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TEMA DI POLITICA FISCALE

Generalmente i governi si impegnano a sostenere delle spese di varia natura (d’investimento, di


trasferimenti sociali, militari, ecc.) finanziandole principalmente con:
• Prelievi obbligatori (imposte e contributi sociali);
• Indebitamento (emissione del debito pubblico con costo per interessi);
• Creazione monetaria (emissione di moneta da parte della banca centrale).
La politica fiscale di un Paese rappresenta l’insieme delle scelte relative alle entrate e alle uscite del
settore pubblico. Secondo quanto sostenuto da Paul Samuelson, la politica fiscale (o di bilancio)
consiste nel modificare le imposte e la spesa pubblica al fine di attenuare le oscillazioni del ciclo
economico, di mantenere un livello di occupazione elevato e di contrastare le spinte dell’inflazione o
della deflazione. Quindi possiamo sintetizzare che la spesa pubblica (G) e le imposte (T) descrivono
la politica fiscale di un governo.
Si distinguono le spese di investimento (infrastrutture ad esempio) dalle spese correnti. Tra queste
ultime rientrano le spese per gli interessi sul debito pubblico (i*Bt-1), che, essendo legate al livello di
stock del debito e ai tassi di interesse a lungo termine, nel breve periodo non ricadono sotto il controllo
del governo. Per tale motivo si ricorre molto spesso al concetto di spese primarie, ossia spese al netto
degli interessi, per valutare l’evoluzione nel tempo della spesa pubblica e di fatto della politica fiscale
di un Paese.
I trasferimenti sociali (assistenza sanitaria ad esempio), rappresentano delle uscite a titolo gratuito a
fronte delle quali non viene ceduto alcun corrispettivo all’ente pubblico. Rappresentano una
componente di segno positivo (+) della voce imposte (T) dell’equazione del vincolo di bilancio del
settore pubblico:
Ft = i*Bt-1 + Gt - Tt
Quindi, ricapitolando, possiamo definire la spesa pubblica (G) come l’insieme di beni e servizi
acquistati dallo stato e dagli enti pubblici, escludendo i trasferimenti (assistenza sanitaria e sociale) e
gli interessi del debito pubblico.
Nel breve periodo, ed ipotizzando per semplicità un’economia chiusa, la domanda aggregata di beni
può essere descritta come la somma di consumo (C), investimento (I) e spesa pubblica (G):
Z≡C+I+G
Essendo C funzione del reddito disponibile (differenza tra reddito lordo ed imposte al netto dei
trasferimenti: YD ≡ Y – T) un incremento delle imposte da parte del governo determinerebbe una
riduzione dei consumi e quindi della domanda aggregata di beni. Viceversa un aumento della spesa
pubblica (G) comporterebbe un aumento della domanda aggregata nel breve periodo.
Generalmente G e T vengono considerate delle variabili esogene nel calcolo della domanda dei beni.
Questo principalmente per due ragioni:
• Il governo non presenta un comportamento regolare come quello del consumatore o
dell’impresa, non esiste una funzione per G e per T che descriva affidabilmente l’andamento
di queste variabili;
• I macroeconomisti devono consigliare i governi circa le decisioni da prendere in merito a
livelli di spesa pubblica e tassazione evidenziando le possibili implicazione sull’economia

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reale. Per tale motivo G e T vengono trattate come variabili scelte dal governo, e non spiegate
dal modello.
In una situazione di equilibrio la domanda aggregata è uguale alla produzione Y. Pertanto la
condizione di equilibrio nel mercato dei beni diventa:
Y = C(Y-T) + I(Y,i) +G
Questa relazione tra domanda e produzione è rappresentata dalla curva ZZ, inclinata positivamente e
crescente (non proporzionalmente). Nel punto di equilibrio A (intersezione curva ZZ con bisettrice I
– III quadrante) la produzione Y è uguale alla domanda Z. La curva ZZ è disegnata per un dato tasso
di interesse i, per ogni diverso valore di i ci sarà una diversa ZZ, quindi un diverso valore di equilibrio
A, ossia un diverso valore della produzione Y. Esistono infatti infinite coppie di valore (Y,i) che
mettono in equilibrio il mercato dei beni.
La curva che mette in relazione i ed Y prende il nome di curva IS, inclinata negativamente (al crescere
di i Y si riduce e viceversa).

Oltre il tasso i, anche G e T possono far traslare la curva ZZ e di riflesso anche la IS. Un incremento
delle imposte (T) implica una contrazione della produzione, che graficamente si riflette in uno
spostamento verso il basso della curva ZZ e verso l’alto della curva IS. Un aumento della spesa
pubblica (G), che impatta direttamente sulla domanda aggregata a differenza di i e di T che agiscono
indirettamente rispettivamente tramite I e C, determina uno spostamento verso l’alto della ZZ ed uno
verso il basso della IS. Ovviamente si verifica tutto ciò assumendo i ed Y fissi.
Introducendo ora la curva LM derivata dall’equilibrio nei mercati finanziari, oggetto di analisi e
decisione della politica monetaria, troviamo il punto di equilibrio della nostra economia (composta
sia dal mercato dei beni che dai mercati finanziari → IS ed LM devono valere simultaneamente).
Congiuntamente queste due relazioni determinano il livello di produzione. Ipotizziamo ora una
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situazione di recessione economica e una produzione troppo bassa. In questa circostanza sia la politica
monetaria che quella fiscale possono essere utilizzate per aumentare la Y. Una politica monetaria
espansiva sposta la curva LM verso il basso (con una riduzione del tasso di policy a un livello tale da
permettere di tornare al valore iniziale della produzione). Una politica fiscale espansiva, attraverso
ad esempio una riduzione delle imposte mantenendo la spesa pubblica costante o aumentando la G e
mantenendo fissa T, sposta la curva IS vero destra (Y pre-recessione).
Tipicamente in caso di recessione economica, i policy maker ricorrono ad una combinazione di
politica fiscale e monetaria (mix di politica economia) e non ad una sola di esse per una serie di
motivi:
• Un’espansione fiscale comporta un aumento del disavanzo di bilancio (o a un minor avanzo
di bilancio) e necessariamente ad un aumento del debito pubblico e ciò è rischioso;
• Un’espansione monetaria è operata tramite riduzione del tasso di interesse i, ma se il tasso di
interesse è già prossimo allo zero (l’economia si trova nel caso dello zero lower bound) ci
sarà poco spazio di manovra, poiché i ≥ 0.
• Le due politiche hanno differenti effetti sulla composizione della produzione, pertanto i
policy-maker preferiranno una politica economia all’altra in base alla composizione iniziale
della produzione.
• Le due politiche non funzionano perfettamente come da teoria, perciò, nell’evenienza che
una delle due non funzioni come sperato, è preferibile ricorrere ad entrambe.
Se ci poniamo a questo punto in un’ottica di medio periodo, le cose cambiano leggermente.
Analizziamo la situazione in cui un governo vuole ad esempio ridurre il proprio disavanzo di bilancio
aumentando le imposte o riducendo la spesa pubblica (curva IS trasla a sinistra). In una situazione
del genere per mantenere lo stesso livello di produzione Y la politica monetaria andrà nella direzione
opposta → riduzione del tasso d’interesse i (curva LM trasla in basso). Quindi il consolidamento
fiscale sposta la curva IS verso sinistra, riducendo la produzione di equilibrio. La banca centrale a
questo punto ridurrà il tasso di policy per eliminare la diminuzione dell’inflazione, riportando di fatto
la produzione al livello naturale, ma con una composizione differente: il consumo è minore (privato
se T è cresciuto, pubblico se G si è ridotto), mentre l’investimento è maggiore. Quindi nel medio
periodo sia il governo che la banca centrale hanno poteri limitati nello scostarsi dalla produzione di
equilibrio, poiché la tendenza del sistema sarà quella di tornare nel punto di produzione naturale, il
quale non è dettato dalla domanda ma dalle forze dell’offerta (imprese e lavoro). Nella realtà, però, i
fatti possono non andare esattamente come quanto descritto dalla teoria.
Eliminiamo ora l’assunzione iniziale di economia chiusa, per analizzare quanto espresso in
precedenze in un contesto di economia aperta. In tale situazione è necessario distinguere la domanda
nazionale di beni dalla domanda di beni nazionali. La domanda di beni in economia aperta diventa
pertanto:
Z = C + I + G + X – IM/ε
Il termine X rappresenta le esportazioni, ossia la domanda di beni nazionali provenienti dal resto del
mondo, mentre IM indica le importazioni, domanda nazionale di beni provenienti dal resto del mondo.
Ovviamente i beni nazionali non sono uguali a quelli esteri e per tale motivo è presente nell’equazione
il tasso di cambio reale ε, il quale rappresenta il prezzo relativo dei beni nazionali in termini di beni
esteri. Le importazioni IM dipendono positivamente sia dalla produzione interna Y, sia dal tasso di
cambio reale ε. Le esportazioni, invece, dipendono positivamente dalla produzione estera Y* e
negativamente dal tasso di cambio reale ε. Per semplicità i due termini appena descritti vengono
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raggruppati sotto un’unica voce “esportazioni nette”: NX (Y,Y*, ε) = X (Y*, ε) – (IM )Y, ε) / ε. La
condizione di equilibrio pertanto diventa:
Y = C (Y – T) + I (Y, r) + G + NX (Y, Y*, ε)
Graficamente la relazione tra esportazioni nette e produzione è rappresentata dalla retta NX. Le
esportazioni nette sono una funzione decrescente della produzione nazionale: al crescere della Y le
importazioni aumentano mentre le esportazioni rimangono invariate, pertanto NX diminuisce. Il
livello di produzione nazionale corrispondente al punto in cui le esportazioni nette sono pari a 0 (X =
IM), prende il nome di YTB (Bilancia commerciale). Per livelli di produzione nazionale maggiori di
YTB le importazioni sono più elevate ed il paese registra un disavanzo commerciale, viceversa per
livelli nazionali inferiori di YTB le importazioni sono più basse e il paese registra un avanzo
commerciale.
Assumiamo ora che la bilancia commerciale sia in pareggio (Y = YTB), una politica fiscale espansiva
(incremento spesa pubblica e/o riduzione imposte) determina un aumento della domanda nazionale
di beni, un incremento della produzione, ma anche un peggioramento del saldo commerciale:
disavanzo commerciale (aumentano le importazioni, mentre rimangono invariate le esportazioni). Un
aumento della domanda estera (generato ad esempio da una politica fiscale espansiva del resto del
mondo) provoca un aumento della produzione estera, la quale genera maggiori esportazioni di beni
nazionali che a loro volta fanno aumentare la produzione interna nazionale. Questo genera un
incremento delle importazioni, ma non in misura tale da compensare l’incremento delle esportazioni,
per cui la bilancia commerciale migliora (avanzo commerciale).
Ricordiamo ora che un aumento del tasso di interesse reale genera una riduzione degli investimenti
→ diminuzione domanda di beni nazionali → riduzione produzione. Un incremento del tasso di
cambio reale provoca uno spostamento della domanda a favore dei beni esteri → calo esportazioni
nette → diminuzione domanda di beni nazionali → riduzione produzione. Poiché ci stiamo riferendo
al breve periodo, ipotizzando che il livello dei prezzi sia costante, il tasso di cambio reale e quello
nominale coincidono. Inoltre la relazione che lega tasso di interesse e tasso di cambio ci dice che un
aumento del tasso di interesse interno provoca un aumento del tasso di cambio. Detto ciò analizziamo
il modello di Mundell-Fleming che amplia il modello IS-LM introducendo una descrizione degli
scambi commerciali (esportazioni e importazioni) di un Paese con il resto del mondo. Ipotizzando
che il resto del mondo non risponda all’aumento della spesa pubblica nazionale e soffermandoci
sull’efficacia della politica fiscale in economia aperta, tramite questo modello possiamo analizzare
diverse situazioni. Un’espansione fiscale (aumento G e/o riduzione T) determina un aumento della
domanda di beni e di conseguenza della produzione interna Y e quindi uno spostamento della curva
IS a destra. Se l’aumento di G sposta la produzione verso il livello potenziale, ma non al di sopra di
esso, la banca centrale non si preoccuperà che l’inflazione possa aumentare, mantenendo così il tasso
d’interesse invariato e di conseguenza anche il tasso di cambio. In questa situazione il consumo e la
spesa pubblica aumentano (il primo grazie all’incremento del reddito il secondo per nostra ipotesi),
l’investimento aumenta (cresce la produzione e il tasso i rimane fisso), le esportazioni nette
diminuiscono (produzione estera invariata per precedente ipotesi, tasso i invariato → tasso di cambio
non si modifica, incremento produzione interna → aumento delle importazioni).
Ipotizziamo ora la situazione in cui un governo decida di incrementare la spesa pubblica (G)
nonostante l’economia si trovi già al livello di produzione potenziale (spesa per un evento
eccezionale, es. un’inondazione). In tal caso, la banca centrale potrebbe reagire aumentando il livello
del tasso di interesse i per paura di una possibile inflazione causata dall’incremento di Y oltre il livello

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potenziale. Questo aumento di i determina un aumento minore di Y ed un apprezzamento del tasso di
cambio. In questa situazione il consumo e la spesa pubblica aumentano come nella precedente,
l’investimento da un lato aumenta (incremento di Y), dall’altro si riduce (aumenta il tasso i), le
esportazioni nette si riducono (l’apprezzamento del tasso di cambio determina una riduzione delle
esportazioni e un aumento delle importazioni, inoltre l’incremento di Y fa aumentare ulteriormente
le importazioni). Il disavanzo di bilancio provoca un peggioramento della bilancia commerciale.
L’apprezzamento del cambio peggiora il disavanzo, ma l’incremento di i riduce allo stesso tempo
l’aumento della produzione, limitando in parte l’incremento delle importazioni e quindi il
peggioramento del disavanzo.Va precisato che questo modello è nato in un periodo storico (anni
sessanta del secolo scorso) in cui le banche centrali sceglievano l’offerta di moneta invece che il tasso
d’interesse come avviene invece oggi.

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TEMA SUL VANTAGGIO COMPARATO
La teoria del vantaggio comparato introdotta da David Ricardo, nasce dalla critica al pensiero
mercantilista, secondo cui il commercio è un gioco a somma zero, se qualcuno vince qualcun altro
deve perdere. Prima di parlare di vantaggio comparato, è bene introdurre brevemente il concetto di
vantaggio assoluto. Con questo termine in macroeconomia si indica la possibilità che, a causa di
differenze nelle condizioni di offerta, un Paese ha di produrre un determinato bene ad un prezzo
inferiore rispetto a quello di un altro Paese. Il concetto di vantaggio assoluto, utilizzando uno schema
analitico semplice (domanda/offerta), è utile per comprendere l’essenza del commercio
internazionale, ossia la tendenza di un Paese ad esportare/importare un bene abbandonando una
situazione di autarchia e come questo determini un incremento netto del benessere collettivo dei Paesi
coinvolti. Va precisato però che l’abbandono di una condizione di autarchia determina sì un
incremento del benessere complessivo del Paese, ma con una differente distribuzione interna dello
stesso. Queste variazioni nel benessere interno ad un Paese possono rappresentare un forte ostacolo
all’apertura dei paesi al commercio internazionale.Tuttavia può verificarsi una situazione in cui un
Paese non presenti alcun vantaggio assoluto nella produzione di alcun prodotto, e quindi che non
abbia alcunché da esportare. Per spiegare ciò, e quale sia quindi il fattore che spinge un Paese verso
l’apertura al commercio internazionale, è necessario introdurre il concetto di vantaggio comparato.
Per capire il vantaggio comparato è utile ricorrere al significato di frontiera delle possibilità produttive
(FPP). La FPP illustra la combinazione di output del bene X1 e del bene X2 che un’economia può
produrre, data la disponibilità di risoorse produttive e di tecnologia a disposizione. La pednenza della
frontiera rappresenta il costo opportunità del bene sull’asse orizzontale, ossia il sacrificio che un
operatore economico deve compiere per effettuare una scelta economica. Una retta tangente alla
frontiera in punto avrà la stesa pendenza della frontiera, uguale al prezzo relativo del bene
rappresentato sull’asse orizzontale.
Si considerino ora Vietnam e Giappone. Entrambi i paesi producono due beni: riso e motociclette
(beni omogenei, ossia il riso prodotto in Vietnam è uguale a quello prodotto in Giappone, discorso
analogo per le motociclette). Per semplicità si ipotizza che il consumo dei due beni nei due paesi
rispetti le stesse proporzioni. Partendo da questa assunzione la domanda di riso e motociclette può
essere rappresentata da una retta che parte dall’origine degli assi (una variazione delle preferenze
farebbe variare l’inclinazione della retta). Queste curve di domanda “diagonali” hanno pendenza
positiva. Assumiamo che la frontiera delle possibilità produttive del Vietnam sia distorta verso la
produzione di riso, perché magari può avere una tecnologia migliore per la produzione di riso (oltre
che un amaggiore disponibilità dei fattori produttivi rilevanti come forza lavoro e/o terra), mentre
quella del Giappone verso la produzione di motociclette, perché presenta una tecnologia migliore per
la produzione delle motociclette (oltre che un amaggiore disponibilità dei fattori produttivi rilevanti
come capitale fisico e/o innovazione). In una situazione di autarchia, rispettando tutte le assunzioni
precedentemente fatte, i Paesi si trovano nel punto di intersezione delle rispettive curve DD con le
FPP.

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In presenza di mercati che funzionano secondo la concorrenza perfetta, di piena occupazione delle
risorse di produzione, come precedentmeente detto i costi opportunità si riflettono per intero nei
prezzi relativi. Il punto di interesezione tra DD e FPP corrisponde pertanto al prezzo relativo del riso
in termini di motociclette (Pr/Pm). Essendo la retta che esprime il prezzo relativo (Pr/Pm) meno
inclinata in Vietnam che in Giappone il costo opportunità del riso è minore in Vietnam che in
Giappone → il prezzo relativo (Pr/Pm) è minore in Vietnam che in giappone.

Se il Vietnam ed il Giappone decidessero di abbandonare la condizione di autarchia aprendosi al


commercio internazionale, allora il prezzo relativo del riso a livello internazionale si fisserà in un
valore compreso tra i due prezzi relativi in condizione di autarchia: (Pr/Pm)v < (Pr/Pm)w < (Pr/Pm)j
I punti in cui la retta del prezzo relativo mondiale (Pr/Pm)w è tangente alle forntiere determina le
nuove combinazioni di produzione nei due Paesi (punto B). In questi nuovi punti avremo in Vietnam
un incremento della produzione di riso ed una riduzione nella produzione di motociclette, in Giappone
l’esatto contrario. Quindi il Vietnam si specializzerà nella produzione di riso mentre il Giappone in
quella di motociclette, ossia nei settori in cui godono di un vantaggio comparato.

Le scelte di consumo dei due Paesi giacciono nei punti C, in cui la retta del prezzo relativo
internazionale interseca le DD. Il punto C, in entrambi i Paesi, è preferibile al punto A, poiché in quel
punto si consumerebbe una quantità maggiore di tutti e due i beni (riso e moto). In autarchia però non
posso “stare” in C, sono oltre la frontiera delle possibilità produttive. Se i due Paesi si aprono invece
al commercio internazionale e si specializzano nella produzione del bene per cui godono di un
vantaggio comparato, allora possono arrivare nel punto C. A seguito dell’apertura al commercio
internazionale, in Vietnam la produzione di riso eccede il consumo interno e la differenza viene
esportata, mentre la produzione di motociclette è inferiore alle scelte di consumo e la differenza viene
importata. Ovviamente in Giappone accade l’esatto opposto → esporta motociclette ed importa riso.
Supponiamo ad esempio che la quantità di riso esportata dal Vietnam sia inferiore a quella importata
dal Giappone. In questa situazione si verifica un’eccesso di domanda di riso sul mercato
internazionale. Tale eccesso provoca un incremento del prezzo internazionale del riso (Prw) e ciò
comporta un aumento dell’inclinazione della retta (Pr/Pm)w. In entrambi i Paesi allora ci si sposta

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più in basso a destra lunga la frontiera e quindi la produzione di riso aumenta in entrambi i Paesi. Il
risultato è la riduzione dell’eccesso di domanda.
Utilizzando l'esempio riportato da Ricardo nel capitolo “On Foreign Trade” in “The Principles of
Political Economy and Taxation” (Ricardo 1821) per comprendere meglio il vantaggio comparato, si
suppone che 120 lavoratori inglesi siano necessari per produrre una determinata quantità di vino (X1)
e 100 lavoratori per produrre una certa quantità di tessuto (X2), mentre in Portogallo occorrono 80
lavoratori per produrre la stessa quantità di vino (X*1) e 90 lavoratori per produrre la stessa quantità
di tessuto (X*2). Il Portogallo ha un vantaggio assoluto nella produzione di entrambe i beni. A questo
punto calcoliamo i prezzi relativi:
Paese Stoffa Vino
Inghilterra P1 = 0,83 (100/120) P2 = 1,2 (120/100)
Portogallo P*1 = 1,12 (90/80) P*2 = 0,89 (80/90)

Ne consegue che, specializzandosi nella produzione di merci in cui hanno il massimo vantaggio
comparato in termini di out put per unità di lavoro (vino per il Portogallo e stoffa per l'Inghilterra), al
Portogallo converrà esportare vino ed importare stoffa (“risparmiando” di fatto la produzione
potenziale di 10 lavoratori), mentre l’Inghileterra esporterà stoffa ed importerà vino (“risparmiando”
di fatto la produzione potenziale di 20 lavoratori). Entrambi i paesi hanno la possibilità di espandere
il consumo di beni aprendosi al commercio internazionale, incrementando il benessere generale.
Nella pratica il vantaggio comparato viene calcolato esaminando i flussi di commercio di un Paese in
termini relativi rispetto ad un altro Paese (o gruppo di Paesi) di riferimento. Tali flussi vengono
analizzati tramite l’Indice di Balassa IB:
𝑞𝑢𝑜𝑡𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑠𝑒𝑡𝑡𝑜𝑟𝑒 𝑗 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑒𝑠𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑎𝑒𝑠𝑒 𝑖
𝐼𝐵𝑗𝑖 =
𝑞𝑢𝑜𝑡𝑎 𝑛𝑒𝑙 𝑠𝑒𝑡𝑡𝑜𝑟𝑒 𝑗 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑒𝑠𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑑𝑒𝑖 𝑝𝑎𝑒𝑠𝑖 𝑑𝑖 𝑟𝑖𝑓𝑒𝑟𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜

Il vantaggio comparato viene definito “rivelato” se 𝐼𝐵𝑗𝑖 > 1. Tale formula tuttavia presente alcuni
problemi:
• La scelta del/i paese/i di riferimento come denominatore è arbitraria;
• Non è chiaro come deve essere trattato il commercio intra-settoriale;
• Analizzando le catene del valore… Si tratta davvero di competitività e vantaggi comparati?
Introduciamo ora il modello di Hecksher – Ohlin, secondo cui un Paese esporta il bene la cui
produzione fa un uso più intenso del fattore produttivo relativamente più abbondante. Al contrario
importa il bene la cui produzione fa un uso più intenso del fattore più scarso. In aggiunta a ciò, il
teorema di Stolper – Samuelson ci dice che quando un Paese si apre al commercio internazionale, il
fattore di produzione relativamente più abbondante (impiegato intensivamente nella produzone del
bene che esporta) “guadagna”, mentre il fattore scarso “perde”. Ne segue che l’opposizione al
commercio proviene dal fattore di prdouzione relativamente più scarso. L’opposizione al commercio
internazionale non scaturisce pertanto da preoccupazioni circa la sicurezza nazionale o la perdita di
identità culturale, ma si fonda sulla perdita di reddito che alcune classi (proprietari fattori della
produzione relativamente più scarsi) devono sopportare. I due modelli/teoremi appena descritti si
basano sulla perfetta mobilità dei fattori produttivi (possono spostarsi senza costi tra differenti settori
dell’economia). Anche se tale assunzione puà essere compatibile con analisi di lungo periodo, in
alcuni casi ciò non è del tutto corretto. Esistono fattori produttivi, definiti specifici, che per loro natura

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molto difficilmente potranno essere trasferiti da un settore economico ad un altro. In presenza di tali
fattori il teorema di Stolpen – Samuelson diventa: “Fattori di produzione speicifici al settore che
importa tendono a perdere a seguito dell’apertura di un Paese al commercio internazionale, viceversa
per i fattori di produzione specifici al settore che esporta”.
La conclusione che il commercio internazionale aumenti il benessere generale di un Paese necessità
di alcune precisazioni:
• L’aumento del benessere generale nasconde un cambiamento nella composizione del
benessere all’interno dei paesi che si aprono al commercio internazionale:
▪ Le risorse produttive, ad esempio i lavoratori, si devono spostare dai settori obbligati
a contrarsi (beni importati) verso i settori che si espandono (beni esportati), per evitare
la disoccupazione. Tutto questo non è ne un processo indolore ne in alcuni casi
possibile (fattori specifici). Ciò sfocia molto spesso in richieste di misure
protezionistiche, da parte degli attori “danneggiati”;
• Per alcuni beni che pure sono oggetto di scambi commerciali internazionali, il loro consumo
non aumenta il benessere bensì lo diminuisce (discorso valido per bene come: stupefacenti,
prostituzione e simili);
• Talvolta l’apertura al commercio internazionale può causare danni all’ambiente.
Soffermandoci su quest’ultimo punto, è interessante chiedersi quale sia il ruolo di commercio e
vantaggio comparato nel detrminare i livelli di inquinamento ed altre forme di degrado ambientale.
Anche se questo problema è in larga parte di carattere empirico, sono stati individuati tre canali
attraverso i quali gli scambi possono avere effetti ambientali positivi o negativi:
1. Effetto di scala o di crescita → il commercio internazionale stimola il livello complessivo di
attività economica e ciò può avere a sua volta ripercussioni sul piano dell’ambiente. Questo
effetto assume che la composizione dell’attività economica e la tecnologia di produzione siano
costanti. Il commercio puà stimolare l’utilizzo totale di risorse scarse o il livello complessivo
di inquinamento. In tale contesto sia inserisce la “U rovesciata” o curva di Kuznets ambientale
(CKA). Secondo tale curva il degrado ambientale è inizialmente crescente e successivamente
decrescente all’aumentare del livello dell’attività economica (o del prodotto interno lordo).
Nelle società povere il degrado ambientale è minimo poiché le attività economico-produttive
della popolazione sono concentrate nell'agricoltura. I consumi sono prevalentemente consumi
alimentari di sussistenza. In questa fase il reddito pro-capite è molto basso. Nelle prime fasi
dello sviluppo economico la crescita del reddito pro-capite assume una relazione positiva con il
degrado ambientale. Questa fase è rappresentata dal tratto iniziale crescente della curva di Kuznets.
Ad esempio, la diffusione delle industrie ha un forte impatto ambientale ed è causa di inquinamento e
degrado. La fase di industrializzazione di un sistema economico è associata a una crescita
generale dell'occupazione, della ricchezza economica e del reddito pro-capite. Secondo
Kuznets la correlazione positiva diretta tra la crescita economica (reddito pro-capite) e il
degrado ambientale si interrompe al raggiungimento di un determinato livello di benessere.
Nelle società più ricche la qualità ambientale si trasforma in un bene scarso e la società è,
quindi, disposta a scambiare una parte della propria crescita economica per ottenere un
miglioramento della qualità ambientale (disponibilità a pagare per l'ambiente). La società
adotta una politica ambientale per ridurre il livello di inquinamento delle proprie attività di
consumo e di produzione. Le attività produttive sono delocalizzate in altre paesi
(delocalizzazione produttiva) e il sistema economico nazionale si specializza nel settore dei
servizi (terziario) ad elevato valore aggiunto. Nel punto B (punto di massimo) la relazione tra
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il degrado ambientale e il reddito pro-capite si inverte e la curva di Kuznets assume un
andamento decrescente. In conclusione, secondo Kuznets la crescita economica riduce la
qualità ambientale fino a un determinato punto, a partire dal quale la relazione si inverte e
ogni ulteriore aumento del reddito pro-capite riduce il degrado ambientale. La curva di
Kuznets interpreta la relazione tra economia e ambiente nei casi di inquinamento locale, dove
il degrado ambientale è un fattore negativo della funzione di utilità della popolazione. Ad
esempio, lo smog in una città riduce la qualità della vita a tutta la popolazione locale. In questi
casi le persone percepiscono il degrado ambientale come un danno diretto. Nei casi di
inquinamento globale e di inquinamento transnazionale, invece, l'inversione della relazione
tra economia e ambiente non si verifica fin quando le conseguenze non sono tangibili a tutti.
2. Effetto di composizione dell’attività → Anche questo effetto, legato alla posizione dei paesi
lungo la FPP, assume che la composizione dell’attività economica e la tecnologia di
produzione siano costanti. A seconda della configurazione del vantaggio comparato, alcuni
settori altamente inquinanti, come quello chimico o metallurgico, possono aumentare o
diminuire la propria quota all’interno della produzione complessiva di un paese. A tal
proposito, Lòpez e Islam hanno formulato una regola generale secondo la quale settori ad
elevata intensità di capitale fisico o di utilizzo di risorse naturali tendono ad essere più
inquinanti rispetto a settori caratterizzati da elevata intensità di capitale umano.
3. Effetto della tecnica → tale effetto indica la possibilità, assumendo che restino costanti il
livello complessivo di attività economica e la sua composizione settoriale, che l’intensità delle
emissioni inquinanti associate a un dato livello di produzione di un settore possa cambiare,
talvolta in direzione positiva. Lòpez e Islam hanno osservato che l’effetto tecnico del
commercio riduce alcuni inquinanti, in particolare quelli dell’aria, mentre gli effetti su altri
fattori ambientali sono meno significativi. Tale effetto, inoltre, può essere applicabile anche
alla diffusione di tecnologie verdi.
L’impatto congiunto dell’effeto di scala o di crescita, dell’effetto di composizione dell’attività e
dell’effetto tecnico, prende il nome di effetto netto. Nel 2000 la North American Commission for
Enviromental Cooperation ha organizzato il primo “Simposio Nordamericano per la Comprensione
dei Collegamenti fra Commercio ed Ambiente”. In uno degli interventi presentati, Reinert e Roland-
Holst hanno valutato l’impatto della liberalizzazione del commercio generata dal NAFTA
sull’inquinamento industriale in Canada, Stati Uniti e Messico. Per fare ciò hanno utilizzato un
modello a 26 settori dell’economia nordamericana (includendo Canada, USA e Messico),
concentrandosi sui settori manifatturieri presenti nel modello e basandosi su dati relativi
all’inquinamento provenienti dall’Industrial Pollution Projection System della Banca Mondiale.
Reinert e Roland-Holst hanno rilevato che le conseguenze ambientali più gravi del NAFTA si
verificano nel settore dei minerali metalliferi. Per la maggior parte delle sostanze inquinanti prese in
esame glie effeti maggiori sono previsti in Canada e negli Stati Uniti. Inoltre, è emerso che anche il
settore petrolifero in Messico è una fonte importante di inquinamento industriale, in particolar modo
dell’aria.

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