è difficile che questi ultimi
segnalino la situazione in modo che i servizi sociali possano intervenire; invece è più
frequente che i familiari segnalino il problema nel momento in cui rientrano a casa “dopo
un periodo”, per esempio in occasione di un riavvicinamento dopo dissapori o in

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occasione di un evento particolare (ad esempio il decesso di un parente). L’assistente
sociale ha citato il caso di una studentessa universitaria che ha vissuto per molti anni con
la madre che non usciva mai e non faceva entrare nessuno ma faceva solo uscire la figlia
per le commissioni più importanti. La ragazza aveva due sorelle maggiori che vivevano
lontane. La segnalazione è avvenuta quando la madre ha avuto un malore e in seguito è
deceduta, quindi le sorelle maggiori sono rientrate a casa dopo anni e hanno aiutato la
sorella a ristrutturare la casa dandole supporto. Entrambe le sorelle maggiori fino ad allora
erano inconsapevoli del problema.
Riguardo alla consapevolezza dei familiari l’opinione dell’assistente sociale è che di
solito sono situazioni che si trascinano e si strutturano nel tempo (“non avvengono
all’improvviso”) perché c’è una malintesa idea di tolleranza da parte dei familiari che
evitano di contrastare la persona che accumula nel timore di discussioni fino al punto di
raggiungere l’insopportabile. Inoltre secondo l’assistente sociale “c’è anche un retaggio
perché le persone hanno paura di essere giudicate: il cosiddetto stigma”.
L’intervistata ha riportato il caso di due persone sconosciute ai servizi di Salute Mentale
e che non si erano mai rivolte nemmeno al medico di famiglia; la vicenda di queste
persone le è stata raccontata da una collega la quale le ha descritto “la casa completamente
piena di giornali, con dei passaggi tipo dei cunicoli” (i cosiddetti “sentieri di capra”).
L’assistente sociale ha affermato che questi casi in cui “non c’è più spazio, quasi
nemmeno per dormire” sono abbastanza frequenti. Ha riferito inoltre un caso che seguiva
personalmente di una signora anziana che “accumulava dappertutto in casa vestiti nuovi
ancora nelle confezioni”. In questo caso, in occasione di un peggioramento delle
condizioni di salute della moglie, fu il marito a prendere contatti coi servizi di Salute
Mentale. Invece in un altro caso, quello di un signore che accumulava spazzatura e
dormiva in un enorme tino, erano stati i vicini di casa a inviare una segnalazione al
Comune. L’assistente sociale ha asserito che questo è il caso più frequente, ovvero che
siano i vicini di casa ad effettuare una segnalazione. A questo proposito cita ancora il caso
di un senza-dimora e casi di disturbo da accumulo di animali di cui ha fatto esperienza in
almeno venti circostanze negli ultimi sedici anni.
L’intervistata ha affermato che “sono presenti ricadute e difficoltà di tipo sociale” e si
tratta di “un disturbo subdolo che crea un importante isolamento sociale”. Ha inoltre
aggiunto: “A parte il tipo di oggetti che vengono accumulati - per esempio nel caso della

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spazzatura siamo già nel patologico di per sé - avere una casa zeppa di oggetti - ad
esempio giornali - in un ambito di coppia e di famiglia è come se mettessero un muro
rispetto al fuori, perché non si invita più nessuno, nessuno entra in casa, perché mancano
gli spazi per l’accoglienza o ci si vergogna delle condizioni di disordine o sporcizia della
casa, e così facendo ci si preclude una serie di relazioni amicali che costituiscono i
fondamenti di una vita sociale, finché gradualmente nel tempo il DA di un familiare la
compromette. A volte la famiglia ha la forza di relegare l’accumulo solo nella camera
della persona col DA, ma quando il fenomeno è ormai diventato pervasivo rispetto a tutti
gli ambienti condivisi con tutti nell’abitazione, giunge a isolare pressoché totalmente la
famiglia, addirittura rispetto ai parenti. È una cosa che si struttura nel tempo”.
L’assistente sociale ha dichiarato che la visita domiciliare è uno strumento professionale
importante perché dà tutta una serie di indicazioni essenziali rispetto alla persona, alla
casa e alla famiglia, indicazioni che in ambulatorio o in altri ambienti non emergerebbero
o potrebbero essere addirittura dissimulate con la conseguenza che situazioni anche
pesantemente compromesse possono rimanere sommerse per anni.
Per quanto riguarda le figure professionali coinvolte nella gestione del caso, l’assistente
sociale ha precisato che nel territorio pisano c’è una offerta di supporto variegata divisa
tra Azienda USL (col servizio sociale per la Salute Mentale) e Azienda Ospedaliera (con
il servizio psichiatrico di diagnosi e cura), a cui si uniscono operatori che esercitano la
libera professione. La figura dell’assistente sociale prevista nell’Unità Funzionale del
servizio sociale della Salute Mentale collabora con gli specialisti medici o psicologi per
quanto riguarda la parte sociale del progetto centrato sul paziente ed eventualmente sulla
sua famiglia. Il percorso è indirizzato “ad personam” e dipende dal funzionamento della
famiglia, delle relazioni, dell’ambiente.
Quando i servizi sociali iniziano a lavorare su casi del genere la prima figura ad essere
introdotta è quello del medico psichiatra, col tramite del medico di famiglia, in modo che
lo psichiatra possa eseguire la propria valutazione medica, l’eventuale prescrizione di
farmaci e tutto quello che è di sua competenza. Poi se c’è l’indicazione e con l’aiuto degli
infermieri gli assistenti sociali cercano di diminuire il problema di accumulo in maniera
più o meno drastica a seconda del pericolo dal punto di vista dell’igiene, e fino ad arrivare
a coinvolgere il Comune con un’ordinanza del Sindaco. La situazione viene monitorata
con l’Assistenza Domiciliare e gli educatori.

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L’intervistata ha riferito che nell’équipe vengono programmate delle periodiche riunioni
in cui “si parla, ci si organizza, si pensano delle strategie” per metterle in atto in seguito,
pianificando gli interventi. Ha inoltre puntualizzato che “lo psicologo nell’équipe ci
dovrebbe sempre essere, e ci dà la sua lettura, poi magari incontra anche la persona. Poi
viene deciso il percorso che è più utile. Alcuni li segue solo lo psicologo, anche se sono
in carico allo psichiatra”.
Alla presa in carico della persona segue quella che coinvolge anche l’entourage, nei casi
in cui si rende necessario per il progetto del paziente. I familiari possono accompagnare
il paziente fin dall’inizio oppure essere conosciuti dall’équipe solo in un secondo
momento. La famiglia può essere coinvolta durante semplici colloqui o avvalersi di un
servizio di terapia familiare nei casi in cui per il progetto del paziente si ritenga necessario
seguire anche le relazioni familiari del paziente. Sono presenti delle Associazioni di
Volontariato che aiutano i pazienti e dal punto di vista della Salute Mentale è inoltre attiva
l’Associazione dei familiari, nata dopo il primo corso di psicoeducazione che è stato
tenuto nella ex Azienda Usl 5 di Pisa.
Ritengo importante evidenziare la personale proposta suggerita dall’assistente sociale:
“Ci vorrebbe una sensibilizzazione di familiari, amici... E conseguentemente dei medici
di medicina generale e dei medici della continuità assistenziale”. Ha suggerito che forse
ne potrebbe conseguire di riuscire a svolgere un lavoro di prevenzione grazie al quale si
potrebbero riconoscere prima possibile gli accumulatori e svolgere interventi più precoci.
Ha aggiunto: “Il momento della segnalazione che noi conosciamo ora è quello di una
crisi, cioè il DA emerge quando in una famiglia succede qualcosa, un evento che porta
alla rottura di uno status quo che magari perdura da anni. Purtroppo col passare del tempo
- e può trattarsi di molti anni - la situazione si struttura sempre di più e diventa sempre
più difficile affrontare i problemi, oppure l’intervento è meno dolce, cioè ad una “rottura”
si risponde con un intervento che comporta una sorta di “violenza”. Prevenzione [in senso
assoluto] forse non si può fare, altrimenti verrebbe segnalato anche il collezionismo, però
se i medici di medicina generale riuscissero ad anticipare un po’ la rilevazione
dell’instaurarsi di questo tipo di problema, direttamente o tramite i familiari che possono
parlare con il loro medico, forse si potrebbe intervenire meglio”.
Tuttavia, a proposito di iniziative di prevenzione non adeguatamente gestite, l’assistente
sociale ha evidenziato il possibile rischio di segnalazioni ai servizi sanitari e sociali di

67
una quantità imprevedibile da quantificare ma potenzialmente anche elevata di falsi
positivi, sull’onda emotiva di autodiagnosi formulate in maniera imprecisa e affrettata,
travisando i sintomi (come già osservato per altri disturbi).
Per quanto riguarda gli interventi di sgombero l’intervistata ha precisato che l’intervento
è a carico del Comune ma di solito la spesa - notevole - è condivisa tra la Salute Mentale
e il Comune; ogni caso viene valutato a sé a seconda del tipo di abitazione e delle
condizioni economiche delle persone coinvolte. Inoltre i servizi sociali cercano di
intervenire in modo di riuscire ad evitare di coinvolgere il Comune fino ad arrivare
all’emanazione di un’ordinanza da parte del Sindaco, evitando così le spese a carico della
collettività (“è un importo gravoso […] in media la spesa è sui 3.500 euro per il ripristino
di una casa”), ma cercano di ottenere lo stesso scopo valendosi esclusivamente
dell’impegno e dei mezzi della Salute Mentale, soprattutto se le persone coinvolte non
possiedono sufficienti risorse.
L’assistente sociale ha riferito che in casi di accumulo già noti e trattati sono capitate delle
recidive ma non con la gravità del primo riscontro e che “quando c’è questo tipo di
problemi si cerca di mantenere l’attenzione” e monitorare la situazione tenendola “sotto
controllo con le visite domiciliari ad esempio”, anche per evitare sovraccarichi di tipo
economico.
L’assistente sociale ha affermato di ritenersi soddisfatta del lavoro svolto con queste
persone, un lavoro che comunque richiede molto impegno sia in termini di tempo che di
energie, soprattutto nelle fasi iniziali. L’intervistata ha infine lamentato la mancanza di
personale ed un organico carente - anche come psicologi - dopo il mancato reintegro del
personale (“ci sarebbe bisogno di più personale che è stato richiesto”).

68
Capitolo 4

Conclusioni

L’indagine che ho svolto nel mio territorio di residenza è stata effettuata con lo
scopo di approfondire la conoscenza del DA e del suo impatto sulle famiglie attraverso le
testimonianze degli operatori, dei responsabili dei servizi e di persone coinvolte più da
vicino, come familiari e conoscenti. Le interviste hanno avuto lo scopo di esplorare le
esperienze e i vissuti dei partecipanti. La varietà delle figure alle quali mi sono rivolta ha
permesso di tratteggiare un quadro che, nonostante l’esiguità del campione e i tipici limiti
di una ricerca qualitativa, ritengo offra una visione sufficientemente dettagliata di come
viene percepito e affrontato il DA nel territorio pisano.

Come primo dato posso pertanto concludere che la prevalenza del disturbo rilevata
corrisponde a quella riportata in letteratura, anche se la percezione soggettiva varia a
seconda del ruolo delle persone intervistate; basandosi sulle testimonianze da me raccolte
nelle interviste, il disturbo appare comunque sottostimato, perché i casi giungono
all’osservazione quando creano eclatante allarme socio-sanitario e quindi sono rilevati
solo nelle fasi tardive con manifestazioni estreme.

Come dato ulteriore, per quanto riguarda la percezione del disturbo da accumulo da parte
di coloro che hanno un contatto diretto con questo genere di situazioni, è interessante e
sarebbe da approfondire l’idea di un continuum, una suggestione coerente con i dati della
letteratura che riportano lo strutturarsi ingravescente del disturbo nel tempo.

Dalle riflessioni personali dell’assistente sociale proviene un suggerimento che riguarda


la prevenzione e che penso potrebbe risultare efficace. A causa della mancanza di insight
dell’accumulatore e dell’incertezza della collaborazione da parte del familiare, sarebbe
auspicabile il coinvolgimento dei medici di famiglia e anche di quelli della Continuità
Assistenziale; infatti queste figure professionali hanno la possibilità di interagire in prima
persona sul territorio con gli accumulatori e/o i loro familiari attraverso le visite
domiciliari, quando esse vengano richieste o tramite la cosiddetta “medicina di
iniziativa”.

69
Attualmente in Italia non esistono delle linee guida precise e ho potuto verificare che in
questa zona non sono previsti percorsi protocollari, pur essendo apprezzabile la
costruzione di un percorso centrato dalla persona e condiviso dal team socio-sanitario che
la prende in carico. Tuttavia in questa realtà il concetto di rete vale solo per gli operatori
dell’ambito socio-sanitario e non per i soggetti amministrativi. Oltre a questo limite
concettuale è evidente quello materiale delle risorse ridotte e scarse a causa delle attuali
esigenze generalizzate di tagli e di risparmio nei bilanci dei vari enti pubblici.

Sarebbe auspicabile che la figura dello psicologo venisse coinvolta nella stesura dei
protocolli di contatto, gestione e trattamento per le situazioni di accumulo, così come
nella collaborazione con i medici di famiglia, psichiatri e assistenti sociali. Andrebbe
comunque potenziata la funzionalità del sistema di lavoro in rete con una migliore
integrazione tra tutti i professionisti coinvolti (psichiatri, assistenti sociali, tecnici istituti
di Igiene, amministratori locali, vigili urbani, vigili del fuoco) e un maggiore
coinvolgimento di tutti gli enti privati e pubblici che possono contribuire a gestire questo
tipo di situazioni (servizi comunali, associazioni). Su suggerimento degli stessi
intervistati, per evitare che si ripropongano sistematicamente recidive del disturbo,
dovrebbe migliorare la qualità dell’organizzazione della Pubblica Amministrazione, per
esempio banalmente attraverso una comunicazione più efficace fra i vari uffici e servizi.

Ritengo che nelle sedi adeguate andrebbe valutato approfonditamente il rapporto


costo/beneficio dell’investire in prevenzione, scelta che potrebbe ridurre i costi
complessivi del fenomeno accumulo, che non sono limitati alla spesa per gli interventi in
emergenza/urgenza (per altro non di poco conto), ma comprendono le ricadute sul
benessere fisico, psichico e sociale degli accumulatori e dei loro familiari.

Penso che lo psicologo potrebbe svolgere un ruolo peculiare nella formazione e nel
supporto agli operatori così come nel tutelare l’accumulatore nelle evenienze più
traumatiche, allo scopo di evitare dei never events come il suicidio in conseguenza di
interventi inappropriati e intempestivi, causati da negligenza, imperizia o imprudenza di
qualche operatore.

Altra carenza in questa zona sono gli interventi mirati rivolti specificamente ai familiari
degli accumulatori: in tal senso, attraverso le sue competenze e attingendo dalla più
recente letteratura, un team di psicologi potrebbe utilmente e non marginalmente integrare
la presa in carico, offrendo la sua consulenza e progettando interventi specifici per i

70
familiari da integrare con quelli attuati per l’accumulatore. Nello specifico trovo molto
stimolanti e promettenti le tecniche che ho illustrato nel secondo capitolo: la Riduzione
del Danno e il Family-As-Motivators training.

Inoltre, poiché queste strategie vengono validate in itinere nella loro applicazione, un
numero maggiore di esperienze nella pratica clinica darebbe un importante contributo allo
sviluppo dalla ricerca.

Infine penso che a proposito del DA andrebbe fatta opera di divulgazione e


approfondimento verso il pubblico in generale e di sensibilizzazione e aggiornamento nei
confronti degli addetti ai lavori. Ritengo che la divulgazione sia un campo promettente su
cui appuntare l’interesse degli psicologi allo scopo di fare prevenzione.

Come ho già avuto occasione di accennare dopo le osservazioni svolte tramite il motore
di ricerca Google, in Italia attualmente non esistono siti web specializzati che offrano ai
familiari di accumulatori la possibilità di un vero e proprio gruppo di auto-aiuto on-line.
Penso sia vantaggioso sfruttare gli strumenti offerti da Internet, senza sprecare questa
preziosa opportunità, sia a scopo divulgativo per la prevenzione primaria e secondaria sia
per promuovere gruppi di auto-aiuto. Tali gruppo potrebbero giovarsi per esempio
dell’ausilio di chat e/o forum dedicati - all’interno di siti convenientemente protetti per
quanto riguarda la privacy - dove i familiari possano portare la propria esperienza e
ricevere il contributo di quella altrui, unitamente al supporto di moderatori che auspico
siano psicologi sensibili al problema dell’accumulo e adeguatamente formati alla gestione
di un lavoro in network di questo tipo.

71
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dq=Clinician%E2%80%99s+Guide+to+Severe+Hoarding:+A+Harm+Reductio
n+Approach&source=bl&ots=vJjzzmf3y-&sig=9U8qURnn-
S721aSMBIRr_xTrjPg&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwj8xYD07pPNAhUIxxQ
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07.06.2015)

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all’indirizzo: http://www.icarevillage.com/common-concerns-hoarding-frost-
help.aspx (ultima consultazione: 07.06.2015)

“Vite sommerse”, un programma televisivo che racconta storie di accumulatori


italiani http://tvzap.kataweb.it/news/91705/vite-sommerse-su-real-time-le-
storie-di-accumulatori-compulsivi-italiani/ (ultima consultazione: 07.06.2015)

Sito italiano dedicato alla disposofobia www.disposofobia.org (ultima consultazione:


07.06.2015)
Appendice

I
Strumenti psicodiagnostici

Hoarding Rating Scale (HRS) *

Date: __________

Please use the following scale when answering items below:

0 = no problem
2 = mild problem, occasionally (less than weekly) acquires items not needed, or
acquires a few unneeded items
4 = moderate, regularly (once or twice weekly) acquires items not needed, or
acquires some unneeded items
6 = severe, frequently (several times per week) acquires items not needed, or
acquires many unneeded items
8 = extreme, very often (daily) acquires items not needed, or acquires large
numbers of unneeded items

1. Because of the clutter or number of possessions, how difficult is it for you to use the
rooms in your home?

0 1 2 3 4 5 6 7 8
Not at all Mild Moderate Severe Extremely
Difficult Difficult

2. To what extent do you have difficulty discarding (or recycling, selling, giving away)
ordinary things that other people would get rid of?

0 1 2 3 4 5 6 7 8
No Mild Moderate Severe Extreme
difficulty Difficulty

II
3. To what extent do you currently have a problem with collecting free things or buying
more things than you need or can use or can afford?

0 1 2 3 4 5 6 7 8
None Mild Moderate Severe Extreme

4. To what extent do you experience emotional distress because of clutter, difficulty


discarding or problems with buying or acquiring things?

0 1 2 3 4 5 6 7 8
None/ Mild Moderate Severe Extreme
Not at all

5. To what extent do you experience impairment in your life (daily routine, job / school,
social activities, family activities, financial difficulties) because of clutter, difficulty
discarding, or problems with buying or acquiring things?

0 1 2 3 4 5 6 7 8
None/ Mild Moderate Severe Extreme
Not at all

* Tratto da Tolin, D.F., Frost, R.O., & Steketee, G. (2010). A brief interview for assessing
compulsive hoarding: The Hoarding Rating Scale-Interview. Psychiatry Research, 178,
147-152.

III
To calculate the total score on the HRS, sum all five items. Range = 0 – 40.

Cutoff Scores and Typical HRS Scores in Hoarding and Non-Hoarding Samples **

Cutoff scores (scores Average scores for Average scores for


at or above this people with HD people without HD
indicate hoarding) (standard deviation) (standard deviation)

Total HRS 14 24.22 (5.7) 3.34 (5.0)


#1 Clutter 3 5.18 (1.4) 0.64 (1.1)
#2 Difficulty
4 5.10 (1.4) 0.82 (1.4)
Discarding
#3 Acquisition 2 4.08 (1.9) 0.75 (1.3)
#4 Distress 3 4.83 (1.3) 0.73 (10)
#5 Interference 3 5.03 (1.4) 0.42(1.0)

** Tratto da Muroff, J., Underwood, P., Steketee, G. (2014). Group treatment for
Hoarding Disorder: Therapist Guide. Oxford University Press.

(consultato il 23 maggio 2016 dal sito:


www.oxfordclinicalpsych.com/view/10.1093/med:psych/9780199340965.001.0001/me
d-9780199340965-appendix-3)

IV
Clutter Image Rating Scale (CIRS) *

The purpose of this tool is to gauge the impact of hoarding on the person with the hoarding
behaviour.

Client initials: ____________ Date: ____________ Therapist: ____________

Using the 3 series of pictures (CIR: Living Room, CIR: Kitchen, and CIR: Bedroom),
please select the picture that best represents the amount of clutter for each of the rooms
of your home. Put the number on the line below.

Please pick the picture that is closest to being accurate, even if it is not exactly right.

If your home does not have one of the rooms listed, just put NA for “not applicable” on
that line.

Room Number of closest corresponding Room picture (1–9)

______________________________________________________________________

Living Room ______

Kitchen ______

Bedroom #1 ______

Bedroom #2 ______

Also, please rate other rooms in your house that are affected by clutter on the lines below.
Use the CIR: Living Room pictures to make these ratings.

Dining room ______

Hallway ______

Garage ______

Basement ______

V
Attic ______

Car ______

Other ______ Please specify: _____________________

* Tratto da Tolin, D., F., Frost, R., O., & Steketee, G. (2014). Buried in treasures: Help
for compulsive acquiring, saving, and hoarding. New York, Oxford University Press.

VI
Clutter Image Rating Scale: Part 1 of 3 – Kitchen

Please select the photo below that most accurately reflects the amount of clutter in your
room.

1 2 3

4 5 6

7 8 9

VII
Clutter Image Rating Scale: Part 2 of 3 – Bedroom

Please select the photo below that most accurately reflects the amount of clutter in your
room.

1 2 3

4 5 6

7 8 9

VIII
Clutter Image Rating Scale: Part 3 of 3 – Living room

Please select the photo below that most accurately reflects the amount of clutter in your
room.

1 2 3

4 5 6

7 8 9

IX
Typical Clutter Image Rating Scores in Hoarding and Non-Hoarding Samples **

Average scores for people with Average scores for people without
HD (standard deviation) HD (standard deviation)
Living
3.7 (2.0) 1.3 (1.0)
Room
Kitchen 3.4 (1.6) 1.2 (0.6)
Bedroom 4.1 (1.6) 1.3 (0.8)

** Tratto da Frost, R. O., Steketee, G., Tolin, D., F., & Renaud, S. (2008). Development
and validation of the Clutter Image Rating. Journal of Psychopathology and Behavioral
Assessment, 32, 401-417.

X
Saving Cognitions Inventory (SCI) *

ID#: ______________ Date: ______________

Use the following scale to indicate the extent to which you had each thought when you
were deciding whether to throw something away DURING THE PAST WEEK. (If you
did not try to discard anything in the past week, indicate how you would have felt if you
had tried to discard.)

1. I could not tolerate it if I were to get rid of this. 1234567


2. Throwing this away means wasting a valuable opportunity. 1234567
3. Throwing away this possession is like throwing away a part of me. 1234567
4. Saving this means I don’t have to rely on my memory. 1234567
5. It upsets me when someone throws something of mine away without 1 2 3 4 5 6 7
my permission.
6. Losing this possession is like losing a friend. 1234567
7. If someone touches or uses this, I will lose it or lose track of it. 1234567
8. Throwing some things away would feel like abandoning a loved one. 1 2 3 4 5 6 7
9. Throwing this away means losing a part of my life. 1234567
10. I see my belongings as extensions of myself; they are part of who I am. 1 2 3 4 5 6 7
11. I am responsible for the well-being of this possession. 1234567
12. If this possession may be of use to someone else, I am responsible for 1 2 3 4 5 6 7
saving it for them.
13. This possession is equivalent to the feelings I associate with it. 1234567
14. My memory is so bad I must leave this in sight or I’ll forget about it. 1234567
15. I am responsible for finding a use for this possession. 1234567
16. Throwing some things away would feel like part of me is dying. 1234567
17. If I put this into a filing system, I’ll forget about it completely. 1234567

XI
18 I like to maintain sole control over my things. 1234567
19. I’m ashamed when I don’t have something like this when I need it. 1234567
20. I must remember something about this, and I can’t if I throw this away. 1 2 3 4 5 6 7
21. If I discard this without extracting all the important information from 1 2 3 4 5 6 7
it, I will lose something.
22. This possession provides me with emotional comfort. 1234567
23. I love some of my belongings the way I love some people. 1234567
24. No one has the right to touch my possessions. 1234567

XII
SCI Scoring

Subscales:
Emotional Attachment (10 items): 1, 3, 6, 8, 9, 10, 13, 16, 22, 23
Control (3 items): 5, 18, 24
Responsibility (6 items): 2, 7, 11, 12, 15, 19
Memory (5 items): 4, 14, 17, 20, 21

Total Score = Sum of all items


Range = 0 - 168

* Tratto da Steketee, G., Frost, R.O., & Kyrios, M. (2003). Cognitive aspects of
compulsive hoarding. Cognitive Therapy and Research, 27 (4), 463-479.

XIII
Typical Saving Cognitions Inventory (SCI) Scores in Hoarding and Non-Hoarding
Samples **
Average scores for people
Average scores for people with
without HD (standard
HD (standard deviation)
deviation)
Total SCI 95.9 (31.0) 42.2 (20.9)
Emotional
37.7 (16.0) 14.8 (8.7)
Attachment
Control 15.8 (4.2) 8.4 (5.1)
Responsibility 22.3 (8.2) 10.4 (6.0)
Memory 20.3 (8.1) 8.8 (4.8)

** Tratto da Steketee, G., Frost, R.O., & Kyrios, M. (2003). Cognitive aspects of
compulsive hoarding. Cognitive Therapy and Research, 27 (4), 463-479.

XIV
Home Environment Index (HEI) *

Date: ___________

Clutter and hoarding problems can sometimes lead to sanitation problems. Please circle
the answer that best fits the current situation in the home.

To what extent are the following situations present in the home?

1. Fire hazard

0 = No fire hazard
1 = Some risk of fire (e.g., lots of flammable material)
2 = Moderate risk of fire (e.g., flammable materials near heat source)
3 = High of fire (e.g., flammable materials near heat source; electrical
hazards, etc.)

2. Moldy or rotten food

0 = None
1 = A few pieces of moldy or rotten food in kitchen
2 = Some moldy or rotten food throughout kitchen
3 = Large quantity of moldy or rotten food in kitchen and elsewhere

3. Dirty or clogged sink

0 = Sink empty and clean


1 = A few dirty dishes with water in sink
2 = Sink full of water, possibly clogged
3 = Sink clogged; evidence that it has overflowed onto counters, and so
forth.

4. Standing water (in sink, tub, other container, basement, etc.)

0 = No standing water
1 = Some water in sink/tub

XV
2 = Water in several places, especially if dirty
3 = Water in numerous places, especially if dirty

5. Human/animal waste/vomit

0 = No human waste, animal waste, or vomit visible


1 = Small amount of human or animal waste (e.g., unflushed toilet, on
bathroom or other floor)
2 = Moderate animal or human waste or vomit visible in more than one room
3 = Substantial animal or human waste or vomit on floors or other surfaces

6. Mildew or mold

0 = No mildew or mold detectable


1 = Small amount of mildew or mold in limited amounts and expected places
(e.g., on edge of shower curtain or refrigerator seal)
2 = Considerable, noticeable mildew or mold
3 = Widespread mildew or mold on most surfaces

7. Dirty food containers

0 = All dishes washed and put away


1 = A few unwashed dishes
2 = Many unwashed dishes
3 = Almost all dishes are unwashed

8. Dirty surfaces (floors, walls, furniture, etc.)

0 = Surfaces completely clean


1 = A few spills, some dirt or grime
2 = More than a few spills, may be a thin covering of dirt or grime in living
areas
3 = No surface is clean; dirt or grime covers everything

XVI
9. Piles of dirty or contaminated objects (bathroom tissue, hair, toilet paper,
sanitary products, etc.)

0 = No dirty or contaminated objects on floors, surfaces, and so forth.


1 = Some dirty or contaminated objects present around trash cans or toilets
2 = Many dirty or contaminated objects fill bathroom or area around trash
cans
3 = Dirty or contaminated objects cover the floors and surfaces in most
rooms

10. Insects

0 = No insects are visible


1 = A few insects visible; cobwebs and/or insect droppings present
2 = Many insects and droppings are visible; cobwebs in corners
3 = Swarms of insects; high volume of droppings; many cobwebs on
household items

11. Dirty clothes

0 = Dirty clothes placed in hamper; none are lying around


1 = Hamper is full; a few dirty clothes lying around
2 = Hamper is overflowing; many dirty clothes lying around
3 = Clothes cover the floor and many other surfaces (bed, chairs, etc.)

12. Dirty bed sheets/linens

0 = Bed coverings very clean


1 = Bed coverings relatively clean
2 = Bed coverings dirty and in need of washing
3 = Bed coverings very dirty and soiled

13. Odor of house

0 = No odor

XVII
1 = Slight odor
2 = Moderate odor; may be strong in some parts of house
3 = Strong odor throughout house

During the last month, how often did you (or someone in your home) do each of the
following activities?

14. Do the dishes

0 = Daily or every 2 days; 15 to 30 times per month


1 = 1–2 times a week; 4 to 10 times per month
2 = Every other week; 2 to 3 times per month
3 = Rarely; 0 times per month

15. Clean the bathroom

0 = Daily or every 2 days; more than 10 times per month


1 = 1–2 times a week; 4 to 10 times per month
2 = Every other week; 2 to 3 times per month
3 = Never; 0 times per month

______________________________________________________________________

A score of 2 or above on any question warrants attention.

Total score = sum all items. Range = 0 – 45.

* Tratto da Rasmussen, J., L., Steketee, G., Frost, R., O., Tolin, D., F., & Brown, T., A.
(2014). Assessing Squalor in Hoarding: The Home Environment Index. Community
Mental Health, 50, 591-596.

(consultato il 25 maggio 2016 dal sito:


www.oxfordclinicalpsych.com/view/10.1093/med:psych/9780199334940.001.0001/me
d-9780199334940-interactive-pdf-008.pdf)

XVIII
Family Impact Scale for Hoarding (FISH) *

This scale is intended for use by relatives of individuals with hoarding problems. Where
relevant, the scale may also be completed by unrelated persons who are living with or
caring for someone with hoarding difficulties.

Your name: ___________________________________________________


Your age: ____________________ □ Male □ Female

Your relative’s name: _______________________________________


Your relative’s age: ________ □ Male □ Female

What is your relationship to the person with the hoarding problem?


□ Spouse □ Sibling □ Child □ Friend □ Carer
□ Other. Specify: __________________________

Do you currently live with the hoarding individual?


□ Yes □ No

Approximately how many hours, per week, do you spend with the person who hoards
(include time spent speaking on the telephone, emailing, etc.): _____________________

Section 1: Family Accommodation

In this section, we will be asking you about the extent to which you modify your behavior
in order to prevent your relative’s distress or avoid conflict with your relative. When
responding, please indicate the extent to which you would agree with each statement
over the PAST MONTH.

XIX
Strongly Somewhat Somewhat Strongly
Disagree Disagree Agree Agree

1. I avoid discarding my relative’s 0 1 2 3


possessions due to the distress it will
cause him/her.

2. I avoid discarding my own 0 1 2 3


possessions due to the distress it will
cause my relative.

3. I avoid discussing the discarding of 0 1 2 3


items with my relative due to
concerns that he/she will become
angry or distressed.

4. I throw away belongings, tidy or 0 1 2 3


clean in secret to avoid causing my
relative irritation or distress.

5. I bring or buy my relative 0 1 2 3


extra/unnecessary items because
he/she asks me to do so.

6. I provide extra storage space for 0 1 2 3


my relative’s possessions (e.g., stored
objects in my own bedroom, or home,
rented storage space on my relative’s
behalf).

XX
7. Please tell us about other ways in which you have modified your life to ensure that
your relative does not become distressed or upset:
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________

Section 2: Burden

In this section we will ask you about the extent to which your relative’s hoarding problem
has had an impact on your OWN life. As with the previous section, please indicate the
extent to which you would agree with each statement over the PAST MONTH.

Strongly Somewhat Somewhat Strongly


Disagree Disagree Agree Agree

1. Due to the hoarding, I limit visits to 0 1 2 3


the home of my relative, minimize the
time spent at their home or arrange to
meet with them elsewhere. (For those
living with the hoarding individual,
instead consider the following
statement: Due to the hoarding, I try
to minimize the amount of time I
spend at home.)

2. Due to the hoarding, I am unable to 0 1 2 3


use/have difficulty using the rooms in
my relative’s/our home for their
intended purpose (e.g. have a family

XXI
meal, watch TV, play with the
children).

3. I have had to move out of my home 0 1 2 3


due to my relative’s hoarding.

4. I have had to buy/rent another 0 1 2 3


property to live in due to my relative’s
hoarding.

5. I have modified my work/education 0 1 2 3


schedule due to my relative’s
hoarding.

6. I have missed work/school due to 0 1 2 3


my relative’s hoarding.

7. I have modified my social life (e.g., 0 1 2 3


not been able to bring friends home)
due to my relative’s hoarding.

8. I have modified my leisure 0 1 2 3


activities (e.g., sports, hobbies) due to
my relative’s hoarding.

9. I have had loss of earnings due to 0 1 2 3


my relative’s hoarding.

XXII
10. Please tell us about other ways in which your relative’s hoarding has had an impact
on your life:
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________

Scoring Instructions

Each closed‐response item on the FISH is scored from 0 (“Strongly Disagree) to 3


(“Strongly Agree”). Scores may be aggregated over the entire measure to form a
composite or, if preferred, by sub‐scale to quantify a particulate element of family impact
(e.g. “Burden”).

When calculating a composite, scores will range between 0 and 45. Scores on the
subscales will vary, with sums on “Family Accommodation” ranging between 0 and 18,
while scores on “Burden” will range from 0 to 27.
Regardless of the method chosen, increasing scores will always indicate increasing
instance and degree of negative impacts.

As a guide for interpreting the severity of responses: initial application of this scale in a
sample of individuals with hoarding relatives indicated a mean score of 20.52 (95% C.I.
17.58 - 22.45), while administration in a comparator group with healthy relatives
produced a mean score of 6.73 (95% C.I. 4.41 ‐ 9.05).

* Tratto da Nordsletten, A., E., Fernández de la Cruz, L., Drury, H., Ajmi, S., Saleem, S.,
Mataix- Cols, D. (2014). The Family Impact Scale for Hoarding (FISH): Measure
development and initial validation. Journal of Obsessive-Compulsive and Related
Disorders, 3 (1), 29-34.

XXIII
Documenti

Outline of FAM Training - 14 session version

Psychoeducation Module

Session One

Introduction to FAM Training: 10 minutes - The facilitator describes


purpose of the four modules and the goals of FAM training, which include increasing
the family member’s well being and boosting treatment-seeking behavior in the loved
one with compulsive hoarding (CH).

Overview of CH: 35 minutes – The facilitator defines CH and explains


the course and prevalence of the disorder, main characteristics found in those with CH,
how and why the hoarding behavior may have started, and the issue of insight. The
facilitator also gives the “What is Hoarding?” handout to participants.

Wrap-up, Questions, Homework: 5 minutes – The facilitator summarizes


the material, answers any questions, and distributes a handout with local resources for
CH treatment and support. The facilitator also assigns the homework assignment, which
is to write down examples of information processing difficulties, emotional responses,
and thoughts that they have noticed in the loved one with CH.

Session Two

Check-in and Questions: 5 minutes – The facilitator allows the family


member to check in with the facilitator, as well as ask the participant about his or her
experience so far.

Review Homework Assignment: 10 minutes – The facilitator discusses


the homework assignment from Session One, talking about how/why CH develops and
is maintained in their loved one.

Hoarding Model Formulation: 15 minutes – The facilitator walks the


participants through the formulation of a hoarding model, which will be used to help

XXIV
understand the loved one’s reasons for hoarding. Participants may talk about how
emotional attachment and unhelpful beliefs about possessions, problems processing
information, and reinforcement influence behavior patterns and, ultimately, lead to
clutter. The facilitator gives the participant a print-out of “Reasons for Hoarding”.

Psychoeducation: Continued: 15 minutes – The facilitator continues the


psychoeducation of CH, focusing on the issue of insight and risk factors for CH
(traumatic/stressful events, strong family risk, modeling, and parental mental illness).

Wrap-up, Questions, Homework: 5 minutes – The facilitator gives a


summary of material, answers any questions, and assigns homework, which is to
incorporate risk factors for the loved one into the hoarding model.

Motivational Interviewing Module

Session Three

Check-in and Questions: 5 minutes – The facilitator allows time for the
participant to check in with the facilitator. The facilitator reviews the homework
assignment from Session Two, focusing on the loved one’s risk factors, reinforcement
patterns, and information processing difficulties.

Introduction to Motivational Interviewing: 15 minutes – The facilitator


gives an overview of motivational interviewing; talks about collaboration, autonomy,
and evocation as the three components of motivational interviewing; explains why it is
important to engage in motivational interviewing techniques; discusses the participant’s
role in motivational interviewing; and tells participant what to avoid when engaging in
motivational interviewing.

Rating Samples for Motivational Interviewing Spirit Exercise: 5 minutes


– Using the “Rating Samples for Motivational Interviewing Spirit” handout, the
participant will read through a series of statements and decide whether they are
consistent with the basics of motivational interviewing that have been discussed thus
far.

XXV
Stages of Change: 10 minutes – The facilitator explains the stages of
change that a family member with CH is expected to experience on the path to recovery.
The facilitator distributes the “Stages of Change” handout.

Stages of Change Exercise: 10 minutes – The participant reads through a


series of situations on the “Stages of Change Exercise” handout and decides which stage
of change each person best exemplifies.

Wrap-up, Questions, Homework: 5 minutes – The facilitator summarizes


the information and allows time to answer any questions. The facilitator distributes the
“Driving in Cars” handout, which is to be completed before Session Four and is
intended to let the participant work on patience and empathy.

Session Four

Check-in and Questions: 5 minutes – The facilitator checks in with the


family member, asks about his or her experiences so far, and allows time to answer
questions. The facilitator reviews the homework assignment from Session Three, asking
the participant what it felt like to work on patience and empathy.

Listening Skills: 20 minutes – The facilitator initiates a discussion on


appropriate listening, explaining what it is and why it is important, focusing on the
OARS method (i.e., open questions, affirmations, reflective listening, and summary
statements). The facilitator gives the participant the “OARS Method” handout.

In-Session Exercises: 15 minutes – The facilitator leads the participant


through a series of exercises, which allow for practice of reflective listening skills
(“Reflective Listening” handout), the ability to form good, elaborative questions
(“Forming Good Questions” handout), and skills in giving affirmations to loved ones
(“Finding Affirmations” handout).

Homework Assignment: 5 minutes – The facilitator gives the homework


assignment, which has two components: 1) asking the participant to practice listening
skills outside of the session with the loved one, and 2) complete the “Approaching
Challenging Situations” handout, which allows the participants to consider how their
work with the loved one is going, where they would like to be in the change process,
and what might be getting in the way from their perspective.

XXVI
Wrap-up and Questions: 5 minutes – The facilitator provides a summary
of what was discussed and answers questions.

Session Five

Check-in and Questions: 5 minutes – The facilitator finds out how the
participant has been since the last session and if anything needs discussing. The
facilitator reviews the homework assignment from Session Four, asking if any trouble
occurred with the assignments and how the loved one with CH responded to reflective
listening and the OARS method.

Addressing Ambivalence: 5 minutes – The facilitator explains that the


next step in the process of eliciting change involves addressing the loved one’s
ambivalence, which is described.

Eliciting Change: 30 minutes – The facilitator helps the participant build


a plan that will resolve ambivalence. The facilitator describes the four themes of change
talk and how to respond to change talk statements. The facilitator gives the participant
the “Worksheet for Family Member Strengths” handout, which will help him or her
recognize the strengths of the loved ones with CH. The facilitator will also give the
participant the “Change Talk” handout, which will facilitate understanding and
recognition of change talk.

Homework Assignment: 5 minutes – The facilitator assigns homework—


the “Value Exercise” worksheet—which will allow the participant and the loved one
with CH to recognize discrepencies between values and behavior. The facilitator will
also assign the “Areas of Impact Assessment,” which will allow the family member and
individual with CH to assess what areas of the loved one’s life are being most impacted.

Wrap-up and Questions: 5 minutes – The facilitator summarizes the


discussion and answers any questions before ending the session.

Session Six

Check-in and Questions: 5 minutes – The facilitator checks in with the


participant and determines if anything new needs discussing. The facilitator also

XXVII
answers questions and reviews the homework assignments from Session Five, asking
the participant what it was like to work with the loved one with CH.

Introduction to Resistance and Ways of Responding: 10 minutes – The


facilitator defines resistance, describes how normal it is among individuals with
hoarding, and talks about various ways in which the participant could respond to
resistance from the loved one.

In-Session Exercises: 25 minutes – The facilitator distributes the


“Techniques for Responding to Resistance” handout, which outlines techniques that can
be used when dealing with resistance. The facilitator distributes the “Simple
Reflections” exercise, which will allow the participant to develop the ability to respond
to resistant statements in a reflective manner. Then, the facilitator distributes the
“Double-sided and Amplified Reflections” exercise, which will help the participant
develop the ability to respond to statements using double-sided and amplified
reflections. The facilitator also hands out the “Other Response Reflections” exercise,
which helps the participant work on responding to resistant statements using reframing,
agreement with a twist, siding with the negative, personal choice, and shifting focus.

Homework Assignment: 5 minutes – The facilitator distributes the


“Resistance and Status Quo Statements” worksheet and explains that this exercise will
help the participant develop the ability to respond to resistance statements expressed by
the loved one with CH.

Wrap-up and Questions: 5 minutes – The facilitator summarizes the


discussion and answers any questions before ending the session.

Session Seven

Check-in and Questions: 5 minutes – The facilitator checks in with the


participant and determines if anything new needs discussing. The facilitator reviews
homework.

Discussion of Change Talk: 20 minutes – The facilitator continues the


discussion on change talk and distributes the “Strategies for Evoking Change Talk”
handout.

XXVIII
In-session Exercises: 20 minutes – The facilitator distributes the
“Identifying Change Talk” handout, which will help the participant identify different
types of change talk. Then, the facilitator distributes the “Reinforcing Change Talk”
handout, which will help the participant learn about responding positively to change talk
by using reflective listening skills.

Wrap-up and Questions: 5 minutes – The facilitator provides a summary


of what was discussed and informs the participant of the homework for next session,
which is to practice skills learned so far, especially in eliciting and enforcing change
talk. The facilitator answers any questions.

Session Eight

Check-in and Questions: 5 minutes – The facilitator checks in with the


participant and determines if anything new needs discussing. The facilitator asks how
the participant felt about the attempts at eliciting and enforcing change talk, and whether
these techniques were successful with the loved ones with CH.

Motivational Interviewing Summary and Discussion: 40 minutes – The


facilitator summarizes what has happened over the past seven sessions. The facilitator
may use this as a spill-over session, or use it as an opportunity to discuss how
motivational interviewing has been helping and not helping.

Wrap-up and Questions: 5 minutes – The facilitator will provide a


summary of what was discussed. The facilitator notes that the next session will be an
introduction to the Harm Reduction Module.

Harm Reduction Module

Session Nine

Check-in and Questions: 5 minutes – The facilitator checks in with the


participant and determines if anything new needs discussing. The facilitator allows for
time before introducing the Harm Reduction Module.

XXIX
Introduction to Harm Reduction: 10 minutes – The facilitator explains
the harm reduction approach, its uses in other areas of mental health, and its
applications in CH.

Principles of Harm Reduction Applied to Hoarding: 25 minutes – The


facilitator distributes the “Principles of Harm Reduction” handout, describing the six
principles.

Wrap-up, Questions, Homework: 10 minutes – The facilitator


summarizes the discussion, answers any questions, and assigns homework that will be
discussed during Session Ten.

Session Ten

Check-in and Questions: 5 minutes – The facilitator checks in with the


participant and determines if anything new needs discussing. The facilitator reviews the
homework assignment from Session Nine, asking how it went and if he or she had any
difficulties.

Setting the Stage for Harm Reduction: 35 minutes. The facilitator


explains the four steps that are necessary for the successful implementation of harm
reduction. The facilitator walks the participant through the “Letting Go” exercise, which
is designed to help the participant begin the difficult process of letting go of resentment.
Then, the facilitator walks the participant through the “Forgiveness Exercise,” which is
intended to begin the process of forgiving and healing. The facilitator distributes the “4
A’s to Seeking Forgiveness” handout. Then, the facilitator walks the participant through
the “Preparing to Seek Forgiveness Exercise,” using the “Seeking Forgiveness Script: In
Session Exercise” handout. The facilitator also walks the participant through the “Grab
Hold Exercise,” which will help the participant focus on the good, healthy parts of his
or her relationship with the loved one rather than the bad, unhealthy parts.

Wrap-up, Questions, Homework: 10 minutes – The facilitator


summarizes what was discussed and allows time to answer any questions. The
facilitator also distributes the “List of Forgiveness Resources” and “Do’s and Don’ts of
Forgiveness” handouts. The facilitator gives the homework assignment, which is to

XXX
begin the process of seeking forgiveness from the loved one, and to read the
“Guidelines for Conducting the Home Assessment” handout.

Session Eleven

Check-in and Questions: 5 minutes – The facilitator checks in with the


participant and determines if anything new needs discussing. The facilitator reviews the
homework assignments from Session Ten, asking the participant about his or her
experiences in seeking forgiveness from the loved one with CH.

Introduction to Harm Potential and the Home Assessment: 35 minutes –


The facilitator explains guidelines for conducting a home assessment and factors related
to harm potential. The facilitator allows the participant to work on the “Assessing Level
of Support” handout, the “Assessing Insight and Motivation” handout, and the
“Assessing Other Factors” handout. The facilitator talks about assessing acquisition
factors and strategies to reduce acquiring. The facilitator provides some time for the
participant to work on the “Assessing Acquisition Factors” handout.

Wrap-up, Questions, Homework: 10 minutes – The facilitator provides a


summary of what was discussed and allows time to answer questions. Then, the
facilitator provides the participant with the “Harm Reduction Potential Assessment”
handout, as well as the “Identifying Harm Reduction Targets” handout. The facilitator
explains the homework assignment, which will consist of conducting an assessment of
the loved one’s home and questions to ask the loved one during the home assessment.

Session Twelve

Check-in and Questions: 5 minutes – The facilitator checks in with the


participant and determines if anything new needs discussing.

Review Homework assignment: 5 minutes – The facilitator initiates a


discussion about the home assessment from Session Eleven. The discussion focuses
mostly on the information that the participant gained regarding the state of the home
and what immediately seemed problematic, with some (but not predominant) focus on
the loved one’s experience of the home assessment.

XXXI
Harm Reduction Planning: 35 minutes – The facilitator distributes the
“Harm Reduction Planning Worksheet,” “Do’s and Don’ts of Forming a Contract,” and
“Example of a Harm Reduction Contract”, which will help the participant to identify
harm reduction targets. Then, the facilitator discusses components of an effective harm
reduction plan and how to create a harm reduction contract.

Wrap-up, Questions, Homework: 5 minutes – The facilitator explains the


homework assignment, which is to review the harm reduction plan with the loved one
and attempt to receive approval. The facilitator gives a summary of what was discussed
and allows for questions.

Family Accommodation Prevention Module

Session Thirteen

Check-in, Questions, Review Homework: 15 minutes – The facilitator


checks in with the participant and determines if anything new needs discussing. The
facilitator also reviews the homework assignment from Session Twelve, asking how the
harm reduction planning and discussion went with the loved one.

Connecting Participants to the Problem: 5 minutes – The facilitator gives


an introduction to family accommodation, asking the participant how the hoarding has
directly affected his or her life, if it has messed up routines, etc.

Overview of Family Accommodation in OCD: 20 minutes – The


facilitator defines and describes family accommodation. The facilitator then distributes
the “Family Accommodation Behavior” handout, as well as the “Hoarding
Accommodation Relationship” handout, to accompany a discussion of how family
accommodation is associated with more severe hoarding. The facilitator gives examples
of family accommodation and describes the different family response styles in hoarding,
using the “Expressed Emotion” handout.

Wrap-up, Questions, Homework: 10 minutes – The facilitator distributes


the “Learning to Live with Hoarding” handout and instructs that it is to be read before

XXXII
Session Fourteen. The facilitator gives a summary of what was discussed and allows
time for answering questions before ending the session.

Session Fourteen

Check-in and Questions: 5 minutes – The facilitator checks in with the


participant and determines if anything new needs discussing.

Review Homework Assignment: 5 minutes – The facilitator discusses the


homework from Session Thirteen. Discussion items may include the following: loved
one’s responses to limit setting, thoughts about creating a behavioral contract or
obligation to accommodate.

Instructions for Decreasing Family Accommodation: 15 minutes – The


facilitator walks the participant through the creation of a behavioral contract, using the
“Behavioral Contract” handout as a guide. The facilitator will also describe and warn
participants about the extinction burst.

Helping to Manage without Accommodating: 10 minutes – The


facilitator will talk about the risks of criticism, hostility, and emotional overinvolvement
in relapse for CH. The facilitator will share with the participant various ways to
communicate more positively with the loved one.

Wrap-up and Questions: 5 minutes – The facilitator should summarize


what was discussed and answer any questions before adding final thoughts and
comments to the discussion.

Final Thoughts and Comments: 10 minutes – The facilitator should


summarize what the participant has learned throughout all of FAM training. The
facilitator reminds the participant again why he or she has learned about
psychoeducation, motivational interviewing, harm reduction, and family
accommodation. The facilitator focuses on giving the participant some closure to the
program while remaining available for participants to voice opinions, both positive and
negative, about the FAM training.

XXXIII
Comunicato Stampa ASL Milano

Asl Milano, attraverso il Servizio Igiene e Sanità pubblica del Dipartimento di


Prevenzione Medico e le Strutture Complesse afferenti al Dipartimento Veterinario, ha
inteso collaborare con Discovery Italia nella realizzazione di un programma televisivo,
“VITE SOMMERSE” (in onda venerdì 10 ottobre alle ore 22:10 su Real Time - Canale
31 Digitale Terrestre Free, Sky canali 131 e 132, Tivùsat Canale 31) al fine di
sensibilizzare i cittadini su un fenomeno semisommerso ed in espansione, comunque
rilevante per la salute pubblica, fornendo ai medesimi cittadini, nonché alle Istituzioni
pubbliche ed agli Enti, informazioni ed indicazioni utili per una corretta segnalazione dei
casi di disturbo di accumulo (disposofobia).

Il fenomeno in oggetto, da tempo conosciuto ma solo recentemente inquadrato in termini


sanitari con certa precisione dalla letteratura scientifica, potrebbe essere definito come
incapacità di liberarsi da oggetti accumulati presso il proprio domicilio. Esistono molte
varianti, legate sia alla tipologia delle cose accumulate (da oggetti di qualche o nessun
valore, a spazzatura/escrementi) e che in alcuni casi si estrinseca con l’accumulo di
animali, esseri senzienti, sia al grado di compromissione dell’accumulatore: il semplice
disturbo ossessivo spesso sfocia in franca patologia psichiatrica.

L’accumulo è caratterizzato dall’ingombro massivo degli spazi vitali dell’abitazione, che


spesso porta a difficoltà o impossibilità di utilizzo dei medesimi. Quando sono gli animali
ad essere accumulati vi è inevitabilmente il maltrattamento di questi esseri viventi.

L’interesse dei Servizi dell’ASL è legato:

alla produzione di rischi per la salute, derivante dalle condizioni igieniche molto precarie

XXXIV
che si vengono a stabilire negli alloggi, con rischi di malattie infettive anche trasmesse da
infestanti, oltre a rischi derivanti da cedimenti strutturali e incendi;

ai possibili maltrattamenti, punibili penalmente, nei confronti degli animali (gatti, cani,
uccellini, conigli, topolini, etc.) accumulati dal soggetto disturbato.

Diversi sono gli attori coinvolti. I casi sono segnalati da cittadini o amministratori
esasperati dalla presenza nei condomini di disturbi (odori, percolazioni, insetti, topi);
talvolta la segnalazione perviene da Enti privati e pubblici (Servizi Comunali, VVF,
Polizia e Carabinieri, ALER …) a loro volta allertati da cittadini, talvolta il riscontro dei
ns Servizi è diretto, nel corso di ispezioni per altri motivi.

Per i suoi numerosi risvolti igienico/sanitari, psichiatrici e sociali l’approccio alla


problematica deve essere necessariamente multifattoriale. Fino a non molto tempo fa
viceversa nella realtà milanese gli interventi si limitavano quasi esclusivamente a
provvedimenti spot, volti alla pulizia degli spazi oggetti dell’accumulo:

non essendo modificate in alcun modo le problematiche di base, a distanza di tempo in


quasi tutte le situazioni si ristabilivano le condizioni per nuovi accumuli.

ASL Milano, negli ultimi 2 anni, con il fine di aumentare l’efficacia delle azioni, ha
promosso un nuovo approccio alla problematica coordinando gli interventi che prevedono
la partecipazione di più Enti, a partire da ASL e Comune e di tutti i soggetti sanitari e
sociali.

In particolare, si è ritenuto importante che a livello cittadino si disponesse di referenti


unici e competenti per i vari aspetti; sono state interessate istituzioni specifiche quali

XXXV
l’Università al fine di fornire maggiori conoscenze alle professionalità coinvolte, in
primis Medici di Medicina Generale e Assistenti Sociali.

A livello ASL, oltre alla collaborazione stretta tra Dipartimenti di Prevenzione Medico e
Veterinario per i casi che coinvolgono gli animali, si sono estese le collaborazioni con i
Distretti, con la Medicina Legale per le questioni inerenti le Invalidità, con le UO che si
occupano di Fragilità compresi i SERT per i casi di dipendenza. In alcuni casi, al fine di
maggiori garanzie di successo per i casi più complicati da patologie psichiatriche, ci si
avvale della collaborazione dei CPS e, quando possibile, di parenti e amici
dell’accumulatore.

Negli ultimi 4 anni sono stati eseguiti circa 350 interventi, che hanno esitato in sgomberi
e prese in carico da parte dei servizi sociali dei soggetti disturbati oltreché di assistenza e
di ricollocazione di decine di animali vittime dei casi di accumulo.

L’ASL di Milano ha attivato un servizio di informazioni al cittadino che può rivolgersi a


tecnici del settore telefonando al numero 02/85787670 dalle ore 14,00 alle ore 16,00
oppure inviando una e-mail a infoaccumulatori@asl.milano.it

XXXVI
Introduzione all’intervista

Gentile Signore/a,

all’interno di un progetto di tesi magistrale della Scuola di Psicologia dell’Università


degli Studi di Padova stiamo studiando un disturbo mentale definito “Disturbo da
accumulo” che si caratterizza principalmente per tre aspetti:

 la tendenza ad accumulare e/o acquisire un numero eccessivo di oggetti (o


animali),
 la persistente difficoltà ad eliminare o separarsi dai propri beni, a prescindere dal
loro reale valore,
 la difficoltà ad organizzare in modo funzionale i propri oggetti.

Per parlare di vero e proprio disturbo devono verificarsi conseguenze significative come:
serie limitazioni nell’uso degli spazi della casa (impossibilità di cucinare, mangiare,
accedere ai sanitari), condizioni di scarsa igiene (infestazioni di topi o insetti, nei casi più
gravi), rischi per la salute (dovuti a polvere o muffe), per la sicurezza delle persone
(lesioni traumatiche per inciampi o caduta di materiali accatastati) e della casa (incendi,
scarsa accessibilità, perdita di integrità strutturale), isolamento sociale, invalidazione
della qualità della vita, disagi lavorativi, finanziari e legali.

XXXVII
Attraverso una breve intervista Le chiediamo di offrirci una Sua testimonianza in
relazione ad eventuali esperienze (sgomberi forzati di locali o abitazioni; estinzione di un
incendio; presa in carico della persona; ecc.) legate a problematiche di questo tipo, con la
speranza che la Sua esperienza possa offrirci informazioni, indicazioni utili o
suggerimenti e soprattutto riflessioni personali. Nel corso dell’intervista Le chiederemo
di rispondere a una serie di domande con l’obiettivo principale di conoscere il più
possibile il disturbo da accumulo attraverso la Sua esperienza.

Il nostro studio si pone come primo obiettivo di stimare la prevalenza del disturbo nel
territorio di Pisa, Lucca e Livorno. Un altro scopo dello studio è di approfondire quanto
più possibile il contesto sociale e familiare dei pazienti con disturbo da accumulo, nel
rispetto della loro privacy. La nostra indagine si concentra in maniera particolare sulle
ripercussioni che questo disturbo può avere sui familiari, e a questo proposito ci interessa
molto conoscere quello che ha potuto osservare nella Sua esperienza. Infine siamo
interessati a conoscere gli eventuali programmi di sostegno previsti per le persone che
soffrono di questo disturbo e in che modo viene coinvolta la famiglia.

Si ringrazia per la cortese attenzione.

XXXVIII
Tracce per le interviste

Domande rivolte ai tecnici della prevenzione e al vigile urbano:

 Le è capitato di incontrare situazioni in cui è stato necessario effettuare uno


sgombero forzato di un locale/di un’abitazione per motivi igienico-sanitari? Se sì,
con quale frequenza (quante volte l’anno e in quanto tempo)? Anno, mese,
tipologia di sgombero. Descrivere l’operazione di sgombero. Facile o difficile?
 Chi vi contatta per segnalazioni/lamentele o per richiedere lo sgombero (i
familiari, i vicini di casa, gli assistenti sociali)?
 È capitato di sgomberare più volte la stessa abitazione?
 Si tratta di persone sole o vivono con altre persone?
 Ha potuto osservare anche il comportamento/le reazioni dei familiari (ad esempio
dei figli)? Cosa può dire a riguardo? (Descrivere)
 Quali figure professionali sono state messe in campo durante lo sgombero?
 Ci sono organizzazioni/enti (ad esempio assistenti sociali o cooperative sociali)
che si occupano di un percorso/programma di sostegno/processo di integrazione
delle persone che hanno perso la casa?
 Se ci sono, c’è un contatto con loro (fra l’Unità Funzionale di Igiene e questi enti)?
 Quale percorso è previsto, che Lei sappia? Quali sono le fasi del processo di
integrazione/programma di sostegno? Quali sono i tempi medi di attuazione e le
figure professionali coinvolte nel processo di integrazione/programma di
sostegno? Quali strumenti e procedure vengono attuati nelle varie fasi di
integrazione? Quale sistema di monitoraggio e valutazione del processo di
integrazione devono attuare questi enti?
 Gli assistenti sociali/le cooperative sociali interagiscono con altre organizzazioni
per un coerente percorso di integrazione/programma di sostegno di queste
persone?
 Ci sono fasi del percorso che vengono formalizzate?
 In che modo viene coinvolta la famiglia nel processo di integrazione/programma
di sostegno?
 È soddisfatto del lavoro svolto con queste persone? Perché?

XXXIX
Domande rivolte allo psichiatra e all’assistente sociale:

 Le è capitato di incontrare casi di Disturbo da Accumulo? Se sì, con quale


frequenza (quante volte l’anno e in quanto tempo)? Una stima della prevalenza
del Disturbo da Accumulo nel nostro territorio?
 Chi vi contatta per segnalazioni/lamentele o per richiedere un
intervento/intervento terapeutico (i familiari, i vicini di casa, gli assistenti sociali)?
 È capitato di intervenire più volte? Sono persone molto soggette a ricadute?
 Si tratta di persone sole o vivono con altre persone?
 Ha potuto osservare anche il comportamento/le reazioni dei familiari (ad esempio
dei figli)? Cosa può dire a riguardo? (Descrivere)
 Quali figure professionali sono state messe in campo per la gestione del caso?
 Ci sono organizzazioni/enti (ad esempio assistenti sociali o cooperative sociali)
che si occupano di un percorso/programma di sostegno/processo di integrazione
delle persone che devono liberare la propria casa/hanno perso la casa?
 Quale percorso è previsto, che Lei sappia? Quali sono le fasi del processo di
integrazione/programma di sostegno? Quali sono i tempi medi di attuazione e le
figure professionali coinvolte nel processo di integrazione/programma di
sostegno? Quali strumenti e procedure vengono attuati nelle varie fasi di
integrazione? Quale sistema di monitoraggio e valutazione del processo di
integrazione devono attuare questi enti?
 Gli assistenti sociali/le cooperative sociali interagiscono con altre organizzazioni
per un coerente percorso di integrazione/programma di sostegno di queste
persone?
 Ci sono fasi del percorso che vengono formalizzate?
 In che modo viene coinvolta la famiglia nel processo di integrazione/programma
di sostegno?
 È soddisfatto del lavoro svolto con queste persone? Perché?

XL
Domande rivolte al familiare:

 Primo gruppo di domande focalizzato sulle limitazioni che come familiare (figlia)
aveva.
o Domanda aperta sulla descrizione del problema e del vissuto legato al
problema dell’accumulo
o Domanda aperta circa gli inconvenienti principali ad esso legati (ad
esempio non possono invitare persone a casa perché si vergognano o
perché l’accumulatore non vuole)
 Secondo gruppo di domande focalizzato sui tentativi personali o tentativi
attraverso istituzioni di fare qualcosa e descrizione di quello che è successo.
o “Ha mai pensato di fare qualcosa?”
o “E se ha tentato di fare qualcosa, che cosa ha tentato di fare?” (Esempi di
risposte: “Mi sono rivolto al medico di famiglia”; “Mi sono rivolto
all’Ufficio di Igiene”; ecc.)
 Terzo gruppo di domande focalizzato sulla riflessione personale.
o Tentativi di darsi una spiegazione sul comportamento genitoriale
o Vissuti interni e introspezione personale sui propri comportamenti in
relazione al proprio rapporto con l’accumulo

XLI
Domande rivolte ai gestori del mercatino dell’usato:

 Cos’è secondo voi questo disturbo?


 Avete osservato casi legati alla vostra clientela che assolutamente definireste
come casi di disturbo da accumulo?
 Descrizione dei casi osservati.

XLII
Interviste

1a trascrizione (prima parte): intervista al direttore U. O. tecnici della prevenzione


dell’U. F. Igiene Pubblica dell’Azienda USL Toscana nord ovest (comprendente ex
Azienda Usl 5 di Pisa).

[Direttore] Qui da noi funziona così: noi ci occupiamo di verificare gli aspetti igienico-
sanitari del mantenimento dei requisiti di un’abitazione e di chi ci vive su richiesta o dei
servizi sociali (che hanno la persona sotto la propria competenza) o del Sindaco o della
Polizia Municipale, che semmai viene a conoscenza da parte di cittadini vicini di casa che
si lamentano, per cui noi partecipiamo insieme a queste due figure (servizi sociali e
Polizia Municipale) - perché non è fra l’altro facile entrare anche in casa di privati
cittadini che non vogliono farti entrare - e verifichiamo il materiale che c’è, le condizioni
che presenta e in cui è conservato (letterale: che condizioni c’ha) e poi diamo una nostra
valutazione, [per esempio] “è solo confusione, tanto materiale, ma non c’è materiale che
può creare problemi igienico-sanitari” perché ci può essere tanta confusione [disordine]
ma sotto l’aspetto igienico-sanitario di chi vive in quella abitazione non è detto che questo
porti dei pregiudizi, per cui [per esempio] uno può avere tutta quella parete piena di
scatoloni, [a loro volta] pieni di qualsiasi cosa, di oggetti qualsiasi, e semmai sono oggetti
qualsiasi che la gente butta via e invece a questi [accumulatori] gli garba averceli e c’ha
piena la casa, però la superficie che rimane è sufficiente per poterci vivere, se la finestra
si apre, se questi scatoloni non sono tutti funghiti [ok], per cui allora se [invece] c’è il
problema della muffa e dei cattivi odori [con dei rischi per la salute] non si interviene.
Nel momento in cui invece questo accumulo di materiali può provocare dei problemi,
allora il caso cambia [e cambia la procedura].
Il caso che avemmo a Capannoli fu eclatante, era famoso; era di una donna che
raccoglieva sacchetti di plastica con dentro tante bottiglie vuote, per cui anche residui
classificabili come rifiuti, in effetti qualche problemino ce l’aveva [furono riscontrati reali
problemi di natura igienico sanitaria]. Poi residui di pasti abbandonati… quello è un
problema.
Noi diamo la nostra valutazione e scriviamo all’autorità sanitaria e l’autorità sanitaria che
è il Sindaco e noi siamo un organo del Sindaco.

XLIII
Il Sindaco poi può imporre diversi atti, ad esempio al proprietario e non è facile perché
se poi il proprietario è quello che accumula, non è facile né inutile che tu gli scriva perché
non ha le cognizioni di capire che quello che ha fatto è sbagliato. Però ci possono essere
dei figli, dei genitori o il proprietario dell’immobile, se questo è in affitto per esempio;
per cui si impone di eliminare il problema entro un certo periodo.
Normalmente i Sindaci hanno due possibilità, per fare questo adottano o un’ordinanza
contingibile urgente o un semplice atto di diffida. Tante volte preferiscono l’atto di
diffida, perché l’ordinanza contingibile urgente per motivi sanitari impone anche che se
questa persona non fa i lavori li dovrebbe fare il Comune, a spese della collettività, e non
è facile far intervenire il Comune a spese della collettività, che poi dovrebbe recuperarle
addossandole a qualcun altro, però le spese le fa il Comune. Invece con la notifica di
dover fare i lavori, se uno poi non li fa, alla fine rimane tutto come è, e al limite uno poi
ritenta.
Il nostro lavoro poi finisce con una relazione, dopo aver accertato, per quanto possibile
accertare, perché molte volte non ci fanno entrare nel domicilio nemmeno con i vigili
urbani perché per entrare in un’abitazione ci vogliono dei motivi gravi e urgenti, e se non
ci fanno entrare ci vorrebbe la Magistratura che ci impone di entrare con l’uso della forza,
per cui o qualcuno ci fa entrare perché i vigili urbani conoscono la persona e si fidano o
sennò i servizi sociali hanno le chiavi perché vanno a fare altre attività di sostegno e di
supporto alla famiglia, allora noi si può entrare. Sennò tante volte siamo costretti a
lavorare anche solo dall’esterno, per quel che si può vedere. Normalmente chi accumula
dentro, se ha un giardino o un garage, accumula anche fuori per cui già da fuori ti puoi
rendere conto di come può essere dentro.
La nostra funzione si limita a solo questo aspetto, cioè verificare che l’accumulo di
qualsiasi tipo di materiale possa essere non crea pregiudizio a far restare abitabile un
alloggio. Tutti gli atti consequenziali non sono più di competenza nostra, per cui non ho
mai partecipato per esempio a uno sgombero perché spetta al Comune che poi possa fare
per esempio con i suoi operai o chiedendo al proprietario dell’immobile o all’inquilino.
Questo non so come avviene.

[A questo punto chiarisco meglio gli obiettivi dell’intervista: “Non si preoccupi, non sono
interessata direttamente allo sgombero. Mi interesserebbe sapere di più della vostra

XLIV
esperienza: se avete avuto dei contatti coi familiari delle persone con questo problema, se
chiamano loro per segnalare la situazione, se sono presenti durante le vostre visite…”. Il
direttore mi suggerisce di sentire i servizi sociali di Pisa e il comandante dei vigili urbani
(mi dà il contatto). Poi mi mostra un testo che risale a un Convegno “Casa e salute” del
2002 con interventi di ogni Usl le quali presentano gli inconvenienti igienici rilevati più
comuni, fra cui quelli dovuti agli animali domestici. Questo gli riporta alla mente un altro
caso che mi racconta.]

[Direttore] Abbiamo avuto un caso di accumulo di animali, diversi anni fa, tantissimi cani
gatti, e ci fu un intervento coordinato con servizio veterinario, vigili urbani e Carabinieri;
in quell’occasione fu fatta proprio un’intrusione sfondando un paio di porte alla fine e
questa signora aveva 30-40 animali fra cani e gatti ed era una signora che andava a giro
tra negozi e mercati. Era una signora che doveva essere seguita dai servizi sociali, non so
fino a che punto riuscivano, aveva grossi problemi anche fisici, a un braccio. Si trovava
a giro per la strada con questi carrelli del supermercato pieni di roba, andava a prendere
la roba avanzata per poi dar da mangiare a questi animali. La signora era sola, senza una
famiglia. Però devo dire che mi ricordo ben poco.
Il caso di Capannoli era molto famoso, ed eclatante. Non so se sia stato risolto.
Periodicamente per diversi anni abbiamo avuto questo problema, che la gente si
lamentava perché questi anche quando poi mettevano un pochino a posto poi
ricominciavano ad accumulare. Erano mamma e figliola, accumulatrici entrambe. Noi si
interveniva quando la gente si accorgeva che cominciavano ad accumulare anche al di
fuori/all’esterno, nel giardino privato, però alla fine chi era accanto poi si lamentava. E
comunque quando cominciavano ad accumulare fuori voleva dire che era pieno anche
dentro. Di cosa? Di tutto. Dagli arredi a roba non più utilizzata presa dalle discariche o
presa dove veniva abbandonata. Allora si interveniva coi vigili e veniva fatto quel
procedimento di cui s’è parlato prima.

[Il direttore si assenta per poco dalla stanza e torna dopo poco insieme ad un collega che
intervisto, col direttore presente.]

XLV
1a trascrizione (seconda parte): intervista a un tecnico della prevenzione dell’U. F.
Igiene Pubblica dell’Azienda USL Toscana nord ovest (comprendente ex Azienda Usl 5
di Pisa).

[Tecnico della prevenzione] Un paio di interventi sono stati fatti e tutte le persone e le
famiglie dove siamo intervenuti avevano problemi quasi psichiatrici, perché erano tutte
persone che accumulavano tipo materiale preso ai cassonetti, insomma addirittura sacchi
della spazzatura. Ci fu un caso a Perignano, se non erro, che aveva l’abitazione
completamente invasa da questi sacchi della spazzatura sia al piano terra che al piano
superiore. In quel caso lì era il periodo in cui si facevano ancora interventi di
disinfestazione (insetti, ratti) e per risolvere il problema si doveva sanificare questa
struttura e questa persona fu messa [ricoverata presso] in una residenza assistita.

[Intervengo e chiedo: “Presumibilmente questa persona avrà fatto un percorso... sa se


queste persone intraprendono dei percorsi e se sì di qualche tipo?”.]

[Tecnico della prevenzione] Noi tramite il Comune segnaliamo questa cosa agli assistenti
sociali… In un altro caso poi, mi pare a Calcinaia, si fece l’intervento come sopralluogo
su qualcosa del genere, poi vennero gli assistenti sociali: era l’inizio di una situazione che
poteva peggiorare e quindi arrivare a vedere problemi...

[Interviene il direttore.]

[Direttore] Non sempre questa gente poi risulta assistita dal sociale. Si trovano delle
situazioni in cui persone che - secondo noi - dovrebbero essere assistite da anni, in effetti
non lo sono, e parte anche da lì la richiesta di intervento, la segnalazione da parte di vicini
o dei parenti, chi ce l’ha. Comunque c’è questo problema di mancanza di tutela del
territorio e di sorveglianza nel territorio delle situazioni di disagio da parte del servizio
sociale, ma non è un problema solo del servizio sociale: è che mancano le informazioni,
semmai. Il servizio sociale interviene se qualcuno dice “ho un problema, intervieni” ma
se nessuno segnala il fatto [il problema legato all’accumulo], gli operatori del servizio
sociale non vanno. Quando poi emerge il fatto, molte volte si può vedere ma solo dopo

XLVI
anni che si è verificato il problema, perché te ne accorgi te quando il vicino di casa segnala
e chiama ad esempio a causa dei cattivi odori oppure come a Capannoli quando ormai
c’erano i sacchi fuori da casa, perché da quanto erano pieni in casa cominciavano ad
accumulare anche all’esterno di essa.

[Intervengo e chiedo: “Quindi è più probabile la segnalazione di un vicino di casa


piuttosto che da parte dei familiari?”. Mi risponde il tecnico.]

[Tecnico della prevenzione] Sì, perché il familiare si trova con la situazione di accumulo
che cresce piano piano, quindi diventa un’abitudine quasi, cioè si abituano gradatamente
a questa situazione. Sono più gli esterni a questa situazione che segnalano queste cose, o
addirittura qualche volta sono gli stessi assistenti sociali.

[Interviene il direttore.]

[Direttore] Riguardo ai familiari, per i due/tre casi di cui mi ricordo, o non erano più
presenti/conviventi, non avevano più rapporti con la persona che presentava disturbo da
accumulo, o la persona con questi problemi addirittura si rifiutava di avere rapporti con i
familiari, per cui le dinamiche dei rapporti tra parenti portano anche le persone a
disinteressarsi del parente, soprattutto se non sono parenti vicini, per esempio il lontano
vecchio cugino o il vecchio zio che magari si vede solo una volta l’anno, per cui le
situazioni problematiche emergono ormai troppo tardi. Anche nei casi dove siamo
intervenuti e si è chiesto al Sindaco un’ordinanza o un atto di diffida, a noi come Usl non
arrivano comunicazioni da cui risulta se i casi sono andati a buon fine o meno; non
abbiamo un monitoraggio della situazione, a meno di ulteriori segnalazioni da parte dei
vicini. L’unico riscontro che ci può pervenire proviene dai vicini che eventualmente nel
peggiore dei casi fanno una nuova segnalazione. Come si conclude l’iter noi non lo
sappiamo. Questo è dovuto alla mancanza di organizzazione da parte della Pubblica
Amministrazione, compreso noi. Non c’è un ritorno. Quando l’intervento formalmente è
considerato finito, non sappiamo se lo è realmente, perché sarebbe auspicabile giungesse
una conferma se la cosa è davvero risolta, magari attraverso gli assistenti sociali per
esempio, anche perché a volte le cose vanno per le lunghe, non è che le cose si risolvano

XLVII
in cinque minuti. Se le cose vengono risolte tramite un’ordinanza, a noi arriva una
comunicazione. Invece in altri casi, tra l’intervento dei servizi sociali, e poi la ricerca dei
parenti se ci sono i parenti, se non c’è proprio il motivo d’urgenza - in cui c’è rischio per
la salute pubblica, per cui viene fatto lo sgombero della casa o viene presa questa persona
e portata provvisoriamente da un’altra parte - i tempi si allungano. Viceversa - se c’è
un’ordinanza - allora si sa, altrimenti molte volte non si sa cosa è successo e cosa sta
succedendo, e se le persone dopo aver fatto un tentativo apparente di mettere a posto
continuano invece ad accumulare. Come nel caso della villetta a Capannoli dove
periodicamente ogni due o tre anni veniva fuori, “ci risiamo” [il problema riemergeva
sistematicamente]. Su segnalazione dei vicini, che arriva a noi tramite i vigili urbani,
ripartiva il nostro intervento con il sopralluogo insieme ai vigili urbani. Una volta il nostro
intervento fu effettuato anche con i veterinari perché nel problema di accumulo erano
coinvolti molti animali, nel caso di una donna di Treggiaia, la cui abitazione era adibita a
ricovero di cani: ad un certo punto la donna non ci viveva nemmeno più, e faceva la spola
a piedi tutti i giorni tra Pontedera e Adica, spingendo un carrello della spesa, malgrado
l’amputazione di un braccio...

[Chiedo chiarimenti su come vengono percepite da loro queste persone.]

[Direttore] Da noi queste persone sono percepite come persone sole, quindi senza un
rapporto o un supporto da parte della famiglia, sempre che ci siano, perché spesso si tratta
di persone anziane e c’è il rischio che siano veramente sole e non solo isolate.

[Domando se mi sanno dire l’idea che hanno del disturbo, se per esempio lo ritengono un
disturbo psichiatrico o un problema legato alla demenza senile.]

[Tecnico della prevenzione] Lì si entra un po’ più nello specifico… Distinguere se si tratta
di casi di disturbi psichiatrici o legati a forme di demenza senile spetta più ai servizi
sociali - che possono far intervenire uno psichiatra, per esempio - che seguono le persone.

[Direttore] Comunque non c’è la percezione di un’interazione, di un’integrazione in una


“rete”; manca una rete. Ognuno ha i propri compiti ma poi non c’è un momento comune.

XLVIII
[Intervengo: “Quindi sentite il bisogno di una rete più dinamica e funzionale…”. Mi
risponde il direttore.]

[Direttore] Molte volte fare rete sarebbe importante già in partenza, perché è inutile
andare a fare un sopralluogo per verificare senza conoscere a monte quali potrebbero
essere le soluzioni alternative adottabili e come può evolvere la situazione: non sappiamo
se la persona è in casa o non lo è, se è sola o convive con altre persone, se ha parenti da
poter contattare o meno, a chi chiedere per avere la chiave di casa, ecc. Molte volte si
ritorna da sopralluoghi senza aver concluso niente di concreto, mancando conoscenze che
solo una rete rende possibili, questo è chiaro. Capita che venga richiesto un intervento
urgente e si parte per un sopralluogo ma con il rischio di arrivare e dover tornare indietro
perché non si trova nessuno che permetta di accedere all’abitazione.

[Chiedo con quale frequenza capitano questi casi.]

[Direttore] Questi casi non capitano frequentemente; l’ultima volta di un caso di


accumulo è successo 2/3 anni fa, mentre sono più frequenti casi di infestazione per scarsa
igiene, per mancanza delle procedure di sanificazione e di pulizia, per ignoranza o
mancata educazione e vengono coinvolti appartamenti del condominio, per esempio, così
si interviene con i Vigli Urbani quando viene negato l’accesso.

[Chiedo se in questi casi intervengono anche i servizi sociali.]

[Tecnico della prevenzione] No, in questi casi non vengono coinvolti i servizi sociali.

[Chiedo al secondo intervistato da quanto fa questo lavoro e quante situazioni di accumulo


ha incontrato nella sua esperienza lavorativa.]

[Tecnico della prevenzione] Faccio questo lavoro dal 2000, e in questi 15 anni di
situazioni di accumulo in cui siamo intervenuti ne ha visti 7 o 8 casi, ma non è escluso
che altri casi esistano, però non sono emersi per motivi vari.

XLIX
[Racconto brevemente l’esperienza dei gestori di un mercatino dell’usato di Pisa il cui
parere è che del fenomeno come disturbo vero e proprio emerga ufficialmente solo la
“punta dell’iceberg” mentre esistono molti altri casi di persone o famiglie con abitazioni
dove l’accumulo di oggetti si crea regolarmente.]

[Direttore] Gli interventi per casi di accumulo patologico che sono giunti alla nostra
conoscenza sono pochissimi, per Pontedera/Pisa. In casi simili può darsi che intervengano
in prima istanza e funzionino meglio i servizi sociali o le associazioni di volontariato:
tanta gente si affida a loro nel tentativo di risolvere certe problematiche.
Al nostro Ufficio ci si rivolge quando non è stato possibile risolvere in nessun altro modo
certe situazioni e per tutta una serie di combinazioni (mancanza di collaborazione, assenza
di parenti, ecc.) le condizioni sono tali che si rende necessario far intervenire la massima
autorità sanitaria, cioè il Sindaco, per cui bisogna entrare di forza nell’abitazione,
svuotarla con sgombero forzato e contemporaneamente prendere la persona interessata e
portarla in una struttura per anziani o comunque in una struttura protetta in attesa che
qualcuno sistemi la situazione e la persona possa ritornare a casa propria.

[Domando se sono gli operatori del Comune che svolgono lo sgombero forzato.]

[Direttore] Lo sgombero forzato non è detto che venga svolto direttamente dal Comune;
nel caso in cui non sia emessa un’ordinanza per motivi di salute pubblica, tante volte il
Comune può dare una mano con i suoi operai per caricare e portare in discarica; sennò il
proprietario dell’immobile o il titolare del contratto di affitto deve provvedere a proprie
spese ad effettuare lo sgombero.

[Chiedo quanti casi di sgomberi forzati hanno osservato nella loro esperienza.]

[Direttore] L’unico caso di sgombero forzato con la persona presente risale a molti anni
fa, era il caso di una donna di Palaia. Erano presenti i Carabinieri, non ricordo la presenza
di un supporto alla persona, non c’erano assistenti sociali. Era presente un solo familiare,
il marito…

L
[Sottolineo che il mio interesse riguarda in particolar modo l’impatto che ha il disturbo
sui familiari, che è il focus della mia tesi, e chiedo cosa mi saprebbero dire a riguardo
basandosi sulle loro esperienze e/o sull’esperienza indiretta raccontata dai loro colleghi.]

[Direttore] Le uniche informazioni in merito alle relazioni familiari in questi casi possono
darle gli assistenti sociali o gli psichiatri dei servizi territoriali/Salute Mentale degli adulti.
Questo ufficio può arrivare prima o dopo dei servizi sociali, che magari prima chiedono
supporto ai parenti, poi richiedono un intervento al servizio di Igiene e Prevenzione anche
per aumentare consapevolezza e metterli in qualche modo alle strette responsabilizzandoli
maggiormente in relazione alla situazione del loro familiare.
Il nostro intervento di accertamento è rivolto a tutelare la persona e la collettività, ma
molte volte non è di diretto rapporto con l’utente, non compete ai tecnici della
prevenzione aiutare la persona a comprendere le motivazioni dell’intervento; è necessaria
la presenza di servizi sociali e psichiatrici perché è un percorso lungo e che necessita del
supporto di tante competenze, per evitare che la situazione si riproponga a breve termine.
Noi siamo solo tecnici della prevenzione ma non ci risulta integrazione con l’Unità
Funzionale di Igiene e organizzazioni/medici che si preoccupano dei programmi di
integrazione.

[Chiedo a chi potrei rivolgermi se volessi parlare direttamente con chi si occupa di
effettuare lo sgombero. Mi suggeriscono di parlare - anche via email - con il comandante
dei vigili urbani di Pontedera, per sentire di casi di interventi svolti direttamente da parte
del Comune o da parte di ditte private. Mi appunto il contatto email del comandante.]

[Direttore] Certi casi di problemi di accumulo vengono seguiti direttamente anche dalla
Polizia Municipale: noi tecnici della prevenzione siamo chiamati dalla Polizia Municipale
in 8 casi su 10, negli altri 2 dai servizi sociali, e ancora molto meno frequentemente su
segnalazione di cittadini per situazioni già evidenti.

[Esprimo una mia riflessione: “Il fatto che siano persone isolate socialmente non mi
sorprende; probabilmente se non sono sole e al margine vengono lasciate sole, perché i
familiari o i figli scappano dalla casa appena possono… È peccato per come appare che

LI
viene gestito il problema, senza interventi preventivi, ma è difficile probabilmente perché
è una patologia che rimane sommersa.” Chiedo se ci sono delle fasi del percorso che
vengono formalizzate.]

[Direttore] L’atto del nostro sopralluogo è seguito da un verbale da parte dei tecnici della
prevenzione, valutato dal medico responsabile igienista, che eventualmente decide cosa
chiedere e in quali termini di tempi, a seconda dell’urgenza e della gravità del caso,
all’autorità sanitaria (cioè il Sindaco); per l’organizzazione toscana il medico non fa
direttamente il sopralluogo, sono i tecnici con le loro competenze professionali che hanno
il compito di verifica in fase ispettiva, dando supporto alla relazione del medico per
l’autorità sanitaria che poi attiva il percorso tramite i loro uffici.

[Chiedo se durante la fase dell’ispezione sentirebbero l’esigenza della presenza di uno


psicologo.]

[Direttore] Quella è un’esigenza credo legata soprattutto alla sensibilità della persona.
Possono verificarsi certamente delle situazioni incresciose dove la persona si rifiuta o
urla, può succedere di tutto, per cui è chiaro che se uno dovesse essere il primo ad entrare
si potrebbe trovare in difficoltà e potrebbe preferire che ci fosse qualcun altro che semmai
calma la persona, la convince… Normalmente quando si va su questi interventi i tecnici
arrivano con i vigili, e se la cosa è stata ben organizzata, sul posto si trovano anche gli
assistenti sociali della Usl o del Comune, quindi un gruppetto di persone competenti c’è.
Non c’è lo psicologo, però un gruppo minimo di persone con quelle competenze è
presente. Noi sicuramente comunque ne sentiamo il bisogno, ma è anche un aspetto legato
alla sicurezza, perché c’è differenza tra l’essere accompagnati da persone conosciute
come gli assistenti sociali (anche se visti solo una volta al mese) con le quali c’è un buon
rapporto e un’intrusione che avviene con la forza da parte nostra (che non piace nemmeno
a noi). C’è sicuramente un approccio e un rapporto diverso con gli assistenti sociali
rispetto a noi che ci sentiamo più come dei Carabinieri. Sono loro che al limite ci
presentano e illustrano quello che stiamo per andare a fare. Noi comunque quando
entriamo chiediamo informazioni su cosa c’è e cosa non c’è, perché siamo sempre in casa
di qualcun altro, per cui è chiaro che se c’ho un buon rapporto che si ottiene subito nel

LII
momento in cui si entra è meglio, sennò poi siamo costretti a fare un lavoro peggiore, più
“sporco”.

[Concludo dicendo che per me ci possiamo fermare e ringrazio i tecnici per il loro
contributo.]

LIII
2a trascrizione: intervista a Michele Stefanelli, comandante generale dei vigili urbani di
Pontedera in provincia di Pisa.

[Presento al comandante l’introduzione all’intervista, che non ha potuto leggere


dall’allegato inviato per email.]

[Comandante] Il ventaglio è complesso, e va da situazioni dove si vede accumulo di


materiale di vario genere (quadri... di tutto di più) a situazioni patologiche in maniera
spinta. Mi è rimasta impressa una persona a Capannoli che si era isolata dai familiari e la
casa era in un caos indescrivibile, “un macello”: faceva la pipì e la teneva in bottiglie (un
centinaio) accanto al giaciglio dove dormiva, e dappertutto cibo andato a male, escrementi
umani, macerie… odore acre, sporcizia ovunque, in un ambiente chiuso stoppinato...
entrammo con tute e mascherine, su segnalazione dei familiari che non lo vedevano più,
pensavano fosse morto. Questo credo sia stato il caso peggiore, un caso limite. Per rottura
dei tubi del riscaldamento c’erano cinque centimetri d’acqua sul pavimento, il letto aveva
l’aspetto del giaciglio di un animale, con condizioni igieniche talmente scadenti che a
questa persona fu riscontrata un’epatite. Fu portata via e per bonificare 3-4 stanze ci
vollero 4-5 giorni portando via 4-5 camionate di roba accumulata nel disordine, prima di
eliminare tutto, pulire e re-imbiancare. Questo come caso estremo. Era solo. Morta la
moglie, questa persona si era isolata fino a rintanarsi in casa all’improvviso e non dare
più segno di sé con l’unico parente (il fratello). Dopo alcune segnalazioni, è stata fatto un
sopralluogo riscontrando questa situazione devastante, la peggiore in assoluto, da
voltastomaco. Siamo intervenuti sanificando e bonificando. Dopo il ricovero di un mese
in ospedale (Malattie Infettive) fu riavvicinato dalla famiglia - che si è fatta carico – e
“recuperato” (era un settantenne), poi non se n’è più saputo nulla.
Da qui scendendo ci sono altri casi. In casa di un’altra persona si trovarono 24 televisori
ed erano tutti davanti a lui, inclinati verso la persona, con il rischio che magari durante la
notte potessero cadergli addosso. Lui andava all’isola ecologica, li rubava e se li portava
a casa; di questi ce n’era uno che funzionava, dieci accesi anche di notte ma non
funzionanti, gli altri spenti… C’erano fili elettrici scoperti con conseguenti rischi per la
sicurezza. Era un cleptomane (rubava nei cimiteri), simpaticissimo ma non perfettamente
lucido ed orientato [capace di intendere e di volere], e rifiutava le cure psichiatriche: era

LIV
ottantenne e aveva un’unica sorella con cui però non voleva avere niente a che fare, con
la famiglia aveva completamente chiuso i rapporti. Faceva farneticazioni politiche... Poi
era stato truffato da persone che se ne erano approfittate. Mangiava pollo arrosto una volta
la settimana dall’ambulante del mercato, poi basta. Trovammo avanzi di cibo coi vermi
in giro per casa... In questo caso la segnalazione è stata fatta direttamente dai vigili urbani
in seguito ad accertamenti per i furti al cimitero (accumulava croci, vasi e statuine di
angioletti del cimitero). Il lavoro di supporto è stato fatto dai vigili urbani, poi si è perso
(probabilmente è morto perché aveva 80 anni dieci anni fa). I televisori sono stati portati
via, gliene abbiamo lasciato uno solo dopo averlo sistemato. Abbiamo aggiustato il letto
che non era più un letto...
Altro caso quello di un’altra famiglia, madre e una figlia con uno stranissimo rapporto fra
le due; la madre fu fatta valutare da una psicologa sotto mentite spoglie [fatta credere una
collega dell’operatore] che diagnosticò un modo disorganizzato di condurre la vita. La
casa era molto sporca e anche le due signore erano in precarie condizioni igieniche. La
figlia sui 25-30 anni era disattenta alla cura della persona e alla pulizia propria e della
casa. Tutta la vita di queste due donne girava intorno ad una esagerata affezione nei
confronti dei gatti. La casa era caotica, sporca, piena di sacchi neri; una volta cibati i gatti
con le scatolette, non avevano il coraggio di buttarle via e le accumulavano. Anche per il
cattivo odore d’estate, qui sono state necessarie due ordinanze. Mentre vivevano in
condizioni estreme di apparente indigenza (candele invece dell’elettricità, mancanza di
acqua corrente in casa), i soldi saltavano fuori al momento di comprare lo scatolame per
nutrire i gatti (8) e i cani (2). Il padre aveva fatto la figlia e poi era scappato. [La figlia ha
un rapporto ambivalente (e lacunoso) con il comandante che alterna tentativi di
convincimento e contributi anche economici a rimproveri anche aspri (definiti “terapia
d’urto”). Il rischio di cui mi parla l’intervistato era che si creasse un attaccamento tra lui
e la ragazza]. La figlia aveva un rapporto conflittuale con la zia materna a causa di un
immobile di famiglia, una situazione che andava avanti da un decennio. Madre e figlia
erano due persone che lavoravano in nero/part time in strutture di ristorazione - la figlia
in un bar a Pisa, la madre in un ristorante della Valdera - con un’auto di proprietà ma
tenuta senza assicurazione. La madre aveva 80 anni, la figlia “passiva e succube” e
condizionata dalla madre e dagli animali vissuti come “dominus”, “vivevano in un loro
mondo malato”. La figlia tendeva a scaricare tutta la responsabilità della situazione sulla

LV
madre [mentre il comandante dei vigili urbani la stimolava ad usare maniere anche
drastiche per ricondurla su un atteggiamento corretto]. La figlia non riusciva a essere
razionale, era totalmente condizionata dalla madre e avvinghiata in un circolo vizioso.
C’è stato il tentativo di fare intervenire volontariato e servizi sociali (in quel momento
non empatici e totalmente assenti) senza reali progressi. Il caso è ancora aperto, da 5-6
mesi non riusciva a essere razionale, era totalmente condizionata dalla madre e
avvinghiata in un circolo vizioso non contatto la figlia. Le due donne non abitano più
insieme ma sono divise in due case: una di famiglia (per cui è “in guerra” con la sorella)
in cui abita la madre e una, assegnata dal tribunale, in cui abita la figlia. Del contatto e
consulenza gratuita con la psicologa, la madre è stata messa al corrente in seguito per
aiutarla a prendere coscienza che il proprio comportamento deve subire delle correzioni.
Questo è un caso che va avanti da dieci anni e ogni tanto si ripresenta, mi chiedo se sia
positivo o negativo... A volte mi domando se ho fatto tutto il possibile per andare incontro
a questa situazione drammatica.
Un altro caso che mi viene in mente è quello di una persona con problemi economici,
rinnegata dal padre, una sporcizia di grado estremo (il letto nero, le lenzuola nere). Lui
nullafacente e sostenuto dal Comune, fannullone, disperato, viveva di espedienti. È stato
segnalato dai condomini per i cattivi odori provenienti dall’appartamento. Il padre ha fatto
arrestare il figlio per percosse, il figlio si è giustificato sostenendo che difendeva la madre.
È un “questuante”, ruba per mangiare. Ci sono stati più interventi, con un percorso di
pulizia per ottenere benefici economici, ma con periodiche ricadute. È una persona sola
con pochi contatti di “amici/nemici”. Talvolta aveva un atteggiamento violento (fino
all’arresto con scarcerazione immediata per un furto di bicicletta). Questo diciamo che è
un caso “intermedio”.
Poi ci sono altri casi, come quello di un albanese che voleva suicidarsi gettandosi da una
gru perché aveva tre figli e non ce la faceva a dargli da mangiare e a sostenere la famiglia.
L’abbiamo contattato tramite i Carabinieri. In questo caso c’era un disagio familiare, la
sua casa era un po’ disordinata perché aveva avuto questioni con la moglie. Poi
appoggiandosi a un’impresa di elettricisti per lavori saltuari, si è ripreso, anche grazie alla
moglie che ha “fatto da chioccia”, ha funzionato, ha fatto da catalizzatore quindi ha riunito
la famiglia riordinando e ripulendo tutta la casa; e il marito ha superato il disagio e
l’umiliazione dovuti alla mancanza di lavoro. La segnalazione è stata fatta da parte dei

LVI
familiari perché ogni tanto spariva e non tornava a casa la sera oppure rientrava un po’
ubriaco; poi lui stesso telefonò dalla gru a un giornale (2 anni fa) dicendo che si sarebbe
buttato alle dieci o a mezzogiorno, non ricordo. Poi siamo stati la sotto da mezzogiorno
fino alle sei di sera, fino a che non l’abbiamo convinto a non compiere quel gesto estremo.

[Chiedo all’intervistato da quanto tempo fa questo lavoro e quanti casi di accumulo ha


osservato in media all’anno nella sua esperienza.]

[Comandante] Dal 1997 a ora, 2-3 casi all’anno sicuramente. Un caso abbastanza recente
è quello di una donna a cui è stato quasi fatto un TSO. Si tratta di una donna
trentacinquenne lasciata e abbandonata dal marito, disoccupata, che ha sviluppato un
legame morboso con l’abitazione perduta e con la bicicletta che sente come parte di sé (la
tiene in camera da letto). I Carabinieri hanno fatto uno sgombero della casa in affitto su
ordinanza del Giudice (sfratto per morosità). Ha un delirio persecutorio nei confronti dei
Carabinieri e degli attuali occupanti della sua ex-casa – va davanti alla Caserma ad
offendere i Carabinieri e fa i dispetti agli occupanti della sua ex-casa (fa gli spregi sui
vetri, stacca il gas, chiude la luce) –. Lei va in giro mezza nuda, attualmente è seguita da
una Psichiatria e dal Sociale [non sembra essere un caso di disturbo da accumulo].

[L’intervistato riporta il caso di una persona segnalata da un vicino a causa della presenza
di fiamme libere in casa, disordine e sporcizia. Non sembra essere un caso di disturbo di
accumulo ma piuttosto le condizioni igieniche precarie sembrano dovute a un’altra
condizione psichiatrica. L’intervistato definisce questa persona un “accumulatore di idee”
più che di oggetti o di animali. Con degli esempi cerco di chiarire ulteriormente cosa si
intende per disturbo da accumulo. Chiedo quali figure vengono messe in campo negli
sgomberi forzati per motivi igienico-sanitari.]

[Comandante] Di solito durante questi interventi veniamo in contatto con persone che
hanno creato forti debiti (decine di migliaia di euro) verso l’APES [Azienda Pisana
Edilizia Sociale]. Quando il Comune vede che loro non si rimettono in una dinamica di
rientro di questo debito, anche con quel che possono, attiva la procedura di sgombero
forzato. Mi verrebbe da dire che lo sgombero non è mai determinato da un disordine ma

LVII
piuttosto da una difficoltà economica, che è legata ad una inattività totale nella
collaborazione con l’Ente nel rientro di questo forte debito. Però le case popolari son
sempre abbastanza curate e ordinate, in queste situazioni il disordine sinceramente non
l’ho mai trovato.

[Chiedo al comandante se può parlarmi degli sgomberi forzati dovuti a motivi igienico-
sanitari.]

[Comandante] In quei casi interveniamo anche con la Forza Pubblica, se necessario, e i


servizi sociali della Usl, per valutare il livello di criticità, poi loro si collegano col reparto
di Malattie Infettive se necessario. La Psichiatria è abbastanza presente: tutto è legato a
una terapia, se uno rifiuta la terapia è il presupposto per passare al TSO, il trattamento
sanitario obbligatorio, oppure all’accertamento sanitario obbligatorio [ASO] che è un
avviso obbligatorio per valutare la patologia e valutare se occorre il TSO. In tutti questi
anni non ho mai collaborato con psicologi ma solo con psichiatri.

[Chiedo all’intervistato se in queste situazioni sentirebbe la necessità di una rete più


coordinata e funzionale, e il bisogno di avere a fianco ulteriori figure professionali, ad
esempio nel momento in cui si presenta la necessità di gestire in parallelo anche i
familiari.]

[Comandante] Oggi il grosso del problema è il disagio economico (alcune volte anche
sociale), ma in case pulite e ordinatissime. Riscontro che i mercatini sono un’ancora di
salvataggio per queste persone che non hanno altre risorse per mantenersi, quindi cercano
di organizzare mercatini dell’usato/antiquariato per sopravvivere, ma applicando norme
desuete ed evadendo ed eludendo leggi... senza fatture e senza licenze. Come vigili urbani
attiviamo i servizi sociali, sono loro poi che se ne occupano.
È capitato di recente il caso di una coppia legatissima, tutti e due lavoravano alla Piaggio
ed entrambi licenziati, con una casa perfetta (frigorifero enorme a due ante, forno,
camino) perché ci avevano investito tutto nei tempi migliori ma non hanno di che da dare
mangiare ai figlioli… nessuno gli dà una mano, vengono aiutati dal prete e non
dall’assistente sociale [il comandante dei vigili urbani li intercetta e li reincanala].

LVIII
[Chiedo se nei casi che mi ha raccontato si sente soddisfatto del lavoro svolto.
L’intervistato mi risponde che nel caso delle due donne che vivevano coi gatti la rete per
lui non ha funzionato per niente perché “gli assistenti sociali e la psichiatria non ne hanno
voluto sapere nulla”. Mi riferisce che la donna con la bicicletta non è seguita perché non
è ritenuta affetta da una patologia psichiatrica. L’intervista si conclude, ringrazio
l’intervistato per il suo contributo.]

LIX
3a trascrizione: intervista a due gestori di un mercatino dell’usato.

[Chiedo ai due intervistati: “Cos’è secondo voi questo disturbo?”]

[Simone] Io ho le mie considerazioni relativamente al Disturbo da accumulo. Non so di


preciso quali siano i sintomi, so che comunque qualora dovessi essere considerato tra
questi sono in “ottimissima” compagnia [ride]. No, in realtà io non so cos’è il disturbo di
accumulo, e comunque per quel poco che ho visto credo di esserne al margine, qualora…
quando si parlava l’altra volta dei grigi in realtà si faceva la considerazione sul fatto che
c’è una predisposizione a voler avere, non solo da parte mia... io conosco tantissimi
modellisti, per esempio c’è Fabio, una persona che conosco, che ha di recente realizzato
un seminterrato. Questo seminterrato è zeppo di scatole di modellismo: navi, treni,
aerei… ogni scala. Quindi, ecco perché dicevo che sono in “ottimissima” compagnia (ho
delle tematiche, dal punto di vista del modellismo).

[Luisa] Bruno, un altro nostro amico, ha una stanza di giocattoli. Lui fa collezione di
giocattoli antichi. Però quelli sono collezionisti, secondo me sono una cosa ben diversa.
Come questo amico per esempio, è una cosa ben diversa. Lui ha solo una tematica, solo
quello. Ma ha una stanza che è grande praticamente come questa. Non è piena, di più. Io
la vidi tantissimi anni fa ed era piena, ora mi ha detto che è praticamente quattro volte
tanto piena. È una cosa sconvolgente. In più in garage ne ha altri. Lui ha una casa molto
grande. Secondo me anche quello è essere compulsivi in un certo senso, molto diverso,
molto più leggero. Però è una ricerca sempre di qualcosa… Ora, collezione va bene, ma
riempire una casa in quella maniera secondo me è follia. Io non potrei. Anche perché lui
con quei soldi che ha speso di tutti quegli oggetti che ha comprato negli anni, secondo me
ci comprava un’altra villa uguale a quella lì, perché hanno un valore allucinante. Io mi
dico: come mai uno deve arrivare a comprarne tanti in quella maniera? E poi si son buttati
anche sulle bambole, quindi ora hanno anche le bambole.

[Chiedo: “Hanno?”.]

LX
[Luisa] Sì, con la moglie. Però i giocattoli diciamo che principalmente li collezionava lui,
poi dopo ovviamente ha attaccato un po’ alla moglie sicuramente la mania, però lei le
bambole: bambole di ceramica di tutti i tipi, però sempre ovviamente bambole antiche e
di valore. Quindi entri in una stanza dove c’è pieno di bambole, e ti verrebbe voglia di
scappare. Con questi mostri, mi viene in mente Shining.
Te sì [rivolgendosi a Simone], sei un po’ verso il collezionismo su alcune cose, però
accumuli un po’ di tutto: i ciottoli, le statuette, varie cose…

[Simone] Vedi per esempio quello che diceva lei, sostanzialmente da quando abbiamo
aperto tantissima di questa roba l’ho portata qui a vendere, anche molte volte insomma a
prezzi tra virgolette simbolici. Quindi il fatto già di essere riuscito a separarsi da quella
roba sicuramente mi identifica non so in quale categoria, però un pochino differente
rispetto alle altre insomma. Sì, per quanto riguarda il discorso del modellismo anch’io ho
spaziato. Perché ti dicevo che secondo me è veramente difficile stabilire qual è il confine?
Perché ci sono tanti fattori e uno dei fattori principali che prende quello che è il
collezionista, o il sedicente tale, è il voler prendere la roba e strappare il prezzo
conveniente per quello che è l’oggetto. Sicuramente c’è un discorso compulsivo alle
spalle…

[Luisa] Dello strappare il prezzo conveniente dici?

[Simone] Sì, sì…

[Luisa] Però per esempio a Bruno non gli interessa nulla. Ovvio che il prezzo lo tratta
però a lui gli basta comprare l’oggetto che gli interessa. Quello è il vero collezionista, no?
Lui vuole quell’oggetto perché quell’oggetto è… e gli basta comprarlo. Lui è proprio un
vero collezionista, poi folle perché c’ha una stanza grande come questa, è veramente
grande. Un po’ eccessivo, però è un collezionista. A lui interessa quell’oggetto, lo cerca
e lo paga quanto deve essere pagato. Poi magari va lì e riesce a farsi togliere 100 o 200 €,
però magari ha comprato oggetti che costano 2 o 3000 €, capito? Quindi ovviamente
magari un pochino il prezzo lì per lì lo tratta, però non è uno che dice, come dicevi ora te,

LXI
che cerca l’offerta. A lui dell’offerta non gli interessa nulla. Ovvio che, certo, il prezzo lo
tratti sempre…

[Simone] Vabbè, lui rientra sicuramente in una delle tipologie di collezionisti…

[Luisa] Sì, poi ci son casi come questa ragazza che ti raccontavo l’altra volta, che io
personalmente non conosco. A me l’hanno raccontato, la conosce un mio amico
perfettamente e lui ci va sempre a casa, e lì la situazione è deleteria. Lui racconta che la
casa è un caso sociale tutta la famiglia, dalla mamma ai figli. Questa ragazza che è grande,
perché io non so se ha quanto e me, una cosa del genere… Comunque questo mio amico
mi ha raccontato che doveva entrare in camera sua, non so perché, per quale motivo.
Quando è andato per aprire la porta, non si apriva. Ha dovuto spingere con le spalle per
aprirla, ha pigiato e piano piano è entrato e dice che c’era un mucchio alto così di roba
per terra, formato sia da spazzatura che da oggetti.

[“Mi interesserebbe sapere se conoscete altri casi simili oltre a quello di questa ragazza.”]

[Luisa] Ripeto: io questa non la conosco di persona. Me l’ha presentata questo ragazzo...
la famiglia è un caso sociale proprio, che se ci andasse la Usl…

[“Quindi non è assolutamente segnalata.”]

[Luisa] No, ovviamente, sennò le smucchierebbero la roba e la manderebbero via...

[“Difatti in questi casi è questo un po’ il timore...”]

[Luisa] Ovviamente dispiace. In casa ha un caos che la metà basta, poi in più urlano,
gridano come pazzi, sclerati. In più questa qui che si chiude sempre in camera sua, poi
ruba sempre i soldi alla mamma e li va a giocare e va a comprare roba: più che altro lei
c’ha un po’ di tutto, compra tutto, ma più di tutto le garba la roba della Barbie. Il mio
amico mi ha detto: “Quando sono entrato in camera sua guardavo e, a parte la spazzatura
in alcuni punti, c’erano cartacce, roba di tutti i generi... e poi magari c’ha anche qualcosa

LXII
di organico, tipo roba da mangiare...”

[Simone] Senti volevo chiederti io qualcosa per poter fare poi anche delle
considerazioni... In realtà il disturbo di accumulo quali sono i sintomi che lo evidenziano?
Perché ci sono veramente tante categorie. Io vedo, come ti dicevo anche l’altra volta, delle
persone che vengono qui e raccontano. Per quella che è la mia idea, un’opinione però in
senso relativo – non è che io abbia fondamenti scientifici – mi sembra una sorta di
esasperazione o, come posso dire, di esagerazione di una propria passione. Poi magari lì
c’è anche il desiderio di voler prendere quanta più roba possibile a un prezzo conveniente.
Però per quelle che sono le mie conoscenze, non mi sembrerebbe che tutti questi siano
con DA. Allora per poter fare anche una sorta di valutazione più oggettiva partiamo dalla
rovescia: cioè, quali sono i criteri? Questa persona di cui parlavate probabilmente mi
sembra che potrebbe essere annoverata fra quelli che sono gli accumulatori a livello
patologico... Quindi quando il discorso diventa palesemente esagerato... il fatto di non
poter più camminare, il fatto di non pulire più nei vari punti della casa, il fatto di non
poter aprire la porta, il fatto di non avere più spazio, per esempio non si sa dove sedersi o
dove dormire...

[Luisa] No, lei il letto ce l’ha. Per entrare nel letto però scavalca la roba e ci si infila con
la roba d’intorno, appiccicata. Lei c’ha lo spazietto suo... da quel che ho capito. Ecco, lei
è da film, anzi da telefilm (cioè da documentario o serie di film reality) di Real Time:
certe scene le ho viste lì. Poi ce ne sarà qualcuno meno grave, qualcuno più grave, ma
questa sì, questa è grave da tutti gli aspetti, secondo me, a prescindere dall’accumulo.

[Simone] Ecco, sì, quello che ti dicevo...

[Luisa] Volevi sapere quanto eri malato? (ridono)

[Simone] Lei mi prende in giro… Io sono molto interessato…

[“Sento un po’ il tuo bisogno di ‘incasellare’ in qualche modo il disturbo.”]

LXIII
[Simone] In generale sì. Perché è una deformazione personale. Mi aiuta a capire meglio.

[Luisa] Lui è così.

[Simone] Mi aiuta a capire meglio, sì.

[“Visto che me lo chiedi, vediamo se ti posso aiutare nello specifico. Voglio essere precisa
perché vedo che apprezzi la precisione.”]

[Simone] Non è precisione, è il mio modo, giustamente come hai detto tu, di ‘incasellare’,
perché forse con quello schema mentale riesco a capire più velocemente e meglio.

[Luisa] Lui è allucinante, eh! È talmente preciso in certe cose che ti fa venire il latte alle
ginocchia, e talmente spreciso in altre che è una contraddizione totale!

[Simone] Ora decisamente no, ora va decisamente meglio! [Simone protesta]

[Luisa] Se te vai nei suoi magazzini e nella sua casa, te entri dentro e dici: non può essere
la stessa persona che ha scritto quella pagina là che mi hai portato dei conti [più avanti
Simone spiega di quale pagina si tratta]. Non è solo preciso... è oltre!

[Simone] No, sai cos’è? Lei si sta riferendo a un foglio [Luisa dice che ha specificato
quello perché l’ha visto un paio di giorni prima] un foglio che ho dovuto predisporre per
un lavoro, perché mi sono trovato a dover tra virgolette “giustificare” fino all’ultimo euro
una serie di lavori che sono stati fatti a un condominio che ho seguito, il mio, per un
importo di quasi 200.000,00 €, quindi è chiaro che poi, dovendo spiegare ai condomini,
lì sono stato ligio. E lì, diciamo, non mi sono trovato male a fare una cosa del genere [a
fare lavori, conti e resa dei conti].

[“Sei un ingegnere civile, giusto? Sicuramente sei molto preciso, sennò come si farebbe
a star tranquilli?”]

LXIV
[Simone] Forse apparentemente quella che è una contraddizione come dice la socia, è un
bisogno, è una sorta di valvola di sfogo, cioè: l’essere così in tutto, probabilmente sarebbe
maniacale; l’essere così in determinate cose dove necessariamente lo devo essere è un po’
un compromesso, e magari per il resto... “Ma sì!” Effettivamente c’è stato un periodo in
cui ho accumulato tanti oggetti a casa senza criterio, un po’ perché li ho dovuti togliere
da dove erano, un po’ perché “sì, vabbe’, poi li sistemo, poi… poi... poi”. Il poi è venuto,
però non è venuto subito, ed era questo a cui lei, la socia, si riferiva.

[“E mi dicevi che aprire l’attività e stare qui ti ha aiutato un po’, giusto? O mi ricordo
male?”]

[Simone] No, più che altro mi è servito, ma quello l’avrei potuto fare da semplice utente,
portare tantissima roba...

[Luisa] Quante volte te l’ho detto in capo a un anno? “Dai via un po’ di roba”...
Sinceramente io lo stresso.

[Simone] È una parte, diciamo, della mia coscienza, nel senso buono della parola; è quella
vocina che contribuisce ad aggiungersi a quelle vocine che ho, e che a volte, magari, non
so… “Vocine” nel senso buono della parola, eh! Sennò... [ride]. Vedi, per esempio una di
quelle che non so quanto sia una “capacità personale”, però spessissimo riesco a
riconoscere quando una considerazione, a prescindere da come viene detta, può essere
condivisibile e giusta e quando no. Effettivamente qualche volta, o più di qualche volta,
la socia fa delle considerazioni tipo “dare via” ed effettivamente più di una volta da
quando c’è stata questa attività ho anche colto l’occasione di portare la roba [Luisa ride].
Io farei una serie di considerazioni ma non so quanto possano avere valore…

[“Non preoccuparti, accetto tutto.”]

[Simone] Il problema nell’accumulo è anche il cercare di capire o di vedere quanto le


persone sono disposte a liberarsi di quell’accumulo, perché se accumuli, vuoi tenerti
stretto tutto e non dai via niente – a prescindere da quanto accumuli – per me è un conto.

LXV
Se magari non so, accumuli perché in quel momento ti possono piacere quelle date cose
o perché le puoi anche trovare convenienti dal punto di vista economico, per una serie di
motivi, e le tieni, quando poi ti rendi conto che, se le devi tenere, le devi tenere negli
scatoloni non ha senso tenerle, allora le dai via. Certo… non le dai via con la stessa facilità
con la quale le hai accumulate, però, insomma le dai via. E quindi anche questo ti
chiedevo prima: il poter capire come effettivamente incasellare il disturbo di accumulo...
Mi sono spiegato in quello che ti voglio dire? Perché non è sempre semplicemente
l’accumularlo; è l’accumularlo, il volerlo tenere a tutti i costi, poi il non volerlo dare via
in tutto o in parte. Nel senso… quel libro che mi hai detto, io l’ho comprato e ho
cominciato a leggerlo ed effettivamente... [Luisa chiede quale libro e Simone risponde:
“Tengo tutto” e ride] Effettivamente mi rendo conto che c’è tanta gente, più o meno tanta,
che cioè veramente è un caso patologico. Persone che tengono – come giustamente mi
dicevi anche tu – ciocche di capelli o le unghie! Cioè! Quelle...!

[Luisa] ...quello è l’eccesso!

[Simone] E quindi è anche quello lì il discorso. Appunto! All’interno di quelli che sono
gli eccessi, ovvero bianco e nero o viceversa, la “marea di grigi”. Il bisogno di incasellare
è più che altro dovuto al fatto di voler capire. Perché guarda che in realtà quando hai un
hobby o hai diciamo questa tendenza ad accumulare, entri in contatto con persone che
non so se le attiri come una calamita, non so se quando ti confronti, poi ti senti dire “Oh,
però! Pure io...”, però entri in contatto con tantissime persone che – ognuno per il suo –
fa quello che fai tu magari con il tuo, che può essere modellismo, eccetera... E quindi
anche per questo motivo ti dicevo “il voler capire”, perché per quella che è la mia
esperienza personale, ci son tantissime persone, perché tante persone che vengono qui,
cioè ma guarda che son tantissime quelle che dicono...

[Luisa] Anche la Nellì è abbastanza un’accumulatrice.

[Simone] Come no! Io poi ovviamente... Con me, nel senso, sfondano una porta aperta,
sai, mi danno il là.

LXVI
[Luisa] Lei – Nellì – è un’accumulatrice, però è precisissima, cioè lei è di quelle che
compra tanto perché le piacciono tante cose, però se te vai a casa sua “non sa” di
accumulatrice: sa di una che ha tanta roba, però...

[“…però le cose sono cose organizzate.”]

[Luisa] Organizzatissime. Non comprerà mai un oggetto per poi tenerlo nella scatola.

[Simone] Ma sai quante volte mi capita di parlare con le persone che vengono, portano
qualcosina e ti dicono: “Eh, ma non lo sa quanta roba ho io” ... “Guardi, è in buona
compagnia!” gli rispondo.

[Luisa] Poi siamo un po’ tutti accumulatori, secondo me, eh! Perché ognuno di noi tende
a comprare sempre quello che è in più. Fondamentalmente se guardi gli armadi di noi
donne, fondamentalmente c’abbiamo tanta roba e uno lo guarda e dice “come fai in 365
a metterti tutta questa roba?” e io sono una che mi cambio tutti i giorni, premetto, e quello
che ho diciamo che lo sfrutto al massimo. Però è una realtà questa, cioè l’accumulo
veramente di “avere tanto”. Poi ovviamente c’è qualcuno su Oggettistica, qualcuno su
Abbigliamento, ecc. però fondamentalmente siamo un po’ tutti così, eh: chi ovviamente
è un caso patologico, chi meno (i famosi grigi), chi invece... si controlla, più o meno
[guarda Simone e ride].

[Simone] Sì, appunto.

[Luisa] Secondo me in questo caso “i bianchi” non esistono.

[“Infatti ci pensavo mentre Simone lo diceva “c’è il bianco, c’è il nero” e riflettevo:
probabilmente “i bianchi” son quelli che vivono “con niente.”]

[Luisa] ...“Senza niente”...

[Simone] Quelli che ne fanno una questione di vita, come quelli che dicono che c’hanno

LXVII
le case minimaliste.

[Luisa] Io ce l’ho minimalista la casa, come mobili, ma di roba ce n’ho tanta!

[“C’è poi ad esempio chi vive in una roulotte con una padella...”]

[Luisa] ...Come il ragazzo che sta qui nei pressi del centro commerciale. Lui vive nel
camper: ma è uno normale, che lavora...

[Simone] Bisognerebbe discutere sul concetto di “normale”... [Simone ride]

[Luisa] ...Vabbe’, è un po’ alternativo, eh.

[“Non l’ho mai visto.”]

[Luisa] Magari l’hai visto e non sai che è lui, perché gira e qui intorno c’è spesso. E lui
per esempio ha fatto questa scelta - di vivere nel camper - e però nel suo piccolo accumula
anche lui, perché tutto quello che compra per poi rivendere - è una cosa! - dice che nel
camper dentro c’è incastrato.

[“L’hai osservato direttamente?”]

[Luisa] No, ma me l’ha raccontato lui stesso. Io non ci sono andata dentro a vedere.
C’ha il camper che è pieno di roba, ma lui ovviamente compra per vendere, fa i banchetti
e quindi tra virgolette “fa un accumulo di roba” ma dentro il suo camper ha il negozio.
Lui sarebbe o si direbbe minimalista [forse è costretto a fare di necessità virtù] e
sicuramente non ha il “di più”: sicuramente ha il minimo per se stesso. Forse son quelli i
bianchi…

[Simone] Al di là del discorso sul DA, che man mano che ne parliamo, si sta anche
delineando sempre di più, ti volevo lanciare una provocazione… una domanda… ti
volevo dire un’altra cosa che mi incuriosisce ancora di più, e che ovviamente è collegato,

LXVIII
non è che salto di palo in frasca! Può darsi che si accumuli anche quello che… Cioè,
ognuno di noi ha una sua storia, quindi ovviamente di questa storia fanno parte desideri,
piaceri, oggetti che magari non so per qualche motivo non si son potuti prendere perché
non c’avevano la disponibilità, o non si trovavano... Ecco, può essere che poi, magari può
darsi che si dia sfogo a quello che è stato per certi versi tra virgolette una sorta di
“desiderio represso”, no? E quindi anche quella è una forma di accumulo diversa rispetto
a quelle che si dicevano. E qui si torna al tentativo di poter incasellare, per capire, anche
se credo di aver capito. Però a questo punto mi sorge il dubbio di come poter inquadrare
tutte le altre tipologie di accumulo, e ti posso garantire che sono veramente tante, per
esperienza personale diretta e non. Perché ti ripeto, mi piace confrontarmi con le persone
e veramente la stragrande maggioranza di queste persone mi dice che ha garage pieni di
scatoloni con dentro roba che non riesce a buttare. Non è anche quella una sorta di
accumulo compulsivo?

[“Penso di sì.”]

[Simone] Fino a che punto si può definire quello disturbo di accumulo o no? Allora, se si
considera quello che è il disturbo palese, tra virgolette “palese”, è un conto, e quello
probabilmente però forse non è particolarmente interessante dal mio punto di vista per
capire e incasellare... Forse è veramente interessante capire quanto gli altri lo siano, pur
non manifestandosi in quella maniera.

[“Ti posso dire quello che hanno definito dei ricercatori statunitensi che hanno scritto il
Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi Mentali ufficiale (DSM-V), utilizzato in
tutto il mondo. Nel 2013 è uscito ufficialmente per la prima volta il Disturbo da Accumulo
nel Manuale di tutti i disturbi psichiatrici, e i criteri diagnostici, che sono stati definiti
finora - dopo venti anni, trent’anni di ricerche, che sono comunque pochi, quindi le
domande che ti stai facendo te e che mi sto facendo anch’io, se le stanno facendo ancora
i ricercatori e ce le stiamo facendo tutti ancora - quindi i criteri diagnostici definiti per ora
sono questi: ti dico i tre o quattro più importanti: “difficoltà a eliminare o separarsi dai
propri beni, a prescindere dal loro reale valore: tale difficoltà è dovuta a un forte bisogno
di conservare tali beni e/o al disagio associato alla loro eliminazione; i sintomi risultano

LXIX
nell’accumulo di un gran numero di beni che progressivamente ingombrano zone della
casa o del posto di lavoro, fino al punto in cui la loro destinazione d’uso non è più
possibile...”]

[Simone] Ok.

[“...se tali aree tornino a essere sgombre è dovuto a interventi di terzi (per esempio
familiari, imprese di pulizia, autorità): questo è un criterio diagnostico. Ti dico i più
significativi, i primi quattro o cinque. Questo è il quarto: "...i sintomi causano disagio
clinicamente significativo o compromissione nell’area sociale, lavorativa o in altre
importanti aree di funzionamento, incluso il mantenimento di un ambiente sicuro per sé
e per gli altri…”]

[Simone] Sì... sì...

[“...Non sono dovuti a una condizione medica generale, per esempio malattie cerebro-
vascolari, demenza”... (le persone con demenza accumulano spazzatura) ...eccetera; gli
altri criteri sono un po’ più specifici: deve essere un disturbo non secondario ad altre
cause: persone con trauma cranico, o malattie genetiche, o disturbi nello spettro autistico
possono avere accumulo, quindi deve essere una cosa che ne esclude altre. Quindi questi
attualmente sono i criteri. Non so se ti ho risposto.”]

[Simone] Sì.

[“Ecco, queste domande - le stesse domande che ti fai tu - ci sono e il DA verrà delineato
meglio nel tempo rispetto ai criteri diagnostici attuali. A me interessa capire il perché
l’essere umano accumula, poi ci sono i casi estremi. Però a me interessa capire i motivi.
Per dirti, io mi autoanalizzo anche: io non riesco ancora a buttare via i miei fumetti, cioè
li butterò ma prima li voglio rileggere. Quindi prima analizzo me stessa e cerco di capire...
ognuno ha la sua storia: anch’io ho quel cassetto pieno di roba che non butto, perché il
giorno che lo apro, voglio guardare le cose una alla volta. Non è tanto grande, quindi non

LXX
accumulo molti oggetti, ma ho quel cassetto, come avranno in tanti, più o meno tutti,
pieno zeppo di roba, che so che un giorno andrà, anche se non tutta, buttata...”]

[Simone] Ecco, dal mio punto di vista, io una cosa del genere non la butterei mai, perché
è qualcosa che ha fatto parte della mia vita, ha fatto parte della mia storia, e quindi ho
bisogno di conservare qualcosa che fa parte della mia storia.

[“Non mi vedo a portarmela dietro per tutta la vita. Io ne sento un po’ il bisogno: prima o
poi quella roba la sgancio.”]

[Simone] ...Fare spazio! Per... stavo per dire per accumulare (...fare spazio per
reinserire...). Il mio bisogno di incasellare è legato a quello di capire il senso… Ma se io
ti dicessi... così, come considerazione... Che gusto c’è nello studiare un qualcosa che è
evidente? Non è facile spiegarlo questo concetto, cioè quello che dicevi prima è
palesemente condivisibile: gli “estremi”, ecc. Che gusto c’è a studiare, o comunque a
valutare quelle cose, quando quelle sono tra virgolette - passami il termine - “palesemente
incasellabili” e non studiare e comunque interessarsi di quella che è la marea di grigi che
più o meno si avvicina a quelli che sono casi di DA. È anche vero che se tutti facessero
questo discorso, le malattie rare non le studierebbe nessuno...

[Luisa] ...Sarebbe un problema...

[“Nella la mia tesi mi occupo dei cosiddetti “neri”, e a me interessano comunque molto i
grigi. Anzi, forse soprattutto i grigi.”]

[Simone] Forse mi sono espresso male. Apparentemente i neri sono classificati come
certi. I grigi, cioè quelli che noi abbiamo identificato come grigi, in realtà non hanno una
serie di certezze, spiegazioni, classificazioni... e quindi forse come fenomeno sicuramente
è più indeterminato, rispetto a quelli che noi abbiamo chiamati neri. Cioè va bene prestare
attenzione ai neri, però (bisognerebbe) interessarsi forse sempre di più rispetto a quelli
che sono i grigi, che poi alla fine rimangono tali.

LXXI
[“Non è detto secondo me che rimangano tali. Infatti è bene interessarsene come
prevenzione per quelli che diventerebbero neri. Non tutti ma alcuni sì.”]

[Simone] Diventerebbero neri, cioè, con una classificazione, con una spiegazione?

[“Sì. Infatti è interessante, appunto, (mi sembra che diciamo la stessa cosa) perché i grigi
ti possono illuminare sul problema dell’accumulo... I neri è conclamato: li puoi solo
aiutare nel modo migliore possibile: le tecniche ci sono, le strategie di intervento ci sono...
ci puoi provare, non è detto che ci sia sempre un successo. I grigi ti danno modo di capire,
perché sei qualche step indietro, forse. Puoi comprendere meglio e puoi fare anche
prevenzione, che è un’ottima cosa. Concentrarmi anche sui grigi mi interessa e mi piace
perché mi stimola già ad immaginare delle attività di prevenzione, in qualche modo. Poi
ve ne parlerò, stanno un po’ maturando lentamente delle idee, però questi grigi dovranno
seriamente essere presi in considerazione: tutti, perché arrivano probabilmente a
comprendere molte persone. Stimano, sempre nel DSM-5, che la prevalenza del disturbo
sia del 5% e studiosi e ricercatori ipotizzano che sia sottostimato, oltretutto, e stiamo
parlando di quelli che abbiamo definito i neri. Quindi questi neri nella popolazione sono
sottostimati e probabilmente sono anche di più rispetto al 5%: questa è la punta
dell’iceberg, quindi è veramente importante andare a rendersi conto di cosa c’è sotto la
punta dell’iceberg. Dal mio punto di vista, non c’è neanche una persona a cui io parlo e
mi chiede “ah, ti laurei! Cosa fai di tesi?”, neanche una che non mi dica “io conosco una
persona...”. Quindi, è interessante: è una tendenza che merita di essere approfondita.”]

[Simone] Quanto viene dato di importanza - perché credo che anche questa sia una cosa
che personalmente, con tutte le realtà con le quali sono entrato in contatto dal punto di
vista specialistico - mi riferisco a medici, a psichiatri... Quanta importanza viene data a
quello che è il trascorso di una persona? Cioè, non può essere che questa marea di grigi
diventi tale proprio per quello che è anche il trascorso di una persona?

[“Ci sono tanti tipi di intervento, ci sono diversi approcci e orientamenti, diversi metodi
e diverse tecniche, quindi i tipi di intervento che possono essere fatti, a seconda

LXXII
dell’orientamento e di chi lo fa, sono diversi. Certamente si prendono in considerazione i
vissuti della persona, e insieme si cerca di trovare una soluzione.”]

[Simone] Certo, “problema - soluzione”, un po’ quello che diceva Luisa. Ovviamente è
importante curare queste patologie, rare o frequenti che siano, però credo che sia
altrettanto importante riuscire a capire come si arriva a queste patologie, perché se non si
arriva a capire come ci arrivi…

[Luisa] È importante, questo.

[Simone] Eh! Se non capisci come ci arrivi... Vabbe’, ora stiamo parlando e ampliando...
Io mi rendo conto che forse ognuno di noi è un caso a sé, a prescindere, e quindi o c’è
quello che è perfettamente a posto, e vabbe’, ha tutta la mia ammirazione e un pizzico di
invidia... O sennò veramente, è anche il risultato della vita che facciamo degli ultimi
sessant’anni... Veramente io penso che la qualità della vita negli ultimi 60 anni è scaduta
in modo deleterio... Boh. Le giraffe ci hanno messo millenni a passare dal collo basso al
collo alto... noi mi sa che nell’arco di sessant’anni ci siamo rovinati con quello che non
siamo riusciti a rovinarci in migliaia di anni... ma interrompiamo questo discorso, sennò
ci porta fuori tema.

[“Io vi ho chiesto inizialmente secondo voi che cos’era il disturbo. L’altra domanda che
mi veniva da farvi...”]

[Simone] Ti abbiamo risposto? forse no.

[“Sì certo, e poi ci sarà modo di riparlarne... l’altra domanda che mi veniva in mente era
se avevate visto con i vostri occhi casi legati alla vostra clientela che assolutamente
definireste come casi di disturbo da accumulo, senza fare nomi e cognomi, nel pieno
rispetto della privacy: ambienti/garage che avete potuto osservare, familiari che avete
potuto incontrare... se vi è capitato.”]

LXXIII
[Luisa] Io no personalmente, a parte questa di cui ho sentito dire. Fondamentalmente
vengono a vendere o cercare oggetti e capisci un po’ la tipologia delle persone. Come una
cliente che è “folle di” apparecchiature (stoviglie, posate, bicchieri, serviti da tè...) e fa
apparecchiature di ogni genere. Sono in due in casa, lei e il marito, però lei viene qui e
compra serviti da 12 perché invita tanta gente. Lei ha proprio la mania
dell’apparecchiatura: se quando arriva, per esempio io ho messo le posate in un certo
modo, lei le sposta perché devono stare così e non cosà. Secondo me anche quelle
“fissazioni” sono una sorta di disturbo compulsivo. Lei compra qui, va a Mercatopoli, va
a Firenze alla Richard-Ginori, va e ne compra in quantità industriale, ciottolame vario.
C’ha una casa di 500 metri quadri e poi mi ha detto che le manca lo spazio dove metterli,
e poi ne porta altri a vendere: son proprio belle, fanno gusto. Come l’altra signora di cui
ti parlavo prima, che fa tanti acquisti, poi però, vai in casa sua (ne ha due, piccoline) e
vedi che è un accumulo ordinato e organizzato.

[Simone] Per la nostra esperienza è singolare anche il fatto che questo discorso
dell’accumulo è molto più marcato in persone di una certa età e non in persone di un’altra
età; per esempio dai 20-25 anni in giù questo fenomeno - per quello che ne so io - è meno
evidente.

[“Infatti solitamente arriva a svilupparsi e si vede intorno ai 40…”]

[Simone] Secondo te, meno tempo o stimoli decisamente diversi rispetto alle altre persone
(più adulte) che possono avere avuto esperienze...?

[Luisa] Meno tempo, direi!

[“Ci possiamo fare questa domanda. Può essere tutte e due le cose. Vedi i fratelli Collyer:
negli anni ‘30 c’erano già casi conclamati di accumulo...”]

[Simone] ...negli anni ‘30 non c’erano certo gli stimoli che ci sono adesso...

LXXIV
[Luisa] Io direi subentrano anche altre componenti: a vent’anni non hai uno stipendio,
non hai una tua vita, non hai una tua casa, non hai nemmeno la possibilità di mettere in
pratica questo accumulo.

[“È vero, anche se puoi comunque accumulare in camera tua mucchi di oggetti che trovi
o ti ritrovi (conchiglie, foglie, quaderni,...). o che ti vengono dati gratuitamente (se sei già
in qualche modo con una tendenza all’accumulo). Ci sono anche DA riscontrati nei
bambini. I trattamenti dei bimbi funzionano molto ma sono casi che sono da trattare
precocemente da parte di specialisti. Di solito sono casi legati ad eventi importanti nel
vissuto di questi bambini che arrivano a causare il DA come conseguenza. Un mio amico
mi raccontava della nipotina, per esempio. Tutti i bimbi lo fanno di accumulare qualcosina
e fino ad un certo punto è normale. Quando superano un certo limite, quello però può
essere un campanello d’allarme, e può peggiorare nel tempo. Ci sono come dei salti: 20
anni, 30 anni è peggio, a 40 è quasi conclamato…”]

[Simone] ...e noi non avevamo tutta questa tecnologia digitale...

[Luisa] ...ora c’è anche l’accumulo dentro il computer.

[“Ora c’è anche questo…”]

[Simone] ...accumulo dentro il computer… del quale sono stato vittima anch’io, per un
periodo, ma lì era il desiderio di avere una banca dati pressoché illimitata, “caso mai”,
“caso mai”... in realtà poi non credo che venga mai in futuro, questo caso, e infatti son
venti mesi che non accumulo più.

[Luisa] Lui quando accumula, accumula sul serio.

[Simone] Sì, sì. Magari... poi effettivamente... c’è sempre il fatto che se ti interessi di
qualcosa, magari se vedi qualcosa che ti interessa, ti viene fatto di dire “lo metto da parte
perché può servirmi”. Poi ti rendi conto che... insomma ... forse...

LXXV
[Luisa] Questo magari è un comportamento che abbiamo un po’ tutti. [Dopo aver
ringraziato un cliente che ha fatto i complimenti per una Vespa esposta nel negozio ed
aver chiarito che appartiene a suo padre e non è in vendita, afferma che se fosse stata sua
l’avrebbe venduta]. Se una cosa - bella e valida - deve rimanere inutilizzata, io l’avrei
venduta subito, da vera non-accumulatrice. Ecco, mio padre potrebbe essere un
accumulatore, però avendo sempre avuto accanto mia madre che... gli ha tagliato le gambe
e quindi non ha mai accumulato!

[Simone] ...Un pochino come il socio e la socia (ridono tutti)

[Luisa] Il mio babbo è un caso da studiare, per esempio perché lui dispone vari oggetti su
un tavolo riposizionandoli più volte con un ordine ben preciso. Poi questi che scarta li
butterà via nell’anno - più tardi possibile - e poi li butterò via io: questi rimangono qui,
non si muovono. Per quanto riguarda i fogli [documenti] se vai in ufficio, c’ha ancora
quelli dal primo lavoro che ha fatto negli anni ‘60: la prima casa penso l’abbia fatta nel
‘60 o forse prima... Ha 81 anni. Lui potrebbe essere un accumulatore, “diverso” però...

[Simone] ...un altro grigio!

[Luisa] Ci sono tanti casi di accumulo [ci sono tante sfumature nel fenomeno
dell’accumulo]... Se si parla di accumulo, come dicevo prima, bianchi per me non ne
esistono, perché un po’ tutti siamo/possiamo dirci accumulatori, chi in un verso chi in un
altro, anche con pochi oggetti, ma sempre di accumulo si tratta. Per esempio anche a
proposito del computer e di quando scarico le foto, io per esempio mi posso definire una
“folle di foto”, quindi mi posso considerare un’accumulatrice di foto: accumulo foto nel
senso che tutte quelle che mi arrivano sul telefonino io ce le lascio, anche quelle banali o
scherzose.

[“Perché una certa foto ti ricorda un dato momento, ti piace ricordare...”]

[Luisa] È quello.

LXXVI
[“Forse anche perché la memoria virtuale nell’hard disk non ti dà l’idea di avere un
cassetto pieno di foto?”]

[Luisa] Brava.

[“La memoria virtuale ti dà la sensazione di essere più leggera (almeno a me).”]

[Luisa] A me piacerebbe invece avere le foto stampate. A me mi garbano da mori’ le


foto... Quando vado a casa dal mio babbo, ha miliardi di foto, lui che le ha sempre fatte,
fin da quando eravamo piccini, quindi ce n’è tantissime... anche perché prima erano solo
così, non c’erano macchine digitali. Ora ha smesso di farle: da che è venuto il digitale ne
fa poche o nulla. Ogni tanto ci prova col telefonino, ma insomma... a me fa proprio gusto
rivedere le foto stampate.

[“Cose di un’altra generazione, anche i miei le stampavano dal rullino.”]

[Luisa] Quindi ribadisco che per me ci sono tante sfumature - di vario genere - nel
fenomeno dell’accumulo, fino ad arrivare ai casi estremi e patologici, e quindi ci è
rientrato anche lui [il socio, Simone].

[Rivolgendomi a Simone: “Ho veramente l’impressione che questo posto ti abbia giovato
molto.”]

[Luisa] ...Sì, anche secondo me.

[Simone] Sì. Alla fine mi ha dato la possibilità di... L’avrei potuto fare in qualsiasi altro
posto, no? Portare la roba, però...

[Luisa] Per quello che mi ricordo, tu non sei mai andato in un mercatino a vendere, sei
sempre solo andato a comprare.

[Simone] A vendere che io mi ricordi, mai.

LXXVII
[Luisa] Ecco. Invece qui ha cominciato a vendere le sue cose. Anche a prezzi irrisori,
come si diceva prima... però pian piano col tartasso della socia [riferendosi
scherzosamente a se stessa], sicuramente con la spinta iniziale di riempire la mostra del
negozio, e di nuovo con lo stimolo quotidiano della socia, ma quest’ultimo più che altro
all’inizio. Gli dissi “socio non va bene, così”. Quando andai a casa sua e s’arrivò poi
entrammo in camera, io la guardai e rimasi quasi senza parole e poi gli feci “te non sei a
posto, te c’hai dei problemi”. Ci rimasi male, anche se mi aveva raccontato e mi aspettavo
quello che avrei trovato. Lui mi ci volle portare; lo sa che sono sincera e quindi si vede
che gli serviva sentire come la pensavo, anche a costo di scioccarmi totalmente.

[Simone] ...In effetti non sono neanche aiutato dallo spazio: non è che è un cane o un
gatto che si morda la coda...

[Luisa] Te se avevi altri cento metri quadri, riempivi anche quelli, perché hai già tre
cantine piene...

[Simone] Di sicuro! ...Le cantine piene ora non più, grazie all’alluvione e in parte per
quello che sto portando via, però 36 metri quadri di casa più 21 metri quadri delle
terrazze…

[Luisa] ...perché a vederla sembra più grande, poi l’ha riempita talmente tanto...

[Simone] Quindi, già la casa non è che desse la possibilità di riempirla tanto... e io invece
me la sono presa. Io penso adesso di accumulare meno, e anzi: più di qualche cosa ho
cominciato anche a venderla. Anche gli aerei a Claudio; ho venduto della roba a questa
persona, che d’accordo che è monotematico, ma avere un’intera casa e un intero
seminterrato e tappezzarli di scatole scatoline e scatoloni, sarà anche monotematico, ma
a me non mi sembra tanto normale.

[Luisa] Oh, ma te non sei mica così diverso. Ce la porto di là? [accennando a me]... Poi
me lo dice lei...

LXXVIII
[Simone] Sì, sì. Tieni conto che di là o giù c’è buona parte della roba che ho dovuto
salvare dalle cantine...

[Luisa] E in ufficio?

[Simone] No! In ufficio sta cambiando da così a così (l’ufficio dove lavoro, come
Ingegnere). Te l’ho detto: uno dei motivi per i quali mi sono fermato qui, è che ho
cominciato a portare via la roba e a risistemarla nel garage. Senti, se devo essere sincero,
ce n’è sempre tanta, però rispetto a prima è decisamente di meno. E non solo ce n’è di
meno: non la sto neanche reintegrando. E questo è il valore aggiunto vero e proprio. Mi
permetto di soffermarmi su questo.

[Luisa] Questo è vero, ed è un’altra “minaccia” che gli ho fatto.

[Simone] Non la sto reintegrando se non per qualche fesseria, per carità. Guarda che
questo è il vero valore aggiunto.

[“Un successo direi, oltre che valore aggiunto.”]

[Simone] Guarda, effettivamente per una serie di motivi. Primo, perché veramente non
ne sento più il bisogno. Da un po’ di tempo a questa parte, sarà forse l’essere preso da
una serie di problematiche, ma non ne sento il bisogno, e poi, detto proprio anche
francamente, ma non ho neanche un euro per poterlo fare. Quindi sono due situazioni...
Vedi per esempio mi capita, c’è stato un periodo, ma questo un po’ di tempo fa, in cui
avevo deciso - proprio perché una parte di queste scatole alla fine non le riesco a costruire,
quindi quell’oggetto non me lo godo, resta nella scatola anche se lui è nato dalla fabbrica
nella scatola - allora c’è stato un periodo in cui mi son detto, per potermi godere qualcosa,
visto che io ho fatto svariati settori di collezionismo nel modellismo, tra cui le
automobiline, ho cominciato a prenderne alcune, però in quel caso sempre a stock, sempre
se era conveniente, facendo più un discorso di quantità che di qualità. È da svariate
settimane che guardo gli stessi annunci che guardavo tre o quattr’anni fa... ma sai quando
dici... con distacco, con disinteresse. Magari c’è qualche volta che dici “se ce li avessi (i

LXXIX
soldi), questo qui lo prenderei”, però no. Ecco, per me è veramente questo qui, il successo,
perché non ho più quell’interesse, quel desiderio. Mi piace sempre, eh, ogni tanto ci
penso. Domenica scorsa mi son fatto una passeggiata con la mia compagna a Viareggio.
Siamo stati un paio d’ore. Lì c’è un negozio di modellismo in Passeggiata dove io entro
sempre, comunque e a prescindere. Lì veramente è interessante. Io ho seguito
l’evoluzione di quel negoziante, è tremendo, è proprio strano: io mi ricordo il suo negozio
- ho cominciato a frequentarlo più di una decina di anni fa - e come una parte dei negozi
ha quattro pareti di cui due di vetrine. Nelle vetrine ha la parte esposta verso l’esterno e
poi accanto a questa ha dei contenitori, degli espositori, disposti a questo punto su almeno
tre pareti. Piano piano ha cominciato a mettere accanto una seconda fila di espositori.
Adesso lui ha una terza fila di espositori, dove tu passi al centro avanti e indietro. Dal mio
punto di vista è un negozio che non serve a niente, perché tu quello che sta nel primo
espositore non lo vedrai mai, perché ne ha messi due davanti di espositori che non potrai
mai togliere... Ti ricordi il Tetris? Uguale! Uno che ha un negozio così, dal mio punto di
vista, o non ha bisogno di vendere o c’ha qualche problema.

[Luisa] Non la sa disporre, non la sa organizzare, la sua merce...

[Simone] Tu vedi solamente quello che hai nell’espositore più vicino...

[Luisa] Non è facile esporre bene la roba, specie quando è in quantità industriali: io poi
sono maniacale per certi tipi di ordine...

[Simone] Per me è immensamente facile capire che lui non solo non la sa sistemare la sua
roba, ma c’ha “qualcosa”. Lui ha un’intera scaffalatura coperta da un’altra intera
scaffalatura, ma ne ha addirittura anche un’altra alta uguale... Al di là di questo, sono
entrato in questo negozio e questo signore ha cominciato a fare una svendita sui modelli
delle auto in scala 1 a 18. Lì per lì sono rimasto colpito, poi gli ho chiesto il prezzo, e poi
“Con tutto lo sconto?”… E poi gli ho detto “Tieniteli, non è il caso” e sono uscito.

[Luisa] ...Sicuramente la cosa un po’ è cambiata ma secondo me se tu avessi avuto 100 €


in tasca e ti avesse detto che costava 1 €, te lo compravi...

LXXX
[Simone] No, perché se ne avessi avuti in tasca 1.000 €, potevo comprarne 15 o 10;
avendone 100 €, potevano essere 2. Pur avendo 100 o 200 o 250 € sul conto, ne avrei
potuto comprare 1. La proporzione è la stessa, capito? In realtà, non l’ho comprato perché
mi sono detto “vabbe’, ti piacciono, son belli, te chissà da quanto li cerchi, però tieniti
questi che non è male”. Quindi in proporzione è la stessa cosa. Ecco perché ti dicevo...
Credo, poi non lo so, quando ho 1.000 € vediamo cosa succede, magari ci faccio un salto.
Devo essere sincero: forse con una disponibilità di 1.000 € forse un paio ne avrei presi,
però non di più perché è importante invertire la rotta.
C’è quello che colleziona carri armati della prima, della seconda guerra mondiale, e
diventa impossibile... cioè, non puoi collezionare tutto di tutto. Perché se lo fai - se
collezioni tutto di tutto - rientri un pochino verso la categoria dei “grigi”, un pochino più
spostati verso il “nero” [il DA]. Quindi un conto è il collezionismo... Forse questo suo
amico, Bruno, però anche lì… hai qualcosa di patologico, perché se hai difficoltà
economica, non dirotti parte dei tuoi capitali su questa cosa. Tu dici: “può essere un
investimento”... vabbè, per carità. Ecco, io la penso a questa maniera. Ehm, boh…

[Ringrazio per la disponibilità all’intervista: “Mi ha fatto piacere conoscere il vostro


punto di vista, dato che osservate comunque situazioni simili, e anche avere un’idea di
cosa è secondo voi il disturbo da accumulo e conoscere le vostre opinioni in merito. Già
sapere questo per me è molto interessante.”]

[Simone] Insomma. Se abbiamo contribuito, contribuiamo a una cosa che fa piacere.


Sicuramente nella tua tesi è più importante concentrarsi sui neri più che sui grigi…

[Commento: “A me interessano entrambi. Alcuni grigi potrebbero avere una tendenza a


diventare dei neri, nel tempo. Penso che questo mercatino, come anche tutti gli altri
presenti sul territorio, sia un “bacino” a cui forse possono facilmente attingere i grigi/neri
- chiamiamoli così - e che forse voi gestori avete più occasione di incontrare queste
persone, rispetto a psichiatri o assistenti sociali che mi sembra vengano a conoscenza
molto tardi di questo genere di situazioni, quando ormai sono anche abbastanza gravi. I
“neri”, quelli molto gravi e conosciuti dai servizi, sono pochi - 2-3 casi l’anno - cioè

LXXXI
relativamente son pochi ma in realtà non son (così) pochi... ma i grigi son tanti! E con
loro credo si potrebbe fare molto per non arrivare a gradazioni ancora più scure…”.]

[Simone] Io ho la sensazione che tanti grigi (ormai li chiamiamo così) non sono convinti
di essere grigi…

[“Certo, forse è così… bisogna capire se il grigio è consapevole del proprio colore.”]

[Simone] Sì, può darsi che i “malati” sono loro. Comunque senti: come in tutte le cose se
ti metti in discussione, se cerchi di capire… perché se tu veramente parli con alcune
persone, la normalità è la loro. Quando poi magari la guardi dal di fuori, ti rendi conto -
come considerazione, non è che uno dà un giudizio - ti rendi conto che forse proprio tutta
questa normalità che alcuni credono non è. Ecco, anche quello lì: è il volersi mettere in
discussione, è la capacità di cercare di capire…

[“Certo, alcuni non si rendono conto, altri un po’ di più. Questo è importante, questo fa
molta differenza.”]

LXXXII
4a trascrizione: intervista a un familiare: Giovanna, figlia di genitori probabilmente
accumulatori.

[Duranti i primi 15 minuti di intervista, non registrati a causa di un errore, l’intervistata


mi racconta i primi anni della sua infanzia in cui la sua famiglia viveva in un appartamento
situato al Lido di Venezia. Quando aveva 8 anni la famiglia si è trasferita in campagna in
Toscana, in una casa a due piani. Mi racconta che nella nuova casa abitavano al piano
superiore mentre il piano terra era completamente occupato da scatoloni. La madre
dell’intervistata negli anni successivi al trasloco ha continuato ad usare sempre la stessa
giustificazione con gli ospiti che entravano in casa: “Stiamo traslocando”. Giovanna mi
racconta della difficoltà che ha incontrato nel descrivere il proprio imbarazzo e nel cercare
di far ammettere il problema alla madre. Mi racconta che la casa dove si erano trasferiti
era molto disordinata e che quando le capitava ad esempio di sistemare il salotto doveva
spostare molti oggetti. Dopo avere finito le operazioni di pulizia rimetteva qualche
oggetto sul divano, per non far sentire sola sua madre. La percezione di Giovanna è che
gli oggetti tenessero compagnia alla madre.]

[Giovanna] Anche quando abitavamo al Lido in realtà a volte mi sentivo lasciata un po’
a me stessa, soprattutto per la pulizia, però condividevo la camera con mia sorella e
comunque la casa era un appartamento, era più semplice da tenere per cui questo
problema [di incapacità di organizzare e tenere pulito] non c’era, io giocavo per terra... e
la casa al Lido me la ricordo pulita. Da quando siamo andati ad abitare lì in campagna,
dagli 8 anni in poi, mia mamma mi brontolava molto per il disordine; ricordo che insisteva
tantissimo perché mi rifacessi il letto. Abbiamo ovviamente avuto difficoltà perché la casa
era da mettere a posto. Io ero sicuramente disordinata, però… forse mia mamma me lo
rifaceva anche il letto, a volte sì a volte no, non ricordo con precisione, però non mi
rimetteva a posto le cose, cioè non mi ha aiutata in maniera costante, perché sennò me lo
ricorderei, invece mi ricordo di più che mi rimproverava per il fatto che fossi disordinata.
Non mi ricordo un educarmi a tenere a posto le cose, sinceramente.
Ricordo mia sorella, che quando entravo a casa sua mollavo lì la valigia per salutarla e lei
già mi diceva “...Eh! La valigia si lascia lì?” e così io ancora oggi quando entro a casa di
mia sorella la saluto con ancora la valigia in mano e poi porto subito la valigia in camera

LXXXIII
degli ospiti, subito in automatico. Per me mia sorella - e di questo mi ricordo - era una
rompiscatole [una che mi stimolava con insistenza alla precisione e all’ordine], invece di
mia madre non mi ricordo tanto questo aspetto riguardo alla mia camera ma ricordo il
fatto che lei mi faceva sempre sentire in colpa; abbiamo avuto difficoltà perché “la casa
era comunque da mettere a posto”. Io quello che ricordo di quando ero piccola è un
costante, continuo senso di colpa di tutto quello che avevamo intorno perché c’era casino
[disordine] ma lei non si faceva aiutare e non te lo chiedeva mai, ma dava per scontato
che tu lo dovevi fare, e se lo facevi, ti diceva di non farlo, e così via. Niente era comodo,
nulla era pulito, però ricadeva su di me questa mancanza di organizzazione anche nel mio
piccolo riguardo alla mia pulizia personale, della mia camera, ecc. e così mi sentivo in
colpa, per esempio se la mia camera non era pulita o era in disordine o - che so - se mi
puzzavano i piedi, e così via.

[Mi accerto del fatto che era carente la pulizia personale.]

[Giovanna] Infatti ero seguita poco anche dal punto di vista della pulizia personale. Ora
invece sinceramente parlando da adulta [mettendomi nei panni di un genitore nei
confronti di un figlio] penso che - caspita! - certe cose riesci a seguirle.
Una volta parlandone con mia sorella è venuto fuori che anche lei ha avuto di questi
problemi e - nonostante abbiamo tanti [quindici] anni di differenza eccetera - mi stupì
quella volta perché a proposito della pulizia diceva di sentirsi diversa, più sporca; lì lei si
è stupita della coincidenza di sensazioni ed è rimasta male “caspita, ma lo sai che anch’io”
... e diceva “io c’ero, potevo fare qualcosa io” e c’è rimasta anche male, perché non se
l’aspettava, ammettendo con me che “vedi, alla fine la mamma è la mamma” anche se i
fratelli pensano che “c’ero io accanto a te, per te”, ma la presenza della mamma era
fondamentale, nel bene e nel male. Questo è un male per così dire relativo riguardando
un problema relativo.

[Concordo sul fatto che ci son cose peggiori.]

[Giovanna] Ma è un dato di fatto che la mamma è la mamma e l’influenza della mamma


suoi propri figli è unica nel suo genere, e c’è poco da fare.

LXXXIV
[Chiedo quanti anni aveva quando la mamma continuava a giustificare la permanenza
degli scatoloni con la “scusa” del trasloco.]

[Giovanna] “Sicuramente avevo 12 anni…”

[All’epoca del trasloco dall’appartamento del Lido alla casa su due piani nella campagna
toscana, l’intervistata aveva 8 anni; al piano terreno sono stati mantenuti indefinitamente
“tutta la vita” [testualmente] scatoloni e imballaggi con la giustificazione del “recente
trasferimento”. Giovanna ha un ricordo preciso di quando aveva 12 anni e attendeva la
visita di Sara, una sua amichetta e coetanea, conosciuta all’età di 12 anni appunto e che
arrivò accompagnata dalla mamma di lei, che quando arrivò si sedette fuori in giardino
su una sedia ad un tavolo, ma senza toccare niente, col sorriso e apparentemente senza
mostrarsi a disagio però Giovanna ricorda che il tavolo era sporchissimo da non potercisi
nemmeno appoggiare e lei si sentì fortemente a disagio e umiliata perché a casa di Sara
tutto era lindo malgrado l’abitazione fosse più grande di quella di Giovanna; la sua amica
viveva in una camera da sola. Giovanna ricorda che quando qualcuno doveva andare a
trovarli lei si sentiva a disagio e voleva riordinare e pulire, e sollecitava la mamma ma
ottenendo solo il ritornello “ma vedi che siamo in trasloco”, mentre per Giovanna era
evidente che ormai non lo erano più. Chiedo conferma dei pensieri e delle intenzioni e
degli sforzi di Giovanna di riordinare e pulire. Giovanna conferma: quando attendevano
visite Giovanna pensava di fare qualcosa in proposito e puliva moltissimo la casa
arrivando anche a riuscire nel suo scopo, ma se qualcuno arrivava all’improvviso
Giovanna si sentiva in imbarazzo, per esempio che la gente entrasse nel bagno. Chiedo
come mai, in che condizioni fosse il bagno. Giovanna afferma fosse in condizioni
“oscene”. Racconta che una volta arrivò una cuginetta col fratellino piccolo e lui, con
l’ingenuità e la semplicità dei bambini che dicono quello che pensano senza filtri, chiese
a Giovanna come mai il loro bagno fosse così sporco. All’epoca Giovanna pensava che i
bagni fossero tutti così come il loro, ma poi crescendo si è resa conto che un bagno può
essere pulito. Faccio notare a Giovanna come i suoi ricordi siano vividi e precisi.
Giovanna conferma che ricorda bene anche tanti altri episodi (“una vita intera!”) ma
proprio perché le pesavano. Chiedo a Giovanna se lei non ha mai pensato di coinvolgere
le istituzioni di propria iniziativa in merito al problema di sua madre, o se non lo avesse

LXXXV
ritenuto così grave. Giovanna afferma di non averci pensato sia perché non riteneva che
il problema fosse giunto a livelli di gravità inaccettabile sia perché il DA non era un
argomento su cui si sollevasse minimamente l’attenzione venticinque anni fa: “non se ne
parlava”. Tuttavia Giovanna ricorda che quando lei entrava nella camera della nonna che
viveva nella stessa casa non loro, notava la differenza: era tenuta bene, pulita e linda e
tutta ordinata. Chiedo di precisare se la camera della nonna fosse in quella stessa casa o
in un’altra abitazione. Giovanna conferma che era nella stessa casa. Chiedo allora cosa
dicesse o facesse la nonna a proposito del comportamento della mamma di Giovanna e
dello stato del resto della casa. Giovanna ricorda solo che la nonna teneva bene la sua
camera ma non ricorda il contegno della nonna nei confronti della sporcizia nel resto della
casa; non ricorda né che fosse infastidita né che criticasse la mamma - a parte collaborare
nel rigovernare le stoviglie - né che l’aiutasse a pulire gli spazi comuni. Non sa se ne
parlassero fra loro in disparte, fra lei e i suoi fratelli. Invece un altro ricordo riguarda il
fatto che a casa di Giovanna non si poteva camminare scalzi. A tale proposito ricorda un
episodio: la sua mamma cucinava benissimo, così la loro casa era molto aperta ed avevano
spesso ospiti. Una volta avevano ospiti una coppia di amici dei suoi genitori che erano
venuti dal Lido; lei era rimasta con loro in salotto a guardare la televisione e ricorda che
queste persone ridacchiavano fra di loro per il fatto di essersi sporcati i piedi ma senza
lamentarsi che c’era sporco, così lei si sentì in imbarazzo riconoscendo fra sé e sé “guarda
che sudicio!” e che evidentemente erano persone abituate a stare nel pulito, mentre la sua
casa non era pulita. Un altro suo ricordo riguarda un’occasione in cui avevano come ospiti
dei cugini, e in particolare una sua cugina che dormiva in camera con lei: andò in bagno
e poi tornò scalza dicendo che era andata per lavarsi i piedi ed era tornata che erano di
nuovo sporchi. Tutti questi messaggi che Giovanna recepiva le facevano capire che la
situazione in cui viveva a casa sua non era “tanto normale”.
Chiedo conferma: “Se ho capito bene di tentativi di sbloccare i problemi ce ne sono stati
solo da parte tua e non da parte della nonna né della mamma?”. Giovanna ammette che
era difficile tenere a posto quella casa in campagna, ma pensa “nel suo piccolo che lei era
nel casino e che la sua camera era sempre sporca e in disordine e infine che non si vive
bene così, che è una fatica vivere così”. Chiedo a Giovanna se, pur essendo lei abituata a
quella situazione, lei contrastava in qualche modo la mamma o meno. Giovanna si ricorda
che una volta, pur chiedendo scusa alla mamma di criticarla, l’ha rimproverata, dicendole

LXXXVI
che non era una brava casalinga, perché malgrado Giovanna ci tenesse e si impegnasse a
sistemare e facesse attenzione a mantenere il decoro, la casa era sempre in condizioni
pietose. Chiedo precisazioni sull’atteggiamento della madre, se per esempio si
lamentasse. Giovanna ricorda che la madre non si lamentava, ma si giustificava per
disordine e sporco, affermando che “non ce la faceva” e nonostante ciò non chiedeva
aiuto né metteva delle regole per tentare di rimediare e di migliorare la situazione, e
neppure si organizzava e cercava di insegnare a Giovanna come fare. A tale proposito a
sua volta Giovanna giustifica la madre concedendole che l’incapacità di organizzarsi sia
un problema “suo” costitutivo, chissà da cosa originato, o forse derivato dalle circostanze
che nell’appartamentino occupato precedentemente al Lido forse tutto era più semplice
perché di dimensioni ridotte e col vantaggio di un aiuto da parte della figlia maggiore che
riusciva a compensare le mancanze materne. Giovanna ricorda che quella del Lido era
una casa normale, organizzata e pulita; viceversa la madre non è mai riuscita ad
organizzare la casa in campagna che era enorme. Sicuramente ci saranno state delle volte
in cui la casa era pulita ma non era mai un impegno costante durante tutta la vita.
Richiamando le buone capacità come cuoca della mamma di G, le chiedo come fosse
tenuto questo ambiente in particolare. Malgrado la bravura della mamma in cucina,
Giovanna ricorda che anche questa stanza sicuramente non era pulita. Giovanna ricorda
che una volta, quando hanno avuto ospiti degli amici dei suoi e lei stava lavando le
stoviglie, una di questi amici che aiutava a riporle sottolineò scettica con un “ma tua
madre...” i limiti evidenti di questa donna per quanto riguardava ordine e pulizia.
Giovanna racconta che in quella casa di campagna tutti hanno sempre avuto l’idea di
aiutare, dare una mano, perché inizialmente era ancora un po’ grezza; era divertente
perché la gente si dava da fare e comunque se la gente andava da loro, per Giovanna ciò
significa che tutto sommato non doveva poi essere in condizioni orribili. La gente andava
a trovarli volentieri perché c’era da mangiare bene, e per godersi il giardino e gli animali.
Chiedo di quali animali si trattasse. Per il periodo di quando era più piccola Giovanna cita
“cani, gatti, e tutto il pollame possibile con galline, anatre e oche”. Chiedo come si è
evoluta la situazione nel tempo e quando Giovanna si è allontanata per la prosecuzione
dei suoi studi. Giovanna afferma che in seguito “è successo di tutto”. La casa in seguito
si è evoluta in Bed & Breakfast (B&B) con un’attività di affittacamere, per cui la famiglia
ha lasciato il piano superiore, destinato a zona notte, e ha dovuto trasferirsi al pianterreno

LXXXVII
con tutte le loro cose “e comprare una valanga di robe” [sottolineato più volte]. Affittando
a gruppi di decine di operai [che probabilmente lavoravano nelle campagne circostanti]
fu un periodo in cui si è reso necessario acquistare biancheria in proporzione; la mamma
di Giovanna si recava al mercato con Giovanna e comprava “in quantità industriale” cose
e biancheria ai banchi dell’usato, spendendo cifre notevoli. Chiedo che età avesse
Giovanna in questa fase, Giovanna risponde che all’epoca cominciarono a farsi aiutare da
alcune donne delle pulizie, ma allora Giovanna era grande: aveva 19 anni e in questa fase
ovviamente le stanze da affittare dovevano essere pulite ed effettivamente lo erano, con
l’aiuto di persone addette, ma in quanto ad organizzazione “ancora zero”. Infatti secondo
Giovanna in quel momento il fattore vincente era che la costruzione fosse bella e in una
bella posizione, e non tanto che la madre fosse riuscita ad organizzare una casa gradevole
e carina: “non ce la faceva”.
Negli anni successivi Giovanna si è trasferita a Padova e l’attività di B&B proseguiva
intestata a nome di Giovanna stessa, ma con gli anni alla fine “era assurdo il modo in cui
veniva gestita”. È andata bene per un po’ di tempo perché la madre era un’ottima cuoca,
poi veniva gente da tutto il mondo e il padre parlando varie lingue faceva il PR [Pubbliche
Relazioni. Il lavoro del padre si svolgeva sul mare, ma è andato in pensione quando
Giovanna aveva 12 anni]. Giovanna afferma che è stata una bellissima esperienza, però
sempre - ma soprattutto alla fine - i suoi genitori facevano delle cose “terribili”, per
esempio alla colazione erano arrivati a dare marmellata scaduta, perché non se ne
accorgevano nemmeno: la mamma riponeva le cose là, le lasciava là e poi le serviva ormai
scadute, e questo perché i suoi genitori non sapevano organizzarsi, e nemmeno riuscivano
a gettare via quanto acquistato in quantità non commisurata al bisogno e ormai scaduto,
arrivando addirittura a tentare di riciclarlo magari nell’alimentazione dei loro animali
(cani). Giovanna afferma che lei andava fuori di testa a tale proposito: “mamma, tu non
puoi dar roba scaduta, è una cosa tremenda”. Ricorda che tentare di modificare la loro
mentalità era veramente una fatica ed un’impresa durissima e che non trovava una fine,
perché Giovanna non riusciva a convincere i suoi genitori e a modificare i loro
comportamenti coi suoi ragionamenti. Giovanna afferma che adesso è tutto organizzato
ma perché lei ci si è dedicata allo sfinimento, dedicandosi a rimettere a posto la casa e
controllando le cose riposte nel frigo: ricorda che quando lei buttava via le cose scadute,
suo padre dietro le ritirava fuori dal sacchetto. “Se fosse andato qualcuno a controllare

LXXXVIII
l’igiene, era da denuncia”. Quando questo problema dei genitori ha cominciato a
interferire anche con la vita degli ospiti, Giovanna dice che “andò fuori di testa” [perse la
serenità], perché l’attività era a nome suo e quindi ne era legalmente responsabile, e poi
comunque perché “così non si fa” e quindi l’attività fu cessata e basta: pro forma
ufficialmente con la motivazione dell’età avanzata dei gestori, ma il motivo per Giovanna
non era la demenza senile [si parla di anni addietro quando le condizioni dei genitori erano
discrete] ma era che non ce la facevano ma per “quel motivo lì”, cioè per la loro incapacità
di gestione che infine fu giustificata coi limiti legati all’essere diventati anziani, ma in
realtà il motivo era legato alla mancata consapevolezza della scorrettezza del loro
comportamento nei confronti dei clienti e anche nei confronti della loro figlia: nel
frattempo Giovanna si era sentita sempre continuamente a disagio verso gli ospiti, quando
aveva dovuto mascherare e nascondere lo sporco e le cose che non andavano bene, il tutto
in un periodo in cui Giovanna nel frattempo viveva a Padova in casa con suo fratello, e a
detta sua loro due erano magari pure peggio [dei genitori].
Quando i genitori hanno cominciato a diventare vecchi e sempre meno autonomi e sempre
meno “autoconsumatori” di cose, era Giovanna che andava a casa loro con l’idea di
“pulire” ed è stata una fatica “incredibile, incredibile, incredibile… davvero
indescrivibile”. Addirittura per esempio vincendo la propria fobia nei confronti dei ragni,
che in campagna abbondano, Giovanna si è infilata in angoli inesplorati da anni ed ha
pulito dappertutto, e una volta - si ricorda la scena perché poi ne ha disegnato un fumetto
- ha tolto da un angolo sotto un radiatore, dove non arrivava nemmeno l’aspirapolvere,
un pezzo di ferro “che chissà da quanti secoli era lì”, probabilmente arrugginito,
sicuramente polveroso e coperto di ragnatele, e l’ha preso e buttato via, ma suo padre, che
la seguiva, guardò nel sacchetto della spazzatura che si portava dietro nelle pulizie, lo
trovò frugando nel sacchettone di plastica della spazzatura e lo recuperò, e tirandolo fuori
le chiese “perché lo avesse gettato via, un oggetto che non sapeva nemmeno di avere, e
da anni...” e senza considerare l’impegno e il sacrificio della figlia; a quel punto Giovanna
afferma di essere “andata fuori di testa”. D’altra parte era l’unica dei tre figli ad occuparsi
dei genitori, per quanto dica di essere negata per una simile responsabilità, rispetto alla
sorella; d’altra parte la sorella non andava più dai suoi e nemmeno il fratello voleva avere
a che fare con determinati problemi. Giovanna dice che loro - i suoi fratelli - non vivono

LXXXIX
il problema così come lei, perché al Lido tutto era diverso mentre in campagna ci ha
vissuto solo lei insieme ai genitori. Inoltre sua sorella “non ha nessunissimo problema”.]

[Giovanna] Sono stata io ad occuparmi di questa cosa. Piano piano ma la casa alla fine
ha preso delle sembianze piano piano normali a forza di buttar via cose un po’ alla volta.
Io non mi sento portata per un compito del genere, rispetto a mia sorella, ma mi son sentita
di farlo e l’ho fatto.

[Giovanna prosegue raccontandomi che poi hanno avuto la donna delle pulizie che piano
piano ha cominciato a seguirli ma inizialmente era in difficoltà perché non le facevano
pulire niente, solo le due sale, e non le facevano nemmeno entrare in cucina né in bagno
né in camera che erano un disastro [e quindi tutte le volte che Giovanna andava si metteva
a pulire personalmente bagno e cucina] “perché non esiste che delle persone anziane
stiano nel sudiciume in cucina così” [finché ora nell’ultimo anno – dopo anni – piano
piano dopo insistenza e persuasione son riusciti a convincere la madre a far pulire anche
la cucina dalla donna di servizio, ma adesso perché ormai la madre ha difficoltà a
muoversi e a fare e si è messa l’animo in pace ma la madre di Giovanna non permetteva
ancora di andare a pulire la sua camera. Giovanna l’ha pulita personalmente e “chissà da
quanti secoli non lo facevano”: ha trovato “cose incredibili”. Chiedo di esemplificare. Per
esempio Giovanna [incredibile a dirsi] ha pulito sotto il letto dei suoi genitori e ci ha
trovato escrementi di gatto. Inoltre la madre di Giovanna “tiene le persiane sempre
chiuse” perché [probabilmente] si vergogna; la mamma non dice queste cose però
Giovanna lo immagina perché “a casa loro non è che ci sia il viavai”, ma hanno dei vicini
che, se passano, probabilmente la madre teme che possano dare un’occhiata all’interno
della casa [e giudicare], e “lei non ha mai avuto la cura di mettere delle tende nella loro
camera matrimoniale, rendendola carina, e invece è scomoda e un’accozzaglia di un sacco
di roba da dove non è possibile togliere delle cose” e in questa accozzaglia tutte le volte
che può Giovanna cerca di mettere a posto e tutte le volte si impegna a fare “superpulizie”
con una “fatica incredibile”. Nell’ultimo periodo poi è stato deciso che queste due persone
anziane avessero un’assistente, che ora accettano mentre prima non volevano, e adesso
finalmente è tutto sotto controllo, perché c’è questa assistente che pulisce la loro camera
tutti i giorni. Essendo arrivati al punto di avere a che fare con due persone anziane con

XC
problemi legati all’età, è stato possibile prendere in mano la situazione, mentre con due
adulti validi imporsi era possibile solo fino ad un certo punto. Infatti per la madre e anche
il padre era brutto veder entrare Giovanna nella loro camera per pulire e non volevano:
“Smettila, Giovanna!”. Era questa la lotta: Giovanna si chiede come avrebbe potuto
lasciarli con indifferenza in certe condizioni. Per i suoi genitori era inconcepibile che lei
andasse a pulire la loro camera mentre per lei era inconcepibile che loro vivessero in quel
modo, in quelle condizioni. “È la storia della nostra vita! ...Continuamente così. Finché
sono emersi problemi più seri, tipicamente da anziani [incontinenza urinaria della madre]
e adesso anche se la camera è sempre da pulire, viene sempre pulita grazie all’assistente
che riesce a tenere la situazione sotto controllo.” Giovanna ammette che i suoi sporcano
anche meno “però c’è lo sgabuzzino che è impenetrabile”. Esprimo rammarico e stupore,
e chiedo spiegazioni in merito a tale situazione. Giovanna intende che di questa stanza
non si riesce ad organizzare riordino e pulizia e specifica che la stanza in questione era la
sua camera e piano piano è diventata lo sgabuzzino. Giovanna racconta che una volta ha
dormito in questa stanza ma al risveglio si è guardata intorno e si è resa conto che era
stata ridotta a una sorta di ripostiglio e si è lamentata con la madre, rifiutandosi di dormirci
da allora in poi. Quella in effetti è stata l’ultima volta in cui ha dormito in quella stanza e
da allora tutte le volte che torna a casa la madre le prepara una stanza al primo piano, che
era usata come camera degli ospiti, bella e ordinata, e dotata di bagno, camera che un
tempo era quella che apparteneva alla nonna. Giovanna sottolinea che in campagna data
la presenza di insetti eccetera non è semplice mantenere la loro casa pulita e in condizioni
decorose ma da allora sua madre raccomandava alle donne della pulizia di occuparsi della
camera destinata alla figlia, non la sua, mentre Giovanna suggeriva a sua madre di far
pulire piuttosto la cucina dalle donne delle pulizie mentre della camera a lei destinata se
ne sarebbe potuta occupare lei stessa. Tuttavia Giovanna ancora si chiede come sia potuto
venire in mente a sua madre di farla dormire in uno sgabuzzino e racconta che si era
trasferita in quella camerina quando avevano affittato una parte della casa [un
appartamento]. La famiglia si è spostata al piano inferiore e Giovanna è andata in questa
camerina dotata di un letto singolo, che poi è rimasta la stanza dove dormiva quando
tornava dalla città dove si era trasferita per motivi di studio. Giovanna ricorda che durante
questi soggiorni ripetutamente si era lamentata coi genitori di sentire strani rumori e in
seguito hanno trovato un nido di topi sotto il letto, che era uno di quelli che sotto hanno

XCI
una sorta di cassettone. Cosa che Giovanna ha scoperto anni dopo, perché questo fatto
sfuggì al padre che per tale indiscrezione fu anche rimproverato dalla moglie. Giovanna
ancora si indigna a ricordare: oltre a queste sgradite presenze animali - con relativi rumori
simili a un tarlo che rosicchia il legno - era comunque una camera umida e con l’armadio
con gli abiti che sapevano di muffa... Giovanna si chiede “come fosse possibile sopportare
di vivere in simili condizioni e non fuggire a Padova”, e ritiene tuttora inconcepibile
vivere con i suoi in simili condizioni. Periodicamente lei tornava a casa soggiornando in
questa stanza e si chiede come sua madre avesse potuto trascurare di pulirla
adeguatamente per accogliere la figlia in maniera adeguata, finché una volta durante le
sue trasferte a Padova questa tana di topi è stata scoperta ed eliminata. Esprimo il mio
stupore. Giovanna non ha difficoltà a riconoscere le problematicità legate al vivere in
campagna però, dice, la realtà della sua famiglia è quella di una donna che non riesce a
star dietro alle pulizie in una casa molto grande, perché c’erano troppe cose. “Mia madre
non butta niente. Avevamo di tutto e ...tornavano a casa con roba presa dalla spazzatura”.
Manifesto nuovamente il mio stupore. Giovanna racconta che un fatto in particolare la
faceva letteralmente “andare in bestia” e cioè che, mentre lei provava in tutti i modi a
mantenere pulita e ordinata la casa dei genitori, tornava [da Padova] e trovava che loro
avevano preso dalla spazzatura per esempio i materassi, o le poltrone, o una volta “una
seggiola bruttissima che non serviva a niente...”. Chiedo da chi dei due genitori partisse
questo tipo di iniziativa, Giovanna risponde che partiva da tutti e due; suo padre faceva
confusione senza problemi, incurante di ordine e pulizia e senza alcun gusto per le cose,
al punto che Giovanna afferma che se sua madre fosse stata una donna normale,
probabilmente si sarebbero lasciati. G non sa “chi ha rinforzato chi”, però erano concordi
sul non buttare nulla. Giovanna ricorda che quando suo padre - disordinatissimo - si
lamentava se nel prendere qualcosa crollava una valanga di altri oggetti, sua madre si
arrabbiava, perché essendo in due a ciascuno spettava l’onere di mettere a posto senza
aspettarsi che fosse dovuto l’occuparsene esclusivo da parte dell’altro e Giovanna afferma
che se si vive in una casa non è giusto rimproverare una persona per il caos, ma bisogna
sentirsi corresponsabili. Chiedo precisazioni sull’atteggiamento dei genitori circa la
pulizia della loro camera da parte di Giovanna Differenzia le reazioni: con il padre c’erano
continui litigi perché lui avrebbe voluto che Giovanna smettesse, mentre lei insisteva che
la lasciasse fare. Giovanna invece comprendeva la madre che si sentiva in imbarazzo a

XCII
farla entrare in camera e cercava di evitarlo, ma, malgrado le discussioni, Giovanna lo
faceva e basta - con loro che dicevano di no - “perché andava fatto”. Giovanna non poteva
permettere che vivessero in certe condizioni. Giovanna afferma che solo grazie a lei sua
madre e anche suo padre non sono andati a finire come certe persone le cui storie sono
raccontate in programmi televisivi di format USA dedicati agli accumulatori. Alla fine
Giovanna aveva trovato un sistema, perché voleva che sua madre avesse i vestiti a portata
di mano. “La fatica di far loro buttare via le cose… facevo i sacchi pieni di roba e loro li
svuotavano! Per esempio una marea di roba, vestiti del 1915…” di ognuno la madre
raccontava la storia e si meravigliava se Giovanna provava a eliminare un golf, buttandolo
o destinando ai poveri - quelli ancora portabili - e diceva: “Usalo tu!” (malgrado i 50 anni
di differenza di età per quelli che non le stavano più invece di buttarlo). Chiedo a
Giovanna se si è fatta un’idea del motivo di questa difficoltà a separarsi dagli abiti/oggetti.
Giovanna ricorda che per tutta la vita la sua mamma l’ha esortata al risparmio evocando
i “tempi di guerra” ma Giovanna stessa controbatte che la nonna materna non era così. La
mamma pensava di “avere cura e tenere alle cose”, ma in realtà per Giovanna quel tipo di
comportamento non lo è, anzi, e poi “sei schiava delle cose che [accumuli e] non usi
perché non sai nemmeno più di averle”. Giovanna ha fatto tante volte il tentativo
timidissimo [definito come un lavoro durissimo] di buttare via le cose - nello specifico
oggetti di vestiario - ma ad un certo punto, quando l’emergenza era diventata sempre più
sensibile, Giovanna ha lasciato in camera dei genitori solo gli abiti che la madre usa, e ha
preso tutti gli indumenti che sua madre non usa e li ha portati su, approfittando del fatto
che i suoi genitori non salgono più al piano superiore (dove per fortuna ci sono tanto
spazio e tanti armadi che ora sono pieni zeppi di cose). Quando poi arriva il momento del
cambio di stagione, lo fa Giovanna che ammette che ci sarebbero tantissime cose da
buttare ma per il momento si accontenta di questo compromesso più frettoloso, malgrado
la grandissima fatica che comporta per lei, perché in questo modo i genitori almeno hanno
alla mano gli indumenti che usano di più. Chiedo a Giovanna quale atteggiamento hanno
scelto sua sorella e suo fratello rispetto ai genitori, e se le danno una mano con loro.
Giovanna riferisce che da un anno circa la sorella ha ripreso ad andare a trovare i genitori
e le dà un mano nel senso che si sono divise il lavoro [adesso va solo lei insieme al fratello,
perché Giovanna non può andare per via dei gatti]; hanno lavorato un po’ insieme e sua
sorella è bravissima a buttare via le cose: hanno messo a posto un corridoio che era

XCIII
“strapieno di robe” e hanno buttato non sa quanti sacchi; e Giovanna ha notato che la
sorella era molto più brava di lei a buttare via cose [a fare una cernita per decidere cosa
fosse da gettare] mentre Giovanna si accorge di far fatica a buttare via, magari in una
forma di rispetto, andando prima a chiedere alla madre se magari c’era una storia dietro
un dato oggetto e invece – per esempio in relazione ad un mucchio di scarpe vecchie o
mai usate – la sorella è stata in grado di tranquillizzarla e semplificare la selezione: “fidati,
lo so io”, e può ben dirlo “perché lei c’era, ai tempi di quelle scarpe”. Quindi Giovanna
afferma che insieme alla sorella hanno fatto un lavoro meraviglioso, perché rispetto a una
volta rimane e si mantiene, dato che ormai i suoi genitori non ce la fanno ad accumulare
come un tempo e poi rispetto a prima soprattutto c’è sempre qualcuno in casa che
monitora la situazione, mentre prima tutte le volte era una lotta. Chiedo a Giovanna
informazioni sulle reazioni dei genitori riguardo al ridimensionamento della roba
accumulata nel tempo, Giovanna dice che adesso non è più una lotta come avveniva un
tempo, tutte le volte che lei tornava a casa. Chiedo conferma che i genitori di Giovanna
non si lamentano più di tanto, Giovanna conferma e la sua spiegazione è che “sono
anziani”, ma oltre alla componente dell’età avanzata dei genitori, Giovanna racconta
spiegazioni calme e pazienti ripetute unite ad altri accorgimenti come la “firma di
contratti” con scritto per esempio che la donna delle pulizie poteva entrare in cucina, e
poi questo foglio firmato dai genitori veniva appeso in cucina. Giovanna ha parlato
davanti alla madre e davanti alla donna delle pulizie (“la Mara”) che ormai è diventata
un’amica di famiglia. In camera non è mai riuscita a farcela entrare, invece ha provato a
suggerire alla madre di provare a fare entrare la Mara anche in cucina. Ha provato a
chiedere alla madre se si sentisse in imbarazzo se la Mara entrava in cucina, suggerendole
di superarlo perché la Mara lo faceva di lavoro di entrare nelle cucine di qualunque suo
cliente, coinvolgendo la Mara che era presente e assentiva: “...In quante cucine entrerà!
Vero, Mara?”. Giovanna afferma che si è impegnata in questo percorso avvertendo che
era difficile perché da figlia non era distaccata. Ha provato ad affrontare “la cosa”
considerando che sua madre aveva difficoltà a far entrare le persone per un suo disagio
che non ha mai ammesso. “Io lo ammetto che faccio schifo [in relazione al disordine] ma
mia madre mai”. La madre ha sempre attribuito la sua incapacità (“non ce la faccio, come
si può?”) con un senso di colpa ma rivolto verso l’esterno: “era colpa di qualcosa o di
qualcuno”. Giovanna le rimprovera che non ritiene accettabile un tale comportamento in

XCIV
una persona adulta. La madre non ha mai detto di non fare entrare la Mara in cucina
“perché mi sento in imbarazzo da quanto è sporca”; Giovanna sottolinea che sua madre
non l’ha mai detto ma è Giovanna che, immedesimandosi nella madre, al suo posto si
sarebbe vergognata a far entrare una persona estranea in quella cucina; ribadisce che sua
madre non l’ha mai ammesso. Quindi per fare entrare la Mara in quella cucina, proprio
per una questione di emergenza di igiene, perché nel caso di una persona anziana non si
poteva più rimandare, Giovanna ha deciso di affrontare la cosa nel modo fin qui riferito.
Poi ovviamente prima di fare entrare in camera dei genitori la donna delle pulizie – la
nuova assistente – Giovanna ha pulito benissimo la camera in modo che sua madre non
si sentisse più a disagio. Ora Giovanna è molto contenta: “Quando entri in casa, la casa è
sistemata. Abbiamo avuto momenti di emergenza, perché se sommi delle persone così coi
problemi degli anziani... e scoppia il disastro. Era una situazione che non poteva
assolutamente andare avanti... ma queste sono persone che hanno una famiglia, dei figli
che sono intervenuti subito, altrimenti sarebbero stati come i protagonisti di quei
programmi lì”. Mi mostro d’accordo e valorizzo l’intervento dei figli. Giovanna riconosce
che così è stato perché lei e i suoi fratelli sono persone normali, “per fortuna”, ma fa
notare che se si unisce a “questa debolezza” [così Giovanna definisce la problematica dei
suoi genitori] anche mancanza di un supporto, per forza si sfocia nelle situazioni di
degrado riprese dalle serie televisive americane che si focalizzano sul DA, e in questo
Giovanna trova la motivazione per cui lei li guardava con tanto interesse. “Perché è ovvio
che il problema magari emerge perché ci sono tante cose concomitanti... un aspetto io lo
rivedo in mia madre... cioè se avesse avuto anche tutti gli altri problemi, secondo me
sarebbe stato un disastro... l’abbiamo detto tante volte: senza motivo”. Chiedo conferma
a Giovanna del fatto che lei da figlia non riesce a comprendere le cause sottostanti ai
problemi comportamentali manifestati dalla madre e che trascina con sé nel tempo. Per
Giovanna sarebbe stato facile se il comportamento della madre avesse ricalcato quello
della nonna, ma viceversa la nonna era precisissima; il nonno materno non l’ha
conosciuto; lo zio, fratello della madre, è addirittura di una precisione maniacale, proprio
all’opposto: dispotico, bigotto, preciso e rigido tanto da non somigliare in niente alla
sorella e da non sembrare nemmeno lontanamente parenti. Giovanna ripete che si ricorda
che l’appartamento al Lido dove ha vissuto nella prima infanzia era pulito; la sorella
lamenta tante mancanze nella madre, ma secondo Giovanna tali critiche “vanno un po’

XCV
prese con le pinze”; comunque Giovanna riconosce che in generale la madre “è una
persona poco costante nelle cose, che non ce la fa a far di più”, però Giovanna ribadisce
che al Lido la vedeva continuamente lavorare in casa. Non si ricorda di averla vista
rilassarsi sul letto o sul divano; si ricorda sua madre che accoglieva le vicine di casa per
bere il caffè, che era sempre tra la cucina a lavare i piatti e stendere i panni, e la casa era
sempre pulita, lei bambina era sempre perfetta e giocava spensierata. Riassumo che quindi
Giovanna ha il ricordo di una casa pulita fino agli 8 anni di età. Giovanna a questo punto
ammette [con un’apparente contraddizione] che però forse lei non era poi così pulita e
che a suo parere era “un po’ lasciata a se stessa” ma che per esempio a casa sua al Lido
era molto precisa, teneva un sacco alla sua camera, metteva sempre a posto i suoi libri, la
scrivania in ordine e che non è “mai più riuscita ad essere ordinata così”. Suggerisco che
le complicazioni legate al vivere in una casa di campagna possano aver contribuito a
slatentizzare i problemi materni. Giovanna concorda che quella villa fosse un ambiente
“ingestibile”. Chiarisco che - in relazione allo studio che sto facendo per la tesi di Laurea
- al di là delle cause del DA della madre, sarei più interessata alle ripercussioni emotive
su Giovanna e quindi tutto il senso di colpa, il senso del dovere provato da Giovanna
riguardo al rimettere a posto, la vergogna, il disagio nello stare al gioco con la madre (che
giustifica disordine, accumulo e sporcizia col dire “abbiamo traslocato”) con la
contemporanea consapevolezza che si tratta di una bugia. Faccio presente a Giovanna che
il suo sfogo è stato di notevole spessore e non ha riguardato solo le paure di Giovanna per
le sue difficoltà col disordine ma ha fatto emergere un vissuto di disagio, presente in tutte
le fasi della sua vita: “ora va meglio, è più sotto controllo, ma tutto questo rimane non
facile da gestire”. Giovanna conferma che non è stato facile e racconta che purtroppo
quando è andata a vivere con suo fratello tale disagio si è ripresentato, ma Giovanna
differenzia questo disagio da quello patito nel rapporto con la madre, definendolo come
un disagio “suo”. Chiedo chiarimenti sul perché Giovanna dice che il disagio si è
ripresentato in Giovanna durante la sua convivenza col fratello. Giovanna dice
testualmente che suo fratello è “un casinista” come lei, e anzi secondo lui Giovanna è
anche peggio. Giovanna riferisce che in camera era un disastro. Chiedo se per tale motivo
litigassero tra loro. Giovanna lo nega, dal momento che erano “uguali”, ma afferma che
vivevano “nell’orrore”. Là sono insorti in lei sentimenti di colpa e di vergogna per cui
non faceva entrare nessuno in camera sua, “perché era da vergognarsi”. Racconta che

XCVI
malgrado il disordine suo fratello faceva entrare altre persone nella propria stanza, non
avendo problemi a mostrarsi, e anzi aveva sempre un viavai. Invece Giovanna no, e anzi
riporta che, mentre da lui “la gente si accoccolava nel disastro”, lei teneva chiunque fuori
e ci si nascondeva come se camera sua fosse stata una grotta. Poi Giovanna racconta che
quando è andata a vivere da sola, per lei “20 metri quadrati erano una reggia”. Anche là
ha avuto i suoi lati problematici, però col fatto che l’appartamento fosse così piccolo e
che spesso aveva gente (per lei “aver gente” significa “mettere a posto”) è riuscita a
gestirlo e a mantenerlo sempre abbastanza presentabile. Aggiungo che il suo
appartamento lo ricordo pulito [essendo che l’ho frequentato all’epoca]. Giovanna
afferma che la sua casa sembrava pulita perché in effetti la puliva e paradossalmente è
riuscita a gestirsi nel piccolo. Poi è andata a vivere con la sorella e lì ammette che si
notava la differenza tra la sua camera e il resto della casa. Successivamente è andata a
vivere con un ragazzo che era precisissimo, ed aveva un armadio enorme in cui Giovanna
“poteva nascondere tutte le sue cose”, e adesso (nella casa dove abita attualmente dopo il
matrimonio) qualche difficoltà effettivamente ce l’ha in relazione al disordine. Chiedo
conferma del fatto che le case piccole aiutano Giovanna a gestire il disordine ma che
comunque Giovanna non è una persona che accumula. Giovanna invece ammette che il
suo disordine nasce proprio dal problema dell’accumulare cose che poi alcune non
vengono eliminate per amore e altre proprio per pigrizia, “perché fa fatica”. Parlando di
altre donne che lei definisce “donne normali”, Giovanna dice di sapere che quando
puliscono o fanno il cambio di stagione buttano le cose; sua sorella butta di continuo le
cose, e Giovanna riconosce che “è così che bisogna fare, è un ricambio”. Invece per lei
“è una fatica incredibile buttare le cose”. Puntualizzo che quindi Giovanna riesce a buttar
via cose in casa dei suoi ma fa un po’ più fatica con le proprie. Giovanna afferma che
riesce a pulire e mettere in ordine per gli altri, ma nei suoi spazi non riesce a fare ordine,
nonostante riesca a pulire. Sottolineo a tal proposito che Giovanna si era stupita quando
le avevo chiesto di mettere in evidenza gli inconvenienti principali che le provocava il
disturbo di sua madre, poiché aveva supposto che l’intervista riguardasse proprio lei e
solo lei. Giovanna concorda che si tratta di un’altra storia. Mostro il mio interesse per
l’affermazione di Giovanna quando dice che il disturbo della madre si ripercuote su di lei
e sente che l’ha condizionata. Giovanna conferma: “Sono fatta così, sono come lei”.
Ribatto che mi sembra che Giovanna sia consapevole e si preoccupi in merito, anche in

XCVII
prospettiva e quando dice “se te dai l’esempio, educhi”, forse lo dice rivolgendosi per
prima a se stessa. Giovanna dice [in tono sommesso] che riconosce che non si può vivere
“così”, e “qua deve mettere a posto”, e per lei è una preoccupazione. Dice che malgrado
in casa sua ci sia sempre un sottofondo generale di disordine, la cucina e anche il bagno
riesce a gestirli un po’ meglio, mentre è la camera il problema. Ammette che magari in
frigo c’è sempre qualcosa da buttare e che si trattiene dal gettar via e poi scade. Afferma
che “è sempre tutto un casino, però la camera è una cosa indescrivibile... tra i vestiti...”.
Cerco di aiutarla a esprimere quale sia la difficoltà che riguarda i panni da riporre, se
magari non li piega, o li ammucchia, o altro. Giovanna dice [sottovoce] che per esempio
dovrebbe fare il cambio di stagione (“ma tra le valigie e bla bla...”) ma dover mettere a
posto la sua camera è la cosa peggiore che le può essere chiesto di fare. Poi Giovanna
afferma [forte e chiaro] che il pulire in generale l’annoia e il mettere in ordine in generale
lo odia, dice [e lo fa cambiando tono di voce e assumendo un tono di voce basso]: “...la
camera, l’armadio...”. Motiva questo blocco particolare col fatto che “questa stanza
proprio la mette di fronte al suo problema”. Dice che è incredibile la fatica che le fa, e
che del resto “è sempre da mettere a posto, è diventata una via di non ritorno”, “l’armadio
ormai non lo apro più, non è agibile”. Esprimo stupore. Giovanna ribadisce che “è
inagibile, perché c’è tutta la roba da mettere a posto e non c’è più nulla che io possa fare”
e continua: “ormai uso sempre le stesse cose, le lavo, le riuso”. E si domanda “insomma
come si fa a vivere così?”. Continua affermando “ho raggiunto di nuovo il mio livello
[forse intende di saturazione] dei vestiti nella camera, e non va bene così. Poi adesso c’ho
il fatto che stiamo guardando tante case, quindi questa casa ho cominciato a vederla come
quella che devo lasciare, e quindi ci sto investendo poco, e non è giusto perché comunque
ci viviamo. Poi arriverà il bambino ed è impossibile che andiamo via prima della nascita
del bambino e prima della sua nascita dovrò mettere tutto a posto e dovrà essere tutto
organizzato, e sarà un lavoro faticosissimo per me, perché dovrò fare [in una volta sola]
quello che le donne normali fanno continuamente, costantemente: una roba che non usano
la buttano via...”. Cerco di sdrammatizzare con una battuta, invitando Giovanna a
chiamare in aiuto sua sorella. Giovanna dapprima tace e poi afferma che si vergognerebbe
da morire e non farebbe mai mettere le mani nel suo armadio da qualcuno, e dice: “mi
vergogno” [Giovanna probabilmente è in grado di comprendere bene quello che avrà
provato sua madre quando era Giovanna a riordinarle l’armadio]. Ipotizzo che la madre

XCVIII
di Giovanna si è lasciata aiutare probabilmente perché la figlia la capisce e sottolineo che
è importante il modo in cui Giovanna si è posta con sua madre. Giovanna ribadisce che
l’ha accettato perché era “una cosa che andava fatta e basta”. Giovanna dice che sarà
anche capitato di dirsi “ti capisco, sono uguale a te”, però insieme alla madre non hanno
mai affrontato l’argomento in modo così esplicito e accademico, attribuendolo a un dato
disturbo così da poter dire “allora io sono così”; invece Giovanna si è posta partendo da
una semplice affermazione “mamma, sei un disastro, lo sono anch’io, però non è possibile
e ora si mette a posto; mi dispiace; lo so, è difficile; lasciami fare, per favore; lo so che
(anche questo) è difficile, lasciare che le persone mettano le mani nelle tue cose…”.
Chiedo conferma che Giovanna senta proprio come una grande impresa sistemare il suo
armadio, e Giovanna lo conferma ripetendo “tantissimo, tantissimo”. Allora le chiedo di
paragonare la difficoltà di mettere in ordine il suo armadio rispetto all’idea di sistemare
la casa dei suoi genitori, che ormai è comunque già stata riordinata, e Giovanna non ha
dubbi: il suo armadio, e su mia richiesta spiega che il motivo è che è faticosissima come
cosa. Giovanna afferma che suo marito ha l’armadio in ordine, afferma che lui è
bravissimo e che allora si può essere così e che lui non è uno che ci sta dietro e commenta:
“Non ti ci vuole niente! Lui non è certo uno preciso, però ha un armadio decente. È
incredibile… è incredibile”. Suggerisco che si tratti di organizzazione, Giovanna
concorda. Però dice che c’è un momento in cui dovresti organizzare. Per come sono
organizzate le cose in cucina – alcune cose, non tutte – Giovanna dice che “effettivamente
sei più veloce quando le cose sono organizzate e hanno il loro posto e sai che vanno lì, e
così riordini senza troppa fatica. Lo fai anche senza troppa fatica di mettere a posto
quando è possibile mettere a posto perché non ti scontri per ogni cosa che hai in mano col
fatto che non sai dove metterla. E invece entrare nel caos… è un disastro”. La incoraggio:
“Però una volta che una è entrata nel caos e con tanta pazienza l’hai organizzato...” e
Giovanna afferma che qualche volta è stato anche in ordine l’armadio, “e poi torna di
nuovo così”. La incalzo chiedendo cosa potrebbe fare Giovanna per non farlo ritornare
così e Giovanna è sicura: “buttare via le cose e tenere tre cose, ma è una fatica e non lo
faccio”. Chiedo il motivo: forse Giovanna è legata alle sue cose? Giovanna non lo sa.
Dice: “Veramente, quando tu ti metti a raccontare questa cosa, ho una resistenza a fare
questa cosa, ad affrontare gli oggetti, per selezionarli e decidere cosa buttar via; non lo so
perché ma è una cosa che mi fa una fatica incredibile; non lo so se hai qualcosa che ti fa

XCIX
fatica fare...”. Le dico di sì, pulire la casa, cosa che però faccio ugualmente. Giovanna
precisa che “eh, ma non si tratta solo di questione di fatica fisica, ma proprio una
resistenza che ti inventi qualunque cosa pur di non farlo. Non so se c’è qualcosa nella tua
vita che proprio non fai, eviti di farlo e non lo fai. Dovresti farlo ma lo tralasci, oppure
quando lo fai con una fatica incredibile; cioè è niente quello che dovresti fare rispetto alla
fatica che provi. Quindi niente, io non lo faccio e quando lo faccio e mentre lo faccio, è
una fatica incredibile. E siccome già lo so che faccio una fatica incredibile e poi dura
poco, la domanda è studiare cosa fare per mantenerlo in ordine. Non c’è uno schema... io
dovrei avere quattro cose... che poi è assurdo, perché alla fine il mio armadio è pieno di
roba che non uso perché se non è agibile il mio armadio, io non lo uso. Quindi
effettivamente uso quattro cose e allora io potrei prendere tutta quella roba che è là,
buttarla via e metterci soltanto queste tre, quattro cose qua, però ti assicuro - ti assicuro -
che se facessi così, riuscirei a riaccumulare lo stesso... Perché è così… È niente quello
che dovresti fare rispetto alla fatica che provi. L’immagine che ho dato una volta a mio
marito mentre pulivo e mettevo in ordine l’armadio, disperata - e lui si stupiva
constatando come mi mette in crisi rimettere in ordine l’armadio - è stata che sono le cose
che mi inondano, mi invadono, cioè sei inerme con le cose che ti travolgono, e non sai
nemmeno da dove spuntano e però ci sono e son tantissime e non sai dove metterle...”.
Rimarco l’apparente contraddizione: “...e non le usi... son tantissime e non sai dove
metterle ma non riesci a buttarle...”. Giovanna ribadisce che “eh no, il mio armadio è
inagibile ormai, c’è un sacco di roba che non uso; adesso sono arrivata al punto di non
ritorno; è un periodo, ma è da tanti mesi che è così, per un po’ ero riuscita a gestire... ero
appena arrivata, appena trasferita; adesso... sono al punto di non ritorno. Confido nel
cambio di stagione, perché è tutta roba invernale che adesso ripongo... e quindi con la
roba estiva è più semplice perché occupa meno spazio. Per esempio un trucco che ho
trovato è non mettere niente nei cassetti, ma mettere tutto, anche le magliette, nelle
grucce, perché così non si sgualciscono e le vedo meglio e non le lancio, e non sono in
disordine. Questo accorgimento delle grucce, l’ho usato anche in casa di mia madre.
Perché quando metti invece nelle pile, poi cadono, poi si incasinano, invece il sistema
delle grucce è fantastico, e quindi d’estate sono riuscita a gestire meglio, perché le cose
occupano meno spazio e avevo messo tutte le magliettine nelle grucce, che può sembrare
strano, perché di solito vengono riposte nei cassetti”. Osservo che in questo modo

C
Giovanna risparmia anche tempo, non dovendo ripiegare gli indumenti. Giovanna insiste
che invece con la roba invernale non riesce a gestirsi. Adesso confida nel cambio di
stagione per mettere a posto la roba invernale. “Non tento neanche di mettere a posto per
rendere vivibile l’armadio in questo ultimo mese di clima freddino... rimando”. Sottolineo
la tendenza alla procrastinazione. Giovanna nota che il suo bimbo nascerà d’estate e
quindi il cambio di stagione dovrà farlo per forza. Noto a mia volta che poi ci saranno
anche le cose del bimbo da gestire. Giovanna concorda e osserva che lo spazio c’è e basta
solo organizzarlo bene. “Per me invece, l’ho detto anche a mio marito, non voglio più
comprare le cose, perché ne ho troppe e non le so gestire... vorrei avere tre vestiti, poche
cose”. Sottolineo l’importanza di porsi un proposito del genere. Giovanna dice che questo
potrebbe essere un modo. Esprimo una mia riflessione: “Chiaramente uno arriva ad un
certo punto che non si può vestire di stracci e quindi sottintende che qualcosa andrà
comprato di nuovo, prima o poi. Giovanna dice: “Ok per i cambi, ma devo riuscire a
buttar via quello che non uso più, anche se ancora non è diventato importabile (“...è tanta
roba, prima che diventino stracci ancora ce ne vuole, è troppa roba”). Apro un nuovo
capitolo: le scarpe. Giovanna è lapidaria: “Stessa cosa, ne ho un sacco riposte in cantina
che dovrei buttare e non lo faccio”. Riprendo l’argomento trasloco, cogliendone l’aspetto
positivo di occasione che potrebbe aiutare a risolvere il problema, almeno in parte.
Giovanna concorda ma afferma che si tratta di un rimedio solo temporaneo. Preciso che
con l’occasione del trasloco Giovanna potrebbe iniziare a buttare le cose che usa meno.
Giovanna svela che fa sempre una serie di scatoloni di “roba-x” che non riesce a buttar
via e non riesce a controllare, fa troppa fatica a controllare la roba e la mette lì e ne ha
uno scatolone pieno: “È roba che non so cos’è, è lì da secoli, però la tengo lì, pensa te: è
là che diventi schiava delle cose, capito?”. Chiedo a Giovanna se si ricorda della storia di
questi oggetti. Giovanna risponde affermativamente; per esempio ha un sacco di
quaderni, fumetti... “ma dovrei guardarli, fare una cernita e accettare il fatto che basta
appunti, son passati, è arrivata l’ora di buttarli via...”. Chiedo se sono appunti
dell’Università. Giovanna conferma che fra le altre cose ci sono anche quelli, insieme a
cose di tutta la vita, di tutto, oggetti e oggettini, però occupano spazio. Concordo che ci
voglia del tempo per guardare le cose e fare una cernita.
Ci salutiamo e rimaniamo d’accordo che ci risentiamo se le dovesse venire in mente
qualcos’altro da aggiungere].

CI
5a trascrizione: intervista a Paolo Marinari, medico psichiatra responsabile del Centro
Salute Mentale (CSM) di San Frediano a Settimo (Cascina, in provincia di Pisa) e
dell’Unità Funzionale Salute Mentale Adulti (UFSMA) dell’Azienda USL Toscana nord
ovest (comprendente ex Azienda Usl 5 di Pisa), e dirigente del Centro Diurno
dell’Azienda USL Toscana nord ovest (comprendente ex Azienda Usl 5 di Pisa), Zona
Pisana.

[Psichiatra] Ci sono situazioni a volte così gravi in cui è stato fatto un lavoro preliminare
per entrare in relazione con certe tipologie di utenti che è difficile poi [dopo aver seguito
tali pazienti] “passare” [ai colleghi]. Proprio in questi giorni c’è, come dire, “il ritorno”
di un paziente il cui DA è patognomonico e se ne potrebbe fare quasi un case report; tra
l’altro è di nuovo in crisi perché verrà venduta la sua casa, essendo morta la nonna, con
cui lui viveva. Siamo preoccupati perché questo paziente aveva accumulato una quantità
di cose che per lui avevano un valore affettivo quasi magico, come è una caratteristica a
volte tipica nel DA, e ora se ne sta disfacendo. Siccome in passato, per altri motivi, ha
fatto tre tentati suicidi e c’è il timore che faccia una fuga psicotica o faccia un agito
[autolesivo] per cui sono in contatto con i genitori che il paziente non vuol vedere (né
loro né nessuno); l’unico con cui è rimasto in contatto è il padre. La situazione è
abbastanza inquietante: il paziente ha sicuramente “qualcosa” di più del DA; è uno
psicotico ossessivo ed ha il DA tra i sintomi/in comorbilità. Sarebbe da capire meglio: ci
sono diversi tipi di situazioni in cui c’è il DA per quanto io so, poi il DA va visto in
letteratura.

[Lo Psichiatra nota che eventi traumatici scatenanti il disturbo possono essere considerati
non solo fatti negativi, ma a volte anche quelli positivi, come nel caso di chi si è
scompensato dopo aver avuto un passaggio di ruolo, per esempio con una promozione e
relativo aumento di responsabilità. Chiedo quanti casi di DA ha osservato nei suoi anni
di professione.]

[Psichiatra] È difficile fare una stima della prevalenza del DA… Il DA puro molte volte
non viene neppure alla nostra attenzione, perché è talmente criptico che se non c’è
qualcosa che lo slatentizza o qualcuno… se non direttamente la persona che chiede aiuto

CII
ma qualcuno vicino; la committenza è difficile che provenga da chi ha il DA o un familiare
o un parente o un vicino o un conoscente (vedi sindrome di Diogene).

[Lo Psichiatra dice di averne visti tanti di casi di DA, e si propone di raccontarmi i casi
che ha osservato.]

[Psichiatra] Il motivo della chiamata non è quasi mai diretto se non c’è segnalazione per
esempio da parte di vicini di persone nella terza-quarta età, anziani che vivono soli e
accumulano spazzatura eccetera (sindrome di Diogene); secondo me la situazione è stata
resa più complicata dalla raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani, che
paradossalmente per un ossessivo vero è un cimento, fino ad andare in crisi per
insicurezza nella scelta tra materiali. Andrebbe focalizzata la distinzione tra il disturbo
ossessivo di personalità e il disturbo ossessivo compulsivo: la maggior parte degli
accumulatori secondo me sono diagnosticabili come DOC, però ci sono poi anche disturbi
ossessivi di personalità, e poi ci sono anche anziani che hanno delle situazioni di
deterioramento che tendono a tenere, a trattenere e ad accumulare un po’ tutto, mentre mi
vengono in mente casi di accumulo di cose specifiche, con un significato specifico. Per
esempio un caso interessante è quello a Pontedera di una donna (e sarebbe lunga la
storia…) accumulava giornali: in particolare quotidiani locali - Il Tirreno - e riviste di
moda.

[Secondo la sua interpretazione come Psichiatra era una maniera di rimanere vicina ai
suoi genitori, in contatto con parti dei suoi genitori, entrambi prematuramente deceduti in
un incidente.]

[Psichiatra] Erano rimasti soli questa donna (che all’epoca frequentava la seconda media
inferiore) con un fratello e la nonna. La mamma a suo tempo aveva fatto la sarta e il babbo
il tipografo al Tirreno. Il babbo aveva una patologia DOC. Questa donna - Giulia - è stata
seguita nel tempo per tanti anni e ha avuto una brutta storia, ha avuto un ictus con una
paralisi in età giovanile e si trova in una RSA [Residenza Sanitaria Assistita] anche se
ancora non ha 55 anni. La paziente ha sviluppato un disturbo specifico fin dalla terza
media legato all’accumulo di riviste e giornali che lei comprava con i suoi risparmi.
Questo era abbastanza tipico perché settorializzato, anche se la paziente dal punto di vista

CIII
psicopatologico aveva anche ossessioni mentali di ordine e di perfezione, per esempio
doveva lavarsi le mani molte volte al giorno, doveva tenere le sue cose sulla scrivania
disposte in un certo modo. Giulia era stata aiutata a trovare lavoro inserendola come
“bidella” e aveva come una doppia vita, manifestando come una doppia personalità,
quindi manifestando una componente psicotica. Nel lavoro dava il meglio di sé e quando
arrivava a casa trascorreva pomeriggi interi a rimettere in ordine queste riviste e questi
giornali custoditi inizialmente in due stanze. Nel corso degli anni progressivamente tutta
la casa è stata invasa da questi materiali, tanto che poi - era seguita anche dagli infermieri
- siamo arrivati che lei non riusciva a buttar via niente e non poteva più stare in quella
casa.
Pur mantenendo un binario buono, perché facendo la bidella alle scuole medie riusciva a
stare con i ragazzini della scuola dove lavorava, e pur non essendosi sposata e avendo
avuto qualche relazione sentimentale (tutte fallite in breve tempo). La “parte sana” era
quella che lei metteva nella scuola, dove in qualche modo è come se attraverso questi
ragazzini lei accudisse degli ipotetici figli che lei non aveva avuto, e nel contempo tramite
giornali e riviste teneva con sé in casa i propri genitori in qualche modo. Il fratello si era
allontanato da casa rendendosi subito autonomo e ha fatto il macellaio del paese. Lei
andava a scuola, però poi non aveva nessuna relazione sociale con la cittadinanza. Aveva
solo un’amica di Bientina e qualche volta usciva con lei. Poi faceva tutta la settimana il
suo lavoro e il pomeriggio si dedicava a mettere a posto la casa, cioè a mettere a posto la
roba accumulata da cui la casa era invasa, finché siamo arrivata al dunque di bonificarla.
Dopo tante situazioni si è cercato di dare un senso proponendo di eliminare le
pubblicazioni più vecchie, che poi erano le più sciupate, e lei in un primo momento ha
acconsentito, se non che poi ha tentato di togliersi la vita; rispetto a questa cosa è stata
ricoverata e quando è stata ricoverata col servizio sociale si è deciso di raccogliere tutto
il materiale in una stanza, per far sì che il suo disturbo fosse “localizzato”. Nessuno di noi
pensava – visto il valore simbolico che lei le assegnava – che lei potesse fare a meno di
questa sua proiezione, però che fosse in qualche modo limitata e arginata. Ed è stato un
lungo ricovero (che ai tempi si poteva ancora fare, perché esisteva sempre il reparto di
Psichiatria presso l’Ospedale di Pontedera) che ho un po’ “pilotato” io: era stato fatto un
contratto secondo cui tutto ciò che veniva buttato via, lei - anche se ci stava male - avrebbe
visto di cosa si trattava a essere buttato via. Insomma non si sarebbe fatto niente senza

CIV
che lei non lo sapesse, e così è stato. È tornata a casa, in realtà ha smesso di collezionare
giornali, ha avuto altri periodi depressivi ma è riuscita a smettere, tuttavia tutti i giorni
doveva stare a riguardare i suoi giornali almeno 2 o 3 ore ogni giorno e questo è quanto
siamo arrivati ad ottenere. Ha cominciato però col senno di poi ad avvertire qualcosa che
le mancava e ha compensato iniziando a mangiare, e si è spostata su un disturbo del
comportamento alimentare [DCA], per cui è ingrassata. Raggiunta la menopausa ha
cominciato ad avere delle crisi bulimiche prevalentemente notturne. È ulteriormente
ingrassata e si pensa che sia uno dei motivi che l’ha condotta ad un ictus; nonostante i
tentativi fatti col medico di famiglia e malgrado la paziente venisse controllata, essendo
nota una familiarità per disturbi cardiovascolari da parte della nonna materna e anche
della madre, Giulia aveva la colesterolemia alta e non siamo riusciti a impedire che avesse
un ictus, quindi è passata in una struttura abbandonando la sua casa. Il fratello è uscito
molto presto dal nucleo familiare ed ha sempre avuto uno scarsissimo rapporto con Giulia.
All’epoca della perdita dei genitori, Giulia aveva 12 anni, ma lui ne aveva sei di più ed
era maggiorenne e ha elaborato diversamente il lutto: era già fidanzato ed è entrato nella
famiglia della moglie, distaccandosi completamente dal proprio portato familiare. Questa
riassumendo la storia per i capi principali: secondo me qui c’era un DA massimo.

[Faccio un’osservazione a proposito del DCA: “è come se la donna avesse la paura del
vuoto e la necessità di qualcosa per riempirsi”; lo Psichiatra concorda. Chiedo: “Questo
caso da chi fu segnalato?”.]

[Psichiatra] Inizialmente lei fu addirittura vista e seguita dalla Neuropsichiatria Infantile


dopo la morte dei genitori in un incidente automobilistico che fra l’altro era avvenuto
abbastanza vicino a casa e lei non riusciva a ripercorrere quel tratto di strada dove avevano
perso la vita questi genitori, e questo è abbastanza comprensibile. All’inizio fu vista per
prima da una psicologa, perché ebbe una crisi depressiva forte: non andava più a scuola,
fu questo il primo segnale. Poi i Neuropsichiatri Infantili (quelli che all’epoca erano della
zona di Pontedera) riuscirono a “sbloccarla” e lei è riuscita ad andare avanti. In un primo
tempo abitava con la nonna materna nella casa (in affitto) di quest’ultima. Lì aveva
studiato (era ragioniera) e in seguito aveva fatto un concorso in Comune. Poi questa nonna
è morta. Giulia aveva ancora la nonna paterna che però abitava lontano e così trovò lavoro

CV
come bidella e tornò a vivere nell’appartamentino dei suoi genitori, che non era neanche
tanto grande: era composto da due camere, un salottino e un ripostiglio ampio (quello
famoso in seguito eletto come sede del materiale accumulato). Fu Giulia stessa a
segnalare il proprio caso; era stata nuovamente male perché oltretutto aveva un disturbo
dell’umore e si era rivolta al proprio medico di famiglia che l’aveva reindirizzata a noi.
Quella volta c’ero io e l’ho vista io. In seguito (mi pare) successe che una volta stava male
e ci chiamò a casa; arrivato a casa a fare la visita a domicilio, mi accorsi del DA, perché
lei non ne aveva mai accennato, ed è venuto fuori un mondo. Era una cosa stranissima
perché era una casa con tanti ninnoli, ordinatissima, e poi c’era questa stanza-ripostiglio
zeppa di roba con i giornali che ne straripavano fuori, e la camera dei genitori con intorno
al letto tutti i giornali: nel corso degli anni lei aveva accatastato giornali e riviste intorno
al letto, poi era passata ad accatastarle sopra il letto, poi sull’armadio, fino a riempire
tutto. Credo che lei, che non ne aveva riferito inizialmente, fosse pochissimo consapevole
del DA. Credo che non fosse insorto subito dopo il lutto, ma solo in un secondo momento,
quando è rientrata a vivere nella casa dai suoi, come se fosse un modo di riempire, di
colmare la loro assenza, cioè non essendoci più i genitori riempiva questo bisogno
affettivo per la parte maschile compensandolo coi quotidiani e per quella femminile con
le riviste di moda.

[Commento che dalla letteratura emerge che dal DA risultano spesso colpite persone –
adulte – che hanno avuto traumi o perdite.]

[Psichiatra] Col senno di poi fa riflettere che lei aveva avuto il menarca una settimana
prima della morte dei genitori e con il lutto si interruppero per mesi i cicli mestruali (al
punto che si rese necessario un controllo ginecologico), quindi il trauma ha coinciso con
il suo passaggio puberale e quindi anche con la sua immagine femminile, perché poi non
è mai riuscita ad avere una sessualità definita; cioè era sì attratta dai ragazzi ma era come
se fosse rimasta sempre bambina, come se una parte di lei si fosse bloccata a “quel
momento lì” e avendone nel tempo come conseguenze oltre al DA una serie di
comportamenti alimentari anche distruttivi, quasi punitivi, perché non era brutta,
tutt’altro, e non lo è nemmeno ora. Purtroppo vien fatto di parlarne al passato perché dopo
l’ictus non sembra più la stessa persona: fisicamente sembra anziana, come se avesse 20

CVI
anni di più. Evidentemente dopo una vita intensissima così... È un caso particolarissimo.
Quando Giulia era bidella, c’era un professore - un bell’uomo, vedovo - che le faceva
delle avances, ma lei non riusciva a entrarci in relazione, “non se lo poteva permettere”;
è da lì che è ritornata in crisi. Io ho sempre pensato che Giulia si vergognasse della sua
casa ma era come se si sentisse in colpa della morte dei suoi genitori e si fosse assunta il
compito di mantenerli in qualche modo in vita, perché lei raccontava che i genitori erano
usciti per commissioni in qualche modo riguardanti i loro figli (almeno stando al racconto
del suo vissuto, ormai senza poter valutare l’attendibilità dei fatti per il tempo
trascorso...). In qualche modo Giulia era sempre in conflitto tra il poter crescere
distaccandosi da quell’evento traumatico del suo passato e il sentirlo invece come un
tradimento nei confronti dei suoi genitori; era come se una parte di lei fosse sempre
rimasta legata a quell’evento traumatico e una delle maniere in cui questo potesse
mantenersi era l’accumulo dei giornali. In ambito lavorativo scolastico lei non ha mai
avuto problemi - di aspetto fisico, di comportamenti inadeguati o trasandatezza, anzi - ed
è paradossale perché lei era una paziente psichiatrica ed era oggetto di attenzione da parte
del sesso maschile, però - due cose - per lei nell’ambito professionale non c’era spazio
per la componente affettiva, perché lei aveva molta paura di perdere il lavoro e mantenerlo
era la cosa a cui teneva di più, essendo legato al proprio sostentamento, e questo anche a
prezzo di non avere rapporti. Ci sono degli aspetti interessanti: Giulia abitava nello stesso
paese dove c’era la scuola mentre questo professore di Italiano pare abitasse da un’altra
parte; lui, Marco, era sui 45 anni, vedovo - cioè anche lui aveva avuto un lutto - e aveva
dei figli abbastanza grandi; lei era ormai sui 35-40 anni e che comunque ci si trovava bene
con quest’uomo e stava iniziando una specie di relazione. Tra l’altro lei parlava
particolarmente bene, avrebbe voluto andare anche più avanti con gli studi invece di fare
Ragioneria per motivi non suoi, ma condizionata dalle circostanze. Pare che lui le avesse
chiesto se qualche volta andavano a mangiare insieme, ma non a casa di lei, così andavano
a mangiare qualcosa insieme in un bar; poi una volta quando lei accennò al fatto che
sapeva cucinare, lui disse che se a lei faceva piacere e se lei magari cucinava qualcosa,
lui sarebbe andato volentieri a mangiare qualcosa a casa da lei, e lì è crollato tutto, nel
momento in cui io credo lei avesse pensato che la cosa potesse andare oltre (cosa positiva,
per una persona “normale”): a lei in effetti lui piaceva ma la reazione (negativa), che poi
l’aveva portata a una depressione, secondo me era stata dettata dal fatto che per lei se gli

CVII
permetteva di entrare in casa, lui poteva entrare nel suo mondo privato, che era LA casa.
Forse non era neanche un problema di vergogna perché lei non aveva consapevolezza di
avere un problema del genere (riguardante motivazioni e conseguenze del DA coi
giornali), ma proprio perché vedeva la casa come uno spazio esclusivamente suo e dei
suoi genitori (lo diceva sempre… c’erano anche tante foto dei genitori). Infatti lei in casa
non ci faceva entrare tutti; a me in particolare come medico e a un’infermiera lo
permetteva ma perché era stata lei a chiedere aiuto; gli altri non ce li voleva. Ora la casa
l’ha presa il fratello e l’ha affittata. Lei sta presso una RSA e vanno a trovarla e aiutarla
il fratello, la cognata, i nipoti. Lei ora non parla, è afasica e ha esiti di emiparesi destra
con in anamnesi disturbo bipolare e DOC, mentre del DA che pure aveva nettissimo non
c’è traccia scritta perché lei non ne parlava. È interessante che vedendola in ambulatorio
ti colpivano delle cose, e andando a casa ti colpiva il DA. Quando del DA gliene parlavi…
ed era un argomento di cui era impossibile non parlare, perché uno dei motivi per cui il
ricovero era stato fatto era proprio perché in casa il materiale accumulato non c’entrava
più, e poi Giulia spendeva (le riviste costavano e soprattutto queste per la mamma mi pare
erano 2 o 3 testate). Tutti questi giornali da essere nel ripostiglio (abbastanza grande e
comprendente una specie di soffitta) erano arrivati a riempire la camera dei genitori, e poi
la cucina-tinello, riempite di pile di roba, e si vedeva che alcuni giornali non erano mai
stati neanche aperti; l’unica stanza indenne, che non era riempita, era la sua camera di
Giulia, che tra l’altro conservava due lettini perché come usava a quei tempi l’aveva
condivisa col fratello, finché lui rapidamente era andato via. Era come se gli spazi prima
occupati normalmente fossero occupati da queste riviste, da queste parti... Mentre le
riviste vecchie secondo me lei le leggeva, poi ha cominciato ad accumularle senza
leggerle perché non aveva tempo, dovendo mettere a posto. Nel tempo si è visto questo
crescere di roba, anche se lei teneva chiuso e ci riceveva nel tinellino. L’infermiera che
periodicamente andava a trovarla e a fare le visite, se ne accorgeva e riferiva che
l’accumulo aumentava sempre di più, ma quello che più colpiva era il problema legato al
tono dell’umore per cui periodicamente si deprimeva. Quindi il monitoraggio era fatto
prevalentemente su questo e poi, pur sapendo che c’era un altro problema, era considerato
poco. Quando se ne parlava nelle riunioni, l’accumulo non diventava l’argomento
principale; forse perché il focus era la preoccupazione che lei stesse sola, non avendo
rapporti se non con un’unica amica. Il fratello io l’ho visto una volta sola, molto alto e

CVIII
assomigliava completamente al padre, mentre Giulia somigliava alla madre; anche lui non
pareva normale. Col fratello rapporti non li ha avuti per l’evitamento da parte di lui che
la considerava completamente matta, più di quello che fosse, e non ne voleva saper niente:
col fratello no, poi li avuti forse coi nipoti. L’unico contatto di lui con lei era che lui in
quanto macellaio le portava la carne il venerdì, lasciandola in fondo alle scale senza
incontrarla, e per il resto la lasciava affidata a psichiatri e assistenti sociali. Lei aveva
molte abilità: sapeva far da mangiare, teneva bene la casa, lavorava a scuola. La casa era
iperpulita…

[Chiedo se si ricorda se Giulia apriva mai le finestre.]

[Psichiatra] Della casa apriva le finestre solo della sua camera. Quando andavamo a
trovarla, c’era un corridoio, e nel tinello con angolo cottura c’era solo una finestrina che
dava sulla strada e quella lì di solito era socchiusa. C’era la camera sua accanto al bagno,
poi la camera dei genitori e questa specie di ripostiglio che comprendeva una soffitta
piena di giornali e roba del passato (per esempio, bacinelle e brocca per lavarsi in camera).
Lei stava prevalentemente in camera. Una volta sono andato perché lei aveva una gatta
che passando per la porticina socchiusa, era scappata in alto nel ripostiglio e lei essendo
già abbastanza grossa [corpulenta] non ce la faceva a salire per recuperarlo, così chiamò
e andai io a recuperarlo e mi stupii con lei della marea di roba che conservava e di cui
non ci eravamo mai accorti. Aveva una bella gatta persiana bianca che teneva benissimo,
le era stata regalata dalla sua amica famosa e morì prima che Giulia avesse l’ictus. I
rapporti erano ridotti a poche persone; c’era anche una cugina di Pisa che non si è mai
vista; oltre a questo fratello e un po’ talvolta la cognata, c’erano due nipoti, maschio e
femmina, già grandi e attualmente ormai sposati. Per esempio a Natale e a Pasqua, anche
se invitata dalla famiglia del fratello, Giulia non andava e preferiva andare a mangiare
dall’amica a Bientina, la sua amica del cuore (dal tempo della scuola e diventata
insegnante) che però a sua volta aveva famiglia ma le era rimasta legata e la ospitava.
Questa amica era l’unica persona che lei frequentava. Per esempio il sabato e la domenica;
d’estate avendo una casa a Tirrenia la teneva una settimana o due con sé, ma Giulia - che
portava la gatta con sé al mare - almeno una volta alla settimana doveva tornare a casa.
Riassumendo Giulia aveva rapporti familiari/sociali con: il fratello (pochi); la scuola,

CIX
altrimenti avremmo avuto da loro delle comunicazioni di segno contrario; il medico di
famiglia, anche psicologa, che l’ha sempre aiutata e sostenuta al di là delle patologie
organiche; anche nel paese, dove la tragedia aveva fatto scalpore perché i genitori erano
persone molto conosciute (il babbo faceva il tipografo, la mamma era la sarta del paese),
Giulia era ben accettata e non emarginata: gli elementi più vicini della cittadinanza erano
tutti disponibili verso di lei, ma non sapevano dei suoi problemi, perché lei non ne parlava.
Pensando ad altre situazioni dove ci può essere un impatto maggiore da parte dei familiari
ricordo un altro caso che è una sorta di “follia a due”, che sette o otto anni fa ho seguito
per 2 o 3 anni, poi l’ho affidato ad un collega ma lui le due persone interessate non lo
hanno mai fatto entrare in casa. È un caso rimasto irrisolto, di quelli che non è possibile
entrarci in contatto, poi magari ci si riesce dopo anni. Francesco è un ossessivo
gravissimo, che viveva con la madre, mentre il padre era scappato (letteralmente). Loro
vengono dal Sud. Vivevano a Calci ma la madre lavorava a Pisa alla Banca d’Italia, e ha
tirato su questo figlio molto intelligente che prima studiava e poi però si è chiuso in casa.
Lì c’era un “accumulo a due”: anche la madre accumulava. Lì però era accumulato di
tutto, dai giornali alla spazzatura tipo una marea di quei cilindri di cartone su cui viene
avvolta la carta igienica (ce ne saranno stati un migliaio). I due bagni ne erano pieni.

[Chiedo da quanti anni osserva queste situazioni.]

[Psichiatra] Lavoro in Psichiatra dal 1982.

[“In questi tre decenni quanti casi di DA avrà osservato?”]

[Psichiatra] Casi vistosi di accumulo e gravi? Probabilmente son più di quelli che vengono
osservati.

[Nota che magari i pazienti non ne parlano di questo problema e il DA non emerge se non
si effettua una visita presso il domicilio. Facendo lo Psichiatra Territoriale, soprattutto
quando lavorava a Pontedera, avendo come pazienti psicotici, ossessivi, bipolari e anche
schizofrenici, aveva anche molte più occasioni di andare a domicilio, perché faceva parte

CX
del tipo di lavoro da svolgere. Per quanti casi abbia visto, il suo parere è che comunque il
DA resti sottostimato.
Entra nella stanza una Psichiatra che sta seguendo privatamente una donna che ha un
disturbo ossessivo gravissimo che si è bloccata al livello della pulizia di casa, che lei non
ha mai visto ma ha parlato col marito e ha indagato al riguardo, proprio per capire se c’era
un problema di accumulo. Lei “non butta via”, però la casa è relativamente nuova, ci si
son trasferiti 4 anni fa. Spera che migliori.
Interviene lo Psichiatra dicendo che ricorda a tal proposito un’altra paziente da cui non si
riusciva letteralmente ad entrare in casa per il materiale in essa accumulato.
In una Residenza Psichiatrica di Pisa invece lo Psichiatra segue un paziente - Franco -
che meriterebbe un’intervista; un signore che attualmente ha prevalentemente
problematiche organiche (insufficienza renale con una malattia policistica). Lui aveva
disponibilità di denaro e ne aveva speso largamente per comprare “roba” (per esempio ha
qualcosa come dodicimila libri e quindi un valore, oltre a mobili e oggetti in ferro battuto)
tant’è vero che ha dovuto trasferirsi in una struttura perché in casa sua non si entrava più.
Per poter entrare in casa, bisognava togliere roba e spostarla all’esterno, mentre lui, che
era magro, “scavalcava”. Come la casa, anche il giardino era invaso di roba.
Un altro caso riportato dallo Psichiatra è quello di una ragazza anoressica di Pontedera,
ossessiva di base, con padre e fratello magrissimi, e la mamma obesa e bulimica. In casa
era tutto in ordine tranne che nella sua stanza, in completo disordine e piena di roba in
aperta antitesi con la magrezza derivante dal Disturbo del Comportamento Alimentare.
In particolare accumulava peluches (circa 2000).
“Interessante il bisogno di morbidezza in una persona spigolosa e rigida”, noto. Tale
paziente fu anche ricoverata, ma i parenti in seguito non sono più voluti essere seguiti nel
pubblico, preferendo il privato. “Erano parenti di colleghi”, nota l’intervistato. La
portarono in una struttura specifica (S. Margherita nei dintorni di Verona), rimase a lungo
ricoverata e poi si sposò con un operatore là.]

[Lo Psichiatra] Altro caso ancora è quello di Maria, di Ponsacco: era una donna, psicotica
ossessiva gravissima, sposata con un insufficiente mentale (attualmente vivente, che
aveva conosciuto la moglie in Piemonte durante il servizio militare, dal quale
incredibilmente non era stato riformato) e con una figlia che alla fine le fu tolta. Questa

CXI
donna viveva con scale di casa sua tappezzate di maglie vecchie, che lei andava a cercare
nei cassonetti. Purtroppo durante un ricovero a Pisa l’assistente sociale fece la cosa
peggiore di tutte quelle che poteva fare: tolse tutto [mentre lo psichiatra non era presente
né era al corrente] e così quando questa donna fu dimessa e fece ritorno a casa, si gettò
dalla finestra e morì, ma non immediatamente. In seguito alle fratture dovute alla
defenestrazione, fu ricoverata in Ortopedia e fu colpita da embolia grassosa. Purtroppo
l’assistente sociale - giovane, alle prime armi e male aiutata, e che in seguito cambiò
lavoro - ritenne che fosse sufficiente il fatto di essere d’accordo con il marito, anziché
parlare e “contrattare” con la persona interessata: buttò addirittura indumenti di un figlio
bambino che questa donna aveva perso, cioè anche cose affettivamente importanti.

[Esprimo il mio rammarico e sottolineo che negli Stati Uniti non è permesso gettare via
gli oggetti accumulati appartenenti alle persone che soffrono di questo disturbo senza il
loro consenso e il supporto di uno psicologo, perché il tasso di suicidi è altissimo].

[Lo Psichiatra] Invece con una paziente diversa (il primo caso narrato, Giulia) venivano
fatte addirittura riprese a casa sua e successive proiezioni allo scopo di mostrare cosa
sarebbe stato buttato via per fare una cernita insieme. Purtroppo nel caso di Maria il
problema non era soltanto nell’accumulo di roba rispetto alla casa ma nel fatto che, non
avendo più abbastanza spazio per la roba, ogni tanto la gettava dalla finestra nella strada
e quindi ciò aveva creato motivo di frizione con tutti i vicini di casa (abitava in una
traversa del corso, con relativo coinvolgimento di negozi), vicini che avevano fatto fronte
comune con una petizione al Sindaco, e questo fu il motivo dell’intervento dell’assistente
sociale e dell’allontanamento della figlia (una bambina che all’epoca del ricovero della
madre era già stata allontanata dalla famiglia e portata in una struttura dell’Umbria, ma
periodicamente veniva ricondotta in visita dai genitori così come loro andavano a trovarla,
ma la situazione problematica della madre rimaneva invariata, ed anzi si agitava e
peggiorava alla partenza della bambina, gettando dalla finestra tutto quello che aveva; la
figlia attualmente è sposata).
Altro caso, e “personaggio storico”, era Nunzia, che ora vive a Capannoli. Lei aveva un
cane e un gattino, e accumulava tutte le scatolette di cibo per cani e gatti, usate e vuote e
che emanavano cattivo odore, tenendole addirittura in camera.

CXII
[Altro caso raccontato dalla Dott.ssa: una paziente di Livorno che come altri suoi pazienti
accumulatori diceva che “non buttano mai via niente” e accumulava gli scontrini: ne
aveva i cassetti pieni e la casa piena. Anche camminando le veniva il dubbio di averne
magari perso uno per la strada e allora tornava indietro... Lo Psichiatra cita una frase
ricorrente di un’altra paziente tesa a giustificare l’accumulo di qualcosa: “non si sa
mai...”.
Poi cita Giulia, con le sue migliaia di giornali con cui aveva riempito ripostiglio, soffitta
e la camera dei genitori (“una vita mancata”).
Chiedo conferma se in generale il tipo di intervento varia da caso a caso. Risponde lo
Psichiatra definendo il DA soprattutto un disturbo psichiatrico nell’area del DOC, vedi
DSM-5, sia o meno coesistente una comorbilità con altre patologie di interesse
psichiatrico. Poi come minore percentuale cita il caso della sindrome di Diogene, che
interessa anziani con l’incapacità a gettare via financo la spazzatura e relativo accumulo
come epifenomeno dell’ossessivo-compulsivo, il tutto collegato ad un deterioramento
cognitivo. L’intervistato non sa dire se il DA sia una patologia in aumento o in
diminuzione; bisogna che ci sia anche la possibilità di una certa disponibilità economica
da parte del paziente o della sua famiglia. Su tale disturbo si può agire con una
psicoterapia di tipo cognitivo-comportamentale per liberare le ansie, così come nel DOC,
commenta la Psichiatra. Noto come negli Stati Uniti si stiano sviluppando delle strategie
di intervento in cui sono coinvolti maggiormente i familiari; sottolineo che sarei
interessata a come si agisce qui, nel territorio pisano. Lo Psichiatra ribadisce la leva più
che altro comportamentale, ma non sa se ci siano delle linee guida specifiche, che magari
ci vorrebbero, ma fra le altre cose lo Psichiatra ritiene importante avere un contatto e
intrecciare una relazione con la famiglia. Nel frattempo è arrivato un “tipaccio” per la
prima visita con la Dott.ssa: si tratta di un accumulatore di coltelli, forbici... Ringrazio la
Psichiatra che saluta ed esce dalla stanza. Riprendo il filo del discorso e sottolineo il
lavoro dei ricercatori e lo Psichiatra mi propone, se sono interessata e se me la sento, di
conoscere Giovanni, un “grande accumulatore”. Rispondo che accetterei a condizione che
il paziente sia disponibile, e lo Psichiatra immagina sia fattibile, informandolo
dell’intervista da parte di una psicologa. Giovanni frequenta un centro operativo a Pisa
che è una struttura riabilitativa psichiatrica. Questa struttura psichiatrica ha tre moduli
con tre unità a seconda dell’intensità di cura e ci sono 24 pazienti. Uno di questi è proprio

CXIII
lui, Giovanni. È una persona ormai anziana, di 66 anni, mentre dai 65 dovrebbe trasferirsi
presso una RSA, ma è sempre stato seguito presso quel Centro ed è sicuramente uno dei
maggiori accumulatori che lo Psichiatra ha mai conosciuto. Lui addirittura all’interno del
gruppo, in cui sono tutti ragazzi molto più giovani, svolge la funzione di “saggio” e tutti
ci si confidano abbastanza bene. Lo Psichiatra riferisce: “C’è per esempio un altro caso
ancora di un ragazzo giovane di 24 anni, che ora è uscito ma ha fatto un percorso
abbastanza accelerato, ma è stato in OPG (Ospedale Psichiatrico Giudiziario) tre anni fa
e poi è stato qui al Centro e ora grazie alla relazione ha fatto un grande percorso ed è
tornato a casa con il padre e Giovanni, che è un signore molto disponibile, lo invita e tutte
le domeniche lo va a prendere insieme al padre per farlo uscire un po’, e questo ragazzo,
che un nonno non l’ha avuto, gli si è affezionato”. Quindi secondo lo Psichiatra Giovanni
una volta preparato all’intervista, potrebbe essere disponibile all’intervista. “È una
persona di un certo livello, un intellettuale, ed ha due cugine, tutte e due insegnanti: anche
loro hanno subito un po’... Nelle riunioni che vengono fatte con i familiari queste due
cugine si alternano e vengono, quindi potrebbero essere contattabili per sondarne la
disponibilità”. Esprimo il mio interesse, affermo tuttavia che preferirei contattare i parenti
piuttosto che Giovanni perché non vorrei essere troppo intrusiva nei confronti del
paziente; anche lo Psichiatra si pone il dubbio se l’intervista possa essere utile nei
confronti di Giovanni o invece rivelarsi controproducente, perché è una persona ancora
legata al passato e che ancora pensa alla propria casa; per esempio aveva un orto dove
metteva di tutto e di più e che non si trovava vicino alla casa, bensì vicino a dove
attualmente è ospite, e anche su quel sito venne fatto un grosso lavoro per sgomberare e
portar via roba. A questo punto chiedo precisazioni su questo intervento che viene chiarito
essere stato svolto dagli operatori del CIM [Centro di Igiene Mentale]. Lo psichiatra
risponde che in genere sono interventi supervisionati dai servizi sociali, ma che in questo
caso trattandosi di una persona molto seguita e fondamentalmente buona non lo si era
voluto traumatizzare. Era un caso in cui lo sgombero aveva un contenuto terapeutico e
non solo uno scopo concernente l’Igiene. Addirittura tutti i sabati andavano operatori ed
alcuni pazienti che selezionavano oggetti, li portavano a dei parenti che poi li rivendevano
e infine i soldi ricavati venivano riconsegnati a lui, non presente ma presenziante, che
decideva cosa potevano vendere o meno, perché si ricordava grosso modo tutto quello
che aveva, di libri ed oggetti accumulati, perché si trattava di un accumulo specifico.

CXIV
Riporto che i ricercatori Frost e Steketee, i due maggiori autori sul DA, raccontano che
spesso gli accumulatori sono persone che hanno un alto quoziente intellettivo, che sono
molto intelligenti, e lo Psichiatra mi conferma che ciò si realizza sia nel caso di Giovanni
che nel primo, quello di Giulia, che è/era molto intelligente, sopra la media, sia del
ragazzo chiuso in casa a Calci sia in quello dell’OPG: tutti superano la media come gli
psicotici e gli schizofrenici (anche se di questi se ne vedono sempre meno, dice lo
psichiatra). A proposito della richiesta di sapere in che modo viene coinvolta la famiglia
nel programma di sostegno, lo psichiatra dice che forse le uniche sono le due cugine di
Giovanni. Infine chiedo allo psichiatra se può far da tramite per un contatto con
un’assistente sociale. (Per il momento non è stato possibile organizzare un incontro coi
familiari del paziente seguito dallo psichiatra, mentre l’assistente sociale mi ha concesso
di intervistarla).]

CXV
6a trascrizione: intervista a Edi Pieri, assistente sociale dell’Azienda USL
Toscana nord ovest (comprendente ex Azienda Usl 5 di Pisa), in forza all’Unità
Funzionale Salute Mentale Adulti (UFSMA) Centro di Salute Mentale di Pisa.

[Assistente Sociale] Però tanto siamo tutti uguali, cioè più o meno questa confusione qui,
cioè questi problemi qui ce li abbiamo tutti noi perché siamo quelli che si fa le visite
domiciliari. Perché per noi la visita domiciliare è uno strumento professionale importante,
no? Ci dà tutta una serie di indicazioni rispetto alla famiglia, cioè alla persona, perché la
casa comunque… la persona dentro la casa ci dà tutta una serie di elementi, no? Che
magari se vedi una persona fuori, anche in ambulatorio o in ufficio, è un altro modo,
insomma...

[Suggerisco: “Sì, si può tener nascosto. Insomma: non emerge”.]

[A.S.] Sì, e succede spesso che magari i medici - specialmente i medici che lavorano in
maniera ambulatoriale - magari questi territoriali, sì, perché vengono, si fanno le visite
insieme, però chi vede le persone solo in ambulatorio (i liberi professionisti o l’Azienda
Ospedaliera) che non fanno questo tipo di lavoro qui (ti danno gli appuntamenti e ci vai)
hanno meno elementi poi. Quindi a volte è successo che ci sono delle situazioni terribili,
loro magari delle persone le hanno viste per anni, ma questa situazione non è emersa.

[Chiedo: “Ce ne son tante?”.]

[A.S.] Ce ne son tante, sì, perché poi in ambulatorio racconti quello che vuoi raccontare,
no?

[Chiedo: “Più o meno quante situazioni del genere ha osservato?”.]

[A.S.] Non ci ho mai fatto mente locale... e poi sai qui a Pisa poi è una situazione un
pochino particolare perché agenzie ce ne sono tante; cioè qui c’è tanta libera professione,
perché comunque con l’Università... poi c’è tutto per quello che riguarda l’Azienda
Ospedaliera che hanno il reparto, hanno i professionisti che lavorano - i dipendenti

CXVI
dell’Azienda - che fanno ambulatori. Perché c’è la divisione tra Azienda Usl e Azienda
Ospedaliera: sono due realtà diverse. Quindi insomma abbastanza frequentemente poi
magari succede la crisi e la persona viene magari ricoverata in SPDC [Servizio
Psichiatrico di Diagnosi e Cura] e poi viene inviata al territorio e allora magari emergono
anche le situazioni “intorno” alla persona, perché è una presa in carico un pochino più
globale. Infatti c’è il servizio sociale della Salute Mentale nella Unità Funzionale, dove è
prevista la figura dell’assistente sociale, proprio perché il progetto, il piano terapeutico
individualizzato ha anche la componente sociale, e non solo quella medica specifica o
psicologica specifica, ma si lavora tutti insieme e il progetto è centrato sulla persona in
maniera più completa, sulla persona e sulla famiglia se c’è bisogno.

[Chiedo: “Le famiglie come vengono coinvolte di solito?”.]

[A.S.] Allora, di solito poi una volta che la persona viene presa in carico è una presa in
carico che coinvolge anche l’entourage; i soggetti vengono o accompagnati o noi poi li
conosciamo; facciamo colloqui anche solo con la famiglia; c'è un servizio - non so se
gliene ha parlato lo Psichiatra - di terapia familiare anche, nei casi in cui è necessario per
il progetto del paziente seguire anche le relazioni familiari.

[“Per i casi di cui mi ha parlato lo Psichiatra mi era sembrato che ci fosse una prevalenza
di persone senza famiglia”.]

[A.S.] No no, ci sono anche persone con la famiglia. A volte, è capitato ultimamente,
anche persone che non sono in carico a noi, quindi non hanno mai avuto contatti con i
servizi psichiatrici. Perché sono tanti anche! Cioè i nostri pazienti ok, ma non ci sono solo
loro: poi c’è tutta una serie di persone con tipologie varie di disturbi anche importanti che
però non hanno mai avuto contatto con noi; quelli arrivano con il lavoro delle colleghe
che fanno, per dire, l’emergenza abitativa.

[Chiedo: “Cioè?”.]

CXVII
[A.S.] Il servizio sociale è unico ma ha tante competenze; il servizio sociale ha una parte
che è ad altra integrazione e che è Salute Mentale, handicap e anziano non-autosufficiente.
Poi c’è tutto un altro servizio sociale (a Pisa lavora tutto insieme, ma altrove non è così)
che è quello di competenza schietta sociale e basta, senza sanitario, che ha competenze
sui minori, sull’emergenza abitativa… Cioè quello che è di pertinenza comunale, cioè per
legge c’è un servizio sociale che lavora non integrato col Servizio Sanitario. Io sono
dipendente ASL e poi ci sono le colleghe che sono dipendenti del Comune, e si occupano
di alta marginalità (i senza dimora...). Per esempio, a Viareggio ci sono, a Pisa no, perché
il Comune ha delegato queste competenze; il Comune trasferisce i fondi che sono dedicati
al servizio sociale e li dà alla ASL che organizza un servizio sociale che lavora a 360
gradi.

[Chiedo se sa com’è organizzata la situazione a Livorno o a Lucca.]

[A.S.] No, sono divisi; solo a Pisa e in parte anche la zona di Pontedera. Noi (a Pisa)
abbiamo la Società della Salute che diciamo - coniuga - questi due versanti.

[Chiedo: “Quindi Pontedera, anche se è in provincia di Pisa, può funzionare


diversamente?”.]

[A.S.] Sì, come fa Volterra... Perché dipende dai Comuni, dal singolo Comune che delega;
qui è possibile tramite la Società della Salute che è il consorzio dei Comuni. Perché ogni
Comune ha un Assessorato ai servizi sociali e sono gli assessori ai servizi sociali che
compongono la giunta della Società della Salute, quindi portano le istanze sociali a questo
Ente, dove poi c’è un direttore - che è l’assessore ai servizi sociali del Comune di Pisa -
che lavora integrato con l’Azienda Usl. Quindi essendo integrato tutto insieme, noi ci
confrontiamo anche con l’emergenza abitativa. La nostra organizzazione è questa, però
per esempio io sono assegnata alla Salute Mentale in toto, mentre per esempio il collega
(sig. S.) fa l’adulto handicap di Cascina... Dipende... Il servizio sociale ha chi si occupa
degli adulti e vede la generalità degli adulti che viene in qualche modo in contatto con il
servizio sociale per pagamento utenze, richieste economiche, sfratti ...Di tutto di più... si
trova molto spesso questo tipo di problema [riferendosi al DA] e lì a volte ci sono anche

CXVIII
le famiglie o il coniuge, che però poi di fatto non si sono mai rivolti direttamente ai servizi
di Salute Mentale (in modo specifico per il DA). C’è un caso di cui mi raccontava una
collega: durante una visita domiciliare hanno visto una casa completamente piena di
giornali con dei passaggi tipo dei cunicoli [i cosiddetti “sentieri di capra”] - e di quelli li
ho visti anch’io, casi che sono abbastanza frequenti - casa in cui non c’è più niente di
spazi, quasi nemmeno per dormire, salvaguardando proprio solo il letto a cui arrivi
passando sotto le pile di giornali... E queste non erano persone conosciute da noi - Salute
Mentale - e né lui né la moglie si erano mai rivolti al medico, e nemmeno la moglie che
vive lì in questo disagio, ma purtroppo non è automatico.
Per esempio c’era una signora anziana che seguivo io e che viveva qui in zona Pratale, e
che in seguito è deceduta, ma all’epoca non era ancora nella fascia Anziani (che apre tutto
un altro mondo...) e lei aveva un accumulo di vestiti nuovi ancora nelle confezioni: aveva
riempito dappertutto, anche la vasca da bagno.

[Chiedo se la donna viveva da sola.]

[A.S.] Viveva con il marito e in questo caso fu proprio lui che si rivolse a noi: quando lei
stette “più male di sempre”. Era una famiglia agiata economicamente, tutt’altro che
indigente, anzi era una famiglia molto in vista a Pisa, e marito e moglie vivevano in questo
appartamento. O meglio, lui ci andava solo a dormire, perché aveva una specie di vita
parallela con un’altra donna, e la moglie continuava a comprare cose, soprattutto per lui,
sistemate impilandole (pile di camicie, pile di pigiami, eccetera) ma nuovi di pacca, da
togliere ancora dalle confezioni. Non era libero nemmeno il letto. C’era solo una specie
di corridoio/camminamento...

[Chiedo: “Dal DSM-5 la stima della prevalenza è del 2-5% della popolazione. Lei crede
che sia più frequente di quello che si pensa?”.]

[A.S.] Sono casi che vediamo magari più noi assistenti sociali rispetto ai medici, perché
le persone coinvolte non si rivolgono ai medici, quindi in particolare le colleghe che si
occupano di marginalità, di adulti... Abbiamo visto per esempio casi in cui viene
accumulata spazzatura, di quelli ne ho visti tanti.

CXIX
[Chiedo: “Sono casi correlabili a demenza?”.]

[A.S.] No no, a patologia psichiatrica. Una volta a Migliarino ci vollero tre camion della
spazzatura mandati dal Comune per sgomberare: c’erano ammucchiate buste della spesa
con generi vari che così come erano state acquistate erano state lasciate abbandonate sul
pavimento, e così agli operatori toccava camminare su roba ormai putrefatta.

[Chiedo: “Fu un caso di pulizia e sgombero forzato?”.]

[A.S.] Sì. I medici fecero il TSO... Erano babbo e figliola. Tutto fu pulito e la casa fu
riportata in condizioni normali. Poi le due persone son tornate a vivere in quella casa, ma
con l’Assistenza Domiciliare e tutta una serie di presidi.

[“Mi interesserebbe sapere di più su questo tipo di percorso che viene fatto e che mi
sembra ad personam: se non erro, non c’è un vero e proprio protocollo”.]

[A.S.] Esatto, dipende anche dal funzionamento della famiglia, delle relazioni,
dell’ambiente: dipende da tante cose. Per esempio c’era un signore che anche lui
accumulava spazzatura, viveva in una botte, un tino enorme. Praticamente c’era stata
un’eredità di una casa colonica e la sorella ne aveva preso una parte, che lei aveva
sistemato insieme alla propria famiglia. Invece lui, che non si era mai sposato, ad un certo
punto viveva dentro questo grosso tino dove aveva messo un lettino e le sue cose dentro
questo enorme tino che aveva un’apertura simile ad una porta. Il tino si trovava per così
(dire?) all’interno della casa colonica, in cantina, e invece fuori c’erano accumulati tutti i
sacchi della spazzatura. Lui aveva anche una parte di terreno e aveva anche una specie di
abbeveratoio degli animali, dove lui si lavava. Questo caso venne a galla per una
segnalazione al Comune di San Giuliano Terme. Infatti l’area urbana di questo Comune
si era allargata, e quindi la proprietà di questo signore prima venne a situarsi nella
periferia di questo Comune e poi in una zona riqualificata, dove tutto intorno avevano
costruito ville, e quindi lui aveva cominciato a “dare fastidio”. Per esempio tutti gli anni
i vicini dai loro giardini curati e magari con bambini avevano cominciato a “dare
l’allarme”, facendo esposti in Comune perché lui teneva tutto incolto e nella sua proprietà

CXX
c’erano nidi di bombi e/o calabroni, e quindi c’era da bonificare. E così poi si scoprì
questo signore che dormiva in questo tino e la sua spazzatura intorno.
A volte la segnalazione avviene da parte del “contesto”; anche nei condomini per esempio
viene segnalato il cattivo odore.

[“Quindi la segnalazione avviene più da parte dei vicini che dai parenti?”]

[A.S.]: Sì, di solito sì. La motivazione può essere la paura per la sicurezza, per esempio
nel caso di quelli che accumulano carta c’è il timore di incendi. Oppure l’accumulo si
allarga alle parti condominiali e c’è un’invasione delle parti comuni. E molto comune è
la segnalazione che parte dal cattivo odore, per esempio a causa dell’accumulo di
spazzatura, ma non solo. Sono tante le segnalazioni che arrivano dai vicini di casa... Per
esempio c’era un senza-dimora che era stato sistemato presso un affittacamere, con cui
c’è una specie di convenzione. Il problema è che questa persona per cibarsi raccoglie
avanzi recuperati dai cassonetti della spazzatura o scarti dei mercati generali, e questo
materiale lo accumulava nella stanza di questo affittacamere così che gli occupanti delle
altre stanze non hanno potuto fare a meno di lamentarsi di insetti (mosche) e cattivo odore.
Anche di senza-dimora accumulatori ce n’è tanti: un po’ per necessità, perché hanno
sempre tutto dietro (ed è tipico vederli con sacchi e sacchettini) e un po’ perché non hanno
il necessario e tendono ad accumulare cose che pensano in seguito potrebbero servire.
C’è poi chi accumula animali e quello è una tragedia.

[“Ne avete osservati molti di questi casi?”]

[A.S.]: Sì. Per esempio appartamenti con 25 gatti, e così via.

[“Nel corso della sua esperienza, considerando tutti gli anni che ha lavorato, quanti ne
avrà incontrati di casi di accumulatori di animali?”]

[A.S.] Una ventina.

[“Più o meno nel corso di quanti anni?”, chiedo.]

CXXI
[A.S.] Dunque... I primi anni no, perché lavoravo al Calambrone (Tirrenia) alla Stella
Maris, quindi con i ragazzini. Ho cominciato a vederne da quando lavoro a Pisa, dal 2000.

[“Quindi grosso modo almeno un caso all’anno…”]

[A.S.] Di solito li vedo più qui che in altre zone. Logicamente dove la densità della
popolazione è minore, ne vedi meno di questi casi; dove è maggiore invece la probabilità
è alta, e qui la densità è alta e io mi occupo di tutta Pisa per la Salute Mentale: anche se
ce n’è uno solo, arriva a me.

[“Tornando al percorso, per esempio nel caso del signore che viveva nel tino...?”]

[A.S.] Quindi si inizia a lavorarci, si inizia intanto a introdurre la figura del medico - lo
Psichiatra - e questo si fa anche tramite il medico di famiglia, in modo che lo psichiatra
possa poi fare la sua valutazione medica e poi prescrivere farmaci e tutto quello che è di
sua competenza. Insieme magari si inizia - sempre con l’indicazione dell’equipe, con gli
infermieri... - a vedere un pochino di diminuirlo questo problema di accumulo: in alcuni
casi anche in maniera molto forte, perché se c’è pericolo per gli altri dal punto di vista
dell’Igiene, non si può tollerare, sennò il Comune interviene con l’ordinanza. Poi sempre
per il problema di aiuto alla pulizia la situazione si mantiene sempre monitorandola con
un discorso di personale che va a casa, assistenza domiciliare, educatori... cioè si comincia
a lavorare su questo problema attraverso figure diverse da noi: per esempio educatori e
assistenza domiciliare possono dare un allarme e riescono a gestire questa cosa,
riducendola notevolmente. Però all’inizio non è facile perché è un bisogno loro, questo
di accumulare, stanno male sennò, e quindi sono interventi che vanno fatti con le dovute
cautele.

[In USA, a causa dell’alto tasso di suicidi, è stato deciso di far intervenire sempre uno
psicologo, perché le persone si sentono come se (con lo sgombero) venisse gettata la loro
identità.]

[A.S.] Certo…

CXXII
[“Immagino che possa essere difficile.”]

[A.S.] O è una cosa come quella volta a Vecchiano, dove fecero un TSO a tutti e due; che
noi si spiegò alle persone mentre erano in ospedale, facendo tutto un lavoro per arrivare
a dire “ti/vi si rimanda a casa, ma... bisogna... le cose...” per far prendere loro coscienza
di quello che stava succedendo in casa loro... e di quello che sarebbe potuto succedere. In
quel caso il padre aveva una fissazione per cui bisognava stare tutti chiusi e avere tanta
roba da mangiare: è un delirio... che fuori fosse tutto contaminato, per cui aveva per
esempio tanti freezer - quei surgelatori di modelli grossi - e tutti pieni di pasta, e lui
doveva fare tutte le scorte, “tutti gli accumulamenti” perché nel caso eventualmente ci
fosse stata una bomba nucleare con una contaminazione radioattiva doveva essere tutto
pronto per la sopravvivenza. Capito? Vivevano in questo modo. Ora poi lavorandoci in
qualche modo il medico aveva ridotto questo tipo di problemi, e poi si lavorò con la
ragazza anche per aiutarla a mantenere in seguito in casa i livelli di Igiene raggiunti con
la pulizia fatta da una impresa, con gli operai muniti di tute. A volte si va anche noi
assistenti sociali vestite con le tute, perché ci si trova in ambienti a rischio per presenza
di animali vari, zecche, pulci... non è verosimile andarci con gli stessi abiti con cui
andiamo e torniamo da casa nostra!

[“Nei casi che ha potuto osservare lei, i familiari (conviventi) hanno consapevolezza?”]

[A.S.] Sì, però nel tempo, siccome di solito sono situazioni che si trascinano, c’è una certa
tolleranza da parte dei familiari che si dicono “lo lascio fare per non farlo inquietare, per
evitare discussioni, perché sta male se contrastato... quindi tollero” fino al punto di
raggiungere l’insopportabile, però sono situazioni che si strutturano nel tempo, cioè non
avvengono all’improvviso. Per esempio si comincia con uno che accumula le riviste e il
familiare inizialmente dice “no, non gliele butto via, sennò si arrabbia” fino a che uno si
ritrova che ha tutta la casa invasa di carta, piena di tonnellate di carta... Per esempio io ho
visto accumulo di scontrini di acquisto, di anni e anni: era una donna che all’epoca in cui
l’ho conosciuta io viveva sola, mentre in precedenza aveva vissuto con la mamma, che
però era inferma, allettata. E lì ci si lavorò tanto, perché ci andarono i servizi per gli
anziani, che facevano assistenza domiciliare alla mamma.

CXXIII
[“La figlia li faceva entrare? Senza problemi?”]

[A.S.] Sì, li faceva entrare ma non potevano fare nulla, poi ci volle il TSO.

[“E come si agisce in questi casi?”]

[A.S.] Ci si organizza, si parla, si pensano delle strategie, poi dopo si mettono in atto,
ragionandone tutti insieme.

[“In caso di TSO intervenite con un’ambulanza...”]

[A.S.] Possibilmente l’intervento viene concordato: io ci vado ma se quando comunichi


che butterai via le sue cose, la persona si arrabbia, allora si blocca e si parte da lì a curarla
e farle rimettere in discussione certi comportamenti. Anche perché poi in certe situazioni
appunto - con una donna allettata e che usa presidi come girello, sedia a rotelle - non è
accettabile che non la puoi portare in bagno perché non ci si rigira in casa con girello o
sedia a rotelle che dai varchi liberi non riescono a passare... che poi - ripeto - sono
situazioni però che si strutturano negli anni, e anche tollerate dai mariti o le mogli, che
inizialmente dicono “lascialo fare, che vuoi che sia, c’è tanta gente che conserva le
cose...” e però poi, dopo, nel tempo si arriva a livelli esagerati e col convivente che non
ha la forza di contenere e modificare le situazioni...

[“Nel caso di Migliarino (Comune di Vecchiano) che mi ha colpito, il TSO è stato fatto
anche alla figlia? Era una coppia simbiotica?”, chiedo.]

[A.S.] Sì, perché era una patologia di tutti e due; lei era comunque stata seguita dal punto
di vista Territoriale, e anche per un lungo periodo. Lì c’era una storia dietro: la moglie di
questo signore se ne era andata lontano con la prima figlia e aveva lasciato il marito con
quest’altra figlia. Erano due sorelle: loro si erano proprio allontanate e non sapevano nulla
l’una dell’altra: si sapeva noi, ma loro no, e fra di loro c’erano materialmente molti
chilometri. Lui aveva lavorato come tecnico del CNR ed era un pensionato; la figliola che
viveva con lui non aveva mai lavorato. Negli anni dopo il diploma i servizi avevano

CXXIV
comunque lavorato con lei, anche per un inserimento al lavoro e lei, che aveva dei buoni
rapporti con gli altri; aveva fatto un inserimento lavorativo socioterapeutico in Comune,
però in realtà dopo ci fu un grosso ritiro da parte di questa figliola, che si vedeva che stava
male, il babbo completamente chiuso in casa, e allora a quel punto lì si entrò, si vide tutto
questo macello e quindi si intervenne... non subito, ma programmando e facendo tutto il
percorso. In seguito si ricontattarono la moglie, l’altra figlia, specialmente per questa
ragazza, e poi nel tempo si è mantenuto il rapporto terapeutico sia coi servizi psichiatrici
sia col servizio sociale della zona di Migliarino.

[“Attualmente la situazione si è ripresentata?”]

[A.S.] La tendenza c’è, ma comunque lì c’era del personale che andava quotidianamente,
c’andavano gli infermieri…

[“E la ragazza ora riesce a lavorare?”]

[A.S.] No, perché la ragazza aveva avuto esordi psicotici dopo il diploma, però poi dopo
nel tempo la situazione si è cronicizzata e non ha avuto un’evoluzione positiva verso una
remissione. Poi il babbo è morto e lei è rimasta sola, comunque sempre seguita da servizi,
assistenza domiciliare, infermieri... comunque una situazione molto complicata e molto
compromessa.

[“Ho capito; e questo era comunque un caso noto e che veniva seguito in precedenza, ma
se il caso di qualcuno non è già in qualche modo conosciuto, questa situazione rischia di
non venire mai alla luce?”]

[A.S.] Viene segnalato: solitamente dai vicini o anche dal medico di famiglia.

[“Che a volte può essere chiamato per una visita domiciliare... qualche volta la
segnalazione viene fatta dal medico?”]

[A.S.] Sì, perché il medico di famiglia tante volte è la figura chiave in tante situazioni,

CXXV
perché è la persona di fiducia della persona, anche se non sempre e comunque è un
rapporto privilegiato, ma magari è chiamato e accettato che entri in caso di problemi fisici;
a volte anche la guardia medica [attualmente denominata continuità assistenziale] a volte
è chiamata a domicilio e fanno le segnalazioni ai servizi.

[“È positivo se chiamano e accettano queste figure, dal momento che ho letto che alcune
persone con DA spesso rifiutano di far entrare in casa chicchessia”]

[A.S.] In quel caso se c’è una situazione di pericolo e arriva la segnalazione dei vicini,
allora scatta un’altra procedura: parte il 118 col medico a bordo e se le persone non aprono
ma si sa che si tratta di una situazione di potenziale pericolo, viene richiesto l’intervento
della Forza Pubblica che entra e il TSO viene fatto direttamente [In generale è possibile
eseguire il ricovero immediato in caso di necessità e poi ci sono due procedure possibili
che richiedono tempo: il trattamento sanitario obbligatorio classico che deve essere
richiesto da due medici e ricevere l’assenso del Sindaco, o l’accertamento sanitario
obbligatorio per cui serve la richiesta di un solo medico, ma che è solo osservazionale e
non permette la somministrazione di terapie fino al ricovero].

[“E quindi le segnalazioni arrivano anche a voi, non solo a voi”.]

[A.S.] A volte prima arrivano dai servizi sociali; a volte ai medici psichiatri che a volte il
medico di famiglia contatta per primi, a volte chiama noi; comunque da chiunque parta,
la cosa poi viene condivisa.

[Certo, io mi aspettavo più segnalazioni da parte dei familiari.]

[A.S.] La maggior parte delle volte coi familiari funziona così: se si tratta di un familiare
convivente, è difficile che segnali in modo che noi si intervenga, invece a volte sono i
familiari che rientrano in casa “dopo” un periodo, perché magari questo nucleo si era
isolato anche da figure parentali esterne, pur trattandosi di consanguinei, ma se succede
un evento particolare, come la morte di un genitore anziano, allora - al momento del
riavvicinamento - sono i familiari esterni che a quel punto segnalano. Ricordo il caso di

CXXVI
una ragazza che faceva l’Università arrivando fino alla tesi di laurea, ultima di tre sorelle,
e le altre due erano molto più grandi; lei viveva con la mamma e la nonna: vivevano in
pieno centro a Pisa, ma la mamma aveva questo tipo di patologia [di accumulo] e teneva
tutto chiuso; non faceva entrare nessuno in casa e non usciva mai. Usciva solo questa
ragazzina, e piano piano nel tempo sempre meno e solo per cose proprio necessarie: spesa,
Posta e Banca. La segnalazione si è avuta solo quando la signora si è sentita male (e in
seguito è morta) e in questa circostanza la sorella maggiore è rientrata trovando una
situazione d’accumulo veramente importante in una casa dove tutte le tapparelle erano
chiuse stoppinate, però ad una successiva valutazione della figlia minore lei non è risultata
una paziente psichiatrica, ma è stata tenuta in un assoluto isolamento dalla madre che
aveva una specie di delirio di nocumento da parte di maghe e fattucchiere che le avrebbero
dato il malocchio e aveva assolutamente condizionata la figlia quindi con obblighi e
divieti e instillandole il timore che “fuori c’erano tutti i cattivi”. Piano piano poi, quando
è morta la mamma, le due sorelle sono potute rientrare e l’hanno aiutata: il problema di
questa ragazza era che lei era totalmente incapace, come se fosse vissuta in una bolla per
conto suo. Allora i familiari hanno risistemato la casa, che fra l’altro era di proprietà, un
bell’appartamento in un condominio.

[Le sorelle non sapevano nulla della situazione?]

[A.S.] No, si sentivano per telefono e basta, perché loro abitavano lontano, mentre a Pisa
viveva solo una zia ma assolutamente marginale. Invece poi questa ragazza ha fatto solo
dei colloqui perché aveva solo problemi psicologici e insieme alla collega dei servizi
sociali che la segue (che non sono io perché non c’è stata una presa in carico della Salute
Mentale) l’abbiamo avvicinata ad una Associazione che l’ha aiutata un pochino a
riavvicinare e riprendere contatto con le persone, avviandola a fare del volontariato, ora
infatti sta bene. Certo, noi l’abbiamo conosciuta che aveva 32 anni ed aveva condotto
quella vita per 23 anni.

[Mi farebbe piacere parlare con la psicologa che l’ha seguita se fosse possibile.]

CXXVII
[A.S.] Credo che sia stata una di quelle a incarico (ne abbiamo supplenti...); ora a tempo
pieno ne abbiamo solo due di psicologi a Pisa, nell’ambito dell’Unità Funzionale di Salute
Mentale, e si occupano dell’adulto quindi anche dei Rom, di tutti i centri diurni, delle
scuole, della formazione, del coordinamento dell’agricoltura sociale, ecc. È impossibile
che riescano a seguire le persone individualmente, è già tanto se seguono i progetti… Due
per tutta la Zona Pisana, poi ci sono gli psicologi dell’età evolutiva, quelli che si occupano
del Materno Infantile... ma quelli sono altri ambiti.

[Ci vorrebbe di sicuro più personale...]

[A.S.] È stato chiesto, infatti.

[“E poi ci sono delle organizzazioni che aiutano i pazienti e i loro familiari?”]

[A.S.] Ci sono delle Associazioni di volontariato; noi abbiamo dal punto di vista della
Salute Mentale un’associazione storica, dove fanno tutta una serie di attività con i pazienti
indipendentemente da noi.

[“Però devono essere pazienti psichiatrici, per esempio la ragazza di cui si parlava prima
non l’avreste inserita lì, dico bene?”]

[A.S.] No no. Poi ci sono le associazioni nostre, per esempio l’Associazione dei familiari
dei pazienti, che è nata con un percorso di psico-educazione che facciamo all’interno del
servizio; il primo corso di psico-educazione poi ha avuto l’esito di fondare
un’Associazione dei familiari.

[“Il percorso di psico-educazione è generale oppure mirato sul DA?”]

[A.S] La psico-educazione era stata fatta in merito a pazienti psichiatrici, di qualunque


patologia psichiatrica si trattasse perché non avevamo tante risorse per farli specifici; ora
sì sulla gestione dei disturbi d’ansia e degli attacchi di panico, a livello aziendale, però

CXXVIII
quello di psico-educazione con i familiari era quello classico, sul modello di Milano, sul
quale si era fatto un corso di formazione.

[“A proposito di Milano, mi ha fatto venire in mente che ho visto una trasmissione italiana
che ho trovato su Youtube e dal titolo “Vite Sommerse”; in pratica riprende programmi
americani (per esempio un film-reality originariamente trasmesso dall’emittente
statunitense TLC con il titolo “Hoarding: Buried Alive” e ritrasmessa in Italia tempo fa
in seconda serata). L’ASL di Milano ha organizzato questa trasmissione, in cui tecnici
della prevenzione, psichiatri e assistenti sociali vanno a casa di queste persone con DA,
di cui alcuni hanno un lavoro e “funzionano” abbastanza ed escono di casa, ed altri invece
se ne restano chiusi in casa: 350 casi solo a Milano nel 2010.]

[A.S.] Noi non si son fatti questo tipo di conteggi ma di casi di gente che non esce di casa
da anni ce ne vengono segnalati tanti, perché per tanto tempo magari mai conosciuti, ma
che emergono in concomitanza con eventi particolari interni alla famiglia (per esempio
quando il genitore diventa anziano e non ce la fa più). Poi c’è anche un retaggio, perché
le persone hanno paura di essere giudicate, lo stigma... ora meno (di un tempo), poiché
quando inizia un ritiro sociale - specialmente da parte di un ragazzo giovane - è più facile
che i genitori si attivino; quanto detto vale per la patologia psichiatrica, tanto ma anche
soprattutto per l’handicap, per l’insufficiente mentale tenuto in casa con un
comportamento protettivo che da parte dei genitori porta a dire “tanto si tiene in casa, ci
si pensa noi, finché ci siamo noi”, magari anche con casi sconosciuti ai servizi. Da quando
c’è l’integrazione scolastica succede meno, perché comunque così vengono in contatto
con i servizi...

[Sì certo, con l’insegnante di sostegno...]

[A.S.] Sì sì, tutte le maestre... Però il problema è dai 18 anni in là quando non c’è più la
scuola. Anche perché a volte nell’handicap le risposte dell’adulto sono un po’ carenti;
mentre non vengono trascurati i casi gravi, ci sono i centri diurni ma magari sarebbe da
valorizzare l’integrazione al lavoro: anche lì poi ci sono associazioni che riescono, e ora
per esempio c’è un organo che è la Consulta della Salute Mentale al cui interno sono

CXXIX
presenti tutti i rappresentanti delle associazioni, tutti i professionisti che si occupano della
salute mentale, come delegati che poi portano avanti degli interventi. E una legge
regionale che la istituisce; per esempio ci sono gli autistici adulti con un’associazione
molto attiva perché diventa un problema impegnativo un ragazzo autistico quando diventa
maggiorenne e non va più a scuola e non ha più un tempo dedicato di sostegno. E lì con i
ragazzi autistici allora ci sono esperienze con l’agricoltura sociale, altre esperienze con
gli asini, tante esperienze insomma... Lo scorso inverno abbiamo fatto un corso proprio
per l’autismo adulti; son venute persone dal Piemonte a parlarci di una bellissima
esperienza, di una piccola comunità con gli alpaca, animali della famiglia di cammelli e
dei lama, ma particolarmente docili e di reazioni lente, da cui si ricava pelo pregiato per
spazzolamento “pettinandoli” e non con la tosatura, lana usata poi per la produzione di
manufatti fatti a telaio, attività che rientra tra quelle classiche proposte agli autistici. Per
esempio qui nella zona pisana la Fondazione Stella Maris ha diverse comunità tra cui un
Istituto di Riabilitazione per Adolescenti e Giovani Adulti in campagna a Montalto di
Fauglia (nell’ambito del ritardo mentale con difficoltà relazionali, difficoltà sociali e del
comportamento) dove si trovano anche due alpaca, animali che vivono all’esterno nel loro
recinto e vengono accuditi dagli ospiti con il supporto di due educatori.

[Ecco, quindi un percorso per gli autistici c’è...]

[A.S.] Sì, si sta costruendo nel tempo pian piano col Terzo Settore, che è importante in
questa costruzione di percorsi; è anche proprio l’indirizzo regionale…

[...ma Lei sentirebbe un bisogno di una proposta, di un protocollo di intervento, di un


percorso preciso, di linee guida per gli interventi con gli accumulatori? Cioè vede
preferibile il trattare caso per caso o delle linee guida potrebbero aiutare?]

[A.S.] Forse per gli invii cioè le segnalazioni, per chi entra in contatto con queste realtà:
con una sensibilizzazione di familiari, amici... e conseguentemente i medici di medicina
generale, i medici della continuità assistenziale, forse ne potrebbe conseguire di riuscire
a lavorarci prima possibile con gli accumulatori. Il momento della segnalazione che noi
conosciamo ora è quello di una crisi, cioè il DA emerge quando in una famiglia succede

CXXX
qualcosa, un evento che porta alla rottura di uno status quo che magari perdura da anni.
Purtroppo col passare del tempo (e può trattarsi di molti anni!) la situazione si struttura
sempre di più e diventa sempre più difficile affrontare i problemi, oppure l’intervento è
meno dolce, cioè ad una “rottura” si risponde con un intervento che comporta una sorta
di “violenza”. Prevenzione forse non si può fare, altrimenti verrebbe segnalato anche il
collezionismo, però se i MMG riuscissero ad anticipare un po’ la rilevazione
dell’instaurarsi di questo tipo di problema, direttamente o tramite i familiari che possono
parlare con il loro medico, forse si potrebbe intervenire meglio. È un po’ rischioso
sensibilizzare perché quando si punta l’indice su una certa patologia si può rischiare di
scatenare anche una sorta di allarmismo con un “boom” di diagnosi, un’invasione di falsi
positivi formulate sull’onda emotiva di autodiagnosi imprecise e affrettate, travisando i
sintomi... e si è già visto con l’autismo, con la sindrome di Asperger, con i disturbi del
comportamento alimentare... Forse però il DA è un problema che inizialmente viene
tollerato tanto, anche troppo, e resta un fenomeno privato, anche se presenta ricadute e
difficoltà di tipo sociale. A parte il tipo di cose che vengono accumulate (per esempio nel
caso della spazzatura siamo già nel patologico di per sé) avere una casa zeppa di oggetti
(giornali...) in un ambito di coppia e di famiglia è “come se mettessero un muro rispetto
al fuori” (“perché non si invita più nessuno, nessuno entra in casa” - perché mancano gli
spazi per l’accoglienza o ci si vergogna delle condizioni di disordine o sporcizia della
casa) e così facendo “ci si preclude una serie di relazioni amicali” che costituiscono i
fondamenti di una vita sociale, finché gradualmente nel tempo il DA di un familiare la
compromette.
A volte la famiglia ha la forza di relegare l’accumulo solo nella camera della persona col
DA, ma quando il fenomeno è ormai diventato pervasivo rispetto a tutti gli ambienti
condivisi con tutti nell’abitazione, giunge a isolare pressoché totalmente la famiglia,
addirittura rispetto ai parenti. È una cosa che si struttura nel tempo.

[“Ci sono tante famiglie che non si rivolgono al MMG...”]

[A.S.] Magari cogliendo segnali e approfittando della richiesta di visite domiciliari...


Di accumuli se ne vede di tanti tipi, e gradazioni.

CXXXI
[“La prevalenza è di 1-2 casi all’anno?”]

[A.S.] Sì, se ne vede un caso l’anno o due ma parlando di casi ormai giunti a livelli di una
situazione molto compromessa e visti solo dopo un qualche evento critico (lo sfratto,
lamentele dei vicini per motivi vari fino all’infestazione di insetti), mentre in realtà di casi
in fasi ancora sfumate ce ne sono molti di più, che non emergono se non dopo un evento
fortuito.

[“Quindi mi sta dicendo che praticamente emerge la punta dell’iceberg, sono situazioni
elusive...”]

[A.S.] Sì, si tratta di un disturbo subdolo. Crea un isolamento sociale importante, secondo
me, perché non importa che ci sia la casa tutta piena di cose; succede già prima che eviti
le cose normali e ti limiti e poi limiti gli altri appartenenti al nucleo familiare e di
conseguenza escludi fuori della porta tutti gli altri.

[“Sì, gradualmente si perdono gli spazi comuni “normali” della famiglia: la tavola per
mangiare insieme, il letto, la vasca... Per un bambino che cresce così, senza poter invitare
gli amici, immagino tutto il rancore da gestire quando diventa adulto...”]

[A.S.] ...E le proibizioni: il non poter toccar nulla, sennò guai...

[“Eh sì, i tratti ossessivo-compulsivi si intravedono”]

[A.S.] I casi che si vedono noi e che richiedono un intervento deciso e pesante son casi
che vanno avanti da anni e anni...

[“E comunque ciclicamente ne vedete, sia persone sole che con dei familiari
conviventi...”]

[A.S.] Sì, arrivano.

CXXXII
[“Vi sono capitate recidive, cioè di dover essere costretti a ripetere sgomberi forzati?”]

[A.S.] Sì, ma non con la gravità della prima volta; quando c’è questo tipo di problemi si
cerca di mantenere l’attenzione e tenerla sotto controllo con le visite domiciliari ad
esempio, se non altro per l’impegno economico perché costa tanto.

[“L’intervento avviene a spese del Comune o dell’accumulatore?”]

[A.S.] No, è a carico del Comune ma di solito la spesa - notevole - è condivisa tra la Salute
Mentale e il Comune. Dipende. A volte prima il Comune, a volte tutto l’importo il
Comune... Dipende anche da che tipo di casa è. Si cerca di non arrivare all’ordinanza del
Sindaco, quindi senza arrivare a coinvolgere il Comune, senza farlo a spese della
collettività (è un importo gravoso), ma cercando di ottenere lo stesso scopo valendosi
esclusivamente dell’impegno e dei mezzi della Salute Mentale. Specie se le persone non
hanno risorse... Dipende dalle condizioni economiche.

[“Mi saprebbe dare una stima annuale dei costi di questo tipo di interventi?”]

[A.S.] Non saprei di preciso; di solito si fa a metà e di solito si chiamano imprese di


cooperative di tipo B, senza bisogno di bandi, insomma che si possono chiamare così, e
in media la spesa è sui 3.500,00 € per il ripristino di una casa; e se se ne fa due o tre... per
i nostri budget risicati [diventa un impegno gravoso e] di solito si riesce a condividere la
spesa col Comune, con il comparto che segue la marginalità; se si interviene anche
economicamente vuol dire che le condizioni economiche delle persone coinvolte sono
disagiate, magari vivono in case popolari...

[“Quindi nonostante le spese non sentite il bisogno di sensibilizzare la popolazione e le


istituzioni sul DA?”]

[A.S.] Non è mai venuto fuori: si fa caso per caso e si cuce il progetto sulla persona.

CXXXIII
[“Da chi potrebbe partire l’idea di sensibilizzare per cercare di ridurre le spese: più dal
Comune, forse, che da parte vostra?”]

[A.S.] Dal Comune non credo: il Comune tanto poi chiama noi e noi si segue il caso. Sono
relazioni tra Enti e poi relazioni tra persone.

[“Forse se la situazione peggiorasse, potrebbe esserci la necessità...”]

[A.S.] Negli anziani poi c’è la possibilità di ricovero in struttura, e la casa si va a perdere;
se invece è di proprietà, se ci sono eredi saranno loro a provvederci; se invece la casa va
riconsegnata viene buttato via tutto e via, magari riciclando alcune cose tramite Caritas o
Apes.

[“Diciamo che se invece di uno o due casi, ne capitassero dieci all’anno... sarebbe un
problema?”]

[A.S.] Sì, sicuramente potrebbe diventare un problema. Ora si interviene in base alle
risorse; prima si faceva in modo più accurato, adesso si cerca di fare il nostro meglio,
cercando di avere meno spese possibile, come su tutti i livelli della nostra assistenza in
generale, avendo un budget ridotto, e quindi i fondi si utilizzano con maggior parsimonia
altrimenti non si arriva a fine anno.

[“Le faccio un’ultima domanda: è soddisfatta del lavoro svolto con queste persone?!]

[A.S.] Sì! È un lavoro che ti impegna molto; all’inizio quando si parte, ti prende
parecchio, ci si sta sopra tanto tempo, in tanti... poi una volta che entri in relazione con la
persona e la conosci rientri nella routine normale come per tutti gli altri nostri utenti. Si
utilizzano i nostri strumenti: la visita domiciliare, le telefonate… “L’interventone”
iniziale, quello impegna abbastanza, sì.

[“Il lavoro di rete funziona, quindi?”]

CXXXIV
[A.S.] Sì, abbastanza perché noi si lavora con l’ufficio della marginalità; negli anziani un
pochino meno, perché hanno altre risorse col ricovero in RSA. Una volta la Dott.ssa B.
ci raccontò e ci mandò le foto della casa di un signore che viveva in una casa popolare
dove aveva accumulato spazzatura e materiale ammuffito e putrescente, mantenendo tutto
chiuso, ma offrendo la chiave di casa a tutti i barboni che di solito si rifugiano alla stazione
ferroviaria perché potessero lavarsi a casa sua, raggiungendo così un livello di sporcizia
tale che c’erano infestazioni di vermi, larve, insetti, pulci, pidocchi... Le persone che si
dovevano occupare della pulizia - con gli adeguati mezzi di protezione personale -
decisero di usare per la disinfezione e disinfestazione una sostanza potente ma tossica e
nociva, che andava vaporizzata per poi permanere tre giorni nell’appartamento chiuso e
sigillato, ma invece il signore che ci abitava rientrò nell’appartamento e addirittura ci
dormì. Quando la mattina successiva si scoprì questo fatto, la Dottoressa temeva che
avesse potuto sentirsi male e si misero a cercarlo in questa casa.

[“E che fine ha fatto questa persona?”]

[A.S.] Quella volta la scampò, poi è stato seguito molti anni; morì in seguito di cirrosi,
per motivi legati all’alcolismo, dopo essere tornato a vivere in quell’appartamento che
era stato pulito e sistemato.

[“Sempre continuavate a seguirlo con le visite domiciliari?”]

[A.S.] Sì, e a portargli le medicine...

[“Mi ha raccontato tantissimi casi, rispetto ad altri intervistati: mi sembra che voi
assistenti sociali avete maggiore esperienza di questo DA rispetto a psichiatri e
psicologi”.]

[A.S.] Sì, perché siamo più legati direttamente al territorio.

[“E gli assistenti sociali di Via Saragat non li vedono?”]

CXXXV
[A.S.] Sì, Le ho raccontato di casi condivisi; lì in via Saragat ci sono le colleghe (4) che
si occupano degli Adulti in generale, e poi anche dei Minori ma come Tutela Minorile,
entrando nei casi dove c’è aperto un procedimento in Tribunale o segnalati dalla Questura,
per esempio se ci sono maltrattamenti, mentre le colleghe che seguono i problemi dei
Minori legati al territorio sono al CEP.

[“Avevo contattato gli uffici di Via Saragat, spiegando scopo e metodi della tesi, ma mi
avevano detto che non si occupavano di questo tipo di casi.”]

[A.S.] In realtà li trovano anche loro: quando fai le visite domiciliari, le famiglie son
famiglie. Per chiedere di parlare con le A.S. che si occupano dei minori dovresti
probabilmente contattare la responsabile dell’Unità Operativa e dell’Area Minori uscente,
la Dott.ssa B., per poterne ricevere l’autorizzazione, altrimenti c’è la responsabile
dell’Unità Funzionale, ma ha minori informazioni da poterti dare.

[“Ritiene che potrebbe essere utile in alcuni casi anche l’intervento di uno psicologo,
magari integrato al lavoro con lo Psichiatra?”]

[A.S.] Lo psicologo comunque nell’equipe ci dovrebbe sempre essere, e ci dà la sua


lettura, che poi magari incontra anche la persona... poi viene deciso il percorso che è più
utile. Alcuni li segue solo lo psicologo, anche se sono in carico allo Psichiatra.
È vero, però noi purtroppo ultimamente stiamo imparando a farne a meno dello psicologo,
perché non ce l’abbiamo. Ora come ora si ha un po’ meno in mente, magari negli anni
passati quando erano tanti, sì, perché lavorando in equipe: c’era un po’ più un lavoro
integrato... magari i colloqui li faceva lo psicologo, e la terapia la dava lo Psichiatra. C’era
un po’ più un lavoro integrato, ora purtroppo…

[“Per mancanza di risorse...”]

[A.S.] E in mancanza di psicologi ci viene meno fatto perché si sa che non se ne ha più la
disponibilità come poteva essere qualche anno fa che ce ne erano quattro! Il bisogno c’è,
ma se non c’è più la risorsa se ne fa a meno e si ovvia in altri modi.

CXXXVI
Ringraziamenti

Desidero esprimere la mia gratitudine a Tonina Corongiu, che mi ha incoraggiato a


seguire il mio sogno, ai Docenti incontrati all’Università di Padova che in questi anni mi
hanno fatto conoscere e appassionare alla Psicologia, a Gabriella Smorto per la ricchezza
di esperienza che ha saputo trasmettermi durante il periodo del tirocinio pre-laurea, ai
miei genitori per la fiducia che mi hanno accordato, ed infine ai numerosi amici e
compagni di viaggio che mi hanno aiutato fin qui, anche a loro insaputa.

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