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Capitolo 7 REGIONI, POTERE ESTERO E RAPPORTI CON L’UNIONE EUROPEA- regioni e potere estero

Il potere estero riguarda la stipulazione di trattati internazionali, ed in passato la nostra Costituzione


riservava tale potere agli organi dello Stato, distribuendolo tra il Governo che stipulava il trattato ,
Parlamento che autorizzava la ratifica e il Presidente della Repubblica che lo ratifica. Il problema però
sorgeva quando il trattato riguardava le materie di competenza della Regione, perché in passato il potere
estero era riservato solo allo Stato anche quando si trattava di casi in cui si parlava di materie di
competenza della Regione per l’appunto; In poche parole non solo le Regioni non potevano esercitare
direttamente il potere estero, ma non potevano nemmeno partecipare a nessuna forma di esercizio di tale
potere. Solo per le Regioni a Statuto speciale tuttavia era prevista la partecipazione del Presidente della
Regione alle sedute del Consiglio dei ministri, quando si parlava di materie di competenza della Regione, in
particolare la Sardegna

1.1 le attività promozionali all’estero e le attività di mero rilievo internazionale delle Regioni

Dopo il 1970 con l’introduzione del Regionalismo che le Regioni iniziarono ad intrattenere rapporti diretti
con enti dello Stato o direttamente con Stati o istituzioni internazionali , si trattava di vere e proprie
cooperazioni in settori che riguardavano le competenze regionali. Con la sentenza 616/77 che si
riconoscerà alle Regioni la possibilità di svolgere all’estero attività promozionali, dirette alla promozione di
prodotti regionali, delle attrattive turistiche e cosi via; un passo importante però arrivò con la sentenza
179/87 Dove la Corte Costituzionale pur affermando che lo Stato poteva intervenire nelle materie di
competenza della Regione anche per quanto riguarda gli accordi internazionali, in contemporanea veniva
riconosciuto alle Regioni la possibilità di poter svolgere attività all’estero, solo che non si trattava di veri è
propri trattati internazionali, ma di forme di collaborazione, di studio e di informazione con soggetti esteri
e attività internazionali, ma tutto questo sempre nel rispetto delle leggi dello Stato e queste attività
prima di essere svolte avevano bisogno del consenso del Governo, che si occupava di controllare la
conformità degli indirizzi di politica estera. Quindi non si trattava di un vero e proprio potere estero
regionale, ma semplicemente si ammetteva la legittimità delle Regioni in questo campo, sempre
rispettando le leggi dello Stato; il problema stava nell’individuare le procedure idonee e nel non violare i
limiti. Per poter svolgere attività estere, c’è bisogno di comunicare tempestivamente al Presidente del
Consiglio e al Ministero degli affari esteri ed entro 20 giorni devono poi valutare la compatibilità con gli
indirizzi della politica estera dello Stato e in caso contrario negare lo svolgimento delle attività regionali.

1.2 il potere estero delle Regioni nella riforma del titolo 5 della 2 parte della costituzione

La riforma del titolo 5 introduce importanti novità, infatti l’articolo 117 comma 9 prevede che nelle
materie di sua competenza la Regione può concludere gli accordi con Stati e intese con enti territoriali
interni di altri Stati, sempre rispettando le leggi dello Stato; questo si tratta di un vero e proprio
riconoscimento del Potere estero delle Regioni, però tutto questo ha suscitato diversi interrogativi : ad
esempio ci si è chiesti se lo Stato potesse ancora intervenire nelle materie di competenza delle Regioni e
soprattutto che rapporto ci fosse tra il nuovo Potere estero delle Regioni e quello dello Stato. Comunque
sia, si arriva alla conclusione che : 1) Lo Stato conserva una materia esclusiva nella materia di politica
estera 2) La legge regionale è subordinata al rispetto del limite internazionale. Sta di fatto che il
rapporto tra il Potere estero delle Regioni e quello dello Stato, si risolve in termine di principio di leale
collaborazione. L’ARTICOLO 6 COMMA 2 parla delle intese con gli enti di altri Stati che sono atte a
favorire uno sviluppo economico, sociale e culturale delle Regioni; queste intese sono collegate al limite
della politica estera dello Stato e devono essere comunicate alla Presidenza del Consiglio dei Minisri e al
Ministero degli affari esterni entro 30 giorni. L’ARTICOLO 6 COMMA 3 invece parla della stipulazione degli
accordi internazionali esecutivi ed applicativi con altri Stati, sempre nel rispetto della politica estera dello
Stato, nei limiti costituzionali e degli obblighi internazionali e comunitari; anche in questa procedura
bisogna rispettare delle regole, tipo bisogna comunicare l’inizio delle trattative alla Presidenza degl
Consiglio e al Ministero degli affari esteri che ha la possibilità di individuare i principi; dopo essersi accertati
della legittimità si conferiscono i pieni poteri di firma alla Regione. Il Potere estero delle Regioni è
considerata un’attività per nome e per conto dello Stato che può sempre stipulare accordi internazionali
nelle materie di competenza regionale

1.2.2 la cooperazione transfrontaliera

La cooperazione transfrontaliera riguarda delle forme di collaborazione che possono avvenire tra Regioni
limitrofe appartenenti a Stati diversi, sono incentivate dall’Ue al fine di incentivare politiche di coesione
sociale ed economica.

1.2.2 la cooperazione allo sviluppo

La Corte Costituzionale si è espressa diversamente per quanto riguarda La cooperazione allo sviluppo, dal
momento che ciò che riguarda la cooperazione internazionale e la politica estera delle Regioni è lesiva della
competenza esclusiva dello Stato.

LE REGIONI E L’UNIONE EUROPEA LA DISCIPLINA DEI TRATTATI EUROPEI

L’Unione Europea è nata attraverso un processo che ha coinvolto diversi Stati nazionali tramite la stipula di
trattati internazionali e le autonomie regionali, pertanto furono escluse dai circuiti decisionali della
Comunità; le cose sono cambiate a partire dagli anni 80 attraverso la dichiarazione Comune del 1984 che
alimentava più collaborazione tra istituzioni comunitarie e autonomie territoriali; oppure ancora la carta
comunitaria della regionalizzazione del 1988 dove si parlava di istituzionalizzare forme di rappresentanza
regionale, per poterle far partecipare direttamente alle politiche comunitarie. Quindi si trattava di una
sorta di avvio di regionalismo comunitario dove l’intervento delle autonomie territoriali era comunque
limitato nella gestione dei fondi economico-sociale. Con il Trattato di mastric nel 1992 si segna poi il
passaggio dal regionalismo funzionale al regionalismo istituzionale, e con questo trattato viene istituito il
Comitato delle Regioni e delle autonomie locali; sempre con questo trattato che viene introdotto anche
il principio di sussidiarietà che permette alla Comunità di esercitare i propri poteri normativi, solo
quando risultano essere necessari per la risoluzione dei problemi che non possono risolvere gli stati
membri. Anche con il trattato di lisbona del 2007 vengono inserite alcune novità come il comitato delle
Regioni e delle autonomie locali che può promuovere ricorsi alla Corte di Giustizia, quando ritiene che le
proprie prerogative siano state lese da qualche istituzione europea

2.2 la normativa nazionale

Inizialmente si credeva che Lo stato fosse abilitato ad agire solo a tutela degli interessi unitari del Paese e
che non c’era nessuno spazio per le autonomie territoriali; però con lo sviluppo del Regionalismo
comunitario, sono cambiate diverse cose, le Regioni infatti possono avere il diritto di trasmettere i propri
progetti di atti normativi comunitari di loro interesse, possono esprimere osservazioni e posso nella
Conferenza permanente Stato- Regioni confrontarsi con il Governo per i temi che riguardano l’integrazione
europea. Con la legge 128/98 che viene introdotta la sessione comunitaria annuale della Conferenza,
dove le Regioni possono confrontarsi sugli indirizzi di politica comunitaria e possono segnalare questioni di
particolare interesse regionale che riguardano livelli comunitari. Il ruolo delle Regioni nella formazione del
diritto comunitario si rafforza con l’art 117 comma 5 , che prevede che le Regioni e le province autonome,
nelle materie di loro competenza, possono attuare atti normativi comunitari, nel rispetto delle leggi dello
Stato. L’articolo 5 poi prevede che tutti i progetti di atti normativi comunitari che riguardano le materie
della regione, devono essere trasmessi alla Conferenza dei Presidenti dei Consigli Regionali; su questi atti
che le regioni possono esprimere le loro osservazioni entro 20 giorni dalla trasmissione dei progetti. Se una
o più regione la richiedono poi, Il governo può convocare la conferenza permanente Stato regione per
raggiungere un’intesa su una posizione comune da sostenere in sede europea; se entro 20 giorni l’intesa
non viene raggiunta, il Governo può procedere ugualmente. Se il raggiungimento di questa intesa risulta
essere difficile le Regioni possono chiedere al Governo un RIESAME al Consiglio dei ministri Europeo e
possono richiedere una sospensione di ogni decisioni sul progetto in discussione; se nei venti giorni
successivi questa intensa ancora non si raggiunge, Il governo procede. La legge 131/2003 prevede la
partecipazione diretta delle Regioni ai lavori delle istituzioni comunitarie e del Consiglio dei Ministri
europeo, nel rispetto dell’unitarietà che deve mantenere la posizione dello Stato italiano; inoltre con
questa legge che le Regioni possono avanzare un ricorso dinanzi la Corte se ritengono che un atto
comunitario violi le proprie competenze;

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