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Diritto commerciale (Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli)

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DIRITTO COMMERCIALE – CAMPOBASSO –


VOLUME 3:
CONTRATTI. TITOLI DI CREDITO. PROCEDURE
CONCORSUALI

Parte prima: I CONTRATTI


- La vendita
- Il contratto estimatorio
-La somministrazione
- I contratti di distribuzione
- L’appalto
- Il contratto do trasporto
- I contratti per il turismo
- Deposito nei magazzini generali
- Il mandato
- Il contratto di agenzia
- La mediazione
- Il conto corrente ordinario
- I contratti bancari
- L’intermediazione finanziaria
- L’intermediazione mobiliare
- Mercato mobiliare e contratti di borsa
- Il contratto di assicurazione
- L’associazione in partecipazione

Parte seconda: I TITOLI DI CREDITO


- I titoli di credito in generale
- La cambiale
- L’assegno bancario
- L’assegno circolare

Parte terza: LE PROCEDURE CONCORSUALI


- La crisi dell’impresa commerciale
- Il fallimento
- Il concordato preventivo. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti
- La liquidazione coatta amministrativa
- L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi

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PARTE PRIMA: I CONTRATTI

CAPITOLO PRIMO: LA VENDITA

La vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o di un altro
diritto verso il corrispettivo di un prezzo /art.1470 cod.civ.).

La vendita non è un contratto tipico di impresa (entrambe le parti possono non essere
imprenditori);ha però un rilievo centrale nell’attività di impresa poiché attraverso tali contratti gli
industriali e i commercianti si procurano larga parte dei beni necessari per lo svolgimento della loro
attività e collocano sul mercato larga parte dei beni prodotti od acquistati.

La disciplina della vendita comprende un gruppo di norme applicabili ad ogni tipo di vendita
(artt.1470-1509),cui seguono ore specifiche dedicate alla vendita di cose mobili (artt.1510-1536),
alla vendita di cose immobili (artt.1537-1541) ed alla vendita di eredità (artt.1542-1547).
Nell’attività d’impresa vi è un prevalente rilievo delle vendite mobiliari (salvo che per le imprese
edili).

Attualmente la vendita internazione di merci è regolata della Convenzione di Vienna del 1980,che
ha sostituito la precedente Convenzione dell’Aja del 1964.

La disciplina della vendita di cose mobili dettata dal codice civile è stata affiancata negli ultimi anni
da un’articolata normativa speciale,emanata in attuazione di direttive comunitarie,destinata a
trovare applicazione quando la vendita intercorre tra un commerciante ed un consumatore e volta a
tutelare quest’ultimo sia nella fase di formazione del contratto sia nell’utilizzazione del prodotto
acquistato.

Vendita reale e vendita obbligatoria.

La vendita è un contratto consensuale:si perfeziona cioè col semplice accordo delle parti,senza che
siano necessari la consegna della cosa venduta o il pagamento del prezzo.

La vendita è inoltre un contratto con effetti reali.Il consenso delle parti è perciò di regola sufficiente
perché la proprietà della cosa si trasferisca dal venditore al compratore,con conseguente passaggio
in testa a quest’ultimo del rischio di perimento fortuito della cosa (art.1465).Si parla in tal caso di
vendita reale (o con effetti reali immediati).

In alcuni casi tuttavia gli effetti reali della vendita si producono in un momento successivo alla
stipulazione del contratto:al verificarsi di determinati eventi che determinano il passaggio
automatico della proprietà,senza che occorra un’ulteriore manifestazione di volontà del venditore.Si
parla in tal caso di vendita obbligatoria (o con effetti reali differiti) La vendita obbligatoria non va
perciò confusa con il contratto preliminare di vendita. La prima è infatti un contratto definitivo
rivolto direttamente al trasferimento della proprietà. Nel preliminare di vendita invece le parti si
obbligano ad una futura manifestazione del consenso che determina il trasferimento della

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proprietà,con conseguente applicabilità dell’art.2932 qualora una delle parti non addivenga alla
stipula del contratto definitivo.

Oltre la vendita con riserva di proprietà,costituiscono casi di vendita obbligatoria la vendita di cose
generiche,di cose future e di cose altrui.

Nella vendita di cose determinate solo nel genere (esempio:cento quintali di grano) la proprietà
passa al compratore con l’individuazione,che consente di isolare le cose che formano oggetto della
vendita.

L’individuazione è fatta di accordo fra le parti o nei modi dalle stesse stabiliti. Se si tratta di cose
che devono essere trasportate,l’individuazione avviene anche con la consegna al vettore o allo
spedizioniere.

Nella vendita di cose future (esempio:vendita di un macchinario non ancora prodotto) il compratore
ne acquista la proprietà non appena la cosa viene ad esistenza purché si tratti di cose individuate.

La vendita è nulla o meglio inefficace se la cosa non viene ad esistenza,salvo che le parti non
abbiano espressamente stabilito che il compratore deve ugualmente pagare il prezzo (vendita di
speranza o emptio spei).

Nella vendita di cose altrui,il venditore è obbligato a procurare l’acquisto della cosa al compratore e
questi ne diventa proprietario nel momento stesso in cui il venditore acquista dal terzo.

Se il venditore non procura l’acquisto ed il compratore conosceva l’altruità della cosa venduta al
momento della conclusione del contratto,il compratore potrà ottenere la risoluzione del contratto per
inadempimento solo dopo che sia scaduto il termine,fissato convenzionalmente o dal giudice,per
l’acquisto da parte del venditore.

Se il compratore ignorava l’altruità della cosa,potrà invece chiedere immediatamente la risoluzione


del contratto,con diritto al risarcimento dei danni.

La vendita può riguardare anche cose solo parzialmente altrui.In tal caso il compratore avrà diritto
di regola solo ad una riduzione del prezzo.Potrà tuttavia chiedere la risoluzione del contratto se
dalle circostanze risulta che non avrebbe acquistato la cosa senza la parte di cui non è divenuto
proprietario.

Le obbligazioni del venditore:la consegna della cosa.

La vendita è fonte di obbligazioni per entrambe le parti.


Le obbligazioni principali del venditore sono:
1. Quella di consegnare la cosa al compratore;
2. Quella di fargliene acquistare la proprietà,se l’acquisto non è effetto immediato del contratto
(vendita obbligatoria);
3. Quella di garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa.

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Il venditore è tenuto a consegnare la cosa al compratore,nel luogo ed alla scadenza convenute. In


mancanza di specificazioni contrattuali,il compratore potrà perciò esigere immediatamente la
consegna della cosa acquistata.
La cosa deve essere consegnata nello stato in cui si trova al momento della vendita e se si tratta di
cose determinate,sul venditore grava anche l’obbligo di custodire la cosa fino alla consegna.
Il venditore è tenuto a consegnare anche i titoli ed i documenti relativi alla proprietà ed all’uso della
cosa venduta se necessari per il normale esercizio del diritto.
Nella vendita con trasporto il venditore si libera dell’obbligo della consegna rimettendo le cose al
vettore o allo spedizioniere e le spese di trasporto sono di regola a carico del compratore. Se si tratta
di cose generiche,la consegna al vettore o allo spedizioniere costituisce individuazione,con
conseguente trasferimento della proprietà e passaggio in testa al compratore dei rischi relativi.
Questi dovrà pertanto pagare la merce acquistata anche se perisce durante il trasporto,salvo il diritto
al risarcimento dei danni nei confronti del vettore.
Per legge quindi tutti i rischi e le spese del trasporto sono a carico del compratore,salvo inserimento
di apposite clausole contrarie.
La vendita su documenti,diffusa nel commercio internazionale,riguarda merci già consegnate ad
un vettore per il trasporto o depositate in magazzini generali,per le quali il vettore o il magazzino
abbiano rilasciato un titolo di credito rappresentativo. La vendita di tali merci può essere realizzata
anche mediante trasferimento dei relativi titoli rappresentativi,dato che il possesso degli stessi
consente al compratore di ritirare la merce o di rivenderla ulteriormente.
Il venditore si liberà perciò dell’obbligo di consegna rimettendo al compratore il titolo
rappresentativo della merce e gli altri documenti stabiliti dal contratto o dagli usi.
Salvo patto o uso contrario,il compratore è a sua volta obbligato a pagare la merce contestualmente
alla consegna dei documenti.
Se la vendita ha per oggetto cose in viaggio e tra i documenti consegnati al compratore è compresa
la polizza di assicurazione,i rischi della merce sono a carico del compratore sin dal momento in cui
la cosa è stata consegnata al vettore,salvo che il venditore fosse a conoscenza della perdita della
merce e lo abbia taciuto in mala fede al compratore. In altri termini,il contratto resta valido e
vincolante anche se al momento della sua conclusione la merce era già perita:il compratore non
potrà ripetere il prezzo pagato,ma si ristorerà dei danni subiti con l’indennizzo dell’assicurazione.

La garanzia per l’evizione.

Il venditore è tenuto a garantire il compratore contro l’evizione.


Si ha evizione quando il compratore perde in tutto o in parte la proprietà della cosa acquistata o
subisce una limitazione nel libro godimento della stessa, a seguito dell’azione giudiziaria di un terzo
che vanta diritti sulla cosa.
La legge distingue tre momenti nella disciplina della garanzia per evizione:il pericolo di
evizione,l’evizione minacciata e l’evizione compiuta.
Il compratore può sospendere il pagamento del prezzo ancora dovuto quando abbia ragione di
temere che la cosa acquistata possa essere rivendicata da un terzo,salvo che il venditore presti
idonea garanzia. Il pagamento non può essere però sospeso se il pericolo di evizione era noto al
compratore al tempo della vendita.

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Il compratore chiamato in giudizio dal terzo deve a sua volta chiamare in causa il venditore,dato
l’evidente interesse di questi a far respingere la domanda del terzo. In mancanza,intervenuta
l’evizione, il compratore perde il diritto alla garanzia se il venditore prova che esistevano ragioni
sufficienti per far respingere la domanda del terzo.
Subita l’evizione,con il passaggio in giudicato della sentenza a favore del terzo,il compratore ha
diritto al risarcimento dei danni subiti.
Se l’evizione è stata totale,il venditore dovrà rimborsare al compratore il prezzo pagato e le spese
sostenute,anche se immune da colpa. Sarà inoltre tenuto al risarcimento integrale del danno
(compreso il lucro cessante) se il fatto che ha prodotto l’evizione è imputabile ad un suo
comportamento doloso o colposo.
Se l’evizione è stata parziale,il compratore ha diritto solo ad una riduzione del prezzo,oltre al
risarcimento dei danni. Può tuttavia chiedere la risoluzione del contratto se prova che non avrebbe
acquistato la cosa senza la parte di cui non è diventato proprietario.
La garanzia per evizione può essere aumentata,diminuita o anche del tutto esclusa dalle parti. E’
nullo però il patto che esclude la garanzia per l’evizione derivante da un fatto proprio del venditore.
In caso di valida esclusione della garanzia il venditore non è tenuto al risarcimento dei danni e deve
rimborsare al compratore evitto solo prezzo pagato e le spese. Anche questo obbligo viene però
meno se la vendita è stipulata a rischio e pericolo del compratore.

Vizi.Mancanza di qualità.

Il venditore deve garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendono inidonea all’uso
cui è destinata o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore.
La garanzia copre di regola solo i vizi occulti,i vizi cioè non conosciuti o non facilmente
riconoscibili dal compratore al momento dell’acquisto.
La garanzia copre tuttavia anche:
1. I vizi facilmente riconoscibili quando il venditore ha dichiarato espressamente che la cosa
era esente da vizi;
2. I vizi apparenti quando si tratta di cose da trasportare e più in generale di cose che il
compratore non ha potuto esaminare al momento della conclusione del contratto.
La garanzia per vizi può essere limitata od esclusa,ma il relativo patto è improduttivo di effetti se il
venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa.
In presenza di vizi coperti dalla garanzia il compratore può chiedere alternativamente:
1. La risoluzione del contratto (azione redibitoria),con conseguente rimborso integrale del
prezzo e delle spese sostenute;
2. La semplice riduzione del prezzo (azione estimatoria o quanti minoris) in rapporto al minor
valore della cosa a causa dei vizi.
Questi rimedi operano indipendentemente dalla colpa del venditore,che resta perciò esposto
all’azione redibitoria od estimatoria anche se ignorava l’esistenza di vizi occulti.Il venditore dovrà
invece risarcire i danni ulteriori subiti dal comprato rese non prova di aver ignorato senza sua colpa
i vizi della cosa. Vi è quindi una presunzione di conoscenza a carico del venditore dei vizi anche
occulti.

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L’esercizio delle azioni derivanti dalla garanzia per vizi è soggetto a brevi termini di decadenza e di
prescrizione. Infatti:
1. Il compratore decade dalla garanzia se non denunzia i vizi al venditore entro 8 giorni dalla
scoperta,salvo che il venditore abbia riconosciuto l’esistenza del vizio o l’abbia occultato.
2. L’azione si prescrive in ogni caso nel termine abbreviato di un anno dalla consegna.
Dalla garanzia per vizi occulti fin qui esposta,la legge distingue il caso in cui la cosa venduta non ha
le qualità promesse ovvero quelle essenziali per l’uso a cui è destinata (esempio:la stoffa venduta
non è di pura lana vergine come pattuito).
In tal caso il compratore ha diritto ad ottenere la risoluzione del contratto per
inadempimento,purché il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi.
La relativa azione è però soggetta agli stessi brevi termini di prescrizione e decadenza stabiliti per la
garanzia per vizi,anche perché un vizio della cosa si risolve in mancanza di qualità.
L’azione di risoluzione per inadempimento non è invece soggetta a termini di decadenza e soggiace
all’ordinaria prescrizione decennale quando la cosa consegnata sia completamente diversa da quella
pattuita (esempio:olio di semi al posto di olio di oliva;stoffa in fibra sintetica al posto di stoffa di
lana).
Garanzia di buon funzionamento.

Diversa dalla garanzia per vizi occulti o per mancanza di qualità è la garanzia di buon
funzionamento prevista dall’art.1512 per le sole cose mobili. Tale garanzia deve essere
espressamente pattuita,salvo che non sia dovuta in forza degli usi. Deve inoltre essere riferita ad un
periodo di tempo determinato.
Durante il periodo coperto dalla garanzia,il compratore ha diritto di ottenere la sostituzione o
riparazione della cosa per difetti di funzionamento.
Il compratore deve,a pena di decadenza,denunciare i difetti di funzionamento entro 30 giorni dalla
scoperta. Inoltre la relativa azione si prescrive entro 6 mesi dalla scoperta.

Garanzia di conformità.

Un’ulteriore garanzia si ha quando la vendita la vendita ha per oggetto beni di consumo:vale a dire
qualsiasi bene modible venduto da un imprenditore ad un consumatore.La relativa disciplina è stata
ora trasposta negli artt.128-135 cod.cons.
In base a tale disciplina il venditore ha l’obbligo di consegnare al consumatore beni conformi al
contratto di vendita ed è responsabile nei confronti dello stesso per qualsiasi difetto di conformità
esistente al momento della consegna del bene.
La conformità si presume quando il bene consegnato sia idoneo all’uso a cui servono abitualmente i
beni di quel tipo,ovvero all’uso particolare voluto dal consumatore,purchè lo abbia portato a
conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto e sia stato da quest’ultimo
accettato (anche tacitamente).Inoltre è necessario che il bene abbia le caratteristiche che il venditore
ha descritto.
La garanzia non copre però i difetti di conformità che il consumatore conosceva o poteva conoscere
con l’ordinaria diligenza al momento della conclusione del contratto.

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In caso di difetto di conformità,il consumatore può richiedere,a sua scelta,la riparazione del bene o
la sua sostituzione a spese del venditore entro un congruo termine,salvo che ciò risulti impossibile o
eccessivamente oneroso.
Qualora tali rimedi non siano praticabili,anche per colpa del venditore,il consumatore può
richiedere,sempre a sua scelta,un’adeguata riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto.
Il venditore è tuttavia responsabile solo se il difetto di conformità si manifesta entro 2 anni dalla
consegna del bene. Il difetto deve essere denunciato,a pena di decadenza,entro 2 mesi dalla
scoperta;e la relativa azione si prescrive in 26 mesi della consegna del bene,salvo per i difetti
dolosamente occultati dal venditore.
E’ nullo ogni patto volto ad escludere o limitare tali diritti.La nullità può essere però fatta valere
solo dal consumatore o può essere rilevata di ufficio dal giudice.
Il venditore responsabile nei confronti del consumatore può agire,entro un anno dall’esecuzione
della prestazione,contro gli altri soggetti della catena distributiva (produttore,precedenti venditori)
ai quali è imputabile il difetto,per ottenere la reintegrazione di quanto corrisposto al consumatore.

Clausole sulla qualità della merce.

Esistono poi delle forme di vendita particolari per assicurare la presenza nella cosa venduta delle
specifiche qualità desiderate dal compratore in modo da prevenire successive controversie:vendita
con riserva di godimento (art.1520), vendita a prova (art.1521),vendita su campione o su tipo di
campione (art.1522).
La vendita con riserva di gradimento è una vendita che si perfeziona solo dopo che il compratore
ha esaminato la merce ed ha comunicato al venditore che la stessa è di suo gradimento.
L’esame della merce deve essere compiuto nel termine stabilito dal contratto o dagli usi o,in
mancanza,in un termine congruo fissato dal venditore. Decorso tale termine,l’inerzia del
compratore:
1. Libera il venditore dalla proposta se l’esame della merce deve essere fatto presso di lui;
2. Vale ex lege come gradimento ( e la vendita si perfeziona) se la merce si trova presso il
compratore.
Nella vendita a prova il contratto è sottoposto alla condizione sospensiva che la merce abbia le
qualità pattuite o sia idonea all’uso cui è destinata. Diversamente dalla vendita con riserva di
gradimento,la vendita a prova è perciò un contratto già perfetto. La sua efficacia (retroattiva) è però
subordinata all’esito positivo della prova,da eseguirsi nei termini e secondo le modalità stabilite dal
contratto o dagli usi.
La vendita su campione infine è un contratto perfetto ed immediatamente efficace. Dalla merce
oggetto della vendita viene tuttavia prelevato un campione,che deve servire come esclusivo
paragone per la qualità della merce. Pertanto,qualsiasi difformità della merce consegnata rispetto al
campione attribuisce al compratore il diritto di chiedere la risoluzione del contratto.
La risoluzione del contratto può invece essere richiesta solo se la difformità rispetto al campione è
notevole,se risulta che il campione deve servire ad indicare la qualità della merce solo in modo
approssimativo. Si parla in tal caso di vendita su tipo di campione.

Le obbligazioni del compratore.Il prezzo.

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Obbligazione principale del compratore è quella di pagare il prezzo convenuto. Se non è pattuito
diversamente,sono a carico del compratore anche le spese del contratto di vendita e quelle
accessorie,comprese le spese di trasporto.
La determinazione del prezzo è di regola rimessa alla libera contrattazione della parti,salvo che non
si tratti di beni il cui prezzo è imposto dall’autorità amministrativa.In tal caso il prezzo di imperio si
sostituisce di diritto a quello pattuito.
La determinazione del prezzo può essere anche affidata dalle parti ad un terzo,designato nel
contratto o da designare successivamente. Il terzo dovrà determinare il prezzo con equo
apprezzamento,salvo che non risulti espressamente che le parti si sono rimesse al mero arbitrio del
terzo.
Se le parti hanno omesso qualsiasi pattuizione relativa al prezzo il contratto è nullo,salvo che:
1. Si tratti di cose che il venditore vende abitualmente ed in tal caso di presume che le parti
abbiano voluto riferirsi al prezzo normalmente praticato dal venditore;
2. Si tratti di merci aventi un prezzo di borsa o di listino ed in tal caso il prezzo è dedotto dai
listini o dalle mercuriali del luogo in cui la merce deve essere consegnata o da quelli della
piazza più vicina.
Queste regole si applicano,in quanto possibile,anche quando le parti si sono riferite al giusto prezzo.
In mancanza di accordo,il prezzo è determinato da un terzo nominato dal presidente del tribunale.

L’inadempimento nelle vendite mobiliari.

Una serie di norme dettate per le sole vendite mobiliari introducono specifici rimedi contro
l’inadempimento e consentono una tutela più sollecita,anche perché azionabili dalla parte
adempiente in via di autotutela senza necessità di ricorrere all’autorità giudiziaria.
E’ innanzitutto prevista una procedura di liberazione coattiva del venditore dall’obbligo di consegna
(deposito per conto).
Se il compratore infatti non si presenta per ricevere la cosa acquistata,il venditore può depositarla,
per suo conto e a sue spese,in un locale idoneo,dandone pronta notizia al compratore stesso.
Ulteriore rimedio tipico della vendite mobiliari,azionabile quando consegna della cosa e pagamento
del prezzo devono avvenire contestualmente,è costituito dalla possibilità di esecuzione coattiva del
contratto. Essa consente alla parte pronta ad adempiere di conseguire in via di autotutela la
controprestazione dovutagli, senza necessità di ricorrere al’autorità giudiziaria.
Se il compratore si rifiuta di pagare il prezzo,il venditore può far vendere lacosa per conto ed a
spese di lui,con l’osservanza delle procedure previste dall’art.1515,salvo il diritto di pretendere dal
compratore la differenza fra il prezzo convenuto ed il ricavato della vendita in danno,oltre al
risarcimento del maggior danno.
Se inadempiente è invece il venditore,il compratore può far acquistare la cosa a spese di lui.Il
compratore può però avvalersi di questo rimedio solo se la vendita ha per oggetto cose fungibili che
hanno un prezzo corrente.
L’esecuzione coattiva è rimedio che presuppone l’inadempimento di una delle parti.Altro rimedio
tipico è invece esperibile nelle vendite mobiliari quando vi è solo un pericolo di inadempimento:la
particolare forma di risoluzione di diritto prevista dall’art.1517.

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In base a tale norma la risoluzione del contratto ha luogo di diritto:


1. A favore della parte che,prima della scadenza del termine stabilito,ha offerto all’altra la
consegna della cosa o il pagamento del prezzo,se l’altra parte non adempie puntualmente la
propria obbligazione;
2. A favore del solo venditore quando il compratore,alla scadenza del termine stabilito per la
consegna,non ritira la cosa o non l’accetta,benché il termine per il pagamento del prezzo non sia
ancora scaduto e quindi non vi è stato ancora inadempimento di tale obbligazione.
La parte che intende avvalersi della risoluzione di diritto deve darne comunicazione all’altra parte
entro 8 giorni dalla scadenza del termine convenuto.Altrimenti decade dal beneficio della
risoluzione di diritto e può avvalersi solo nell’ordinaria risoluzione per inadempimento.
Un eccezionale rimedio di carattere cautelare è infine offerto al venditore che,pur avendo pattuito il
pagamento per contanti,ha consegnato la merce senza pretendere il pagamento del prezzo.Benchè
con tale comportamento imprudente il venditore abbia perso la possibilità di avvalersi
dell’eccezione di inadempimento,la legge gli consente di recuperare il possesso della cosa venduta
in modo da poter ugualmente esercitare sulla stessa il diritto di ritenzione a garanzia del pagamento
del prezzo.
La legge riconosce sia al venditore sia al compratore la facoltà di chiedere all’autorità giudiziaria
una verifica della qualità o dello stato delle cose,prima ancora di iniziare il giudizio civile.

La vendita con riserva di proprietà.

La vendita con riserva di proprietà (artt.1523 ss.) è una forma particolare di vendita che ricorre
tipicamente nelle vendite a rate;quando cioè il pagamento del prezzo è frazionato nel tempo.
La clausola di riserva di proprietà (o patto di riservato dominio) offre un’efficace tutela al venditore
contro l’inadempimento del compratore e nel contempo lo libera immediatamente dai rischi inerenti
al perimento del bene.Infatti,la clausola di riserva di proprietà:
a) Deroga al principio dell’immediato effetto traslativo della proprietà in quanto il compratore diventa
proprietario della cosa acquistata solo col pagamento dell’ultima rata del prezzo,fermo restando che
il venditore non ne può disporre;
b) I rischi del perimento della cosa sono a carico del compratore fin dal momento della consegna,dato
che egli è così messo in grado di godere del bene.Il compratore sarà perciò tenuto a pagare tutte le
rate anche se la cosa perisce per causa a lui non imputabile.
Con norma inderogabile è stabilito che il mancato pagamento di un sola rata,che non superi l’ottava
parte del prezzo,non dà luogo alla risoluzione del contratto.Il compratore conserva inoltre il
beneficio del termine per la rate successive.Il venditore perciò potrà solo agire giudizialmente per il
pagamento della rata scaduta. Potrà invece ottenere la risoluzione del contratto se la singola rata non
pagata supera l’ottava parte del prezzo o l’inadempimento si protrae per più rate.
Risolto il contratto,il venditore ha diritto alla restituzione della cosa,rimasta di sua proprietà.Deve
però restituire al compratore le rate riscosse,salvo il diritto ad un equo compenso per l’uso della
cosa,oltre al risarcimento dei danni.Per evitare abusi a danno del compratore è stabilito inoltre
che,se si è pattuito che le rate pagate restano al venditore a titolo di indennità,il giudice può ridurre
equitativamente tale indennità.

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Il compratore,fin quando non ha pagato l’ultima rata non può vendere la cosa,né questa può essere
aggredita dai suoi creditori,dato che la proprietà è ancora del venditore.
La riserva di proprietà è opponibile ai creditori del compratore solo se risulta da atto scritto avente
data certa anteriore al pignoramento.
Per quanto riguarda i terzi acquirenti è invece necessario distinguere.Per i beni mobili iscritti in
pubblici registri,la trascrizione della riserva di proprietà vale a renderla opponibile a terzi
acquirenti. Per i beni mobili non registrati la riserva di proprietà invece è di regola in opponibile.

La vendita con patto di riscatto.

La vendita con patto di riscatto (artt.1500-1509) si ha quando il venditore si riserva il diritto di


riacquistare la proprietà della cosa entro un termine stabilito,mediante restituzione al compratore del
prezzo e delle spese sostenute.
Il patto di riscatto può riguardare sia beni mobili che immobili e ad esso si ricorre,di regola,quando
il venditore è indotto a privarsi della proprietà della cosa per far fronte a difficoltà finanziarie che
prevede di superare in breve tempo.
Per evitare possibili abusi da parte del compratore,è stabilito che il patto di restituire un prezzo
superiore a quello stipulato per la vendita è nullo per l’eccedenza.
E’ fissato per legge un termine massimo non prorogabile per il riscatto:2 anni dalla vendita per i
beni mobili e 5 anni per gli immobili.
La somma dovuta per il riscatto deve essere versata dal venditore contestualmente alla
dichiarazione di riscatto,altrimenti il venditore decade dal relativo diritto.Il venditore decade dal
diritto di riscatto anche se,in caso di rifiuto del compratore di ricevere la somma dovutagli,non ne
faccia offerta reale entro 8 giorni dalla scadenza del termine.
Il patto di riscatto ha efficacia reale:se il compratore vende la cosa,il venditore può ottenerne il
rilascio dai successivi acquirenti,purché il patto sia ad essi opponibile.

La vendita fuori dei locali commerciali

La vendita diretta ai consumatori fuori dei locali commerciali dell’impresa (vendite a domicilio,per
corrispondenza,televisive,ecc.) è fenomeno largamente diffuso e non privo di pericoli per
l’acquirente poiché non ha la possibilità di esaminare la merce offertagli né un’adeguata
informazione preventiva.
La materia è oggi regolata dal codice del consumo (artt.45-67) che contiene:
a) Norme applicabili,con alcune eccezioni,ad ogni fornitura di beni o prestazione di servizi,in
qualunque forma conclusa,fra un professionista ed un consumatore fuori dei locali commerciali;
b) Norme specificamente applicabili ai contratti conclusi con tecniche di comunicazione a distanza
(telefono,radio,posta elettronica,televisore,ecc.).
In base a tale normativa,al compratore è riconosciuto il diritto di revocare l’ordine di acquisto o di
recedere dal contratto già concluso entro un termine di 10 giorni lavorativi,la cui decorrenza è
diversamente articolata in relazione alla specifica tecnica di sollecitazione.Ad esempio nelle vendite
di corrispondenza,televisive o su internet decorre dal ricevimento della merce.
L’operatore commerciale ha il dovere di informare per iscritto il consumatore del diritto di recesso
indicando i termini,le modalità e le eventuali condizioni per il suo esercizio.In mancanza,il termine

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per il recesso è allungato a 60 giorni per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali e di 90
giorni per i contratti a distanza.
In seguito all’esercizio del diritto di recesso,l’operatore commerciale è tenuto a restituire il prezzo
pagato entro 30 giorni dal ricevimento della relativa comunicazione o dalla restituzione della
merce,restando altrimenti esposto a sanzioni amministrative.
Il diritto di recesso è irrinunciabile.
Con ulteriore norma di tutela per i consumatori,è previsto che la competenza territoriale per le
relative controversie spetta inderogabilmente al giudice del luogo di residenza o di domicilio del
consumatore,sicché sono nulle le clausole che designano come foro competente quello del
venditore.

CAPITOLO SECONDO: IL CONTRATTO ESTIMATORIO

Il contratto estimatorio (artt.1556-1558) è il contratto con il quale una parte (tradens) consegna una
o più cose mobili all’altra parte (accipiens) e questa si obbliga a pagarne il prezzo entro un termine
stabilito,salvo che restituisca le cose nello stesso termine (art.1556).
Noto nella pratica anche contratto di conto deposito,il contratto estimatorio è utilizzato nei rapporti
fra fornitori e rivenditori in luogo del contratto di vendita quando il rivenditore non vuole accollarsi
il rischio economico,proprio della vendita,di dover pagare al fornitore la merce che gli rimane
invenduta dopo un certo tempo.
Il rivenditore può disporre di un maggior assortimento,dato che dovrà pagare al fornitore solo
quanto è riuscito a vendere lucrando la differenza fra prezzo stimato e quello di rivendita.Il fornitore
a sua volta,pur sopportano il rischio dell’invenduto,trae vantaggio della distribuzione più capillare e
dal maggior smercio che tale contrato di regola riesce a procurargli.

La disciplina.

Il contratto estimatorio è un contratto reale:si perfeziona con la consegna della merce dell’accipiens.
Elemento caratterizzante il contratto è che solo l’accipiens può disporre delle cose ricevute,benché
queste restino di proprietà del tradens fin quando il primo non le ha rivendute o comunque non ne
ha pagato il prezzo.
Sono validi infatti gli atti di disposizione compiuti da chi ricevuto le cose e colui che ha consegnato
le cose non può disporne fino a che non gli siano restituite. Il tradens,se non può disporre delle
cose,ne conserva tuttavia la proprietà.Ne consegue che esse non possono essere sottoposte a
pignoramento o a sequestro da parte dei creditori dell’accipiens finché non ne sia stato pagato il
prezzo.Tali azioni potranno essere per contro esercitati dai creditori del tradens,determinando così
la fine anticipata del contratto estimatorio.
L’obbligo che nasce a carico dell’accipiens con la consegna delle cose è quello di pagarne il prezzo
di stima stabilito al momento della conclusione del contratto.
All’accipiens è tuttavia riconosciuta la facoltà di liberarsi di tale obbligazione restituendo le cose
nel termine pattuito. Non si è quindi in presenza di un’obbligazione alternativa e ciò lo si deduce
anche dal fatto che l’accipiens dovrà pagare il prezzo pur quando la restitu<ione delle cose sia
divenuta impossibile per causa a lui non imputabile.Con la consegna della cosa tutti i rischi passano
a carico dell’accipiens.

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CAPITOLO TERZO:LA SOMMINISTRAZIONE

La somministrazione è il contratto con il quale una parte (il somministrante) si obbliga,verso


corrispettivo di un prezzo,ad eseguire a favore dell’altra parte (il somministrato) prestazioni
periodiche o continuative di cose (art.1559).
La somministrazione è un contratto tipicamente di durata.Esso consente di soddisfare un bisogno
durevole (periodico o continuato) del somministrato,attraverso la stipulazione di un unico contratto
che assicura la regolarità delle forniture nel tempo e la stabilità dei prezzi (esempio: contratti per
l’erogazione dell’acqua,dell’energia elettrica,del gas).
La somministrazione è un contratto che può avere per oggetto solo la prestazione di cose (in
proprietà o in uso).Il contratto che ha invece per oggetto la prestazione periodica o continuativa di
servizi costituisce appalto e non somministrazione.All’appalto di servizi si applicano tuttavia,in
quando compatibili,le disposizioni relative al contratto di somministrazione.
Il carattere continuativo o periodico delle prestazioni distingue nettamente la somministrazione di
consumo dalla vendita anche a consegne ripartite.
La somministrazione ha per oggetto una pluralità di prestazioni (periodiche o continuative) ed è
diretta a soddisfare un bisogno durevole del somministrato.La vendita ha invece per oggetto
un’unica prestazione,anche se frazionata nel tempo (esempio:vendita di un’enciclopedia,i singoli
volumi saranno consegnati man mano che vengono pubblicati).
Alle singole prestazioni in cui si articola la somministrazione di consumo si applicano tuttavia le
norme che disciplinano la vendita obbligatoria,dato che esse realizzano pur sempre lo scambio di
cosa contro danaro.

La disciplina.

Tipica del contratto di somministrazione,che può essere anche a tempo indeterminato,è la disciplina
del quantum delle singole prestazioni.
Le parti possono anche omettere di specificare in contratto l’entità delle prestazioni ed in tal caso si
intende ex lege pattuita la quantità corrispondente al normale fabbisogno del somministrato al
tempo della conclusione del contratto.
E’ possibile inoltre stabilire un limite minimo e massimo (per l’intera somministrazione o per le
singole prestazioni) ed in tal caso sarà il somministrato a specificare il quantitativo dovuto gli entro
i limiti contrattuali pattuiti.
Il prezzo,se non è stabilito nel contratto,si determina secondo le regole della vendita,avendo
riguardo al tempo della scadenza delle singole prestazioni ed al luogo in cui queste devono essere
eseguite. Nella somministrazione a carattere periodico il prezzo deve essere pagato all’atto delle
singole prestazioni ed in proporzione delle stesse. In quella continuativa,il pagamento deve avvenire
secondo le scadenze d’uso (mensilmente,trimestralmente,ecc.).
L’inadempimento di una delle parti relativo a singole prestazioni non legittima senz’altro la
controparte a chiedere la risoluzione del contratto. Tanto è possibile solo se ricorrono due
condizioni:l’inadempimento ha notevole importanza ed è inoltre tale da menomare la fiducia
nell’esattezza dei successivi adempimenti.
Se l’inadempimento del somministrato è di lieve entità,il somministrante non può sospendere
l’esecuzione del contratto senza darne congruo preavviso (art.1565).
La disciplina dettata dagli artt.1564 e 1565 ha tuttavia carattere dispositivo e viene spesso derogata
dagli enti concessionari di pubblici servizi con clausole che prevedono la risoluzione di diritto del

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contratto qualora l’utente non provveda al pagamento di una singola bolletta entro un breve periodo
dalla scadenza.
Fra i patti che le parti possono inserire nel contratto di somministrazione,la legge disciplina
specificamente il patto di preferenza ed il patto di esclusiva,che danno vita a limitazioni
convenzionali della concorrenza in senso verticale quando il contratto di somministrazione
intercorre fra produttore e rivenditore.
Il patto di preferenza (art.1566) è il patto con il quale il somministrato si obbliga a preferire,a parità
di condizioni,lo stesso somministrante qualora intenda stipulare un successivo contratto di
somministrazione per lo stesso oggetto. Tale obbligo non può eccedere la durata di 5 anni.
La clausola di esclusiva può essere pattuita a favore del somministrante,a favore del somministrato
o a favore di entrambe le parti.
Se l’esclusiva è a favore del somministrante,il somministrato non può ricevere da terzi prestazioni
della stessa natura,né può procurarsi con mezzi propri le cose che formano oggetto del contratto.
Se l’esclusiva è a favore del somministrato,il somministrante non può compiere,direttamente o
indirettamente,forniture della stessa natura ad altri,nella zona per cui l’esclusiva è concessa.
Il rivenditore beneficiario dell’esclusiva opera allora come concessionario di vendita in esclusiva
del produttore e può impegnarsi a ritirare periodicamente un quantitativo minimo di merce.Può
inoltre con apposito patto obbligarsi ulteriormente a promuovere le vendite nella zona assegnatagli.
In tal caso dovrà risarcire i danni al somministrante anche se ha eseguito il contratto rispetto al
quantitativo minimo fissato,qualora,attraverso lo svolgimento dell’attività di promozione cui era
tenuto,il collocamento del prodotto poteva essere superiore.

CAPITOLO QUARTO:I CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE

La vendita e la somministrazione sono contratti che consentono al produttore industriale di


collocare sul mercato i propri prodotti,senza assumere né costi né rischi.Non consentono di
coordinare né indirizzare in modo unitario l’attività dei rivenditori,che sono liberi,una volta
acquistata la merce,di organizzare come meglio credono i rapporti con i clienti.
Nasce a questo punto il fenomeno della distribuzione integrata.I contratti di distribuzione sono
accordi contrattuali complessi che realizzano.
Il contenuto minimo costante dei contratti che regolano i rapporti fra produttore e distributori
integrati (cosiddetto contratto di distribuzione) consiste:
1) Nell’impegno del distributore di acquistare periodicamente determinati quantitativi minimi a
condizioni predeterminate nello stesso contratto di distribuzione;
2) Nell’impegno ulteriore del distributore di promuovere,in nome e per conto proprio,la rivendita dei
prodotti acquistati in una zona determinata,secondo modalità stabilite dallo stesso produttore.
Le clausole contrattuali che regolano le modalità di rivendita hanno raggiunto un grado sufficiente
di standardizzazione dando vita a due figure contrattuali socialmente tipiche,distinguibili per il
diverso grado di integrazione economica realizzata:
a) La concessione di vendita (o concessione commerciale);
b) Il contratto di affiliazione (o franchising di distribuzione).

La concessione di vendita.

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Nella concessione di vendita (esempio: reti di concessionari Fiat), fermo restando che
l’organizzazione dei singoli punti di vendita spetta ai concessionari,l’ingerenza del concedente
nell’attività dei primi è assicurata da clausole che impongono ai rivenditori:
a) Un’efficiente organizzazione di vendita;
b) L’acquisto di quantitativi minimi di merce a scadenza determinate e la detenzione di un minimo di
scorte e di pezzi di ricambio;
c) La pratica di prezzi e di condizioni di rivendita prestabiliti dal produttore;
d) La fornitura di assistenza tecnica alla clientela dopo la vendita;
e) Controlli periodici da parte del concedente,del concessionario o di entrambi.
La concessione di vendita non è pertanto risolubile nello schema del contratto di vendita e si sottrae
anche all’integrale inquadramento nello schema della somministrazione con esclusiva a favore del
somministrato poiché tutto ciò non legittima di per sé il produttore ad ingerirsi nella sfera
decisionale del rivenditore.
Si è perciò in presenza di un contratto atipico. Ad esso,in quanto contratto di durata a prestazioni
periodiche,è tuttavia applicabile per analogia la disciplina della somministrazione,particolarmente
per quanto riguarda la determinazione dell’entità delle singole forniture (art.1560),le norme che
regolano la risoluzione del contratto (artt.1564 e 1565) ed il recesso ad nutum (art.1569).

Il franchising.
L’affiliazione commerciale (o franchising) è una figura contrattuale recentemente disciplinata dalle
legge n.129/2004.
La nuova disciplina definisce l’affiliazione commerciale come il contratto,stipulato fra soggetti
giuridicamente ed anche economicamente indipendenti,con cui l’affiliante:
a) Concede verso corrispettivo all’affiliato la disponibilità di un insieme di diritti di proprietà
industriale o intellettuale relativi a marchi,denominazioni commerciali,insegne,modelli di
utilità,disegni,diritti di autore,know how,brevetti,assistenza o consulenza tecnica e commerciale;
b) Inserisce l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo
scopo di commercializzare determinati prodotti o servizi.
L’affiliazione commerciale può essere utilizzata in ogni settore di attività economica. Il franchising
può non solo riguardare la vendita di beni (franchising di distribuzione),ma anche la produzione di
beni (franchising di produzione) o la distribuzione di servizi (franchising di servizi).
L’affiliazione commerciale si caratterizza comunque rispetto alla concessione di vendita per il fatto
che l’affiliato:
a) È sempre tenuto ad utilizzare i segni distintivi dell’affiliante;
b) È tenuto ad adeguarsi completamente ai modelli operativi prefissati dall’affiliante in modo uniforme
per tutti gli affiliati e che coinvolgono ogni aspetto dell’attività di distribuzione.
L’immagine sul mercato dei distributori finisce perciò con l’identificarsi con quella del produttore
(pur essendo in realtà imprenditori distinti), fino ad ingenerare nel pubblico il convincimento che
sia il produttore stesso ad agire come distributore dei prodotti.
Nel franchising confluisce una pluralità di prestazioni tipiche di altri contratti nominati,tutte peraltro
unitariamente finalizzate alla realizzazione della piena integrazione economica fra affiliante ed
affiliati. Si è quindi in presenza di un’autonoma figura contrattuale.La disciplina dei tipi contrattuali
nominati di cui l franchising è partecipe potrà essere applicata solo per analogia,al fine di integrare
la regolamentazione legale e convenzionale delle singole prestazioni in cui lo stesso si articola.
Il mancato rinnovo del contratto alla scadenza o il recesso ad nutum con breve preavviso (quando il
contratto è a tempo indeterminato) possono infatti prestarsi ad abusi a danno dell’affiliato,esposto al
rischio di perdere tutta la clientela.

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La legge 129/2004 ha infine dettato una più compiuta regolamentazione del franchising volta a
tutelare la corretta formazione del consenso e le legittime aspettative di entrambe le parti.
A tutela dell’affiliato,l’attuale disciplina precisa che l’affiliante deve aver già sperimentato la sua
formula commerciale sul mercato.
Specificamente disciplinati sono inoltre gli obblighi precontrattuali delle parti.Almeno 30 giorni
prima della conclusione del contratto il proponente affiliante deve infatti trasmettere a quest’ultimo
una copia completa del contratto,unitamente ad una serie di documenti che consentano di valutare
l’efficacia della formula commerciale ed anche il rischio di contestazioni giuridiche derivanti
dall’impiego della stessa.
Anche sull’aspirante affiliato grava l’obbligo di comunicare all’affiliante ogni informazione la cui
conoscenza risulti necessaria o opportuna ai fini della stipulazione del contratto,anche se non
espressamente richiesta,ù.
Il contratto di affiliazione commerciale deve essere stipulato per iscritto a pena di nullità deve
indicare espressamente le condizioni di rinnovo,risoluzione o eventuale cessione. Deve altresì
precisare gli investimenti e le spese richieste all’affiliato prima dell’inizio dell’attività,le percentuali
che lo stesso è tenuto a versare all’affiliante,nonché l’incasso minimo che l’affiliato si impegna a
realizzare.
Il contratto può essere a tempo indeterminato o determinato,ma in quest’ultimo caso l’affiliante
dovrà comunque garantire all’affiliato una durata minima (comunque non inferiore a 3 anni)
sufficiente a recuperare gli investimenti effettuati.
L’affiliato è tenuto a mantenere la massima riservatezza in ordine al contenuto dell’attività oggetto
dell’affiliazione commerciale,in particolare sul know how che gli viene comunicato. Tale obbligo
permane anche dopo lo scioglimento del contratto.
Qualora il contratto indichi la sede dell’affiliato,questi non può spostarla senza il consenso
dell’affiliante,salvo il caso di forza maggiore. Normale è in questi casi la previsione di una clausola
di esclusiva a favore dell’affiliato.

CAPITOLO QUINTO:L’APPALTO

L’appalto è il contratto con il quale una parte (l’appaltatore) assume,con organizzazione dei mezzi
necessari e con gestione a proprio rischio,il compimento di u’opera o di un servizio,verso un
corrispettivo in danaro (art.12655).
Oggetto dell’appalto può essere quindi sia il compimento di un’opera,sia il compimento di un
servizio.
Non ogni contratto che ha per oggetto il compimento di un’opera o di un servizio è però un appalto.
A tale fine è necessario che la relativa attività sia svolta dall’obbligato con organizzazione di mezzi
e con gestione a proprio rischio.In breve,si deve trattare di un’attività organizzata in forma di
impresa. L’appaltatore è perciò un imprenditore commerciale,di regola non piccolo.
L’appalto tuttavia è diverso anche dal contratto d’opera. E’ infatti contratto d’opera (art.2222) e non
appalto,il contratto con il quale una persona si obbliga a compiere,verso corrispettivo,un’opera o un
servizio,con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione.
Netta è la distinzione fra appalto e vendita (o somministrazione).L’appalto ha per oggetto una
prestazione qualificata di fare;vendita e somministrazione hanno invece per oggetto un dare.

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La distinzione diventa tuttavia meno agevole nella pratica quando ad una prestazione di dare se ne
affianca una di fare,come tipicamente avviene quando si commissiona una cosa che deve essere
fabbricata dall’altra parte.
Il problema è risolto dalla giurisprudenza applicando il criterio della prevalenza. Si ha appalto se la
prestazione di fare (attività lavorativa) prevale su quella di dare (fornitura del materiale);si ha
vendita nel caso contrario.
La prevalenza deve essere valutata con riguardo allo scopo del negozio. Si avrà perciò vendita di
cosa futura se il bene ordinato rientra nella normale produzione del venditore (produzione di serie)
o le modifiche richieste rispetto al prodotto di serie sono marginali. Si avrà invece appalto se il bene
ordinato presenta caratteristiche particolari che lo differenziano da quelli prodotti abitualmente dal
fornitore (esempio: automobile fuori serie).
Committente dell’opera o del servizio può essere sia un soggetto privato,sia lo Stato o un ente
pubblico. La disciplina dettata dal codice civile è tuttavia applicabile integralmente solo agli appalti
privati. Quando invece committente è un ente pubblico,essa è in più punti integrata o sostituita dal
d.lgs. n.163/2006.

Le obbligazione dell’appaltatore.
Obbligazione fondamentale dell’appaltatore è quella di compiere l’opera o il servizio commessogli.
L’appaltatore deve fornire anche la materia prima necessaria per il compimento dell’opera.
Se la materia è invece fornita in tutto o in parte dal committente,l’appaltatore deve denunziarne
prontamente i difetti che possono compromettere la regolare esecuzione dell’opera per esonerarsi
dfa responsabilità per vizi e difformità dell’opera dovuti a difetto dei materiali.
Quando tutta la materia è fornita dal committente,la funzione dell’appaltatore non può però limitarsi
a quella di mero intermediario nell’organizzazione dell’altrui lavoro,per il divieto di appalto di
mano d’opera sancito al fine di evitare forme di sfruttamento dei lavoratori subordinati (lavoro
nero). Tale divieto può essere superato solo da soggetti autorizzati (cosiddette agenzie per il lavoro)
e nel rispetto delle condizioni fissate dalla legge per la somministrazione di lavoro.
In caso di violazione,i prestatori di lavoro possono chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro
alle dipendenze del committente. Sono inoltre previste sanzioni penali.
Anche quando non si ricade nel divieto di appalto di manodopera,gli interessi dei lavoratori alle
dipendenze dell’appaltatore sono tutelati dall’art.1676 cod.civ.,che riconosce loro azione diretta
verso il committente per conseguire quanto è loro dovuto,nei limiti del debito che il committente ha
verso l’appaltatore.
L’opera deve essere eseguita dall’appaltatore secondo le modalità tecniche concordate col
committente, di regola analiticamente descritte in un apposito documento denominato capitolato.
L’esecuzione dell’opera deve comunque avvenire a regola d’arte,cioè con perizia tecnica
professionale. L’appaltatore è perciò tenuto a rilevare e a far presenti al committente eventuali
difetti del progetto o delle istruzioni che possono pregiudicare la realizzazione dell’opera.
La regola generale è che l’appaltatore non può apportare variazioni alle modalità di esecuzione
pattuite senza l’autorizzazione del committente,che deve essere provata per iscritto. Inoltre,se il
prezzo dell’opera è stato determinato globalmente,l’appaltatore ha diritto ad un compenso
aggiuntivo solo se espressamente pattuito.
Questa regola subisce tuttavia eccezione se si tratta di modifiche necessarie per l’esecuzione
dell’opera a regola d’arte o se variazioni non necessaria sono ordinate dal committente.
Nel primo caso in mancanza di un accordo fra le parti,le variazioni da apportare e le correlative
variazioni del prezzo sono determinate dal giudice.L’appaltatore può però recedere dal contratto se
l’importo delle variazioni supera il sesto del prezzo complessivo convenuto,salvo il diritto ad

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un’equa indennità.Il committente a sua volta può recedere dal contratto se le variazioni sono di
notevole entità ed è tenuto a corrispondere un equo indennizzo.
Nel secondo caso l’appaltatore ha sempre diritto ad un compenso aggiuntivo e può inoltre rifiutarsi
di eseguire le variazioni quando il loro ammontare supera il sesto del prezzo complessivamente
pattuito e quando le variazioni,anche se contenute entro detto limite,comportano notevoli
modificazioni della natura dell’opera.
Il committente ha diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne a proprie a spese lo
stato, personalmente o a mezzo di un direttore dei lavori dallo stesso nominato.
Se non sono state rispettate le modalità convenute o l’esecuzione non procede a regola d’arte,il
committente può fissare un congruo termine entro il quale l’appaltatore deve conformarsi a tali
condizioni. Decorso inutilmente tale termine,il contratto è automaticamente risolto.
Completata l’opera e prima di riceverne la consegna,il committente ha diritto di sottoporre la stessa
a verifica finale (cosiddetto collaudo),da eseguirsi non appena l’appaltatore lo mette in condizione
di effettuarla.
Eseguita la verifica,il committente è tenuto a comunicarne il risultato negativo all’appaltatore ove
intenda rifiutare l’opera. Non è invece necessaria una dichiarazione espressa di accettazione. Infatti,
l’opera si considera ex lege accettata quando il committente:
a) Omette di procedere alla verifica senza giustificati motivi o non ne comunica il risultato
all’appaltatore entro un breve termine;
b) Riceve senza riserve l’opera,ancorché non si sia proceduto alla verifica.
Con l’accettazione dell’opera:
1) I rischi di perimento o deterioramento dell’opera passano dall’appaltatore al committente;
2) L’appaltatore è liberato dalla garanzia per difformità e vizi dell’opera riconoscibili dal committente;
3) L’appaltatore ha diritto al pagamento del prezzo,salvo diversa pattuizione.

Difformità e vizi dell’opera.


Una volta che l’opera sia stata compiuta e consegnata al committente,l’appaltatore è tenuto alla
garanzia per le difformità e i vizi dell’opera.Se l’opera è stata accettata senza riserve,la garanzia
copre solo i vizi e le difformità occulti,nonché quelli palesi taciuti in mala fede dell’appaltatore.
I vizi e le difformità devono essere denunziati all’appaltatore,a pena di decadenza,entro 60 giorni
dalla scoperta:la Denunzia non è però necessaria se l’appaltatore ha riconosciuto le difformità e i
vizi o se li ha occultati.L’azione inoltre si prescrive nel termine breve di 2 anni dalla consegna
dell’opera. La giurisprudenza ritiene inoltre che,quando l’appaltatore si è impegnato ad eliminare i
vizi dell’opera,non si applica il termine breve di prescrizione,bensì quello ordinario
decennale,venendosi a costituire una nuova e distinta obbligazione rispetto alla garanzia prevista
dall’art.1667.
Il committente può richiedere la risoluzione del contratto solo se le difformità o i vizi dell’opera
sono tali da renderla del tutto inidonea alla sua destinazione. In caso contrario,la risoluzione del
contratto è preclusa ed il committente può chiedere a sua scelta:
a) L’eliminazione dei difetti e dei vizi a spese dell’appaltatore;
b) Una riduzione proporzionale del prezzo.
Il committente ha inoltre diritto al risarcimento dei danni se le difformità o i vizi sono dovuti a
colpa dell’appaltatore,che si presume trattandosi di responsabilità contrattuale.
Se l’appalto ha per oggetto la costruzione di edifici o di altri immobili destinati per loro natura a
lunga durata,alla garanzia fin qui esposta si aggiunge la responsabilità dell’appaltatore per la durata
di 10 anni dal compimento dell’opera.

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Questa responsabilità aggiuntiva scatta però solo in caso di rovina totale o parziale dell’immobile o
di gravi difetti imputabili a vizi del suolo o a difetti di costruzione. La denunzia all’appaltatore deve
essere fatta,a pena di decadenza,entro un anno dalla scoperta e l’azione si prescrive in un anno dalla
denunzia.
L’appaltatore resta responsabile verso il committente anche per i vizi dell’opera dipendenti da errori
di progettazione rilevabili con le ordinaria conoscenze tecniche. Con l’appaltatore risponderà
ovviamente anche il progettista e questa duplice responsabilità si atteggia come responsabilità
solidale.
L’appaltatore è invece esonerato da responsabilità per errori di progettazione nel cosiddetto appalto
a regia. Quando cioè opera come nudus minister del committente in quanto è tenuto per contratto ad
eseguire il progetto predisposto e le istruzioni ricevute,senza alcuna possibilità di iniziativa e di
vaglio dell’uso o delle altre.

Le obbligazioni del committente.


Obbligazione fondamentale del committente è quella di pagare un corrispettivo in danaro.
Il contratto di appalto è valido anche se le parti non hanno determinato il corrispettivo o non hanno
neppure stabilito il modo di determinarlo.In tal caso esso è calcolato con riferimento alle tariffe
esistenti o agli usi e,in mancanza,è determinato dal giudice.
Il prezzo può essere determinato globalmente per tutta l’opera e pertanto,salvo patto
contrario,l’appaltatore non ha diritto ad un compenso integrativo per la variazioni o le aggiunte
dallo stesso apportate,anche se autorizzate dal committente.
Il prezzo può essere stabilito anche per ogni unità di misura dell’opera.Ad esempio,tot per ogni
metro cubo costruito.In tal caso la somma dovuta dal committente si determinerà solo alla
conclusione dell’opera,anche se nel contratto è stato indicato l’ammontare globale presunto.
Sono ammesse anche forme miste (in parte a corpo e in parte a misura) di determinazione del
prezzo.
Uno degli aspetti più significativi della disciplina dell’appalto è costituito dalla rivedibilità del
prezzo durante l’esecuzione dell’opera (art.1664).
La revisione del prezzo può essere chiesta da entrambe le parti quando il costo dei materiali o della
manodopera subisce variazioni dovute a circostanze imprevedibili al momento della conclusione del
contratto,tali da determinare un aumento o una diminuzione superiore al decimo del prezzo
dell’appalto complessivamente pattuito. La revisione può essere però concessa solo per la
differenza che eccede il 10 per cento. Quindi,nel caso più frequente di variazioni in aumento,la
relativa alea è accollata ex lege all’appaltatore fino al 10 per cento del prezzo pattuito,con
conseguente riduzione del suo margine di utile.
All’appaltatore è poi riconosciuto il diritto ad un equo compenso,svincolato dalla franchigia del 10
per cento,in caso di difficoltà di esecuzione dell’opera derivanti da cause geologiche,idriche e
simili,non previste dalle parti e che rendono notevolmente più onerosa la prestazione
dell’appaltatore. Si tratta pertanto solo di cause naturali attinenti al suolo o al sottosuolo o anche
cause umane oggettive.
La disciplina dettata dall’art.1664 ridimensiona il rischio dell’appaltatore per cause imprevedibili ed
è chiaramente ispirata dalla finalità di conservazione del contratto.

Estinzione del rapporto.


L’appalto è contratto la cui esecuzione si protrae nel tempo e l’interesse del committente è di regola
soddisfatto solo se l’opera è compiutamente realizzata.La prestazione dell’appaltatore è perciò di
regola indivisibile.

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Se l’esecuzione dell’opera diventa impossibile per causa non imputabile ad alcuna delle parti,il
contratto si scioglie secondo i principi generali.Il committente è tenuto però a pagare la parte
dell’opera già compiuta,in proporzione dell’intero prezzo pattuito,solo nei limiti in cui essa è per lui
utile. Nulla dovrà perciò il committente se prova che la parte realizzata è per lui del tutto
inutilizzabile.
Se per causa non imputabile ad alcuna delle parti,l’opera perisce o si deteriora prima
dell’accettazione del committente,il relativo rischio resta a carico dell’appaltatore,salvo che per la
materia fornita dal committente stesso.
Solo al committente è consentito di recedere dal contratto in corso d’opera e di recedere anche
senza invocare una giusta causa. Il committente dovrà però tenere indenne l’appaltatore non solo
delle spese sostenute e dei lavori eseguiti,ma anche del mancato guadagno.
La morte dell’appaltatore non scioglie il contratto,salvo che l’appalto non sia stipulato intuitu
personae.
Il committente può tuttavia recedere dal contratto se gli eredi dell’appaltatore non diano
affidamento per la buona esecuzione dell’opera,né è in tal caso tenuto a corrispondere agli eredi
anche il mancato guadagno. Dovrà versare solo il valore delle opere eseguite e le spese sostenute
per la parte rimanente,nei limiti in cui opere e spese gli sono utili.

Il subappalto.
Il subappalto è un contratto di appalto stipulato fra l’appaltatore ed un terzo,avente ad oggetto
l’esecuzione della stessa opera o dello stesso servizio dal primo assunti nei confronti del
committente. L’appaltatore assume perciò la veste di committente (sub committente) nei confronti
del subappaltatore.
Il subappalto,totale o parziale,è possibile solo se è stato autorizzato dal committente.
Appalto e subappalto sono contratti distinti anche se collegati. Obbligato e responsabile nei
confronti del committente è e resta perciò l’appaltatore,anche se la sua responsabilità dipende da
fatto da subappaltatore.
L’appaltatore,chiamato in causa del committente,può tuttavia agire in regresso verso il
subappaltatore responsabile nei suoi confronti per difformità o vizi dell’opera. Deve però a pena di
decadenza,comunicare al subappaltatore,entro 60 giorni dal ricevimento,la denunzia proveniente dal
committente.

La subfornitura.
Le grandi imprese industriali spesso affidano ad altre imprese,di regola medio-piccole,alcune fasi
della lavorazione dei propri prodotti o la lavorazione di determinate componenti degli stessi o anche
dell’intero prodotto,attraverso la stipula di contratti di regola inquadrabili nello schema dell’appalto
(o della somministrazione).
E’ questo il fenomeno della subfornitura,che si caratterizza per il fatto che il subfornitore di norma
agisce secondo le direttive del committente,si avvale delle tecnologie di quest’ultimo ed è sovente
assoggettato a controlli più o meno penetranti sulla qualità dei prodotti realizzati,venendosi così a
trovare in una situazione di dipendenza tecnologica ed economica nei confronti del committente.
La subfornitura è disciplinata dalla legge n.192/1998.
Si è in presenza di un contratto di subfornitura quando:
a) Un imprenditore si impegna ad effettuare per conto di un’impresa committente lavorazioni su
prodotti semilavorati o su materie prime fornite dalla committente medesima;
b) Le prestazioni del subfornitore devono essere eseguite in conformità a progetti esecutivi,conoscenze
tecniche e tecnologiche,modelli o prototipi forniti dall’impresa committente.

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Il contratto deve essere stipulato in forma scritta a pena di nullità.


Tuttavia in caso di nullità per difetto di forma il subfornitore ha comunque diritto al pagamento
delle prestazioni già effettuate e la rimborso delle spese sostenute in buona fede per l’esecuzione del
contratto.
Nel contratto di fornitura devono essere specificati:
a) I requisiti specifici dei beni o servizi richiesti dal committente;
b) Il prezzo pattuito,che deve essere determinato o determinabile in modo chiaro e preciso;
c) I termini e le modalità di consegna,di collaudo e di pagamento.
Il prezzo pattuito deve essere corrisposto in un termine che non può eccedere i 60 giorni dal
momento della consegna del bene o della comunicazione dell’avvenuta esecuzione della
prestazione. Nel caso di mancato rispetto del termine di pagamento,il committente deve al fornitore
senza bisogno di costituzione in mora interessi corrispettivi al tasso praticato dalla Banca centrale
europea per le operazioni di rifinanziamento maggiorato di 8 punti. Ove il ritardo ecceda i 30 giorni,
il committente incorre in una penale del 5%.
Al fine di tutelare il subfornitore,è poi stabilita la nullità di una serie di clausole.
E’ nullo il patto che riservi ad una delle parti la facoltà di modificare unilateralmente una o più
clausole del contratto di subfornitura. E’ inoltre nullo il patto che attribuisce ad una delle parti di un
contratto di subfornitura a esecuzione continuata o periodica la facoltà di recesso senza congruo
preavviso. E’ infine nullo il patto con cui il subfornitore disponga,a favore del committente e senza
congruo corrispettivo,di diritti di privativa industriale o intellettuale.
Il subfornitore è responsabile del funzionamento e della qualità della parte o dell’assemblaggio da
lui prodotti o del servizio reso,secondo le prescrizioni contrattuali e a regola d’arte. Non è invece
responsabile per difetti di materiali o di attrezzi fornitigli dal committente,purché li abbia
tempestivamente segnalati.
Una disciplina più favorevole per il subfornitore rispetto a quella del subappalto è poi prevista per
l’affidamento a terzi dell’esecuzione della subfornitura. L’autorizzazione del committente è infatti
necessaria solo se l’affidamento avviene per una quota superiore al 50 per cento del valore della
fornitura o alla misura maggiore convenuta. Sono nulli gli accordi tra subfornitore e terzo che
violino tale disciplina.
L’art.9 introduce infine il divieto di abuso dello stato di dipendenza economica nella quale si trova
un’impresa cliente o fornitrice.
Si intende per dipendenze economica la situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare,nei
rapporti commerciali con un’altra impresa,un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi.
Il patto attraverso il quale si realizza l’abuso di dipendenza economica è nullo ed espone comunque
val risarcimento dei danni nei confronti dell’impresa che ha subito l’abuso.Può inoltre comportare
l’applicazione di sanzioni da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato,qualora
l’abuso configuri anche un illecito rilevante ai fini della disciplina antimonopolistica.

CAPITOLO SESTO:IL CONTRATTO DI TRASPORTO

Col contratto di trasporto,una parte (il vettore) si obbliga,verso corrispettivo,a trasportare persone o
cose da un luogo ad un altro (art.1678).
Oggetto del contratto di trasporto è quindi il trasferimento nello spazio di persone o cose.La sua
disciplina è diversa a seconda dell’oggetto del trasporto e del mezzo con cui il trasporto viene
seguito.

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Già il codice civile detta una disciplina differenziata per il trasporto di persone (artt.1681-1682) e
per il trasporto di cose (artt.1683-1702),integralmente applicabile solo ai trasporti terrestri su strada,
in quanto:
a) Il trasporto marittimo ed il trasporto aereo sono specificamente regolati dal codice della
navigazione,oltre che da alcuni regolamenti comunitari per quanto riguarda il trasporto di persone;
b) Il trasporto ferroviario interno è disciplinato da apposite leggi speciali ed anche da norme
comunitarie per quanto riguarda diritti ed obblighi dei passeggeri.
La diffusione dei trasporti internazionali e l’esigenza di pervenire ad una regolamentazione
uniforme del settore hanno dato poi vita a numerose convenzioni internazionali,cui l’Italia ha
aderito,realizzando così una parziale unificazione internazionale del diritto dei trasporti.
Ne risulta un sistema normativo particolarmente articolato e complesso,anche per i problemi di
coordinamento fra codice civile,codice della nazione,leggi speciali,regolamenti comunitari e
convenzioni internazionali.

Pubblici servizi di linea.


Disciplina comune a tutti i tipi di trasporto è quella dettata dall’art.1679 per le imprese (private e
pubbliche) che gestiscono servizi di linea in regime di concessione amministrativa.
Per assicurare il servizio alla generalità degli utenti e per evitare abusi a loro danno,la libertà di
contrarre di tali imprese subisce limiti identici a quelli posti per le imprese che operano in regime di
monopolio (art.2597).Il concessionario,infatti:
a) È obbligato ad accettare le richieste di trasporto che siano compatibili con i mezzi ordinari
dell’impresa;
b) Deve rispettare la parità di trattamento fra i diversi richiedenti,secondo le condizioni generali
stabilite nell’atto di concessione rese note al pubblico.
In caso di più richieste simultanee,deve essere preferita quella di percorso maggiore.

Il trasporto di persone.
La disciplina dettata dal codice civile per il trasporto di persone riguarda esclusivamente la
responsabilità del vettore.
La conclusione del contratto non è soggetta a regole particolari ed è di regola accompagna dal
rilascio di un biglietto di viaggio. Questo è un semplice documento di legittimazione (art.2002),non
un titolo di credito. Serve solo ad identificare l’avente diritto alla prestazione e di regola costituisce
l’unico mezzo di prova per l’esercizio dei diritti derivanti dal contratto.
Con la conclusione del contratto il vettore si obbliga non solo a trasportare l’avente diritto;si
obbliga anche a farlo arrivare indenne nel luogo di arrivo e ad evitare perdite od avarie alle cose che
il viaggiatore porta con sé. Ne consegue che il vettore:
a) È responsabile per il ritardo o la mancata esecuzione del trasporto;
b) È inoltre responsabile dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il trasporto e
della perdita od avaria del bagaglio se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il
danno. Ne consegue che anche la colpa lieve espone il vettore al risarcimento dei danni.
Il vettore potrà liberarsi provando che il sinistro è dovuto a caso fortuito,a fatto del danneggiato o di
terzi. Sono invece nulle le clausole che limitano la responsabilità del vettore per i sinistri che
colpiscono la persona del viaggiatore.
Alla responsabilità contrattuale del vettore fin qui esposta si aggiunge quella extracontrattuale
fondata sul principio generale del neminem laedere,in base al quale il danneggiato potrà agire
contro il vettore pur dopo la scadenza del termine annuale di prescrizione dell’azione contrattuale in
quanto l’azione extracontrattuale si prescrive nel più lungo termine di 2 anni.

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La disciplina della responsabilità,anche contrattuale,fin qui esposta è applicabile anche al trasporto


gratuito. Altro è però il trasporto amichevole. Il primo presuppone pur sempre un impegno
contrattuale del vettore. Il secondo invece non trova fondamento in un contratto (esempio: do un
passaggio ad un amico o ad un autostoppista).
Ne consegue che la disciplina della responsabilità contrattuale del vettore non è applicabile al
trasporto amichevole. Il vettore risponderà perciò dei danni solo a titolo di responsabilità
extracontrattuale.
In base al codice delle assicurazioni il terzo trasportato ha comunque diritto di chiedere il
risarcimento all’impresa di assicurazione del veicolo sul quale era bordo,fatta salva solo l’ipotesi
del caso fortuito:a prescindere quindi dal titolo del trasporto ed a prescindere dall’accertamento
della responsabilità del conducente. Lo stesso trasportato può inoltre esercitare,indipendentemente
dal titolo del trasporto,l’azione di risarcimento del danno extracontrattuale contro il conducente ed il
proprietario del veicolo,facendo valere la responsabilità aggravata di costoro prevista dall’art.2054
cod.civ.

Il trasporto di cose.
Il trasporto di cose è contratto consensuale concluso fra il mittente ed il vettore. Colui al quale la
merce deve essere consegnata nel luogo di arrivo (il destinatario) può essere lo stesso mittente o
persona diversa,da questi designata.
Il mittente è tenuto a fornire al vettore tutte le indicazioni necessarie per l’individuazione della cosa
da trasportare e per l’esecuzione del trasporto,contenute in un apposito documento (la lettera di
vettura) rilasciata dal mittente al vettore.
La lettera di vettura accompagna la merce durante il trasporto ed è esibita al destinatario al
momento della riconsegna del carico affinché controlli l’esatta esecuzione del contratto.
Su richiesta del mittente,il vettore è tenuto a rilasciargli un duplicato della lettera di vettura o una
ricevuta di carico,la cui funzione costante è quella di provare il ricevimento della merce da
trasportare.
Il duplicato della lettera di vettura o la ricevuta di carico possono essere rilasciati anche con la
clausola all’ordine. In tal caso diventano titoli di credito rappresentativi della merce. Il possessore
legittimo del titolo potrà perciò esercitare tutti i diritti derivanti dal contratto di trasporto o trasferirli
mediante girata del titolo;avrà inoltre diritto alla riconsegna della merce dietro restituzione del titolo
al vettore.
Titoli di credito rappresentativi sono anche:
a) Nel trasporto marittimo,la polizza di carico,la polizza ricevuta per l’imbarco e gli ordini di
consegna;
b) Nel trasporto aereo,la lettera di trasporto aereo. Questi titoli possono essere al portare,all’ordine o
nominativi.
Quando non è stato emesso un titolo rappresentativo della merce e nel contratto è indicato come
destinatario una persona diversa dal mittente,il contratto di trasporto è prevalentemente configurato
come contratto a favore di terzo.
E’ certo comunque che si è in presenza di una figura affatto peculiare di contratto a favore di terzo.
Il destinatario non acquista i diritti derivanti dal contratto di trasporto al momento della stipulazione
dello stesso,bensì nel momento in cui,arrivate le cose a destinazione o scaduto il termine per il loro
arrivo,ne chiede la riconsegna al vettore. Fino a tale momento,creditore del trasporto è solo il
mittente,cui la legge riconosce un ampio diritto di contrordine.
Dal contratto di trasporto nascono obbligazioni sia a carico del committente sia a carico del vettore.

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Obbligo fondamentale del mittente è quello di pagare il corrispettivo del trasporto (porto o
nolo),salvo che con apposita clausola questo non sia stato posto a carico del destinatario (porto
assegnato).
Quando la merce viaggia in porto assegnato,il destinatario non può esercitare i diritti che gli
derivano dal contratto di trasporto se non verso pagamento del corrispettivo. D’altro canto,il vettore
che omette di farsi pagare dal destinatario non può più rivolgersi al mittente.
Obbligazione fondamentale del vettore è quella di eseguire il trasporto secondo le modalità
convenute e di consegnare la merce al destinatario,dandogli prontamente avviso dell’arrivo.
Il vettore è inoltre tenuto a custodire le cose fino alla riconsegna al destinatario e dovrà chiedere
immediatamente istruzioni al mittente in caso di impedimenti o ritardi nell’esecuzione del trasporto
o nella riconsegna della merce,per cause a lui non imputabili.
Il vettore può infine assumersi l’obbligo di riscuotere per conto del mittente il prezzo della merce
consegnata al destinatario (cosiddetta clausola di assegno).
Il destinatario non può esercitare i diritti nascenti dal contratto di trasporto se non paga gli assegni.
Come nel trasporto di persone,il vettore risponde per la mancata esecuzione del trasporto o per il
ritardo nell’esecuzione secondo le norme generali in tema di inadempimento contrattuale. Per
sottrarsi al risarcimento dei danni dovrà fornire solo la prova negativa che l’inadempimento è
dovuto a causa a lui non imputabile.
Il vettore è inoltre responsabile per la perdita o per l’avaria delle cose consegnategli,dal momento in
cui le riceve al momento in cui le riconsegna al destinatario. Per sottrarsi al risarcimento dei danni il
vettore tenuto a fornire la prova positiva e specifica che la perdita o l’avaria sono dovute ad una
delle seguenti cause a lui non imputabili:
a) Caso fortuito;
b) Natura o vizi delle cose trasportate o del loro imballaggio;
c) Fatto del mittente o del destinatario.
Ne consegue che resta a carico del vettore il rischio della perdita o dell’avaria per cause equivoche
o ignote.
Questo regime di responsabilità aggravata del vettore è tuttavia temperato:
a) Dalla presunzione di irresponsabilità per calo naturale,per le cose che sono di per sé soggette a
diminuzione di peso durante il trasporto (esempio:cereali);
b) Dalla riconosciuta validità delle clausole che stabiliscono presunzioni di caso fortuito per eventi che
normalmente ne dipendono;
c) Dall’introduzione di limiti massimi all’ammontare del danno risarcibile.La limitazione non opera
però per i danni derivanti da dolo o colpa grave del vettore.
Se la merce trasportata è accettata dal destinatario senza riserve,il vettore non risponde della perdita
o dell’avaria tranne in due casi:dolo o colpa grave dello stesso vettore;perdita parziale o avaria non
riconoscibili al momento della riconoscenza. In questo secondo caso il danno deve essere però
denunziato,a pena di decadenza,appena conosciuto e non oltre 8 giorni dal ricevimento.

Trasporto con pluralità di vettori.


Non sempre un singolo vettore è in grado di eseguire con la propria organizzazione l’intero
trasporto dal luogo di partenza a quello di arrivo e si rende perciò necessaria la cooperazione di altri
vettori,che può assumere forme giuridiche diverse:sub trasporto,trasporto con rispedizione e
trasporto cumulativo.
Nel trasporto con sub trasporto il primo vettore si impegna direttamente verso il mittente ad
eseguire l’intero trasporto. Per la parte del percorso cui non può provvedere direttamente si avvale

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però di altri vettori (sub vettori),con i quali stipula altrettanti contratti di trasporto in nome e per
conto proprio,assumendo così nei loro confronti la veste giuridica di mittente (submittente).
Nessun rapporto giuridico diretto si instaura perciò fra il mittente e i subvettori,che agiscono quali
ausiliari del primo vettore. Pertanto obbligato e responsabile verso il mittente per l’intero percorso è
e resta solo il vettore iniziale,salve le azioni di rivalsa dello stesso nei confronti dei sub vettori.
Il trasporto con rispedizione (detto anche servizio di corrispondenza o ricarteggio) è proprio del
trasporto di cose. Esso si ha quando il vettore si obbliga verso il mittente:
a) Ad eseguire il trasporto per una parte del percorso complessivo;
b) A stipulare per i tratti successivi uno o più contratti di trasporto con altri vettori,in nome proprio a
per conto del mittente.
Il primo vettore si obbliga perciò direttamente per la propria parte di percorso,mentre assume gli
obblighi propri dello spedizioniere per la parte residua. Ogni vettore è comunque responsabile del
trasporto solo per il proprio percorso.
Nel trasporto cumulativo infine più vettori si obbligano con un unico contratto ad eseguire il
trasporto fino al luogo di destinazione,ciascuno per un tratto dell’intero percorso. Unitaria ed
indivisibile è perciò la prestazione dovuta dai vettori.
Nel trasporto cumulativo di persone ogni vettore è responsabile solo nell’ambito del proprio
percorso. Trattandosi però pur sempre di prestazione indivisibile,il danno per il ritardo o
l’interruzione del viaggio si determina in ragione dell’intero percorso.
Nel trasporto cumulativo di cose invece per la difficoltà di provare in quale tratto del percorso si è
verificato il sinistro,i vettori sono responsabili in solido per l’intero percorso.
Il vettore chiamato a rispondere per un fatto non proprio,può agire in regresso contro gli altri vettori
singolarmente o cumulativamente. Questi ultimi però sottrarsi all’azione di rivalsa provando che il
danno non è avvenuto nel loro percorso.
L’ultimo vettore rappresenta i precedenti per la riscossione dei rispettivi crediti e per l’esercizio del
privilegio sulle cose trasportate.
Il trasporto,oltre a richiedere la cooperazione di più vettori,può comportare anche l’impiego di
mezzi diversi e svolgersi in ambienti naturali diversi (esempio: trasporto di merci in containers).
In queste ipotesi per la giurisprudenza si applica la disciplina di diritto comune dettata dal codice
civile,per la dottrina si applica la speciale disciplina del codice della navigazione

CAPITOLO SETTIMO:I CONTRATTI PER IL TURISMO


Il contratto di viaggio.
Lo sviluppo del turismo di massa è alla base del fenomeno dei viaggi organizzati e del conseguente
emergere della figura del contratto di viaggio;tale contratto ha per oggetto l’effettuazione da parte di
imprese specializzate (agenzie di viaggio e turismo) di un complesso di prestazioni,variamente
combinate,di trasporto,soggiorno ed altri servizi turistici.
Il fenomeno,ignorato dal codice,è oggi solo parzialmente regolato.
Nel Codice del turismo (d.lgs. n.79/2011) sono contenute nuove norme in tema di contratti del
turismo organizzato,a seguito dell’abrogazione della legge 1084/1977 e gli artt. 82-100 cod.cons.
Le relative disposizioni (artt.32-51 cod.tur.) sono applicabili ai pacchetti turistici venduti od offerti
in vendita nel territorio nazionale da agenzie di viaggio,indipendentemente dal luogo di esecuzione
delle prestazioni.

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Elemento centrale della nuova disciplina è quindi la nozione di pacchetto turistico.Con ciò si
intende la combinazione,da chiunque ed i qualunque modo realizzata,di almeno due delle seguenti
attività:
a) Trasporto;
b) Alloggio;
c) Altri servizi turistici non accessori al trasporto ed all’alloggio che costituiscano una parte
significativa per la soddisfazione delle esigenze ricreative del turista. E’ inoltre necessario che il
pacchetto sia venduto o offerto in vendita ad un prezzo forfetario (art.34 cod.tur.).
Rientrano pertanto nella nozione di pacchetto turistico i viaggi,le vacanze,i circuiti tutto compreso,
ed anche le crociere turistiche. Non vi rientrano invece prestazioni di trasporto o di alloggio
isolate,oppure avvinate ad altri servizi di carattere meramente ancillare (esempio: albergatore
preleva i clienti all’aeroporto;tale servizio è inquadrabile come semplice contratto di albergo,
trasporto).
In relazione alla vendita di pacchetti turistici occorre poi individuare con esattezza il tipo di
prestazione resa dall’impresa turistica per integrare delle distinzioni,perché di regola le agenzie
turistiche non provvedono direttamente al trasporto ed agli altri servizi,ma organizzano,offrono e
procurano al pubblico pacchetti turistici realizzati attraverso la stipula di contratti con imprese che
effettuano le diverse prestazioni. In questo caso non si è più in presenza di un contratto di trasporto.
Per l’inquadramento dei relativi contratti è necessario distinguere,fra il contratto di organizzazione
di viaggio ed il contratto di intermediazione viaggio.
Con il primo contratto l’agenzia turistica si obbliga,in nome proprio e verso un corrispettivo
forfetario,a procurare al cliente un pacchetto turistico. Il rapporto tra agenzia turistica e cliente si
presta ad essere inquadrato nello schema dell’appalto di servizi,con conseguente responsabilità
unitaria e diretta dell’organizzazione di viaggi per la mancata realizzazione del risultato promesso.
Più semplice è il contenuto del contratto di intermediazione di viaggio. Con esso l’agenzia di viaggi
si impegna a procurare al cliente un contratto di organizzazione di viaggio,ovvero uno o più servizi
separati che gli permettono di effettuare un viaggio o un soggiorno.
L’intermediario è sostanzialmente un mandatario con rappresentanza. L’intermediario risponderà
pertanto verso il cliente solo per l’inadempimento degli obblighi attinenti al mandato ricevuto
(esempio: scelta non oculata dell’organizzatore);non invece per la mancata prestazione dei servizi
convenuti con terzi dall’agenzia organizzatrice. Il cliente è d’altro canto legittimato ad agire nei
confronti di quest’ultima,obbligata direttamente nei suoi confronti.
Il codice del turismo prevede per entrambi i contratti un’analitica disciplina volta a tutelare i turisti
contro possibili abusi delle agenzie di viaggio sia in sede di conclusione del contratto,sia durante la
fruizione del viaggio organizzato:
a) Prima della conclusione del contratto e prima dell’inizio del viaggio,l’organizzatore o il venditore
del pacchetto turistico sono tenuti a fornire per iscritto ed in modo chiaro,preciso e non
ingannevole,una serie di informazioni sui servizi offerti;
b) Il cliente ha diritto di ottenere una copia del contratto,che deve essere redatto per iscritto e deve
contenere una serie di elementi volti a garantire la conoscenza di tutte le principiali condizioni del
viaggio organizzato;
c) Il cliente può cedere il contratto ove si trovi nell’impossibilità di usufruire del pacchetto turistico;
d) La revisione del prezzo forfetario è ammessa solo se espressamente prevista dal contratto e solo in
caso di variazione di alcuni elementi predeterminati dalla legge (costo del trasporto,del
carburante).L’acquirente ha tuttavia diritto di recedere dal contratto se l’aumento supera il 10% del
prezzo originario.

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e) L’organizzazione può annullare il viaggio,senza esporsi al risarcimento danni,solo per il mancato


raggiungimento del numero minimo di partecipanti prefissato o per causa di forza maggiore,escluso
in ogni caso l’eccesso di prenotazioni.
L’organizzatore o l’intermediario sono responsabili per l’inesatto o il mancato adempimento delle
obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico secondo le rispettive responsabilità. Si
considerano inesatto adempimento le difformità degli standard qualitativi del servizio reso da quelli
promessi o pubblicati.
Per esonerarsi dalla relativa responsabilità l’organizzatore e il venditore sono tenuti a provare che la
mancata o inesatta esecuzione del contratto è imputabile al consumatore o è dipesa dal fatto di un
terzo a carattere imprevedibile o inevitabile,ovvero da caso fortuito o forza maggiore.
Qualora l’inadempimento delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico non siano di
scarsa importanza,il cliente può chiedere,oltre alla risoluzione del contratto,anche il risarcimento del
cosiddetto danno da vacanza rovinata,che consiste nel danno correlato al tempo di vacanza
inutilmente trascorso ed all’irripetibilità dell’occasione perduta.
Per i danni alle persone derivanti da inadempimento o dall’inesatta esecuzione delle prestazioni che
formano oggetto del pacchetto turistico,il risarcimento è circoscritto entro i massimali fissati per le
diverse prestazioni dalle convenzioni internazionali in materia. Entro i medesimi limiti può essere
contenuta anche la responsabilità per danni diversi dal danno alla persona,mediante apposita
convenzione scritta fra i contraenti. Sono previsti inoltre termini abbreviati di prescrizione:3 anni
dal rientro del turista nel luogo di partenza per i danni alla persona,ed un solo anno per gli altri
danni.
L’agente di viaggio è tenuto ad assicurarsi per la responsabilità civile verso i turisti. E’ inoltre
istituito un Fondo nazionale di garanzia a favore degli stessi.

Il contratto di albergo.
Con il contratto di albergo una parte (l’albergatore) si obbliga,dietro corrispettivo,a fornire dall’altra
parte (il cliente) l’alloggio in locali mobiliati ed una serie più o meno articolata di servizi
accessori,necessari (pulizia dei locali,cambio della biancheria) o utili (telefono,riscaldamento,
lavanderia,ecc.) per un confortevole soggiorno.
Il contratto di albergo è attualmente un contratto privo di un’unitaria e compiuta disciplina legale.
Le singole prestazioni di dare e di fare restano perciò regolata dalle norme dettate per i contratti
nominati cui le stesse sono riconducibili (locazione,somministrazione,contratto d’opera o appalto).
La legge si limita a regolare un solo aspetto del contratto di albergo:la responsabilità
dell’albergatore per le cose portate dal cliente in albergo (artt.1783-1786 cod.civ.).
La responsabilità dell’albergatore per deterioramento,distruzione o sottrazione è illimitata (copre
cioè l’intero valore) per le cose che gli sono state consegnate in custodia e per quelle che ha rifiutato
di ricevere in custodia,pur avendo per legge l’obbligo di accettarle (carte valori,danaro,contante ed
oggetti preziosi).
L’albergatore risponde invece solo fino all’equivalente di cento volte il prezzo giornaliero
dell’alloggio per le cose che il cliente porta in albergo senza consegnarle all’albergatore.
L’albergatore non può tuttavia invocare la limitazione di responsabilità quando il cliente provi che il
danno è imputabile a colpa dell’albergatore,dei suoi ausiliari o familiari (esempio:omessa vigilanza
del quadro delle chiavi delle stanze,serratura difettosa).
Per contro,l’albergatore è esonerato da responsabilità (illimitata o limitata) solo se fornisce la prova
positiva che l’evento dannoso è imputabile:
a) A colpa del cliente o delle persone che l’accompagnano,sono al suo servizio o gli rendono visita;
b) A forza maggiore;

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c) Alla natura delle cose.


Il cliente decade tuttavia dal diritto al risarcimento se,constatato il danno,lo denunzia all’albergatore
con ritardo ingiustificato,salvo che il danno sia imputabile ad un comportamento negligente
dell’albergatore stesso o dei suoi ausiliari.
Questo particolare regime di responsabilità si applica anche agli imprenditori la cui attività
comporta abitualmente un servizio accessorio di custodia delle cose dei clienti:case di cura,
pensioni, trattorie.
Non sempre in tali casi è però applicabile il parametro del prezzo giornaliero dell’alloggio (si pensi
ai ristoranti) e,sebbene la legge non lo specifichi,dovrà allora farsi riferimento al valore del servizio
reso. Ad esempio,prezzo medio del pasto consumato.

CAPITOLO OTTAVO:DEPOSITO DEI MAGAZZINI GENERALI

I magazzini generali sono imprese di custodia di merci e derrate soggette a specifica


regolamentazione ed a controllo della pubblica amministrazione (r.d.l.n.2290/1926,convertito con
legge n.1158/1927).L’attività dei magazzini generali,sottoposta a vigilanza del Ministero dello
sviluppo economico,è per legge considerata pubblico servizio. I magazzini generali,nei limiti degli
ambienti e delle attrezzature,non possono perciò rifiutare il deposito a chi ne faccia richiesta. Sono
inoltre tenuti a rispettare il principio della parità di trattamento nell’applicazione delle tariffe e delle
condizioni di contratto,fissate per regolamento sottoposto ad approvazione amministrativa.
Identica attività svolgono i depositi franchi,che si caratterizzano per il fatto di essere considerati
fuori della linea doganale. Le merci in essi custodite non sono perciò sottoposte al pagamento dei
diritti e dazi doganali.
Il deposito nei magazzini generali può avvenire anche alla rinfusa,cioè immagazzinando negli stessi
locali o recipienti partite omogenee di merce (carbone,grano,olio,ecc) consegnate da diversi
depositanti. Anche il deposito alla rinfusa è deposito regolare:ciascun depositante ha sulla massa un
diritto pro quota,proporzionato alla quantità di merce immessa. Il depositario sarà perciò tenuto a
restituire la stessa quantità di merce,prelevandola dalla massa formata dalle diverse partite.
Al deposito nei magazzini generali si applica la disciplina generale dettate per il contratto di
deposito (artt.1767-1781),con alcune modifiche che riguardano in particolare la responsabilità del
depositario.
La responsabilità dei magazzini generali per la conservazione delle merci depositate è aggravata
rispetto a quella del comune depositario,trovando applicazione un regime di responsabilità identico
a quello stabilito per il vettore nel trasporto di cose. Il magazzino generale è infatti responsabile a
meno che non provi che la perdita,il calo o l’avaria della merce siano derivati da caso fortuito,dalla
natura delle merci,ovvero da vizi delle stesse o dell’imballaggio. Perciò,i danni derivanti da cause
ignote sono a suo carico.
Ai magazzini generali è inoltre riconosciuto il diritto di procedere alla vendita della merce,previo
avviso al depositante,quando al termine del contratto essa non è ritirata ed in ogni caso la stessa è
minacciata di deperimento. Il ricavato,dedotte le spese e quanto spetta ai magazzini generali,è
tenuto a disposizione degli aventi diritto.

Fede di deposito e nota di pegno.

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A richiesta del depositante,i magazzini generali devono rilasciare una fede di deposito della merce
cui è unita la nota di pegno e possono essere intestate al nome del depositario o di un terzo da questi
designato.
La fede di deposito è un titolo di credito all’ordine rappresentativo della merce depositata. E’ perciò
trasferibile mediante girata ed attribuisce al possessore legittimo il diritto alla riconsegna della
merce,il possesso della stessa ed il potere di disporne mediante trasferimento del titolo.
La nota di pegno,fin quando resta unita alla fede di deposito,ha solo una funzione negativa:attesta
che sulla merce depositata non sussiste un diritto di pegno.
La nota di pegno può essere infatti utilizzata dal possessore del doppio titolo per ottenere un
finanziamento garantito da pegno sulle merci depositate. A tal fine egli stacca la nota di pegno dalla
fede di deposito e la mette in circolazione mediante girata a favore del finanziatore. La girata della
nota di pegno deve indicare l’ammontare del credito concesso,gli interessi e la scadenza. Deve
inoltre essere trascritta sulla fede di deposito e controfirmata dal giratario della nota.
La nota di pegno staccata dalla fede di deposito diventa un autonomo titolo di credito all’ordine,che
incorpora un diritto di credito garantito da pegno sulle merci depositate. Può perciò a sua volta
circolare mediante girata,indipendentemente dalla fede di deposito.
La fede di deposito priva della nota di pegno indica che sulla merce è stato costituito un diritto di
pegno,per un importo che risulta dalla trascrizione sulla fede stessa della prima girata della nota di
pegno. Il possessore della sola fede di deposito potrà perciò ritirare la merce solo depositando
presso i magazzini generali la somma dovuta al creditore pignoratizio.
Il possessore della nota di pegno,che non sia stato pagato alla scadenza dal primo girante della
stessa (che ha ottenuto il finanziamento),è a sua volta tutelato da due azioni:
a) Può far vendere la merce depositata e soddisfarsi sul ricavato,dopo aver fatto constatare il rifiuto di
pagamento mediante protesto elevato a norma della legge cambiaria;
b) Se dopo la vendita rimane insoddisfatto,può agire contro il debitore principale,nonché contro i
giranti della fede di deposito e gli altri giranti della nota di pegno. Decade però dall’azione verso
questi ultimi se ala scadenza non leva tempestivamente il protesto e se, entro 15 giorni dal
protesto,non fa istanza per la vendita delle cose depositate.
La complessità della disciplina ha reso la circolazione separata dei due titoli fenomeno da tempo
desueto.
Il finanziatore su merci depositate (quasi sempre una banca) preferisce infatti tutelarsi in modo più
semplice con la girata piena (o in garanzia) della fede di deposito unita alla nota di pegno,quando
non si accontenta,anche per ragioni di carattere fiscale,di una semplice dichiarazione di presa in
consegna o di tengo in potere della merce,emessa dal magazzino generale.

CAPITOLO NONO:IL MANDATO


Secondo l’art.1703 cod.civ.,il mandato è il contratto con il quale una parte (il mandatario) si obbliga
a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra parte (il mandante).
Il mandato è quindi un contratto di cooperazione giuridica esterna,cui tipicamente si ricorre quando
un soggetto non può o non vuole provvedere di persona alla cura dei propri interessi.
Il mandato può riguardare il compimento di uno o più atti giuridici specificamente individuati
(mandato speciale) o può essere generale. Il mandato generale comprende solo gli atti di ordinaria
amministrazione, mentre gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possono essere compiuti dal
mandatario solo se indicati espressamente. Il mandato (generale o speciale) comprende tuttavia non
solo gli atti per il quale è stato conferito,ma anche quelli che sono necessari per il suo compimento,
quali gli atti preparatori come la stipula di un contratto preliminare.

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Il mandato può essere conferito a più mandatari.In tal caso ciascun mandatario potrà agire
disgiuntamente dagli altri,salvo che nel mandato non sia espressamente indicato che devono agire
congiuntamente.Il mandato congiunto non ha tuttavia effetto se non è accettato da tutte le parti
designate.
Il mandato può essere anche collettivo,cioè conferito da più mandanti ad uno stesso mandatario con
unico atto e per un affare di interesse comune.
Il mandato è di regola conferito nell’interesse esclusivo del mandate. Può essere però conferito
anche nell’interesse del mandatario o di un terzo. Si parla in tal caso di mandato in rem propriam.
In tutti questi casi interessato al compimento dell’attività gestoria è non solo il mandante ma anche
il mandatario.
Il mandato può essere sia a titolo oneroso che a titolo gratuito. Si presume però oneroso ed il
compenso al mandatario,se non stabilito nel contratto,è determinato in base alle tariffe professionali
o agli usi. In mancanza è determinato dal giudice.
La distinzione più significativa è tuttavia quella fra mandato con rappresentanza e mandato senza
rappresentanza.

Mandato con e senza rappresentanza.


Il mandato è con rappresentanza quando il mandatario è legittimato ad agire non solo per conto ma
anche in nome del mandante.I rapporti fra mandante e terzi sono regolati dalle norme in tema di
rappresentanza.Tutti effetti degli atti posti in essere dal mandatario in nome del mandante pertanto
si producono direttamente in testa a quest’ultimo.E’ il mandante che diventa direttamente
proprietario dei beni acquistati in suo nome dal mandatario e ad essere obbligato nei confronti dei
terzi per gli atti compiuti dal mandatario-rappresentante.
Perché tutto ciò si verifichi è però necessaria una specifica ed ulteriore manifestazione di volontà
del mandante che abiliti il mandatario ad agire in suo nome:la procura.
Il mandato senza rappresentanza abilita ed obbliga il mandatario ad agire per conto del mandante
ma in nome proprio.Il mandatario senza rappresentanza stipula perciò in proprio nome i contratti
con i terzi ed assume in proprio nome obbligazioni nei loro confronti.Nè è tenuto a far conoscere ai
terzi con cui entra in rapporto di affari che sta operando per conto altrui.
Il mandatario senza rappresentanza acquista i diritti ed assume gli obblighi derivanti dagli atti
compiuti con i terzi,anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato.Inoltre,i terzi non hanno
alcun rapporto col mandante.In breve,nel mandato senza rappresentanza gli effetti,sia attivi che
passivi,degli atti posti in essere dal mandatario sono imputati direttamente al mandatario e non al
mandante.
Destinatario finale dei risultati dell’attività finale gestoria del mandatario è il mandante.
Vi sono specifiche disposizioni (artt.1705 comma 2,1706,1707),che consentono al mandante di
reagire contro eventuali negligenze od infedeltà del mandatario in relazione ai crediti ed ai beni
acquistati dal mandatario nello svolgimento dell’attività gestoria.
Per i crediti è previsto che il mandante,sostituendosi al mandatario,può esercitare i diritti di credito
derivanti dall’esecuzione del mandato purché,precisa il dato normativo,ciò non pregiudichi i diritti
che spettano al mandatario.
La norma quindi conferisce al mandante una semplice legittimamente ad esigere i crediti di cui il
mandatario è e resta titolare,non che il mandante acquisti direttamente la titolarità degli stessi.
Quando il mandato ha per oggetto l’acquisto di beni mobili,il mandante può rivendicare le cose
mobili acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome proprio,salvi i diritti acquistati
dai terzi per effetto del possesso di buona fede.

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Anche in tal caso non si realizza un acquisto diretto del mandante dal terzo,ma si ha un doppio
trasferimento (dal terzo al mandatario e da questi al mandante),sia pure automatico e contestuale.
La disciplina è invece diversa quando il mandato ha per oggetto l’acquisto di beni immobili o beni
mobili registrati.Il mandato senza rappresentanza ad acquistare immobili deve essere conferito per
iscritto a pena di nullità.Il mandatario è obbligato a ritrasferire al mandate le cose acquistate ed in
caso di inadempimento si osservano le norme relative all’esecuzione dell’obbligo a contrarre.
Qui la proprietà non solo è acquistata dal mandatario,ma a questi resta finquando non pone in essere
l’atto di ritrasferimento a favore del mandante.Non si ha cioè né trasferimento diretto né
trasferimento automatico (come per i beni mobili).Il mandante può tuttavia rivolgersi all’autorità
giudiziaria per ottenere il trasferimento del bene mediante sentenza costitutiva.
I beni ed i diritti destinati ad essere acquistati dal mandante sono sottratti all’aggressione dei
creditori del mandatario purché risulti,in modo legalmente certo,che il mandato o l’acquisto del
mandante è anteriore al pignoramento.

Obbligazioni del mandatario.


Il mandatario deve eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia.La sua
responsabilità per colpa è tuttavia valutata con minor rigore quando il mandato è gratuito.
Il mandatario deve rispettare i limiti fissati nel mandato.In caso contrario l’atto resta a suo
carico,salvo che il mandante non lo approvi successivamente.
Deve inoltre osservare le istruzioni,anche successive,ricevute dal mandante.
Il mandatario deve infatti costantemente operare in modo da realizzare nel miglior modo possibile
l’interesse del mandante e a tal fine deve anche rendere note allo stesso le circostanze sopravvenute
che possono determinare la revoca o la modifica del mandato.
Eseguito il mandato,deve darne comunicazione senza ritardo il mandante,anche per consentirgli di
valutare se l’incarico è stato esattamente eseguito e porsi al riparo da eventuali contestazioni
tardive. Infatti,anche se il mandatario si è discostato dalle istruzioni o ha ecceduto i limiti del
mandato, il suo operato si intende approvato dal mandante quando questi tarda rispondere per un
tempo superiore a quello richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi.
Conclusa l’attività gestoria,il mandatario deve rendere al mandante il conto del suo operato e
rimettergli tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato. Deve inoltre corrispondergli gli interessi
legati sulle somme riscorre per suo conto.
Il mandante può anche dispensare il mandatario dall’obbligo di rendiconto,ma la dispensa
preventiva non ha effetto quando il mandatario deve rispondere per dolo o colpa grave.
Salvo patto contrario,il mandatario non risponde verso il mandante delle obbligazioni assunte dai
terzi con i quali ha contrattato. Non risponde ad esempio del mancato pagamento da parte del terzo
delle cose vendutegli per conto del mandante.
Questa regola subisce però eccezione quando,al momento della conclusione del contratto col terzo,il
mandatario conosceva o doveva conoscere,con l’ordinaria diligenza,l’insolvenza di questo.
Il mandatario può eseguire il mandato anche a mezzo di altra persona (sostituto),né a tal fine è
necessaria l’autorizzazione del mandante.
Tuttavia:
a) Il mandante può agire direttamente contro il sostituto del mandatario;
b) Il mandatario è sempre responsabile delle istruzioni impartite al sostituto;
c) Il mandatario è responsabile anche dell’operato del sostituto quando la sostituzione non sia stata
autorizzata dal mandante o non sia necessaria per la natura dell’incarico.In tal il mandante potrà
agire direttamente sia contro il mandatario sia contro il sostituto,responsabili in solido nei suoi
confronti.

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Nel caso di sostituzione autorizzata,il mandatario è invece responsabile dell’operato del sostituto
solo se questi non è stato indicato dal mandante ed incorre in colpa nella scelta dello stesso.

Obbligazioni del mandante.


Oltre a corrispondere al mandatario il compenso pattuito,il mandante:
a) Deve somministrargli i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato e per l’adempimento delle
obbligazioni a tal fine contratte dal mandatario in proprio nome;
b) Deve rimborsargli le somme dallo stesso anticipate,con gli interessi legali dal giorno in cui
l’anticipazione è stata fatta;
c) Deve inoltre risarcire i danni che il mandatario ha subito a causa dell’incarico,in modo da tenerlo
indenne da ogni perdita sofferta nell’attività gestoria.
Al mandatario sono riconosciuti specifici mezzi di tutela dei propri diritti verso il mandante.Egli
può soddisfarsi sui crediti pecuniari sorti dagli affari che ha concluso,con precedenza sul mandante
e sui creditori di questo.Ha inoltre diritto di privilegio sulle cose del mandante che detiene per
l’esecuzione del mandato.

Estinzione del mandato.


Il mandante può in ogni momento revocare l’incarico conferito al mandatario,dandogli un congruo
preavviso se il mandato è a tempo indeterminato. Dovrà però risarcire i danni subiti dal mandatario,
se il mandato è oneroso e non ricorre una giusta causa.
Il mandato è revocabile anche se le parti hanno espressamente pattuito che è irrevocabile.In tal caso
però,sempre in assenza di gusta causa,il mandante è tenuto al risarcimento dei danni anche se il
mandato è gratuito.
E’ invece irrevocabile ex lege il mandato conferito anche nell’interesse del mandatario o di un terzo
(mandato in rem propriam),salvo che non sia diversamente convenuto o ricorra una giusta causa di
revoca,quale l’avvenuta realizzazione dell’interesse del mandatario o del terzo.
Nel primo caso,l’assenza di giusta causa espone solo al risarcimento dei danni,ma non impedisce la
revoca. Nel mandato in rem propriam invece l’assenza di giusta causa rende improduttiva di effetti
la revoca,dato che non è in gioco solo l’interesse del mandante.
Infine,se il mandato è collettivo,la revoca non ha effetto se non è fatta da tutti i mandanti,salvo che
non sussista una giusta causa.
Il mandatario può sempre rinunziare al mandato conferitogli,ma deve risarcire i danni al mandante
se non ricorre una giusta causa.In ogni caso la rinunzia deve essere fatta in modo ed in tempo tali
che il mandante possa provvedere altrimenti,salvo il caso di impedimento grave da parte del
mandatario.
Il mandato si estingue in caso di morte,interdizione o inabilitazione del mandante o del mandatario.
Questa regola subisce però una duplice eccezione:
a) Il mandato non si estingue quando ha per oggetto atti pertinenti all’esercizio dell’impresa e questa è
continuata ,salvo il diritto di recesso delle parti o degli eredi;
b) Non si estingue inoltre per la morte o la sopravvenuta incapacità del mandante quando è stato
conferito anche nell’interesse del mandatario o di un terzo.
Il mandato si estingue infine in caso di fallimento del mandatario.Qualora invece fallisca il
mandante,l’esecuzione del contratto è sospesa finché il curatore abbia deciso se subentrare nel
rapporto o scioglierlo.

Commissione o spedizione.

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Commissione e spedizione sono sottotipi di mandato senza rappresentanza,che si caratterizzano per


lo specifico oggetto dell’incarico conferito al mandatario.
La commissione è un mandato che per oggetto esclusivo l’acquisto o la vendita di beni,per conto
del committente ed in nome del commissionario.
L’attività del commissionario,che è sovente un imprenditore,è perciò quella di concludere contratti
di compravendita in nome proprio e per conto del committente,anch’egli spesso imprenditore
(esempio:commissionari delle case automobilistiche).
La disciplina della commissione ricalca quella del mandato senza rappresentanza,salvo alcune
disposizioni specifiche.
Il commissionario si presume autorizzato a concedere dilazioni di pagamento,in conformità degli
usi del luogo in cui compie l’operazione. Deve però indicare al committente la persona del
contraente ed il termine concesso per il pagamento. In caso contrario,il committente può esigere da
lui il pagamento immediato.
Il commissionario ha diritto ad un compenso,di regola costituito da una percentuale sul valore
dell’affare,denominato provvigione. Se il committente revoca l’incarico prima della conclusione
dell’affare,al commissionario spetta ugualmente una parte della provvigione,determinata tenendo
conto delle spese sostenute e dell’opera prestata.
Le disposizioni più significative sono tuttavia quelle che regolano l’entrata del commissionario nel
contratto e lo star del credere.
La prima norma introduce una parziale deroga al divieto del mandatario di acquistare per sé quanto
ha avuto incarico di vendere,nonché di fornire egli steso le cose che ha avuto incarico di comprare.
Infatti se la commissione ha per oggetto titoli divise o merci aventi un prezzo ufficiale di mercato,il
commissario può rendersi contraente in proprio,salvo che il committente non abbia disposto
diversamente.
L’esistenza di un prezzo corrente,oggettivamente accertabile,esclude infatti il pericolo che il
commissionario anteponga i propri interessi a quelli del committente.
Il commissionario ha ugualmente diritto alla provvigione,come se avesse dato regolare esecuzione
al mandato.
Con lo star del credere il commissionario si rende responsabile nei confronti del committente per
l’esecuzione dell’affare e quindi per l’adempimento delle obbligazioni assunte dal terzo contraente
nei suoi confronti. Il commissionario ha diritto in tal caso ad uno speciale compenso,di solito nella
forma di un supplemento di provvigione.
Questa particolare forma di garanzia è dovuta dal commissionario anche in assenza di espressa
pattuizione,quando ciò risulti dagli usi del luogo di conclusione dell’affare.
A differenza del mandato,infine,la commissione si scioglie ex lege per il fallimento di una delle
parti e dunque anche in caso di fallimento del committente.
La spedizione è un contratto di mandato con il quale lo spedizioniere si obbliga a concludere,in
nome proprio e per conto del mandante,un contratto di trasporto,nonché a compiere le operazioni
accessorie (art.1737).
Netta è perciò la distinzione fra trasporto e spedizione.Il vettore si obbliga ad eseguire il trasporto;lo
spedizioniere si obbliga invece a stipulare con un vettore un contratto di trasporto,per conto del
mandante.
La legge consente del resto che lo spedizioniere provveda direttamente all’esecuzione parziale o
totale del trasporto.Si ha in tal caso la figura dello spedizioniere-vettore,con la conseguenza che allo
stesso faranno capo anche i diritti e gli obblighi del vettore.

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Lo spedizioniere deve seguire le istruzioni del committente ed in mancanza deve operare secondo il
migliore interesse dello stesso.Deve inoltre accreditare al committente i premi,gli abbuoni ed i
vantaggi di tariffa ottenuti,se non è pattuito diversamente.
In caso di revoca dell’incarico,il committente è tenuto a rimborsare allo spedizioniere le spese
sostenute ed a corrispondergli un equo compenso per l’attività svolta.
I diritti dello spedizioniere sono assoggettati alla stessa prescrizione breve prevista per il contratto
di trasporto.

CAPITOLO DECIMO:IL CONTRATTO DI AGENZIA.

Con il contratto di agenzia una parte (l’agente) assume,stabilmente verso retribuzione,l’incarico di


promuovere contratti un una zona determinata (art.1742).
L’agente assume il nome del rappresentante di commercio quando,oltre a promuovere la
conclusione di contratti,ha anche il potere di concluderli direttamente in nome e per conto del
preponente.
Agenti e rappresentanti di commercio costituiscono una particolare categoria di ausiliari autonomi
dell’imprenditore. La loro funzione tipica è quella di consentire la distribuzione capillare dei
prodotti altrui prendendo contatti con la clientela di una determinata zona e stimolandone gli ordini.
Questa attività gli agenti svolgono stabilmente ed in ambito territoriale determinato (zona),così
distinguendosi dalla figura del semplice procacciatore di affari occasionale.
L’agente di commercio opera avvalendosi di una propria autonoma organizzazione e a proprio
rischio. Anche se legato da un rapporto stabile al preponente,si distingue nettamente dagli ausiliari
subordinati dell’imprenditore (piazzisti e commessi viaggiatori).L’agente è infatti un lavoratore
autonomo non un lavoratore subordinato. Anzi di regola è egli stesso un imprenditore commerciale.
A certi effetti la posizione degli agenti è tuttavia assimilata ex lege a quella dei lavoratori
subordinati,dato il carattere continuativo del rapporto che li lega al preponente e la situazione di
dipendenza economica in cui spesso vengono a trovarsi soprattutto i piccoli agenti.
Si tratta tuttavia di norme eccezionali che non legittimano neanche per i piccoli agenti
l’inquadramento fra i lavoratori subordinati.
L’esercizio della professione di agente e di rappresentante di commercio è subordinata alla
presentazione di una dichiarazione di inizio di attività presso la Camera di commercio;la Camera,
verificato il possesso dei requisiti richiesti dalla legge,provvede all’iscrizione dell’agente nel
registro delle imprese (o nel registro delle notizie economiche e amministrative,REA,se l’attività
non è svolta in forma d’impresa).
Il rapporto di agenzia e di rappresentanza di commercio è regolato,oltre che dalle norme del
codice,dagli Accordi economici collettivi di settore stipulati con le associazioni professionali degli
imprenditori preponenti.Una disciplina speciale è poi prevista per alcune categorie di agenti, come
gli agenti di assicurazione e gli agenti promotori di servizi finanziari.

Disciplina.
Il contratto di agenzia può essere concluso anche verbalmente o per fatti concludenti.Deve essere
però provato per iscritto.Ciascuna parte ha diritto di ottenere dall’altra un documento dalla stessa
sottoscritto che riproduca il contenuto del contratto e delle clausole aggiuntive.Tale diritto è
irrinunciabile.

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Di regola il contratto di agenzia comporta un diritto reciproco di esclusiva per la zona prefissata.
Salvo patto contrario,il preponente non può valersi contemporaneamente di più agenti nella stessa
zona e per lo stesso ramo di attività. Nel contempo,all’agente è vietato di trattare nella stessa zona e
per lo stesso ramo gli affari di più imprese in concorrenza fra loro.
Obbligo fondamentale dell’agente è quello di promuovere,nella zona assegnatagli,la conclusione di
contratti per conto del preponente.
Nello svolgimento di tale attività promozionale l’agente deve tutelare gli interessi del preponente ed
agire con lealtà e buona fede. In particolare,deve attenersi alle istruzioni ricevute dal preponente.E’
inoltre tenuto ad un ampio dovere di informazione nei confronti dello stesso.E’ nullo ogni patto
contrario.
Di regola l’agente promuove soltanto la conclusione di contratti,mentre sarà il preponente a
stipularli direttamente con i clienti se li ritiene convenienti.L’agente non ha inoltre il potere di
riscuotere i crediti del preponente.
Il preponente può tuttavia conferire all’agente la rappresentanza per la conclusione dei congratti,che
allora saranno stipulati direttamente dall’agente,di regola con la clausola salvo approvazione della
casa. Può conferirgli anche o solo la facoltà di riscuotere i propri crediti,fermo restando che l’agente
non può concedere sconti o dilazioni senza specifica autorizzazione.
Nell’interesse dei terzi contraenti è previsto che i reclami relativi alle inadempienze contrattuali
sono validamente fatti all’agente. L’agente può inoltre chiedere provvedimenti cautelari
nell’interesse del preponente e presentare i reclami che sono necessari per la conservazione dei
diritti spettanti a quest’ultimo.
Il fondamentale diritto dell’agente è quello al compenso,normalmente costituito da una percentuale
sull’importo degli affari (provvigione).
E’ tuttavia mantenuto fermo il principio che sull’agente grava il rischio del buon fine
dell’affare;vale a dire della regolare esecuzione da parte di entrambi contraenti (preponente e terzo)
delle rispettive obbligazioni. In caso contrario,l’agente non ha diritto neppure al rimborso delle
spese. Sull’agente grava perciò integralmente il rischio della propria attività:il rischio di non trovare
clienti,quello di non vedere accettati dal preponente gli affari proposti (rischio promozione),quello
infine del buon fine degli affari conclusi (rischio esecuzione).
Il diritto dell’agente alla provvigione sorge con la conclusione del contratto fra preponente e terzo.
La provvigione diventa però esigibile solo dal momento e nella misura in cui il preponente ha
eseguito o avrebbe dovuto eseguire la propria prestazione. E’ tuttavia possibile pattuire che la
provvigione diventa esigibile in un momento successivo,fermo restando che la stessa spetta
all’agente al più tardi dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto
eseguire la propria prestazione,qualora il preponente abbia eseguito quella a suo carico.
Nel contempo,l’agente è tenuto a restituire le provvigioni riscosse nell’ipotesi e nella misura in cui
sia certo che il contratto tra il terzo e il preponente non avrà esecuzione per cause non imputabili al
preponente. E’ nullo ogni patto più sfavorevole all’agente.
E’ tuttavia previsto che:
a) Se il preponente ed il terzo si accordano per non dare esecuzione in tutto o in parte al
contratto,l’agente ha diritto per la parte ineseguita ad una provvigione ridotta;
b) Salvo patto contrario,l’agente ha diritto alla provvigione anche per gli affari conclusi direttamente
dal preponente con terzi che l’agente aveva in precedenza acquisito come clienti o appartenenti alla
zona,categoria o gruppo di clienti riservati all’agente;
c) L’agente ha diritto alla provvigione anche per gli affari conclusi dopo lo scioglimento del rapporto
se la proposta è pervenuta in data antecedente,nonché quando gli affari sono stati conclusi
successivamente ma la conclusione è da ricondurre prevalentemente all’attività da lui svolta.

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La posizione dell’agente poteva essere in passato convenzionalmente aggravata con la clausola


dello star del credere,prevista per il contratto di commissione.In tal caso l’agente era obbligato a
tener indenne il preponente dalle perdite subite per l’inadempimento del terzo contraente,sia pure
entro limiti massimi (15 o 20 per cento delle perdite) fissati dagli accordi economici collettivi.
La clausola dello star del credere,anche solo parziale,è stata vietata (art.1746 comma 3 nel 1999).
E’ tuttavia consentito concordare di volta in volta un’apposita garanzia da parte dell’agente,purché
ciò avvenga con riferimento a singoli affari individualmente determinati.La garanzia non deve
essere di ammontare più elevato della provvigione che per quell’affare l’agente avrebbe diritto di
percepire.
A tutela della posizione dell’agente l’attuale disciplina prevede specifici obblighi di comportamento
anche a carico del preponente,comunque tenuto ad agire con lealtà e buona fede nei rapporti con
l’agente.
Deve informare l’agente,entro un termine ragionevole,dell’accettazione o del rifiuto di un affare
procuratogli e della mancata esecuzione.
Le provvigioni dovute devono essere pagate all’agente entro il mese successivo al trimestre in cui
sono maturate.Il preponente deve consegnare all’agente il relativo estratto conto e l’agente ha diritto
di ottenere tutte le informazioni necessaria,compreso un estratto dei libri contabili,per verificare
l’importo delle provvigioni liquidategli. E’ nullo ogni patto contrario.
Il contratto di agenzia può essere a tempo determinato o indeterminato.E’ tuttavia espressamente
previsto che il contratto a tempo determinato si trasforma in contratto a tempo indeterminato se
continua ad essere eseguito dalle parti dopo la scadenza del termine.
Se il contratto è a tempo indeterminato,ciascuna delle parti può recedere dal contratto dando
preavviso all’altra parte.Il termine di preavviso è però oggi fissato per legge in proporzione alla
durata del rapporto (da uno a sei mesi).Le parti non possono stabilire termini più brevi.
All’atto dello scioglimento del rapporto il preponente deve corrispondere all’agente un’indennità di
fine rapporto.
Con il nuovo testo dell’art.1751,l’indennità di fine rapporto non è infatti più dovuta in ogni caso. E’
per contro necessario che,anche dopo lo scioglimento del rapporto,il preponente continui a ricevere
sostanziali vantaggi dalle relazioni di affari con la clientela procurategli dall’agente ed inoltre che il
pagamento dell’indennità risulti equo,tenuto conto delle provvigioni che l’agente viene a perdere.
Nulla sarà perciò dovuto all’agente qualora il preponente provi che la clientela procuratagli dallo
stesso non è restata a lui legata,ma è passata in blocco ad altro imprenditore con cui l’agente
successivamente collabori,senza perciò subire alcuna perdita.
L’indennità non è dovuta quando il rapporto si sciolga per causa imputabile all’agente (gravi
inadempienza, recesso senza giusta causa) o quando,di accordo col preponente,questi ceda a terzi il
contratto di agenzia. E’ invece dovuta se il rapporto cessa per morte dell’agente.
L’ammontare dell’indennità non può superare un’annualità di retribuzioni,calcolata sulla media
degli ultimi 5 anni o dell’eventuale minor periodo di durata del contratto.
Questa disciplina può essere tuttavia derogata a favore dell’agente. Gli accordi economici collettivi
hanno sostanzialmente mantenuto ferma la precedente regolamentazione
convenzionale,globalmente più favorevole per gli agenti. E’ infatti previsto che l’indennità dovuta
qualunque sia la causa di scioglimento del rapporto. L’ammontare è commisurato alle provvigioni
liquidate nel corso del rapporto,secondo percentuali articolate per scaglioni.L’indennità è
corrisposta da un apposito ente previdenziale (l’Enasarco),sulla base dei contributi allo stesso
versati annualmente.
In caso di mancata iscrizione nel registro delle imprese o nel REA da parte dell’agente (agente
abusivo),in passato la giurisprudenza ha ritenuto che vi fosse la nullità del relativo contratto.

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La Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha però dichiarato incompatibile con la direttiva sugli
agenti una normativa nazionale che subordini la validità di un contratto di agenzia all’iscrizione
dell’agente in appositi albi o ruoli.
Il patto con cui si limita la concorrenza da parte dell’agente dopo lo scioglimento del contratto deve
farsi per iscritto. La durata non può superare i 2 anni e deve riguardare la stessa zona,clientela e
genere di beni o servizi oggetto del contratto di agenzia. L’agente ha diritto,in occasione della
cessazione del rapporto ad un’indennità determinata,in mancanza d’accordo,dal giudice in via
equitativa.

Gli agenti di assicurazione.


Una particolare categoria di agenti è costituita dagli agenti di assicurazione.Essi si distinguono in
agenti in economia ed agenti a gestione libera.
Gli agenti in economia sono legati all’assicuratore da un rapporto di lavoro subordinato ed operano
per lo più in sedi secondarie dell’impresa di assicurazione assumendo la veste di institori o
procuratori. Al pari degli institori e dei procuratori,sono investiti ex lege del potere di
rappresentanza dell’assicuratore.Possono perciò concludere contratti in suo nome.
Gli agenti a gestione libera sono invece legati all’assicuratore da un vero e proprio contratto di
agenzia. Possono perciò concludere contratti solo se è stato loro conferito il relativo potere di
rappresentanza. In tal caso però si differenziano dai comuni agenti con rappresentanza in quanto è
loro riconosciuto per legge anche il potere di modificare o risolvere i relativi contratti,nonché la
rappresentanza processuale attiva e passiva dell’assicuratore per le obbligazioni dipendenti dagli atti
compiuti nell’esecuzione del loro mandato. Gli agenti a gestione libera sono tenuti all’iscrizione in
apposito registro e sono sottoposti al controllo dell’Ivass.

CAPITOLO UNDICESIMO:LA MEDIAZIONE

È mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare,senza essere
legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione,di dipendenza o di rappresentanza (art.1754).
Funzione tipica del mediatore è quella di mettere in contratto fra loro i potenziali contraenti. Tale
funzione intermediaria può essere svolta dal mediatore sia spontaneamente sia su incarico di una o
di entrambe le parti,come oggi più frequentemente accade.
In un caso e nell’altro il mediatore si distingue dagli altri soggetti che agevolano la conclusione di
affari (commissionari ed agenti) per la posizione di indipendenza rispetto alle parti a favore delle
quali esplica l’attività intermediaria;per l’assenza cioè di vincoli di collaborazione,dipendenza o
rappresentanza. Ne consegue che:
a) Il mediatore conserva piena libertà di azione anche se agisce su incarico di una delle parti e può in
ogni momento disinteressarsi dell’affare;
b) Le parti sono libere di concludere o meno l’affare,anche se al mediatore è stato conferito uno
specifico incarico,salvo in tal caso il diritto del mediatore al solo rimborso delle spese nei confronti
della persona per incarico della quale sono state sostenute;
c) Il mediatore ha diritto al compenso (provvigione) per il solo fatto che l’affare si è concluso per
effetto del suo intervento e quindi anche se non aveva ricevuto alcun incarico di mediazione.
Il legislatore si è astenuto dal qualificare la mediazione come un contratto.
Il dibattito sulla natura contrattuale o meno della mediazione resta tuttora aperto. La soluzione
affermativa si lascia tuttavia preferire almeno quando il mediatore agisce su incarico di una delle
parti (cosiddetto mediatore unilaterale).

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L’esercizio,anche occasionale o discontinuo,dell’attività di mediatore è soggetto ad una


dichiarazione di inizio di attività presso la Camera di commercio competente per territorio,che
provvede all’iscrizione nel registro delle imprese.
L’attività di mediatore è incompatibile con l’esercizio di altre attività di lavoro autonomo o
subordinato. E’ fatto divieto agli iscritti di delegare le proprie funzioni,se non ad altro mediatore
iscritto.
Restano soggetti ad una specifica disciplina,i mediatori pubblici ed i mediatori marittimi,i mediatori
di assicurazione,nonché l’attività di mediazione creditizia.

Disciplina.
Il diritto del mediatore alla provvigione matura con la conclusione dell’affare.
Il mediatore non corre perciò il rischio del buon fine dell’affare ed ha diritto alla provvigione anche
se le parti non danno esecuzione al contratto concluso. E’ necessario però che l’affare sia stato
concluso per effetto del suo intervento;che sussista cioè un nesso di causalità fra l’attività di
intermediazione del mediatore e la conclusione dell’affare.
La provvigione è di regola dovuta al mediatore da ciascuna delle parti. Se più sono i mediatori
intervenuti nell’affare,ciascuno ha diritto ad una quota della provvigione. L’ammontare della
provvigione e la misura in cui deve gravare su ciascuna delle parti sono determinate,in mancanza di
accordo,dalle Camere di commercio tenendo conto degli usi locali.
La legge 39/1989 ha inoltre espressamente stabilito che non ha diritto alla provvigione il mediatore
non iscritto negli appositi ruoli,precisando che egli è tenuto a restituirla ove l’abbia già riscossa ed è
inoltre punito con una sanzione amministrativa pecuniaria. Se è voluto così drasticamente
sanzionare l’esercizio abusivo dell’attività,anche occasionale,di mediazione.
Se il contratto è sottoposto a condizione sospensiva,il diritto del mediatore alla provvigione sorge
nel momento in cui la condizione si verifica.Viceversa,l’avverarsi della condizione risolutiva non fa
venire meno il diritto alla provvigione.
Il mediatore conserva il diritto alla provvigione anche se il contratto è annullabile o
rescindibile,salvo che fosse a conoscenza della causa di invalidità.La nullità del contratto comporta
invece la perdita del diritto alla provvigione.
Il mediatore è responsabile verso le parti se omette di far conoscere loro le circostanze a lui
note,relative alla valutazione ed alla sicurezza dell’affare,che possono influire sulla conclusione
dello stesso.
Il mediatore risponde anche dell’autenticità della sottoscrizione delle scritture e dell’ultima girata
dei titoli trasmessi per suo tramite.Particolari obblighi di documentazioni sono previsti per i
mediatori professionali in affari su merci o titoli.Questi mediatori devono infatti conservare i
campioni delle merci vendute sopra campione finchè sussista la possibilità di controversia
sull’identità della merce,rilasciare al compratore una lista firmata dei titoli negoziati con
l’indicazione della serie e del numero ed infine annotare su apposito libro gli estremi essenziali del
contratto che si stipula col loro intervento e rilasciare alle parti copia sottoscritta.La violazione di
questi obblighi è punita con ammenda e nei casi più gravi può comportare la sospensione della
professione fino a 6 mesi.
Il mediatore è infine responsabile ex lege per l’esecuzione del contratto quando tace ad un
contraente il nome dell’altro.Ciò avviene quando un contraente vuol rimanere occulto all’altro
oppure quando il mediatore vuol impedire che le parti si conoscano,per evitare che le stesse
concludano successivi affari senza servirsi della sua opera.

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In tali casi il contraente palese ignora il nome dell’altro.Perciò il mediatore risponde personalmente
dell’esecuzione del contratto nei confronti del primo e,quando l’ha eseguito,subentra nei diritti
verso il contraente non nominato.
Tuttavia,la responsabilità del mediatore permane anche se,dopo la conclusione del contratto,il
contraente occulto si manifesta all’altra parte o è reso noto dal mediatore,sicché ciascuno dei
contraenti può agire direttamente contro l’altro.

I mediatori di assicurazione.
Una particolare categoria di mediatori è costituita dai mediatori di assicurazione o brokers,la cui
attività è regolamentata dagli artt.106-121 del codice delle assicurazioni.
I mediatori di assicurazione mettono in relazione imprese di assicurazione ed assicurandi per la
conclusione dei relativi contratti.La peculiarità della figura consiste nel fatto che il broker di regola
assume anche compiti di assistenza e consulenza nei confronti dell’assicurando che gli ha conferito
l’incarico:ricerca nell’interesse di quest’ultimo la migliore copertura assicurativa al minor
costo;stipula il contratto;cura sempre nell’interesse dell’assicurato la gestione dei rapporti con
l’impresa di assicurazione.
Proprio il carattere complesso dell’attività del broker ha indotto a dubitare che lo stesso sia
puntualmente inquadrabile nella figura del mediatore.La funzione di consulente di una delle parti
non è incompatibile con l’altra figura.Come mediatore il broker è inoltre espressamente qualificato
dal codice delle assicurazioni.
L’attività dei mediatori di assicurazione è inquadrata,al pari di quella degli agenti,nell’attività di
intermediazione assicurativa ed è sottoposta al controllo dell’Ivass.

CAPITOLO DODICESIMO:IL CONTO CORRENTE ORDINARIO

Due soggetti ed in particolare due imprenditori legati da continui rapporti di affari,da cui nascono
crediti e debiti reciproci,anziché provvedere di volta in volta al pagamento di quanto l’uno deve
all’altro,possono trovare conveniente ridurre il movimento reciproco di danaro.Possono stabilire di
astenersi da una serie di pagamenti di segno opposto e di procedere alla liquidazione per differenza
dei crediti rispettivi.
Il contratto che consente di realizzare tale semplificazione dei reciproci rapporti di affari è il conto
corrente (artt.1823-1833),detto anche conto corrente ordinario per distinguerlo dal conto corrente
bancario o di corrispondenza.
Con il contratto di conto corrente (ordinario) le parti si obbligano ad annotare in un conto i crediti
derivanti da reciproche rimesse,considerandoli inesigibili ed indisponibili fino alla chiusura del
conto.
Alla chiusura del conto il saldo,risultante dalla compensazione globale dei crediti e debiti
annotati,diventa esigibile e la parte che risulta creditrice della differenza ne può chiedere il
pagamento.Se il pagamento non è richiesto,il saldo si considera come prima rimessa di un nuovo
conto ed il contratto si intende rinnovato a tempo indeterminato.
Costituiscono perciò caratteri essenziali del conto corrente:
a) L’assoggettamento dei crediti reciproci ad un regime temporaneo di inesigibilità ed indisponibilità;
b) La compensazione globale degli stessi a scadenze periodiche e la liquidazione per differenza.
Il sistema dell’annotazione in conto costituisce a sua volta il mezzo tecnico attraverso il quale le
rimesse reciproche vengono assoggettate a tale regolamentazione unitaria.
Disciplina.

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Fermo restando che il contratto di conto corrente non obbliga le parti a concludere uno o più affari
futuri (cosiddetta facoltatività delle rimesse),se non è diversamente pattuito sono inclusi nel conto
tutti i crediti reciproci eccezion fatta per quelli che non sono suscettibili di compensazione.
L’obbligo di annotazione in conto può riguardare anche crediti che una delle parti vanta verso terzi
e che,con l’immediata inclusione nel conto,vengono trasferiti a titolo oneroso (cessione) al
ricevente.
L’inclusione nel conto di tali crediti si presume però fatta con la clausola salvo incasso.In caso di
mancata riscossione il ricevente può,a sua scelta,agire per la riscossione o eliminare la partita dal
conto,reintegrando nelle sue ragioni colui che ha fatto la rimessa.
I crediti fra le parti inseriti nel conto diventano inesigibili e indisponibili.Non possono perciò essere
riscossi alla naturale scadenza,né essere ceduti a terzi.
I crediti inseriti nel conto non perdono però la loro individualità.Non si ha novazione.Ne consegue
che:
a) Ogni credito continua a produrre interessi nella misura convenuta o in quella legale e restano dovute
le eventuali spese e commissioni per le operazioni che hanno dato luogo alla rimessa;
b) L’inclusione nel conto non preclude l’esercizio delle azioni e delle eccezioni relative all’atto da cui
il credito deriva e se questo è dichiarato nullo,annullato,rescisso o risolto la relativa partita è
eliminata dal conto;
c) Le garanzie reali o personali che assistono il singolo credito non si estinguono,ma persistono a
favore del saldo fino alla concorrenza del credito garantito.
La chiusura del conto con la determinazione del saldo è fatta alla fine di ogni semestre,se non risulta
diversamente dal contratto o dagli usi.Alla chiusura del conto viene di regola inviato da un
correntista all’altro un estratto conto,nel quale sono riportate tutte le annotazioni del periodo con
conseguente determinazione del saldo.
L’estratto conto si intende approvato se non è contestato in modo specifico nel termine pattuito o in
quelli usuali,o altrimenti con tempestività.
L’approvazione (espressa o tacita) del conto non preclude il diritto i impugnarlo per errori di
scritturazione o di calcolo,per omissioni o duplicazioni.L’impugnativa deve essere essere però
proposta,a pena di decadenza,entro 6 mesi dalla ricezione dell’estratto conto.
La chiusura del conto non comporta lo scioglimento del contratto,ma solo la liquidazione dei
rapporti di dare ed avere sorti nel periodo e l’esigibilità del saldo.Infatti,il contratto si intende
rinnovato a tempo indeterminato se la parte creditrice non richiede il pagamento del saldo ed il
relativo credito si considera come prima rimessa di un nuovo conto.
Quando il contratto è o diviene a tempo indeterminato,ciascuna della parti può recedere ad ogni
chiusura del conto,purché ne dia preavviso almeno 10 giorni prima.
Sono poi cause legittime di recesso l’interdizione,l’inabilitazione,l’insolvenza o la morte di una
delle parti. Col recesso il conto rimane bloccato e non possono essere incluse nuove partite,ma il
pagamento del saldo può essere richiesto solo alle scadenze stabilite per la chiusura del conto.
E’ da dire infine che il conto rimane bloccato e non possono essere incluse nuove partite,ma il
pagamento del saldo può essere richiesto solo alle scadenze stabilite per la chiusura del conto.
E’ da dire infine che il conto corrente ordinario è contratto oggi scarsamente diffuso nella pratica
per non rinunciare all’immediata esigibilità dei crediti.
La disciplina del conto corrente ordinario è parzialmente applicabile alle operazioni bancaria in
conto corrente ed al conto corrente bancario o di corrispondenza.

CAPITOLO TREDICESIMO:I CONTRATTI BANCARI.

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Impresa bancaria ed operazioni bancarie.


Le imprese bancarie sono imprese commerciali la cui attività tipica anche se non esclusiva,consiste
nella raccolta del risparmio fra il pubblico e nell’esercizio del credito.Le operazioni di raccolta del
risparmio si definiscono operazioni passive in quanto rendono la banca debitrice nei confronti dei
propri clienti.Le operazioni di concessione di credito si definiscono invece come operazioni attive.
Si definiscono infine operazioni accessorie o servizi bancari le altre operazioni a carattere
finanziario o strumentale.
La banche svolgono oggi un ruolo centrale anche in nuovi settori dell’attività finanziaria
(leasing,factoring,carte di credito,credito al consumo,ecc.),che non rientrano nella tipica funzione
creditizia delle banche e che perciò possono essere esercitati anche da imprese finanziaria non
bancarie,cioè da imprese che non svolgono anche attività di raccolta del risparmio fra il pubblico.L
stesso vale anche per i servizi di investimento.
La banca moderna ha perciò assunto la struttura del gruppo bancario plurifunzionale .
L’attività complessiva delle banche ed in particolare la raccolta de risparmio fra il pubblico e
l’erogazione del credito presentano un particolare rilievo economico e sociale (art.47 comma 1
Cost.).E’ perciò da tempo sottoposta ad un’articolata e penetrante disciplina pubblicistica.
La relativa normativa è oggi racchiusa nel Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia
approvato con il d.lgs. n.385/1993 (tub).
E’ questa una disciplina che incide profondamente;
a) Sull’accesso all’attività bancaria,subordinato alla preventiva autorizzazione della Banca d’Italia;
b) Sulla struttura giuridica dell’impresa bancaria,che può assumere solo la forma di società per azioni
e di società cooperativa per azioni con capitale versato non inferiore a quello determinato dalla
Banca d’Italia con riferimento ai diversi tipi di società bancarie;
c) Sullo statuto delle società,delle imprese e del gruppo bancario,che presenta accentuati profili di
specialità rispetto a quello delle altre imprese commerciali;
d) Sull’organizzazione e sull’esercizio dell’attività bancaria,sottoposte a penetrante vigilanza da parte
della Banca d’Italia,in conformità delle direttive emanate dal Circ (comitato interministeriale per il
credito ed il risparmio),per assicurare la sana e prudente gestione delle banche e la stabilità
complessiva del sistema bancario.
E’ tuttavia venuta meno la netta distinzione fra enti che raccoglievano risparmio a breve termine ed
enti che raccoglievano esclusivamente risparmio a medio e lungo termine.
La de specializzazione temporale nell’esercizio del creditore consente oggi a tutte le banche di
operare congiuntamente nel breve e nel medio-lungo termine.

Le operazioni bancarie nel codice civile.


Le operazioni bancarie sono per la prima volta regolate dal codice civile del 1942 (artt.1834-
1860).Si tratta però di una disciplina per diversi parziale e lacunosa.
Il codice si limita infatti a regolare solo alcune delle tipiche operazioni (passive,attive ed accessorie)
poste in essere dalle banche operanti a breve termine (ex aziende di credito) all’epoca della
codificazione.
Il codice invece si asteneva e si astiene ancor oggi dal dettare una particolare disciplina per le
operazioni di raccolta del risparmio e di rogazione del credito a medio e lungo termine in quanto
poste in essere dalle banche attraverso strumenti di diritto comune.
La raccolta a medio e lungo termine avviene infatti di regola attraverso l’emissione di obbligazioni
o di titoli similari,la cui disciplina è ora delineata dal testo unico dalla normativa regolamentare
della Banca d’Italia.

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Attraverso strumenti di diritto comune (concessione di mutui) avviene anche l’erogazione del
credito a medio e lungo termine,che di norma assume la norma del credito speciale agevolato e può
concretizzarsi in mutui di scopo in quanto destinati alla realizzazione della specifica funzione
economica e sociale fissata dalle leggi speciali che ne regolano la concessione.Tali mutui sono poi
di solito assistiti da garanzia ipotecaria o pignoratizia,ovvero da privilegio speciale a favore della
banca concedente.
Il codice del 1942 sembra ignorare quello che oggi è il più importante e diffuso contratto bancario:il
conto corrente bancario o di corrispondenza.
La regolamentazione dei contratti bancari (nominati ed innominati) è restata perciò in larga parte
affidata alle cosiddette norme bancarie uniformi.Sono queste,condizioni generali di contratto
predisposte non dalle singole banche,bensì dalla loro associazione di categoria ,l’Abi (Associazione
Bancaria italiana).
Le nbu spesso non si limitano a colmare i vuoti della disciplina legislativa,ma la modificano o
sostituiscono in più punti con clausole spesso vistosamente vessatorie per i clienti e talvolta di
dubbia validità.Per effetto di una serie di interventi legislativi vi è stata però una maggiore tutela del
contraente debole,dato che hanno determinato la modifica o l’abrogazione di numerose clausole
delle norme bancarie uniformi.
Disciplina generale dei contratti bancari.
La legge n.154/1992 ha introdotto una disciplina generale dei contratti bancari e finanziari che
prevede una serie di obblighi di comportamento volti ad assicurare adeguata trasparenza alle
condizioni contrattuali praticate dalle banche e dagli altri intermediari finanziari.
Per consentire ai terzi contraneti valutazioni e scelte consapevoli ,le banche ( e gli altri intermediari
finanziari) sono tenute a rendere note ai clienti in modo chiaro le condizioni economiche (tassi di
interesse,prezzi,spese,valute applicate,ecc.) delle operazioni e dei servizi offerti.E’ fatto divieto di
rinvio agli usi.
Ampi poteri regolamentari in materia sono riconosciuti al Cicr che ha disposto l’assolvimento di
tale obbligo di pubblicità mediante un documento contenete i principali diritti del cliente esposto nei
locali della banca aperti al pubblico,e di fogli informativi tenuti a disposizione della clientela con
indicazioni sulle condizioni contrattuali delle singole operazioni o servizi.Il contenuto degli
obblighi e dei documenti di trasparenza è puntualizzato delle disposizioni di attuazione della Banca
d’Italia.
I contratti bancari devono essere redatti per iscritto.Inoltre,un esemplare del contratto deve essere
consegnato al cliente in modo da assicurargli la conoscenza e la prova delle condizioni che regolano
il rapporto.Al contratto è unito un documento di sintesi riepilogativo delle principali condizioni.
L’inosservanza della forma scritta comporta la nullità del contratto;tale nullità opera soltanto a
vantaggio del cliente,sebbene rilevabile d’ufficio dal giudice.
E’ fissato per legge anche il contenuto minimo obbligatorio dei contratti.
Al riguardo si prescrive che devono essere indicati il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e
condizione praticati,inclusi per i contratti di credito gli eventuali maggiori oneri in caso di mora.
Inoltre è fatto divieto di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro
prezzo e condizione praticati.Le relative clausole contrattuali sono nulle e si considerano non
apposte. Nulle sono anche le clausole che prevedono per i clienti condizioni economiche più
sfavorevoli di quelle pubblicizzate.
Nei contratti bancari di durata può essere convenuta la facoltà per la banca di modificare
unilateralmente le condizioni contrattuali (cosiddetto ius variandi).L’evoluzione legislativa ha
condotto tuttavia a circoscrivere il potere della banca sia sotto il profilo sostanziale che formale.

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Sotto il profilo sostanziale,la modifica deve in generale essere sorretta da un giustificato motivo.
Una regola più restrittiva è però prevista per le clausole che prevedono la possibilità di modificare
unilateralmente i tassi di interessi praticati in un contratto a tempo determinato:queste pattuizioni
devono predeterminare specifici eventi e condizioni per l’esercizio dello ius variandi e inoltre sono
del tutto vietate quando la controparte è un consumatore o una micro-impresa (art.118 comma 2-bis,
introdotto dal d.l. n.70/2011,convertito con legge 106/2011).Micro-impresa è una definizione di
origine comunitaria indicante un’impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato
annuo oppure un totale di bilancio non superiore a 2 milioni di euro.In ogni caso poi le variazioni
dei tassi di interessi adottate dalla banca in previsione o in conseguenza di decisioni di politica
monetaria (ad esempio,la modifica del tasso ufficiale di riferimento della Banca centrale europea)
devono riguardare contestualmente sia i tassi di interesse debitori che quelli creditori e devono
essere applicate con modalità tali da non recare pregiudizio al cliente.
Sotto il profilo formale,la clausola che accorda alla banca lo ius variandi deve essere approvata dal
cliente specificamente,come clausola vessatoria. La banca deve comunicare le variazioni con un
preavviso di due mesi e con le modalità stabilite dalla legge;il cliente ha diritto di recedere dal
contratto senza spese entro la data prevista per l’applicazione della modifica e di ottenere in sede di
liquidazione del rapporto l’applicazione delle condizioni precedentemente praticate;altrimenti la
variazione si intende tacitamente approvata. Le variazioni contrattuali non comunicate sono
inefficaci,se sfavorevoli al cliente.
Nei contratti a tempo indeterminato il cliente ha la facoltà di recedere in ogni momento;per
l’esercizio di questo diritto non possono essere previste penalità o spese di chiusura.
Infine è fatto obbligo alla banca di fornire per iscritto,almeno una volta all’anno,una comunicazione
completa e chiara in merito allo svolgimento del rapporto,mediante la consegna del rendiconto e del
documento di sintesi sulle principali condizioni.Il cliente ha diritto di ottenere,a proprie spese,copia
della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni.
La Banca d’Italia vigila sul rispetto della disciplina in tema di trasparenza e può anche prescrivere,a
pena di nullità,che determinati contratti o titoli avviano un contenuto tipico predeterminato. Eroga
inoltre sanzioni per le irregolarità riscontrate con provvedimenti che possono arrivare fino
all’inibizione dell’attività della banca inadempiente,anche limitatamente a singole aree o sedi
secondarie.
Un ulteriore contributo al miglioramento del grado di tutela dei clienti delle banche è stato poi
determinato dall’applicazione al settore bancario della disciplina antimonopolistica nazionale;
l’autorità preposta all’applicazione della relativa normativa nel settore bancario è l’Autorità garante
per la concorrenza ed il mercato.
La Banca d’Italia ha stabilito che le norme bancarie uniformi costituiscono intese restrittive della
concorrenza ed ha imposto all’Abi di specificare che le stesse non hanno carattere vincolante per le
banche associate,nonché la soppressione o la modifica di diverse clausole in quanto fissavano
condizioni economiche in contrasto con le regole di concorrenza. L’Abi ha concordato con alcune
associazioni di consumatori la revisione delle n.b.u.,temperandone in più punti l’unilateralità a
favore delle banche.
Per agevolare la comprensione delle liti di valore non elevato (fino ad euro 100.000) riguardanti la
prestazione di servizi bancari e finanziari,poi attivo dal 2009 un sistema stragiudiziale di risoluzione
delle controversie,al quale le banche e gli intermediari finaziari sono tenuti ad aderire:l’Arbitro
bancario finanziario (ABF).L’ABF è un organismo indipendente e imparziale a cui i clienti possono
rivolgersi dopo aver invano fatto reclamo presso la banca stessa.Le sue decisioni non sono
vincolanti per le parti e non precludono il ricorso all’autorità giudiziaria.Però,le banche (finora

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molto poche) che non adempiono spontaneamente alle decisioni della pubblicazione sul sito
internet dell’Arbitro e sulla stampa di tale inadempimento.
L’ABF è attualmente articolato in tre collegi territoriali (Roma,Milano e Napoli) composti ciascuno
da 5 membri che restano in carica tre anni (5 anni per il presidente).I componenti sono nominati
dalla Banca ‘Itali (presidente e due componenti),dalle associazioni degli intermediari e da quelle
rappresentative dei clienti. La Banca d’Italia ha emanato le disposizioni di attuazione in conformità
alle direttive del Cicr e svolge la funzione di segreteria tecnica dell’organismo.

I depositi bancari.
Il deposito di danaro è la principale operazione passiva delle banche.Esso costituisce un tipo
particolare di deposito irregolare (art.1782),che si caratterizza per il necessario intervento di una
banca in veste di depositario.
Con questo contratto la banca acquista infatti la proprietà della somma ricevuta in deposito e si
obbliga a restituirla nella stessa specie monetaria alla scadenza del termine convenuto (deposito
vincolato) oppure a richiesta del depositante (deposito libero),con o senza preavviso.
Benchè il codice nulla stabilisca al riguardo,è certo che la banca deve corrispondere gli interessi
sulle somme depositate. Tanto si desume dalla disciplina del mutuo,cui quella del comune deposito
irregolare fa rinvio.
Il tasso di interesse,di regola più elevato per i depositi vincolati,e le altre condizioni economiche
devono risultare dal contratto che attesta la costituzione del deposito o,in caso di libretto al
portatore,dal libretto stesso.Il tasso di interesse inoltre non può essere inferiore a quello
predeterminato in via generale e pubblicizzato dalla banca per quella determinata categoria di
depositi.Se non osserva tali prescrizioni,la banca dovrà corrispondere il tasso prestabilito
dall’art.117 comma 7 tub.
Gli interessi sono capitalizzati con la periodicità pattuita ed indicata in contratto (di regola
annualmente) e sono altresì liquidati in occasione dell’estinzione del deposito.
Nei depositi liberi la banca si riserva la facoltà di modificare il tasso di interesse,con un preavviso
minimo di due mesi.In caso di ribasso del tasso di interesse,il cliente può perciò recedere dal
contratto,entro la data prevista per l’applicazione della modifica,ed ha diritto a che gli sia applicato
in sede di liquidazione il tasso precedente,a lui più favorevole.
Oltre che in conto corrente,i depositi bancari possono essere semplici (o ordinari) e a risparmio.
I depositi semplici non possono essere alimentati da successivi versamenti e non prevedono la
possibilità di prelevamenti parziali prima della scadenza.Fra i depositi di questo tipo,a scadenza
fissa,rientrano quelli rappresentati da buoni fruttiferi e da certificati di deposito.
I depositi a risparmio danno invece al depositante la facoltà di effettuare successivi versamenti e
prelevamenti parziali.Versamenti e prelevamenti possono però di regola essere effettuati solo in
contanti e,salvo patto contrario,solo presso la sede della banca ove è stato costituito il rapporto.
I depositi a risparmio sono comprovati da un apposito documento:il libretto di deposito a risparmio,
nel quale devono essere annotate tutte le operazioni.
Il libretto di deposito ha per legge un particolare e penetrante valore probatorio. Infatti,le
annotazioni sul libretto,firmate dall’impiegato della banca che appare al servizio,fanno piena prova
nei rapporti fra banca e depositante.E’ da escludersi inoltre che la banca o il cliente possano provare
liberamente che un versamento o un prelevamento non risultante dal libretto siano stati
effettivamente eseguiti. E’ nullo ogni patto contrario.
I libretti di deposito a risparmio possono essere nominativi,nominativi pagabili al portatore e al
portatore.

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Nei libretti nominativi i prelevamenti possono essere effettuati solo dall’intestatario del libretto o da
un suo rappresentante debitamente legittimato.
Nei libretti nominativi pagabili al portatore,i prelevamenti possono essere effettuati anche da
soggetto diverso dall’intestatario,con effetto liberatorio per la banca che non versi in dolo o colpa
grave.
Nei libretti al portatore,il possesso del libretto abilita di per sé alla riscossione delle somme
depositate. La banca è infatti liberata se paga senza dolo o colpa grave all’esibitore,anche se questi
non è il depositante.Nè è tenuta ad identificare il presentatore del libretto.I libretti di deposito al
portatore non possono avere saldo pari o superiore ad euro 1.000 al fine di contrastare il riciclaggio
di denaro proveniente da reati e l’evasione fiscale (art.49 comma 12 del d.lgs. n.231/2007 e art.12
del d.l. n.201/2011 convertito con legge 214/2011).
Per tutti i tipi di libretto è prevista una particolare procedura di ammortamento,diretta a darne
dichiarare l’inefficacia in caso di smarrimento,distruzione o sottrazione.
E’ pacifico che i libretti nominativi e quelli nominativi pagabili al portatore non sono titoli di
credito. Essi non sono destinati alla circolazione e la loro funzione è solo quella di identificare
l’avente diritto alla prestazione.
E’ invece questione ancora aperta se siano titoli di credito i libretti al portatore e quindi se il terzo
possessore del libretto vanti un diritto letterale ed autonomi nei confronti della banca.
Certo è comunque che il libretto al portatore consente il trasferimento del credito verso la banca
senza l’osservanza quanto meno delle forme della cessione e che gli accordi contrattuali richiedono
normalmente l’osservanza delle disposizioni proprie dei titoli di credito per l’efficacia dei vincoli
sul credito.

L’apertura di credito.
L’apertura di credito è il contratto con il quale la banca si obbliga a tenere a disposizione dell’altra
parte una somma di danaro,per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato (art.1842).
L’apertura di credito,tipica operazione bancaria attiva,non è un mutuo (contratto reale) perché si
perfeziona indipendentemente dalla consegna del danaro.
Non può essere inoltre identificata con la promessa di mutuo o con il mutuo consensuale. Non con
la prima in quanto la banca obbligata già con la stipula del contratto di apertura di credito e non è
necessaria un’ulteriore manifestazione di volontà della stessa.Non con il secondo dato che
all’obbligo della banca di tenere a diposizione corrisponde un diritto potestativo del cliente.Questi è
infatti libero di utilizzare o meno,in tutto o in parte,il credito concessogli,se e quando lo riterrà
opportuno. In ciò consiste il vantaggio pratico dell’apertura di credito rispetto al mutuo.Infatti,gli
interessi sono dovuti dal cliente non sul fido concessogli,ma sulle somme effettivamente utilizzate.
Oltre gli interessi,è in genere dovuta alla banca anche una commissione onnicomprensiva
(cosiddetta commissione di affidamento),calcolata in proporzione all’intera somma messa a
disposizione del cliente (indipendentemente dall’effettivo utilizzo) e alla durata dell’affidamento.
La commissione non può superare lo 0,5% per trimestre dell’importo concesso.
Il cliente può utilizzare la somma messagli a disposizione dalla banca in una o più volte;può inoltre
ripristinare la disponibilità con successivi versamenti. In altri termini,può alternare versamenti e
prelevamenti nei limiti della linea di credito concessagli.
Oltre che con prelevamenti in contanti,il cliente può utilizzare il credito concessogli anche per
emettere assegni bancari o per impartire alla banca ordini di pagamento a terzi,dato che in base alle
relative norme bancarie uniformi i modi di utilizzo dell’apertura di credito sono quelli propri del
conto corrente bancario.
L’apertura di credito può essere assistita da garanzia,reali o personali,a favore della banca.

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Le garanzie che assistono l’apertura di credito si intendono date per tutta la durata della stessa e
quindi non si estinguono fino alla fine del rapporto per il solo fatto che l’accreditato cessa di essere
debitore della banca.
Inoltre,se le garanzie diventano insufficienti rispetto al credito concesso (non a quello utilizzato),la
banca può chiedere un supplemento di garanzia o la sostituzione del garante.In mancanza,la banca
può a sua scelta ridurre proporzionalmente il credito concesso o recedere dal contratto.
Il recesso della banca p disciplinato dal codice (art.1845),che al riguardo distingue fra apertura di
credito a tempo indeterminato e determinato.
Nell’apertura di credito a tempo determinato,salvo patto contrario,la banca può recedere
anticipatamente dal contratto solo se sussiste una giusta caua.Il recesso sospende immediatamente
l’ulteriore utilizzo del credito,ma la banca deve concedere un termine di almeno 15 giorni per la
restituzione delle somme utilizzate.
Nell’apertura di credito a tempo indeterminato,la banca può invece recedere liberamente dal
contratto. Deve però dare un preavviso,fissato per legge in 15 giorni,ove non risulti diversamente
dal contratto o dagli usi. Durante questo periodo il cliente può continuare ad utilizzare il credito
concessogli ed alla scadenza dovrà immediatamente restituire le somme utilizzate.
Questo è il diritto scritto nelle pagine del codice. Altro è il diritto vivente fissato dalle norme
bancaria uniformi,solo in minima parte modificato dai recenti interventi legislativi.
Nelle n.b.u. scompare ogni distinzione fra apertura di credito a tempo indeterminato e a tempo
determinato. In entrambi i casi la banca può recedere liberamente,anche con comunicazione
verbale. In entrambi i casi il recesso sospende immediatamente l’utilizzo del credito.In entrambi i
casi il termine per restituire le somme utilizzare è drasticamente ridotto ad un giorno.A partire dal
1995 la clausola è stata modificata nel senso che il termine di preavviso deve essere concordato fra
banca e cliente,sebbene di regola sia allungato a due giorni.
Con la tutela introdotta nel 1996 dalla disciplina sulle clausole vessatorie nei contratti con i
consumatori,nulla è cambiato per l’apertura dei credito a tempo indeterminato,salvo che il preavviso
deve essere dato per lettera raccomandata.Solo se l’apertura di credito è a tempo determinato le
n.b.u. prevedono,con un parziale ritorno alla disciplina del codice,che la banca può recedere solo se
sussiste una giusta causa.
In caso di insolvenza del cliente la banca può certamente invocare la decadenza del beneficio del
termine per ottenere l’immediata restituzione.
Giurisprudenza prevalente e dottrina riconoscono però al cliente il diritto al risarcimento dei danni
qualora la banca,violando il principio di correttezza e buona fede,receda improvvisamente e senza
giustificato motivo dall’apertura di credito,chiedendo per di più l’immediato rientro.

L’anticipazione bancaria.
L’anticipazione bancaria (art.1846) è una tipica operazione di finanziamento garantita da pegno.
Essa si caratterizza per il fatto che:
a) La garanzia reale offerta alla banca è costituita esclusivamente dal titolo merci il cui valore è
facilmente accertabile (esempio: azioni,obbligazioni,titoli rappresentativi di merce);
b) L’ammontare del credito concesso alla banca è proporzionale al valore dei titoli o delle merci dati in
pegno e si determina deducendo una percentuale,di regola non inferiore al 10% (lo scarto),dal
valore di stima degli stessi fissato di comune accordo.
In deroga al principio dell’indivisibilità del pegno (art.2799) il beneficiario dell’anticipazione,anche
prima della scadenza,può ritirare parte dei titoli o delle merci dati in pegno in proporzione delle
somme rimborsate alla banca,purché il credito residuo risulti sufficientemente garantito.

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La banca a sua volta ha diritto di ottenere un supplemento di garanzia se il valore delle cose date in
pegno diminuisce di un decimo rispetto a quello iniziale. In mancanza,la banca può procedere alla
vendita delle merci o dei titoli ed ha diritto all’immediato rimborso del credito residuo non
soddisfatto col ricavato della vendita.
Proprio questo particolare regime della garanzia pignoratizia (proporzionalità,divisibilità,
supplemento) caratterizza l’anticipazione bancaria rispetto al semplice mutuo o all’apertura di
credito garantiti da pegno di titoli o merci e ne fa uno strumento particolarmente idoneo per il
finanziamento di operazioni su titoli o merci.
L’anticipazione bancaria è di solito regolata in conto corrente,anzi al pari dell’apertura di credito,
uno dei mezzi per creare una disponibilità nell’ambito del conto corrente bancario.
L’anticipazione bancaria può essere propria o impropria.
L’anticipazione è propria quando le merci o i titoli sono costituiti in pegno regolare.La banca non
può perciò disporre delle cose ricevute in pegno ed alla scadenza dovrà restituire gli stessi titoli o la
stessa merce .
Deve inoltre provvedere alla custodia a spese del cliente e all’assicurazione delle merci per conto e
a spese dello stesso.
L’anticipazione è impropria quando i titoli (o anche depositi di danaro) sono costituiti in pegno
irregolare;è conferita alla banca la facoltà di disporne.
Nell’anticipazione impropria la proprietà dei titoli dati in pegno passa alla banca che alla scadenza
dovrà restituire solo titoli dello stesso genere,per la parte eccedente l’ammontare della somma
ancora dovuta dal cliente. Questa forma di anticipazione bancaria ha però avuto scarsa diffusione ed
oggi non è più prevista dalle norme bancarie uniformi.

Lo sconto.
Lo sconto è il contratto con il quale la banca (scontante) anticipa al cliente (scontatario) l’importo di
un credito verso terzi non ancora scaduto,decurtato dell’interesse.Il cliente a sua volta cede alla
banca, salvo buon fine,il credito stesso (art.1858).
La forma più diffusa di sconto è lo sconto di cambiali,che in tal caso vengono girate alla banca
scontante.
Lo sconto costituisce per gli imprenditori commerciali un utile strumento per monetizzare prima
della scadenza il credito concesso alla clientela.La banca a sua volta lucra la differenza (detta
sconto) fra il valore nominale del credito cedutole e la somma anticipata al cliente.
La banca,divenuta titolare del credito cedutole,di regola attende la scadenza per riscuoterne il valore
nominale dal terzo debitore.Se nel frattempo ha esigenze di liquidità,può però utilizzare a sua volta
il credito per scontarlo presso altra banca (cosiddetto risconto),recuperando così in anticipo quanto
corrisposto al cliente,al netto del tasso di risconto.
La banca è tutelata contro il rischio di inadempimento del debitore ceduto.Se si tratta di sconto di
cambiali,la banca per recuperare il credito potrà esercitare alternativamente:
a) Le azioni cambiarie,compresa l’azione di regresso nei confronti dello scontatario che le ha girato la
cambiale;
b) L’azione causale derivante dal rapporto di sconto nei confronti dello stesso scontatario.
Lo sconto è un autonomo e tipico contratto di credito,caratterizzato da una propria funzione che è di
liquidità per il cliente scontatario,ma anche per la banca,attraverso il possibile risconto.
L’esplicito richiamo della legge alla cessione dei crediti consente di applicare,per analogia,la
relativa normativa per integrare la scarna disciplina specifica dello sconto.
L’utilizzazione dello sconto tende a ridursi per l’emergere di altre tecniche che consentono un
migliore soddisfacimento delle operazioni su ricevute bancarie ed il factoring.

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Diffuso nel commercio internazionale è anche lo sconto a forfait (o forfaiting) di crediti cambiari,di
regola a medio e lungo termine,vantati da imprese esportatrici di beni e servizi. Il forfaiting si
differenzia dallo sconto per l’assenza della clausola salvo buon fine (la cessione avviene cioè pro
soluto e non pro solvendo) e per il fatto che le cambiali sono girate alla banca con la clausola senza
garanzia,sicché nessuna azione (cambiaria o extracambiaria) è esercitabile contro lo scontatario in
caso di mancato pagamento.

Operazioni bancarie in conto corrente e conto corrente bancario.


L’art.1852 cod.civ. prevede che il deposito bancario,l’apertura di credito e le altre operazioni
bancaria possono essere regolate in conto corrente e stabilisce che in tal caso il correntista può
disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito,salvo l’osservanza del termine di
preavviso eventualmente previsto.
Il regolamento in conto corrente comporta due effetti essenziali:
a) Il deposito o l’apertura di credito sono regolati nella forma tecnica,ma non con gli effetti,del conto
corrente ordinario.La banca apre cioè un conto intestato al cliente nel quale vengono annotati tutti i
versamenti (accreditamenti) ed i prelevamenti (addebitamenti).La somma algebrica degli
accreditamenti e degli addebitamenti determina l’ammontare del credito di cui il cliente può
disporre in ogni momento.
b) Il cliente può disporre delle somme non solo mediante prelevamenti in contanti,ma anche mediante
l’emissione di assegni bancari. Può inoltre alimentare il credito disponibile anche mediante il
versamento di assegni da riscuotere,se la banca li accetta.
Sul deposito o sull’apertura di credito si innesta infatti un attività gestoria della banca per conto del
cliente (cosiddetto servizio di cassa),riducibile allo schema del mandato senza rappresentanza. Tale
attività gestoria è assente quanto il deposito o l’apertura di credito non sono regolati in conto
corrente.
Funzione e caratteri essenziali del deposito o dell’apertura di credito in conto corrente si ritrovano
in un altro contratto bancario non menzionato dal codice,ma sviluppatosi nella prassi bancaria e
specificamente regolato dalle norme bancarie uniformi:il conto corrente bancario o di
corrispondenza. Questo presenta tuttavia due significative differenze rispetto alle singole operazioni
regolate in conto corrente.
Il rapporto iniziale costitutivo della disponibilità può essere costituito indifferentemente da un
deposito bancario,da un’apertura di credito o da entrambi.Inoltre è alimentato da ogni altro credito o
sovvenzione comunque e sotto qualsiasi forma concessi dall’azienda di credito al correntista.
Il servizio di cassa che la banca si obbliga a svolgere per conto del cliente assume d’altro canto un
contenuto più ampio ed articolato.
La banca è infatti tenuta ad eseguire nei limiti della disponibilità di conto non solo gli ordini di
pagamento a terzi ad essa impartiti mediante l’emissione di assegni bancari,ma anche ogni altro
ordine di pagamento (rimesse,bonifici,giroconti).I relativi importi sono addebitati in conto e
riducono il credito disponibile.
La banca è inoltre tenuta a ricevere per conto del correntista tutti i versamenti disposti da terzi a
favore dello stesso e ad eseguire gli specifici incarichi di riscossione di crediti verso terzi (incasso di
assegni bancari,circolari,ecc.) che le siano di volta in volta conferiti.I relativi importi sono messi a
disposizione del correntista mediante accredito in conto ed alimentano il credito disponibile.
Le possibilità operative sono così notevolmente ampliate.Ad esempio è possibile trasferire dei fondi
da un correntista (ordinante) ad altro correntista (beneficiario) senza movimento fisico di
danaro,mediante giroconto bancario.

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Nel tempo poi l’utilità del contratto è stata potenziata da specifici servizi offerti dalla banca solo a
chi è titolare di un conto corrente di corrispondenza. Ad esempio,con apposita convenzione
collegata al conto corrente il cliente può fruire del servizio cassa continua versamenti e del servizio
Bancomat.
In definitiva, il conto corrente bancario costituisce un’evoluzione delle operazioni bancarie in conto
corrente,operata dalla prassi attraverso l’arricchimento della componente gestoria già presente nelle
prime e che meglio risponde alle complesse esigenze della clientela commerciale.La banca può così
disporre di un contratto omnibus in cui ricomprendere tuttel e ragioni di dare e di avere verso il
cliente. Il conto corrente bancario costituisce da tempo il solo tipo di rapporto in conto corrente che
le banche intrattengono con la clientela.Tale rapporto ricomprende e riassorbe in sé tutte le possibili
operazioni in conto corrente cui fa riferimento l’art.1852.
Identici restano comunque sotto il profilo giuridico gli elementi costitutivi:
a) Un rapporto iniziale di credito costitutivo della disponibilità (deposito e/o apertura di credito);
b) Una componente gestoria,avente ad oggetto lo svolgimento del servizio di cassa,inquadrabile nel
mandato generale con oggetto specifico (pagamenti e riscossioni);
c) La regolamentazione nella forma tecnica del conto corrente.
Al conto corrente bancario è direttamente applicabile:la disciplina legale delle operazioni bancarie
in conto corrente (artt.1852-1857);quella dei singoli rapporti bancari tipici costituitivi della
disponibilità (deposito,apertura di credito,anticipazione,sconto);quella del mandato,del resto
esplicitamente richiamato dall’art.1856.

La disciplina del conto corrente bancario.


L’apertura del conto,il cui contratto deve essere redatto per iscritto a pena di nullità,è accompagnata
dal rilascio del carnet di assegni,che il cliente deve custodire con diligenza rendendosi responsabile
dello smarrimento dello stesso.
Il titolare del conto deve depositare la propria firma per consentire alla banca di controllare
l’autenticità della firma di traenza degli assegni bancari e degli altri ordini alla stessa indirizzati.
Deve essere depositata anche la firma delle persone autorizzate a rappresentarlo.
Nello svolgimento di servizio di cassa la banca deve osservare la diligenza del mandatario e
conformarsi agli obblighi di quest’ultimo.
La banca risponde secondo le regole proprie del mandato per esecuzione degli incarichi ricevuti dal
correntista,applicabili sia agli ordini di pagamento e di riscossione rientranti nel servizio di
cassa,che la banca è tenuta ad eseguire sia agli specifici incarichi che la banca ha accettato.
E’ inoltre previsto che,se l’incarico deve eseguirsi su una piazza dove non esistono filiali della
banca,questa può incaricare dell’esecuzione altra banca o un corrispondente. Versandosi in tema di
sostituzione autorizzata o necessaria,la banca non risponde dell’operato del sostituto,salvo quando
sia in colpa della scelta dello stesso o abbia impartito,per propria negligenza,istruzioni erronee.
Tutti i movimenti derivanti dalle operazioni fra banca e cliente sono regolati mediante scritturazioni
contabili,che di regola modificano il saldo disponibile indipendentemente dalla loro comunicazione
al correntista. Gli addebiti riducono il credito disponibile,mentre gli accrediti determinano un
corrispondente di incremento del credito disponibile.
Le somme versate in contanti o accreditate sul conto sono immediatamente disponibili per il cliente
dal momento della ricezione del relativo importo da parte della banca (al più tardi nella successiva
giornata operativa,per i versamenti effettuati da clienti non consumatori) e fino al momento del
successivo prelievo (artt.22 e 23 d.lgs.11/2010).
La regola dell’immediata disponibilità degli accreditamenti subisce tuttavia eccezione per quelli
derivanti da operazioni che comportano una successiva attività di incasso da parte della banca

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(versamenti di assegni bancari o circolari;titoli cambiari rimessi all’incasso,ecc.).Infatti,il relativo


importo è accreditato con riserva di verifica e salvo buon fine ed il correntista non ne può disporre
prima di un certo numero di giorni fissato dal contratto,normalmente sufficiente perché la banca ne
abbia conseguito l’incasso.Per gli assegni circolari e bancari la data di disponibilità non può
comunque superare i 4 giorni lavorativi successivi al versamento,purché siano stati emessi da o
tratti su una banca insediata in Italia.
Si distingue perciò fra saldo contabile determinato dalle annotazioni in conto delle diverse
operazioni;saldo disponibile che indica l’ammontare giornaliero del credito di cui il cliente può
disporre e saldo per valute,che rileva solo per il conteggio degli interessi.
Infatti,al solo fine della decorrenza degli interessi,ai singoli addebitamenti ed accreditamenti è
attribuita una data convenzionale ( e di valuta) diversa da quella dell’operazione. In passato la
valuta era di regola anticipata di uno o più giorni per gli addebitamenti e posticipata di uno o più
giorni per gli accreditamenti,cosicché la banca lucrava la differenza di valuta.
Le valute praticate devono formare oggetto di adeguata pubblicità.Con il tub e la disciplina generale
dei servizi di pagamento (d.lgs. n.11/2010) si è stabilito che per gli addebiti sul conto la data di
valuta non può più precedere la giornata dell’operazione.Per gli accrediti non può essere successiva
alla giornata in cui la banca riceve l’importo;così pure per i versamenti in contanti,ma si può
convenire di postdatare la valuta di un giorno quando il cliente non è un consumatore (art.22 e 23
d.lgs. n.11/2010).Limiti articolati valgono poi per la valuta relativa al versamento di assegni,tenuto
conto dei tempi normalmente necessari alla banca per procedere all’incasso:si distingue perciò a
seconda che si tratti di assegni bancari tratti sulla stessa banca ovvero assegni circolari emessi dalla
mesedima (stesso giorno del versamento),di assegni circolari emessi da altra banca insediata in
Italia (un giorno lavorativo) o infine di assegni bancari tratti su altra banca insediata in Italia (tre
giorni lavorativi).
Sia il tasso degli interessi a favore del cliente sia quello degli interessi a favore della banca,
ovviamente più elevato,devono essere indicati nel contratto (art.117 comma4).La modifica
unilaterale di tali condizioni da parte della banca è soggetta alle regole già viste fissata dall’art.118
tub. (Jus variandi).
L’espressa dichiarazione di nullità delle clausole contrattuali che rinviano agli usi per la
determinazione del tasso di interessi (art.117 comma 6) ha portato alla soppressione della
clausola,prima presente nelle n.b.u.,che consentiva alla banca di modificare automaticamente il
tasso degli interessi attivi in base alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla
piazza (cosiddetti interessi uso piazza) e che aveva sollevato non pochi dubbi di validità.
Le n.b.u. prevedevano inoltre anche il fenomeno dell’anatocismo a favore esclusivo delle banche.
Infatti,mentre gli interessi sui conti con saldo attivo per il cliente venivano accreditati e capitalizzati
annualmente,i conti che risultavano anche saltuariamente debitori venivano invece chiusi di regola
trimestralmente e sempre trimestralmente la banca addebitata gli interessi attivi dovuti dal
correntista,che a loro volta producevano interessi nella stessa misura.
Questa vistosa disparità di trattamento è però di recente venuta meno. Inizialmente la
giurisprudenza aveva infatti sancito la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli
interessi per violazione dell’art.1283 dopodiché è intervenuto il legislatore,che ha attribuito al Cicr
il potere di stabilire modalità e criteri per la produzione degli interessi sugli interessi nelle
operazioni bancarie,prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata la
stessa periodicità nel conteggio degli interessi debitori e creditori.
Nel conto corrente l’accredito e l’addebito degli interessi avviene sulla base dei tassi e con la
periodicità indicate nel contratto. Il saldo periodico produce interessi secondo le medesime
modalità.

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Per effetto di questa disciplina,oggi la capitalizzazione degli interessi attivi e passivi avviene di
regola trimestralmente e con la stessa cadenza la banca addebita al cliente le spese di tenuta del
conto.
Il conto corrente bancario è di regola contratto a tempo indeterminato.Il cliente ha diritto di essere
informato con periodicità almeno annuale sullo svolgimento del rapporto,mediante invio da parte
della banca di un estratto conto.Il cliente può tuttavia scegliere che l’estratto conto gli venga inviato
con periodicità semestrale,trimestrale o mensile.
Valgono per l’approvazione dell’estratto conto (periodici o di chiusura) le regole dettate per il conto
corrente ordinario.Il termine entro cui il cliente può proporre opposizione scritta è però oggi fissato
per legge in 60 giorni dal ricevimento dell’estratto conto,decorso il quale lo stesso deve intendersi
approvato.
Il conto corrente può essere intestato a più persone,con facoltà di operare congiuntamente o
disgiuntamente.
Nel conto a firma disgiunta,che è il più diffuso,gli intestatari sono considerati,nei confronti della
banca, creditori in solido del salvo attivo e debitori in solido del saldo passivo.La banca può perciò
liberarsi pagando il saldo ad uno qualsiasi dei cointestatari. Questi restano obbligati in solido verso
la banca per eventuali scoperti,anche se imputabili ad uno solo dei cointestatari.In caso di morte o
sopravvenuta incapacità di uno dei cointestati,gli eredi di questo (congiuntamente) e ciascuno degli
altri cointestatari conservano il diritto di disporre separatamente sul conto.La banca deve tuttavia
richiedere il consenso di tutti qualora le sia stata notifica opposizione da uno dei cointestatari. Nei
rapporti interni fra i cointestatari invece si ritiene che trovi applicazione la presunzione relativa di
divisione posta in tema di solidarietà dall’art.1298 comma 2.
Nel conto ad intestazione congiunta,gli atti di disposizione devono provenire da tutti i cointestatari.I
versamenti possono essere invece fatti anche separatamente in quanto accrescono il credito
disponibile.
Un soggetto può avere con la stessa banca più rapporti o più conti. Questi restano fra loro distinti ed
autonomi,sicché la banca dovrà operare solo sul conto di volta in volta indicato dal cliente.
Tuttavia,se un rapporto o conto presenta un saldo attivo per il cliente ed altro un salvo passivo,i
relativi saldi si compensano reciprocamente.
Quando il conto corrente bancario è a tempo indeterminato,ciascuna delle parti può recedere dando
un preavviso,che in passato le n.b.u. fissavano in un giorno e che ora viene determinato dalle
condizioni generali della banca,di regola in termini non troppo dissimili.Il recesso della banca rende
immediatamente esigibile il saldo passivo anche se il conto corrente era assistito da un’apertura di
credito.
Il conto corrente bancario si scioglie anche per fallimento del correntista ed in tal caso non solo il
conto è normalmente in rosso,ma sovente accade che lo stesso presentava un saldo passivo già
prima della dichiarazione di fallimento.Da qui nasce un problema estremamente delicato,cioè se la
revocatoria fallimentare va a riguardare anche le rimesse effettuate sul conto corrente bancario.

La revocatoria fallimentare delle rimesse.


L’art.67 comma 2 della legge fallimentare sottopone a revocatoria fallimentare i pagamenti di debiti
liquidi ed esigibili eseguiti dal fallito nei 6 mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento:il creditore
che ha ricevuto il pagamento dovrà restituire quanto riscosso al fallimento ed insinuarsi nella massa
passiva per essere soddisfatto in moneta fallimentare.Ci si domanda tuttavia se questa regola è
applicabile anche alle rimesse effettuate sul conto corrente bancario passivo nei 6 mesi anteriori
alla dichiarazione di fallimento.
Il problema aveva trovato una soluzione articolata.

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Se il conto corrente passivo era assistito da una regolare apertura di credito non revocata,l’art.67
delle fallimentare non era considerato applicabile.In tal caso le rimesse effettuate sul conto scopero
erano semplici atti di ripristino della disponibilità e non atti solutori di un credito liquido ed
esigibile della banca.
Se invece l’apertura di credito era stata revocata o gli sconfinamenti erano dovuti a semplice
tolleranza della banca,allora le rimesse sul conto scoperto non erano più considerate atti di ripristino
della disponibilità.Il relativo credito della banca era infatti liquido ed esigibile;le rimesse effettuate
nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento erano perciò considerate veri e propri atti
solutori del cliente e come tali si facevano cadere sotto la scure della revocatoria fallimentare.La
banca doveva perciò restituire al fallimento gli importi corrispondenti,dedotto tuttavia quanto
legittimamente addebitato al cliente nello stesso periodo per atti di disposizione della provvista
dallo stesso posti in essere.
Le conseguenze del compromesso per le banche erano notevolmente onerose.
Pertanto,in tempi recenti il legislatore è intervenuto per ben 2 volte a disciplinare la materia,anche
per il timore che l’eccessivo ricorso alle revocatorie potesse indurre le banche a far mancare il
necessario sostegno finanziario alle imprese in difficoltà.
Nel 2005 è stata così introdotta una parziale esenzione delle rimesse bancarie dall’azione
revocatoria. E’ stato stabilito che le rimesse effettuate su un conto corrente bancario non sono
soggette a revocatoria fallimentare,a condizione però che non abbiano ridotto in maniera consistente
e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca.Dunque solo le rimesse che
hanno avuto effetti consistenti e durevoli possono essere oggetto di revocatoria.
Tuttavia sorgevano vari problemi intorno al quando gli effetti della rimessa possono essere
considerati consistenti e durevoli sul saldo negativo del conto corrente.
Il legislatore è intervenuto nuovamente nel 2007 ed ha stabilito che alla revoca di atti estintivi di
posizioni passive derivanti da rapporti di conto corrente bancario si applica l’art.70 comma 3della
legge fallimentare (d.lgs. n.169/2007).
Questa norma limita l’importo da restituire al fallimento qualora la revoca abbia ad oggetto
pagamenti e rimesse effettuati nell’ambito di rapporti continuativi o reiterati fra il fallito ed il terzo.
In tal caso l’importo che il terzo deve restituire non è dato dalla somma di tutti i pagamenti
revocati,bensì dalla differenza fra l’ammontare massimo delle sue pretese,nel periodo per il quale è
provata la conoscenza dello stato d’insolvenza,e l’ammontare residuo delle stesse alla data in cui è
aperto il concorso (cosiddetta regola del massimo scoperto).Per ciò la banca è tenuta a restituire al
fallimento solo una somma pari alla differenza fra il massimo saldo negativo raggiunto dal conto
corrente nel periodo rilevante ai fini della revocatoria e quello registrato alla data di apertura del
fallimento. Ad esempio,se durante il periodo in cui opera la revocatoria il saldo ha raggiunto un
valore negativo massimo di 100.000 euro ed il giorno della dichiarazione di fallimento questo sia
era ridotto a meno 60.000,la banca dovrà restituire l’importo complessivo di 40.000 euro,anche
qualora la somma di tutte le rimesse effettuate dal debitore abbia maggior valore.

Le garanzie bancarie omnibus.


L’esigenza della banca di assicurarsi il recupero del credito comunque concesso al cliente ha
determinato il diffondersi nella pratica di peculiari forme di garanzie (personali e reali) fra le quali
spiccano per la loro diffusione la fideiussione omnibus ed il pegno omnibus.
La fideiussione omnibus,specificamente regolata dalle n.b.u.,è una garanzia personale che si
caratterizza per il fatto di essere una garanzia generale. Assicura infatti alla banca l’adempimento di
qualsiasi obbligazione,anche futura,assunta dal cliente garantito.

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La posizione del fideiussore è perciò particolarmente gravosa in quanto si trova a dover garantire
una serie di obbligazioni non determinate al momento della concessione della fideiussione,anche se
determinabili per relationem.
Lo stesso legislatore ha stabilito che nella fideiussione per obbligazioni future,quale tipicamente è la
fideiussione omnibus,deve essere stabilito l’importo massimo garantito. Sono perciò oggi
sicuramente invalide le fideiussioni omnibus per le quali,all’atto della concessione della
garanzia,non è fissato l’importo massimo per il quale il fideiussore è tenuto verso la banca.
La fideiussione omnibus non è solo una fideiussione generale:è anche e soprattutto una garanzia in
parte sottratta ala disciplina di diritto comune della fideiussione,con una serie di clausole tese a
rafforzare la posizione della banca e che in passato esponevano il fideiussore al pericolo di vistosi
abusi da parte della stessa.
L’intervento del legislatore del 1992 e l’applicazione della disciplina antimonopolistica hanno
imposto significative modifiche delle relative n.b.u. in senso più favorevole al fideiussore,la cui
posizione risulta perciò oggi maggiormente tutelata.
Resta fermo che,in deroga all’art.1945,il fideiussore è tenuto a pagare immediatamente alla banca,a
semplice richiesta scritta,quanto dovutole,essendo così preclusa la possibilità di opporre le
eccezioni che spettano al debitore principale per rifiutare di adempiere.Le nuove n.b.u. non
prevedono più però che,in deroga all’art.1939 cod.civ.,la fideiussione omnibus sia produttiva di
effetti anche se l’obbligazione principale è dichiarata invalida,in quanto la Banca d’Italia ha ritenuto
tale previsione in contrasto con la normativa antimonopolistica.Oggi perciò la fideiussione omnibus
non è configurabile come una garanzia personale autonoma rispetto all’obbligazione garantita,ma
l’obbligo di pagare a prima richiesta ha solo il valore di una clausola solve et repete:vale a dire,dopo
il pagamento il fideiussore può far valere contro la banca le eccezioni concernenti l’invalidità
dell’obbligazione principale mediante l’esercizio dell’azione di ripetizione.
L’art.1956 comma 2 cod.civ. stabilisce che non è valida la preventiva rinuncia del fideiussore ad
avvalersi della liberazione prevista da tale norma.In caso di peggioramento delle condizioni
patrimoniali del debitore,la banca non può perciò continuare a concedergli credito senza ottenere
l’autorizzazione per iscritto del fideiussore,anche se le n.b.u. continuano a porre a carico dello
stesso l’onere di tenersi informato sulle condizioni patrimoniali del debitore.
Ispirato dalla medesima finalità di rafforzare la tutela della banca è il cosiddetto pegno
omnibus,previsto da apposite clausole delle norme bancarie uniformi.
In base a tali clausole i beni costituiti in pegno a garanzia di un determinato rapporto possono essere
utilizzati dalla banca a garanzia di tutti i crediti,presenti e futuri,vantati dalla stessa nei confronti del
cliente.
La clausola è valida nei rapporti fra banca e cliente,ma è in opponibile agli altri creditori. Contrasta
infatti con l’esigenza della sufficiente indicazione del credito garantito dal pegno.

I crediti documentari.
Il credito documentario è una particolare forma di pagamento a mezzo banca,diffusa soprattutto nel
commercio internazionale e che si ricollega alla vendita su documenti. Esso è regolato dall’art.1530
cod. civ. e dalle Regole ed usi uniformi (UCP) predisposti dalla Camera di commercio
internazionale di Parigi e periodicamente aggiornati.
Nel credito documentario,il compratore della merce (ordinante) incarica la propria banca (emittente)
di pagarne il prezzo al venditore (beneficiario),oppure di accettare o negoziare cambiali tratte dallo
stesso emesse,dietro consegna di determinati documenti (titoli rappresentativi,polizza di
assicurazione,fattura,ecc.).

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Nella prativa può accadere che sia il venditore,anziché il compratore,a rivolgersi ad una banca
dandole l’incarico di riscuotere l prezzo dal compratore e di consegnargli contestualmente i titoli
rappresentativi della merce.
La banca emittente si può limitare a dare avviso al beneficiario del credito aperto a suo favore,senza
assumere alcun obbligo nei suoi confronti.E’ questo il credito documentario revocabile.
Più diffuso è tuttavia il credito documentario irrevocabile.In tal caso la banca,con apposita lettera di
credito,si obbliga nei confronti del beneficiario a pagare od accettare le tratte dallo stesso
emesse,dietro consegna dei documenti indicati nella lettera stessa.
Nell’operazione di regola interviene anche una banca del paese del beneficiario (banca
intermediaria), presso la quale può essere domiciliata l’operazione. La banca intermediaria può
limitarsi ad informare il beneficiario dell’apertura del credito documentario o può obbligarsi
anch’essa al pagamento o all’acettazione delle tratte.In questo secondo caso il credito si dice
confermato.
Si è quindi in poresenza di un’operazione complessa con almeno tre soggetti
(ordinante,banca,beneficiaio),che trae impulso da un mandato conferito dall’ordinante alla banca e
che complessivamente riproduce lo schema della delegazione:delegazione di pagamento nel credito
documentario revocabile;delegazione obbligatoria nel credito documentario irrevocabile o
confermato.
L’operazione è però soggetta ad una propria autonoma disciplina (art.1530).
Se è stata convenuta tale forma di pagamento,il venditore non può rivolgersi al compratore se non
dopo il rifiuto opposto dalla banca e constatato all’atto della presentazione dei documenti nelle
forme stabilite dagli usi.
E’ inoltre stabilito che,nel credito confermato o irrevocabile,la banca può opporre al venditore solo
le eccezioni derivanti dall’incompletezza o irregolarità dei documenti e quelle relative al rapporto di
conferma del credito.In particolare,diversamente da quanto consentito dalla disciplina di diritto
comune della delegazione,la banca non potrà opporre né la nullità del rapporto di compravendita,né
la contemporanea nullità di questo e del mandato conferitole dall’ordinante (cosiddetta nullità della
doppia causa).
D’altro canto,per semplificare l’operazione,la banca è tenuta a controllare solo la completezza e la
regolarità formale dei documenti e non risponde verso l’ordinante per la loro esattezza,autenticità e
validità legale.

Le garanzie bancarie autonome.


Fenomeno largamente diffuso è anche l’intervento di una banca come garante.Impiegate in origine
soprattutto nei rapporti internazionali,sono ormai comunemente adoperate anche in ambito
nazionale.
Si tratta di garanzie che hanno nomi diversi (performance bond,repayment bond,bid bond) e sono
variamente congegnate a seconda dell’operazione garantita,che non è necessariamente il pagamento
di merce venduta. Ad esempio,può essere garantita la regolare esecuzione di un appalto o il
mantenimento di un’offerta contrattuale.
La loro regolamentazione convenzionale ha tuttavia raggiunto un grado sufficiente di
standardizzazione e presenta quasi sempre due costanti:
a) La banca garante si obbliga a pagare a prima richiesta, vale a dire senza che il beneficiario sia
tenuto a provare l’inadempimento della controparte e senza poter opporre eccezioni relative
all’esistenza e/o l’esigibilità del credito;
b) La banca si obbliga inoltre a pagare anche se l’obbligazione del debitore principale non è venuta ad
esistenza o è divenuta successivamente impossibile.

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La banca non solo copre l’inadempimento del debitore,ma assicura in ogni caso la soddisfazione
dell’interesse economico del beneficiario della garanzia. Si parla perciò di contratto autonomo di
garanzia.
Non mancano d’altro canto rimedi per evitare possibili abusi.
Se il beneficiario escute indebitamente la garanzia,l’azione di rivalsa della banca nei confronti
dell’ordinante e l’azione di ripetizione di indebito di questi nei confronti del beneficiario evitano,sia
pure a posteriori,che sia abbiano spostamenti patrimoniali definitivi privi di giusta causa.
Si riconosce inoltre che,in caso di comportamento doloso del beneficiario (esempio: la garanzia è
stata azionata nonostante l’avvenuto pagamento da parte dell’ordinante),la banca escussa possa (e
debba) ottenere,anche con provvedimento di urgenza,la sospensione giudiziale della
garanzia,invocando l’exceptio doli.Per evitare comportamenti dilatori però è necessario che
l’eccezione si fondi su prove liquide,cioè su prove documentali o comunque di breve e facile esame.
E’ opinione prevalente che in analoghe circostanze,il debitore ordinante possa ottenere in via
cautelare un provvedimento giudiziario che inibisca il pagamento da parte della banca garante.

I servizi di custodia.Il deposito titoli in amministrazione.


Fra i servizi che le banche tradizionalmente prestano alla clientela rientrano anche quelli di custodia
di titoli e valori. Due sono le figure specificamente regolate dal codice:il deposito titoli in
amministrazione (art.1838) ed il servizio delle cassette di sicurezza (artt.1839-1841).
Nel deposito titoli in amministrazione la banca,oltre a custodire i titoli ricevuti (deposito regolare),
assume l’incarico di provvedere all’esercizio di tutti i diritti inerenti ai titoli stessi. Con un unico
contratto la banca assume quindi la duplice veste di depositario e di mandatario per
l’amministrazione dei titoli ricevuti in deposito.
Gli atti di riscossione e quelli di normale tutela dei diritti sui titoli in deposito che non comportano
scelte discrezionali e/o erogazione di somme,sono posti in essere dalla banca senza chiedere
istruzioni al cliente. Le somme riscosse vengono accreditate in conto corrente al depositante.
Per tutti gli altri atti di amministrazione,la banca deve chiedere istruzioni in tempo utile al
depositante. E’ inoltre tenuta ad eseguire gli ordini dello stesso solo se ha ricevuto i fondi
occorrenti. In mancanza di istruzioni tempestive,la banca curala vendita dei diritti di opzione per
conto del cliente.
Il depositante deve pagare i diritti di custodia e le commissioni stabilite dalla banca,nonché
rimborsarle le spese sostenute.Il regolamento di tali competenze avviene di regola mediante
addebito in conto.
E’ nullo il patto con il quale si esonera la banca dall’osservare l’ordinaria diligenza
nell’amministrazione dei titoli.

Le cassette di sicurezza.
Col servizio delle cassette di sicurezza la banca mette a disposizione del cliente uno scomparto
metallico (la cassetta) posto in locali corazzati custoditi dalla banca.Nella cassetta il cliente può
riporre oggetti,titoli o valori.
La cassetta ha uno sportello metallico munito di doppia chiave:una è consegnata al cliente;l’altra è
custodita dalla banca.La cassetta può essere perciò aperta solo con il concorso della banca e del
cliente,previa esibizione da parte di quest’ultimo di un apposito tesserino di riconoscimento.La
banca non può assistere alle operazioni di immissione e prelievo.Il contenuto della cassetta resta
perciò ignoto alla banca,che può solo chiederne la verifica per ragioni di sicurezza.

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La cassetta può essere intestata a più persone.In tal caso ognuno dei contestatari ha diritto di
aprirla,salvo che dal contratto non risulti diversamente.
In caso di morte dell’intestatario o di uno dei cointestatari,la banca che ne ha ricevuto
comunicazione,può consentire l’apertura della cassetta solo col consenso di tutti gli aventi diritto o
secondo le modalità stabilite dall’autorità giudiziaria.
E’ poi prevista una particolare procedura per l’apertura forzata della cassetta (autorizzazione del
pretore ed intervento di un notaio) al fine di consentire alla banca di riacquistarne la disponibilità
qualora,alla scadenza del contratto,l’utente non provveda spontaneamente a vuotarla e a restituire le
chiavi in suo possesso.
Da quanto esposto emerge che nel servizio delle cassette di sicurezza concorrono:
a) Una prestazione locatizia della banca (godimento della cassetta);
b) Una prestazione di custodia della stessa,che ha però per oggetto i locali in cui la cassetta si trova e
non il suo contenuto.Il coordinamento unitario delle due prestazioni consente di realizzare la
massima sicurezza e segretezza nella conservazione dei valori,pur mancando la consegna alla banca
delle cose da custodire.
Si è quindi in presenza di un contratto con funzione tipica non identificabile né con la locazione né
col deposito,soprattutto per quanto riguarda la responsabilità della banca.
E’ infatti stabilito che la banca risponde verso l’utente per l’idoneità e la custodia dei locali e per
l’integrità della cassetta,salvo il caso fortuito. La banca risponde perciò solo indirettamente del
contenuto della cassetta.
Vi è d’altro canto una presunzione di responsabilità a carico della banca,che può essere vinta dalla
stessa solo fornendo la prova positiva che l’evento dannoso (alluvione,furto,incendio) era
imprevedibile ed inevitabile con la diligenza professionale. Sull’utente incombe invece l’onere di
provare il valore del contenuto della cassetta ai fini della determinazione del danno risarcibile.
Una limitazione del danno risarcibile era enunciata a chiare lettere dal testo originario delle n.b.u.,
ma la relativa clausola fu dichiarata nulla per violazione dell’art.1229 comma 1 cod.civ., in quanto
limitava preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave.
La clausola fu perciò modificata nel 1976,ponendo l’accento sull’obbligo del cliente di non
introdurre nella cassetta valori superiori ad un ammontare prestabilito,di regola molto basso. Entro
tale importo è contenuto il risarcimento dei danni dovuto all’utente:Il cliente può tuttavia
concordare un valore maggiore pagando un canone assicurativo proporzionale .
Anche questa clausola è stata però di recente dichiarata nulla poiché limita preventivamente la
responsabilità per violazione indiretta dell’art.1229 comma 1.Si è infatti riconosciuto che anche tale
clausola integra un patto limitativo non dell’oggetto del contratto,ma del debito risarcitorio della
banca e che perciò anch’essa è nulla e non preclude la possibilità di chiedere il risarcimento
integrale del danno in caso di dolo o colpa grave della banca.
L’ultimo stratagemma elaborato dalle n.b.u. è stato quello di imporre al cliente di dichiarare il
valore massimo dei beni che intende custodire in cassetta onde consentire alla banca di dotarsi di
adeguata copertura assicurativa,di modo che se la banca è chiamata a risarcire un danno maggiore
del massimale assicurativo si può profilare una concomitante responsabilità del cliente verso la
banca per la mendace dichiarazione resa.
La giurisprudenza non solo ha ribadito che la pattuizione è nulla per elusione dell’art.1229 quando
la banca è chiamata a rispondere per dolo o colpa grave,ma ha anche soggiunto che fuori da queste
ipotesi la clausola è comunque vessatoria ed inefficace nei contratti stipulati con i consumatori per
lo squilibrio che determina a carico del cliente.

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CAPITOLO QUATTORDICESIMO:L’INTERMEDIAZIONE
FINANZIARIA.I SERVIZI DI PAGAMENTO.

Il leasing,il factoring,la cartolarizzazione dei crediti,carte di credito,emissione di moneta elettronica,


credito al consumo sono operazioni di natura finanziaria in larga parte sconosciute all’epoca della
codificazione del 1942.
Si tratta di attività ed operazioni prevalentemente svolte da imprese bancarie,ma non riservate per
legge alle stesse.Si tratta inoltre di attività che le banche di regola svolgono indirettamente
attraverso la creazione di società controllate che operano in ciascuno di tali settori.Tali società
concorrono perciò a formare con la società bancaria che le controlla un gruppo creditizio;sono
conseguentemente soggette alla vigilanza informativa e regolamentare della Banca d’Italia e nei
loro confronti trova applicazione la speciale disciplina prevista per la crisi del gruppo bancario.
Agli inizi degli anni novanta vi è stata l’emanazione di una serie di provvedimenti dai quali è
emersa l’ulteriore distinzione di fondo fra:
a) Attività (non bancaria) di intermediazione finanziaria;
b) Prestazione di servizi di pagamento;
c) Attività di intermediazione mobiliare.
Quanto all’attività di intermediazione finanziaria non bancaria,la relativa disciplina pubblicistica
,ispirata anche dalla finalità di prevenire l’utilizzo del sistema finanziario per operazioni di
riciclaggio di denaro proveniente da reati,è oggi confluita negli artt.106-114 del Testo unico delle
leggi in materia bancaria e creditizia,approvato con il d.lgs.n.385/1993.Tale disciplina (modificata
da ultimo dal d.lgs. n.141/2010) ha carattere residuale.Riguarda cioè le imprese,come quelle non
facenti parte di un gruppo bancario,che non siano già soggette a forme di vigilanza equivalente
sull’attività finanziaria svolta (art.114 comma2).
L’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi
forma è riservato,salvo alcune eccezioni,agli intermediari autorizzati dalla Banca d’Italia ed iscritti
in un apposto albo tenuto stessa.
Per ottenere l’iscrizione nell’albo gli intermediari devono rispettare determinate condizioni,fra cui:
- Essere costituiti in forma di società di capitali o cooperativa;
- Avere oggetto sociale limitato allo svolgimento di attività finanziaria ed eventualmente (se in
possesso delle relative autorizzazioni) alla prestazione di servizi di pagamento e di investimento;
- Il capitale sociale versato non può essere inferiore all’importo minimo determinato dalla banca
d’Italia.
I soci titolari di partecipazioni rilevanti devono essere in possesso dei medesimi requisiti di
onorabilità e professionalità degli esponenti aziendali.
Gli intermediari finanziari devono aderire al sistema di composizione stragiudiziale delle
controversie gestito dall’Arbitro bancario finanziario.
Gli intermediari finanziari devono inoltre attenersi alle disposizioni emanate dalla Banca d’Italia
aventi ad oggetto l’adeguatezza patrimoniale,il contenimento del rischio nelle sue diverse
configurazioni,l’organizzazione amministrativa e contabile,i controlli interni e i sistemi di
remunerazione e incentivazione nonché l’informativa da rendere al pubblico sulle predette materie.
Le società iscritte nell’albo sono sottoposte a penetrante vigilanza da parte della Banca d’Italia,che
può adottare sanzioni fino alla sospensione degli organi sociali ed alla revoca dell’autorizzazione.
Con la riforma del 2010 è invece venuta meno la distinzione fra intermediari finanziari iscritti in un
elenco generale e intermediari finanziari,di maggior rilievo e sottoposti a più estesi controlli,iscritti
in un elenco speciale.Tuttavia,l’attuale disciplina stabilisce che nell’esercizio dei poteri di vigilanza

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la Banca d’Italia osservi criteri di proporzionalità rispetto alle dimensioni e alla complessità
dell’attività dell’intermediario.E’ inoltre caduto l’obbligo di iscrizione in una sezione speciale per i
soggetti che esercitano attività finanziaria non nei confronti del pubblico.
Le attività di mediazione creditizia al fine di prevenire il fenomeno dell’usura sono state riservate ai
soggetti in possesso dei requisiti di onorabilità,professionalità ed organizzativi previsti per legge ed
iscritti in appositi elenchi,distinti per gli agenti e i mediatori,tenuti da un Organismo posto sotto la
vigilanza della Banca d’Italia.

A. IL LEASING

Il leasing (o locazione finanziaria) è una nuova tecnica contrattuale nata per soddisfare una specifica
esigenza delle imprese:quella di disporre dei beni strumentali necessari per l’attività produttiva
(macchinari,impianti,attrezzature sofisticate) senza essere costrette ad immobilizzare ingenti capitali
per l’acquisto.
Naturalmente,l’imprenditore dispone di altre vie per soddisfare tale esigenza:può prendere in
locazione o in affitto il bene,acquistarlo a rate,ottenere un finanziamento bancario per l’acquisto in
contanti.
Tuttavia,chi fabbrica macchinari di regola li vende e non li affitta perché deve rapidamente
recuperare i capitali investiti. L’acquisto a rate non sempre è convenite,dato che una volta finito il
pagamento ci si può ritrovare proprietari di un macchinario privo di valore in seguito a logorio od
obsolescenza.
Il leasing è un contratto che intercorre fra un’impresa finanziaria specializzata (società di leasing) e
chi ha bisogno di beni strumentali per la propria impresa.
Nonostante l’ampia diffusione,il leasing è ancora oggi un contratto privo di specifica disciplina
legale.
Accanto al leasing,avente ad oggetto beni strumentali di impresa (leasing d’impresa) si è infatti
largamente sviluppato il leasing di beni di consumo durevoli quali automobili ed elettrodomestici
(leasing di consumo) ed il leasing di beni immobili (stabilimenti industriali o studi professionali).Al
leasing ricorrono inoltre non solo gli imprenditori ma anche i professionisti,per le agevolazioni
tributarie di cui anche questi ultimi possono godere.
Inoltre e soprattutto il leasing si è articolato in tre tecniche operative notevolmente diverse fra loro:
leasing finanziario,leasing operativo e lease-back (o leasing di ritorno).
Il leasing finanziario (di beni strumentali,di consumo e immobiliare) è comunque la forma più
diffusa e caratteristica.Per il leasing finanziario internazione di beni strumentali è entrata in vigore
la Convenzione Unidroit di Ottawa.La Convenzione detta norme internazioni uniformi applicabili
quando il concedente e l’utilizzatore appartengono a Stati diversi.

Leasing finanziario.
Il leasing finanziario è concluso nell’ambito di un’operazione trilaterale alla quale partecipano la
società di leasing (concedente,l’impresa interessata all’utilizzo del bene (utilizzatore) ed un’impresa
che produce o distribuisce il bene stesso (fornitore).
L’impresa di leasing acquista dal fornitore il bene desiderato dall’utilizzatore e lo cede in
godimento a questo stipulando un contratto (il contratto di leasing) che presenta i seguenti dati
caratterizzanti:
a) Il godimento è concesso per un periodo di tempo determinato che nel (solo) leasing di beni
strumentali tende a coincidere con la vita tecnica del bene;

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b) Come corrispettivo del godimento l’utilizzatore deve corrispondere un canone periodico,di regola
più levato di un comune canone di locazione;
c) All’utilizzatore è riconosciuta la facoltà di acquistare la proprietà del bene alla scadenza del
contratto pagando un prezzo predeterminato.Tale prezzo di regola è modesto per i beni
strumentali,più consistente invece per i beni di consumo durevoli (autoveicoli).
Emerge così netta la differenza rispetto alla vendita con riserva di proprietà.Chi acquista a rate
diventa automaticamente proprietario col pagamento dell’ultima rata.Nel leasing invece alla fine del
contratto l’utilizzatore può scegliere se acquistare il bene,restituirlo o rinnovare il contratto;inoltre
nel primo caso deve pagare uno specifico corrispettivo.
Il leasing si differenzia anche dalla locazione con patto di futuro acquisto della proprietà in quanto,
l’impresa di leasing pone a carico dell’utilizzatore tutti i rischi connessi al godimento del ben.Si
prevede infatti che:
a) L’utilizzatore è tenuto a pagare i canoni pattuiti anche in caso di mancata o ritardata consegna del
bene da parte del fornitore;
b) In deroga agli artt.1578 e 1579,l’utilizzatore non può invocare la garanzia per vizi nei confronti del
concedente,anche se gli stessi rendono del tutto impossibile il godimento;
c) In deroga all’art.1588,l’utilizzatore è responsabile per la perdita o per il perimento del bene anche
se dovuti a causa a lui non imputabile,sicché dovrà corrispondere i canoni residui anche se ha
cessato di godere del bene.
Queste sono clausole ispirate dall’esigenza di assicurare all’impresa di leasing il recupero di quanto
pagato al fornitore per l’acquisto del bene e perciò generalmente ritenute valide.La legge vieta però
l’inserimento della clausole di cui alla lettera a) nei contratti di leasing stipulati con un
consumatore. In questo caso infatti trova applicazione la disciplina del credito al consumo in base
alle quale,a fronte dell’inadempimento del fornitore,il consumatore può chiedere al finanziatore di
agire per la risoluzione del contratto e contestualmente sospendere il pagamento dei
canoni:intervenuta la risoluzione del contratto di fornitura,anche il leasing si scioglie di diritto senza
penalità e senza oneri (art.125-quinquies comma 3 tub,introdotto dal d.lgs.141/2010).
Vi sono inoltre anche clausole che regolano la risoluzione del contratto per inadempimento
dell’utilizzatore. E’ infatti previsto che l’impresa di leasing:
1) Ha diritto di chiedere la risoluzione del contratto anche in caso di mancato pagamento di un solo
canone,quale ne sia l’ammontare;
2) Ha diritto di trattenere integralmente i canoni riscossi,salvo il risarcimento dei danni ulteriori.
Sono queste clausole che derogano vistosamente alla disciplina,certamente inderogabile,della
vendita con riserva di proprietà (artt.1525 e 1526),parzialmente applicabile anche alla locazione con
patto di futuro acquisto della proprietà (art.1526 comma 3).
La validità della seconda clausola (deroga all’art.1526) è stata tuttavia contestata da parte della
dottrina e della giurisprudenza di merito sostenendosi che il leasing finanziario è riducibile nello
schema della vendita con riserva di proprietà o della locazione,ovvero che l’art.1526 è comunque
applicabile per analogia.Secondo altri è un contratto di credito,per la Cassazione è un contratto
atipico di finanziamento.
La verità è tuttavia che il diritto del concedente di trattenere i canoni riscossi e di pretendere quelli
ancora dovuti risulta soluzione sostanzialmente equa nel leasing di beni strumentali di impresa.Alla
scadenza del contratto,di regola coincidente con la vita economica del bene,questi hanno quasi
sempre un valore residuo minimo (perciò il prezzo di opzione è basso) ed il pagamento integrale dei
canoni si giustifica con l’esigenza di assicurare al concedente il recupero del finanziamento con gli
interessi,dato che poco o nulla potrà recuperare dalla rivendita del bene di cui è restato proprietario.

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La situazione muta invece radicalmente nel leasing di beni di consumo durevoli


(esempio,autoveicoli) o nel leasing immobiliare.In tal caso non vi è coincidenza fra durata del
leasing e durata del bene,che perciò conserva un valore finale non trascurabile,superiore al prezzo di
opzione (autoveicoli) o addirittura superiore a quello iniziale (immobili).Il bene è inoltre
agevolmente vendibile a terzi.In questi casi il concedente può incassare ben più di quanto avrebbe
riscosso con la regolare esecuzione del contratto.
Merita perciò di essere sostanzialmente condivisa la distinzione introdotta dalla Cassazione fra
leasing tradizionale o di godimento (beni strumentali di impresa) e leasing impuro o traslativo (beni
di consumo durevoli).Nel primo sottotipo l’art.1526 non è applicabile e perciò l’impresa di leasing
può senz’altro trattenere i canoni riscossi ed esigere a titolo di risarcimento danni i canoni ulteriori
ed il prezzo di opzione.Nel secondo sottotipo deve invece applicarsi per analogia l’art.1526:
l’utilizzatore dovrà perciò corrispondere solo un equo compenso per l’uso ed il risarcimento dei
danni nella misura quantificata dal giudice.
Una speciale disciplina è stata infine introdotta nel 2006 per regolare gli effetti del fallimento sui
contratti di leasing finanziario pendenti.Le nuove regole perseguono il duplice obiettivo di
salvaguardare il giusto interesse del concedente al recupero del finanziamento,ma anche di evitare
ingiustificati arricchimenti da parte dello stesso.
In caso di fallimento dell’utilizzatore infatti si applica la regola generale secondo cui il contratto
rimane sospeso finché il curatore non decide se subentrarvi o risolverlo;quando invece è disposto
l’esercizio provvisorio dell’impresa durante il fallimento,il contratto continua ad avere esecuzione
salvo che il curatore decida altrimenti.
Il subentro del curatore nel rapporto contrattuale comporta che il concedente diventa creditore della
massa,e quindi va soddisfatto in prededuzione rispetto agli altri creditori concorrenti.
Se invece il curatore opta per lo scioglimento del contratto,il concedente ha diritto alla restituzione
del bene.Può trattenere i canoni già riscossi,che non sono soggetti a revocatoria se pagati nei termini
d’uso.
Può inoltre insinuarsi al passivo per il credito vantato alla data del fallimento,decurtato di quanto
(eventualmente) ricavato mediante una nuova allocazione del bene.Qualora infatti il concedente
riesca a trovare una nuova collocazione del bene avalori di mercato può trattenere dal ricavato la
somma corrispondente al proprio credito residuo in linea capitale e dovrà restituire al fallimento
l’eccedenza.
Più semplice è la disciplina per il caso di fallimento del concedente:il contratto prosegue
automaticamente e l’utilizzatore conserva la facoltà di acquistare il bene alla scadenza,previo
pagamento dei canoni e del prezzo pattuito (art.72-quater della legge fallimentare,modificato dal
d.lgs. 169/2007).

Il leasing operativo.
E’ detto anche leasing diretto del produttore.I beni sono concessi in godimento direttamente dal
produttore,che si obbliga anche a fornire una serie di servizi collaterali
(assistenza,manutenzione,ecc.).
Il leasing operativo ha in genere per oggetto beni strumentali standardizzati,quali macchine
fotocopiatrici o calcolatori elettronici.La durata del contratto è più breve della vita economica del
bene ed i canoni sono commisurati al suo valore di uso.
Si ritiene perciò che il contratto rientri nello schema della locazione e resti assoggettato alla relativa
disciplina inderogabile,compreso l’art.1526 qualora sia prevista un’opzione di acquisto alla
scadenza del contratto.

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Il leasing di ritorno (lease-back).


Nel leasing di ritorno (lease –back)un imprenditore vende propri beni (mobili,immobili o anche
l’intero complesso aziendale) ad una società di leasing che ne paga il prezzo.Nel contempo,
quest’ultima stipula con venditore un contratto di leasing avente ad oggetto gli stessi beni. Questi
restano perciò nella disponibilità del venditore,che pagherà i canoni di leasing e potrà riacquistarli
alla scadenza esercitando la relativa opzione.
Il lease –back può quindi costituire un utile strumento di finanziamento alternativo per un
imprenditore che si trova in temporanee difficoltà economiche.
La liceità dell’operazione è stata però contestata.Si è infatti osservato che il lease-back è
assimilabile alla vendita a scopo di garanzia,che secondo i più recenti orientamenti della
giurisprudenza ricade nel divieto di patto commissorio (art.2744).
Si è però convincentemente replicato che:
a) Il lease-back non è identificabile con la vendita a scopo di garanzia,perché nel primo manca un
credito preesistente da garantire e soprattutto perché il bene resta nella disponibilità del
venditore,sicché funzione complessiva dell’operazione non è solo quella di rafforzare la garanzia
del creditore;
b) La ragione del divieto di patto commissorio è quella di impedire che il debitore sia costretto a
concedere in garanzia beni di valore superiore al credito concessogli,mentre nel leasing di ritorno
l’importo del credito garantito (l’ammontare dei canoni dovuti) è di regola proporzionato al valore
del bene trasferito in proprietà all’impresa di leasing.
Nullità si potrà avere solo quando in concreto risulti una palese sproporzione fra credito garantito e
valore del bene trasferito in proprietà alla società di leasing.Tale soluzione risulta essere corretta
anche in base alla recente introduzione nel codice civile di una disciplina specifica per l’iscrizione
nel bilancio del concedente dei proventi derivanti dal lease-back.

B. IL FACTORING

Il factoring è una nuova tecnica contrattuale di origine statunitense sviluppatasi per rispondere alle
specifiche esigenze delle imprese che effettuano continue e consistenti vendite a credito nei
confronti di una clientela numerosa e diversificata.Tali imprese devono gestire ua notevole massa di
crediti,sopportando una serie di costi per la riscossione e l’eventuale contenzioso.
Per risolvere in modo stabile ed unitario tutte queste diverse esigenze sono nate e si sono sviluppate
le imprese di factoring:imprese specializzate nella gestione dei crediti di impresa e che offrono con
un unico contratto di durata (il contratto di factoring) tutti i relativi servizi,che sono essenzialmente
quattro: tenuta della contabilità debitori;gestione dell’incasso dei crediti e dell’eventuale
contenzioso;eventuale concessione di anticipazioni sull’importo dei crediti;eventuale assunzione a
proprio carico del rischio di insolvenza.
Il cliente che stipula un contratto di factoring può fruire nel tempo di tutte o solo di alcune di tali
prestazioni,pagando per ciascuna un compenso predeterminato.Il tutto però sulla base di un unico
contratto,che può assumere configurazioni diverse e variamente articolate nel tempo,ma che
comunque si caratterizza per una propria ed unitaria funzione che impedisce di ricondurlo ad altri
tipi contrattuali (mandato,mutuo,apertura di credito,sconto,assicurazione crediti).
Nella prassi operativa italiana,il contratto di factoring è stato strutturato utilizzando l’istituto della
cessione del credito e proprio il profilo della cessione dei crediti di impresa società od enti che
esercitano l’attività di factoring,è stato disciplinato dalle legge n.52/1991.

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Disciplina.
Il nucleo essenziale del contratto di factoring è costituito dall’istituto della cessione dei crediti
(art.1260 ss.cod.civ.),più esattamente cessione globale di crediti pecuniari futuri,verso corrispettivo.
Tale cessione è assoggettata alla speciale disciplina dettata dalla legge 52/1991 quando ricorrono le
seguenti condizioni:il cedente è un imprenditore;i crediti ceduti sorgono da contratti stipulati dal
cedere nell’esercizio dell’attività di impresa;il cessionario è una banca o in intermediario finanziario
il cui oggetto sociale prevede l’esercizio dell’attività di acquisto di crediti di impresa.
Pertanto,con il contratto di factoring l’imprenditore cedente (fornitore) cede in massa al factor tutti i
propri crediti presenti e futuri derivanti da contratti stipulati nell’esercizio dell’impresa o anche solo
quelli derivanti da determinate operazioni.Il factor a sua volta si obbliga a gestire e riscuotere i
crediti cedutigli.
La legge 52/1991 riconosce espressamente la validità della cessione in massa di crediti futuri.
Precisa però che nell’accodo di factoring deve essere specificato il (futuro) debitore ceduto e che la
cessione può avere per oggetto solo crediti che sorgeranno da contratti da stipulare in un periodo
non superiore a 24 mesi.Il cedente si obbliga a comunicare al factor l’elenco completo della propria
clientela attuale e le successive acquisizioni di nuovi clienti.Inoltre,dalla cessione sono escluse
alcune categorie di crediti,come quelli derivanti da fatture provvisorie o aventi per oggetto merci in
deposito.
L’accordo di cessione globale determina l’automatico trasferimento dei crediti futuri al factor man
mano che gli stessi vengono ad esistere senza che siano necessari ulteriori specifici atti traslativi dei
singoli crediti.Il fornitore dovrà consegnare al factor tutti i documenti probatori dei crediti cedutigli
e notificare al debitore l’intervenuta cessione nelle forme di diritto comune.
La cessione avviene di regola pro solvendo:il cedente garantisce cioè,nei limiti del corrispettivo
pattuito,la solvenza del debitore ceduto.Inoltr,il relativo importo,dedotta la commissione a favore
del factor,è di regola messo a disposizione del cedente solo dopo l’incasso.
Il cessionario può tuttavia rinunciare,in tutto o in parte,alla garanzia della solvenza (cessione pro
soluto).In tal caso il factor assicura al fornitore il pagamento del credito anche in caso di
inadempimento del debitore ed in tale evenienza il relativo importo è messo a disposizione alcuni
mesi dopo la scadenza.
Il factor può anche concedere anticipazioni sull’ammontare dei crediti ceduti (pro solvendo e pro
soluto),conteggiando gli interessi per il tempo dell’anticipazione.Le anticipazioni di regola non
superano una determinata percentuale del valore nominale del credito ceduto.Inoltre,se la cessione è
pro solvendo,le stesse devono essere restituite qualora il debitore non paghi.
Una specifica disciplina tutela il factor contro possibili abusi del fornitore che in violazione degli
accordi ceda a terzi i medesimi crediti,nonché nei confronti dei creditori del cedente ,anche in caso
di fallimento dello stesso.
L’opponibilità ai terzi (aventi causa,creditori e fallimento del cedente) della cessione è infatti
svincolata dalla necessità della notifica giudiziale quando ricorrono le seguenti condizioni:il factor
ha pagato,in tutto o in parte,il corrispettivo della cessione ed il pagamento ha data certa anteriore
rispettivamente al titolo di acquisto degli aventi causa del cedente,al pignoramento dei suoi creditori
o la fallimento dello stesso.
Specificamente regolata è infine anche la revocatoria fallimentare dei pagamenti del debitore ceduto
all’impresa di factoring.Non può essere revocato il pagamento ricevuto da un’impresa di factoring
quando la cessione dei crediti risponde ai requisiti fissati dalla stessa legge.Il curatore può tuttavia
esercitare l’azione revocatoria nei confronti dell’imprenditore cedente provando che questi
conosceva lo stato di insolvenza del debitore ceduto alla data del pagamento di questi al cessionario.
Se la cessione è avvenuta pro soluto il cedente può a sua volta rivalersi contro il cessionario.

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C. LA CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI

La cessione globale di crediti è ancora l’istituto su cui si fonda la cartolarizzazione dei


crediti,disciplinata con la legge n.130/1999.
L’operazione risponde allo scopo di facilitare lo smobilizzo di masse notevoli i crediti mediante
l’incorporazione in titoli di credito di massa destinati ad essere per lo più sottoscritti da investitori
professionali. L’emittente i titoli risponde del pagamento degli stessi non con tutto il suo
patrimonio, ma esclusivamente con il flusso finanziario (interessi e rimborsi) derivante dai crediti
che sono a base dell’operazione di cartolarizzazione.Sugli investitori viene perciò a gravare il
rischio del’eventuale insolvenza dei debitori originari.
Le operazioni di cartolarizzazione sono realizzabili secondo due modalità;
a) Cessione dei crediti ad una società veicolo che li acquista finanziandosi con i titoli dei crediti
ceduti;
b) Cessione dei crediti ad un fondo comune di investimento chiuso avente per oggetto crediti.

Disciplina.
I caratteri essenziali dell’operazione di cartolarizzazione dei crediti possono essere così fissati:
a) La cessione a titolo oneroso di crediti pecuniari esistenti o futuri,eventualmente individuati in
blocco,ad una società di capitali che ha per oggetto esclusivo la realizzazione di una o più
operazioni di cartolarizzazione;
b) L’emissione da parte di tale società di titoli di credito destinati a finanziare l’acquisto del
portafoglio crediti ceduto;
c) La destinazione esclusiva da parte della società cessionaria delle somme corrisposte dai debitori
ceduti al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei relativi
crediti,nonché al pagamento dei costi per l’operazione.
I titoli emessi sono espressamente qualificati come strumenti finanziari.Se destinati ad essere
collocati fra il pubblico,troverà perciò applicazione la disciplina dell’offerta al pubblico di prodotti
finanziari, con conseguente obbligo della società cessionaria o della società emittente di redigere il
prospetto informativo dell’operazione di cartolarizzazione contenente le indicazioni stabilite dalla
Consob.La redazione del prospetto informativo,secondo uno schema fissato per legge,è tuttavia
prescritta anche quando i titoli sono destinati ad essere offerti ad investitori professionali.
Solo quando i titoli sono offerti a investitori non professionali l’operazione di cartolarizzazione
deve essere sottoposta a valutazione del merito di credito da parte di operatori terzi (cosiddette
agenzie di rating),i cui requisiti di onorabilità e di professionalità sono stabiliti dalla Consob.
I titoli emessi dalla società di cartolarizzazione sono di regola titoli di massa che incorporano un
diritto di credito e sono pertanto inquadrabili fra i titoli obbligazionari.Essi sono però integralmente
sottratti alla disciplina delle obbligazioni di società.
I crediti relativi a ciascuna operazione infatti costituiscono patrimonio sperato a tutti gli effetti da
quello della società e da quello relativo alle altre operazioni.Su ciascun patrimonio non sono
ammesse azioni da parte di creditori diversi dai portatori dei titoli emessi per finanziare l’acquisto
dei crediti stessi.
Nel contempo,la posizione dei portatori dei titoli è rafforzata dalla speciale disciplina dettata per
l’efficacia delle cessioni dei crediti nelle operazioni di cartolarizzazione.
Trova infatti applicazione la disciplina di favore dettata dal tub per la cessione a banche di rapporti
giuridici individuabili in blocco.La cessione diventa perciò efficace nei confronti del debitore
ceduto con la semplice pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della notizia dell’avvenuta cessione,

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che determina anche il trasferimento dei privilegi e delle garanzia che assistono il credito ceduto
senza bisogno di ulteriori formalità.
Inoltre,da tale data sulle somme corrisposte dai debitori ceduti sono ammesse solo azioni a tutela
dei diritti dei portatori dei titoli e la cessione dei crediti è opponibile agli altri aventi causa e ai
creditori del cedente.
I portatori dei titoli sono pienamente tutelati in caso di fallimento dei debitori ceduti in quanto i
pagamenti da questi effettuati alla società cessionaria non sono sottoposti a revocatoria fallimentare
e sono parzialmente tutelati anche in caso di fallimento del cedente poiché sono drasticamente
abbreviati i termini per l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare nei confronti dell’atto di
cessione:rispettivamente,da un anno a sei mesi e da sei a tre mesi (art.4 comma 4 delle legge
130/1999).

D. IL CREDITO AL CONSUMO

Il ricorso al credito per l’acquisto di beni o servizi destinati al consumo (esempio:mobili,


elettrodomestici, viaggi turistici) e non all’impiego in un’attività di impresa o professionale è
fenomeno largamente diffuso che può assumere forme diverse.
L’esigenza di una disciplina specifica per tali forme di credito volta a tutelare i consumatori,
contraenti deboli, ha portato alla disciplina del credito al consumo oggi contenuta negli artt.121-126
tub (come modificato dal d.lgs. n.141/2010 in attuazione della direttiva 2008/48/CE).
Costituisce credito al consumo la concessione,nell’esercizio di un’attività commerciale o
professionale,di credito sotto forma di dilazione di pagamento,di finanziamento o di altra
facilitazione finanziaria a favore di un consumatore.
L’esercizio del credito al consuno è riservato alle banche,agli intermediari finanziari e,nella sola
forma della dilazione del pagamento del prezzo senza interessi o altri oneri,ai soggetti autorizzati
alla vendita di beni o servizi.
Dall’applicazione della relativa disciplina asono tuttavia esonerati alcuni rapporti,quali:i
finanziamenti di importo inferiore a 200 euro o superiore a 75.000;quelli destinati ad operazioni su
immobili o strumenti finanziari;i contratti di sommnstrazione,di appalto o di la coazione,ma non
quelli di leasing.

Disciplina.
Per consentire al consumatore la piena conoscenza dell’onere economico del finanziamento,la
pubblicità deve in ogni caso indicare,fra l’altro,il tasso annuale effettivo globale (Taeg) ed il
relativo periodo di validità.
Il Taeg è il costo totale del credito per il consumatore espresso in percentuale annua dell’importo
totale del credito e comprende gli interessi e tutti gli oneri da sostenere per utilizzare il credito.Le
relative modalità di calcolo sono stabilite dalla Banca d’Italia in conformità alle delibere del Cicr.
Obblighi precontrattuali di informazione e di consulenza gravano inoltre sul finanziatore o
l’intermediario del credito affinché il consumatore ,prima di vincolarsi,riceva le informazioni
necessarie per confrontare le diverse offerte di credito sul mercato e valutare se il contratto di
credito proposto sia adatto alle sue esigenze ed alle sue condizioni finanziarie.
Il contratto di credito al consumo deve essere redatto per iscritto a pena di nullità,operante soltanto
a vantaggio del cliente.Una copia deve essere consegnata contestualmente al consumatore.
Il contratto deve contenere a pena di nullità l’indicazione del tipo,delle parti e dell’importo totale
del finanziamento con le condizioni di prelievo e di rimborso.Deve inoltre stabilire la durata,gli

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oneri e il Taeg a carico del consumatore:qualora le relative clausole contrattuali manchino o siano
nulle,esse sono sostituite di diritto secondo i criteri fissati dalla legge.
In caso di nullità del contrato,il cliente è tenuto a restituire solo le somme utilizzate senza pagare
interessi o altri oneri,e può farlo anche a rate con la stessa periodicità prevista nel contratto,o in
mancanza in 36 mesi.
Il consumatore può liberamente recedere dal contratto di credito entro 14 giorni dalla sua
conclusione o,se successivo, dal momento in cui ha ricevuto il documento contenente tutte le
condizioni contrattuali e le informazioni di legge.In tal caso deve restituire entro 30 giorni il
capitale e pagare gli interessi maturati.Il finanziatore non può imporre oneri ulteriori per il recesso,
salvo il rimborso delle somme non ripetibili eventualmente corrisposte alla pubblica
amministrazione.
Nei contratti a tempo indeterminato inoltre il consumatore può recedere in ogni momento senza
penalità e senza spese. Il contratto può stabilire un termine di preavviso non superiore ad un mese.
Invece,per il recesso del finanziatore non può essere pattuito un preavviso inferiore a due mesi.
Si prevede fra l’altro che:
a) In caso di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali da parte del finanziatore,trovas
applicazione la corrispondente disciplina dei contratti bancari in temadi ius variandi ed il cliente
può recedere con applicazione delle condizioni precedentemente praticate;
b) Il consumatore ha la facoltà di adempiere anticipatamente ed in tal caso ha diritto ad un’equa
riduzione del costo complessivo del credito;
c) Qualora il finanziatore ceda il credito,il consumatore può sempre opporre al cessionario tutte le
eccezioni che poteva far valere nei confronti del cedente,compresa la compensazione;
d) In caso di inadempimento del fornitore,il consumatore può risolvere il contratto ed ottenere dal
finanziatore il rimborso delle rate già pagate e di ogni latro onere applicato.La relativa azione può
essere esercitata anche contro il terzo al quale il finanziatore abbbia ceduto i diritti derivanti dal
contratto di concessione del credito (art.125-quinquies)ad esempio,una società di factoring.

E. I SERVIZI DI PAGAMENTO.LE CARTE DI CREDITO.LA MONETA ELETTRONICA.

La disciplina generale dei servizi di pagamento.


L’espressione serivzi di pagamento indica una vasta gamma di prestazioni rese da un intermediario
professionale che si interpone fra il pagatore ed il beneficiario di una somma di denaro.Tali
prestazioni possono consistere in semplici rimesse di denaro oppure possono essere basate su una
disponibilità esistente su un conto tenuto dal pagatore presso l’intermediario (bonifici,giroconti) o
infine prestazione di pagamento che si basano su strumenti di pagamento emessi o acquisiti
dall’intermediario,come le cartedi credito trilaterali,la moneta elettronica,carte di
pagamento,bancomat,e dispositivi analoghi (art.1 lett.b del d. lgs. 11/2010).
Alcuni servizi di pagamento sono tradizionalmente resi dalle banche,nell’ambito dell’attività di
cassa relativa al rapporto di conto corrente bancario.Altri si sono sviluppati più di recente grazie
all’evoluzione delle prassi commerciali (carte di credito) e della tecnologia informatica (moneta
elettronica,pagamenti on-line,sistema pay-pal ecc.).
Oggi il d.lgs. n.11/2010 (emanato in attuazione della direttiva 2007/64/CE) ha introdotto una
disciplina generale dei servizi di pagamento,volta a stabilire principi comuni per questo genere di
attività,salvo restando le ulteriori previsioni eventualmente contenute in leggi speciali.
Restano esclusi invece dall’ambito di applicazione del decreto,in quanto non rientrano nella
definizione legislativa di servizi di pagamento,i pagamenti effettuati in contanti e senza alcuna
intermediazione dal pagatore al beneficiario o ad un suo agente,nonché i pagamenti di titoli di

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credito (assegni,cambiali,vaglia postali) ed una serie di ulteriori attività precisate dall’art.2


(cambiavalute,carte di credito bilaterali,pagamenti infragruppo,ecc.).Deroghe possono inoltre essere
convenute fra le parti per strumenti di pagamento di basso valore (art.4 d.lgs. 11/2010).
La prestazione di servizi di pagamento di basso è riservata alle banche,agli istituti di moneta
elettronica,ed agli istituti di pagamento.
Gli istituti di pagamento sono società di capitali o cooperative autorizzate alla prestazione di servizi
di pagamento ed attività accessorie ,iscritti nell’apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia previa
verifica di una serie di requisiti fissati dalla legge.Non possono concedere crediti,se non in stretta
relazione ai servizi di pagamento prestati e nei limiti fissati dalla Banca d’Italia. Tuttavia non è
necessario-ed è questa una significativa novità della riforma-che l’istituto svolga esclusivamente
attività di prestazione di servizi di pagamento.La Banca d’Italia può infatti autorizzare anche società
che esercitino contestualmente altre attività imprenditoriali (esempio,distribuzione di generi di
consumo),purché per l’attività relativa ai servizi di pagamento sia costituito un patrimonio
destinato. Inoltre,le somme detenute dagli istituti di pagamento nei conti aperti presso di loro dai
clienti per l’esecuzione di operazioni di pagamento (cosiddetto conto di pagamento) sono investite
in attività che costituiscono a tutti gli effetti un patrimonio distinto da quello dell’istituto di
pagamento:tali attività non sono esposte pertanto alle azioni esecutive di altri creditori che quelli del
titolare del singolo conto e nei limiti dell’importo registrato sul medesimo conto di pagamento.
Gli istituti di pagamento sono sottoposti alla vigilanza della Banca d’Italia.
Fra prestatore e utilizzatore di servizi di pagamento è in genere stipulato un contratto quadro,volto a
regolare le condizioni generali del rapporto nell’ambito del quale si inseriranno i singoli ordini di
pagamento. Per il contratto quadro valgono regole di forma e di contenuto analoghe a quelle
previste dalla disciplina generale dei contratti bancari:
a) forma scritta,a pena di nullità operante soltanto a vantaggio del cliente;
b) obbligo di indicare il tasso di interesse ed ogni altro prezzo o condizione praticati,altrimenti di
applicano le condizioni contrattuali (favorevoli per il cliente) fissate per legge;
c) divieto di rinvio agli usi per la determinazione degli oneri contrattuali (art.126-quinquies,tub).
Il contratto può attribuire al prestatore di servizi di pagamento il diritto di modificarne
unilateralmente le condizioni,ma la modifica deve essere comunicata con almeno due mesi di
anticipo al cliente,il quale ha facoltà di recedere senza spese prima dell’applicazione delle nuove
condizioni.I tassi d’interesse e di cambio praticati possono invece essere modificati con effetto
immediato e senza preavviso in conseguenza della variazione dei tassi di riferimento convenuti,se il
contratto così prevede.
L’utilizzatore di servizi di pagamento ha sempre facoltà di recedere dal contratto senza penalità e
senza spese.Il prestatore può invece recedere solo se previsto dal contratto e con due mesi di
preavviso.
La Banca d’Italia disciplina le informazioni che il prestatore deve fornire all’utilizzatore di servizi
di pagamento prima delle stipula del contratto quadro e durante lo svolgimento del rapporto.
Ogni operazione di pagamento deve essere autorizzata dal pagatore nelle forme e con le procedure
concordate con il prestatore del servizio di pagamento.In caso di contestazione,la prova
dell’autorizzazione è a carico di quest’ultimo.I pagamenti non autorizzati non possono essere
addebitati al cliente o devono essere rimborsati immediatamente dal prestatore del servizio,salvo il
risarcimento dell’ulteriore danno (art.11 d.lgs.11/2010).Il cliente ha tuttavia l’onere di comunicare
senza indugio al proprio prestatore di servizi di pagamento le operazioni d pagamento non
autorizzate o eseguite in modo inesatto di cui venga a conoscenza,per ottenerne la rettifica.La
comunicazione va effettuata nei termini convenuti fra le parti,non superiori comunque a 13 mesi
dalla data di addebito o accredito del pagamento.

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Non è però necessario che l’ordine di eseguire il pagamento sia impartito direttamente dal
pagatore;questi può anche autorizzare il prestatore del servizio ad eseguire pagamenti su richiesta
proveniente dal beneficiario.
Utilizzatore e prestatore del servizio possono inoltre pattuire che l’ordine di pagamento,cioè di un
dispositivo personalizzato e/o di un insieme di procedure concordate.Sono strumenti di pagamento
le carte di credito trilaterali,il borsellino elettronico,il bancomat,ma anche i codici e le password per
disporre operazioni via internet,o telefono ecc.
In caso di smarrimento,furto,appropriazione indebita o uso non autorizzato dello strumento di
pagamento,deve comunicarlo senza indugio al prestatore del servizio,non appena venutone a
conoscenza.Ricevuta la denuncia,il prestatore del servizio deve impedire qualsiasi utilizzo dello
strumento di pagamento,perciò il cliente non risponde dei pagamenti non autorizzati avvenuti dopo.
In caso di furto o smarrimento dello strumento di pagamento il cliente può invece essere chiamato a
rispondere dell’utilizzo indebito dello stesso avvenuto prima della richiesta di blocco;però,se ha
agito senza dolo o colpa grave ed ha adottato le misure idonee a garantire la sicurezza dei
dispositivi usati,la responsabilità a suo carico è limitata ad un massimo di 150 euro.La Banca
d’Italia può inoltre con regolamento ridurre tale responsabilità dell’utilizzatore quando vengono
usati strumenti di pagamento particolarmente sicuri.
L’ordine di pagamento non è più revocabile dal pagatore dopo che è stato ricevuto dal prestatore del
servizio. Se l’operazione di pagamento deve essere avviata in un giorno convenuto,l’ordine si
intende ricevuto dal prestatore del servizio nella medesima giornata operativa concordata per
l’esecuzione,ed è revocabile entro la fine della giornata operativa precedente (artt.15 comma 2 e 16
d.lgs. 11/2010).Lo stesso vale pure per gli addebiti diretti da effettuare in un giorno convenuto:il
pagatore può revocare l’ordine di pagamento impartito dal beneficiario entro la giornata operativa
precedente l’esecuzione.
Il prestatore del servizi odi pagamento deve assicurare che l’importo dell’operazione venga
accreditato o messo a disposizione del beneficiario entro la fine della giornata operativa successiva
a quella in cui ha ricevuto l’ordine.
Per le date di valuta e di disponibilità delle somme valgono inoltre le regole del conto corrente
bancario.
Il prestatore di servizi del pagatore è responsabile della mancata o inesatta esecuzione dell’ordine di
pagamento ricevuto,salvo caso fortuito,forza maggiore o impedimenti derivanti da obblighi di
legge. Può liberarsi però dimostrando che il fatto è imputabile al prestatore di servizi del
beneficiario. In tale caso,quest’ultimo risponde nei confronti del proprio cliente e gli mette senza
indugio a disposizione l’importo del pagamento.
Nessuna responsabilità incombe ovviamente sul prestatore del servizio se il pagamento non è
andato a buon fine a causa di erronee indicazioni fornite dal cliente stesso.Tipico è il caso che nel
disporre un bonifico si indichino inesatte coordinate bancaria (cosiddetto identificativo unico) del
beneficiario. In questa circostanza,se il prestatore del servizio ha realizzato l’operazione
conformemente all’identificativo unico ricevuto,egli ha adempiuto correttamente i suoi obblighi,ed
è solo tenuto a compiere sforzi ragionevoli per cercare di recuperare i fondi oggetto del pagamento.

Le carte di credito.
Le carte di credito sono documenti (sotto forma di tessere) che consentono al titolare di acquistare
beni o servizi senza pagamento immediato del prezzo.
Esse costituiscono uno strumento convenzionale di pagamento,alternativo rispetto alla moneta ed
all’uso di assegni bancari,che consente al titolare di godere anche di una breve dilazione. Le carte di
credito possono essere distinte in due grandi categorie:carte bilaterali e carte trilaterali.

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Le carte di credito bilaterali sono rilasciate dalle stesse imprese fornitrici di beni o servizi (esempio,
grandi magazzini) e consentono di effettuare acquisti in tutti i punti di vendita dell’emittente,con
differimento del pagamento del prezzo.Le somme dovute sono infatti pagate periodicamente
dall’acquirente,previo invio da parte del fornitore di un estratto conto con l’indicazione dell’importo
dei singoli acquisti.Le carte di credito bilaterali,per la loro limitata utilizzabilità,sono escluse
dall’applicazione della disciplina generale dei servizi di pagamento (art.2 comma 2 d.lgs. 11/2010).
Più note e di gran lunga più diffuse sono le carte di credito trilaterali (esempio:Visa,Mastercard).
Esse sono emesse da imprese (in prevalenza società di emanazione bancaria) specializzate nella
gestione di tale servizio di pagamento.
L’emittente la carta di credito paga ai fornitori quanto loro dovuto dai titolari della carta per merci o
servizi acquistati;a scadenza periodiche si fa poi rimborsare da questi ultimi quanto pagato ai primi
per loro conto.Per il servizio reso percepisce un compenso sia dai fornitori (esercizi convenzionali)
sia dagli acquirenti (titolari della carta).

Le carte di credito trilaterali.


Il meccanismo della carte di credito trilaterali è reso possibile da una serie di convenzioni tipo che
l’emittente stipula preventivamente con fornitori (convenzione di abbonamento) e con gli
utilizzatori della carta (convenzione di rilascio).Con la convenzione di abbonamento l’esercizio
convenzionato si obbliga verso l’emittente a fornire ai titolari della carta i beni e servizi
richiestigli,senza pretendere il pagamento immediato.L’emittente a sua volta si obbliga a pagare al
fornitore il relativo importo,decurtato di una percentuale (diaggio) a titolo di compenso per il
servizio.
Il pagamento è effettuato dietro presentazione di un documento (nota di spesa o ordine di
pagamento), di regola firmato dal titolare della carta,nel quale sono riportati gli estremi
dell’operazione conclusa e della carta di credito (intestazione,numero,scadenza).
Con la convenzione di rilascio il titolare della carta è legittimato,dietro pagamento di un canone
annuo piuttosto modesto,ad un utilizzare la stessa per effettuare acquisti presso gli esercizi
convenzionati senza pagamento del prezzo.
L’emittente si obbliga infatti a pagare per conto del titolare gli importi corrispondenti,risultanti dalle
note di spesa inviategli dagli esercizi convenzionati.Il titolare a sua volta si obbliga a rimborsare
mensilmente all’emittente quanto pagato per suo conto,dietro invio dell’estratto conto del periodo.Il
rimborso da parte del titolare può avvenire con versamento diretto (mediante invio di assegno
bancario) o anche mediante addebito del relativo importo in un conto corrente bancario
preventivamente indicato dallo stesso.Con una specifica convenzione può essere inoltre pattuito un
rimborso rateale (cosiddette carte di credito revolving) ed in tal caso si instaura fra emittente e
titolare della carta anche un rapporto di finanziamento,per il quale trova applicazione la disciplina
del credito al consumo se il titolare è un consumatore.Il titolare rinuncia inoltre preventivamente a
far valere nei confronti dell’emittente qualsiasi eccezione fondata sul rapporto con i fornitori (vizi
della merce,ritardo della consegna ,ecc.)
Le convenzioni di base (emittente-fornitore ed emittente-titolare) diventano operanti nel rapporto
fornitore-acquirente con l’accettazione da parte del primo del regolamento del prezzo mediante
carte di credito.
L’ordine di pagamento impartito dal titolare all’emittente,con la sottoscrizione della nota di
spesa,attiva infatti il complesso degli effetti programmati nelle convenzioni di base e che possono
essere così costruiti:
a) l’emittente si sostituisce al titolare della carta ne pagamento del debito di questi verso il fornitore;

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b) il fornitore può richiedere il pagamento esclusivamente all’emittente poiché,accettando il


regolamento mediante carta,rinunzia al pagamento da parte dell’acquirente;
c) col pagamento l’emittente estingue il debito dell’acquirente verso il fornitore ed acquista il diritto di
conteggiare al titolare della carta il pagamento eseguito per suo conto;
d) il credito dell’emittente verso il titolare della carta diventa tuttavia esigibile solo a scadenze
periodiche (mensilmente),per effetto del differimento pattuito con la convenzione di rilascio.
Sono così ridotti i rischi degli spostamenti materiali di danaro,con vantaggio sia per gli esercizi
convenzionati sia per i titolari della carta.
D’altro canto,il rischio dell’emittente di non recuperare le somme anticipate è in parte coperto dai
compensi percepiti per il servizio.E’ inoltre ridimensionato sia dagli obblighi di comportamento
imposti agli esercizi convenzionati ed ai titolari per prevenire l’uso abusivo della carta,sanzionato
penalmente,sia dalla rinunzia del titolare a far valere nei suoi confronti qualsiasi eccezione tratta dai
rapporti col fornitore.

La moneta elettronica.
La moneta elettronica è un valore monetario rappresentato da un credito nei confronti
dell’emittente, memorizzato elettronicamente ed accettato come mezzo di pagamento da soggetti
diversi dall’emittente stesso (art.1 comma 2 tub modificato dal d.lgs.n.45/2012 in attuazione della
direttiva 2009/110/CE).
La sua emissione avviene dietro versamento da parte del richiedente dell’importo corrispondente,
più una commissione (fissa o in percentuale,a seconda degli accordi) per remunerare il servizio).
L’emittente carica quindi l’importo disponibile su una tessera di plastica dotata di banda magnetica
o microprocessore (cosiddetto borsellino elettronico),mediante la quale è possibile effettuare
pagamenti presso gli esercizi commerciale convenzionati.Presso questi ultimi è presente un apposito
apparecchio,denominato POS (point of sale),in grado di leggere la carta e scalare dalla disponibilità
della stessa l’importo dovuto.L’esercente comunica quindi all’emittente la quantità di moneta
elettronica accumulata dal POS,per ottenerne il pagamento (al netto di una commissione trattenuta
dall’emittente).
Il borsellino elettronico si differenzia dunque nettamente dalle carte di credito in quanto si tratta di
una carta prepagata.
In alternativa,la moneta elettronica può essere emessa senza il supporto materiale di una carta,e la
relativa disponibilità viene memorizzata in un computer o nel telefono cellulare del
richiedente,sotto forma di speciali documenti informatici recanti la firma digitale dell’emittente,che
possono essere trasferiti al destinatario del pagamento come se fossero banconote elettroniche.Tale
modalità di emissione viene impiegata per effettuare pagamenti via internet.
Il detentore della moneta elettronica può chiederne il rimborso in ogni momento al valore
nominale,entro l’ordinario termine decennale di prescrizione. Modalità e condizioni dell’esercizio
del diritto sono indicate nel contratto.Non è però consentito prevedere il pagamento di
commissioni,salvo che il rimborso sia chiesto anticipatamente oppure dopo che si trascorso più di
un anno dalla scadenza del contratto (art.126-novies tub).
Né è consentito all’emittente di pagare interessi sui fondi ricevuti a fronte dell’emissione della
moneta elettronica affinché l’istituto non venga impropriamente usato come strumento di deposito
del risparmio invece che come mezzo di pagamento.
L’emissione di moneta elettronica è riservata agli istituti di moneta elettronica (IMEL),nonché alle
banche,poste italiane e alcune pubbliche autorità (banca centrale europea,Stato italiano,ecc).
Gli IMEL sono società di capitali o cooperative iscritte in un apposito albo tenuto dalla Banca
d’Italia e soggette alla vigilanza della stessa.Per essi valgono regole organizzative e di

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funzionamento sostanzialmente coincidenti con quelle degli istituti di pagamento.Fra l’altro anche
per gli istituti di moneta elettronica opera la cosiddetta regola di segregazione dei fondi dei clienti:le
somme ricevute dalla clientela a fronte dell’emissione di moneta elettronica sono investite in attività
che costituiscono un patrimonio distinto da quello dell’IMEL.Non sono pertanto esposte alle azioni
esecutive dei creditori dell’istituto,ma solo a quelle dei creditori dei clienti nei limiti dell’importo
spettante a ciascun cliente.
Anche gli IMEL aderiscono al sistema di composizione stragiudiziale delle controversie con i
clienti gestito dall’Arbitro bancario finanziario.

CAPITOLO QUINDICESIMO:L’INTERMEDIAZIONE
MOBILIARE

A. I SERVIZI DI INVESTIMENTO.

I servizi di investimento comprendono una serie di attività che hanno per oggetto valori mobiliari ed
altri strumenti finanziari:compravendita degli stessi;collocamento sul mercato di nuove
emissioni;gestione di patrimoni mobiliari;raccolta di ordini di acquisto o di vendita.
Queste operazioni, particolarmente delicate per il carattere fiduciario del rapporto che si instaura
con i clienti,erano in passato svolte,oltre che dalla banche,da agenti di cambio,commissionari di
borsa,società fiduciarie,consulenti finanziari e così via.
Nel 1991 vi è l’introduzione di una specifica disciplina dell’attività di intermediazione mobiliare
(legge 1/1991) per migliorare l’efficienza dei mercati mobiliari e di tutelare gli investitori contro
negligenze,abusi e possibili frodi di quanti operano come intermediari in tali mercati.
A tal fine viene introdotta una nuova categoria di soggetti ai quali è riservato,con alcune
eccezioni,l’esercizio nei confronti del pubblico della relativa attività:le società di intermediazione
mobiliare (Sim).Sono inoltre introdotte specifiche regole di comportamento per tali
intermediari,volte ad assicurare la correttezza e la trasparenza dei rapporti con i clienti.
Nel volgere di pochi anni l’intera materia è stata ripetutamente riformata anche sotto la spinta delle
direttive comunitarie di armonizzazione del settore.La relativa disciplina è oggi collocata nel d.lgs.
58/1998 (tuf).
L’attuale normativa disciplina i servizi di investimento aventi ad oggetto strumenti finanziari
(azioni,obbligazioni e titoli del debito pubblico,cambiali finanziarie).Non sono considerati tali i
mezzi di pagamento come gli assegni.
Costituiscono servizi di investimento le seguenti attività quando hanno per oggetto strumenti
finanziari:
a) Negoziazione per conto proprio:vale a dire,l’attività di acquisto e vendita in proprio di strumenti
finanziari svolta nei confronti del pubblico con lo scopo di realizzare una differenza tra prezzo di
acquisto e prezzo di vendita. L’intermediario viene definito internalizzatore sistematico.
b) L’esecuzione di ordini per conto dei clienti;vale ad dire l’acquisto e la vendita per conto dei clienti
attuata attraverso contratti di commissione con o senza rappresentanza;
c) Collocamento sul mercato di strumenti finanziari di nuova emissione o già emessi;
d) Gestione di portafogli;
e) Ricezione e trasmissione di ordini nonché mediazione;
f) Consulenza personalizzata in materia di investimenti;

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g) Gestione di sistemi multilaterali di negoziazione;vale a dire,la gestione di mercati di strumenti


finanziari alternativi rispetto ai mercati regolamentati.
L’esercizio nei confronti del pubblico dei servizi di investimento è riservato alla Sim,alle banche ed
alle imprese di investimento estere.
Deroghe parziali sono tuttavia previste per gli intermediari finanziari non bancari,per le società di
gestione del risparmio,per le società di gestione di mercati regolamentati,per le società di
consulenza finanziaria e per i consulenti finanziari persone fisiche;nonché in via transitoria per le
società fiduciarie e per gli agenti di cambio.
Le società di intermediazione mobiliare devono essere costituite esclusivamente in forma di società
per azioni e la denominazione sociale deve comprendere le parole società di intermediazione
mobiliare.
Devono avere un capitale versato non inferiore a quello determinato in via generale dalla Banca
d’Italia. I soggetti che svolgono funzioni di amministrazione,direzione controllo devono possedere
specifici requisiti di onorabilità e professionalità nonché di idoneità ad assicurare una gestione sana
e prudente della Sim sono inoltre previsti per i soci che superano determinate percentuali del
capitale sociale.
Tutti questi requisiti costituiscono condizioni per ottenere dalla Consob,sentita la Banca d’Italia,
l’autorizzazione all’esercizio di uno o più servizi di investimento.Le società autorizzate sono iscritte
in un apposito albo tenuto dalla stessa Consob.
Le Sim sono soggette a revisione legale di conti secondo il regime degli enti di interesse pubblico.
Sono inoltre sottoposte alla vigilanza della Consob e della Banca d’Italia per assicurarne la
trasparenza e la correttezza dei comportamenti nonché la sana e prudente gestione. Entrambe sono
investite,nelle materie di rispettiva competenza,di ampi poteri regolamentari di informazione e di
ispezione nonché sanzionatori.
Le Sim in crisi sono soggette ad amministrazione straordinaria e liquidazione coatta amministrativa,
con esclusione del fallimento,secondo una disciplina che ricalca quella prevista per le banche.
Per tutelare i clienti delle Sim e degli altri soggetti abilitati a svolgere servizi di investimento,il
relativo esercizio è subordinato all’adesione ad un sistema di indennizzo degli investitori per il caso
di liquidazione coatta dell’intermediario,quale il Fondo nazionale di garanzia introdotto dalla legge
1/1991.Il Fondo è finanziato con i contributi degli intermediari aderenti.

Disciplina generale dei servizi di investimento.


Con la legge 1/1991 vi è l’introduzione di una disciplina generale dei servizi di investimento e dei
relativi contratti,volta ad assicurare la trasparenza e la correttezza dei rapporti con i clienti ed in
particolare a ridurre i rischi che gli stessi siano danneggiati da situazioni di conflitto di interessi
dell’impresa di investimento.
A tal fine sono fissate innanzitutto alcune regole generali di organizzazione e di comportamento che
gli intermediari devono osservare nella prestazione dei servizi di investimento.Gli intermediari
devono:
a) Comportarsi con diligenza,correttezza e trasparenza,per servire al meglio l’interesse dei clienti e per
l’integrità dei mercati;
b) Acquistare dai clienti le informazioni necessarie ed operare in modo che gli stessi siano sempre
adeguatamente informati;
c) Utilizzare comunicazioni pubblicitarie e promozionali corrette,chiare e non fuorvianti;
d) Disporre di risorse e procedure,anche di controllo interno,idonee ad assicurare l’efficiente
svolgimento dei servizi;

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e) Adottare ogni misura ragionevole per identificare i conflitti di interesse che potrebbero insorgere
con il cliente o fra clienti e gestire tali situazioni in modo da evitare che incidano negativamente
sull’interesse dei clienti;
f) Svolgere una gestione indipendente,sana e prudente e adottare misure idonee a salvaguardare i
diritti dei clienti sugli strumenti finanziari e sul denaro affidato.
La Consob,sentita la banca d’Italia,ha tuttavia il potere di graduare i doveri di condotta degli
intermediari nei confronti dei clienti in relazione alla qualità,all’esperienza e quindi alle diverse
esigenze di tutela di questi ultimi.A tal fine gli investitori sono classificati in 3 categorie:clienti al
dettaglio,clienti professionali e controparti qualificate.
Clienti al dettaglio sono,in via residuale tutti i clienti che non siano qualificati come clienti
professionali o controparti qualificate.I clienti al dettaglio non si presumono in possesso di una
specifica competenza finanziaria tale da consentire agli stessi di effettuare da soli una corretta
valutazione dei rischi e scelte di investimento consapevoli.La disciplina secondaria della Consob
impone pertanto obblighi di informazione particolarmente estesi e rigorosi a carico degli
intermediari prima,durante e dopo la presentazione del servizio.L’intermediario è tenuto a verificare
che il cliente sia in condizione di prendere i rischi che lo specifico strumento finanziario o il
servizio di investimento comportano (cosiddetto test di appropriatezza),deve verificare che le
operazioni consigliate o da realizzare siano adeguate rispetto agli obiettivi di investimento e alla
capacità finanziaria del cliente (cosiddetto test di adeguatezza).L’intermediario è esonerato da tali
valutazioni (adeguatezza,appropriatezza) solo quando si limita alla mera ricezione e esecuzione
degli ordini impartiti dai clienti,nei casi in cui la normativa Consob lo permette per operazioni su
strumenti finanziari non complessi (esempio:acquisto o vendita di azioni quotate).Nessuna tutela
potrà perciò invocare in quest’ultimo caso il cliente al dettaglio che abbia ordinato un investimento
non adatto o rovinoso.
Clienti professionali sono per contro investitori appartenenti alla categorie individuate dalla
Consob per i soggetti privati dal Ministro dell’economia e delle finanze per quelli pubblici che si
presumono in possesso del livello di conoscenza ed esperienza necessarie a comprendere i rischi
connessi al servizio finanziario da prestare.Gli obblighi di informazione dell’intermediario sono
pertanto significativamente ridotti né è richiesta una specifica valutazione dell’appropriatezza del
servizio.
Controparti qualificate sono infine i soggetti appartenenti alle categorie individuate dalla legge
(banche,intermediari,finanzieri e mobiliari,Stati,banche centrali,ecc) normalmente in possesso di
elevata esperienza e competenza in campo finanziario.Nei loro confronti pertanto si disapplica quasi
per intero la disciplina dei doveri dell’intermediario verso la clientela,fatta eccezione in particolare
dalle norme in tema di conflitto di interessi.
Gli intermediari possono di loro iniziativa o su richiesta del cliente attribuire allo stesso una
qualifica che comporta una maggiore tutela rispetto a quella che astrattamente gli spetterebbe
(esempio:trattare un cliente professionale come cliente al dettaglio).Non possono di regola fare
l’inverso,salvo in casi particolari fissati dalla Consob previa richiesta dello stesso cliente e
comunque sulla base di adeguata valutazione della sua competenza da parte dell’intermediario.
L’intermediario deve in ogni caso comunicare al cliente per iscritto (o su altro supporto duraturo) la
qualifica che gli viene riconosciuta.
Altro principio generale è che tutti i contratti con clienti al dettaglio relativi al servizio di
investimento devono essere redatti in forma scritta a pena di nullità,salvo quelli di
consulenza;nullità che però può essere fatta valere solo dal cliente. Una copia del contratto deve
essere consegnata allo stesso. E’ invece opinione prevalente e corretta che la violazione degli

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obblighi di condotta dell’intermediario nella fase precontrattuale rileva ai fini del risarcimento danni
ma di regola non comporta nullità del contratto.
Sempre per tutelare gli investitori,è sancita la nullità relativa a delle clausole di rinvio agli usi per la
determinazione del corrispettivo dovuto dal cliente e per ogni altro onere a suo carico. In tali casi
nulla è dovuto,l’attuale disciplina fissa per tutti i servizi di investimento il principio che gli
strumenti finanziari e il denaro dei singoli clienti costituiscano patrimonio distinto a tutti gli effetti
da quello dell’intermediario e degli altri clienti.Sullo stesso non possono agire i creditori
dell’intermediario o dell’eventuale depositario o sub-depositario del denaro e degli strumenti
finanziari. Le azioni dei creditori dei singoli clienti sono ammesse nei limiti del patrimonio di loro
proprietà. Salvo consenso scritto del cliente,l’impresa di investimento non può utilizzare l’interesse
proprio o di terzi il denaro e gli strumenti finanziari di pertinenza dei clienti detenuti a qualsiasi
titolo.
Nell’offerta al pubblico nei servizi fuori sede,le Sim e gli altri soggetti autorizzati devono avvalersi
esclusivamente dell’opera di promotori finanziari e scritti in un apposito albo tenuto da un
organismo costituito dalle associazioni professionali di categoria,previo accertamento dei requisiti
di onorabilità e di professionalità stabiliti dal Ministero dell’economia e delle finanze.L’attività di
questa figura di consulenti finanziari può essere svolta esclusivamente nell’interesse di un solo
soggetto. Questi è responsabile in solido degli eventuali danni arrecati a terzi dai promotori di cui si
avvale,anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale.
I promotori finanziari possono essere ausiliari autonomi o subordinati e devono osservare nei
rapporti con la clientela le regole di presentazione e di comportamento stabile dalla Consob. Viene
riconosciuta la qualifica di imprenditore commerciale al promotore che opera a proprio rischio con
autonoma organizzazione. La Consob esercita nei confronti dei promotori poteri regolamentari,di
controllo ed eroga le relative sanzioni amministrative (che possono arrivare fino alla radiazione
dall’albo).L’opposizione contro i relativi provvedimenti sanzionatori va proposta davanti alla Corte
d’appello.
L’efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari conclusi fuori sede è sospesa per 7
giorni dalla data di sottoiscrizione da parte dell’investitore. Termine entro il quale il cliente può
recedere liberamente senza oneri (diritto di ripensamento).Tale facoltà deve essere espressamente
indicata nei moduli o formulari consegnati dall’investitore,pena la nullità parziale del contratto
rilevabile solo dal cliente.
E’ consentita anche la promozione e il collocamento a distanza con tecniche di comunicazione che
non comportano la presenza contemporanea del cliente e del soggetto offerente (telefono,fax,
internet).La Consob,sentita la Banca d’Italia,provvede alla relativa regolamentazione. Inoltre,
quando il cliente agisce per fini non professionali,trovano applicazione gli artt.67-bis ss. cod.cons.
in tema di commercializzazione a distanza dei servizi finanziari nei confronti dei consumatori. Fra
l’altro,in base al codice del consumo il termine entro cui il consumatore può recedere dal contratto
commercializzato a distanza è di regola maggiore:il diritto di ripensamento può essere esercitato
entro 14 giorni,pagando il servizio fornito prima del recesso ma senza penali.
Infine,nei giudizi per il risarcimento dei danni prodotti nello svolgimento dei servizi spetta
all’intermediario provare di aver agito con la specifica diligenza richiesta. Per favorire la
risoluzione extra giudiziale delle liti fra investitori ed intermediari relative alla violazione dei doveri
di comportamenti da parte di questi ultimi e istituiti presso la Consob una camera di conciliazione
ed arbitrato (d.lgs. n.179/2007 e reg. Consob n.18310/2012).
E’ prevista infine l’istituzione di un fondo di Garanzia per i risparmiatori gestito dalla Consob,allo
scopo di indennizzare i clienti non professionali in caso di condanna definitiva dell’intermediario

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per violazione dei doveri di comportamento nella presentazione di servizi finanziari. Dopo aver
pagato,il Fondo si rivale nei confronti dell’intermediario responsabile del danno.

La gestione di portafogli.
Fra i servizi di investimento una specifica disciplina legislativa oltre che regolamentare è dettata per
la gestione di portafogli di investimento (o patrimoni mobiliari),che continua ad essere svolta anche
dalle società fiduciarie e può essere svolta anche dalle società di gestione del risparmio.Con talee
operazione il cliente affida all’intermediario una determinata somma di denaro poiché investa in
strumenti finanziari secondo modelli standardizzati.Gli strumenti finanziari sono acquistati in nome
e per conto del cliente (mandato con rappresentanza) e detenuti in deposito regolare
dall’intermediario, o ,previo consenso scritto del cliente,in nome proprio e per conto del cliente
(mandato senza rappresentanza).Essi sono poi gestiti attraverso successive operazioni di
investimento e disinvestimento,tese ad incrementare il valore del patrimonio mobiliare.I criteri di
gestione fissati nel mandato inizialmente conferito dall’intermediario,possono prevedere una
discrezionalità più o meno ampia dello stesso per quanto riguarda le singole operazioni da
compiere.
Il contratto stipulato con un cliente al dettaglio deve essere redatto in forma scritta a pena di nullità
e deve specificare una serie di danni stabiliti dalla Consob con proprio regolamento e, in
particolare,le categorie di strumenti finanziari nelle quali può essere investito il patrimonio gestito e
la tipologia di operazioni che l’intermediario può effettuare.Devono essere individuati gli obiettivi
della gestione ed il livello di rischio entro il quale l gestore può operare la propria discrezione. Al
riguardo, il contratto deve anche indicare se l’intermediario può utilizzare la cosiddetta leva
finanziaria: se può cioè assumere obbligazioni per conto dell’investitore che lo impegnano per
importo eccedente il patrimonio,affidato in gestione e ciò al fine di evitare che lo stesso resti
esposto a perdite non prevedibili. Deve infine indicarsi se l’intermediario può delegare l’esecuzione
dell’incarico ricevuto da altri soggetti autorizzati alla presentazione dello stesso servizio.Il cliente
può sempre impartire istruzioni vincolanti sulle operazioni da effettuare e deve poter recedere dal
contratto in ogni momento. Se il contratto è concluso fuori sede o con tecniche di comunicazione a
distanza,al cliente è riconosciuto il diritto di ripensamento.E’ nullo ogni patto che deroghi a tale
disciplina e la nullità può essere fatta valere solo dal cliente.
Il patrimonio conferito in gestione dal singolo cliente costituisce a tutti gli effetti patrimonio
separato da quello dell’impresa di investimento e degli altri clienti.

B. GLI ORGANISMI DI INVESTIMENTO COLLETTIVO

Gli organismi di investimento collettivo sono organismi con diversa forma giuridica che investono
in strumenti finanziari o in altre attività il denaro raccolto fra il pubblico dei risparmiatori operando
secondo criteri di gestione fondati sul principio della ripartizione dei rischi.
Con la gestione in onte,essi offrono ai risparmiatori uno strumento alternativo di investimento più
sicuro e conveniente rispetto all’investimento diretto,spesso scoraggiato dalla mancanza di
conoscenze tecniche e dal rischio elevato.Consentono infatti una gestione di massa del risparmio
raccolto;consentono inoltre di attenuare i rischi dell’investimento azionario attraverso un’opportuna
composizione e diversificazione del portafoglio titoli.Consentono infine un pronto disinvestimento
dell’organismo collettivo è di tipo aperto;permettono cioè di ottenere in ogni momento il rimborso
del capitale.

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Gli organismi di investimento collettivo del risparmio (Oicr) possono assumere nel nostro
ordinamento due diverse forme giuridiche:fondi comuni di investimento e società di investimento a
capitale variabile (Sicav).
In entrambe le configurazioni è presente una società per azioni che ha per oggetto l’investimento
collettivo del risparmio raccolto secondo il principio della ripartizione dei rischi.Nettamente diverso
è però il rapporto che si instaura fra tale società e la massa degli investitori.
Nei fondi comuni gli investitori (partecipanti al fondo) non diventano soci della società (società di
gestione) che provvede all’investimento collettivo.Le somme versate dagli investitori e le attività in
cui le stesse sono investite costituiscono infatti un patrimonio autonomo da quello della società di
gestione che lo amministra.Gl investimenti ricevono come corrispettivo delle somme versate quote
di partecipazione al fondo e non azioni della società di gestione.
I fondi comuni di investimento possono essere di tipo aperto o di tipo chiuso.Nei primi i
partecipanti possono ottenere in ogni momento il rimborso delle quote di partecipazione.Nei
secondi invece il diritto di rimborso è riconosciuto solo a scadenze predeterminate.
Le società di investimento a capitale variabile (Sicav) sono invece organismi di investimento
collettivo in forma di società per azioni nei quali l’investimento da parte dei risparmiatori avviene
attraverso la sottoscrzione delle azioni emesse da tale società.Non si costituisce quindi un
patrimonio separato ed è lo stesso patrimonio della società,di cui gli investitori sono soci,ad essere
investito in strumenti finanziari o altri beni.
In Italia la disciplina degli organismi di investimento collettivo,eccezion fatta per i fondi pensione,è
confluita nel tuf del 1998.
L’attuale disciplina riserva alla società di gestione del risparmio (Sgr) ed alle Sicav la prestazione
del servizio di gestione collettiva del risparmio.
Tale è il servizio che si realizza attraverso lo svolgimento anche di una sola delle seguenti attività:
1) La promozione,istituzione ed organizzazione di fondi comuni di investimento e l’amministrazione
dei rapporti con i partecipanti;
2) La gestione del patrimonio di fondi comuni di investimento o di Sicav,di propria o di altrui
istituzione,mediante l’investimento avente ad oggetto strumenti finanziari,crediti,o altri beni mobili
o immobili.
Il tuf si limita a fissate i punti fondamentali della disciplina base comune a tutti i fondi. Rinvia
invece alla normativa regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze la definizione di
una serie di ulteriori profili normativi.

Fondi comuni di investimento.


La legge delinea per i fondo comuni di investimento una complessa struttura organizzativa,ispirata
dalla finalità di tutelare i risparmiatori che optano per tale forma di investimento collettivo.
I profili fondamentali possono essere così fissati:
a) Il fondo comune di investimento è un fondo istituito e gestito nell’interesse dei partecipanti da
società specializzate in tale attività e dotate di specifici requisiti (società di gestione del risparmio);
b) Il fondo comune è un patrimonio autonomo di pertinenza di una pluralità di partecipanti,gestito in
monte;
c) Le somme versate dai partecipanti sono investite dalla società di gestione in strumenti
finanziari,crediti o altri beni mobili o immobili,secondo quanto specificato da un apposito
regolamento del fondo;
d) Gli strumenti finanziari e le disponibilità liquide sono custoditi presso una banca (banca
depositaria),che provvede anche ad eseguire le operazioni decise dalla società di gestione;
e) Le quote di partecipazione al fondo sono tutte di uguale valore e attribuiscono uguali diritti;

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f) La gestione del fondo è sottoposta ad una serie articolata di controlli affidati a soggetti
diversi:banca depositari,revisore legale dei conti,Banca d’Italia e Consob;
L’attuale disciplina rimette invece integralmente alla normativa regolamentare del Ministro
dell’economia e delle finanza e della Banca d’Italia (regolamento 2012) l’individuazione dei tipi di
fondi consentiti.
Al riguardo la distinzione di base è quella fra fondi aperti e fondi chiusi.
Nei fondi aperti,che sono i più diffusi,gli investitori possono sottoscrivere in ogni momento quote
del fondo,il cui ammontare non è perciò predeterminato al momento della sua istituzione.Nel
contempo,i partecipanti hanno diritto di chiedere,in ogni momento,il rimborso delle quote secondo
le modalità previste dalle regole di funzionamento del fondo.
Per far fronte alle continue richieste di rimborso,il patrimonio dei fondi aperti può essere investito
esclusivamente in strumenti finanziari quotati e non quotati e in depositi bancari di denaro ( fondi
mobiliari), col rispetto dei limiti e dei criteri fissati della Banca d’Italia.
I fondi aperti sono poi distinti in fondi armonizzati e fondi non armonizzati.
Il patrimonio dei fondi aperti armonizzati è investito esclusivamente in strumenti finanziari previsti
dalle direttive comunitarie in materia e con l’osservanza dei criteri e dei limiti stabiliti in guttazione
delle stesse.Le loro quote possono essere perciò commercializzate nel territorio dell’Unione europea
in regime di mutuo riconoscimento.
I fondi aperti non armonizzati sono quelli che non si conformano alle direttive comunitarie in
materia,restando assoggettati solo alla più permissiva normativa regolamentare nazionale. Non
possono perciò godere del mutuo riconoscimento. Ad esempio a differenza dei fondi armonizzati i
fondi non armonizzati possono investire e sia pure entro determinati limiti in fondi speculativi.
Per le esigenze di liquidità che li caratterizzano i fondi aperti non consentono di convogliare il
risparmio verso l’investimento in imprese societarie non quotate i cui titoli (azioni e obbligazioni)
non sono di pronto e facile realizzo,né verso l’investimento in immobili perché si tratta di
investimenti che per essere redditizi richiedono un immobilizzo delle somme impiegate per un
periodo di tempo più o meno lungo.
Da qui l’origine dei fondi di investimento chiusi,che si caratterizzano per il fatto che i partecipanti
non hanno la libertà di entrata e di uscita propria dei fondi aperti.
L’ammontare del fondo è infatti predeterminato al momneto della sua istituzione deve essere
raccolto mediante una o più emissioni di quote di partecipazione che devono essere sottoscritte
entro il termine massimo di 24 mesi.Nel contempo il diritto di rimborso delle quote viene
riconosciuto ai partecipanti solo a scadenze predeterminate.I fondi chiusi non possono comunque
avere durata superiore a 50 anni,prorogabile per non più di altri 3 per consentire lo smobilizzo degli
investimenti.
E’ obbligatorio adottare la forma del fondo chiuso quando il patrimonio è investito in:
a) Beni immobili,diritti reali immobiliari,partecipazioni in società e fondi immobiliari;
b) Crediti e titoli rappresentativi di crediti;
c) Altri beni,diversi dai precedenti e dagli strumenti finanziari,per il quali tuttavia esiste un mercato ed
avviano un valore determinabile con certezza,con periodicità almeno semestrale. La forma del
fondo chiuso è inoltre obbligatoria quando il patrimonio è investito in misura superiore al 10% in
strumenti finanziari non quotati diversi da quote di altri organismi di investimento collettivo.
A differenza dei fondi aperti,l’organizzazione dei fondi chiusi prevede la costituzione di
un’assemblea dei partecipanti,per deliberare con proposte dalla società di gestione sulla richiesta di
ammissione a quotazione delle quote,sulla modifica della società di gestione e sulle altre materie
attribuite alla sua competenza dal regolamento del fondo.

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L’assemblea delibera a maggioranza assoluta e con il voto favorevole di tanti partecipanti che
rappresentino almeno il 30 % del valore delle quote in circolazione.
Si tratta in definitiva di uno strumento di investimento che,per i lunghi tempi di realizzo e per gli
elevati rischi,appare poco adatto ai piccoli risparmiatori,sicchè dovrebbero essere soprattutto gli
investitori istituzionali a partecipare a questo tipo di fondi.Ma l’istituto ha avuto fin qui limitato
successo.
La normativa regolamentare prevede infine tre particolari categorie di fondi aperti o chiusi:i fondi
riservati,i fondi speculativi e i fondi garantiti.
I fondi riservati sono fondi ai quali possono partecipare solo investitori qualificati,quali individuati
dalla stessa normativa regolamentare.
La particolare esperienza che caratterizza gli investitori consente di prevedere per tali fondi criteri
di gestione che si discostano dalle regole prudenziali fissate in via generale dalla Banca
d’Italia,fermo restando però che i beni oggetto dell’investimento possono essere solo quelli previsti
per la generalità dei fondi,
Anche quest’ultima limitazione cade invece nei fondi speculativi.Risulta così ulteriormente
accentuata la rischiosità del relativo investimento.
Perciò,tali fondi,a differenza di quelli riservati,non possono essere oggetto di offerta pubblica (ma
non sono riservati a investitori qualificati);inoltre,per scoraggiare l’investimento da parte dei piccoli
risparmiatori,l’ammontare minimo della sottoscrizione iniziale è particolarmente elevato (500 mila
euro).
All’opposto,i fondi garantiti sono fondi che si attengono alle regole prudenziali di gestione fissate
dalla Banca d’Italia ed inoltre garantiscono la restituzione del capitale investito e/o riconoscono un
rendimento minimo,mediante la stipula di apposite convenzioni con una banca,un’assicurazione,
imprese di investimento o intermediari finanziari soggetti a vigilanza prudenziale.Si tratta pertanto
di fondi destinati ad investitori con bassa propensione al rischio, disposti a sopportare il costo della
garanzia con un minore redditività dei propri investimenti.

Istituzione del fondo.Partecipanti.


L’iniziativa per l’istituzione dei fondi comuni di investimento è riservata alla società di gestione del
risparmio.
Tali società (Sgr) devono essere costituite in forma di società per azioni e sono assoggettate ad una
disciplina speciale che sostanzialmente coincide con quella prevista per le società di
intermediazione mobiliare.
Le Sgr rispondenti ai requisiti fissati per legge devono essere preventivamente autorizzate allo
svolgimento dell’attività dalla Banca d’Italia,sentita la Consob.Le società autorizzate sono in
apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia e sottoposte alla vigilanza della stessa e della Consob.
In base all’attuale disciplina le Sgr,oltre a promuovere e gestire fondi propri,possono anche :
a) Prestare il servizio di gestione di portafogli di investimento;
b) Prestare attività di consulenza in materia di investimenti;
c) Istituire e gestire fondi pensione;
d) Commercializzare fondi di terzi o azioni di Sicav;
e) Gestire,per delega,fondi comuni istituiti da altre società di festione o patrimoni di Sicav.
E’ perciò oggi possibile che Sgr si limiti a istituire uno più fondi e ad amministrare i rapporti con i
partecipanti (società promotrice),delegando ad altra Sgr (gestore)l’attività di gestione.
Per ogni fondo istituito la società promotrice deve contestualmente predisporre un apposito
regolamento soggetto all’approvazione della Banca d’Italia,al arti delle modificazioni dello stesso.

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Il regolamento determina le caratteristiche del fondo e ne disciplina il funzionamento.Indica inoltre


la società promotrice,il gestore,se diverso dalla società promotrice,e la banca depositaria definendo
la ripartizione dei compiti fra tali soggetti;regola inoltre i rapporti tra gli stessi e i partecipanti al
fondo.
In particolare,il regolamento deve stabilire:
1) La denominazione e la durata del fondo;
2) Le modalità di partecipazione al fondo,i termini e le modalità dell’emissione e dell’estinzione dei
certificati e della sottoscrizione e rimborso delle quote,nonché le modalità di liquidazione del fondo;
3) Gli organi competenti per le scelte d investimento e i criteri di ripartizione degli investimenti
medesimi;
4) Tipo di beni,di strumenti finanziari e di altri valori in cui è possiible investire il patrimonio del
fondo;
5) I criteri di determinazione dei proventi e dei risultati della gestione,specificando in particolare se
questi saranno integralmente reinvestiti nel fondo (fondi ad accumulazione) oppure distribuiti in
tutto o in parte;
6) Le spese a carico del fondo e quelle a carico della società di gestione;
7) La misura e i criteri di determinazione delle provvigioni spettanti alla società di gestione e degli
oneri a carico dei partecipanti;
8) Le modalità di pubblicazione del valore delle quote di partecipazione.
Al fondo si partecipa con la sottoscrizione di una o più quote emesse dalla società di gestione,il cui
valore deve essere integralmente versato.Le quote di partecipazione sono tutte di ugual valore ed
attribuiscono uguali diritti.Sono rappresentate da certificati nominativi o al portatore secondo
quanto previsto nel regolamento.
La circolazione delle quote di partecipazione è tuttavia rara nei fondi di tipo aperto.I partecipanti
possono infatti chiedere in ogni momento il rimborso delle quote al prezzo corrente,determinato
dalla società di gestione con periodicità almeno settimanale e pubblicato sui giornali indicati nel
regolamento del fondo.Il rimborso,salvo casi eccezionali,deve avvenire entro 15 giorni dalla
richiesta,tramite la banca depositaria.
Nei fondi chiusi invece i partecipanti hanno diritto di richiedere il rimborso delle quote solo a
scadenze predeterminate. Prima di tali scadenze possono perciò realizzare il valore delle quote solo
alienandole. Tuttavia,per facilitare lo smobilizzo la società di gestione deve chiedere l’ammissione
dei certificati di partecipazione alle negoziazioni di un mercato regolamentato,quando l’ammontare
minimo della sottoscrizione è inferiore a 25 mila euro.

Natura del fondo. Gestione. Controlli.


Le somme versate dai partecipanti,i titoli,le altre attività con le stesse acquistate costituiscono il
patrimonio del fondo comune.Il regolamento del fondo può anche articolare il patrimonio in
comparti,in base alle caratteristiche dei beni nei quali dovranno essere investite le risorse finanziarie
ed alle relative strategie di investimento.
Per legge,ciascun fondo comune di investimento,o ciascun comparto di uno stesso fondo,costituisce
patrimonio autonomo,distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di festione del risparmio
e da quello di ciascun partecipante,nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società.
Su tale patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori della societò gerente o della banca
depositaria.I creditori dei singoli partecipanti a loro volta possono agire solo sulle quote di
partecipazione dei medesimi.
Il fondo gode perciò di una piena e perfetta autonomia patrimoniale.
Ci si domanda tuttavia chi sia il proprietario del patrimonio del fondo.

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La soluzione prevalente,condivisa anche dalla Cassazione,è quella del patrimonio autonomo della
società di gestione.
La società di gestione è per legge investita del potere di decidere tutti gli atti di amministrazione e
di disposizione del patrimonio del fondo,senza alcuna possibilità di ingerenza da parte degli
investitori.E’ altrettanto certo però che essa deve provvedere alla gestione nell’interesse dei
partecipanti.
La società di gestione deve inoltre osservare le seguenti regole generali di comportamento:
a) Operare con diligenza,correttezza e trasparenza nell’interesse dei partecipanti al fondo e
dell’integrità del mercato;
b) Organizzarsi in modo da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse anche tra i patrimoni
gestiti e,in situazioni di conflitto,assicurare comunque agli stessi un equo trattamento;
c) Adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei partecipanti ai fondi,ed in particolare disporre di
risorse e procedure adeguate per assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi.
La società di gestione inoltre esercita nell’interesse (esclusivo) dei partecipanti i diritti di voto
inerenti gli strumenti finanziari di pertinenza dei fondi gestiti. Se il gestore è diverso dalla società
promotrice,l’esercizio dei diritti di voto spetta al gestore,salvo patto contrario.
La società di gestione è tenuta ad osservare nelle operazioni di investimento una serie articolata di
divieti e di limiti fissati dalla Banca d’Italia alfine di assicurare il contenimento ed il frazionamento
del rischio. Divieti e limiti in parte comuni a tutti i fondi e in parte diversamente articolati a seconda
dell’oggetto dell’investimento e della natura aperta o chiusa del fondo.
Sanzioni amministrative pecuniarie sono previste a carico degli amministratori che violano le
relative disposizioni.
Da esigenze di tutela degli investitori è ispirata anche la presenza di una banca depositaria,alla quale
deve essere affidata la custodia degli strumenti finanziari e delle disponibilità liquide del fondo.
La banca depositaria funge anche da tramite necessario per l’esecuzione di tutte le operazioni
disposte dalla società di gestione.E’ così operata una divisione di compiti (la società decide,banca
depositaria detiene i valori ed attua le decisioni della prima) che consente di prevenire possibili
abusi.
La banca depositaria è infatti tenuta ad accertare che le operazioni disposte dalla società di gestione
siano conformi alla legge,al regolamento ed alle prescrizioni degli organi di vigilanza e,in caso di
violazione,può rifiutarsi di eseguire le istruzioni della società di gestione.
Nell’esercizio delle proprie funzioni deve agire in modo indipendente e nell’interesse dei
partecipanti.
Per garantire la trasparenza dell’attività del fondo,la società di gestione deve redigere particolari
scritture contabili del fondo:libro giornale del fondo,rendiconto annuale della gestione del fondo,
relazione semestrale,prospetto del valore unitario delle quote di partecipazione e del valore
complessivo dei fonti aperti con periodicità almeno pari all’emissione o rimborso delle quote.
La contabilità della società di gestione e quella del fondo comune sono soggette a revisione legale
dei conti.Il revisore o la società di revisione deve rilasciare distinti giudizi per il bilancio della
società di gestione e per il rendiconto del fondo comune.
La società di gestione è infine sottoposta al controllo della Banca d’Italia e della Consob.
La prima è investita di ampi poteri regolamentari e di vigilanza per assicurare la regolarità della
gestione e la stabilità patrimoniale del fondo.In particolare,sentita la Consob,fissa le norme
prudenziali di contenimento e di frazionamento del rischio.La Consob è competente per quanto
riguarda la trasparenza e la correttezza dei comportamenti nei confronti degli investitori.

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La società promotrice ed il gestore assumono solidalmente verso i partecipanti gli obblighi e le


responsabilità del mandatario.Ciascun partecipante può perciò ottenere il risarcimento dei danni
arrecati al fondo comune per male gestio.
Anche la banca depositaria è responsabile nei confronti della società di gestione e dei partecipanti al
fondo per ogni pregiudizio da essi subito in conseguenza dell’inadempimento dei propri obblighi.

Fondi pensione.
I fondi pensione costituiscono forme di previdenza complementare collettiva di natura privata ora
disciplinate dal d.lgs. n.252/2005,per l’erogazione ai lavoratori liberi professionisti di trattamenti
pensionistici integrativi di quelli corrisposti dal sistema obbligatorio pubblico.La loro costituzione
può essere prevista dagli accordi collettivi di lavoro,da accordi fra lavoratori autonomi o dai
regolamenti di enti o imprese,che individuano anche le categorie di lavoratori alle quali è riservata
la partecipazione (fondi chiusi).
I fondi pensione chiusi possono essere costituiti sotto forma di associazione riconosciuta o non
riconosciuta (fondi esteri),oppure come patrimonio di destinazione separato dell’ente che lo
istituisce (fondi interni).
L’esercizio dell’attività dei fondi pensione deve essere autorizzata da un’apposita commissione di
vigilanza (Covip).I fondi autorizzati sono iscritti in un albo tenuto dalla medesima autorità.I fondi
pensione sono finanziati con contributi dei datori di lavoro e dei lavoratori che vi aderiscono.Con la
riforma del 2005,i lavoratori dipendenti possono conferirvi anche il trattamento di fine rapporto
(TFR); e per agevolare lo sviluppo di questa forma di previdenza complementare opera un
meccanismo di silenzio-assenso in tal senso.
Il loro patrimonio è investito in valori mobiliari o altre attività finanziarie rispettando i criteri di
ripartizione dei rischi fissati dalla legge e dal Ministro dell’economia e delle finanze.
Il fondo può però procedere direttamente solo alla sottoscrizione o all’acquisto di partecipazioni in
società immobiliari e di quote di fondi comuni di investimento chiusi.La gestione degli altri
investimenti deve essere invece affidata a intermediari specializzati,attraverso la stipula di apposite
convenzioni con le quali sono fissati i criteri generali di gestione del fondo pensione.
Salvo diverso accordo,i fondi pensione rimangono titolari dei valori e delle disponibilità conferiti in
gestione,che in ogni caso costituiscono patrimonio separato ed autonomo da quello del gestore.
Le risorse dei fondi affidate in gestione devono essere depositate presso una banca distinta dal
gestore,che provvede ad eseguire le istruzioni impartite da quest’ultimo.
I soggetti abilitati alla gestione di un fondo pensione possono essere autorizzati a costituire appositi
fondi aperti,ai quali possono aderire tutti i lavoratori,compresi quelli appartenenti a categorie per le
quali sono stati istituiti fondi pensione chiusi.
Ai fondi pensione costituiti in forma di associazione si applica la disciplina dell’amministrazione
straordinaria e della liquidazione coatta amministrativa prevista per le banche,con esclusione del
fallimento.Se la società o l’ente che ha costituito un fondo interno sono sottoposti a procedura
concorsuale o cessa l’attività,il Ministro del lavoro e della previdenza sociale nomina un
commissario straordinario incaricato dello scioglimento e della liquidazione del fondo.I lavoratori
possono optare per l’adesione ad un fondo aperto.

Le società di investimento a capitale variabile.


Le società di investimento a capitale variabile (Sicav),disciplinate dal tuf (artt.43-50),sono società
per azioni che hanno per oggetto esclusivo l’investimento collettivo in strumenti finanziari del
patrimonio raccolto mediante l’offerta al pubblico di proprie azioni.

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L’attività svolta da tali società coincide con quella dei fondi comuni di investimento aperti.Diversa
però è la struttura giuridica.
Agli investitori sono infatti offerte azioni della stessa società e non certificati di partecipazione ad
un fondo costituente patrimonio separato da quello della società.Gli investitori diventano perciò
azionisti della Sicav e le somme dagli stessi versate entrano a far parte del patrimonio della società
aumentandone il capitale sociale.Nel contempo,il disinvestimento,possibile in ogni momento,
avviene mediante recesso dalla società,con conseguente rimborso del valore delle azioni e riduzione
del capitale.
La Sicav si differenzia perciò da una comune società per azioni per il fatto che è una società a
capitale variabile:è possibile l’ingresso e l’uscita dei soci senza che le corrispondenti variazioni del
capitale sociale comportino una modifica dell’atto costitutivo.Le Sicav sono assoggettate ad una
disciplina speciale che in più punti deroga a quella di diritto comune della società per azioni.
La costituzione delle Sicav deve essere preventivamente autorizzata dalla Banca d’Italia,sentita la
Consob.Ai fini dell’autorizzazione è fra l’altro richiesto un capitale sociale inizale non inferiore a
quello stabilito in via generale dalla Banca d’Italia (allo stato,un milione di euro).Le Sicav
autorizzate sono iscritte in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia.
Il capitale sociale iniziale deve essere interamente versato dai soci fondatori all’atto della
costituzione. Non sono ammessi conferimenti in natura.
Lo statuto delle Sicav deve contenere indicazioni sui criteri di svolgimento dell’attività di
investimento analoghe a quelle previste per il regolamento dei fondi comuni.La Banca d’Italia ne
attesta la conformità alle prescrizioni di legge e di regolamento ed ai criteri generali dalla stessa
fissati.Di conseguenza,le modifiche dello statuto devono essere preventivamente approvate dalla
stessa Banca d’Italia.
Anche le Sicav sono tenute a designare la banca presso la quale devono essere depositati gli
strumenti finanziari e le disponibilità liquide della società;banca alla quale è estesa la disciplina
prevista per la banca depositaria nei fondi comuni.
Le Sicav sono caratterizzate dalla variabilità del capitale sociale.Infatti,il capitale di una Sicav è
sempre uguale al patrimonio netto detenuto dalla società,valutato secondo i criteri fissati dalla
Banca d’Italia.Non si applica perciò alle Sicav la disciplina di diritto comune delle società per
azioni in tema di aumento e di riduzione del capitale sociale.
L’aumento del capitale,conseguente all’ingresso di nuovi soci,avviene in via continuativa con
l’emissione di nuove azioni;emissione che al pari del rimborso,deve avvenire con la periodicità
indicata nello statuto. Il prezzo di emissione è sempre pari alla frazione del patrimonio netto che
esse rappresentano. Le azioni devono essere integralmente liberate al momento dell’emissione.
Il capitale delle Sicav si riduce per l’esercizio da parte dei soci del diritto di rimborso delle azioni.
Ai soci che recedono è rimborsato il valore reale delle azioni,determinato con periodicità indicata
nello statuto e secondo i metodi fissati dalla Banca d’Italia.
Qualora,per la prevalenza dei rimborsi sulle nuove emissioni o per perdite patrimoniali,il capitale si
riduce al di sotto del minimo fissato dalla Banca d’Italia e permane tale per un periodo di 60
giorni,la società è messa in liquidazione.
Una disciplina speciale è dettata anche per le azioni delle Sicav.
Per incentivare l’investimento da parte dei risparmiatori,le azioni possono essere nominative o al
portatore a scelta del sottoscrittore.Le azioni nominative e al portatore si differenziano però non
solo per la legge di circolazione,ma anche per la misura del diritto di voto che attribuiscono.
Infatti,mentre per le azioni nominative vale la regola di diritto comune (ogni azione attribuisce un
voto),le azioni al portatore attribuiscono un solo voto per ogni socio,indipendentemente dal numero

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di azioni di tale categoria possedute.E’ possibile convertire in ogni momento azioni di una categoria
in azioni dell’altra,mutando così il proprio peso in seno alle assemblee della società.
Per i titolari di azioni nominative sono previsti specifici obblighi di trasparenza delle partecipazioni
rilevanti. Inoltre,solo per le azioni nominative lo statuto può prevedere limiti all’emissione e
particolari vincoli di trasferibilità.
Lo statuto può inoltre prevedere l’esistenza di più comparti di investimento,per ognuno dei quali
può essere emessa una particolare categoria di azioni.Ciascun comparto costituisce patrimonio
autonomo,distinto a tutti gli effetti da quello degli altri comparti.
Non possono essere emesse (altre) categorie speciali di azioni.La Sicav non può acquistare o
detenere proprie azioni,né può emettere obbligazioni.
Anche per le assemblee delle Sicav,sono soppressi i quorum costitutivi dell’assemblea ordinaria (di
prima convocazione) e dell’assemblea straordinaria di seconda convocazione,con la conseguenza
che le stesse sono regolarmente costituite e possono deliberare quale che sia la parte del capitale
sociale intervenuto;il voto può essere esercitato per corrispondenza se lo statuto lo consente.
Costituendo le Sicav organismi di investimento collettivo a struttura aperta,la gestione del loro
patrimonio è assoggettata ad una disciplina identica a quella dettata per i fondi aperti.Al pari dei
fondi aperti le Sicav non possono investire il loro patrimonio in beni immobili e diritti reali
immobiliari,in crediti e titoli rappresentativi di crediti.
Trovano inoltre integrale applicazione i divieti e i limiti fissati per i fondi aperti delle norme
prudenziali della Banca d’Italia in tema di contenimento e frazionamento del rischio.
Le Sicav possono anche delegare la gestione del proprio patrimonio ad una società di gestione del
risparmio.E’ così introdotta un’ulteriore significativa deroga alla disciplina di diritto comune della
società per azioni,che non consente la delega esclusiva ad estranei dei poteri di gestione della
società.
Si applicano alle Sicav i controlli contabili e le norme di vigilanza stabiliti per i fondi comuni.
Una Sicav non può trasformarsi in un’ordinaria società,ma solo in una Sgr;con la conseguenza che
sarà possibile solo la fusione con altre Sicav o Sgr e la scissione a favore di Sicav o Sgr.
Le Sicav in crisi sono soggette ad amministrazione straordinaria e liquidazione coatta
amministrativa,con esclusione del fallimento.

C. L’OFFERTA AL PUBBLICO DI PRODOTTI FINANZIARI.

L’appello al pubblico risparmio per sollecitare la sottoscrizione di prodotti finanziari di nuova


emissione (offerta pubblica di sottoscrizione) o l’acquisto di prodotti finanziari già emessi (offerta
pubblica di vendita) necessita di una specifica disciplina a tutela dei potenziali investitori,ispirata da
un duplice obiettivo:garantire decisioni di investimento consapevoli attraverso un’adeguata e
corretta informazione;assicurare la parità di trattamento dei risparmiatori sollecitati all’investimento
e più in generale il corretto svolgimento dell’offerta.
L’intera materia è confluita nella disciplina dell’offerta al pubblico di prodotto finanziari,dettata nel
1998 dal tuf (artt.94-101),di recente ulteriormente riformata dal d.lgs. n.51/2007 in attuazione della
direttiva 2003/71/CE.L’attuale normativa si caratterizza rispetto a quella previgente sotto un duplice
profilo:
a) La drastica riduzione della disciplina fissata per legge,con il conseguente riconoscimento alla
Consob di più ampi poteri regolamentari;
b) L’estensione dell’ambito di applicazione al fine di assoggettare ad una disciplina unitaria tutte le
operazioni di offerta al pubblico che configurano una proposta di investimento finanziario.

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Costituisce infatti offerta al pubblico di prodotti finanziari ogni comunicazione rivolta a persone ,in
qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo,che presenti sufficienti informazioni sulle condizioni
dell’offerta e dei prodotti finanziari offerti così da mettere un investitore in grado di decidere di
acquistare o di sottoscrivere tali prodotti finanziari.
La disciplina dell’offerta al pubblico di prodotti finanziari non trova però applicazione quando
l’offerta è rivolta ai soli clienti professionali o a un numero di soggetti non superiore a quello
indicato dalla Consob (attualmente,150) o l’ammontare complessivo non supera quello fissato dalla
stessa Consob (attualmente 5 milioni di euro);nonché in una serie di altri casi fissati per legge o
individuati dalla Consob con regolamento.Fra l’altro la Consob ha sottratto alla disciplina
dell’offerta pubblica i prodotti finanziari aventi taglio minimo di almeno 100 mila euro,nonché le
emissioni che prevedono un lotto minimo per investitore di pari importo.

La disciplina.Il prospetto informativo.


Coloro che intendono effettuare un’offerta al pubblico di strumenti finanziari devono prima
pubblicare un prospetto informativo.Il prospetto non può essere pubblicato finché non è approvato
dalla Consob,salvi i casi in cui è consentito effettuare l’offerta in Italia sulla base del prospetto
approvato dall’Autorità di vigilanza di altro Stato membro dell’Unione Europea.
Per ottenere l’approvazione è necessario comunicare alla Consob l’intenzione di effettuare l’offerta
allegando il prospetto destinato alla pubblicazione.Il contenuto della comunicazione,nonché le
modalità di pubblicazione del prospetto informativo sono determinati dalla Consob con
regolamento.
La comunicazione alla Consob contiene la sintetica descrizione dell’offerta e l’indicazione dei
soggetti che la promuovono.Attesta inoltre l’esistenza dei presupposti necessari per l’esecuzione
dell’offerta.La comunicazione è sottoscritta da coloro che in qualità di offerente,emittente e
responsabile del collocamento intendono effettuare l’offerta.
Il prospetto informativo,a sua volta,deve contenere le informazioni necessarie affinché gli
investitori possano pervenire a un fondato giudizio sull’investimento proposto,sui diritti ad esso
connessi e sui relativi rischi.
Nei casi non previsti dalla normativa comunitaria,il contenuto del prospetto è invece stabilito dalla
Consob.Il prospetto contiene inoltre una nota di sintesi la quale,concisamente ed in linguaggio non
tecnico,fornisce le informazioni chiave sui rischi e le caratteristiche dell’offerta.
Il prospetto può comporsi,a scelta dell’offerente,di un unico documento o di più documenti.Nel
secondo caso le informazioni richieste sono suddivise fra:il documento di registrazione,contenente
le informazioni sull’emittente;la nota informativa sugli strumenti finanziari offerti al pubblico;e la
nota di sintesi.
Ai fini dell’approvazione,la Consob verifica la completezza,coerenza e comprensibilità delle
informazioni fornite nel prospetto e ne può esigere l’integrazione.
I fatti sopravvenuti e gli errori o imprecisioni del prospetto rilevati prima della chiusura dell’offerta,
se idonei ad influire sulla valutazione dei prodotti finanziari,sono portanti a conoscenza del
pubblico mediante la pubblicazione di un supplemento del prospetto;in tal caso,coloro che hanno
già aderito all’offerta possono revocare la loro accettazione entro due giorni lavorativi dalla
pubblicazione,o nel maggior termine fissato nel supplemento di prospetto.
Il prospetto è dunque una fonte particolarmente qualificata di informazioni sull’offerta;e la legge
riconosce all’investitore il diritto al risarcimento del danno subito per aver fatto ragionevole
affidamento sulla veridicità e completezza delle stesse.L’azione può essere proposta nei confronti
dell’offerente, dell’emittente,dell’eventuale garante,nonché contro le persone responsabili delle

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informazioni contenute ne prospetto,ciascuno in relazione alle parti di propria competenza.


Risponde in solido anche l’intermediario responsabile del collocamento.
Costoro possono esonerarsi da responsabilità solo offrendo la non facile prova d’aver adottato ogni
diligenza allo scopo di assicurare che le informazioni in questione fossero conformi ai fatti e non
presentassero omissioni tal da alterarne il senso.
L’azione risarcitoria deve essere esercitata entro 2 anni da quanto l’investitore ha scoperto le falsità
o le omissioni del prospetto.In mancanza di prova da parte dell’investitore su quando ciò sia
avvenuto,si applica il termine breve di prescrizione di 5 anni dalla pubblicazione del prospetto.
Anche la Consob è esposta a responsabilità per i danni,ma solo in caso di violazione con dolo o
colpa grave dei propri doveri di controllo.
Peraltro,i compiti di vigilanza della Consob sono estesi non solo al prospetto,ma più in generale
all’attività pubblicitaria di qualsiasi tipo concernente l’offerta.
Tale pubblicità deve essere effettuata secondo i criteri stabiliti dalla Consob al fine di assicurare la
correttezza dell’informazione e la coerenza con il contenuto del prospetto.La relativa
documentazione deve essere trasmessa alla Consob contestualmente alla sua diffusione;la Consob
ne controlla il contenuto e può sospendere in via cautelare o vietare la diffusione.
La Consob è poi investita di ampi poteri regolamentari al fine di assicurare il corretto svolgimento
dell’offerta.Essa infatti definisce le modalità di svolgimento dell’offerta anche al fine di assicurare
la parità di trattamento tra i destinatari.Individua inoltre le norme di correttezza che sono tenuti a
osservare l’offerente,l’emittente e chi colloca i prodotti finanziari nonché coloro che si trovano in
rapporto di controllo o di collegamento con tali soggetti.
L’emittente gli strumenti finanziari e gli altri soggetti sopra indicati,coinvolti nell’offerta,sono a
loro volta assoggettati a specifici obblighi informativi nei confronti del pubblico e della Consob al
fine di assicurare il corretto svolgimento dell’operazione.Gli emittenti sono inoltre tenuti a
sottoporre al giudizio di un revisore o società di revisione il bilancio di esercizio e quello
consolidato redatti nel periodo dell’offerta.
Nel contempo la Consob è investita di ampi poteri informativi,anche nei confronti degli acquirenti o
sottoscrittori dei prodotti finanziari,al fine di accertare eventuali violazioni delle norme di legge e
regolamentari in tema di offerta;e in tal caso può sospendere in via cautelare o vietare del tutto
l’operazione.
Trova infine applicazione la disciplina dell’offerta fuori sede quando l’offerta al pubblico è
destinata ad essere svolta in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze dell’emittente,del
proponente l’investimento o del soggetto incaricato della promozione o del collocamento.

CAPITOLO SEDICESIMO:MERCATO MOBILIARE E


CONTRATTI DI BORSA.

Il mercato mobiliare.
L’organizzazione e la regolamentazione di un mercato dei valori mobiliari e degli altri strumenti
finanziari risponde al duplice scopo di agevolare,attraverso la tipizzazione e la concentrazione delle
negoziazioni la conclusione e l’esecuzione dei relativi contratti di compravendita e di consentire la
formazione di prezzi ufficiali significativi degli strumenti finanziari scambiati.
Il più antico ed il più importante mercato mobiliare regolamentato italiano è la borsa valori.In essa
vengono negoziati titoli di massa largamente diffusi fra il pubblico ammessi alle quotazioni ed altri
strumenti finanziari collegati a titoli quotati.Oltre le borse calori esistono le borse merci,che sono
mercati organizzati per la compravendita di merci prodotte in serie e di derrate agricole.

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La disciplina della borsa valori è stata più volte modificata nel quadro di una generale riforma del
mercato mobiliare sfociata nel 1996 nella privatizzazione delle relative strutture organizzative e di
gestione. Nel 1996 viene abbandonato il precedente assetto pubblicistico ed introdotta
un’organizzazione dei mercati di tipo privatistico.
L’attuale disciplina configura infatti l’organizzazione e la gestione dei mercati regolamentati di
strumenti finanziari come attività di impresa esercitata da società per azioni,anche senza scopo di
lucro,che rispondono a determinati requisiti ed operano sotto la vigilanza delle autorità pubbliche
(Ministro dell’economia e delle Finanze,Consob e Banca d’Italia).L’istituzione,l’organizzazione ed
il funzionamento di nuovi mercati regolamentati è perciò oggi affidata all’iniziativa privata,previa
autorizzazione della Consob (o del Ministro dell’economia e delle finanze).
Nel contempo i mercati regolamentati esistenti sono stati privatizzati con la costituzione nel 1998
della Borsa italiana s.p.a.,che attualmente gestisce vari mercati regolamentati,fra cui il principale è
la Borsa,a sua volta divisa in comparti a seconda del tipo di strumenti finanziari negoziati.
Per la negoziazione all’ingrosso dei titoli di Stato esiste inoltre un apposito mercato
regolamento,tenuto da altra società di gestione.
L’organizzazione e la gestione dei mercati sono disciplinate da un regolamento deliberato
dell’assemblea ordinaria o dal consiglio di sorveglianza della società di gestione.Lo statuto può però
riservare l’approvazione del regolamento all’organo di amministrazione.Tale regolamento,
sottoposto ad approvazione della Consob,deve fra l’altro determinare:le condizioni di ammissione,
sospensione ed esclusione degli operatori e degli strumenti finanziari dalla negoziazioni;le
condizioni e le modalità per lo svolgimento delle negoziazioni e per l’accertamento e la diffusione
dei prezzo;i tipi di contratti ammessi e i criteri di determinazione dei quantitativi minimi
negoziabili.
La società di gestione provvedere inoltre all’organizzazione ed al funzionamento del mercato e
dispone l’ammissione,la sospensione e l’esclusione dalle negoziazioni degli strumenti finanziari e
degli operatori,comunicando immediatamente i relativi provvedimenti alla Consob (che può
vietarne l’esecuzione e ordinarne la revoca).Verifica inoltre il rispetto del regolamento del mercato
comunicandone le violazioni alla Consob.
La Consob autorizza l’esercizio dell’attività sui mercati regolamentati e cura l’adempimento delle
disposizioni comunitarie in materia. I mercati autorizzati sono iscritti in un apposito elenco tenuto
dalla Consob,nel quale sono iscritti anche i mercati regolamentati esteri riconosciuti ai senti
dell’ordinamento comunitario.Vigila inoltre su quelli esistenti alfine di assicurare la trasparenza del
mercato,l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori.
La Consob vigila anche sulla società di gestione,che è altresì assoggettata a revisione legale dei
conti come ente di interesse pubblico.
Accanto ai cosiddetti mercati regolamentati esistono poi alteri mercati alternativi di strumenti
finanziari:i sistemi multilaterali di negoziazione.Questi sono piattaforme elettroniche di
negoziazione che permettono di abbinare automaticamente le proposte di acquisto e di vendita
provenienti da una pluralità di operatori.Possono essere istituiti da una società di gestione di mercati
regolamentati oppure anche da un intermediario del mercato mobiliare (sim,banche),sotto la
vigilanza della Consob.Però le società con azioni scambiare solamente in un sistema multilaterale di
negoziazione non acquistano la qualifica di società quotata:solo l’ammissione alle quotazioni in un
mercato regolamentato attribuisce alla società emittente tale status.Potranno così beneficiare di un
regime giuridico meno oneroso sia per quanto riguarda l’ammissione alle negoziazioni,sia sotto il
profilo della disciplina societaria.

Contratti di borsa.

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I contratti di borsa sono contratti standardizzati che hanno per oggetto il trasferimento della
proprietà di un determinato quantitativo di valori mobiliari (azioni,obbligazioni,quote di fondi
comuni) individuati solo nel genere (ad esempio,1000 azioni Fiat ordinarie),la cui esecuzione
(individuazione e consegna delle azioni,pagamento del prezzo) è differita ad una scadenza
predeterminata.
I contratti di borsa si atteggiano perciò come vendite a termine di azioni o di altri valori mobiliari,in
passato rappresentati da titoli di credito ed oggi da strumenti finanziari de materializzati.
Resta comunque fermo che i contratti di borsa costituiscono vendite a termine generiche
assoggettate ad una disciplina particolare che riguarda essenzialmente le modalità di conclusione e
di esecuzione del contratto,nonché i rimedi in caso di inadempimento.
I contratti di borsa sono contratti standardizzati:i tipi di contratti ammessi ed i quantitativi minimi
negoziabili (ove previsti) sono stabiliti dal regolamento del mercato.
La negoziazione in borsa è riservata di regola a determinate categorie di intermediari
professionali:società di intermediazione mobiliare e imprese di investimento estere
autorizzate,banche italiane ed estere autorizzate,agenti di cambio;oggi però possono essere ammessi
alle negoziazioni anche altri soggetti, purché in possesso di adeguati requisiti di onorabilità,
professionalità, competenza e di risorse sufficienti.
Chi intende acquistare o vendere titoli quotati in borsa è tenuto perciò a rivolgersi ad uno degli
intermediari abilitati conferendogli un apposito incarico scritto di acquisto o di vendita.E’ questo il
cosiddetto ordine di borsa le cui modalità sono oggi determinate dal regolamento di mercato,che in
particolare ne determina la tipologia quanto al prezzo ed al tempo i esecuzione.
La negoziazione dei titoli in borsa avveniva in passato col sistema dell’asta pubblica alle grida:
l’incontro della domanda e dell’offerta avveniva in un apposito recinto dei locali delle singole borse
valori,nel quale i titoli erano contrattati ad alta voce dagli operatori ammessi.Con la riforma del
1991 questo sistema è stato progressivamente sostituito da un sistema telematico di negoziazione e
le negoziazioni alle grida sono definitivamente cessate all’inizio del 1996.
I contratti di borsa sono stipulati direttamente dagli intermediari fra di loro,in nome proprio e per
conto dei rispettivi clienti. Ciascun intermediario è quindi direttamente obbligato verso l’altro per
l’esecuzione del contratto (consegna dei titoli o pagamento del prezzo).
L’esecuzione dei contratti di borsa col sistema della stanza di compensazione disciplinato dalla
Banca d’Italia,d’intesa con la Consob.A scadenze periodiche,diverse per i contratti a contanti e per
contratti a termine,gli organi della stanza attuano la liquidazione provvedendo alla compensazione
delle partite omogenee e determinano il saldo di liquidazione per ciascun intermediario.A seguito
della liquidazione,gli strumenti finanziari sono trasferiti mediante semplici scritturazioni contabili
sui conti degli intermediari aprti presso la società di gestione accentrata (Monte Titoli).A loro volta
gli intermediari annotano nei conti di gestione dei propri clienti gli strumenti finanziari ed i
corrispettivi di loro competenza.
La Banca d’Italia disciplina l’istituzione ed il funzionamento di sistemi volti a garantire il buon fine
dei singoli contratti,nonché delle operazioni di compensazione e liquidazione,con interventi peraltro
diversamente articolati a seconda che le operazioni abbiano per oggetto strumenti finanziari non
derivati o derivati.A tal fine è stata istituita un’apposita Cassa di compensazione e garanzia la quale
utilizza fondi costituiti con i versamenti degli intermediari partecipanti al sistema.
E’ infine prevista una particolare procedura di liquidazione dei contratti di borsa qualora uno dei
soggetti ammessi alle negoziazioni incorra in una insolvenza di mercato,conseguente alla
sottoposizione a procedura consensuale oppure dovuta ad inadempimenti o ad altre situazioni
stabilite dalla Consob e dalla Banca d’Italia (art.80 reg. Banca d’Italia e Consob 2008).

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L’insolvenza di mercato è dichiarata dalla Consob,d’intesa con la Banca d’Italia,e determina


l’immediata liquidazione dei contratti dell’insolvente non ancora scaduti.La liquidazione è
effettuata da uno più commissari nominati dalla Consob,secondo le modalità stabilite dal
regolamento di attuazione.Le funzioni di commissario possono essere affidate anche alla società che
gestisce il mercato oppure il sistema di compensazione e garanzia in cui sono stati stipulati i
contratti insoluti.
Al termine della procedura di liquidazione i commissari rilasciano agli aventi diritto per i crediti
residui un certificato di credito,che ha valore di titolo esecutivo e consente perciò di agire nei
confronti dell’insolvente senza bisogno di una preventiva sentenza di condanna.
Gli effetti della liquidazione delle insolvenze sono definitivi.Le liquidazioni non possono perciò
essere dichiarate inefficaci qualora l’intermediario inadempiente venga successivamente sottoposto
ad una procedura concorsuale.

Contratti a contanti e a termine.


Le compravendite di borsa sono sempre contratti ad esecuzione differita che hanno per oggetto
strumenti finanziari individuati solo nel genere.
Le modalità di determinazione del termine di esecuzione (cosiddetta liquidazione) possono essere
però diverse e sotto tale profilo i contratti di borsa si distinguono in contratti a contanti e a termine.
La compravendita a contanti deve essere eseguita entro un termine massimo che decorre dalla
conclusione di ciascun contratto,attualmente fissato in 3 giorni dal regolamento di borsa.Il termine
di esecuzione è perciò diverso per ogni contratto stipulato,fermo restando che anche nel contratto a
contanti non sia ha lo scambio immediato dei titoli contro il prezzo.
La liquidazione per compensazione dei contratti a contanti avviene con cadenza giornaliera e il
relativo servizio di compensazione e liquidazione determina il saldo a debito o a credito di ciascun
intermediario.
Appositi fondi,gestiti dalla Cassa di compensazione e garanzia,garantiscono rispettivamente il buon
fine dei singoli contratti di compravendita non ancora liquidati,in caso di insolvenza di uno degli
operatori,e il buon fine delle operazioni di compensazione e di liquidazione.Ciascun fondo
costituisce patrimonio separato da quello del soggetto che lo amministra e dagli altri fondi.
Per i titoli quotati in borsa era i passato possibile anche la stipulazione di contratti a termine e di
contratti a premio su singoli titoli azionari.
Nei contratti a termine la liquidazione era unica per tutti i contratti conclusi in un determinato
periodo (mese di borsa) e avveniva con cadenza mensile in un giorno fissato dal calendario di borsa
(cosiddetto giorno di liquidazione mensile),con la consegna dei titoli ed il pagamento del prezzo del
giorno in cui il contratto era stato concluso.
Con identica tecnica avveniva la liquidazione dei contratti a premio su singoli titoli
azionari,negoziati in un apposito comparto della borsa (Mercato dei premi).Con tale contratto,il
compratore o il venditore a termine si riservava,dietro pagamento di un corrispettivo (il premio),il
diritto di non darvi esecuzione.La facoltà di scelta doveva essere esercitata entro un giorno
predeterminato dal calendario di borsa (giorno per la risposta premi),che precedeva quello fissato
per la liquidazione mensile.
I contratti a termine erano utilizzati soprattutto per compiere operazioni speculative che si
concludevano senza l’effettivo trasferimento dei titoli azionari e l’integrale pagamento del relativo
prezzo,bensì e solo col pagamento o la riscossione di una differenza in danaro.Queste operazioni
speculative potevano avvenire anche allo scoperto,cioè anche se non si disponeva dei titoli venduti
a termine,dato che bastava coprirsi con un acquisto a termine prima della liquidazione mensile.

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Gli effetti perturbativi sulle quotazioni delle operazioni speculative hanno tuttavia portato ad una
netta separazione fra mercato a contanti e mercato a termine dei titoli quotati in borsa.A partire dal
febbraio 1996 tutti i contratti di borsa devono essere conclusi a contanti :la liquidazione deve
avvenire entro 3 giorni dalla conclusione.Nel 2003 è stato inoltre chiuso il Mercato dei premi e
conseguentemente la possibilità di negoziare in borsa contratti a premio.
I tradizionali contratti a termine legati alla liquidazione mensile hanno cessato così di esistere.Nel
contempo,per le operazioni a carattere puramente speculativo è stato istituito un distinto mercato
regolamentato:il mercato per la negoziazione degli strumenti finanziari derivati (Mercato IDEM).In
tale mercato i tradizionali contatti a termine sono stati sostituiti dai contratti futures;quelli a premio
dai contratti di opzione.

Gli strumenti finanziari derivati.


Nei principali mercati finanziari sono da tempo diffusi contratti a termine che hanno per oggetto
strumenti finanziari standardizzati collegati alle variazioni delle quotazioni di determinati valori
mobiliari oppure di indici di borsa relativi agli stessi (futures e options).
Questi strumenti finanziari sono denominati anche prodotti derivati perché il loro valore deriva
dall’andamento delle quotazioni delle attività finanziarie che sono assunte come parametro di
riferimento (cosidetta sottostante).
Si tratta di contratti a carattere fortemente speculativo.Infatti,se hanno per oggetto strumenti
finanziari collegati a valori mobiliari o valute presentano analogie con i contratti di borsa a termine,
dato che vengono di regola eseguiti alla scadenza in via differenziale,senza dar luogo alla consegna
dei titoli o delle valute assunti come termine di riferimento.Se hanno per oggetto indici di borsa o
finanziari sono invece veri e propri contratti differenziali in quanto la prestazione convenuta
consiste puramente e semplicemente nel pagamento di una somma di denaro pari alla variazione
dell’indice di riferimento fra il giorno di conclusione del contratto e quello di scadenza.I contratti
derivati possono tuttavia servire a ridurre i rischi assunti con altri contratti di borsa su valori
mobiliari o divise estere contribuendo così ad un più corretto andamento dei relativi mercati.
E’ stato così possibile dare avvio nel 1994 ad un mercato italiano degli strumenti derivati
(IDEM),oggi gestito dalla Borsa italiana s.p.a.,nel quale sono attualmente negoziati contratti futures
e contratti di opzione.
Il contratto future è un contratto uniforme a termine su strumenti finanziari con il quale le parti si
obbligano a scambiarsi alla scadenza un certo quantitativo di determinate attività finanziarie adun
prezzo prestabilito oppure, nel caso di future su indici, a liquidarsi ua somma di danaro pari alla
differenza fra il valore dell’indice di riferimento alla stipula del contratto ed il valore dello stesso
indice nel giorno di scadenza.
Il contratto di opzione si differenzia rispetto al future essenzialmente perché una delle parti,verso
pagamento di un corrispettivo,si riserva la facoltà di scegliere se realizzare o meno lo scambio.
Con il contratto di opzione una delle parti dietro pagamento di un corrispettivo (premio),acquisisce
la facoltà di acquistare (opzione call) o di vendere (opzione put) un certo quantitativo di determinate
attività finanziarie ad un prezzo prestabilito (prezzo di esercizio),entro un temine concordato o alla
scadenza dello stesso.
Nel caso di opzioni su indici di borsa,si acquista invece il diritto di ricevere una somma di denaro
pari alla differenza fra il maggior valore dell’indice nel giorno in cui l’opzione è esercitata,o alla
scadenza,rispetto al prezzo di esercizio concordato (opzione call,con cui l’opzionario punta su un
rialzo dei mercati);o viceversa,se l’investitore ha scommesso su un ribasso dei mercati,di ricevere
una somma di denaro parti al maggior valore del prezzo di esercizio concordato rispetto al valore
dell’indice nel giorno in cui l’opzione è esercitata o alla scadenza (opzione put).L’opzione sarà

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ovviamente esercitata solo se questo calcolo risulta a credito per l’opzionario.Altrimenti non verrà
esercitata e si perderà il premio.
La negoziazione dei contratti futures e delle opzioni avviene col sistema telematico.La Cassa di
compensazione e garanzia svolge un ruolo centrale per assicurare la compensazione ed il buon fine
di tali contratti.Infatti,non si limita ad intervenire in caso di inadempimento come nei contratti a
contanti,ma si interpone fra gli intermediari fin dal momento della conclusione del contratto.
Assume infatti in proprio,nei confronti di ciascuna parte,le posizioni contrattuali da regolare (art.70
tuf e reg. Banca d’Italia-Consob,2008).
La Cassa provvede ad ogni liquidazione alla compensazione ed all’adempimento mediante
l’utilizzazione di appositi fondi costituiti con versamenti periodici (margini di garanzia) degli stessi
intermediari,a loro volta obbligati a richiederli ai propri committenti.I margini di garanzia non
possono essere distratti dalla loro destinazione,né essere soggeti ad azioni esecutive o conservative
da parte dei creditori degli intermediari.
Nascono infine da un’evoluzione dei contratti derivati i cosiddetti strumenti finanziari derivati
cartolarizzati (Securities derivatives),che a partire dal 1998 sono negoziati in un apposito comparto
della borsa:il Mercato SeDeX.Attualmente,vi sono negoziati due tipi di strumenti finanziari derivati
cartolarizzati:i covered warrants e i certificati.
I covered warrants sono strumenti finanziari de materializzati emessi in serie i quali incorporano un
contratto di opzione di acquisto o di vendita.
Nella tipologia più semplice i covered warrants attribuiscono pertanto al titolare la facoltà di
acquistare (opzione call) o di vendere (opzione put) un certo quantitativo di determinate attività
finanziarie o merci ad un prezzo prestabilito (prezzo di esercizio),entro un termine concordato o alla
scadenza dello stesso.Con i covered warrants su indici,si acquista invece il diritto di ricevere una
somma di denaro pari al maggior valore dell’indice nel giorno in cui l’opzione è esercitata,o alla
scadenza,rispetto al prezzo di esercizio concordato (opzione call);o viceversa di ricevere una
somma di denaro pari al maggior valore del prezzo di esercizio concordato rispetto al valore
dell’indice nel giorno in cui l’opzione è esercitata o alla scadenza (opzione put).Se l’opzione non
viene esercitata,la perdita sarà pari al prezzo pagato per sottoscrivere o acquistare il covered
warrants (premio).
I covered warrants possono avere anche contenuto più complesso e combinare fra loro più opzioni
di acquisto o di vendita,o sottoporre l’opzione a particolari condizioni contrattuali (covered
warrants strutturati o esotici).
I certificati sono,in via residuale,tutti gli strumenti finanziari derivati cartolarizzati diversi dai
covered warrants.Al pari di questi ultimi,sono strumenti finanziari de materializzati emessi in
serie,il cui valore varia in dipendenza dall’andamento di un’attività assunta come parametro di
riferimento (sottostante),fermo restando che il titolare non è esposto a perdite che superano il
capitale investito nell’acquisto o nella sottoscrizione del certificato.
Covered warrants e certificati si caratterizzano per i requisiti particolarmente rigorosi richiesti
all’emittente,a tutela degli investitori.Possono infatti essere emessi solo da Stati,enti sopranazionali
o società soggette a vigilanza prudenziale dotate di requisiti di particolare solidità patrimoniale
fissati dal regolamento di borsa oppure con la garanzia di uno di questi soggetti.

Il riporto.
Fra i contratti di borsa rientra anche il riporto,disciplinato dagli artt.1548-1551 cod.civ.
Il riporto è il contratto con il quale una parte (il riportato) trasferisce in proprietà all’altra parte (il
riportatore) titoli di credito di una data specie per un determinato prezzo.Nel contempo il riportatore
si obbliga a trasferire al riportato,ad una determinata scadenza,la proprietà di altrettanti titoli della

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stessa specie,verso rimborso di un prezzo che può essere aumentato o diminuito nella misura
convenuta.
E’ un contratto unitario che comporta un duplice trasferimento dei titoli:un trasferimento a pronti
dal riportato al riportatore ed un successivo trasferimento a termine dal riportatore al riportato.
In passato il riporto era utilizzato in borsa per differire di mese in mese la liquidazione di un
acquisto o di una vendita di titoli azionari a termine con finalità speculative,quando lo sperato rialzo
o ribasso delle quotazioni non si verificava prima del giorno di liquidazione,ma si sperava che si
sarebbe verificato in futuro (cosiddetto riporto-proroga).Con l’attuale liquidazione a contanti di tutti
i contratti di borsa,il riporto,può essere stipulato contestualmente ad un acquisto di azioni per
procurarsi,per un breve periodo,le somme necessarie al relativo pagamento,in attesa che un rialzo
delle quotazioni renda conveniente la successiva vendita (riporto a contante).Effetti identici a quelli
del riporto possono essere conseguiti con il cosiddetto riporto staccato.Questo in realtà non è un
riporto,ma la combinazione di due distinti contratti di compravendita conclusi fra le stesse parti:una
vendita a pronti ad un certo prezzo ed una vendita in senso inverso a termine,ad un prezzo
maggiorato degli interessi per il periodo di tempo che intercorre.
Il riporto è praticato anche fuori borsa,soprattutto dalle banche come operazione di finanziamento
dei clienti (riporto finanziario).
Chi ha bisogno di danaro ed ha azioni od obbligazioni,anziché venderle o costituirle in pegno con
un’anticipazione bancaria,può darle a riporto ad una banca.Questa è tutelata dall’acquisto
immediato della proprietà dei titoli e lucra la differenza fra il prezzo a pronti pagato (finanziamento
al cliente) ed il più elevato prezzo a termine che il riportato le dovrà corrispondere alla scadenza per
riacquistare la proprietà dei titoli.
Il riporto fuori borsa può essere utilizzato anche per assicurare la temporanea disponibilità dei titoli
al riportatore.Ad esempio,chi ha bisogno di azioni per rafforzare la propria posizione in una
prossima assemblea delle società,anziché acquistarle può prenderle a riporto.In tal caso l’operazione
risponde ad un interesse del riportatore.Il prezzo a termine è perciò più basso di quello a
pronti,ragion per cui il compenso è pagato dal riportatore al riportato (differenza dei prezzi).Si parla
in tal caso di deporto.
Il riporto è un contratto reale:si perfeziona cioè con la consegna dei titoli.La consegna materiale dei
titoli manca tuttavia nel riporto di borsa.
Nel riporto la posizione del riportato è simile a quella dell’acquirente a termine di titoli di credito.E’
perciò stabilito che tutti i diritti accessori ( egli obblighi) inerenti ai titoli dati a riporto spettano al
riportato,eccezion fatta per il diritto di voto che,salvo patto contrario,spetta al riportatore.Ciò rende
possibile il deporto.
Se una delle parti si rende inadempiente,l’altra può agire per l’esecuzione coattiva,secondo la
disciplina di diritto comune o secondo la speciale disciplina della liquidazione coattiva di borsa se
ricorrono i presupposti per l’applicazione di quest’ultima.
Se entrambe le parti si rendono inadempienti,il riporto cessa di avere effetto e ciascuna trattiene ciò
che ha ricevuto al tempo della stipulazione del contratto.Non è quindi possibile la risoluzione per
inadempimento.

Tutela penale del mercato mobiliare.


L’esigenza di assicurare il corretto funzionamento del mercato mobiliare e di evitare manipolazioni
delle quotazioni ha introdotto il nostro legislatore a configurare come reato la divulgazione di
notizie false oppure l’utilizzazione di altri artifizi idonei ad alterare sensibilmente il regolare
andamento delle quotazioni di strumenti finanziari. Dapprima viene punito come fattispecie del
reato di aggiotaggio,oggi costituisce reato di manipolazione del mercato previsto dall’art.185.

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Il corretto funzionamento del mercato mobiliare e la fiducia in esso degli investitori possono essere
tuttavia pregiudicati anche da comportamenti che non configurano manipolazione del mercato,ma
danno luogo al diverso fenomeno dell’insider trading.
L’insider trading consiste in operazioni speculative su valori mobiliari poste in essere da chi,per la
particolare posizione rivestita,è in possesso di informazioni non ancora note alla massa degli
investitori,che possono influenzare sensibilmente il prezzo futuro dei titoli.
Queste operazioni procurano ad alcuni investitori (gli iniziati) vantaggi rispetto a tutti gli
altri,sfruttando informazioni non solo accessibili a tutti,ma acquisite solo per la posizione fiduciaria
rivestita rispetto all’emittente i valori mobiliari.Da qui l’esigenza di prevenire e reprimere tali
fenomeni che a lungo andare menomano la fiducia nel mercato della massa degli investitori.
La disciplina dell’abuso di informazioni privilegiate su strumenti finanziari è contenuta nel tuf
(artt.180-187-septies),più volte modificate anche in attuazione di direttive europee.
Il compimento di qualsiasi operazione su tali strumenti finanziari,anche per interposta persona,è
vietato ed espone a sanzioni penali quando si è in possesso di informazioni privilegiate,idonee a
influenzarne sensibilmente il prezzo se rese pubbliche.
Destinatari del divieto sono:
a) Chiunque sia in possesso di informazioni privilegiate ottenute in ragione della sua qualità di
componente di organi di amministrazione,direzione o controllo dell’emittente,della partecipazione
al capitale della stessa società oppure dell’esercizio di un’attività lavorativa,di una professione o di
una funzione,anche pubblica,od ufficio;
b) Chiunque sia in possesso di informazioni privilegiate a motivo della preparazione o esecuzione di
attività delittuose.
A questi soggetti è inoltre vietato di comunicare senza giustificato motivo ad altri le informazioni
privilegiate possedute o di consigliare sulla base delle stesse l compimento di operazioni.
E’ invece punito come illecito amministrativo il compimento dei medesimi atti da parte di ogni altro
soggetto che,essendo in possesso di informazioni privilegiate,conosceva o poteva conoscere con
l’ordinaria diligenza il carattere privilegiato delle stesse.
A sanzione amministrativa sono sottoposti anche gli enti nel cui interesse sono stati realizzati illeciti
di insider trading e manipolazione del mercato da parte delle persone che li rappresentano o di altri
soggetti indicati dall’art.1897-quinquies tuf.
La Consob assicura il rispetto di tali divieti avvalendosi di ampi poteri informativi nei confronti di
chiunque appaia informato sui fatti,eroga le sanzioni amministrative e può anche ordinare in via
cautelare di porre termine alle condotte che fanno presumere l’esistenza di illeciti.Terminati gli
accertamenti,nel caso in cui emergano elementi che facciano presumere l’esistenza di un reato,il
presidente della Consob trasmette al pubblico ministero la documentazione raccolta,corredata da
una relazione.
La Consob può costituirsi parte civile nel procedimento penale promosso dal pubblico ministero,
per chiedere ai responsabili il risarcimento dei danni cagionati all’integrità del mercato.

CAPITOLO DICIASSETTESIMO:IL CONTRATTO DI


ASSICURAZIONE

L’assicurazione è il contratto con il quale l’assicuratore si obbliga,verso pagamento di un premio,a


rivalere l’assicurato,entro i limiti convenuti,del danno ad esso prodotto da un sinistro (assicurazione

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contro i danni) oppure a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla
vita umana (assicurazione sulla vita).
E’questa la nozione del contratto di assicurazione dettata dall’art.1882 cod.civ.
L’assicuratore è un imprenditore,che opera secondo specifiche regole tecniche,basate sul calcolo
delle probabilità,che gli consentono di neutralizzare i rischi assunti con i singoli contratti di
assicurazione.
E’ infatti un contratto puramente aleatorio il contratto isolato con cui una persona si obbliga,dietro
corrispettivo,a pagarmi una somma di denaro se subirò un incendio o un furto o se morirò prima di
una certa età.Si tratta infatti di eventi del tutto imprevedibili se isolatamente considerati.
Come avviene col contratto di assicurazione,un soggetto assume professionalmente una gran massa
di rischi omogenei (incendio,furto,morte,ecc…).E’ in tal caso applicabile la legge statistica dei
grandi numeri,che consente di determinare con criteri matematici la probabilità media del verificarsi
in un determinato evento.Per ciascuna categoria omogenea di eventi assicurati,l’assicuratore è
perciò in grado di stabilire con sufficiente precisione quale è il rischio medio che assume col
singolo contratto e su tale rischio medio può basarsi per determinare,secondo criteri matematici,il
corrispettivo (premio) dovutogli dal singolo assicurato contro quel determinato rischio. Infatti,
quando si opera su una gran massa di rischi omogenei,l’insieme dei premi incassati per ciascuna
classe di rischi consente di formare un fondo patrimoniale sufficiente,se correttamente gestito,a
risarcire gli assicurati che effettivamente subiranno quel determinato sinistro.
Questi principi cardine offrono al singolo assicurato sicurezza di fronte alla possibilità di verificarsi
di un determinato evento dannoso,per l’inserimento del singolo rischio in una massa omogenea
gestita secondo regole tecniche e consentono all’assicuratore di neutralizzare il rischio assunto con
il singolo contratto,distribuendolo fra la massa degli assicurati,nonché di lucrare la differenza fra i
premi riscossi (premi puri maggiorati delle spese di gestione) e gli indennizzi corrisposti.
Quindi la funzione costante del contratto di assicurazione non è solo quella di trasferire un
determinato rischio patrimoniale da un soggetto (l’assicurato) ad un altro (l’assicuratore),ma anche
quella di consentire la neutralizzazione del rischio per entrambi i contraenti,attraverso l’inserimento
del singolo rischio in una massa di rischi omogenei sistematicamente assunti da un imprenditore che
opera secondo i principi propri della tecnica assicurativa.
Su questi principi si fonda la peculiare disciplina del contratto di assicurazione,concepibile come
contratto aleatorio solo se isolatamente considerato.Il prevalente anche se non pacifico
inquadramento del contratto di assicurazione fra i contratti aleatori comporta che al contratto di
assicurazione sono inapplicabili gli istituti della rescissione per lesione e della risoluzione per
eccessiva onerosità.Il contratto di assicurazione resta invece soggetto,quale contratto a prestazioni
corrispettive,alla disciplina della risoluzione per inadempimento.
Le imprese di assicurazione sono sottoposte,per il loro rilievo economico e sociale,ad un penetrante
controllo pubblico volto a garantire,a tutela degli assicurati,il rispetto delle regole tecniche
dell’assicurazione ed una corretta e prudente gestione degli ingenti mezzi finanziari raccolti fra il
pubblico attraverso l’incasso dei premi.
Tale disciplina è ora raccolta nel Codice delle assicurazioni private (d.lgs.n.209/2005).Nel
contempo,la privatizzazione degli enti pubblici economici del settore assicurativo (Ina ed altri) ha
portato alla trasformazione degli stessi in società per azioni.
Attualmente,l’attività assicurativa può essere esercitata solo da società per azioni e società di mutua
assicurazione. L’inizio dell’attività (ed oggi anche l’iscrizione della società nel registro delle
imprese) è subordinato alla preventiva autorizzazione dell’Ivass.Costituiscono condizioni per il
rilascio dell’autorizzazione:

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a) il possesso di un capitale o di un fondo di garanzia (per le mutue assicuratrici) non inferiore ai


minimi fissati per i diversi rami di assicurazione dell’Ivass;
b) la presentazione di un programma concernente l’attività iniziale e la struttura organizzativa e
gestionale,accompagnato da una relazionedi un attuario iscritto al relativo albo professionale.
E’ nullo il contratto concluso con un’impresa di assicurazione non autorizzata o nei cui confronti sia
stabilito il divieto di assumere nuove operazioni,ma la nullità può essere fatta valere solo
dall’assicurato. La pronuncia di nullità obbliga alla restituzione dei premi pagati,senza che siano
invece ripetibili gli indennizzi e le somme corrisposte o dovute dall’impresa di assicurazione.
Le persone alle quali sono attribuite funzioni di amministrazione,direzione o controllo devono
possedere i requisiti di onorabilità e professionalità prescritti dal Ministero dello sviluppo
economico, così come anche i soci che detengono partecipazioni qualificate.
Le imprese di assicurazione devono tenere particolari scritture contabili;sono soggette a revisione
legale dei conti come enti di interesse pubblico e devono inoltre redigere i bilanci consolidati di
gruppo.
Esse sono sottoposto alla vigilanza di un apposito ente pubblico,che in passato era l’Isvap (Istituto
per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo) e,a partire dal 2013,è stato
sostituito da un nuovo ente facente capo alla Banca d’Italia:l’Ivass (Istituto per la vigilanza sulle
assicurazioni,istituito dall’art.13 del d.l.n.95/2012,conv. Con legge 135/2012).All’Ivass è in
particolare affidato il controllo sulla regolarità tecnica e contabile della gestione delle imprese di
assicurazione ed a tal fine gli sono riconosciuti ampi poteri regolamentari,di informazione e di
ispezione.
Le imprese di assicurazione sono soggette a liquidazione coatta amministrativa con esclusione del
fallimento.
Le società di assicurazione non possono svolgere altra attività che quella assicurativa,nonché le
operazioni connesse e strumentali e la costituzione e gestione di forme di assistenza sanitaria e
previdenziale integrative.Devono ottenere l’autorizzazione dell’Ivass per poter assumere
partecipazioni di controllo in società che svolgono attività diverse da quelle loro consentite.E’
inoltre vietato l’esercizio cumulativo dell’assicurazione danni e dell’assicurazione vita da parte di
una stessa società.E’ fatta eccezione per le assicurazioni infortuni e malattia,assicurazioni del ramo
danni che possono essere esercitate anche da imprese di assicurazione sulla vita.In caso di esercizio
congiunto,l’imprese deve tenere separate le gestioni relative ai due rami assicurativi.

I tipi di assicurazione.
Le assicurazioni si distinguono in due grandi categorie:
a) assicurazioni contro i danni nelle quali l’assicuratore si obbliga a rivalere l’assicurato del danno
prodotto da un sinistro;
b) assicurazioni sulla vita nelle quali l’assicuratore si obbliga a pagare un capitale o una rendita al
verificarsi di un evento attinente alla vita umana (morte o sopravvivenza).
L’assicurazione contro i danni è dominata dal principio indennitario. L’indennizzo dovuto
dall’assicuratore non può cioè superare il danno sofferto dall’assicurato.Si ha ciò al fine di evitare
che per quest’ultimo l’assicurazione si trasformi da strumento di previdenza in strumento di
arricchimento o di speculazione.
L’assicurazione sulla vita è invece sottratta all’applicazione del principio indennitario:il capitale o
la rendita assicurata possono essere liberamente determinati dalle parti e sono in ogni caso dovuti
dall’assicuratore al verificarsi dell’evento previsto.Sono cioè svincolati dal danno effettivamente
subito dall’assicurato,sicché questo tipo di assicurazione risponde anche ad una finalità di
risparmio.

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Da qui la previsione nel codice civile di una serie di norme specifiche per l’assicurazione danni
(artt.1904-1918) e per l’assicurazione vita (artt.1919-1927).Vi è quindi funzione indennitaria per
l’assicurazione danni e funzione di previdenza per l’assicurazione vita.
Nel contempo il codice detta una disciplina generale applicabile a tutti i tipi di assicurazione se non
espressamente derogata dalla disciplina speciale,che riguarda i profili strutturale comuni (rischio,
premio e stipulazione del contratto).Le norme sono in larga parte derogabili solo a favore
dell’assicurato,che è così tutelato contro possibili abusi delle imprese assicurative.

La disciplina generale:il rischio e il premio.


Il rischio ed il premio sono gli elementi essenziali di ogni contratto di assicurazione.
Il rischio è la possibilità che si verifichi un determinato evento futuro ed incerto e può variamente
atteggiarsi in relazione ai diversi tipi di assicurazione.Il rischio dedotto in contratto deve però in
ogni caso esistere oggettivamente perché il contratto sia valido.
Il contratto di assicurazione è infatti nullo se il rischio non è mai esistito o ha cessato di esistere
prima della conclusione del contratto.
Se il rischio cessa di esistere dopo la conclusione del contratto questo si scioglie ex lege.
L’assicuratore ha però diritto al pagamento dei premi fin quando non venga a conoscenza della
cessazione del rischio ed i primi relativi al periodo di assicurazione in corso gli sono dovuti per
l’intero.
La legge si preoccupa inoltre di garantire l’esatta conoscenza da parte dell’assicuratore della
consistenza del rischio assunto e la corrispondenza fra rischio e premio per tutta la durata
dell’assicurazione e a tale fine detta una serie di disposizioni.
Peculiare è innanzitutto la disciplina dettata per le dichiarazioni inesatte e le reticenze
dell’assicurato che traggono in inganno l’assicuratore sulla reale entità del rischio e quindi sulla
congruità del premio richiesto.Se vi è stato dolo o anche solo colpa grave da parte
dell’assicurato,l’assicuratore può chiedere l’annullamento del contratto.In caso contrario può
recedere dal contratto.
In entrambi i casi l’assicuratore deve dichiarare di volersi avvalere di tali forme di tutela entro 3
mesi dalla scoperta dell’inesattezza o della reticenza.Diverse sono però le conseguenze se il sinistro
si verifica prima della scadenza di tale termine.Nel primo caso (annullamento) l’assicuratore non
dovrà pagare alcun indennizzo.
In caso di diminuzione del rischio,l’assicuratore deve applicare il premio minore a partire dalla
scadenza successiva alla relativa comunicazione da parte dell’assicurato.In alternativa,gli è
riconosciuta la facoltà di recedere dal contratto entro 2 mesi dalla comunicazione e con effetto dopo
un mese.
In caso di aggravamento rilevante del rischio,l’assicurato è obbligato a darne immediato avviso
all’assicuratore e questi ha diritto di recedere dal contratto entro un mese.Non può invece, senza il
consenso dell’assicurato,mantenere in vita in contratto elevando il premio o riducendo la somma
assicurata.
L’assicuratore non è obbligato per i sinistri cagionati da dolo o,salvo patto contrario,da colpa grave
del contraente,dell’assicurato o del beneficiario.Nell’assicurazione vita è però coperto,salvo patto
contrario,il suicidio dell’assicurato che si verifichi dopo due anni dalla stipulazione del contratto.
Il premio è il corrispettivo dovuto all’assicuratore.Esso è composto dal premio puro,calcolato
secondo criteri matematici,e dal compenso aggiuntivo dovuto all’assicuratore per il servizio reso.
Il premio deve essere pagato anticipatamente,in unica soluzione o in rate periodiche (di regola
annuali). Esso è in ogni caso indivisibile;è cioè dovuto per l’intero periodo in corso,anche se
durante lo stesso resta sospesa o viene a cessare la garanzia assicurativa.

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Se il premio non è pagato alle scadenze convenute l’assicurazione resta sospesa ed il contratto si
risolve di diritto se,nel termine di sei mesi,l’assicuratore non agisce per la riscossione.Resta in ogni
caso fermo il diritto dell’assicuratore all’intero premio relativo al periodo in corso ed al rimborso
delle spese.
Una diversa disciplina,più favorevole all’assicurato,è però dettata per l’assicurazione vita.

La stipulazione del contratto.


La formazione del contratto inizia di regola con una proposta sottoscritta dall’assicurando su moduli
predisposti dall’assicuratore,che riproducono le principali clausole tipiche del futuro contratto e che
contengono una serie di domande volte a consentire all’assicuratore l’esatta valutazione del rischio.
E’ quindi l’assicurando che assume la posizione formale di proponente,anche se di norma è
l’assicuratore a prendere l’iniziativa tramite i suoi agenti.
Inoltre,in deroga al principio generale della revocabilità della proposta fino alla conclusione del
contratto,la proposta scritta diretta all’assicuratore è per legge irrevocabile per il termine di 15
giorni,elevato a 30 quando occorre una visita medica.Tuttavia,nell’assicurazione sulla vita di durata
superiore a 6 mesi la proposta è revocabile ed il contraente può anche recedere dal contratto entro
30 giorni dalla conclusione,con diritto al rimborso parziale del premio.
Regole particolari sono inoltre dettate per l’ipotesi in cui la persona che stipula l’assicurazione
(contraente) sia diversa da quella che è titolare della situazione esposta al rischio (assicurato).
Il contraente può innanzitutto agire in veste di rappresentante dell’assicurato (in suo nome e per suo
conto).In tal caso tutti gli effetti del contratto di assicurazione si producono direttamente in testa
all’assicurato:questi è tenuto al pagamento dei premi ed ha diritto al pagamento dell’indennità.
Quando il contratto è stipulato da un rappresentante senza poteri è stabilito che:
a) l’interessato può ratificare il contratto anche dopo la scadenza o il verificarsi del sinistro,così
fruendo ugualmente della copertura assicurativa;
b) il rappresentante senza poteri è tenuto personalmente a pagare i premi e ad osservare gli altri
obblighi derivanti dal contratto finquando l’interessato non abbia ratificato (anche per fatti
concludenti) il contratto o non abbia rifiutato la ratifica.
L’assicurazione può essere stipulata anche (in nome proprio ma) per conto altrui o per conto di chi
spetta;forma quest’ultima alla quale tipicamente si ricorre per assicurare merci per le quali sono
stati emessi titoli di credito rappresentativi,sicché non si sa chi risulterà titolare dell’interesse al
momento del sinistro.
In entrambe le forme di assicurazione gli obblighi derivanti dal contratto devono essere adempiuti
dal contraente,salvo quelli che per loro natura non possono essere adempiuti che dall’assicurato.
I diritti derivanti dal contratto spettano invece all’assicurato,che è persona determinata ed indicata
nel contratto nell’assicurazione per conto altrui;è invece persona non indicata nel contratto
nell’assicurazione per conto di chi spetta,identificandosi col titolare dell’interesse assicurato al
momento del sinistro.In entrambi i casi l’assicuratore può opporre all’assicurato le eccezioni che
avrebbe potuto opporre al contraente in dipendenza del contratto (esempio:mancato pagamento del
premio).
Si è quindi in presenza di una disciplina che si distacca da quella del mandato senza rappresentanza
e che presenta affinità con quella del contratto a favore di terzi.A differenza di quest’ultimo però la
prestazione dell’assicuratore non può essere in alcun caso pattuita a favore dello stesso contraente
che non sia titolare dell’interesse assicurato.
Il contratto di assicurazione è un contratto consensuale,ma deve essere provato per iscritto.
L’assicuratore è perciò obbligato a rilasciare al contraente la polizza di assicurazione o altro

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documento da lui sottoscritto. La polizza di assicurazione può essere nominativa ed in tal caso ha
solo funzione probatoria del contratto.
Può essere però all’ordine o al portatore ed in tal caso consente anche il trasferimento del credito
verso l’assicuratore,ma con gli effetti propri della cessione. Assolve inoltre una funzione di
legittimazione a favore dell’assicuratore il quale è liberato se senza dolo o colpa grave adempie la
prestazione nei confronti del giratario o del portatore della polizza,anche se questi non è
l’assicurato.
Non si è quindi in presenza di titoli di credito,ma di semplici titoli impropri.In caso di
smarrimento,furto o sottrazione della polizza all’ordine è tuttavia applicabile la procedura di
ammortamento prevista per i titoli di credito all’ordine.

L’assicurazione contro i danni.


Nell’assicurazione contro i danni l’assicuratore si obbliga a rivalere l’assicurato,entro i limiti
convenuti,del danno ad esso prodotto da un sinistro.
L’assicurazione contro i danni copre i rischi cui sono esposti determinati beni o diritti,anche di
credito, dell’assicurato (assicurazione di cose);può coprire anche il rischio cui è esposto l’intero
patrimonio dell’assicurato (assicurazione di patrimonio.E’ infine opinione prevalente che nella
categoria rientrino anche le assicurazioni contro i danni alla persona per infortuni e malattie
(assicurazione di persone),anche se la disciplina del risarcimento dei danni è parzialmente diversa
da quella dettata per le assicurazioni di cose e di patrimonio,non trovando puntuale applicazione il
principio indennitario.
La disciplina specifica dell’assicurazione contro i danni è infatti dominata da tale principio,volto ad
evitare che l’assicurazione diventi per l’assicurato fonte di arricchimento e di speculazione a danno
dell’assicuratore.
Il principio indennitario si articola nelle seguenti regole.
Può validamente assicurarsi solo chi ha un interesse economico esposto al rischio dedotto in
contratto. Il contratto di assicurazione contro i danni è infatti nullo se,nel momento in cui
l’assicurazione deve avere inizio,non esiste un interesse,anche futuro,dell’assicurato al risarcimento
del danno.
L’assicuratore è tenuto a risarcire soltanto il danno effettivamente subito dall’assicurato in
conseguenza del sinistro ed il danno risarcibile è di regola costituito solo dalla perdita subita (danno
emergente),non anche dal mancato guadagno (lucro cessante).
L’indennizzo non può superare il valore che le cose perite o danneggiate hanno al tempo del
sinistro.
Le regole da ultimo esposte non sono però inderogabili. E’ ammessa l’assicurazione del profitto
sperato. Inoltre,il valore risarcibile può essere fissato preventivamente mediante stima accertata per
iscritto da entrambe le parti. In tal caso l’assicuratore non potrà contestare in sede di indennizzo che
il valore reale è inferiore al valore di stima. Non equivale però a stima la semplice dichiarazione di
valore contenuta nella polizza od in altro documento.
Al di fuori del caso di polizza stimata,le conseguenze dell’assicurazione per somma superiore al
valore reale della cosa sono diverse a seconda che via sia stato o meno dolo da parte dell’assicurato.
In caso di dolo il contratto è invalido (annullabile),fermo restando il diritto dell’assicuratore al
premio incorso se è in buona fede. Se invece non vi è stato dolo,l’assicuratore dovrà risarcire il
danno nei limiti del minor valore assicurabile ed il contraente ha diritto di ottenere per il futuro una
proporzionale riduzione del premio.
Può anche verificarsi l’ipotesi opposta che la cosa assicurata abbia la momento del sinistro un
valore superiore a quello dichiarato nel contratto. Si applica in tal caso la regola proporzionale. Non

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solo i danni eccedenti la somma assicurata restano a carico dell’assicurato,ma l’assicuratore sarà
tenuto a risarcire solo una parte proporzionale del rischio coperto. Ad esempio,se una cosa che vale
200 è assicurata per 100 (metà del valore) e si subisce un danno di 50,l’assicuratore corrisponderà
25 (metà del danno).
Anche la disposizione in esame non ha carattere inderogabile e per evitare che in periodi di
inflazione monetaria l’assicurato sia costretto ad aggiornare continuamente la copertura
assicurativa, si può pattuire che l’assicuratore è tenuto a risarcire integralmente il danno fino a
concorrenza del valore assicurato (assicurazione a primo rischio).
Frequenti sono all’opposto anche le clausole che pongono a carico dell’assicurato una parte del
danno subito (franchigia) per prevenire il pericolo di un totale disinteresse dello stesso nei confronti
del sinistro.
Espressione del principio indennitario sono anche due istituti tipici dell’assicurazione contro i danni
collegati al verificarsi del sinistro:
a) l’obbligo dell’assicurato di dare pronto avviso all’assicuratore del sinistro (di regola entro 3
giorni),onde consentirgli il tempestivo accertamento delle cause e dell’entità del danno;
b) l’obbligo dello stesso assicurato di fare quanto gli è possibile per evitare o diminuire il
danno,ponendo però le relative spese a carico dell’assicuratore.
L’inosservanza dolosa degli obblighi di avviso e di salvataggio comporta la perdita del diritto
all’indennità. Se invece vi è stata solo colpa dell’assicurato,l’assicuratore ha diritto di ridurre
l’indennità in ragione del pregiudizio sofferto.
L’assicuratore che ha pagato l’indennità è surrogato,fino alla concorrenza dell’ammontare della
stessa,nei diritti dell’assicurato verso gli eventuali terzi responsabili del sinistro al fine di evitare
che,in contrasto col principio indennitario,l’assicurato possa cumulare l’indennizzo corrispostogli
dall’assicuratore con il risarcimento del danno dovutogli dal terzo responsabile.
L’assicuratore acquista il credito dell’assicurato verso l’autore del danno a titolo derivativo:a lui
sono perciò opponibili tutte le eccezioni che il terzo poteva opporre all’assicurato-danneggiato.
L’assicurato è inoltre responsabile verso l’assicuratore del pregiudizio arrecato al diritto di
surrogazione. L’assicuratore non può comunque ripetere dal terzo più di quanto abbia
legittimamente pagato all’assicurato.
Il principio indennitario opera anche quando sono state stipulate più assicurazioni presso diversi
assicuratori per la copertura dello stesso rischio.
In tal caso l’assicurato deve rendere noti a ciascun assicuratore i contratti stipulati con gli altri e può
chiedere a ciascuno l’indennità dovuta secondo i rispettivi contratti,ma la somma complessivamente
riscossa non può superare l’entità del danno.L’assicuratore che pagato ha regresso verso gli altri,per
ripartire l’indennità corrisposta,in proporzione delle somme assicurate presso ciascuno.
Figura diversa dalla pluralità di assicurazioni è la coassicurazione.Essa si ha quando più
assicuratori,di regola con un unico contratto,assumono ciascuno una quota del rischio assicurato.Ad
essa si ricorre quando si tratta di assicurare rischi molto ingenti che nessun assicuratore potrebbe da
solo accollarsi.
Nella coassicurazione ciascun assicuratore risponde nei confronti dell’assicurato nei limiti della
quota assunta ed è quindi tenuto al pagamento dell’indennità solo in proporzione della rispettiva
quota. Si ha quindi un’obbligazione parziaria (e non solidale come nell’assicurazione plurima),
benché il contratto sia formalmente unico.
L’alienazione delle cose assicurate non comporta di per sé lo scioglimento del contratto di
assicurazione contro i danni.La regola è che i diritti e gli obblighi dell’assicurato passano
all’acquirente della merce.Tuttavia sia l’acquirente sia l’assicuratore possono liberamente recedere

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dal contratto entro 10 giorni,salvo che la polizza non sia stata emessa all’ordine o al portatore.In
quest’ultimo caso la copertura assicurative è infatti di per sé destinata a circolare.
Salvo che non si tratti di polizza all’ordine al portatore,l’alienante resta obbligato a pagare i premi
se non comunica all’assicuratore l’avvenuta alienazione delle merci ed all’acquirente l’esistenza del
contratto di assicurazione.

L’assicurazione della responsabilità civile.


Un tipo particolare di assicurazione contro i danni è l’assicurazione della responsabilità civile.Con
essa l’assicuratore si obbliga,nei limiti della somma prevista dal contratto (cosiddetta massimale),a
tenere indenne l’assicurato di quanto questi dovrà pagare a terzi a titolo di risarcimento danni a
causa di eventi accaduti durante il tempo dell’assicurazioni che comportano una responsabilità
civile (contrattuale o extracontrattuale) dell’assicurato stesso,esclusa solo la responsabilità dovuta a
fatti dolosi.Ad esempio,un albergatore si assicura contro i danni che lui o i suoi dipendenti potranno
cagionare alla persona o a cose dei clienti.
L’assicuratore ha solo la facoltà (non l’obbligo) di pagare direttamente al terzo danneggiato ed è
obbligato al pagamento diretto solo se l’assicurato lo richiede.
Il credito del danneggiato verso l’assicurato per il risarcimento del danno ha privilegio
sull’indennità dovuta dall’assicuratore.Al danneggiato non è però riconosciuto il diritto di agire
direttamente contro l’assicuratore né di chiamarlo in causa.Il codice civile concede quest’ultima
facoltà solo all’assicurato.
Gli interessi specifici dei terzi danneggiati ricevono invece più energica tutela nelle leggi speciali
che hanno resa obbligatoria l’assicurazione della responsabilità civile per attività particolarmente
pericolose o che espongono a rischi particolarmente frequenti.La più nota e diffusa di tali forme di
assicurazione obbligatoria è quella riguardante la circolazione dei veicoli a motore e dei
natanti,disciplinata dal codice delle assicurazioni private.
E’ stabilito l’obbligo di non porre in circolazione il veicolo senza che sia stato preventivamente
assicurato per i danni arrecati a terzi.L’adempimento dell’obbligo deve risultare da un apposito
certificato rilasciato dall’assicuratore e da un contrassegno da applicare sul veicolo.
L’assicurazione copre anche la responsabilità civile per danni arrecati alle persone
trasportate,qualunque sia il titolo in base al quale il trasporto è effettuato,ad eccezione del solo
conducente responsabile del sinistro.I massimali non possono essere inferiori a quelli fissati
dall’art.128 cod.ass.,in attuazione della direttiva 2005/14/CE.
Il terzo danneggiato ha azione diretta verso l’assicuratore non può opporre al danneggiato eccezioni
derivanti dal contratto,né clausole che prevedono l’eventuale contributo dell’assicurato al
risarcimento del danno.L’azione diretta contro l’assicuratore non preclude inoltre la possibilità al
danneggiato di agire cumulativamente nei confronti del danneggiante.
Per accelerare la liquidazione dei danni e contrastare frodi assicurative,l’attuale disciplina prescrive
tuttavia che in alcuni casi l’azione diretta contro l’assicuratore del danneggiato sia sostituita dalla
procedura di risarcimento diretto:vale a dire,il danneggiato deve rivolgere la richiesta di
risarcimento al proprio assicuratore.Quest’ultimo è obbligato a provvedere alla liquidazione dei
danni per conto dell’impresa di assicurazione del danneggiante,nei confronti della quale potrà poi
esercitare l’azione di rivalsa.
Il risarcimento diretto si applica però solo in presenza circostanze ben determinate dalla
legge:sinistro avvenuto in Italia fra due veicoli a motore,identificati ed assicurati,da cui siano
scaturiti solo danni a cose o lievi danni alla persona dei loro conducenti.Non si applica invece
quando sono coinvolti veicoli immatricolati all’estero e per il risarcimento dei danni subiti dal terzo
trasportato.

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In presenza di tali condizioni,la legge precisa che il danneggiato può proporre l’azione diretta nei
soli confronti della propria impresa di assicurazione.
Il danneggiato non può tuttavia promuovere azione giudiziaria nei confronti dell’assicuratore e dello
stesso danneggiante prima che siano decorsi 60 giorni dalla richiesta del risarcimento dei danni
all’assicuratore,prorogati a 90 quando il sinistro ha causato lesioni personali.Nello stesso termine
l’assicuratore deve comunicare al danneggiato la somma offerta per il risarcimento,che dovrà essere
pagata entro 15 giorni dalla risposta del danneggiato,anche se questi non accetta l’offerta.
Il trasferimento della proprietà del veicolo comporta,a scelta dell’alienante,la risoluzione del
contratto (con rimborso del rateo di premio per il periodo residuo di assicurazione),la cessione del
contratto di assicurazione dell’acquirente,oppure la sostituzione del contratto per l’assicurazione di
altro veicolo di proprietà dell’alienante (previo eventuale conguaglio del premio).
E’ stato istituito un Fondo di garanzia per le vittime della strada,alimentato dai contributi delle
imprese di assicurazione e gestito da un’apposita società per azioni,cui si può attingere nel caso di
sinistri provocati da veicoli non assicurati o non identificati,ovvero messi in circolazione contro la
volontà del proprietario,nonchè in caso di liquidazione coatta dell’impresa assicuratrice.
L’assicurazione sulla vita.Nell’assicurazione sulla vita l’assicuratore si obbliga a pagare al
beneficiario un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana.
Tale evento può consistere:
a) nella morte dell’assicurato o di un terzo (assicurazione per il caso di morte);
b) nella sopravvivenza dell’assicurato o di un terzo ad una certa età (assicurazione per il caso di vita o
di sopravvivenza).
Diffusa è anche l’assicurazione sulla vita mista:il capitale o la rendita saranno pagati alla morte
dell’assicurato oppure all’epoca prestabilita se l’assicurato è ancora in vita.
La disciplina dell’assicurazione sulla vita è svincolata dal principio indennitario,proprio
dell’assicurazione contro i danni,in quanto strumento volto anche a stimolare lo spirito di
previdenza e di risparmio degli assicurati.L’assicurazione sulla vita può essere contratta per
qualsiasi somma. L’indennità dovuta dall’assicuratore è commisurata solo all’ammontare dei premi
pagati e deve essere corrisposta per l’intero allorché l’evento previsto si verifica.L’assicuratore non
può invocare l’assenza di danno per liberarsi dal pagamento pattuito o per diminuirne l’ammontare.
L’assicurazione sulla vita può essere inoltre stipulata non solo sulla vita propria,ma anche sulla vita
di un terzo (esempio:coniuge).Tuttavia,se l’evento assicurato è la morte di un terzo,l’assicurazione
non è valida senza il consenso di questi,da provare per iscritto al fine di evitare che tale forma di
assicurazione costituisca un incentivo all’omicidio per lucrare l’indennità.
Nel caso di aggravamento del rischio conseguente a cambiamento di professione o di attività
dell’assicurato, l’assicuratore,anziché recedere dal contratto,può proporre all’assicurato una
riduzione della somma assicurata o un aumento del premio.La proposta dell’assicuratore si intende
accettata se non è espressamente respinta entro 15 giorni.
In caso di mancato pagamento dei premi relativi agli anni successivi al primo,l’assicuratore non può
agire per la riscossione e,scaduto il termine di tolleranza previsto dalla polizza,il contratto si risolve
di diritto ed in premi pagati restano acquisiti all’assicuratore.
Queste gravi conseguenze per l’assicurato sono tuttavia temperate da due istituti tipici
dell’assicurazione vita connessi alla funzione di risparmio della stessa:il riscatto dell’assicurazione
e la riduzione della somma assicurata.
Il riscatto consente all’assicurato di risolvere il contratto e di riavere subito una quota dei premi
versati (cosiddetto valore di riscatto).La riduzione gli permette di mantenere in vita il contratto
nonostante l’interruzione del pagamento dei premi per una somma assicurata proporzionalmente
ridotta,commisurata ai premi pagati,che gli verrà corrisposta alla scadenza convenuta.

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Il diritto di riscatto e di riduzione sorgono solo dopo che sia trascorso un certo numero di anni dalla
conclusione del contratto (almeno 3).Le relative condizioni devono essere regolate dalle polizze di
assicurazione in modo che l’assicurato sia in grado di conoscere in ogni momento quale sarebbe il
valore di riscatto o di riduzione ove decida di interrompere il pagamento dei premi.
Figura diffusa di assicurazione sulla vita è l’assicurazione a favore di un terzo beneficiario
(esempio: coniuge o figli dell’assicurato).Questa assicurazione rientra nella categoria generale dei
contratti a favore di terzo,pur presentando alcune particolarità di disciplina.
Il terzo beneficiario può essere designato non solo nel contratto,ma anche con successiva
dichiarazione scritta comunicata all’assicuratore o per testamento. La designazione è inoltre efficace
anche se il beneficiario è determinato solo genericamente.
La designazione del beneficiario è sempre revocabile con le stesse forme,salvo che il contraente non
abbia rinunciato per iscritto al potere di revoca ed il beneficiario abbia dichiarato di volere profittare
del beneficio. La designazione,anche se irrevocabile,non ha effetto qualora il beneficiario attenti
alla vita dell’assicurato.
Per effetto della designazione il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione.A lui
sono perciò opponibili le eccezioni fondate sul contratto di assicurazione,ma non quelle fondate su
altri rapporti fra assicuratore e stipulante.
La riassicurazione.
La riassicurazione è il contratto con il quale l’assicuratore si assicura contro il danno a lui derivante
dal verificarsi di un rischio assicurato.
La riassicurazione è di regola stipulata in abbonamento (cosiddetta riassicurazione per trattati).Si
hanno cioè contratti generali con i quali si conviene la riassicurazione di una percentuale di tutti i
rischi previsti dal trattato (trattati per quote percentuali) o di quelli che eccedono una determinata
somma (trattati per eccedente).Frequente è anche la combinazione delle due forme.I trattati di
assicurazione devono essere provati per iscritto.La prova scritta non è invece richiesta per la
riassicurazione conclusa di volta in volta e per i singoli rapporti posti in essere in esecuzione del
trattato.
La riassicurazione è un’assicurazione contro i danni e può essere assimilata all’assicurazione di
responsabilità civile.Essa mira infatti a tenere indenne il patrimonio dell’assicuratore-riassicurato
per l’eventualità che a suo carico sorga l’obbligo di indennizzare i propri assicurati.
La riassicurazione non crea rapporti diretti fra gli assicurati ed il riassicuratore.In caso di
sinistro,unico debitore nei confronti dei primi è e resta perciò il proprio assicuratore.

CAPITOLO DICIOTTESIMO:L’ASSOCIAZIONE IN
PARTECIPAZIONE
L’associazione in partecipazione è il contratto con il quale una parte (l’associante) attribuisce
all’altra (l’associato) una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari,verso il
corrispettivo di un determinato apporto (art.2549).
L’apporto dell’associato è per lo più costituito da una somma di danaro.Il contratto permette perciò
all’associante,che è di regola un imprenditore,di reperire mezzi finanziari per lo svolgimento della
propria attività o anche di determinate operazioni economiche.Inoltre l’associato è esposto anche al
rischio di perdere il capitale apportato dato che di regola partecipa anche alle perdite dell’impresa
dell’associante o dell’affare,sia pure solo nei limiti dell’apporto.
L’associazione in partecipazione non dà vita alla formazione di un patrimonio comune né ad
un’attività economica giuridicamente comune,ma solo a rapporti interni fra gli stessi.L’apporto
dell’associato entra infatti a far parte del patrimonio dell’associante,che ne può liberamente

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disporre. L’associante inoltre fa propri gli utili dell’impresa o dell’affare,salvo l’obbligo di


corrispondere all’associato la quota di utili pattuita e di restituirgli l’apporto (al netto delle perdite)
alla scadenza del contratto.
E’ inoltre opinione decisamente prevalente e corretta che l’associazione in partecipazione sia da
inquadrare fra i contratti di scambio a carattere aleatorio e non fra i contratti associativi.

Disciplina.
Nell’associazione in partecipazione l’attività di impresa l’attività di impresa o l’affare dedotto in
contratto sono e restano imputabili al solo associante.Infatti:
a) i terzi acquistano diritti ed assumono obbligazioni soltanto verso l’associante;
b) la gestione dell’impresa o dell’affare spettano esclusivamente allo stesso associante.
Naturalmente,nulla impedisce che l’associante attribuisca all’associato il potere di compiere atti di
impresa in suo nome e per suo conto,ma in tal caso si ha un distinto rapporto contrattuale che si
affianca all’associazione in partecipazione.Tuttavia la distinzione fra associazione in partecipazione
e società diventa estremamente difficile.Fondato è perciò il pericolo per l’associato che,in caso di
dissesto dell’associante,il contratto sia qualificato come società di fatto,con conseguente
esposizione al fallimento.
Estremamente limitati sono i poteri di controllo che la legge riconosce all’associato,pur partecipe
del rischio economico dell’impresa o dell’affare.Egli ha diritto al rendiconto dell’affare compiuto o
al rendiconto annuale se la gestione si protrae per più di un anno,in modo da poter controllare la
congruità degli utili riconosciutigli o delle perdite addossategli.
I poteri di controllo dell’associato possono essere tuttavia contrattualmente ampliati.
La quota di utili spettante all’associato è proporzionale al valore dell’apporto e gli utili gli devono
essere corrisposti con cadenza annuale se la gestione si protrae per più anni.Inoltre,salvo patto
contrario, l’associato partecipa alle perdite nella stessa misura in cui partecipa agli utili.Le perdite
che colpiscono l’associato non possono però superare il valore del suo apporto.
E’ controverso tuttavia se la partecipazione alle perdite sia elemento essenziale o solo naturale
dell’associazione in partecipazione e quindi se l’associato possa essere pattiziamente esonerato da
ogni partecipazione alle perdite.
Il contratto di associazione in partecipazione può essere stipulato con una pluralità di associati.E’
però richiesto,salvo patto contrario,il consenso dei precedenti associati quando l’attribuzione di
nuove partecipazioni è successiva alla stipula del contratto originario.Nulla impedisce d’altro canto
che la posizione di associato possa essere trasferita-
Questa duplice possibilità è stata sfruttata verso la fine degli 70 soprattutto da società immobiliari,
come strumento alternativo di raccolta del risparmio fra il pubblico attraverso l’emissione,diretta o
tramite società finanziarie controllate,di titoli di credito di massa all’ordine rappresentativi dei diritti
degli associati ad un determinato affare.Ad esempio:costruzione o acquisto di un centro
commerciale o di un villaggio turistico e successiva rivendita dopo un certo tempo,in modo da
lucrare l’incremento di valore.
Si tratta però di operazioni fortemente speculative senza adeguata informazione preventiva sul reale
contenuto dei diritti che acquistavano e sui rischi che correvano;operazioni che in molti casi si sono
concluse disastrosamente per gli investitori per l’assenza di controlli su chi le architettava.
Fu comunque proprio l’esperienza dei certificati immobiliari a portare l’emanazione della disciplina
dell’offerta al pubblico di prodotti finanziari.

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L’apporto dell’associato può essere costituito dall’obbligo di prestare la propria attività lavorativa
nell’impresa dell’associante.La legge contrasta tuttavia l’abuso dell’istituto per mascherare
l’esistenza di rapporti di lavoro subordinato e privare il lavoratore dei suoi diritti.Il numero di
associati che apportano lavoro è limitato ad un massimo di tre per ciascuna attività,salvo che
sussistano rapporti familiari con l’associante oppure ricorra una delle eccezioni previste
dall’art.2459 (imprese mutualistiche,rapporti tra produttori e artisti,ecc.).Se si supera il limite,tutti
gli associati lavoratori sono considerati di diritto dipendenti a tempo indeterminato
dell’associante,con applicazione della relativa disciplina.
Il rapporto è da qualificare come lavoro subordinato anziché associazione in partecipazione,quando
l’attività dell’associato non richiede una specifica formazione o esperienza,quando non vi è stata
un’effettiva partecipazione dello stesso agli utili,oppure non gli viene consegnato il rendiconto
periodico da parte dell’associante (art.1 comma 29 delle legge 92/2012).

PARTE SECONDA:

CAPITOLO DICIANNOVESIMO:I TITOLI DI CREDITO IN


GENERALE.

I titoli di credito sono documenti destinati alla circolazione che attribuiscono il diritto ad una
determinata prestazione. Questa può consistere nel pagamento di una somma di danaro,come
avviene nella cambiale,nell’assegno bancario e circolare,e nelle obbligazioni di società (titoli di
credito in senso stretto).Può consistere anche nel diritto alla riconsegna di merci depositate o
viaggianti,come avviene nella fede di deposito,nella polizza di carico e così via (titoli di credito
rappresentativi di merci).Vi sono infine titoli di credito che rappresentano una situazione giuridica
complessa ed i relativi diritti,come le azioni di società e le quote di partecipazione a fondi comuni di
investimento (titoli di partecipazione).
Fra i titoli di credito ve ne sono poi alcuni che vengono di regola emessi ognuno per una distinta
operazione economica e che si presentano perciò come titoli individuali (cambiali e assegni).Altri
per contro,come le azioni e le obbligazioni,rappresentano frazioni di uguale valore nominale di
un’unitaria operazione economica di finanziamento ed attribuiscono ciascuno uguali diritti (titoli di
massa).
Alcuni titoli di credito,come le azioni e i titoli rappresentativi di merci,presuppongono un ben
determinato rapporto giuridico e solo in base a tale rapporto possono essere emessi (titoli
causali).Per altri invece,come la cambiale e gli assegni,il rapporto giuridico che dà luogo alla loro
emissione può variamente atteggiarsi (titoli astratti).
I titoli di credito costituiscono quindi una famiglia varia e composita,perché varie e composite sono
le operazioni economiche che determinano la loro emissione e diverso è perciò il contenuto del
diritto da ciascuno attribuito.
Alcune legge speciali regolano tuttora alcune figure tipiche di titoli di credito:cambiale,assegno
bancario e circolare,titoli azionari.Il codice civile del 1942 ha nel contempo introdotto una
disciplina generale dei titoli di credito (artt.1992-2027).
La previsione di regole comuni a tutti i titoli di credito consente di colmare eventuali lacune delle
discipline speciali:le stesse sono infatti applicabili ai singoli titoli di credito,salvo che la disciplina
speciale non disponga diversamente.
Le legge non dà una nozione del titolo di credito e questa deve essere perciò ricavata dall’interprete.

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Funzione e caratteri essenziali dei titoli di credito.


La funzione tipica e costante dei titoli di credito è quella di rendere più semplice,rapida e sicura la
circolazione dei diritti di credito,neutralizzando i rischi e gli inconvenienti che al riguardo presenta
la disciplina della cessione del credito.
Le regole di circolazione più semplici e sicure sono certamente quelle previste per i beni mobili.La
proprietà dei beni mobili si trasferisce con il semplice consenso.Inoltre,l’acquirente di un bene
mobile è tutelato contro il rischio della mancanza di titolarità nel trasferente dalla regola possesso di
buona fede vale titolo (art.1153).Infine,nel caso di alienazione a più persone dello stesso bene
mobile, prevale chi per primo ne consegue il possesso in buona fede.
Allora,se il problema è quello di rendere più semplice e sicura la circolazione della ricchezza
immateriale, la soluzione p quella di creare un modello alternativo di circolazione del credito,che
consente cioè di far circolare i crediti secondo regole analoghe a quelle che governano la
circolazione dei beni mobili.Da questa semplice idea la disciplina dei titoli di credito muove e
questa idea realizza con un complesso di regole che,sia pure sulla base di una finzione giuridica,
elevano il documento ad equivalente materiale del diritto.
La finzione giuridica consiste nel ritenere che oggetto di circolazione sia il documento (cosa
mobile) anziché il diritto in esso menzionato,mentre in realtà è l’opposto (chi acquista un titolo di
credito vuole acquistare il diritto in esso menzionato non il pezzo di carta).Si tratta però di una
finzione che consente di stabilire un collegamento giuridico del tutto particolare fra documento
(bene mobile ) e diritto in esso menzionato (entità immateriale) e di superare così in radice tutti gli
inconvenienti propri della cessione del credito.
Tale collegamento si esprime sinteticamente affermando che nel titolo di credito il diritto è
incorporato nel documento e si concretizza in 4 principi cardine fissati dalla disciplina generale dei
titoli di credito:
a) Chi acquista la proprietà del documento (cosa mobile) diventa titolare del diritto in esso menzionato
e diventa titolare del diritto cartolare ance se ha acquistato il titolo a non domino (ad esempio da un
ladro),purché sia in buona fede ed entri in possesso del titolo.E’ questo il principio dell’autonomia
in sede di circolazione del diritto cartolare fissato dall’art.1994 cod.civ.,con norma che
sostanzialmente ricalca il principio possesso vale titolo proprio dei beni mobili (art.1153).E’
principio che consente di neutralizzare il più grave dei rischi della cessione del credito;il rischio
cioè che chi trasferisce il credito non sia titolare dello stesso:in tal caso nulla il cessionario acquista.
b) Chi acquista un titolo di credito acquista un diritto il cui contenuto è determinato esclusivamente dal
tenore letterale del documento. Acquista inoltre un diritto che è di regola immune dalle eccezioni
fondate sui rapporti personali intercorsi fra debitore e precedenti possessori del titolo. Sono questi i
principi della letteralità e dell’autonomia in sede di esercizio del diritto cartolare fissati
dall’art.1993.Sono principi che consentono di superare in radice l’ulteriore rischio cui è invece
esposto il cessionario del credito,cioè di vedersi opposte tutte le eccezioni che il debitore poteva
opporre al cedente.
c) Chi ha conseguito il possesso materiale del titolo di credito,nelle forme prescritta dalla legge,è
senz’altro legittimato all’esercizio del diritto cartolare.Può cioè pretendere dal debitore la
prestazione senza essere tenuto a provare l’acquisto della proprietà del titolo e della titolarità del
diritto. E’ questa la funzione di legittimazione del titolo di credito fissata dall’art.1992.Il debitore
in base ad un titolo di credito può infatti pagare solo dietro presentazione del titolo ed è d’altro
canto dispensato dal controllare la validità e regolarità dei documenti che provano i successivi
trasferimenti.

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d) I vincoli sul diritto menzionato in un titolo di credito (pegno,sequestro,pignoramento) devono


essere effettuati sul titolo e non hanno effetto se non risultano dal titolo (art.1997).
Sono queste le regole cardine della disciplina dei titoli di credito,che fanno degli stessi una
categoria di documenti del tutto particolare che si aggiunge ai documenti semplicemente
probatori,ai documenti costitutivi ed ai documenti di legittimazione.
Il titolo di credito attribuisce perciò a chi lo acquista in sede di circolazione un diritto lettale e
autonomo. Un diritto cioè il cui contenuto è determinato esclusivamente dalla lettera del titolo;un
diritto inoltre che è indipendente dalla posizione dei precedenti portatori,sia per quanto riguarda
l’acquisto della titolarità del diritto sia per quanto riguarda il contenuto del diritto acquistato.
Il titolo di credito è un documento necessario e sufficiente per la costituzione,la circolazione e
l’esercizio del diritto letterale ed autonomo in esso incorporato.

La creazione del titolo di credito:rapporto cartolare e rapporto fondamentale.


La creazione ed il rilascio di un titolo di credito trovano giustificazione in un preesistente rapporto
fra emittente e primo prenditore (cosiddetto rapporto fondamentale o causale) ed in un accordo
fra gli stessi con cui si conviene di fissare nel titolo di credito la prestazione dovuta dal primo al
secondo in base a tele rapporto (cosiddetta convenzione di rilascio o esecutivo).Il titolo di credito
riproduce in forma semplificata e schematizzata,secondo le indicazioni prescritte dalla
legge,l’obbligazione derivante dal rapporto fondamentale.
La dichiarazione risultante dal titolo di credito costituisce il rapporto cartolare ed il diritto dalla
stessa riconosciuto al prenditore del titolo il diritto cartolare destinato a circolare.
Fissata la distinzione fra rapporto causale e rapporto cartolare,è necessario tener presente che
l’emissione di un titolo di credito produce effetti diversi a seconda che si consideri l’immediato
prenditore del titolo (parte del rapporto causale) o il terzo portatore.A seconda cioè che il titolo
abbia o meno circolato.
Se l’adempimento è richiesto dal primo prenditore,il debitore può certamente opporgli tutte le
eccezioni derivanti dal rapporto fondamentale trattandosi di eccezioni a lui personali. Se il titolo ha
invece circolato e l’adempimento è richiesto da un terzo,la situazione cambia radicalmente.Scattano
infatti a favore del terzo possessore i principi della letteralità e dell’autonomia del diritto cartolare:
decisiva nei confronti del terzo portatore è solo la lettera del titolo e a lui non sono opponibili le
eccezioni derivanti dal rapporto fondamentale intercorso col primo prenditore (eccezioni ex causa)
in quanto si tratta appunto di eccezioni a questi personali.Così l’emittente (compratore)della
cambiale potrà certamente eccepire al primo prenditore (venditore) che il contratto di
compravendita è nullo,oppure che la merce era avariata e così sottrarsi al pagamento.Non potrà
invece opporre tali eccezioni al terzo cui la cambiale è stata girata.Questi dovrà essere pagato e
l’emittente potrà solo rivalersi nei confronti dell’immediato prenditore esercitando nei suoi
confronti le azioni che gli competono in base al rapporto di compravendita.
Questo dualismo di effetti è fuori contestazione e trova giustificazione nel fatto che letteralità ed
autonomia del diritto cartolare sono principi posti a tutela della circolazione del credito e perciò
operano solo se ed in quanto il titolo abbia circolato. Controversa è invece la ricostruzione giuridica
del ruolo che il titolo di credito assolve fin quando rimane nelle mani del primo prenditore.
Vi è chi ritiene che già per il primo prenditore il titolo di credito abbia valore costitutivo di un
rapporto cartolare distinto dal rapporto fondamentale;di un’obbligazione e di un diritto cartolare che
si aggiungono a quelli derivanti dal rapporto causale. Secondo questa teoria unitaria l’emittente si
trova ad essere obbligato due volte nei confronti dell’immediato prenditore:in base al rapporto
cartolare ed in base al rapporto fondamentale,che sopravvive all’emissione del titolo salvo che le
parti non abbiano espressamente pattuito la novazione dello stesso. Naturalmente,non si contesta

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che il primo prenditore ha diritto ad essere pagato solo una volta e che non potrà in ogni caso
ricevere più di quanto gli è dovuto in base al rapporto fondamentale.
Vi è per contro chi ritiene che l’emissione del titolo di credito dia vita alla costituzione di un
rapporto cartolare,distinto da quello fondamentale,solo quando ha circolato e perviene nelle mani di
un terzo possessore (teoria mista).La pretesa azionabile dall’immediato prenditore è e resta invece
quella derivante dal rapporto fondamentale e l’emissione del titolo di credito avrebbe per questi il
più modesto ruolo di esonerarlo dall’onere di provare tale rapporto e di legittimarlo all’esercizio del
diritto.
Resta invece fuori contestazione che nei confronti del terzo acquirente l’emittente resta obbligato
solo in base al rapporto cartolare in quanto il trasferimento del titolo non comporta di per sé
cessione del credito derivante dal rapporto fondamentale.

Titoli di credito astratti e causali.


L’emissione di un titolo di credito presuppone sempre l’esistenza di un determinato rapporto
fondamentale fra emittente e primo prenditore.La connessione che si instaura fra rapporto
fondamentale e rapporto cartolare non è però identica per tutti i titoli di credito.Al riguardo i titoli di
credito possono distinguersi in due grandi categorie:titoli astratti e titoli causali.
Sono titoli di credito astratti quelli che possono essere emessi in base ad un qualsiasi rapporto
fondamentale e che inoltre non contengono alcuna menzione del rapporto che in concreto ha dato
luogo alla loro emissione.Esempio classico di titolo astratto è la cambiale:chi emette una cambiale
lo può fare per vari motivi,ma la cambiale non contiene e non può contenere per legge alcun
riferimento al rapporto causale.Lo stesso vale per l’assegno bancario e l’assegno circolare.
Sono invece titoli causali quelli che possono essere emessi solo in base ad un determinato tipo di
rapporto fondamentale,predeterminato per legge.Sono titoli di credito causali:le azioni e le
obbligazioni di società;le quote di partecipazione a fondi comuni di investimento;i titoli
rappresentativi di merce;i libretti di deposito a risparmio,sempreché si ammetta che siano titoli di
credito.
Nei titoli astratti il contenuto del diritto cartolare è determinato esclusivamente dalla lettera del
titolo:in essi manca infatti ogni riferimento al rapporto fondamentale che ha dato luogo
all’emissione ed anche se apparisse è per legge irrilevante. Resta perciò preclusa in radice ogni
possibilità di far riferimento ad altre fonti regolamentari,anche legali,per integrare quanto risulta
dalla lettera del titolo. Così ad esempio chi ha emesso una cambiale per merce acquistata si obbliga
puramente e semplicemente a pagare la somma indicata nel titolo;non potrà perciò mai invocare
neppure la disciplina legale della compravendita,per desumerne eccezioni nei confronti del terzo
portatore. I titoli astratti sono perciò definiti anche titoli a letteralità piena e completa.
Nei titoli causali i l contenuto del diritto cartolare è invece determinato non solo dalla lettera del
titolo,ma anche dalla disciplina legale del rapporto obbligatorio tipico richiamato nel documento.
Questi titoli si definiscono perciò a letteralità incompleta o per relationem.Così ad esempio le
obbligazioni emesse da una società per azioni sono assoggettate alle relativa disciplina legale,pur se
questa non è riprodotta nel titolo.La società potrà perciò opporre al terzo portatore una modifica
delle condizioni del prestito approvata dall’assemblea degli obbligazionisti,anche se la stessa non
risulta dal titolo.
Eccezion fatta per i titoli azionar,è invece oggi pacifico che anche ai titoli causali è pienamente
applicabile il principio dell’autonomia del diritto cartolare in sede di esercizio.Il rapporto cartolare
resta indipendente dal rapporto fondamentale ed al terzo portatore non sono opponibili le eccezioni
derivanti da quest’ultimo rapporto in quanto eccezioni fondate sui rapporti personali.

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Qualche ulteriore puntualizzazione è invece necessaria per i titoli rappresentativi di merce (fede di
deposito,polizza di carico,duplicato della lettera di vettura).
Questi titoli attribuiscono al possessore:
a) Il diritto alla consegna delle merci che sono in essi specificate;
b) Il possesso delle medesime;
c) Il potere di disporne mediante trasferimento del titolo.
Rappresentano quindi istrumenti per la circolazione documentale di merci viaggianti o depositate
nei magazzini generali e si caratterizzano per il fatto che l’obbligazione cartolare del vettore o del
depositario ha per oggetto la riconsegna di cose determiante ed analiticamente descritte nel
documento.
Il vettore o il depositario potranno opporre al terzo portatore,che chiede la riconsegna,che la merce
indicata nel titolo non gli è stata mai consegnata o è difforme da quella ricevuta per il trasporto o in
custodia (cosiddette eccezioni ex recepto)?
La risposta affermativa non è pacifica.Da più parti si ritiene infatti che anche i rischi ex recepto
ricadano sull’emittente del titolo rappresentativo,esposto al risarcimento danni nei confronti del
terzo possessore,trattandosi pur sempre di eccezioni personali derivanti dal rapporto fondamentale.
Inoltre,anche chi propende per la soluzione affermativa ha chiarito che l’opponibilità delle
eccezioni ex recepto non contrasta con l’autonomia del rapporto cartolare rispetto al rapporto
sottostante. E’ solo conseguenza della natura di cosa determinata della prestazione promessa,che ne
rende oggettivamente impossibile l’adempimento se non vi è stata effettiva consegna.Resta perciò
fuori contestazione l’inopponibilità al terzo possessore di ogni altra eccezione desunta dalla
disciplina convenzionale del rapporto di trasporto o di deposito che ha dato luogo all’emissione del
titolo,così come previsto dall’art.1993.

La circolazione dei titoli di credito.


Uno dei profili caratterizzanti la disciplina dei titoli di credito è la distinzione fra titolarità del diritto
cartolare e legittimazione all’esercizio dello stesso:titolare del diritto cartolare è il proprietario del
titolo;legittimato al suo esercizio è invece il possessore del titolo nelle forme prescritte dalla legge
(possessore qualificato),diverse per i titoli al portatore,all’ordine e nominativi.
Le qualità di proprietario-titolare e di possessore-legittimato di regola circolano congiuntamente e
coincidono nelle stessa persona.Nel corso della circolazione del titolo si può tuttavia verificare una
dissociazione delle due posizioni reali sul titolo (proprietà e possesso) ed una conseguente
dissociazione fra chi è titolare del diritto cartolare (proprietario spossessato) e chi è invece solo
legittimato ad esercitarlo (possessore non proprietario)-.
Si ha circolazione regolare quando il titolo viene trasferito dall’attuale proprietario ad altro soggetto
in forza di un valido negozio di trasmissione,che di regola trova fondamento in un preesistente
rapporto causale fra le parti.Chi trasferisce la proprietà del titolo dovrà poi consegnarlo ed
adempiere le eventuali altre formalità necessarie per attribuire all’acquirente la legittimazione
all’esercizio del relativo diritto.
Ci si domanda tuttavia se il contratto con cui si trasferisce la proprietà di un titolo di credito si
perfeziona col semplice consenso o è necessario anche il possesso qualificato,cioè se si tratta in
contratto consensuale o reale.
La prima soluzione è da preferire. Anche in materia di titoli di credito può e deve trovare
applicazione il principio consensualistico fissato in via generale dall’art.1376 per il trasferimento
della proprietà di una cosa materiale.D’altro canto,argomenti decisivi in senso contrario non sono
offerti dalla formulazione letterale delle norme che regolano la circolazione dei titoli di credito.

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Si deve perciò correttamente ritenere che nella circolazione regolare il solo consenso è sufficiente
per il trasferimento della proprietà del titolo ed il conseguente acquisto della titolarità del diritto.
L’investitura dell’acquirente nel possesso qualificato è per contro necessaria solo per l’attribuzione
della legittimazione all’esercizio del diritto e solo sotto tale profilo rileva la distinzione fra titoli al
portatore,all’ordine e nominativi.
La circolazione irregolare si ha quando la circolazione del titolo non è sorretta da un valido negozio
di trasferimento. Si pensi al caso classico in cui un titolo di credito è stato rubato.In tal caso il
possessore del titolo (il ladro) non acquista la proprietà del titolo e la titolarità del diritto,che restano
al derubato;ha però la possibilità di fatto di esercitare il diritto (legittimazione) e di far circolare
ulteriormente il titolo. Si ha quindi una dissociazione fra (proprietà) titolarità e (possesso)
legittimazione.
Chi ha perso il possesso del titolo contro la sua volontà potrà esercitare azione di rivendicazione
nei confronti dell’attuale possessore e riottenere così il documento necessario ai fini della
legittimazione. Inoltre,se si tratta di titoli all’ordine o nominativi potrà anche avvalersi della
procedura di ammortamento,che gli consente di ottenere un surrogato del titolo smarrito o distrutto.
Tutto ciò però fin quando il titolo non pervenga nelle mani di un terzo di buona fede,ignaro cioè del
difetto di titolarità dell’alienante. Scatta infatti a tutela di quest’ultimo il principio dell’autonomia
(in sede di circolazione).
Stabilisce infatti l’art.1994 che chi ha acquistato in buona fede il possesso di un titolo di credito,in
conformità delle orme che ne disciplinano la circolazione,non è soggetto a rivendicazione;vale a
dire,diventa anche proprietario del titolo e titolare del diritto cartolare. La sua potrà esercitare solo
azione di risarcimento danni nei confronti di colui che gli ha sottratto il titolo.
Perché si perfezioni l’acquisto a non domino di un titolo di credito devono ricorrere tre presupposti:
a) Un negozio astrattamente idoneo a trasferire la proprietà del titolo;un negozio cioè in tutto valido ed
efficace salvo che per il difetto di titolarità del dante causa;
b) L’investitura dell’acquirente nel possesso del titolo,con l’osservanza delle formalità prescritte dalla
relativa legge di circolazione (legittimazione);
c) La buona fede dell’acquirente,cioè l’ignoranza del difetto di proprietà del documento nell’alienante.
La buona fede si presume e basta che vi sia stata al momento dell’acquisto del titolo.
Si tenga infine presente che i titoli di credito possono circolare anche secondo i meccanismi di
diritto comune;cioè nella forma e con gli effetti della cessione.Il principio è espressamente
enunciato per i titoli all’ordine,maha portata generale.
In tal caso però oggetto immediato del trasferimento è il diritto cartolare non la proprietà del titolo:
l’acquirente perciò succede nella posizione del precedente creditore e resta esposto a tutte le
eccezioni a questi opponibili.

La legge di circolazione.I titoli al portatore.


In base alla legge di circolazione i titoli di credito si distinguono in titoli al portatore (artt.2003-
2007),all’ordine (artt.2008-2020) e nominativi (artt.2021-2027).
In tutte e tre la legittimazione cartolare presuppone il possesso del titolo;nei titoli all’ordine e
nominativi il possesso deve essere però integrato da indicazioni nominative risultanti dal titolo.I
titoli al portatore sono perciò definiti titoli a legittimazione reale.I titoli all’ordine e nominativi sono
invece titoli a legittimazione nominale.
Sono al portatore i titoli di credito che recano la clausola al portatore,anche se contrassegnati da un
nome.
I titoli al portatore circolano mediante la semplice consegna del titolo.Il possessore è legittimato
all’esercizio del diritto in essi menzionato in base alla sola presentazione del titolo al debitore.

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L’emissione di titoli di credito al portatore contenenti l’obbligo di pagare una somma di danaro è
ammessa solo nei casi stabiliti dalla legge,dato che la semplicità di circolazione li rende idonei a
fungere da surrogato della moneta legale.Possono essere al portatore:gli assegni bancari,i libretti di
deposito,le azioni di risparmio,le obbligazioni di società,le azioni di Sicav,le quote di partecipazione
a fondi comuni,i titoli del debito pubblico.
Per prevenire l’utilizzazione di titoli al portatore in operazioni di riciclaggio del denaro proveniente
da reati,il trasferimento (di denaro e) di titoli al portatore di importo superiore a 1000 euro può
essere eseguito solo tramite intermediari abilitati quali le banche,istituti di pagamento o di moneta
elettronica,tenuti ad identificare chi effettua il trasferimento.
Per i titoli al portatore non è di regola ammesso l’ammortamento.

I titoli all’ordine.
I titoli all’ordine sono titoli intestati ad una persona determinata.Essi circolano mediante consegna
del titolo accompagnata dalla girata.Il possessore del titolo all’ordine si legittima in base ad una
serie continua di girare.sono titoli di credito all’ordine:la cambiale,l’assegno bancario,l’assegno
circolare,i titoli rappresentativi di merci.
La girata è una dichiarazione scritta sul titolo (di regola sul retro) e sottoscritta,con la quale l’attuale
possessore (girante) ordina al debitore cartolare di adempiere nei confronti di altro soggetto
(giratario).
La girata può essere in pieno o in bianco.
E’ piena quando contiene il nome del giratario.La forma consueta è per me pagate a …,con la
sottoscrizione del girante.
La girate è in bianco quando non contiene il nome del giratario.Di regola essa è costituita dalla sola
firma del girante.
Chi riceve un titolo girato in bianco può:
a) Riempire la girata col proprio nome o con quello di altra persona;
b) Girare di nuovo il titolo in pieno o in bianco;
c) Trasmettere il titolo ad un terzo senza riempire la girata e senza apporne una nuova.
In quest’ultimo caso la circolazione successiva avviene mediante semplice consegna manuale del
titolo,analogamente a quanto avviene nei titoli al portatore.Il titolo resta però sempre un titolo
all’ordine. D’altro canto,la girata al portatore vale come girata in bianco.
La girata non può essere sottoposta a condizioni e qualsiasi condizione apporta si considera non
scritta. E’ nulla la girata parziale.
Effetto costante della girata è quello di mutare la legittimazione all’esercizio del diritto cartolare.
Quando vi siano state più girate,l’attuale possessore del titolo si legittima in base ad una serie
continua di girate,di cui l’ultima a lui intestata o in bianco. E’ necessario cioè che il nome di ogni
girante corrisponda a quello del giratario della girate precedente,fino a risalire al primo prenditore. Il
debitore è tenuto a controllare solo la regolarità formale delle girate. Non è invece tenuto a
verificarne l’autenticità e la validità. Il principio è espressamente enunciato per la cambiale,ma ha
portata generale.
Di regola la girata non ha funzione di garanzia. Salvo diversa disposizione di legge (come per i titoli
cambiari) o clausola contraria risultante dal titolo,il girante non assume alcuna obbligazione
cartolare: non è responsabile verso i giratari successivi per l’inadempimento da parte dell’emittente.
Il giratario acquista nei confronti dell’emittente un diritto letterale ed autonomo ed è di regola libero
di trasferire ulteriormente il titolo. Il codice regola però due tipi di girata con effetti limitati:la girata
per l’incasso o per procura e la girata a titolo di pegno.

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Nella girata per procura,il giratario assume la veste di rappresentante per l’incasso del girante.
Titolare del credito cartolare resta il girante ed il giratario non acquista alcun diritto autonomo.
Perciò il debitore può opporre al giratario per procura tutte e soltanto le eccezioni personali
opponibili al girante;non invece quelle personali al giratario. Inoltre,il giratario per procura non pu
ulteriormente girare il titolo se non per procura.
La girata a titolo di pegno (detta anche girata in garanzia o valuta in garanzia) attribuisce al
giratario un diritto di pegno sul titolo,a garanzia di un credito che il giratario stesso vanta nei
confronti del girante.
Il giratario acquista perciò un diritto autonomo,sia pure limitato.Al giratario non sono opponibili le
eccezioni personali al girante.
Il giratario in garanzia può inoltre esercitare tutti i diritti inerenti al titolo per il soddisfacimento del
proprio credito verso il girante.Non può però trasferire ad altri il titolo in quanto non è proprietario
dello stesso.Perciò la girata da lui fatta vale solo come girata per procura.

I titoli nominativi.
I titoli nominativi sono titoli intestati ad una persona determinata.Essi si caratterizzano per il fatto
che l’intestazione deve risultare non solo dal titolo,ma anche da un apposito registro tenuto
dall’emittente (doppia intestazione).Il possessore di un titolo nominativo è perciò legittimato
all’esercizio dei relativi diritti per effetto della doppia intestazione a suo favore:sul titolo e nel
registro dell’emittente.
Possono essere titoli nominativi le obbligazioni e le quote di partecipazione a fondi comuni di
investimento.La nominatività è inoltre obbligatoria per le azioni diverse da quelle i risparmio e delle
Sicav.Le azioni costituiscono la categoria più diffusa di titoli nominativi,anche se per esse è dettata
una disciplina parzialmente diversa da quella generale.
Complesse sono le procedure per il trasferimento della legittimazione nei titoli nominativi:è in ogni
caso necessaria la cooperazione dell’emittente dovendosi procedere al mutamento dell’intestazione
non solo sul titolo,ma anche sul registro da questi tenuto.
Vi sono tuttavia due diverse procedure:
 Il transfert,che prevede il cambiamento contestuale delle due intestazioni (o il rilascio di un nuovo
titolo),a cura e sotto la responsabilità dell’emittente.Il transfert può essere richiesto sia
dall’alienante sia acquirente.
L’alienante deve esibire il titolo e deve provare la propria identità e la propria capacità di disporre
(cioè la capacità di agire),mediante certificazione di un notaio o di un agente di cambio.
L’acquirente che richiede il transfert deve invece esibire il titolo e deve inoltre dimostrare il suo
diritto (cioè l’acquisto del titolo),mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio
o da un agente di cambio.
 Trasferimento mediante girata,procedura più snella e più diffusa.
Nel trasferimento per girata la doppia annotazione è eseguita da soggetti diversi ed in tempi
diversi:l’annotazione sul titolo (girata) è fatta dall’alienante;quella nel registro dell’emittente ad
opera di quest’ultimo e si rende necessaria solo quando l’acquirente voglie esercitare i relativi
diritti.Nel frattempo,l’acquirente può trasferire ad altri il titolo,mediante ulteriore girata,dato che dal
documento già risulta l’intestazione a suo favore.
La girata deve essere datata,deve contenere l’indicazione del giratario (non può essere perciò in
bianco) e deve essere sottoscritta anche da quest’ultimo se il titolo non è interamente liberato.La
girate deve inoltre essere autenticata da un notaio o da un agente di cambio o per le azioni anche da
un funzionario di banca o da una Sim.

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Nettamente diversi sono poi gli effetti della girata dei titoli nominativi rispetto a quella dei titoli
all’ordine.La girata di un titolo nominativo attribuisce infatti al possessore solo la legittimazione ad
ottenere la legittimazione,cioè ad ottenere l’annotazione del trasferimento nel registro
dell’emittente.Solo in seguito a quest’ultima il giratario consegue la legittimazione all’esercizio dei
diritti inerenti al titolo,mentre prima di tale momento il trasferimento mediante girata non ha
efficacia nei confronti dell’emittente.
Regole analoghe valgono per la costituzione di diritti reali limitati e di vincoli sul credito.La
costituzione in pegno può però farsi anche mediante consegna del titolo,girato con la clausola in
garanzia o altra equivalente,cui dovrà seguire l’annotazione del vincolo nel registro dell’emittente
affinché il pegno sia produttivo di effetti nei confronti dello stesso.
L’esercizio del diritto cartolare.La legittimazione.
Il possessore qualificato del titolo può far valere il diritto cartolare nei confronti del debitore senza
essere tenuto a provare il valido acquisto della proprietà del titolo e il conseguente acquisto della
titolarità del diritto.
L’art.1992 comma 1 stabilisce che il possessore di un titolo di credito,legittimato nelle forme
previste dalla legge,ha diritto alla prestazione in esso indicata verso presentazione del titolo
(cosiddetta legittimazione attiva).E’ così spostato sul debitore l’onere di provare il difetto di
titolarità,ove intenda resistere alla richiesta di adempimento.
Il debitore che senza dolo o cola grave adempie la prestazione nei confronti del possessore è
liberato anche se questi non è il titolare del diritto.Pertanto la liberazione del debitore non è
subordinata alla sua buona fede,bensì all’assenza di dolo o colpa grave.Il che significa che il
debitore è liberato non solo quando ignora il difetto di titolarità del legittimato (buona fede),ma
anche quando,pur essendone a conoscenza,non disponga di mezzi di prova pronti e sicuri per
contestare il difetto di titolarità o quanto meno non sia in grado di procurarseli con l’ordinaria
diligenza.
Questa disciplina comporta poi che il debitore può rifiutare il pagamento allo stesso titolare che ha
perduto il possesso del titolo. Il debitore resterebbe infatti esposto al rischio di un secondo
pagamento al possessore non titolare,dato che su di lui incombe l’onere di provare il difetto di
titolarità di quest’ultimo.
In breve,il possesso qualificato del titolo è di regola condizione non solo sufficiente,ma anche
necessaria per l’esercizio del diritto cartolare da parte dello stesso titolare.

Le eccezioni cartolari.
Il regime delle eccezioni che il debitore cartolare può opporre al portatore del titolo per sottrarsi al
pagamento è fissato dall’art.1993.
Le eccezioni cartolari si distinguono in due grandi categorie:eccezioni reali ed eccezioni personali.
Le prime sono opponibili a qualunque portatore del titolo.Le seconde sono invece opponibili solo
ad un determinato portatore e non si ripercuotono sugli altri.
Danno luogo ad eccezioni reali:
a) Le eccezioni di forma,vale a dire la mancata osservanza dei requisiti formali del titolo richiesti dalla
legge a pena di nullità;
b) Le eccezioni fondate sul contesto letterale del titolo;
c) La falsità della firma,da intendersi nel senso che la sottoscrizione non è giuridicamente riferibile a
colui che figura dal titolo come debitore (vi rientra perciò il caso di firma apposta da un
omonimo,non invece quello della contraffazione autorizzata di firma altrui);
d) Il difetto di capacità o di rappresentanza al momento dell’emissione del titolo;al momento cioè in
cui l’obbligazione cartolare diviene operativa con l’immissione del titolo in circolazione;

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e) La mancanza delle condizioni necessarie per l’esercizio dell’azione.Ad esempio,nella cambiale la


mancata levata del protesto,necessario per l’esercizio dell’azione contro gli obbligati di regresso.
Sono invece eccezioni personali tutte le eccezioni diverse da quelle reali. Rientrano in particolare
fra le eccezioni personali:
1) Le eccezioni derivanti dal rapporto fondamentale che ha dato luogo all’emissione del titolo
(eccezioni ex causa),opponibili solo al primo prenditore;
2) Le eccezioni fondate su altri rapporti personali con in precedenti possessori (ad
esempio,concessione di una dilazione di pagamento),opponibili solo a colui che è stato parte del
relativo rapporto;
3) L’eccezione di difetto di titolarità del diritto cartolare,opponibile al possessore del titolo che non ne
ha acquistato la proprietà o l’ha successivamente persa.
Le eccezioni di cui ai punti 1) e 2) si definiscono eccezioni personali fondate su rapporti
personali;quelle di cui al punto 3) eccezioni personali in senso stretto in quanto non trovano
fondamento in un rapporto fra debitore e portatore del titolo.
Il legislatore per evitare che l’inopponibilità delle eccezioni personali possa dar luogo ad abusi,pone
dei temperamenti a tale regola;ammette cioè che a determinate condizioni esse possano essere
opposte anche ai portatori successivi.
Per le eccezioni personali in senso stretto (difetto e titolarità) è applicabile la regola dettata
dall’art.1994 per l’acquisto a non domino:il debitore contesta infatti il mancato acquisto o la perdita
della proprietà del titolo. L’eccezione di difetto di titolarità è quindi opponibile nei confronti di tutti
i successivi possessori in malafede o colpa grave;che cioè conoscevano o dovevano conoscere il
difetto di titolarità di un precedente possessore.
Condizioni più rigorose sono invece richieste per l’opponibilità ai successivi possessori delle
eccezioni personali fondate su rapporti personali.Ciò è possibile solo se l’attuale possessore
nell’acquistare il titolo ha agito intenzionalmente a danno del debitore.
E’ questa la cosiddetta exceptio doli,che richiede non solo la conoscenza (mala fede) o
conoscibilità (colpa grave) dell’eccezione,ma una situazione più grave:il dolo.Vale a dire,un
accordo fraudolento (collusione) fra chi trasmette e chi riceve il titolo o quanto meno lo specifico
intento di quest’ultimo di danneggiare il debitore privandolo di eccezioni che questi avrebbe potuto
opporre al precedente possessore.

L’ammortamento.
Portato alle estreme conseguenze,il principio dell’incorporazione dovrebbe comportare che
l’esercizio del diritto cartolare è precluso anche in caso di perdita involontaria del titolo
(smarrimento, sottrazione o distruzione).A queste estreme conseguenze la legge tuttavia non giunge.
A favore di colui che ha perso il possesso del titolo e la legittimazione sono infatti apprestati rimedi
che consentono di svincolare l’esercizio del diritto dal possesso del titolo.
Questi rimedi sono diversi per i titoli all’ordine o nominativi e per i titoli al portatore.
Per i titoli all’ordine e nominativi è previsto l’istituto dell’ammortamento (artt.2016-2020 e 2027).
E’ questo uno speciale procedimento diretto ad ottenere la dichiarazione giudiziale che il titolo
originario non è più strumento di legittimazione (decreto di ammortamento).Chi ha ottenuto
l’ammortamento può infatti esigere il pagamento su presentazione del relativo decreto e ,se il titolo
non è scaduto,può ottenere dall’emittente un duplicato del titolo perduto.
La procedura di ammortamento è ammessa solo in caso di smarrimento,sottrazione o distruzione del
titolo (perdita involontaria del possesso) e si articola in due fasi:la prima essenziale,la seconda
eventuale.

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La procedura di ammortamento inizia con la denunzia al debitore della perdita del titolo e con il
contestuale ricorso dell’ex possessore al presidente del tribunale del luogo in cui il titolo è pagabile;
ricorso con il quale si richiede appunto l’ammortamento del titolo.Il ricorrente deve menzionare i
requisiti essenziali del titolo e,se si tratta di titoli in bianco,quelli sufficienti ad identificarlo.
Il presidente del tribunale,dopo gli opportuni accertamenti sommari sulla verità dei fatti e sul diritto
de denunziante,pronuncia con decreto l’ammortamento.Il decreto deve essere pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale e deve essere notificato al debitore,a cura del ricorrente.Solo con la notifica del
decreto il debitore non è liberato se paga al detentore del titolo.Il titolo perde cioè a partire da tale
momento la sua funzione di legittimazione.
Il debitore non può però pagare neppure all’ammortante prima che siano decorsi 30 giorni dalla
pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale.
Entro questo termine infatti il terzo detentore del titolo può proporre opposizione contro il decreto
di ammortamento.L’opposizione è proposta dinanzi allo stesso tribunale che ha pronunciato
l’ammortamento,con citazione da notificare al ricorrente ed al debitore,e non è ammissibile senza il
deposito del titolo presso la cancelleria del tribunale.
Si apre così un ordinario giudizio di cognizione,che ha per oggetto l’accertamento della proprietà
del titolo e si chiude con la revoca del decreto se l’opposizione è accolta.Se invece l’opposizione è
respinta,il decreto di ammortamento diventa definitivo ed il titolo è consegnato al ricorrente.
Il decreto di ammortamento diventa definitivo anche se non è proposta opposizione nei termini. In
tal caso però il titolo,restato in circolazione,è privato solo della funzione di legittimazione,ora
assolta dal decreto di ammortamento. Restano perciò salve le ragioni del detentore verso chi ha
ottenuto l’ammortamento,dato che l’intervenuto ammortamento non preclude la possibilità che il
terzo detentore sia divenuto proprietario del titolo e titolare del diritto in base all’art.1994.
La procedura di ammortamento non è ammessa per i titoli al portatore,salvo alcune eccezioni
tassativamente previste per i titoli a circolazione ristretta (libretti di deposito e assegni bancari al
portatore).
Il possessore del titolo al portatore che ne provi la distruzione ha tuttavia diritto ad ottenere
dall’emittente il rilascio di un duplicato o di un titolo equivalente.
Nel caso invece di smarrimento o sottrazione del titolo (e di distruzione non provata),chi ha subito
tali eventi e li abbia denunziati all’emittente,dandone la prova,ha diritto alla prestazione,decorso il
termine di prescrizione del titolo.Solo così infatti il debitore è posto al riparo dal pericolo di un
doppio pagamento.

Documenti di legittimazione e titoli impropri.


I titoli di credito vanno tenuti distinti dai documenti che hanno solo una funzione di
legittimazione,ma non presentano gli ulteriori caratteri propri del titolo di credito;non attribuiscono
cioè un diritto letterale ed autonomo.L’art.2002 prevede due categorie di tali documenti:i documenti
di legittimazione ed i titoli impropri.
I documenti di legittimazione servono solo ad identificare l’avente diritto alla prestazione.Sono
esempi di documenti di legittimazione,i biglietti della lotteria,gli scontrini di deposito di bagagli.
Questi documenti legittimano il possessore semplicemente come titolare originario del diritto e non
svolgono alcun ruolo ai fini della circolazione dello stesso.Il diritto,quando non è dichiarato
incedibile,potrà perciò circolare solo nella forma e con gli effetti propri della cessione.
I titoli impropri consentono il trasferimento del diritto senza l’osservanza delle forme proprie della
cessione,ma con gli effetti di quest’ultima.E’ ad esempio titolo improprio la polizza di assicurazione
all’ordine o al portatore.

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I titoli impropri agevolano la circolazione in quanto dispensano il cessionario dalla formalità della
notifica al debitore.Non attribuiscono però un diritto letterale ed autonomo,dato che legittimano il
possessore come cessionario del diritto documentato.
Ai documenti di legittimazione ed i titoli impropri non è perciò applicabile la disciplina dei titoli di
credito. E’ applicabile solo l’art.1992,dato che,per quanto riguarda la sola legittimazione,essi
svolgono funzione analoga a quella dei titoli di credito. Se ne deduce perciò che:
a) Il possessore di tali documenti è dispensato dal provare aliunde la titolarità originaria del diritto o la
qualità di cessionario (legittimazione attiva);
b) Il debitore ch,senza dolo o colpa grave,adempie la prestazione nei confronti del possessore del
documento,è liberato anche se questi non è titolare del diritto (legittimazione passiva).Resta ferma
l’inapplicabilità degli artt.1993 e 1994.

Dematerializzazione e gestione accentrata dei titoli di massa.Rinvio.


La circolazione dei titoli di credito si fonda sul trasferimento materiale del documento ed anche
l’esercizio del diritto cartolare comporta la presentazione del titolo al debitore. La circolazione
documentale non è però senza pericoli dato il rischio di smarrimento o di furto dei titoli;pericoli che
diventano particolarmente accentuati quando si tratta di titoli di credito di massa ampiamente diffusi
fra il pubblico e che formano oggetto di continua ed intensa negoziazione come avviene per le
azioni e le obbligazioni di società quotate in borsa nonché per i titoli del debito pubblico.
Da qui nasce l’esigenza di adottare meccanismi che consentano di ridurre il movimento materiale
dei titoli ed i pericoli che la connessione fra documento e diritto determina nella circolazione dei
titoli di massa e nell’esercizio dei relativi diritti.
A tale finalità risponde nel nostro ordinamento il sistema di gestione accentrata di strumenti
finanziari rappresentati da titoli.In base all’attuale disciplina:
a) L’attività di gestione accentrata di strumenti finanziari di emittenti privati è esercitata da apposite
società per azioni a statuto speciale(le società di gestione accentrata) che operano sotto la vigilanza
della Consob e della Bancad’Italia,anche se allo stato l’unico sistema operante è quello gestito dalla
società Monte Titoli;
b) Sono ammessi al sistema azioni ed altri strumenti finanziari di emittenti privati (obbligazioni,quote
di fondi comuni di investimento,ecc.) individuati dal regolamento congiunto di Banca d’Italia e
Consob;
c) La gestione accentrata dei titoli di Stato (buoni del tesoro,certificati di credito,ecc.) è affidata
sempre alla Monte Titoli ed è disciplinata dal Ministro dell’economia e delle finanze con proprio
regolamento e trovano applicazione le norme che regolano il funzionamento del sistema di gestione
accentrata degli altri strumenti finanziari;
d) Le modalità di funzionamento del sistema di gestione accentrata sono diverse a seconda che gli
strumenti finanziari immessi possono o meno essere rappresentati da titoli in base alla disciplina
della dematerializzazione.
La gestione accentrata degli strumenti finanziari non de materializzati si fonda sulla custodia
accentrata dei titoli presso la società di gestione.l’adesione al sistema è inoltre facoltativa.
Questo sistema consente di sostituire la circolazione documentale dei titoli volontariamente
immessi nella gestione con una circolazione de materializzata fondata su scritture contabili poste in
essere dalla società di gestione.Tali scrittura producono gli effetti propri del trasferimento secondo
la disciplina legislativa della circolazione dei titoli di credito.L’accredito contabile è cioè equiparato
ex lege al trasferimento materiale del titolo e determina l’acquisto di un diritto cartolare autonomo
da parte del beneficiario dell’ordine.

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Nel contempo,l’esercizio dei diritti cartolari è svincolato dall’esibizione dei titoli custoditi dalla
società di gestione in quanto la relativa legittimazione è attribuita dal rilascio di apposite
certificazioni attrastanti la partecipazione al sistema e contenenti l’indicazione del diritto sociale
esercitabile. E’ così ridotta al massimo la manipolazione e lo spostamento materiale dei titoli
depositati.
Questo sistema non comporta tuttavia la soppressione materiale dei titoli:gli stessi infatti vengono
pur sempre creati e rilasciati dall’emittente e restano depositati presso la società di gestione.
Una vera e propria dematerializzazione dei titoli di massa,con l’eliminazione del documento
cartaceo e l’affidamento a sistemi elettronici di scritturazione delle funzioni giuridiche
tradizionalmente assolte dal titolo di credito,è stata invece introdotta dal d.lgs. 213/1998 per lacune
categorie di strumenti finanziari ammessi al sistema di gestione accentrata.
Non possono più essere rappresentati da titoli e sono immessi nel sistema in regime di de
materializzazione gli strumenti finanziari (azioni,obbligazioni,ecc.) negoziati o destinati alla
negoziazione nei mercati regolamentati italiani,nonché quelli (non negoziati in mercati
regolamentati ma) diffusi fra il pubblico in misura rilevante,secondo i criteri individuati dalla
Consob d’intesa con la banca d’Italia.E’ invece in facoltà degli emittenti assoggettare al regime di
dematerializzazione gli strumenti finanziari che non presentano tali caratteristiche.Infine,anche la
gestione accentrata dei titoli di Stato è stata de materializzata.
L’emissione e la circolazione degli strumenti finanziari de materializzati avviene esclusivamente
attraverso il sistema di gestione accentrata,con registrazioni contabili che producono tuttavia ex lege
effetti equivalenti a quelli previsti dalla disciplina dei titoli di credito.
Si stabilisce che:
a) Effettuata la registrazione,il titolare del conto ha la legittimazione piena ed esclusiva all’esercizio
dei diritti relativi agli strumenti finanziari in esso registrati e può disporne in conformità con quanto
previsto dalle norme vigenti in materia,il che sostanzialmente corrisponde a quanto previsto
dall’art.1992 cod.civ.;
b) Colui il quale ha ottenuto la registrazione a suo favore,in base a titolo idoneo e in buona fede,non è
soggetto a pretese o azioni da parte dei precedenti titolari,con norma che corrisponde all’art.1994
cod.civ.
c) L’emittente potrà opporre al soggetto in favore del quale è avvenuta la registrazione solo le
eccezioni personali al soggetto stesso e quelle comuni a tutti gli altri titolari degli stessi diritti cos’
riproponendosi le distinzioni fra eccezioni personali e reali fissata per i titoli di credito dall’art.1993
cod.civ.
d) I vincoli sugli strumenti finanziari de materializzati si costituiscono unicamente con le registrazioni
in apposito conto tenuto dall’intermediario.
Ne consegue che,nonostante la soppressione del titolo di credito come documento,sopravvivono i
secolari principi ispiratori della disciplina dei titoli di credito,sia pure con i necessari adattamenti
imposti dal fatto che il veicolo di circolazione non è più costituito dalla carta ma da registrazioni
contabili elettroniche.
CAPITOLO VENTESIMO:LA CAMBIALE

Cambiale tratta e vaglia cambiario.


La cambiale è un titolo di credito la cui funzione tipica,anche se non esclusiva,è quella di differire il
pagamento di una somma di denaro attribuendo nel contempo al prenditore la possibilità di
monetizzare agevolmente il credito concesso,con il trasferimento del titolo.E’ quindi essenzialmente
uno strumento di credito.

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La cambiale è regolata dal regio decreto n.1669/1933 e pertanto la sua disciplina è largamente
coincidente in molti paesi europei ed extraeuropei.
Esistono due tipi di cambiale:la cambiale tratta ed il vaglia cambiario (o pagherò
cambiario).Diversa è la struttura dei due titoli.
Nella cambiale tratta,una persona (traente) ordina ad un’altra persona (trattario) di pagare una
somma di danaro al portatore del titolo. La cambiale tratta ha perciò la struttura di un ordine di
pagamento. In essa figurano tre persone:il traente che dà l’ordine e per legge garantisce
l’accettazione ed il pagamento del titolo;il trattario che è il destinatario dell’ordine di pagamento e
che diventa obbligato cambiario ed obbligato principale solo in seguito all’accettazione;il prenditore
che è il beneficiario dell’ordine di pagamento.
Il vaglia cambiario ha invece struttura di una promessa di pagamento. In esso figurano solo due
persone:l’emittente,che promette il pagamento assumendo la veste di obbligato cambiario
principale;il prenditore che è il beneficiario della promessa di pagamento.
La cambiale tratta ed il vaglia cambiario hanno alcuni caratteri fondamentali comuni:
a) La cambiale (tratta e pagherò) è un titolo di credito all’ordine;circola quindi mediante girata;
b) La cambiale è un titolo astratto. Può anche essere emessa se manca un preesistente debito del
traente o dell’emittente nei confronti del prenditore;ciò al fine di dare a quest’ultimo uno strumento
per procurarsi temporaneamente disponibilità di danari negoziando il titolo (ad
esempio,scontandolo presso una banca).E’ questa la cosiddetta cambiale di favore,nella quale il
rapporto causale è costituito dal relativo accordo fra emittente e primo prenditore (convenzione di
favore).
c) La cambiale è un titolo rigorosamente formale. Solo il titolo che presenta le indicazioni prescritte
dalla legge vale come cambiale e solo le clausole previste dalla legge possono efficacemente
apposte sulla cambiale.
d) La cambiale è un titolo che può incorporare e di regola incorpora una pluralità di obbligazioni. Gli
obbligati cambiari sono obbligati in solido verso il portatore del titolo,ma nel contempo sono
disposti per gradi e distinti per legge in obbligati diretti (emittente,accettante e loro avvallanti)ed in
obbligati di regresso (traente,giranti,loro avallanti ed accettante per intervento).
e) La cambiale è un titolo esecutivo ed è assistita da particolari agevolazioni processuali in modo da
consentire al portatore un pronto soddisfacimento in caso di mancato paamento.E’ necessario però
che siano state osservate le disposizioni tributarie in tema di imposta di bollo.

I requisiti formali della cambiale.


La cambiale è di consueto redatta su appositi moduli prestampati,predisposti dall’amministrazione
finanziaria,con i quali viene assolta l’imposta di bollo sulle cambiali.
Il modulo bollato (o qualsiasi altro pezzo di carta) è qualificabile come cambiale solo se contiene
determinate indicazioni,fissate dagli artt. 1( cambiale tratta) e 100 (vaglia cambiario) della legge
cambiaria,che rispondono allo scopo di dare un contenuto standardizzato alla cambiale rendendola
facilmente riconoscibile.
Sono questi i requisiti formali della cambiale,la cui mancanza comporta che il titolo non vale come
cambiale. Tuttavia,mentre lacune di tali indicazioni sono indispensabili (requisiti essenziali),altre
possono anche mancare n quanto,se nulla risulta dal titolo,la lacuna e colmata dalla legge con
norme suppletive (requisiti naturali).
Sono requisiti formali essenziali della cambiale:
1) La denominazione di cambiale inserita nel contesto del titolo ed espressa nella lingua in cui il titolo
è redatto. Per il vaglia cambiario possono essere utilizzate in alternativa le denominazioni vaglia
cambiario o pagherò cambiario.

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2) L’ordine incondizionato nella cambiale tratta (pagherete a …) o la promessa incondizionata nel


vaglia cambiario (pagherò a …) di pagare una somma determinata. Tale somma è di regola espressa
sia in lettere sia in cifre. In caso di discordanza,prevale la somma scritta in lettere. Se la somma è
scritta più volte,in lettere o in cifre,in caso di discordanza la cambiale vale per la somma minore.
3) L’indicazione nella cambiale tratta del nome di chi è designato a pagare (trattario),nonché il luogo e
data di nascita oppure il codice fiscale dello stesso. Trattario può essere anche lo stesso traente.
4) L’indicazione nel vaglia cambiario del luogo e della data di nascita oppure del codice fiscale del
emittente.
5) Il nome del primo prenditore. Nella cambiale tratta questi può essere lo stesso traente.
6) La data di emissione della cambiale,ossia l’indicazione del giorno in cui il titolo è messo in
circolazione.
7) La sottoscrizione del traente o dell’emittente.
La sottoscrizione deve essere autografa,cioè apposta manualmente dal traente o dall’emittente.
Inoltre,deve contenere il nome ed il cognome o almeno la ditta di colui che si obbliga. E’ valida
tuttavia la sottoscrizione nella quale il nome sia abbreviato o indicato con la sola iniziale.
Sono requisiti formali naturali della cambiale:
1) L’indicazione della scadenza. Questa infatti può essere omessa ed in tal caso la cambiale si
considera pagabile a vista. Se indicata,la scadenza deve rientrare,a pena di nullità,in uno dei 4 tipi
previsti dalla legge:a vista,a certo tempo vista,a certo tempo data,a giorno fisso. La cambiale a vista
è immediatamente esigibile e deve essere presentata al pagamento entro un anno dalla sua data,dopo
di che comincia a decorrere la prescrizione. La cambiale a certo tempo vista scade decorso un
determinato periodo di tempo dalla data dell’accettazione o del protesto per mancata accettazione o
dalla data del visto apposto dall’emittente. La cambiale a certo tempo data è pagabile decorsi un
determinato numero di giorni o mesi dalla data di emissione.
2) L’indicazione del luogo di pagamento. In mancanza,la cambiale tratta è pagabile nel luogo indicato
accanto al nome del trattario;il vaglia cambiario,nel luogo di emissione del titolo. E’ possibile
indicare come luogo di pagamento anche il domicilio di un terzo (ad esempio di una banca) ed in tal
caso la cambiale si dice domiciliata. La domiciliazione è propria se il pagamento deve essere
effettuato dal terzo,quale rappresentante del trattario o dell’emittente.E’ invece impropria se il
pagamento deve essere effettuato presso il terzo dallo stesso trattario o dall’emittente.
Non costituisce requisito di validità della cambiale il pagamento,all’atto dell’emissione,
dell’imposta proporzionale di bollo.La mancanza o l’insufficienza originaria del bollo privano però
la cambiale della qualità di titolo esecutivo.La successiva regolarizzazione fiscale è comunque
necessaria affinché il portatore possa esercitare in giudizio i diritti cambiari,ferma restando la
perdita della qualità di titolo esecutivo.

La cambiale in bianco.
Il titolo privo di alcuno dei requisiti (essenziali) non vale come cambiale.Eccezion fatta per la
sottoscrizione del traente o dell’emittente non è però necessario che tutti i requisiti siano presenti
all’atto dell’emissione del titolo.Basta che la cambiale sia completa al momento in cui il portatore
ne chiede il pagamento.
La cambiale che circola sprovvista di uno o più requisiti essenziali si chiama cambiale in bianco.In
questo caso vi è la sola sottoscrizione autografa apposta sull’usuale modulo bollato o anche su un
qualsiasi foglio di carta che porti la denominazione cambiale.Tutto il resto può essere aggiunto
dopo ad opera del prenditore del titolo.
Di regola,l’emissione della cambiale in bianco è accompagnata da un accordo di riempimento fra
emittente e primo prenditore,con il quale si fissano le modalità del successivo riempimento del

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titolo. All’emissione della cambiale in bianco si ricorre infatti quando alcuni dati cambiari (ad
esempio, importo e/o scadenza) non sono attualmente determinabili,ma lo saranno in futuro in
relazione allo svolgimento di un determinato rapporto fra le parti.
Chi rilascia una cambiale in bianco resta esposto al rischio che la stessa sia riempita dal prenditore
in modo difforme da quanto pattuito nell’accordo di riempimento. L’emittente potrà sempre opporre
la violazione dell’accordo di riempimento,pur restando a suo carico l’onere di provare in giudizio il
riempimento abusivo.
Il rischio è ben più grave se l’immediato prenditore,dopo aver completato il titolo in difformità
degli accordi,lo giri ad un terzo. L’eccezione di abusivo riempimento p infatti un’eccezione
personale. Essa non è opponibile al terzo possessore a meno che questi abbia acquistato la cambiale
in mala fede,oppure abbia commesso colpa grave acquistandola. In difetto di tale prova,il debitore
dovrà pagare la cambiale e potrà solo chiedere il risarcimento dei danni all’autore dell’abusivo
riempimento,esposto anche alle sanzioni previste per il reato di abuso di foglio in bianco.
Il portatore decade dal diritto di riempire la cambiale in bianco dopo tre anni dal giorno
dell’emissione del titolo. Il riempimento tardivo non è però opponibile al portatore di buona fede al
quale il titolo sia pervenuto già completo.
Quando manca del tutto un accordo di riempimento fra emittente e primo prenditore,cioè quando la
cambiale è entrata in circolazione senza o contro la volontà del sottoscrittore (esempio un ladro ruba
un titolo ancora incompleto e dopo averlo riempito gira la cambiale ad un terzo in buona fede),si
parla in tal caso di cambiale incompleta.
E’ stato obiettato che in questo la situazione è diversa:manca del tutto la volontà della destinazione
al riempimento;la volontà di dar vita ad una cambiale.Se ne è dedotto che la cambiale incompleta è
nulla dato che il testo cambiario (successivamente completato) non è imputabile alla volontà del
sottoscrittore e non può validamente obbligarlo. La relativa eccezione sarebbe perciò reale e non
personale (come nella cambiale in bianco) e pertanto opponibile dal sottoscrittore del titolo
incompleto a qualsiasi portatore del titolo,anche se ignaro dell’abusivo riempimento.
E’ questa però una soluzione che contrasta con le esigenze di tutela della circolazione della
cambiale completata e col dettato dell’art.14 della legge cambiaria. Il dato normativo non distingue
infatti fra cambiale in bianco e cambiale meramente incompleta,ma attribuisce rilievo,ai fini della
tutela del terzo possessore,solo al dato oggettivo dell’intervenuto completamento del titolo. Merita
perciò di essere condivisa l’opinione prevalente che applica la disciplina della cambiale in bianco
anche alla cambiale meramente incompleta:in entrambi i casi l’abusivo riempimento costituisce
eccezione personale.
Ne consegue un importante corollario.I requisiti formali di validità della cambiale non possono
essere tutti elevati a requisiti formali di validità della singola dischi azione cambiaria,ma requisito
di forma in senso proprio di quest’ultima è solo il rispetto delle regole fissate dall’art.8 per la
sottoscrizione cambiaria.
Requisiti sostanziali di validità sono solo la capacità al momento dell’emissione del titolo o,se la
firma è apposta da un rappresentante,che questi abbia i necessari poteri sempre al momento
dell’emissione. Difetto di capacità o di rappresentanza al momento dell’emissione sono infatti i soli
vizi sostanziali che danno luogo ad eccezioni reali.
In sintesi,per aversi valida assunzione di obbligazione cambiaria basta che il modulo cambiario sia
pure incompleto,sia sottoscritto nelle forme previste dall’art.8,da una persona capace di agire al
momento dell’emissione del titolo o da un suo rappresentante munito dei necessari poteri,sempre al
momento dell’emissione. La completezza de documento per contro non è requisito di validità,ma
semplice condizione di efficacia dell’obbligazione cambiaria.

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Capacità e rappresentanza cambiaria.


L’assunzione di obbligazione cambiaria costituisce sempre atto eccedente l’ordinaria
amministrazione,anche se tale non è il relativo rapporto sottostante.
Il rappresentante legale del minore o dell’interdetto può assumere obbligazioni cambiarie in loro
nome solo previa autorizzazione del giudice tutelare,salvo che sia stato autorizzato alla
continuazione dell’esercizio di impresa commerciale.
Per l’inabilitato ed il minore emancipato non autorizzato all’esercizio di impresa commerciale,è
previsto che la loro firma si accompagnata da quella del curatore con la clausola per assistenza o
altra equivalente purché idonea ad evidenziare che sta assumendo obbligazione in nome altrui.
Il rappresentante generale di un imprenditore commerciale può assumere obbligazioni
cambiarie,salvo che non risulti diversamente dall’atto di conferimento dei poteri soggetto a
pubblicità legale. Per contro,il rappresentante generale di chi non è imprenditore commerciale non
può assumere obbligazioni cambiarie,salvo prova contraria.
In merito al secondo punto,viene introdotta una vistosa deroga alla disciplina di diritto comune.
Infatti,il rappresentante cambiario senza poteri (falsus procurator) è per legge obbligato
cambiariamente come se avesse firmato in proprio. Vale a dire,è tenuto al pagamento in luogo del
preteso rappresentato,che può eccepire il difetto di rappresentanza anche al terzo possessore di
buona fede trattandosi di eccezione reale.
Il rappresentante senza poteri che ha pagato gli stessi diritti che avrebbe avuto il preteso
rappresentato. Può cioè agire cambiariamente nei confronti degli eventuali obbligati cambiari di
grado anteriore.

Le obbligazioni cambiarie.
La cambiale è un titolo di credito destinato ad incorporare più obbligazioni.Nasce con
l’obbligazione del traente o dell’emittente ed altre se ne possono aggiungere durante la vita del
titolo:quella del trattario-accettante;quella dei singoli giranti;degli avallanti e dell’accettante per
intervento. Le probabilità di pagamento del portatore del titolo sono quindi notevolmente rafforzate.
Le obbligazioni cambiarie sono rette da alcuni principi peculiari.
L’invalidità della singola obbligazione cambiaria (per firme di persone incapaci o immaginarie o
per firme false) non incide sulla validità delle altre. E’ questo il principio della reciproca
indipendenza o autonomia delle obbligazioni cambiarie,da non confondersi con quello
dell’autonomia del diritto cartolare.
Tutti gli obbligati cambiari sono obbligati in solido nei confronti del portatore del titolo alla
scadenza,che perciò può chiedere a ciascuno di essi il pagamento dell’intera somma cambiaria.
Tuttavia,gli obbligati cambiari non sono obbligati tutti nello stesso modo,sia di fronte al portatore
del titolo (rapporti esterni),sia nei rapporti reciproci (rapporti interni).
Nei confronti del portatore del titolo,gli obbligati cambiari sono distinti in due categorie:obbligati
diretti ed obbligati di regresso. L’azione nei confronti dei primi (azione diretta) non è subordinata a
particolari formalità. L’azione nei confronti dei secondi (azione di regresso) presuppone ivece il
verificarsi di determinate condizioni sostanziali (rifiuto dell’accettazione o del pagamento) ed è
subordinata a specifici adempimenti formali (levata del protesto).
Sono obbligati diretti:l’emittente,l’accettante ed i loro avallanti.
Sono obbligati di regresso:il traente,i giranti,i loro avallanti e l’accettante per intervento.
Nei rapporti reciproci uno solo di essi deve sopportare il peso definitivo del debito
cambiario,mentre gli altri sono per legge garanti di grado successivo del pagamento.
Nei rapporti interni infatti gli obbligati cambiari sono disposti per gradi,secondo un ordine
tassativamente fissato per legge. Nella cambiale tratta accettata,obbligato di primo grado è

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l’accettante,obbligato di secondo grado è il traente,obbligato di terzo grado è il primo girante e


seguono poi nell’ordine i successivi giranti. Nel vaglia cambiario,obbligato di primo grado è sempre
l’emittente,seguono poi i giranti nell’ordine sopra indicato. L’avallante assume invece un grado
cambiario immediatamente successivo a quello dell’obbligato per il quale l’avallo è stato dato ed
identica regola vale per l’accettante per intervento.
La graduazione delle obbligazioni cambiarie comporta ce,se paga l’obbligato di primo grado,tutti
gli altri sono liberati non solo nei confronti del portatore,ma anche nei rapporti interni. Per contro,il
pagamento effettuato da un obbligato di grado intermedio libera definitivamente solo quelli di grado
successivo,dato che il solvens ha azione cambiaria per il recupero dell’intera somma pagata nei
confronti degli obbligati di grado anteriore. Ad esempio,se paga il traente,questi ha azione di rivalsa
per l’intero solo verso l’accettante,mentre tutti gli altri obbligati restano definitivamente liberati.

L’accettazione della cambiale.


L’accettazione è la dichiarazione con la quale il trattario si obbliga a pagare la cambiale alla
scadenza. Con l’accettazione il trattario diventa obbligato principale (di primo grado) e diretto.
Prima dell’accettazione per contro il portatore non ha alcuna azione,né cambiaria né extracambiaria,
nei confronti del trattario,anche se questi è debitore verso il traente in base al rapporto di provvista.
L’emissione della tratta non comporta infatti cessione del credito di provvista al prenditore.
La presentazione della cambiale per l’accettazione costituisce di regola una facoltà del portatore del
titolo ed il traente può anche vietare che la cambiale sia presentata per l’accettazione,fermo restando
che anche la cambiale non accettabile deve essere presentata al trattario per il pagamento.
La presentazione per l’accettazione è tuttavia obbligatoria:
a) Nella cambiale a certo tempo vista,dato che in tal caso la presentazione è necessaria per determinare
la scadenza del titolo;
b) Quando la presentazione per l’accettazione è prescritta dal traente o da un girante,con eventuale
fissazione del termine.
L’accettazione deve essere scritta sulla cambiale ed è espressa con le parole accetto,visto o altra
equivalente,seguite dalla sottoscrizione del trattario.
Vale attuativa come accettazione anche la semplice sottoscrizione del trattario apposta sulla faccia
anteriore della cambiale.
L’accettazione deve essere incondizionata. Può essere però limitata ad una parte della somma ed in
tal caso il portatore potrà agire anticipatamente contro gli obbligati di regresso per la parte residua.
Ogni altra modifica apportata dall’accettante al tenore della cambiale (ad esempio,modifica della
scadenza) equivale a rifiuto di accettazione e consente il regresso anticipato. Nel contempo,
l’accettante resta però obbligato nei termini della sua accettazione e si ritiene che ciò valga anche
per l’accettazione condizionata.
L’accettazione diventa definitiva con la restituzione del titolo al portatore e prima di tale momento
può essere sempre revocata,mediante cancellazione. Il trattario che ha dato notizia scritta
nell’accettazione al portatore o ad un firmatario qualsiasi resta obbligato nei loro confronti
nonostante l’intervenuta cancellazione.
Il rifiuto di accettazione della cambiale espone gli obbligati di regresso al pagamento prima della
scadenza (regresso per mancata accettazione).Per evitare questa conseguenza la legge prevede
l’istituto, in verità desueto,dell’accettazione per intervento.
In caso di rifiuto da parte del trattario,l’accettazione può essere cioè fatta da un terzo e si può
trattare sia di un terzo già indicato nella cambiale da uno degli obbligati di regresso (cosiddetto
indicato al bisogno),sia di un terzo non indicato.

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L’accettante per intervento non diventa in alcun caso obbligato principale.Egli è infatti obbligato
nello stesso modo di colui per il quale interviene e nel silenzio l’accettazione si reputa data per il
traente. La sua posizione è quindi sostanzialmente quella di un obbligato di regresso di grado
successivo a quello dell’obbligato per il quale l’intervento è stato dato.

La cessione della provvista.


L’emissione di una cambiale tratta non comporta la cessione del credito di provvista del traente
verso il trattario e ciò rende la posizione del portatore insicura,soprattutto quando il traente ha
vietato la presentazione per l’accettazione. L’eventuale cessione del credito di provvista offre
garanzia all’immediato prenditore (cessionario del credito),ma non opera di per sé a favore dei
successivi giratari della cambiale,dato che il credito di provvista non si trasferisce automaticamente
con la girate del titolo.
Pertanto è stato introdotto l’istituto della cambiale tratta garantita mediante cessione di credito
derivante da forniture,istituto che consente di realizzare un collegamento automatico fra
circolazione del titolo e circolazione del credito di provvista,agevolando così lo sconto di tratte
spiccate dai fornitori di merci su propri debitori.
La realizzazione di tale risultato è però subordinata ad una serie di condizioni particolari:
a) La relativa clausola di cessione può essere apposta dal traente solo nella cambiale tratta non
accettabile,oppure per l’eventualità che l’accettazione venga rifiutata;
b) La cessione può avere per oggetto solo un credito derivante da fornitura di merci che il traente ha
verso il trattario e nei limiti dell’importo della cambiale;
c) La clausola di cessione,inserita nel contesto del titolo,deve contenere,a pena di nullità,la data ed il
numero della fattura relativa alla fornitura di merci;
d) La cessione può avvenire solo a favore di una banca,ma giova a tutti i successivi giratari.
La cessione diventa efficace con la notifica al trattario e da tale momento questi può pagare solo al
portatore della cambiale. La cessione giova infatti a tutti i successivi giratari i quali acquistano a
titolo derivativo il relativo credito,come accessorio del credito cambiario.
Il portatore della cambiale,elevato il protesto per mancato pagamento,può esercitare i diritti contro
il trattario derivanti dalla cessione della provvista contestualmente all’esercizio dell’azione
cambiaria verso il traente e gli altri obbligati.

L’avallo.
L’avallo è una dichiarazione cambiaria con la quale un soggetto (avallante) garantisce il pagamento
della cambiale per tutta o parte della somma.
L’avallo è una tipica garanzia cambiaria. Esso deve risultare dal titolo o dal foglio di allungamento.
E’ espresso con le parole per avallo o altre equivalenti,seguite dalla sottoscrizione dell’avallante
nella forma prevista dall’art.8.
Vale tuttavia come avallo la semplice sottoscrizione apporta sulla faccia anteriore del titolo,purché
non si tratti della firma del traente o del trattario,oppure dell’emittente.
L’avallo può essere prestato da un terzo o anche da un firmatario della cambiale.
L’avallo può essere dato per uno qualsiasi degli obbligati cambiari e l’avallante deve indicare per
chi l’avallo è dato. Questa indicazione non è però essenziale. Infatti,in mancanza l’avallo si intende
dato ex lege per il traente nella cambiale tratta e per l’emittente nel pagherò cambiario.
L’individuazione dell’avallato ha particolare rilievo in quanto l’avallante è obbligato nello stesso
modo di colui per il quale l’avallo è stato dato. Diventa cioè obbligato diretto,se l’avallato è un
obbligato diretto (emittente o accettante);diventa invece obbligato di regresso se tale è l’avallato.

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Nei confronti del portatore del titolo l’avallante è obbligato in solido con l’avallato e con gli altri
obbligati cambiari al pagamento della cambiale. Nei rapporti interni,l’avallante è invece un
obbligato di garanzia di grado successivo rispetto all’avallato. L’avallante che paga la cambiale
acquista infatti i diritti ad essa inerenti contro l’avallato e contro coloro che sono obbligati
cambiariamente verso quest’ultimo. Ha perciò azione cambiaria di rivalsa per l’intero contro
l’avallato e contro gli obbligati di grado anteriore.
L’avallo può essere prestato anche da più persone congiuntamente per lo stesso obbligato
cambiario. Si ha in tal caso la figura del coavallo.I coavallanti restano obbligati di grado successivo
rispetto all’avallato,ma sono obbligati di pari grado fra loro.
L’avallo è un’obbligazione di garanzia collegata con quella dell’avallato (avallante ed avallato
rispondono nello stesso modo),ma è pur sempre un’obbligazione autonoma rispetto a quest’ultima.
Infatti,l’obbligazione dell’avallante è valida ancorché l’obbligazione garantita sia nulla per qualsiasi
altra causa che un vizio di forma.
In latri termini,trova applicazione anche per l’avallo il principio cardine della reciproca
indipendenza delle obbligazioni cambiarie,con la sola limitata eccezione che l’avallante può
opporre al portatore il vizio di forma dell’obbligazione dell’avallato. Al di fuori di tale ipotesi
(accessorietà formale),l’avallante è tenuto al pagamento anche se l’obbligazione dell’avallato è
invalida.
L’avallo è perciò una tipica garanzia cambiaria che si differenzia nettamente dalla fideiussione.
L’avallo è una garanzia sostanzialmente autonoma;la fideiussione è invece una garanzia accessoria.
Ne consegue che:
a) L’avallo invalido come tale non si converte automaticamente in una fideiussione,anche perché non
necessariamente il rapporto causale che sta a base dell’avallo è una fideiussione;
b) Non sono applicabili all’avallo le norme proprie della fideiussione che trovano fondamento nel
carattere accessorio della relativa garanzia.
Così sono certamente inapplicabili all’avallo gli artt.1939 e 1945 cod.civ.,che legittimano il
fideiussore ad opporre al creditore tutte le eccezioni personali che spettano al debitore principale
così come gli articoli 1953,1955,1956 e 1957,relativi alla figura del fideiussore.
L’autonomia dell’avallo non va però enfatizzata oltre i limiti risultanti dai dati normativi.
L’autonomia dell’avallo non impedisce perciò all’avvallante di opporre al portatore il pagamento a
lui già effettuato da parte dell’avallato o altri fatti estintivi dell’obbligazione intervenuti fra
l’avvallato e quel determinato portatore. E’ questa una soluzione che non contrasta on il dettato
dell’art.7 della legge cambiaria,dato che tale norma rende autonome le obbligazioni cambiaria solo
per quanto riguarda i relativi vizi di validità.

La cambiale ipotecaria.
Il pagamento della cambiale può essere assistito anche garanzie reali:pegno ed ipoteca.
L’ipoteca rilasciata a garanzia di una determinata obbligazione cambiaria deve essere solo iscritta
nei registri immobiliari,ma anche annotata sulla cambiale a cura del conservatore. Quest’ultima è
un’annotazione da ritenersi anch’essa essenziale per la costituzione dell’ipoteca.
In seguito all’annotazione sulla cambiale,l’ipoteca,iscritta a favore dell’attuale possessore del
titolo,si trasferisce automaticamente con la girata,senza che sia necessario annotare i successivi
trapassi nei registri immobiliari.
In caso di mancato pagamento della cambiale,l’attuale possessore potrà avvalersi dell’ipoteca col
grado da essa acquistato al momento dell’iscrizione originaria.

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La cancellazione dell’ipoteca può essere consentita dal creditore anche prima del pagamento. In tal
caso,la cancellazione deve essere annotata anche sulla cambiale a cura del conservatore e comporta
la perdita del diritto di regresso nei confronti dei giranti anteriori alla cancellazione.

La circolazione della cambiale.


La disciplina della circolazione della cambiale (artt.15-25) in larga parte coincide con quella dettata
in via generale dal codice civile per i titoli di credito all’ordine,sia pure con alcune peculiarità.
Il trasferimento della cambiale mediante girata può essere escluso dal traente o dall’emittente,
apponendo sul titolo la clausola non all’ordine o altra equivalente. In tal caso la cambiale è
trasferibile solo nella forma e con gli effetti di una cessione ordinaria. L’acquirente subentra cioè a
titolo derivativo nei diritti cambiari e resta esposto a tutte le eccezioni opponibili ai precedenti
portatori.
Gli stessi effetti si producono quando,pur in assenza della clausola non all’ordine,la cambiale è
trasferita mediante atto separato,anziché mediante girata.
La girata deve essere apposta sulla cambiale (o su un foglio di allungamento della stessa) e deve
essere sottoscritta dal girante nel modo fissato dall’art.8 per tutte le sottoscrizioni cambiarie.
Altrimenti la girata è nulla.
Anche la girata della cambiale può essere in pieno o in bianco. La girata in bianco,per essere valida,
deve essere però scritta esclusivamente a tergo della cambiale o sull’allungamento.
La girata della cambiale può essere fatta anche a favore del trattario o di uno qualsiasi degli
obbligati cambiari,senza che ciò comporti estinzione della relativa obbligazione per confusione. Il
giratario di ritorno può girare di nuovo la cambiale.
La girata deve essere incondizionata e qualsiasi condizione apposta si ha per non scritta. E’ invece
nulla la girata parziale.
I principi cardine che regolano la circolazione (regolare ed irregolare) della cambiale sono identici a
quelli dettati dal codice civile per i titoli di credito in generale. Anche nella cambiale pertanto la
girata trasferisce la legittimazione all’esercizio dei diritti cartolari;il possessore in buona fede del
titolo,che si legittima in base ad una serie continua di girate,diventa proprietario del titolo e titolare
del diritto,prevalendo sul proprietario spossessato.
La disciplina della cambiale si distacca invece da quella generale per quanto riguarda la funzione di
garanzia della girata. Nella cambiale infatti il girante risponde per legge,come obbligato di
regresso,dell’accettazione e del pagamento della cambiale.
E’ questo però un effetto solo naturale della girata. Con apposita clausola,il girante può esonerarsi
da ogni responsabilità cambiaria per l’accettazione e/o per il pagamento.
Diversa dalla girata senza garanzia è la girata non all’ordine. La clausola non all’ordine apposta dal
girante non impedisce che il titolo possa essere ulteriormente trasferito mediante girata. Limita però
la responsabilità del girante. Questi infatti resta obbligato cambiariamente solo nei confronti
dell’immediato giratario;non risponde invece nei confronti di coloro cui la cambiale sia
ulteriormente girata.
La cambiale può essere girata per procura o a titolo di pegno. La relativa disciplina coincide
puntualmente con quella dettata in via generale per i titoli all’ordine.
La cambiale può essere girata anche dopo la scadenza. Tuttavia la girata effettuata dopo il protesto
per mancato pagamento,o dopo la scadenza del termine per levarlo (girata tardiva),produce solo gli
effetti di una cessione ordinaria. Il giratario non acquista cioè un diritto letterale ed autonomo pur
restando dispensato dalla notifica al debitore. Anche per la girata tardiva è da escludersi che il
girante assuma responsabilità cambiaria.

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Il pagamento della cambiale.


Legittimato a chiedere il pagamento è il portatore della cambiale che giustifica il suo diritto con una
serie continua di girate,anche se l’ultima è in bianco. Le girate cancellate si hanno per non scritte.
Chi paga alla scadenza è tenuto a controllare solo la regolarità formale delle girate e la continuità
delle stesse (coincidenza del nome di ogni girante con quello del giratario precedente) e se il titolo
contiene girate in bianco si presume che il sottoscrittore della girata successiva sia il beneficiario di
quella in bianco. Chi paga non è invece tenuto a controllare l’autenticità della firma dei giranti e più
in generale la validità sostanziale delle girate.
Eseguiti tali controlli ed identificato l’attuale possessore,il debitore cambiario è liberato anche se
paga al non titolare,a meno che da parte sua non vi sia stato dolo o colpa grave.
La cambiale deve essere presentata per il pagamento al trattario nella cambiale tratta e all’emittente
nel vaglia cambiario,oppure alla diversa persona designata nel titolo a pagare per loro.
Nella cambiale a giorno fisso e a certo tempo data o vista,la presentazione deve essere effettuata nel
giorno della scadenza o in uno dei due giorni feriali successivi. La cambiale a vista deve invece
essere presentata per il pagamento entro un anno dalla data di emissione.
L’omessa presentazione nei termini comporta la perdita dell’azione cambiaria nei confronti degli
obbligati di regresso.
Il termine di scadenza della cambiale è termine essenziale non solo per il creditore ma anche per il
debitore cambiario. Il portatore della cambiale non è tenuto a ricevere il pagamento prima della
scadenza. Inoltre,anche se consentito dal portatore,il pagamento anticipato avviene a rischio e
pericolo del debitore. Questi,anche se ha pagato al legittimato cartolare,può essere costretto ad un
secondo pagamento da parte dell’effettivo titolare del credito cambiario.
D’altro canto,se la cambiale non è presentata per il pagamento nei termini,ogni obbligato cambiario
può liberarsi depositando la somma presso la Banca d’Italia.
Il portatore della cambiale non può rifiutare un pagamento parziale. Sono così tutelati gli obbligati
di regresso che restano responsabili solo per il residuo.
Il pagamento per l’intero dà diritto alla restituzione del titolo,quietanzato dal portatore. In caso di
pagamento parziale,il debitore può invece esigere che ne sia fatta menzione nel titolo e gliene sia
data quietanza separata. Sono queste cautele necessarie per evitare di essere esposti ad un secondo
pagamento o al pagamento dell’intera somma ad un soggetto diverso dall’accipiens.
Come l’accettazione,anche il pagamento della cambiale può essere effettuato per intervento,al fine
di evitare che il portatore promuova azione cambiaria nei confronti degli obbligati di regresso.
Colui che paga per intervento può essere un terzo o una persona già obbligata
cambiariamente,tranne l’accettante. La sua indicazione può essere già contenuta nel titolo (indicato
al bisogno) o può trattarsi di un terzo che interviene spontaneamente. L’intervento può essere
prestato a favore di uno qualsiasi degli obbligati di regresso.
Il pagamento per intervento non può essere parziale e deve essere effettuato al più tardi nel giorno
successivo all’ultimo giorno consentito per elevare il protesto per mancato pagamento.
Il pagamento per intervento libera gli obbligati di grado successivo a quello per il quale il
pagamento è stato effettuato,mentre chi ha pagato acquista i diritti cambiari verso costui e gli
obbligati di grado anteriore.Perciò,in mancanza di indicazione il pagamento si reputa fatto per il
traente.
Il portatore che rifiuta il pagamento per intervento perde il regresso contro coloro che sarebbero
stati liberati.

Le azioni cambiarie.

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In caso di rifiuto del pagamento,e nella cambiale tratta anche in caso di rifiuto di accettazione,il
portatore del titolo può agire contro tutti gli obbligati cambiari,individualmente o
congiuntamente,per ottenere il pagamento. La relativa azione è però regolata diversamente a
seconda che si tratti di obbligati diretti o di regresso.
L’azione diretta non è soggetta a particolari formalità ed in particolare non è subordinata alla levata
del protesto. Inoltre,non è soggetta ad alcun termine di decadenza.
Il portatore è tenuto ad osservare solo il termine di prescrizione di 3 anni,che decorre dalla scadenza
della cambiale.
Più complessa è la disciplina dell’azione cambiaria di regresso. Il suo esercizio è infatti subordinato
a particolari condizioni sostanziali e a specifici adempimenti formali.
L’azione contro gli obbligati di regresso può essere innanzitutto esercitata alla scadenza,se il
pagamento non ha avuto luogo.
Può essere inoltre esercitata anche prima della scadenza:
1) Se l’accettazione è stata rifiutata in tutto o in parte;
2) In caso di fallimento del trattario,abbia o non abbia accettato,o dell’emittente nel pagherò
cambiario;di cessazione dei pagamenti da parte degli stessi;di esecuzione infruttuosa su loro beni;
3) In caso di fallimento del traente di una cambiale non accettabile.
In caso di fallimento,per esercitare il regresso basta produrre la relativa sentenza dichiarativa.
Negli altri casi l’esercizio dell’azione di regresso è per legge subordinato alla preventiva
constatazione del rifiuto di accettazione o di pagamento con atto autentico denominato protesto.
Il protesto deve essere elevato nei termini previsti per la presentazione all’accettazione o al
pagamento. Quindi,il protesto per mancato pagamento deve essere elevato nei termini previsti per la
presentazione all’accettazione o al pagamento. Quindi,il protesto per mancato pagamento deve
essere elevato nei 2 giorni feriali successivi ala scadenza della cambiale.
L’omessa levata del protesto nei termini comporta conseguenze particolarmente gravi:il portatore
decade dalle azioni di regresso.
Il portatore può essere tuttavia dispensato dal protesto,ma non dalla presentazione nei termini,con
apposita clausola inserita nella cambiale (clausola senza spese o senza protesto) dal traente,dal
girante o dall’avallante.
Pur se dispensato dal protesto,il portatore è inoltre tenuto a dare avviso della mancata accettazione o
del mancato pagamento al traente,al proprio girante ed ai loro avallanti,entro i 4 giorni feriali
successivi alla levata del protesto o al giorno della presentazione,se la cambiale è senza spese.
L’omissione dell’avviso nei termini comporta più limitate conseguenze:il portatore non decade dal
regresso,ma dovrà risarcire i danni eventualmente arrecati nei limiti dell’importo della cambiale.
Anche l’onere di avviso è derogabile con apposita clausola senza avviso inserita nella cambiale.
Gli obbligati cambiari,benché distinti in obbligati diretti e di regresso,sono tutti obbligati in solido
nei confronti del portatore. Perciò,il portatore può agire a sua scelta,per l’intera somma cambiaria,
contro uno qualsiasi degli obbligati e non è tenuto ad osservare l’ordine nel quale si sono obbligati.
Inoltre,l’azione promossa contro uno degli obbligati non gli impedisce di agire contro gli
altri,congiuntamente o disgiuntamente,anche se obbligati di grado successivo rispetto a colui contro
il quale si sia prima proceduto.
La disposizione per gradi degli obbligati cambiari acquista invece rilievo per regolare i rapporti fra
gli stessi,conseguenti al pagamento del portatore del titolo. L’obbligato cambiario che ha pagato
libera infatti definitivamente i coobbligati di grado successivo,dai quali non potrà ripetere alcunché.
Ha invece azione cambiaria di ulteriore regresso contro gli obbligati di grado anteriore e può
chiedere a ciascuno di essi il rimborso integrale di quanto pagato,oltre gli interessi e le spese. Non si
ha cioè divisione del debito nei rapporti fra obbligati cambiari di grado diverso.

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Chi paga ha perciò diritto alla consegna della cambiale col protesto e col conto di ritorno
quietanziato. Col pagamento infatti acquista (o riacquista) ex lege la proprietà della cambiale e la
titolarità dei diritti cambiari verso gli obbligati di grado anteriore,con la conseguenza che a lui non
saranno opponibili le eccezioni personali al portatore soddisfatto.
L’obbligato cambiario che ha pagato non ha invece azione cambiaria,neppure pro quota,nei
confronti degli eventuali coobbligati di pari grado (ad esempio,coavallanti).Contro costoro potrà
agire solo in via extracambiaria ed i relativi rapporti restano regolati dalla disciplina di diritto
comune delle obbligazioni solidali. Troverà in particolare applicazione la presunzione di divisione
del debito nei rapporti interni.
L’azione di regresso del portatore del titolo è soggetta al termine breve di prescrizione di un anno,
che decorre dalla data del protesto levato in tempo utile o dalla scadenza,se vi è la clausola senza
spese.
L’azione di ulteriore regresso cambiario del solvens si prescrive invece in 6 mesi dal giorno del
pagamento o da quello in cui l’azione di regresso è stata promossa contro di lui.
In applicazione del principio di indipendenza delle obbligazioni cambiarie,l’interruzione della
prescrizione opera solo nei confronti dell’obbligato cambiario rispetto al quale è stato compiuto
l’atto interruttivo.

Il protesto.
Il protesto è l’atto autentico necessario per la conservazione delle azioni di regresso.Con esso si
constata la mancata accettazione o il mancato pagamento della cambiale da parte del designato a
pagare in via principale (trattario o emittente).
Il protesto deve essere elevato,dietro presentazione del titolo,contro i soggetti designati nella
cambiale per l’accettazione o il pagamento nei luoghi indicati dall’art.44,anche se tali soggetti non
sono presenti o il loro domicilio non si può rintracciare.
Sono abilitati alla levate del protesto i notai,gli ufficiali giudiziari e i loro aiutanti o, in mancanza
(anche temporanea), i segretari comunali.
Il notaio e l’ufficiale giudiziario possono avvalersi della collaborazione di presentatori, nominati su
loro indicazione dal presidente della corte di appello. I presentatori,investiti anch’essi della qualità
di pubblico ufficiale,presentano il titolo,ne incassano l’importo o constatano il mancato pagamento.
L’atto di protesto è invece redatto successivamente dal notaio o dall’ufficiale giudiziario ed è
sottoscritto anche dal presentatore. Il notaio o l’ufficiale giudiziario rispondono civilmente
dell’operato dei propri presentatori,in solido con questi ultimi.
Il protesto può essere annotato sulla cambiale o può essere fatto con atto separato,ma in tal caso
deve contenere la trascrizione del titolo e se ne deve fare menzione sulla cambiale. Il protesto ha
valore di atto pubblico.
I protesti per mancato pagamento (ma non quelli per mancata accettazione)sono soggetti a
pubblicità legale,che viene curata dalla Camere di commercio.
In base all’attuale disciplina gli elenchi dei protesti sono trasmessi mensilmente al presidente della
Camera di commercio e pubblicati in un apposito registro informatico dei protesti.
La registrazione di ciascun protesto è cancellata dopo 5 anni. Tuttavia il debitore che paga la
cambiale entro 12 mesi dalla levata del protesto ha diritto di ottenere l’immediata cancellazione del
proprio nome del registro informatico,con istanza rivolta al presidente della Camera di commercio.
A seguito della cancellazione il protesto si considera come mai avvenuto.
Inoltre,il debitore protestato che adempia le obbligazioni per le quali il protesto è stato elevato e non
abbia subito ulteriori protesti,può chiedere al presidente del tribunale la riabilitazione trascorso un
anno dalla levata del protesto. Per effetto della riabilitazione il protesto si considera,a tutti gli

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effetti,come mai avvenuto e il debitore ha diritto di ottenere la cancellazione definitiva dei dati
relativi al protesto anche dal registro informatico dei protesti.
L’illegittima levata del protesto può essere fonte di responsabilità per danni del creditore
richiedente e/o del pubblico ufficiale,per il discredito che arreca al debitore.
Il protesto può essere sostituito da una dichiarazione scritta di rifiuto dell’accettazione o del
pagamento,datata e sottoscritta dal trattario. Anche questa dichiarazione è soggetta a pubblicità
legale e per avere gli effetti del protesto deve essere registrata nei termini stabiliti per il protesto.

Il processo cambiario.Le eccezioni.


L’azione cambiaria (diretta e di regresso) gode di un particolare regime processuale diretto a
consentire al creditore un più rapido recupero della somma dovutagli.
La cambiale origina rimanete in regola col bollo vale come titolo esecutivo. Il possessore della
stessa può perciò iniziare la procedura esecutiva sui beni del debitore senza doversi
preventivamente munire di un provvedimento giudiziale di condanna.
L’esecuzione deve essere preceduta dalla notificazione del precetto,che deve fra l’altro contenere la
trascrizione integrale della cambiale o del protesto.
L’eventuale opposizione al precetto non sospende l’esecuzione. Il giudice competente può tuttavia
concedere la sospensione su ricorso dell’opponente che disconosca la propria firma o la
rappresentanza,oppure adduca gravi e fondati motivi,imponendo idonea cauzione.
Il portatore della cambiale può avvalersi in alternativa dell’ordinario procedimento di cognizione
diretto ad ottenere sentenza di condanna ed è questa la sola via praticabile se la cambiale non era
originariamente in regola con il bollo,purché sia stata successivamente regolarizzata.
Alle stesse condizioni,il portatore può infine far ricorso al procedimento monitorio per ottenere un
decreto ingiuntivo,provvisoriamente esecutivo,che gli consente di iscrivere ipoteca giudiziale sui
beni del debitore.In caso di opposizione al decreto ingiuntivo si instaura un ordinario procedimento
di cognizione.
Anche nell’ordinario giudizio di cognizione iniziato dal creditore,la cambiale gode di una
particolare regime processuale.Su istanza del creditore,il giudice deve infatti emettere sentenza
provvisoria di condanna se le eccezioni opposte dal debitore sono di lunga indagine,imponendo al
creditore il versamento di una cauzione ove lo ritenga opportuno.
Quanto alle eccezioni opponibili nel processo cambiario,anche per la cambiale opera la distinzione
fra eccezioni reali (opponibili a qualsiasi portatore) ed eccezioni personali (opponibili solo ad un
determinato portatore).
Al riguardo,nonostante alcune apparenti difformità della legge cambiaria,è opinione ormai
consolidata che il relativo regime coincida puntualmente con quello dettato dalla disciplina generale
dei titoli di credito.
Tipica della cambiale è invece l’ulteriore distinzione fra eccezioni oggettive ed eccezioni
soggettive,determinata dalla pluralità di obbligazioni e dalla reciproca indipendenza delle stesse.
Sono eccezioni oggettive quelle che possono essere opposte da tutti gli obbligati cambiari.Ad
esempio,l’eccezione di invalidità della cambiale per difetto dei requisiti formali previsti dall’art.2.
Sono invece eccezioni soggettive quelle che possono essere opposte solo da un determinato
obbligato. Ad eccezioni soggettive danno luogo in particolare le cause di invalidità della singola
obbligazione cambiaria.
Il binomio eccezioni reali-eccezioni personali e quello eccezioni oggettive-eccezioni soggettive si
fonda su criteri diversi.Il primo individua i portatori della cambiale ai quali una data eccezione è
opponibile;il secondo individua invece gli obbligati che possono opporla.I due criteri sono perciò

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destinati a combinarsi:le eccezioni reali e personali possono cioè essere nel contempo sia oggettive
sia soggettive.
E’eccezione reale e soggettiva l’eccezione di difetto di capacità o di rappresentanza in quanto
opponibile solo da quel determinato obbligato ad ogni possessore della cambiale:e’ eccezione reale
ed oggettiva l’eccezione di nullità della cambiale per mancanza dei requisiti di forma in quanto
opponibile da tutti i debitori a tutti i portatori.
È eccezione personale e soggettiva ogni eccezione desunta dal rapporto causale intercorso fra un
determinato debitore cambiario ed il portatore del titolo.E’ invece eccezione personale ed oggettiva
l’eccezione di pagamento della cambiale non risultante dal titolo,opponibile solo al creditore che ha
ricevuto il pagamento,ma è opponibile da ogni debitore in quanto,dato il carattere solidale delle
obbligazioni cambiarie,il pagamento da parte di uno dei debitori libera tutti gli altri.

Le azioni extracambiarie.
L’emissione e la circolazione della cambiale trovano di regola fondamento in un preesistente
rapporto di debito fra chi dà e chi riceve il titolo (emittente-primo prenditore;girante-giratario).
Questo rapporto non si estingue con l’emissione o con la girata della cambiale,salvo che non si
provi che il rilascio della cambiale ha prodotto novazione del rapporto causale.Per realizzare il
proprio credito,il possessore della cambiale ha perciò a disposizione,oltre le azioni cambiarie
(diretta e di regresso),anche l’azione causale nei confronti del debitore che è stato parte del relativo
rapporto.
L’esercizio dell’azione causale,in alternativa o cumulativamente con quelle cambiarie,è però
subordinato ad una serie di cautele per evitare che il debitore contro cui si agisce con l’azione
causale sia esposto al rischio di un doppio pagamento.
Per poter esercitare l’azione causale è infatti necessario che:
a) Siano stati accertati sol protesto la mancata accettazione o il mancato pagamento della cambiale;
b) Il portatore offra al debitore la restituzione della cambiale,depositandola presso la cancelleria del
giudice competente;
c) Il portatore abbia inoltre adempiute tutte le formalità necessarie per conservare al debitore le azioni
di regresso che possono competergli.
L’inosservanza di queste condizioni comporta la decadenza dell’azione causale.E’ tuttavia da
ritenersi che il rispetto della condizione sub a) non sia necessario quando l’azione causale è
promossa contro un obbligato cui non competono azioni cambiarie di ulteriore regresso e che perciò
non subisce alcun pregiudizio dall’omessa levata del protesto nei termini.
Può infine verificarsi che il portatore della cambiale abbia perduto,per decadenza o prescrizione,
tutte le azioni cambiarie e non abbia alcuna azione causale da esercitare.In tal caso l’art.67 della
legge cambiaria gli consente di agire contro il traente,l’accettante o il girante per la somma cui si
siano arricchiti ingiustamente a suo danno.
L’azione,inquadrabile in quella generale d ingiustificato arricchimento,sarà in concreto esercitabile
solo nei confronti dell’obbligato cambiario beneficiario dell’arricchimento.Quindi,di regola nei
confronti dell’accettante nella cambiale tratta e dell’emittente nel pagherò.
L’azione di arricchimento cambiario si prescrive in un anno dal giorno della perdita dell’azione
cambiaria.

Ammortamento.Duplicati e copie.
La disciplina dell’ammortamento della cambiale sostanzialmente coincide con quella dettata in via
generale dal codice per i titoli di crediscito all’ordine.

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E’ solo da notare che l’art.90 della legge cambiarie (a differenza dell’art.2017 comma 2 cod.civ.)
non richiede che l’opponente al decreto di ammortamento depositi il titolo.E’ opinione ormai
consolidata che tale adempimento non è necessario.
Costituiscono invece istituti ormai desueti la creazione di duplicati e di copie della cambiale,che
rispondono all’interesse del portatore di disporre di più esemplari della stessa cambiale,ma che
espongono a rischi sia lo stesso,sia gli obbligati cambiari.
I duplicati (ammessi solo per la cambiale tratta) sono riproduzioni della cambiale rilasciate al
portatore dal suo girante e che contengono la ripetizione autografa di tutte le sottoscrizioni esistenti
sull’originale. I duplicati devono essere numerati nel contesto di ciascun titolo per evitare che siano
considerati altrettante cambiali distinte.
Le copie sono invece riproduzioni del titolo originario effettuata dallo stesso portatore.

Le cambiali finanziarie.
Le cambiali finanziarie costituiscono uno strumento di finanziamento delle imprese.La loro
funzione è quella di offrire alle imprese uno strumento per raccogliere direttamente fra il pubblico
capitale di credito a breve e medio termine,alternativo rispetto al ricorso al credito bancario spesso
eccessivamente costoso.
Le cambiali finanziarie tuttavia non hanno finora incontrato nella prassi degli affari il successo
sperato,il che ha portato di recedente ad un profonda revisione della disciplina (decreto legge
n.83/2012 convertito con legge 134/2012) nel tentativo di rivitalizzare l’istituto.
Le cambiali finanziarie sono titoli di credito all’ordine emessi in serie,con scadenza non inferiore ad
un mese e non superiore a 36 mesi dalla data di emissione. La loro struttura è quella del pagherò
cambiario;contengono cioè una promessa incondizionata di pagamento da parte dell’emittente.
Le cambiali finanziarie sono equiparate per ogni effetto di legge alle cambiali ordinarie,con
conseguente applicabilità della relativa disciplina. Presentano tuttavia per legge alcune
caratteristiche peculiari,connesse alla loro funzione tipica di strumento di finanziamento a
breve/medio termine destinato ad essere collocato fra il pubblico dei risparmiatori.
Le cambiali finanziarie sono titoli emessi in serie e non titoli individuali come le comuni cambiali.
Sono cioè emesse in numero predeterminato nell’ambito di un’unitaria operazione di finanziamento
a titolo di mutuo e presentano caratteristiche uniformi di tagli e di durata. Devono avere un taglio
minimo non inferiore a 50.000 euro e la loro scadenza non può essere inferiore a un mese e
superiore a 36 mesi dalla data di emissione,proprio perché costituiscono uno strumento di
finanziamento a breve (ma non brevissimo) e medio termine.
La denominazione di cambiale finanziaria deve essere inserita nel contesto del titolo in aggiunta
agli altri requisiti formali richiesti dall’art.100 delle legge cambiaria per il pagherò cambiario.
L’omissione comporta la nullità della cambiale.
Nella cambiale finanziaria devono essere indicati anche i proventi a favore del prenditore in
qualunque forma pattuita;tali proventi sono di regola costituiti dalla differenza fra il valore
nominale della cambiale e la minor somma corrisposta all’emittente.
Le cambiali finanziarie possono essere emesse soltanto da società di capitali,cooperative e mutue
assicuratrici,non quindi da imprenditori individuali e società di persone.E’ inoltre fatto divieto di
emissione alle banche e alle imprese che rientrano nella categoria delle cosiddette microimprese,in
base alla definizione dettata dal diritto comunitario.
L’emissione di cambiali finanziarie,in quanto strumento di raccolta del risparmio fra il pubblico,è
assoggetta alla disciplina dettata in materia dall’art.11 del decreto legislativo 385/1993 (tub) e dalla
relativa normativa regolamentare emanata dal Cicr,che pone una serie di limiti soggettivi e
quantitativi all’emissione di cambiali finanziarie.

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L’ammontare della raccolta fra il pubblico effettuata mediante cambiali finanziarie,da parte di
società per azioni ,in accomandita per azioni e cooperative,unitamente alla raccolta realizzata
mediante obbligazioni o altri strumenti finanziari non può complessivamente superare i limiti fissati
dall’art.2412 cod.civ. per l’emissione di obbligazioni;invece per le società a responsabilità limitata e
le cooperative regolate dalla disciplina delle s.r.l.) si applica la disciplina dei titoli di debito,con la
conseguenza che non predeterminati limiti quantitativi,ma i titoli devono essere sottoscritti da un
investitore professionale sottoposto a vigilanza prudenziale (banche,intermediari finanziari,
assicurazioni,ecc).
A tutela del pubblico risparmio,l’attuale disciplina stabilisce poi ulteriori vincoli,applicabili solo nel
caso che le cambiali finanziarie siano emesse da società non quotate in borsa o in un sistema
multilaterale di negoziazione:
a) Le cambiali devono essere emesse e girate esclusivamente in favore di investitori professionali che
non siano soci dell’emittente,neppure indirettamente.I titoli sono pertanto destinati a circolare solo
fra soggetti dotati di elevata competenza in materia di investimenti finanziari;
b) L’ultimo bilancio prima dell’emissione deve essere certificato da un revisore legale dei conti o da
una società di revisione;
c) L’emissione deve essere assistita da uno sponsor.
Lo sponsor è una banca o un intermediario mobiliare (sim,sgr,sicav) che supporta l’emittente nella
procedura di emissione e nella fase di collocamento dei titoli. Compito dello sponsor è anche fornire
al mercato informazioni qualificate sull’emissione. A tal fine,lo sponsor formula un giudizio sul
merito creditizio dell’emittente al momento dell’emissione e sul livello delle garanzie
eventualmente previste. Segnala inoltre se l’ammontare delle cambiali finanziarie in circolazione è
superiore al totale dell’attivo corrente (il totale delle attività risultanti dal bilancio con scadenza
entro un anno dalla data di riferimento del bilancio stesso) risultante dall’ultimo bilancio di
esercizio o consolidato:parametro che è indice del livello di liquidità dell’impresa e della
sostenibilità del debito.
Per indurre lo sponsor a non supportare emissioni da parte di società immeritevoli di credito,la
legge stabilisce che lo stesso deve di regola mantenere nel proprio portafoglio,fino alla naturale
scadenza,una quota della cambiali finanziarie,restando così parzialmente esposto al rischio di
insolvenza del debitore.
Possono fare a meno di nominare uno sponsor tuttavia le imprese di grandi dimensioni,in base ai
parametri fissati dalla Commissione europea.
Le cambiali finanziarie possono essere girate esclusivamente con la clausola “senza garanzia” e
quindi senza assunzione di obbligazione cambiaria di regresso da parte del girante.E’ così agevolata
la sottoscrizione da parte degli investitori,dato che gli stessi potranno far circolare ulteriormente i
titoli e smobilizzare l’investimento senza esporsi a responsabilità cambiaria.
In alternativa all’emissione dei titoli cartacei,è consentita anche l’emissione delle cambiali in forma
de materializzata,con applicazione della corrispondente disciplina del Tuf.In questo la dichiarazione
cambiaria si sostanzierà nella promessa incondizionata di pagare alla scadenza le somme dovute ai
titolari delle cambiali finanziarie che risultano dalle scritture contabili degli intermediari depositari.
Per le cambiali finanziarie è previsto un regime tributario agevolato,ulteriormente accentuato per
quelle emesse in forma de materializzata che sono esenti dal bollo.
Le cambiali finanziarie sono espressamente qualificate come valori mobiliari,con conseguente
applicabilità di tutta la disciplina per questi ultimi dettata.

CAPITOLO VENTUNESIMO:L’ASSEGNO BANCARIO

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L’assegno bancario (o cheque) è un titolo di credito che contiene l’ordine incondizionato diretto ad
una banca di pagare a vista una somma determinata all’ordine di una determinata persona o al
portatore.
Funzione tipica dell’assegno bancario è quella di consentire l’utilizzazione di somme disponibili
presso una banca per effettuare pagamenti a terzi evitando l’utilizzo materiale del danaro.
La funzione tipica dell’assegno bancario è perciò diversa da quella della cambiale. Quest’ultima è
di regola uno strumento di credito,cioè un mezzo per differire nel tempo il pagamento di un debito.
L’assegno bancario è invece uno strumento di pagamento,alternativo rispetto alla moneta legale.
L’assegno bancario è attualmente regolato dal regio decreto m.1736/1933 come la cambiale.
L’assegno bancario è redatto dal traente su appositi moduli prestampati fornitigli dalla banca (carnet
di assegni) ed ha la stessa struttura della cambiale tratta. Nell’assegno bancario figurano infatti tre
persone:il traente che dà l’ordine di pagamento alla banca e ripone ex lege del mancato
pagamento;la banca-trattaria alla quale l’ordine di pagamento è rivolto;il prenditore dell’assegno.
Identica essendo la struttura,la disciplina dell’assegno bancario è in larga parte modellata su quella
della cambiale tratta. In particolare,anche l’assegno bancario è un titolo di credito astratto,formale
ed esecutivo.
Anche l’assegno bancario di regola incorpora una pluralità di obbligazioni (quelle del traente,dei
giranti e dei loro avallanti) reciprocamente indipendenti,solidali e disposte per gradi.
Se identica è la struttura,diversa è però la funzione tipica dei due titoli:strumento di pagamento
l’assegno bancario;strumento di credito la cambiale tratta. La disciplina dell’assegno bancaria
presenta perciò alcune significative differenze rispetto a quella della cambiale tratta,ispirate
all’esigenza di prevenire e reprimere possibili utilizzazioni dell’assegno bancario per scopi diversi
da quello tipico ed in particolare l’utilizzazione come strumento di credito. E ciò anche per ragione
di carattere fiscale:l’assegno bancario è soggetto ad una modesta importa di bollo fissa;la cambiale
è invece soggetta ad un’imposta di bollo proporzionale.
Le principali differenze di disciplina dell’assegno bancario rispetto alla cambiale tratta possono
essere così sintetizzate:
a) Trattario può essere solo una banca;
b) Il rapporto di provvista fra traente e banca trattaria può essere costituito esclusivamente da fondi
disponibili esistenti presso la banca e utilizzabili mediante l’emissione di assegni bancari;
c) L’assegno bancario non può essere accettato dalla banca trattaria,che perciò non può assumere la
posizione di obbligato cambiario principale né può risultare obbligata come girante o avallante;
d) L’assegno bancario è sempre pagabile a vista e deve inoltre essere presentato per il pagamento entro
brevi termini;
e) L’assegno bancario è assistito da una particolare disciplina sanzionatoria,di recente
penalizzata,volta a reprimere l’uso abusivo di assegni bancari (assegni non autorizzati ed assegni a
vuoto).

I requisiti dell’assegno bancario.


E’ necessario distinguere i requisiti formali di validità dell’assegno bancario dai semplici requisiti
di regolarità. La mancanza dei primi comporta che il titolo non vale come assegno bancario. La
mancanza dei secondi invece espone a sanzioni amministrative pecuniarie,ma non comporta né
l’invalidità del titolo,né l’invalidità dell’obbligazione del traente e degli altri firmatari.
Costituiscono in particolare semplici requisiti di regolarità dell’assegno bancario quelli fissati
dall’art.3 e cioè:

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a) L’esistenza presso la banca trattaria di fondi disponibili,per somma almeno pari all’importo
dell’assegno emesso;
b) L’esistenza di una convenzione,espressa o tacita (cosiddetta convenzione di assegno),che attribuisce
al traente il diritto di disporre mediante assegni bancari dei fondi disponibili
In pratica,entrambe le condizioni sono soddisfatte quando l traente intrattiene con la banca un
rapporto di conto corrente bancario e questo presenta un saldo a favore del cliente. L’emissione del
singolo assegno bancario si atteggia perciò come atto esecutivo del preesistente mandato a svolgere
il servizio di cassa (pagamenti a terzi) assunto dalla banca con l’apertura del conto.
L’emissione di assegni bancari senza l’osservanza delle condizioni in esame-assegno non
autorizzato e assegno a vuoto-configura un illecito,oggi depenalizzato e colpito da sanzioni
pecuniarie. Comporta inoltre come sanzione accessoria il divieto di emettere assegni per un periodo
da 2 a 5 anni;nonché,nei casi più gravi,anche l’interdizione dall’esercizio di attività professionale o
imprenditoriale oppure dall’esercizio degli uffici direttivi di persone giuridiche o imprese,o
l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.
Semplice requisito di regolarità è anche l’osservanza delle norme sul bollo. In mancanza,l’assegno
bancario perde la qualità di titolo esecutivo.
Sono invece requisiti di validità dell’assegno bancario (requisiti formali):
1) La denominazione di assegno bancario (o cheque)inserita nel contesto del titolo ed espressa nella
lingua in cui lo stesso è redatto;
2) L’ordine incondizionato di pagare una somma determinata,di regola espressa in lettere ed in
cifre.L’assegno bancario può essere emesso anche all’ordine dello stesso traente (cosiddetta
clausola pagate a me medesimo),ma in questo caso la normativa di contrasto al riciclaggio di denaro
esclude che il titolo possa essere girato,salva la mera girata per l’incasso ad una banca o a Poste
italiane;
3) L’indicazione del trattario che può essere solo una banca;
4) L’indicazione del luogo di pagamento,ma in mancanza vale come luogo di pagamento quello
indicato accanto al nome del trattario;
5) La data ed il luogo di emissione dell’assegno;
6) La sottoscrizione del traente,per la quale valgono regole identiche a quelle dettate per la cambiale.
La legge assegni non detta una specifica disciplina per l’assegno in bianco né sul fatto se tutti i
requisiti formali debbano esistere,a pena di nullità,al momento dell’emissione del titolo.
E’ certo comunque che l’eventuale nullità dell’assegno emesso in bianco è in opponibile al terzo
portatore cui il titolo pervenga già completato. Si ritiene però che come nella cambiale è sufficiente
che il titolo risulti completato al momento della presentazione per il pagamento.
Come per la cambiale,i requisiti di validità dell’assegno vanno perciò tenuti distinti dai requisiti
(formali e sostanziali) di validità delle singole obbligazioni cartolari. Al riguardo valgono regole
identiche a quelle esposte per la cambiale,con una sola differenza in tema di rappresentanza. La
procura generale comprende la facoltà di emettere o girare assegni bancari,anche se rilasciata da chi
non è imprenditore commerciale.

La posizione della banca trattaria.


A differenza della cambiale tratta,l’assegno bancario non può essere accettato. Ogni menzione di
accettazione apposta sull’assegno dalla banca trattaria si ha per non scritta.
La banca trattaria non assume in alcun caso la posizione di obbligato cartolare (diretto o di regresso)
nei confronti del portatore del titolo.
Da nessuna norma della legge assegni emerge che la banca è obbligata,sia pure extracartolarmente,
verso il portatore.

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Tuttavia,il rifiuto ingiustificato di pagare l’assegno espone la banca a responsabilità contrattuale


solo nei confronti del traente,non nei confronti del prenditore. Nei confronti di quest’ultimo la
banca ha la facoltà,non l’obbligo (sia pure extracartolare) di pagare l’assegno,pur se regolare e
coperto. Quindi è da escludersi anche una responsabilità extracontrattuale della banca per lesione di
un’aspettativa giuridica del portatore.
Non mancano tuttavia strumenti,legali o convenzionali,che consentono di tutelare,sia pure
parzialmente,l’aspettativa del portatore di pagamento dell’assegno. A tal fine la legge assegni
prevede l’istituto del visto.
Il visto,scritto sull’assegno e firmato dalla banca trattaria,non comporta un obbligo di pagamento
della stessa,ma ha soltanto l’effetto di accertare l’esistenza dei fondi ed impedirne il ritiro da parte
del traente prima della scadenza del termine di presentazione. Perciò,se l’attestazione è falsa o la
banca consente al traente di disporre diversamente dei fondi,la banca stessa dovrà risarcire al
portatore i danni subiti.
Il visto ha tuttavia avuto scarsa diffusione,anche perché esso è sottoposto ad un’imposta di bollo
suppletiva.
Scarso successivo hanno avuto altri istituti elaborati dalla prassi bancaria per offrire al portatore una
parziale garanzia extracartolare della banca trattaria contro il rischio dell’emissione di assegni a
vuoto:l’assegno bancario a copertura garantita e la carta assegni.
Gli assegni bancari a copertura garantita (o assegni vademecum) portavano stampigliato sui moduli
l’importo massimo per cui ciascuno poteva essere emesso. Nel contempo,all’atto del rilascio dei
moduli la banca bloccava in un apposito conto speciale,destinato esclusivamente al pagamento di
tali assegni,una somma corrispondente all’ammontare complessivo stampigliato sui moduli. I
relativi assegni potevano essere emessi anche per importo superiore a quello stampigliato,ma la
banca rispondeva dell’esistenza dei fondi solo nei limiti dell’importo stampigliato.
La carta assegni era un documento rilasciato dalla banca al correntista sul quale era fra l’altro
indicato l’importo massimo di ciascun assegno per il quale la banca rispondeva del pagamento.
Sulla Carta assegni era apposta la firma autografa del titolare del conto ed il prenditore era tenuto a
far firmare l’assegno in sua presenza ed a controllare la corrispondenza della firma con quella
risultante dalla carta assegni;doveva inoltre trascrivere il numero della carta sull’assegno. L’importo
estremamente esiguo per cui la banca rispondeva e le incertezze sul tipo di obbligazione dalla stessa
assunto hanno tuttavia frenato la diffusione della carta assegni.
Più diffuso soprattutto nei rapporti tra banche,è il cosiddetto benefondi.Questo consiste nella
conferma,per lo più telefonica,dell’esistenza dei fondi da parte della banca trattaria,su richiesta della
banca cui il titolo è girato per l’incasso.
Di regola,il bene fondi ha il valore di semplice informazione sull’esistenza attuale dei fondi e non
comporta alcuna obbligazione extracartolare di pagamento da parte della banca trattaria (cosiddetto
benefondi informativo).Questa perciò sarà tenuta al risarcimento dei danni solo qualora abbia
fornito informazioni inesatte.
La banca può però impegnarsi espressamente a bloccare i fondi corrispondenti all’ammontare
dell’assegno (cosiddetto bene fondi con blocco).In tal caso essa è anche obbligata
extracartolarmente a pagare l’assegno qualora questo risulti regolare.

Circolazione.Avallo.
L’assegno bancario è normalmente un titolo all’ordine,ma può essere emesso anche al portatore.
La circolazione dell’assegno bancario all’ordine è regolata da norme che sostanzialmente
coincidono con quelle dettate per la cambiale. In particolare,anche il girante dell’assegno bancario
risponde ex lege del pagamento come obbligato di regresso.

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Sola significativa differenza rispetto alla cambiale è che la girata al trattario vale come quietanza ed
estingue il titolo. E’ così preclusa la possibilità che la banca trattaria giri ulteriormente l’assegno
assumendo obbligazione cartolare di regresso.
In assenza di specifica disciplina,la circolazione dell’assegno al portatore,piuttosto raro per i
pericoli che comporta,è regolata dalle disposizioni generali del codice in tema di titoli al portatore.
La legge assegni si limita a stabilire che l’eventuale girata apposta su un assegno bancario al
portatore rende il girante obbligato in via di regresso,ma non trasforma il titolo in un assegno
bancario all’ordine,sicché non muta la legge di circolazione dell’assegno ed il portatore continua a
legittimarsi in base al semplice possesso del titolo.
La libera circolazione degli assegni è fortemente limitata da legislatore per ragioni di contrasto
all’evasione fiscale ed al riciclaggio di denaro. Gli assegni bancari di importo pari o superiore a
1000 euro devono recare il nome del beneficiario e la clausola di non trasferibilità. Per scoraggiare
ulteriormente l’uso di assegni trasferibili,inoltre,è previsto che le banche rilascino i moduli di
assegno direttamente muniti della clausola di intrasferibilità,salvo che il cliente faccia richiesta per
iscritto di ricevere moduli in forma libera,pagando un’imposta di bollo più elevata. Tutto ciò fa sì
che la circolazione dell’assegno sia ormai poco comune.
Anche l’assegno bancario può essere garantito mediante avallo,ma si tratta di istituto desueto data la
breve vita del titolo. La relativa disciplina coincide con quella della cambiale. E’ però escluso
l’avallo da parte della banca trattaria.

Il pagamento dell’assegno.
L’assegno bancario è sempre pagabile a vista ed ogni contraria disposizione si ha per non scritta.
L’eventuale postdatazione dell’assegno non impedisce al portatore di presentarlo anticipatamente
per il pagamento,né alla banca di pagarlo.
L’assegno bancario non solo è pagabile a vista,ma deve essere presentato per il pagamento,presso lo
sportello della banca trattaria indicato nel titolo,entro 8 giorni dalla data di emissione (se l’assegno è
pagabile nello stesso comune in cui fu emesso) o di 15 giorni (se è pagabile in altro comune).La
presentazione dell’assegno ad una stanza di compensazione equivale a presentazione per il
pagamento.
L’omessa presentazione dell’assegno nei termini comporta la perdita dell’azione di regresso contro i
giranti ed i loro avallanti,non però verso il traente.
La banca è perciò libera di pagare anche dopo la scadenza dei termini,salvo che abbia ricevuto dal
traente l’ordine di non pagare. Inoltre,la facoltà della banca di pagare l’assegno permane anche in
caso di morte o di sopravvenuta incapacità del traente.
Nell’assegno all’ordine,la banca che paga è tenuta ad accertare la regolare continuità delle girate,ma
non a verificare l’autenticità delle firme dei giranti. La banca è tenuta inoltre ad identificare colui
che incassa ed a verificare che la firma del traente corrisponde a quella dallo stesso depositata al
momento dell’apertura del conto corrente (cosiddetto specimen).
Sono tutti questi,controlli necessari perché la banca non versi in colpa grave nel pagamento e possa
legittimamente addebitare al traente l’importo dell’assegno pagato. Si tratta di controlli che la banca
deve eseguire con la diligenza professionale dell’accorto banchiere,per esonerarsi da responsabilità
nei confronti del traente.
Questi principi sono in particolare applicabili qualora si scopra,successivamente al pagamento,che
la firma del traente era falsa o l’importo dell’assegno era stato alterato,al fine di stabilire se il
relativo rischio debba cadere sul traente o sulla banca e quindi se quest’ultima debba o meno
stornare il relativo addebito in conto.

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Con apposita clausola inserita nel contrato di conto corrente bancario,le banche tendono a scaricare
sul cliente ogni responsabilità che possa derivare dalla perdita,smarrimento o uso abusivo dei
moduli di assegni fino al momento in cui ha dato comunicazione scritta alla banca della perdita o
sottrazione degli stessi. Resta ferma,tuttavia,anche anteriormente a tale momento,la responsabilità
della banca nel pagamento degli assegni secondo i principi della diligenza professionale. Ne
consegue che il rischio del pagamento di un assegno falso o alterato nell’importo potrà essere
addossato al traente solo se la falsificazione non era riconoscibile dalla banca con l’uso della
normale diligenza dell’accorto banchiere. Inoltre,incombe sulla banca l’onere di provare la non
riconoscibilità del falso,versandosi in tema di responsabilità contrattuale.

Il regresso per mancato pagamento.


In caso di mancato pagamento da parte della banca trattaria il portatore dell’assegno può agire in
regresso contro il traente,i girante ed i loro avallanti. La disciplina della relativa azione ricalca
quella dettata per la cambiale,man con una significativa differenza.
La presentazione del titolo alla banca trattaria nei termini di legge e la constatazione del rifiuto di
pagamento mediante protesto (o dichiarazione sostitutiva del trattario) sono necessarie solo per
agire contro i giranti ed i loro avallanti.
Non sono invece necessarie per l’esercizio dell’azione di regresso contro il traente (ed i suoi
avallanti),fermo restando che il pagamento deve essere preventivamente richiesto alla banca
trattaria.
Nei confronti del traente,la presentazione tardiva comporta come unica conseguenza che,se dopo la
scadenza del termine di presentazione la disponibilità della somma è avvenuta meno per fatto del
trattario,il portatore perde i diritti verso il traente per la somma che è venuta a mancare.
L’azione di regresso del portatore contro il traente,i giranti e gli altri obbligati si prescrive in 6 mesi
dal termine di presentazione.
L’azione di ulteriore regresso dell’obbligato che ha pagato l’assegno contro gli obbligati di grado
anteriore si prescrive invece in sei mesi dal giorno del pagamento o dal giorno in cui l’azione di
regresso è stata promossa contro di lui.

Assegno sbarrato,da accreditare,non trasferibile.Assegno turistico.


Tipiche dell’assegno bancario sono alcune clausole,apposte traente o dal prenditore,volte a ridurre i
rischi connessi al furto o allo smarrimento del titolo.
L’assegno sbarrato è un assegno cui vengono apposte due rette parallele sulla faccia anteriore.
La sbarratura può essere generale o speciale. E’ generale quando fra le sbarre non vi è alcuna
indicazione o la parola banchiere. E’ speciale quando fra le sbarre è scritto in nome di un
determinato banchiere,che può essere lo stesso trattario.
Lo sbarramento non impedisce la circolazione dell’assegno,ma circoscrive i soggetti legittimati ad
incassarlo. L’assegno bancario con sbarratura generale può essere infatti pagato solo ad un
banchiere o ad un cliente del trattario. L’assegno con sbarratura speciale può invece essere pagato
solo al banchiere designato fra le sbarre o,se questi è il trattario,ad un suo cliente. Il banchiere
designato può tuttavia avvalersi per l’incasso di altro banchiere.
La banca trattaria che non osserva tali disposizioni è tenuta al risarcimento dei danni,nei limiti
dell’importo dell’assegno,nei confronti del portatore che ha subito lo smarrimento o la sottrazione.
In definitiva,lo sbarramento offre una limitata tutela contro i rischi di furto o di smarrimento:evita
che il pagamento sia effettuato a persona che non abbia già avuto rapporti con la banca trattaria,ma
non impedisce l’acquisto a non domino del titolo da parte del terzo di buona fede cui l’assegno sia
stato girato dal ladro.

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Effetti sostanzialmente equivalenti produce la clausola da accreditare. L’assegno da


accreditare,poco diffuso in Italia,non può essere pagato per contanti,ma può essere regolato dalla
banca trattaria solo mediante scritturazione contabile:accreditamento in conto,giroconto,
compensazione con un credito dalla stessa vantato. Modalità tutte che suppongono un preesistente
rapporto del trattario col soggetto che presenta il titolo.
Maggior sicurezza offre invece l’assegno non trasferibile. L’assegno emesso con tale clausola può
essere pagato solo all’immediato prenditore o accreditato nel suo conto. La girata apposta
nonostante il divieto sia ha per non scritta. La cancellazione della clausola sia ha per non avvenuta.
L’unico mezzo a disposizione dell’immediato prenditore,che non possa o non voglia riscuotere
personalmente l’assegno non trasferibile,è quello di girarlo per l’incasso ad una banca,che a sua
volta non ulteriormente girarlo.
Gli assegni bancari ( e circolari) di importo pari o superiore a euro 1000 devono per legge essere
emessi con la clausola di non trasferibilità.
La clausola di non trasferibilità preclude del tutto la circolazione dell’assegno non solo mediante
girata,ma anche mediante cessione ordinaria. Il che distingue l’assegno non trasferibile dall’assegno
non all’ordine.
La banca che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dall’originario prenditore,o dal
banchiere giratario per l’incasso,risponde del pagamento.
L’assegno turistico (o traveller’s check) è n assegno bancario che viene tratto da una banca su una
propria filiale o corrispondente estera.
E’ di regola stilato in valuta estera e rilasciato al prenditore dietro contestuale versamento
dell’importo corrispondente in euro.Chi si deve recare all’estero dispone perciò di un titolo
agevolmente negoziabile in quanto la copertura è sicura.Inoltre,il pericolo di smarrimento p furto è
attenuato.
Caratteristica peculiare dell’assegno turistico è infatti che il pagamento è subordinato alla presenza
sul titolo di una doppia firma conforme del prenditore.La prima firma è apposta al momento del
rilascio del titolo;la seconda al momento del pagamento o della negoziazione. La banca trattaria o il
giratario possono così agevolmente controllare l’autenticità della seconda firma confrontandola con
quella esistente sull’assegno.

L’ammortamento.
La disciplina dell’ammortamento dell’assegno bancario (artt.69-74) è modellata su quella della
cambiale.
E’ da tenere presente solo ce:
a) Non si distingue fra assegno all’ordine e assegno al portatore e perciò la procedura di
ammortamento è eccezionalmente ammessa anche per quest’ultimo;
b) La procedura di ammortamento è esclusa per l’assegno non trasferibile,dato che lo stesso non può
circolare.Il prenditore ha senz’altro diritto di ottenere un duplicato,a proprie spese,denunziandone lo
smarrimento,la distruzione o la sottrazione sia al trattario sia al traente;
c) Il termine per presentare opposizione è di soli 15 giorni,la metà di quanto previsto in via generale
dall’art.2016 cod.civ.

CAPITOLO VENTIDUESIMO:L’ASSEGNO CIRCOLARE.GLI


ASSEGNI SPECIALI

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L’assegno circolare.
L’assegno circolare è un titolo di credito al’ordine che contiene la promessa incondizionata della
banca emittente di pagare a vista una somma di danaro.
La sua emissione avviene dietro versamento da parte del richiedente dell’importo corrispondente.
L’assegno circolare è un mezzo di pagamento come l’assegno bancario.Si differenzia però da
quest’ultimo in quanto ha la struttura del vaglia cambiario e non della cambiale tratta:incorpora
infatti un’obbligazione diretta di pagamento della banca emittente.
L’assegno circolare è perciò un mezzo di pagamento più sicuro dell’assegno bancario e si presta
quindi efficacemente a sostituire la moneta legale nei pagamenti da piazza a piazza.
Per evitare tuttavia che l’assegno circolare possa far concorrenza alla moneta legale,lo stesso non
può mai essere emesso al portatore,diversamente dall’assegno bancario.
L’emissione degli assegni circolari è inoltre subordinata ad una serie di condizioni di regolarità. Al
riguardo è previsto che:
a) L’emissione di assegni circolari è consentita solo alle banche specificamente autorizzate dalla
Banca d’Italia;
b) La banca può emettere assegni circolari solo per somme che siano presso di essa disponibili al
momento dell’emissione (versamento in contanti o contestuale addebito sul conto corrente del
richiedente);
c) La banca autorizzata ad emettere assegni circolari deve costituire presso la Banca d’Italia una
cauzione in titoli a garanzia dei medesimi.
Costituiscono invece requisiti formali di validità dell’assegno circolare:
a) La denominazione di assegno circolare inserita nel contesto del titolo;
b) La promessa incondizionata di pagare a vista una somma determinata;
c) L’indicazione del prenditore;
d) L’indicazione della data e del luogo nel quale l’assegno circolare è emesso;
e) La sottoscrizione della banca emittente.
Non è invece richiesta l’indicazione del luogo di pagamento,dato che l’assegno circolare è pagabile
presso tutti i recapiti (filiali,agenzie,ecc.) della banca emittente.
All’assegno circolare si applica,in quanto compatibile,la disciplina del vaglia cambiario a vista.
Tuttavia,data la funzione di mezzo di pagamento dell’assegno circolare:
a) La girata a favore dell’emittente estingue il titolo;
b) Il possessore deve presentare l’assegno per il pagamento entro 30 giorni dall’emissione,pena la
decadenza dalle azioni di regresso;
c) La prescrizione triennale dell’azione diretta contro la banca emittente decorre dalla data di
emissione,anziché dalla presentazione come invece previsto per la cambiale.
Nel contempo si applica all’assegno circolare parte della disciplina dell’assegno bancario:quella in
rema di assegno sbarrato,da accreditare,non trasferibile e turistico;nonché la disciplina
dell’ammortamento. Però,il prenditore di un assegno circolare non trasferibile,decorsi 20 giorni
dalla denunzia dello smarrimento o della sottrazione,può senz’altro ottenerne il pagamento dalla
filiale alla quale fu fatta la denunzia. Inoltre,il richiedente può sempre restituire l’assegno circolare
non trasferibile all’emittente ed ottenere il rimborso del corrispondente importo,versato alla banca
al momento dell’emissione.
Valgono altresì le regole di contrasto al riciclaggio e all’evasione fiscale già viste per l’assegno
bancario:l’assegno circolare è di regola emesso con la clausola di non trasferibilità,salvo diversa
richiesta del cliente consentita solo per importi inferiori ad euro 1000.
Le banche autorizzate ad emettere assegni circolari possono affidarne l’emissione ad una o più
banche corrispondenti. In tal caso,l’assegno circolare è redatto su moduli forniti dall’istituto

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autorizzato ed è munito del visto dello stesso. Al momento dell’emissione la banca corrispondente
sottoscrive l’assegno come rappresentante dell’istituto autorizzato,sicché solo quest’ultimo è
obbligato al pagamento dell’assegno.
A questa tecnica in particolare ricorrono le banche di modesta dimensione. L’autorizzazione ad
emettere assegni circolari e concessa,per ragioni di sicurezza,ai relativi Istituti centrali di categoria
(Iccri, Iccrea,ecc.).Questi,in base ad apposita convenzione,affidano l’emissione degli assegni alle
banche aderenti,che assumono la posizione di banche corrispondenti e rilasciano gli assegni con le
modalità sopra indicate. L’assegno è pagabile presso qualsiasi banca associata.

Gli assegni speciali.Gli assegni della Banca d’Italia.


La legge sugli assegni disciplina,oltre l’assegno bancario e circolare,alcuni titoli speciali di
pagamento emessi dalla Banca d’Italia,dal Banco di Napoli e dal Banco di Sicilia.
Il più diffuso è il vaglia cambiario della Banca d’Italia,largamente utilizzato per i pagamenti della
pubblica amministrazione ed in particolare per l’estinzione dei titoli di spesa dello Stato.
E’ questo un titolo di credito all’ordine che contiene la promessa incondizionata della Banca d’Italia
di pagare a vista una somma determinata.E’ rilasciato solo dietro versamento in contanti del relativo
importo ed è pagabile presso tutte le filiali della Banca d’Italia.
La disciplina di questo titolo coincide con quella dell’assegno circolare. Anche per esso è infatti
operato un ampio rinvio alla disciplina del vaglia cambiario ordinario. Specificamente regolata è la
procedura di ammortamento,che peraltro sostanzialmente ricalca quella dell’assegno circolare.
Altro titolo specificamente regolato è l’assegno bancario,libero o piazzato,della Banca d’Italia.
E’ questo un assegno bancario all’ordine nel quale figura come traente una banca corrispondente
della Banca d’Italia,all’uopo autorizzata,e come trattario la stessa Banca d’Italia.Esso è pagabile a
vista presso qualsiasi filiale (assegno libero) o solo presso una determinata filiale (assegno piazzato)
della Banca d’Italia.
Il titolo,emesso nei luoghi in cui la Banca d’Italia non proprie filiali,si differenzia dal comune
assegno bancario perché è emesso dalla banca traente dietro versamento in contanti del relativo
importo da parte del richiedente.E’ inoltre previsto il versamento di un’idonea cauzione della banca
corrispondente (traente) alla Banca d’Italia e la costituzione presso quest’ultima di una speciale
garanzia.
Il titolo offre perciò la stessa sicurezza di pagamento dell’assegno circolare e del vaglia della Banca
d’Italia,benché a differenza di questi ultimi non contenga una promessa diretta di pagamento da
parte della Banca d’Italia.
La struttura del titolo resta comunque quella propria dell’assegno bancario,la cui disciplina è
largamente richiamata. Per l’ammortamento si applicano invece le disposizioni sul vagli cambiario
della Banca d’Italia.
Un titolo speciale,che può essere emesso solo dal Banco di Napoli e dal Banco di Sicilia,è infine la
fede di credito o polizzino,oggi in disuso che presenta spiccate analogie con l’assegno circolare.
La fede di credito è infatti un titolo all’ordine che contiene la promessa del Banco di pagare a vista
una somma determinata presso qualsiasi filiale. La caratteristica della fede di credito risiede nel
fatto che la girata può contenere l’indicazione della causale per cui il pagamento è disposto. Inoltre
il girante può subordinare il pagamento da parte dell’emittente al verificarsi di determinate
condizioni ed in tal caso il pagamento resta sospeso fin quando non sia dimostrato che la condizione
si è verificata,anche se il titolo può ulteriormente circolare. E’ così possibile disporre di una prova
che il pagamento è stato effettuato per una determinata causale e nel contempo essere sicuri che il
pagamento resta sospeso fin quando non si sia verificata una cerca condizione (esempio:liberazione

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dell’immobile acquistato da un’ipoteca che gravava sullo stesso).Particolarmente diffuso è stato


perciò in passato l’uso della fede di credito nelle vendite mobiliari.

PARTE TERZA:

CAPITOLO VENTITREESIMO:LA CRISI DELL’IMPRESA

Crisi dell’impresa e procedure concorsuali.


La crisi economica dell’impresa ed il conseguente dissesto patrimoniale dell’imprenditore sono
eventi che coinvolgono una gran massa di creditori,che vengono a trovarsi nell’impossibilità di
realizzare o di realizzare per l’intero quanto loro dovuto. Infatti,i creditori di un imprenditore sono a
loro volta in gran parte imprenditori e la mancata realizzazione del credito concesso può provocare
di riflesso la crisi economica delle loro imprese.Sono eventi infine che coinvolgono interessi
collettivi ulteriori:l’interesse alla salvaguardia dell’occupazione attraverso il risanamento
dell’impresa e la continuazione dell’attività quando la crisi è temporanea e reversibile.
La crisi economica dell’impresa è perciò evento di fronte al quale i mezzi di tutela individuali dei
creditori previsti dall’ordinamento ed in particolare l’azione esecutiva individuale sui beni del
debitore si rivelano strumenti inadeguati ed insufficienti.
Per il dissesto dell’imprenditore commerciale non piccolo furono previste dal legislatore speciali
procedure,diversamente articolate,denominate procedure concorsuali.Per contro,la sistemazione del
dissesto degli imprenditori agricoli e dei piccoli imprenditori commerciali restava affidata agli
strumenti di diritto comune ed in particolare alla procedure esecutiva individuale.
Solo nel 2012 sono state introdotte specifiche procedure concorsuali utilizzabili dai debitori diversi
dall’imprenditore commerciale non piccolo:piccoli imprenditori,imprenditori agricoli,professionisti
e consumatori.
La legge regola attualmente sei procedure concorsuali,quattro sono previste dal regio decreto
n.267/1942 (cosiddetta legge fallimentare) e sono il fallimento,il concordato preventivo,l’accordo di
ristrutturazione dei debiti e la liquidazione coatta amministrativa.Una quinta procedura concorsuale,
l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza,è stata introdotta dalla
legge n.95/1979 e radicalmente riformata dal decreto legislativo n.270/1999;il seguito il decreto
legge n.347/2003 ha aggiunto al catalogo una speciale amministrazione straordinaria accelerata per
le imprese di maggiori dimensioni.Con la riforma del diritto fallimentare del 2006 è stata invece
soppressa un’ulteriore procedura prevista dalla legge fallimentare l’amministrazione controllata.
Le procedure concorsuali destinate ai debitori diversi dall’imprenditore commerciale non piccolo
sono invece regolate dalla legge n.3/2012.Esse sono:la procedura di liquidazione,l’accordo di
composizione della crisi da sovra indebitamento e il piano del consumatore (procedure concorsuali
delle crisi da sovraindebitamento).
Pur presentando significativi profili di diversità,le singole procedure concorsuali sono tutte
procedure generali e collettive. Sono procedure generali perché coinvolgono tutto il patrimonio
dell’imprenditore e non solo singoli beni. Sono procedure collettive perché coinvolgono tutti i
creditori dell’imprenditore alla data in cui il dissesto è accertato e mirano ad assicurare in via di
principio la parità di trattamento degli stessi (par condicio creditorum).

Le procedure concorsuali dell’imprenditore commerciale non piccolo.


Le procedure concorsuali sono diverse fra loro sotto più profili:presupposti soggettivi ed oggettivi
in applicazione;finalità specificamente perseguita e strumenti giuridici utilizzati;autorità (giudiziaria
o amministrativa) investita della procedura.

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Il fallimento è il prototipo delle procedure concorsuali.Ad esso sono soggetti gli imprenditori
commerciali insolventi,salvo che ricorrano gli specifici presupposti soggettivi e/o oggettivi stabili
per le altre procedure concorsuali.
Il fallimento è una procedura giudiziaria che mira a liquidare il patrimonio dell’imprenditore
insolvente opportunamente reintegrato,e a ripartirne il ricavato fra i creditori,secondo critri ispirati
dal principio della parità di trattamento.
Il concordato preventivo e l’amministrazione controllata erano spesso usati in modo anomalo come
anticamera del fallimento.
Nel sistema originario della legge fallimentare,il concordato preventivo presupponeva,al pari del
fallimento,l’insolvenza dell’imprenditore.Consentiva tuttavia di evitare il fallimento quando
l’imprenditore presentava specifici requisiti di meritevolezza ed era in grado di garantire ai creditori
il pagamento di una percentuale consistente di quanto loro dovuto (on meno del 40%).Era a tal fine
però necessario il consenso di una maggioranza qualificata dei creditori.Inoltre il tribunale doveva
valutare la convenienza per gli stessi del concordato.
Il concordato preventivo non aveva la specifica finalità di consentire la conservazione dell’impresa
e la continuazione dell’attività da parte dello stesso imprenditore,ma si risolveva in una particolare
forma di liquidazione dell’intero patrimonio,da parte dello stesso imprenditore o dei creditori,sotto
il controllo dell’autorità giudiziaria.Non era raro tuttavia che si convertisse nel fallimento per
impossibilità dell’imprenditore di far fronte alla percentuale promessa.
Specifiche finalità di conservazione dell’impresa aveva invece l’amministrazione controllata. In
presenza degli stessi requisiti di meritevolezza previsti per il concordato preventivo,l’imprenditore
di far fronte alla percentuale promessa.
Specifiche finalità di conservazione dell’impresa aveva invece l’amministrazione controllata. In
presenza degli stessi requisiti di meritevolezza previsti per il concordato preventivo,l’imprenditore
poteva ricorrere a tale procedura quando si trovava in una situazione di temporanea difficoltà e vi
fossero comprovate possibilità di risanare l’impresa.
La moratoria nei pagamenti concessagli dalla maggioranza qualificata dei creditori per un periodo
massimo di 2 ani e la continuazione dell’attività durante questo periodo,sotto il controllo
dell’autorità giudiziaria,avrebbero dovuto consentirgli il ritorno in bonis ed il successivo
soddisfacimento integrale dei creditori. In pratica però l’amministrazione controllati si risolveva
spesso in un semplice differimento della dichiarazione di fallimento.
Dopo vari tentativi di riforma non pervenuti ad uno sbocco legislativo,si è infine arrivati ad una
profonda revisione della legge fallimentare,con una serie di interventi legislativi che si sono
succeduti a partire dal 2005,fra i quali meritano in particolare di essere menzionati:
- Il decreto legge n.35/2005 che ridisegnato radicalmente il concordato preventivo ed ha introdotto
l’istituto degli accordi di ristrutturazione dei debiti;
- il decreto legislativo n.5/2006 che ha incisivamente innovato la disciplina del fallimento ed ha
soppresso l’amministrazione controllata;
- il decreto legislativo n.169/2007 che ha apportato significative correzioni alle precedenti riforme ;
- il decreto legislativo n.83/2012 che ulteriormente modificato la disciplina del concordato preventivo
e degli accordi di ristrutturazione dei debiti,al fine di favorirne l’impiego per la salvaguardia del
complesso aziendale.
Si inserisce in questo disegno il nuovo concordato preventivo,che non presuppone più
necessariamente l’insolvenza dell’imprenditore,bensì solo una situazione di crisi dell’impresa.Nè è
più richiesto il possesso di requisiti di meritevolezza da parte dell’imprenditore.L’accordo può
inoltre perseguire la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei creditori attraverso qualsiasi
forma.

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Il concordato preventivo può avere come fine,a seconda delle circostanze,la liquidazione di tutto il
patrimonio o il ritorno in bonis del debitore e la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte dello
stesso. In questo secondo caso,il concordato preventivo assorbe la funzione della soppressa
amministrazione controllata.
Le medesime finalità possono avere anche gli accordi di ristrutturazione dei debiti,disciplinati con
la riforma del 2007,che si differenziano dal concordato preventivo per il modo in cui viene
raggiunto l’accordo e per una maggiore libertà delle parti nel determinarne il contenuto.
La liquidazione coatta amministrativa è invece una procedura che trova applicazione,in luogo del
fallimento nei confronti di determinate categorie di imprese che svolgono attività di particolare
rilievo economico e sociale (ad esempio imprese bancarie ed assicurative) e perciò sottoposte a
vigilanza governativa.
E’ al parti del fallimento una procedura concorsuale che porta all’eliminazione dell’impresa dal
mercato ed alla disgregazione del complesso produttivo,assicurando nel contempo il
soddisfacimento paritario dei creditori.Si differenzia però al fallimento perché è una procedura
amministrativa (e non giudiziaria);inoltre può essere disposta dall’autorità di vigilanza anche per
cause diverse dell’insolvenza.
Nel sistema fin qui delineato si è inserita,a partire dal 1979,una nuova procedura concorsuale:
l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.L’idea ispiratrice della nuova
procedura è quella di conciliare,almeno per le imprese che presentano una particolare esposizione
debitoria,il soddisfacimento dei creditori dell’imprenditore insolvente con il salvataggio dei
creditori dell’imprenditore insolvente con l salvataggio del complesso produttivo e la conservazione
dei posti di lavoro.
In pratica,però l’istituto,così come originariamente disciplinato,non ha dato buoni risultati.I
risanamenti sono stati ben pochi e la nuova procedura si è quasi sempre risolta nel mantenimento in
vita, a spese della collettività,di organismi produttivi rivi di qualsiasi prospettiva di ripresa.
La disciplina dell’amministrazione straordinaria è stata però radicalmente riformata nel 1999,al fine
di meglio conciliare la conservazione del patrimonio produttivo delle grandi imprese insolventi con
la tutela dei creditori.
Ne è conseguita una procedura concorsuale mista (giudiziaria e amministrativa),articolata in due
fasi. La prima si apre con la dichiarazione dello stato di insolvenza da parte dell’autorità giudiziaria,
che solo in un secondo momento ammette l’imprenditore all’amministrazione straordinaria vera e
propria dopo aver accertato che ricorrono concrete prospettive di riequilibrio economico
dell’impresa. Altrimenti dichiara il fallimento.
E’ invece devoluta all’autorità amministrativa (Ministero dello sviluppo economico) la gestione
della procedura,che si caratterizza per l’automatica continuazione dell’esercizio dell’impresa
insolvente,prima da parte di un commissario giudiziale e poi da parte di un commissario
straordinario di nomina ministeriale.Quest’ultimo provvede altresì a predisporre ed attuare un
programma finalizzato a soddisfare i creditori attraverso la cessione dei complessi aziendali entro
un anno o a consentire che l’imprenditore recuperi la capacità di soddisfare regolarmente le proprie
obbligazioni attraverso un programma di risanamento di durata non superiore a 2 anni.
L’amministrazione straordinaria si converte in fallimento ove risulti,anche nel corso della
procedura,che questi obiettivi non sono realizzabili.
Punto critico della procedura di amministrazione straordinaria è però l’eccesiva complessità della
fase di apertura,volta al preventivo accertamento giudiziario dei requisiti di ammissione.Ne
consegue un inevitabile ritardo nell’insediamento del commissario straordinario e quindi un
impedimento alla tempestiva messa in campo di efficaci misure per fronteggiare la crisi.
Nell’emergenza scaturita dall’insolvenza del gruppo Parmalat,il decreto legge n.347/2003 ha

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pertanto introdotto regole speciali per la ristrutturazione delle imprese di grandissime dimensioni.
Tali regole prevedono l’immediata ammissione dell’impresa all’amministrazione straordinaria da
parte del Ministero dello sviluppo economico su semplice richiesta dello stesso imprenditore,
finalizzata realizzare un programma di recupero dell’equilibrio economico. Solo dopo l’apertura
della procedura interviene l’autorità giudiziaria per verificare la condizione di insolvenza del
debitore (ma non l’esistenza di concrete prospettive di risanamento.
… e quelle degli altri debitori.
Le procedure concorsuali introdotte dalla legge n.3/2012,per i debitori diversi dall’imprenditore
commerciale non piccolo che versino in stato di sovra indebitamento,presentano analogie con
alcune procedure disciplinata dalla legge fallimentare.
La procedura di liquidazione è,al pari del fallimento,una procedura giudiziaria che mira a liquidare
il patrimonio del debitore insolvente e a ripartirne il ricavato fra i creditori,secondo criteri ispirati
dal principio della parità di trattamento.
L’accordo di composizione della crisi presenta invece affinità con il concordato preventivo e con gli
accordi di ristrutturazione dei debiti,essendo finalizzato al raggiungimento di una soluzione della
crisi da sovra indebitamento,concordata fra debitore e creditori.
Il piano del consumatore è infine una procedura riservata soltanto ai consumatori incolpevoli del
proprio sovra indebitamento. Come per l’accordo di composizione della crisi,si prevede il
superamento del dissesto mediante l’attuazione un piano predisposto dal debitore,solo che in questo
caso non è richiesta l’approvazione dei creditori:affinché il piano possa diventare efficace basta la
sola omologazione del tribunale.

CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO:IL FALLIMENTO

A. LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO

I presupposti del fallimento.


I presupposti per la dichiarazione di fallimento sono:
a) la qualità di imprenditore commerciale del debitore;
b) lo stato di insolvenza dello stesso;
c) il superamento di almeno uno dei limiti dimensionali fissati dall’art.1 comma 2 della legge
fallimentare;
d) la presenza di inadempimenti complessivamente superiori all’importo fissato dalla legge.
L’ambito di applicazione del fallimento subisce alcune limitazioni in quanto:
1) il fallimento è sostituito dalla liquidazione coatta amministrativa per alcune categoria di
imprenditori commerciali individuate da leggi speciali (esempio:imprese bancarie ed
assicurative;società di intermediazione mobiliare);
2) il fallimento cede il passo all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di
insolvenza quando ricorrono i presupposti specifici per l’applicazione di tale procedura;
3) gli enti pubblici sono esonerati dal fallimento,restano soggetti alla liquidazione coatta
amministrativa in base a leggi speciali o alle procedure di dissesto previste dalla normativa
pubblicistica;
4) le società start-up innovative,iscritte nell’apposita sezione del registro delle imprese,sono soggette
solo alle procedure concorsuali delle crisi da sovra indebitamento disciplinate dalla legge
n.3/2012,con esclusione del fallimento e delle altre procedure concorsuali.

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Regole specifiche valgono inoltre per l’estensione del fallimento delle società ai soci
illimitatamente responsabili.
Primo presupposto oggettivo del fallimento è lo stato di insolvenza dell’imprenditore.
L’imprenditore versa in stato di insolvenza quando non è più in grado di soddisfare regolarmente le
proprie obbligazioni.
L’insolvenza si manifesta di regola con l’inadempimento di una o più obbligazioni. L’insolvenza
può tuttavia manifestarsi anche indipendentemente dagli inadempimenti attraverso altri fatti
esteriori più o meno eclatanti rivelatori del dissesto:
- pagamenti con mezzi anormali;
- fuga o latitanza dell’imprenditore;
- chiusura dei locali dell’impresa;
- trafugamento dell’attivo e così via.
E’ evidente perciò che una cosa è stato di insolvenza altro è inadempimento. Il primo è una
situazione del patrimonio del debitore;il secondo è un fatto che rileva come uno dei possibili indici
dello stato di insolvenza.
Un imprenditore può aver soddisfatto tutti i suoi debiti ed essere ciò nonostante insolvente,se lo ha
fatto con mezzi anormali (ricorso a prestiti usurai,vendite sotto costo,ecc.) diretti a mascherare
l’insolvenza. Anzi,sono questi espedienti che aggravano il dissesto e che,intervenuto il
fallimento,sono puniti come reati di bancarotta semplice.
Viceversa l’imprenditore può essere inadempiente senza essere insolvente. Così,non è insolvente
l’imprenditore che mezzi patrimoniali liquidi e non paga perché ritiene di non dover pagare o
trascura per negligenza di pagare. Non è inoltre insolvente l’imprenditore che non paga per cause
che comportano solo una temporanea difficoltà di adempimento. Stato di insolvenza e temporanea
difficoltà sono infatti situazioni non coincidenti:solo il primo comporta il fallimento;la seconda può
integrare invece il presupposto del concordato preventivo.
Infine,proprio perché l’insolvenza è una situazione di impotenza patrimoniale non transitoria,essa
non si identifica necessariamente con l’eccedenza delle passività rispetto alle attività (squilibrio
patrimoniale). Il passivo può superare l’attivo senza che vi sia l’insolvenza,se l’imprenditore ispira
ancora fiducia e riesce a procurarsi normalmente i mezzi finanziari per pagare i debiti che scadono.
Ferma restando quindi la differenza fra stato d’insolvenza e il verificarsi di inadempimenti,in base
all’attuale disciplina per aprire il fallimento devono sussistere entrambe le circostanze .Fin quando i
creditori sono soddisfatti ancorché irregolarmente,il dissesto non ha assunto per legge rilievo
sociale ed economico tale da giustificare i costi della procedura fallimentare, e si preferisce così
concedere ancora al debitore l’opportunità di cercare con i creditori soluzioni concordate della crisi.
La vecchia disciplina non consentiva di soprassedere all’apertura del fallimento per insolvenze di
modesta entità,ma solo (se le passività non superavano lire 1.500.000!) di procedere con un rito
sommario,caratterizzato da maggiore semplicità di forme e rapidità. Nei tribunali era però invalsa la
prassi di non dichiarare il fallimento quando gli inadempimenti erano complessivamente di scarso
valore.
La riforma del 2006 ha recepito ed uniformato tale orientamento. E’ stata così soppressa la
disciplina del procedimento sommario,che il mancato adeguamento al costo della vita aveva col
tempo reso obsoleta. Nel contempo però si prevede che non si fa luogo alla dichiarazione di
fallimento se l’ammontare de debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria
fallimentare è complessivamente inferiore a 30 mila euro,importo che può essere aggiornato con
cadenza triennale dal Ministero della giustizia. Qualora il fallimento non venga dichiarato per
insufficienza degli inadempimenti,il debitore resterà ovviamente esposto alle azioni individuali dei
creditori.

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Infine,perché possa essere dichiarato il fallimento è necessario che il debitore abbia superato i limiti
patrimoniali e reddituali fissati dall’art.1 comma 2 della legge fallimentare.
In particolare,l’attuale disciplina prevede che non è soggetto a fallimento l’imprenditore
commerciale che dimostri il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
a) aver avuto nei 3 esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento (o dall’inizio
dell’attività se di durata inferiore),un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non
superiore a 300 mila euro;
b) aver realizzato,in qualunque modo risulti,nei 3 esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza
di fallimento (o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore),ricavi lordi per un ammontare
complessivo annuo non superiore a 200 mila euro;
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superore a 500 mila euro.
Tali valori possono essere aggiornati con cadenza triennale con decreto del Ministero della giustizia
sulla base delle variazioni degli indici Istat dei prezzi al consumo,per adeguarli alla svalutazione
monetaria.
Basta aver superato anche solo uno degli indicati limiti dimensionali per essere esposti al
fallimento. L’onere della prova del loro rispetto è a carico del debitore,sicché nel dubbio il
fallimento sarà comunque dichiarato.

Il fallimento dell’imprenditore cessato e defunto.


La cessazione dell’attività di impresa o la morte dell’imprenditore non impediscono la dichiarazione
di fallimento. Il fallimento può essere però dichiarato solo se non è trascorso più di 1 anno dalla
cancellazione dal registro delle imprese.In caso di impresa individuale e di cancellazione d’ufficio
degli imprenditori collettivi,è fatta salva però la possibilità per i creditori ed il pubblico ministero di
dimostrare che l’attività d’impresa è effettivamente cessata in un momento diverso dalla
cancellazione,così da posticipare l’inizio del decorso del termine annuale.
E’ inoltre necessario che lo stato di insolvenza si sia manifestato prima di tali eventi o entro l’anno
successivo.
Il fallimento dell’imprenditore defunto può essere chiesto anche dall’erede,purché l’eredità non si
sia già confusa nel suo patrimonio in quanto accettata senza beneficio di inventario.
La dichiarazione di fallimento del defunto su iniziativa degli altri soggetti legittimati elimina la
confusione col patrimonio dell’erede eventualmente verificatasi,in modo che sui beni del defunto
possano soddisfarsi solo i creditori dello stesso.Sui beni dell’erede concorreranno invece sia i
creditori personali di questi sia i creditori dell’imprenditore defunto,nei cui confronti l’erede è
divenuto responsabile illimitatamente in seguito all’accettazione pura e semplice dell’eredità.
Se l’imprenditore muore dopo la dichiarazione di fallimento,la procedura prosegue nei confronti
degli eredi,anche se hanno accettato con beneficio di inventario.Se vi sono più eredi,gli stessi
devono designare uno di essi che li rappresenti nella procedura.In mancanza,la designazione è fatta
dal giudice delegato.

La dichiarazione di fallimento.
Il fallimento può essere dichiarato:
a) su ricorso di uno o più creditori;
b) su richiesta del debitore;
c) su istanza del pubblico ministero. Non più invece di ufficio dallo stesso tribunale.
L’iniziativa di uno o più creditori è l’ipotesi più frequente in pratica. Non è necessario che il credito
vantato riguardi l’attività di impresa del debitore,né che il ricorso provenga da più creditori.

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L’iniziativa del debitore costituisce di regola una facoltà dello stesso e l’imprenditore può aver
interesse a provocare il proprio fallimento per sottrarsi ad una serie di azioni esecutive individuali in
atto. La richiesta del proprio fallimento diventa però un obbligo,penalmente sanzionato,quando
l’inerzia provoca l’aggravamento del dissesto.
L’imprenditore (ma non i suoi eredi) che chiede il proprio fallimento deve depositare presso la
cancelleria del tribunale una serie di documenti:le scritture contabili e fiscali obbligatorie dei tre
esercizi precedenti o dall’inizio dell’impresa se questa ha avuto minore durata;uno stato
particolareggiato ed estimativo delle sue attività;l’indicazione dei ricavi lordi degli ultimi tre
esercizi;l’elenco nominativo dei creditorie dei rispettivi crediti,nonché di coloro che vantano diritti
reali o personali su cose in suo possesso,con l’indicazione di tali cose e del titolo da cui sorge il
diritto.
Il pubblico ministero ha il potere-dovere di chiedere il fallimento quando l’insolvenza risulti da fatti
che configurano reati fallimentari (fuga o latitanza dell’imprenditore,trafugamento dell’attivo,ecc) e
ciò al fine di promuovere l’azione penale anche prima che il fallimento sia dichiarato.La relativa
condanna può essere però pronunciata solo dopo che il debitore è stato dichiarato fallito.
La riforma del 2006 ha invece soppresso il potere del tribunale di dichiarare d’ufficio il
fallimento,in ossequio al principio di terzietà ed imparzialità del giudice.Nel contempo però è stato
attribuito al pubblico ministero il potere-dovere di chiedere il fallimento quando l’insolvenza risulta
dalla segnalazione proveniente da un giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento
civile.
Competente per la dichiarazione di fallimento è il tribunale del luogo dove l’imprenditore ha la sede
principale dell’impresa,cioè la sede in cui si trova il centro di direzione e di amministrazione della
stessa. Non rileva tuttavia ai fini della competenza il trasferimento della sede intervenuto nell’anno
precedente alla domanda di fallimento.
Perle società la sede principale di regola coincide con quella indicata nell’atto costitutivo e
risultante dall’iscrizione del registro delle imprese (sede legale).E’ tuttavia orientamento
consolidato che,in caso di discordanza fra sede legale e sede effettiva,competente è il tribunale del
luogo dove effettivamente si trova il centro amministrativo della società.
Nel caso di dichiarazione di incompetenza,la procedura è immediatamente trasferita d’ufficio al
tribunale competente e tutti gli atti precedentemente compiuti restano validi (cosiddetto translatio
iudicii).La dichiarazione di fallimento conserva perciò efficace ancorché pronunciata da un giudice
incompetente,e si evita che il nuovo giudice debba ripetere tutto il procedimento da capo.
Il tribunale dichiarato competente,se accetta la designazione,procede alla nomina del nuovo
curatore e giudice delegato. Altrimenti,può promuovere d’ufficio il regolamento di competenza
perché la Cassazione risolva definitivamente la questione.
Se la sede principale è all’estero,il fallimento può essere dichiarato in Italia là dove l’imprenditore
ha la sede secondaria più importante. L’intervenuta dichiarazione di fallimento all’estero non
preclude però la dichiarazione di fallimento in Italia,salvo che le convenzioni internazionali o la
normativa dell’Unione europea non dispongano diversamente. In base al principio della cosiddetta
perpetuatio iurisdictionis inoltre la giurisdizione italiana non viene meno per effetto del
trasferimento della sede all’estero dopo la presentazione della domanda di fallimento.
La vecchia disciplina dell’istruttoria prefallimentare privilegiava al massimo l’esigenza di
speditezza nell’apertura della procedura,e prevedeva che il tribunale decidesse sulla domanda di
fallimento in camera di consiglio e con rito sommario. Non si dava quindi luogo ad un ordinario
giudizio di cognizione con le relative garanzie processuali del contraddittorio. Anzi il tribunale
aveva solo la facoltà,non l’obbligo,di sentire il debitore in camera di consiglio.Dopo la
dichiarazione di fallimento,il debitore poteva far valere le sue difese presentando opposizione

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davanti al medesimo tribunale che l’aveva dichiarato fallito.Con l’opposizione si instaurava un


ordinario giudizio di cognizione .L’opposizione però non sospendeva l’esecuzione della sentenza.
Pertanto,nel lungo tempo necessario per definire il giudizio,la procedura andava avanti;e se
l’opposizione era infine accolta ed il fallimento revocato,sul piano patrimoniale restavano salvo gli
effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi fallimentari … con molte scuse per il debitore il
cui patrimonio è stata ingiustamente sottoposto a liquidazione.
Sul punto era intervenuta nel 1970 la Corte Costituzionale rendendo obbligatoria l’audizione
dell’imprenditore già durante l’istruttoria prefallimentare,al fine di consentirgli l’esercizio del
diritto di difesa.Tale diritto sussisteva solo nei limiti compatibili con la natura sommaria del
procedimento in camera di consiglio e con le esigenze di celerità proprie della procedura
fallimentare.
La riforma de l2006 ha introdotto una più dettagliata disciplina dell’istruttoria prefallimentare,che
mira a contemperare la necessaria speditezza del rito con il pieno rispetto del principio del
contraddittorio e del diritto alla prova.
Il tribunale decide sulla richiesta di fallimento con uno speciale procedimento in camera di
consiglio,caratterizzato da maggiore semplicità di forme rispetto al rito ordinario.
Può inoltre delegare lo svolgimento dell’istruttoria ad un giudice relatore,mentre solo la decisione
finale deve essere assunta collegialmente. Il debitore e i creditori istanti per il fallimento devono
però essere sentiti in udienza. La convocazione è comunicata d’ufficio al debitore tramite posta
elettronica certificata,o in mancanza è notificata a cura del ricorrente con le modalità fissata
dall’art.15 comma 3 della legge fallimentare con un congruo preavviso (almeno 15 giorni),per
consentirgli di preparare adeguatamente la difesa.Le parti possono presentare memorie,depositare
documenti e relazioni tecniche fino a 7 giorni prima dell’udienza.Nel procedimento interviene
anche il pubblico ministero,se ha assunto l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento.
Il tribunale è dotato di poteri inquisitori e può perciò compiere di ufficio tutte le indagini che ritiene
opportune al fine di accertare l’esistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento.In ogni
caso,ordina all’imprenditore di depositare i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi,nonché una
situazione patrimoniale,economica e finanziaria aggiornata. Particolare rilievo assumono nella
pratica le informazioni assunte tramite la polizia giudiziaria e quella tributaria investigativa. Le parti
possono però nominare propri consulenti tecnici e proporre l’ammissione di ulteriori prove.
Il tribunale infine ad istanza di parte può emettere provvedimenti cautelari o conservativi volti a
tutelare il patrimonio o l’impresa del debitore per la durata dell’istruttoria prefallimentare,quale il
sequestro giudiziario dell’azienda e la nomina di un custode oppure il divieto di compiere atti
dispositivi. Tali provvedimenti decadono automaticamente qualora la domanda di fallimento venga
rigettata; altrimenti,in caso di apertura della procedura,la sentenza dichiarativa di fallimento
stabilisce se conservali o revocarli.
La legge accorda al presidente del tribunale il potere di abbreviare tutti i termini della
procedura,quando ricorrono particolari ragioni d’urgenza.
Se il tribunale ritiene di non dover accogliere la domanda di fallimento,provvede con decreto
motivato che viene comunicato d’ufficio alle parti.Contro tale provvedimento il creditore istante,il
pubblico ministero richiedente e lo stesso debitore possono proporre reclamo alla corte di appello
(entro 30 giorni dalla comunicazione).La corte d’appello procede a sua volta in camera di
consiglio,sentite le parti.Se il ricorso è accolto,la corte d’appello non può tuttavia pronunziare
direttamente la dichiarazione di fallimento,ma deve rimettere di ufficio gli atti al tribunale perché
quest’ultimo vi provveda dopo aver accertato che non siano nel frattempo venuti meno i presupposti
del fallimento.
Il fallimento è dichiarato con sentenza.

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Oltre la pronunzia di fallimento,la sentenza contiene alcuni provvedimenti necessari per lo


svolgimento della procedura:nomina il giudice delegato ed il curatore preposti al fallimento;ordina
al fallito il deposito del bilancio,delle scritture contabili e fiscali obbligatorie,e dell’elenco dei
creditori entro 3 giorni;fissa i termini relativi al procedimento di accertamento dello stato
passivo;conferma o revoca i provvedimenti cautelari o conservativi emessi nel corso dell’istruttoria
prefallimentare.
La sentenza viene notificata d’ufficio al debitore,nonché comunicata per estratto al pubblico
ministero,al curatore e al creditore richiedente il fallimento. E’ inoltre resa pubblica mediante
annotazione nel registro delle imprese. La sentenza di fallimento è immediatamente esecutiva fra le
parti del processo dalla data del deposito in cancellerie. Gli effetti nei riguardi dei terzi si producono
solo dalla data di iscrizione del provvedimento nel registro delle imprese. Sono così tutelati i terzi di
buona fede che vengono in contatto con l’imprenditore fallito durante il periodo in cui alla
dichiarazione di fallimento non è stata data ancora pubblicità legale.

Il reclamo.La revoca del fallimento.


Sotto la vecchia disciplina contro la sentenza che dichiarava il fallimento era possibile proporre
opposizione al medesimo tribunale che l’aveva pronunciata. Oggi la sentenza che dichiara il
fallimento va impugnata mediante reclamo alla corte d’appello.
Possono proporre reclamo il fallito e qualsiasi interessato,anche se portatore di un semplice
interesse morale.
Il ricorso deve essere depositato presso la corte d’appello entro 30 giorni,che decorrono per il fallito
dalla data di notificazione della sentenza che dichiara il fallimento,e per tutti gli altri interessati
dalla data dell’iscrizione della stessa nel registro delle imprese. In nessun caso tuttavia può essere
proposto decorso u anno dalla pubblicazione della sentenza.
L’impugnazione non sospende gli effetti della dichiarazione di fallimento. La corte d’appello può
tuttavia disporre la temporanea sospensione della liquidazione dell’attivo,quando sussitono gravi
motivi e gliene faccia richiesta una parte o il curatore.
Nel giudizio di reclamo si dibatte sugli eventuali vizi del procedimento camerale e soprattutto sul
punto se i presupposti del fallimento esistevano o meno all’epoca della relativa sentenza
dichiarativa. Quindi,il fallimento deve essere revocato qualora si accerti che l’imprenditore non era
insolvente al momento della dichiarazione di fallimento pur se lo è attualmente. In quest’ultima
circostanza però la corte d’appello deve segnalare l’insolvenza al pubblico ministero affinché
chieda la dichiarazione di un nuovo fallimento i cui effetti decorreranno da tale data.
Se ne deduce che il fallimento può essere mantenuto fermo sulla base di nuovi elementi non emersi
in sede di dichiarazione,purché anteriori alla stessa. Resta così immutata la data originaria di
decorrenza degli effetti e si neutralizza il pericolo di perdere gran parte delle azioni revocatorie. Nel
contempo però si riconosce anche che il fallito possa indicare a sua difesa fatti e prove non proposti
nel giudizio di primo grado.
Contro la sentenza che decide il reclamo si può proporre ricorso per Cassazione nel termine
abbreviato di 30 giorni dalla notificazione d’ufficio del provvedimento.
Con la sentenza che accoglie il reclamo il fallimento è revocato. Il provvedimento è perciò
pubblicato nel registro delle imprese come la dichiarazione di fallimento. Ma sul piano patrimoniale
ciò che è stato,è stato. Restano infatti salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi
fallimentari,che possono aver alterato notevolmente consistenza e composizione del patrimonio
dell’imprenditore.
All’ex fallito non resta che rivolgersi nei confronti del creditore istante per ottenerne la condanna al
risarcimento dei danni,possibile se vi sia stata colpa dello stesso nella richiesta della dichiarazione

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di fallimento. Se così è,a carico del creditore istante sono anche le spese di procedura ed il
compenso al curatore.
Altrimenti,spese e compenso gravano sull’ex fallito,se all’origine della dichiarazione di fallimento
vi è stato un suo comportamento colposo. In caso contrario,le spese della procedura ed il compenso
al curatore sono a carico dello Stato.

B. GLI ORGANI DEL FALLIMENTO.

Il tribunale fallimentare.
La procedura fallimentare comporta lo svolgimento di una complessa attività,giudiziaria ed
amministrava,rivolta all’accertamento,alla ricostruzione,alla liquidazione del patrimonio del fallito
ed alla ripartizione del ricavato fra i creditori. Allo svolgimento di questa attività sono preposti 4
organi:
- il tribunale fallimentare;
- il giudice delegato;
- il curatore;
- il comitato dei creditori.
Il tribunale che ha dichiarato il fallimento è investito dell’intera procedura fallimentare e
sovraintende al corretto svolgimento della stessa. In particolare,il tribunale fallimentare:
a) nomina il giudice delegato e il curatore,ne sorveglia l’operato e può sostituirli per giustificati
motivi;
b) sostituisce i componenti del comitato dei creditori,su richiesta dei creditori stessi:;
c) decide le controversie relative alla procedura che non siano di competenza del giudice
delegato,nonché i reclami contro i provvedimenti dello stesso giudice delegato;
d) può in ogni tempo chiedere chiarimenti ed informazioni al curatore,al fallito ed al comitato dei
creditori.
Tutti questi provvedimenti sono adottati dal tribunale con decreto,salvo che non sia diversamente
disposto. Contro i decreti del tribunale fallimentare possono presentare reclamo alla corte di appello
il curatore,il fallito,il comitato dei creditori e chiunque via abbia interesse. L’impugnazione non
sospende però l’esecuzione del provvedimento. Il reclamo va proposto entro il termine di 10
giorni,che decorrono dalla comunicazione o dalla notificazione del provvedimento o
dall’esecuzione delle altre formalità pubblicitarie disposte dal giudice che ha emanato l’atto
impugnato (per gli altri interessati).In nessun caso tuttavia può essere proposto decorsi 90 giorni dal
deposito del provvedimento in cancellerie.
La corte d’appello decide secondo uno speciale procedimento in camera di consiglio,sentite le parti
e con decreto motivato.
In deroga ai normali criteri di competenza funzionale e per territorio,il tribunale fallimentare è
inoltre competente a decidere su tutte le controversie che derivano dal fallimento,comprese oggi le
azioni reali immobiliari.
Vastissima è perciò la competenza,esclusiva ed inderogabile,del tribunale fallimentare,anche se
limitata dalla condizione che l’azione derivi dal fallimento. Si tratta non solo di azioni che trovano
origine nello stato di dissesto,ma anche di quelle che incidono sul patrimonio del fallito o che,per la
sopravvenienza del fallimento,sono soggette ad una speciale disciplina.
Le controversie attratte dalla competenza del tribunale fallimentare sono regolate secondo il
procedimento ordinario o secondo il rito speciale loro proprio.

Il giudice delegato.

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Il giudice delegato vigila sulle operazioni del fallimento e controlla la regolarità della procedura. Il
giudice delegato:
a) nomina il comitato dei creditori e,nel caso di inerzia,impossibilità di costituzione o di
funzionamento o di urgenza,pone in essere gli atti che rientrano nella competenza di tale organo;
b) forma lo stato passivo del fallimento e lo rende esecutivo con proprio decreto;
c) autorizza il curatore a stare in giudizio;
d) decide sui reclami proposti contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori;
e) emette o provoca dalla competenti autorità i provvedimenti urgenti per la conservazione del
patrimonio.
I provvedimenti del giudice delegato sono adottati con decreto motivato. Contro i decreti del
giudice delegato chiunque vi abbia interesse può proporre reclamo dinanzi al tribunale fallimentare,
con la medesima procedura dettata per i reclami contro i decreti dello stesso tribunale fallimentare.
Il reclamo non sospende l’esecuzione.

Il curatore.
Il curatore è l’organo preposto all’amministrazione del patrimonio fallimentare,e compie tutte le
operazioni delle procedura nell’ambito delle funzioni ad esso attribuite. E’ investito della qualità di
pubblico ufficiale per quanto attiene all’esercizio delle sue funzioni.
Il curatore viene nominato dal tribunale con la sentenza che dichiara il fallimento o,in caso di
successiva sostituzione o revoca,con decreto. Il curatore viene di regola prescelto fra
avvocati,dottori commercialisti,ragionieri e ragionieri commercialisti. L’attuale disciplina consente
di attribuire l’incarico non solo al singolo,ma anche a studi associati o società costituite fra tali
professionisti. In alternativa,il curatore può essere nominato anche tra persone che hanno svolto
funzioni di amministrazione,direzione e controllo in società per azioni,dando prova di adeguate
capacità imprenditoriali e senza che sia intervenuta nei loro confronti una dichiarazione di
fallimento.
La nuova disciplina riconosce tuttavia ai creditori il potere di influire sulla designazione del
curatore. Conclusa l’adunanza per l’esame dello stato passivo e prima della dichiarazione di
esecutività dello stesso,i creditori presenti,personalmente o per delega,che rappresentano la
maggioranza dei crediti ammessi possono infatti chiedere la sostituzione del curatore,indicando al
tribunale le ragioni della richiesta e un nuovo nominativo. In questo caso il tribunale,valutate le
ragioni della richiesta,provvede alla nomina del soggetto designato dai creditori,verificato che lo
stesso possegga i requisiti di legge per poter assumere l’incarico.
Il curatore ha diritto ad un compenso per l’attività svolta ed al rimborso delle spese sostenute. Il
compenso consiste in una percentuale dell’attivo realizzato ed è liquidato dal tribunale con decreto
dopo l’approvazione del rendiconto. Può essere revocato in ogni tempo dal tribunale,su richiesta del
giudice delegato,del comitato dei creditori o anche di ufficio.
Entro 60 giorni dalla dichiarazione di fallimento,il curatore deve presentare al giudice delegato una
relazione particolareggiata sulle cause del dissesto e sulle eventuali responsabilità del
fallito,indicando fra l’altro gli atti dello stesso che intende impugnare.
Numerosi sono poi i compiti specifici assegnati al curatore,ma la funzione centrale è quella di
conservare,gestire e realizzare il patrimonio fallimentare sotto la vigilanza (ma non più sotto la
direzione) del giudice delegato e del comitato dei creditori. Rispetto a questi altri organi della
procedura il curatore ha tuttavia un autonomo potere decisionale entro limiti fissati dalla legge.
E’ necessaria l’autorizzazione del comitato dei creditori per gli atti che eccedono l’ordinaria
amministrazione (riduzione di crediti,transazioni,ricognizioni di diritti di terzi,rinuncia alle

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garanzie,accettazioni di eredità,ecc.).Di tali atti si dà informazione preventiva anche al giudice


delegato se di valore superiore a 50 mila euro o se si tratta di transazioni,salvo che siano stati già
autorizzati dal giudice delegato in esecuzione del programma di liquidazione.
E’ invece necessaria l’autorizzazione del giudice delegato perché il curatore sia in giudizio come
attore o convenuto,salvo alcune eccezioni elencate dall’art.31 comma 2.
Il curatore deve esercitare personalmente le attribuzioni del proprio ufficio.
La delega ad altri è ammessa solo per singole operazioni e previa autorizzazione del comitato dei
creditori. Non è inoltre consentita per taluni atti particolarmente rilevanti (incombenze relative
all’accertamento del passivo,predisposizione del programma di liquidazione).L’onere per il
compenso del delegato (liquidato dal giudice) è detratto dal compenso del curatore.
Il curatore può anche essere autorizzato dal comitato dei creditori (e non più dal giudice delegato) a
farsi coadiuvare da tecnici o da altre persone retribuite (compreso il fallito),sempre sotto la sua
responsabilità. Del compenso di costoro (cosiddetti coadiutori) si tiene conto ai fini della
liquidazione del compenso finale al curatore.
Il curatore deve adempiere con diligenza i doveri del proprio ufficio osservando l’articolata serie di
cautele specificate dalla legge fallimentare. Egli è conseguentemente tenuto al risarcimento dei
danni causati dalla sua gestione,anche se si tratta di atti compiuti previa autorizzazione del giudice
delegato o del comitato dei creditori.
Durante il fallimento l’azione di responsabilità contro il curatore revocato è proposta dal nuovo
curatore previa autorizzazione del giudice delegato o dal comitato dei creditori.
Contro gli atti del curatore il fallito e ogni interessato può proporre reclamo al giudice delegato
entro 8 giorni dalla conoscenza dell’atto. L’attuale disciplina precisa però che il reclamo è concesso
solo per violazioni di legge,pertanto il giudice delegato non potrà entrare nel merito delle scelte del
curatore. Contro il decreto del giudice delegato è ammesso ricorso al tribunale,sempre entro il
termine abbreviato di 8 giorni.

Il comitato dei creditori.


Il comitato dei creditori vigila sull’operato del curatore,ne autorizza gli atti ed esprime pareri
(succintamente motivati) nei casi previsti dalla legge o su richiesta del tribunale o del giudice
delegato.
Il comitato è composto da 3 o 5 membri scelti fra i creditori in modo da rappresentare in misura
equilibrata quantità e qualità dei crediti ed avuto riguardo alla possibilità di soddisfacimento dei
crediti stessi. Il comitato è nominato dal giudice delegato entro 30 giorni dalla sentenza di
fallimento. Il giudice delegato procede sulla base delle risultanze documentali,sentiti il curatore e i
creditori che hanno manifestato disponibilità segnalato nominativi per la nomina;successivamente
però il giudice delegato può sempre modificare la composizione del comitato in relazione alle
modificazioni dello stato passivo o per altro giustificato motivo.
Conclusa l’udienza per l’esame dello stato passivo e prima della dichiarazione di esecutività dello
stesso,i creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi possono effettuare nuove
designazioni in ordine ai componenti del comitato dei creditori. In tal caso,il tribunale,valutate le
ragioni della domanda,provvede alla nomina dei soggetti designati dai creditori,verificato che sia
mantenuto il requisito dell’equilibrata rappresentatività dell’organo.
Il comitato dei creditori delibera a maggioranza dei votanti. Non possono votare i componenti che si
trovino in conflitto d’interessi in una data deliberazione.
Il comitato,convocato per la prima volta dal curatore,nomina a maggioranza al suo interno un
presidente. Quest’ultimo dispone in seguito la convocazione dell’organo per adottare le
deliberazioni di competenza oppure quando sia richiesto da un terzo dei suoi componenti. Il

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comitato deve adottare i provvedimenti di propria competenza entro 15 giorni da quando la richiesta
è pervenuta al presidente. In caso di mancata costituzione dell’organo per insufficienza o per
indisponibilità dei creditori ad assumere l’incarico,nonché di impossibilità di funzionamento dello
stesso,di inerzia o di urgenza provvede in via sostitutiva il giudice delegato.
Contro gli atti e le omissioni del comitato dei creditori è possibile fare ricorso al giudice delegato
con le stesse modalità e con gli stessi limiti (controllo di sola legalità) previsti per il reclamo contro
gli atti del curatore. Se accoglie il reclamo contro un’omissione,il giudice delegato provvede in
sostituzione del comitato.
Il parere espresso dal comitato dei creditori è per lo più vincolante. E’ invece vincolante in alcuni
casi:sulla restituzione dei beni mobili di terzi;sulla continuazione temporanea dell’esercizio
dell’attività d’impresa;sull’affitto di azienda;sulla proposta di concordato fallimentare. Il giudice
delegato può autorizzare i relativi provvedimenti solo se il comitato dei creditori ha espresso parere
favorevole. In sostanza,soltanto il parare negativo del comitato è vincolante.
L’attuale disciplina prevede inoltre che il comitato dei creditori autorizzi alcuni atti del curatore. In
particolare il comitato autorizza il curatore a compiere atti di straordinaria amministrazione;il
subentro del curatore nei rapporti contrattuali pendenti;la rinuncia all’acquisizione di beni della
messa sopravvenuti,gravati da oneri;la nomina di coadiutori del curatore;l’impiego delle
disponibilità liquide del fallimento in investimenti a capitale garantito;approva inoltre il piano di
liquidazione predisposto dal curatore.
Il comitato dei creditori ed ogni suo membro possono sempre ispezionare le scritture contabili ed i
documenti del fallimento. Hanno diritto di chiedere notizie e chiarimenti al curatore ed al fallito.
Possono prendere visione di ogni atto o documento contenuto nel fascicolo della procedura tenuto
dalla cancelleria del tribunale. Il comitato deve inoltre essere informato dal curatore nei casi previsti
dalla legge.
Il comitato dei creditori può presentare istanza al tribunale per la revoca del curatore e può
esercitare l’azione di responsabilità contro il curatore revocato. I suoi componenti sono a loro volta
soggetti a responsabilità secondo le regole previste per i sindaci di società per azioni che sono
richiamate in quanto compatibili. Non trova applicazione però la norma sulla responsabilità solidale
dei sindaci per culpa in vigilando.
L’attuale disciplina riconosce ai componenti del comitato il diritto al rimborso delle spese. Può
inoltre essere ad essi attribuito un compenso in misura non superiore al 10% di quello liquidato al
curatore,con il consenso della maggioranza dei creditori ammessi,calcolata per teste.

C. GLI EFFETTI DEL FALLIMENTO

Effetti del fallimento per il fallito:effetti patrimoniali.


La dichiarazione di fallimento produce effetti,sostanziali e processuali,che investono il fallito,i suoi
creditori ed i terzi che hanno avuto rapporti col fallito.
Gli effetti nei confronti del fallito possono distinguersi in effetti patrimoniali,personali e penali.
Partiamo dagli effetti patrimoniali.
Con la dichiarazione di fallimento il fallito perde l’amministrazione e la disponibilità (ma non la
proprietà) dei suoi beni. Questi passano al curatore,quale amministratore del patrimonio
fallimentare, che viene immesso nel possesso dei beni con l’osservanza delle procedure fissate dagli
artt.84-88 della legge fallimentare:apposizione tempestiva dei sigilli sui beni del debitore (dallo
stesso curatore e non più dal giudice delegato);rimozione degli stessi e redazione dell’inventario nel
più breve termine possibile.

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Lo spossessamento colpisce tutti i beni ed i diritti esistenti nel patrimonio del fallito alla data della
dichiarazione di fallimento,eccezion fatta per quelli elencati dall’art.46 della legge fallimentare,che
sono sottratti all’esecuzione fallimentare:
a) i beni ed i diritti di natura strettamente personale;
b) gli assegni a carattere alimentare,stipendi,pensioni,salari e ciò che il fallito guadagna con la propria
attività,nei limiti (fissati dal giudice delegato) di quanto occorre per il mantenimento suo e della
famiglia;
c) i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli ed i beni costituiti in fondo patrimoniale con i
loro frutti;
d) le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge (vestiti,strumenti di lavoro,ecc.).
Inoltre,se proprietario della propria abitazione,il fallito ha diritto di continuare ad abitarlafino alla
vendita,nei limiti in cui è necessario a lui e ad alla sua famiglia.
Se privo di mezzi di sussistenza,il fallito può ottenere dal giudice delegato (sentiti il curatore ed il
comitato dei creditori) la concessione di un sussidio a titolo di alimenti per sé e per la famiglia.
Lo spossessamento si estende ai beni che pervengono al fallito durante il fallimento,a titolo gratuito
ed oneroso (eredità,donazioni,vincite di lotterie,ecc.).Per i beni sopravvenuti vanno però dedotte le
passività incontrate per l’acquisto e la conservazione degli stessi.Vale adire,l’amministrazione
fallimentare deve adempiere le relative passività per intero ed in prededuzione.Il curatore
fallimentare,prima autorizzazione del comitato dei creditori,può perciò decidere di non acquistare i
beni sopravvenuti quando ritenga che il loro valore sia inferiore alle passività da soddisfare ed ai
costi per la loro conservazione,in quanto in tal caso non si avrebbe alcun vantaggio per la massa
attiva.
Del parti,il curatore,previa autorizzazione del comitato dei creditori può decidere di non acquistare
all’attivo un bene esistente nel patrimonio del fallito alla data della dichiarazione di fallimento,o
rinunciare a liquidarlo dopo che è stato appreso alla massa fallimentare,se l’attività di liquidazione
appaia manifestamente antieconomica (cosiddetta derelizione).In questo caso il bene ritorna della
disponibilità del fallito,ed i creditori possono su di esso esercitare azioni esecutive individuali.
Con la dichiarazione di fallimento il fallito non perde la capacità di agire,né perde la proprietà dei
beni oggetto dello spossessamento,fin quando gli stessi non siano stati trasferiti a terzi con atti di
disposizione dell’amministrazione fallimentare. Ne consegue che tutti gli atti compiuti dal fallito
dopo la dichiarazione di fallimento sono validi e vincolano lo stesso. Anzi,nulla impedisce che il
fallito inizi una nuova attività di impresa.
Gli atti posti in essere dal fallito sono però inefficaci rispetto alla massa dei creditori se hanno per
oggetto beni e diritti ricompresi nello spossessamento,dato che degli stessi il fallito non può
disporre durante il fallimento.
Parimenti inefficaci sono i pagamenti eseguiti dal fallito ed i pagamenti da lui ricevuti dopo la
dichiarazione di fallimento,fermo restando che tutte le utilità conseguite dal fallito per effetto di tali
atti sono apprese alla massa fallimentare.
La perdita dell’amministrazione e della disponibilità del patrimonio comporta infine che il fallito
non può stare in giudizio,né come attore né come convenuto,nelle cause relative rapporti
patrimoniali compresi nel fallimento. In suo luogo starà in giudizio il curatore. Il fallito può
intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un’imputazione di bancarotta
a suo carico o se l’intervento è previsto dalla legge. L’apertura del fallimento determina perciò
l’interruzione dei processi pendenti,che dovranno essere proseguiti attraverso la costituzione del
curatore o la citazione dello stesso ad opera della controparte.

Effetti personali e penali.

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Con la dichiarazione di fallimento il fallito vede limitati,per le esigenze della procedura,alcuni


diritti civili garantiti dalla Costituzione:il diritto al segreto epistolare (art.15 Cost.) ed il diritto alla
libertà di movimento (art.16 Cost.).
Infatti,la corrispondenza indirizzata al fallito che non sia persona fisica viene consegnata
direttamente al curatore. Questa regola trova invece un temperamento nel caso di fallimento di una
persona fisica: la corrispondenza continua ad essere recapitata al fallito,il quale ha però l’obbligo di
consegnare al curatore quella riguardante i rapporti compresi nel fallimento.
Il fallito è inoltre tenuto a comunicare al curatore ogni cambiamento della propria residenza o del
proprio domicilio e deve presentarsi agli organi della procedura ogni qualvolta è chiamato per
fornire informazioni o chiarimenti. Non è più previsto tuttavia che il fallito debba ottenere il
permesso del giudice delegato per potersi allontanare dalla propria residenza.
Queste limitazioni cessano automaticamente con la chiusura del fallimento.
Un secondo gruppo di limitazioni riguarda le capacità civili del fallito,e sono previste dal codice
civile,e da varie leggi speciali. Fra l’altro il fallito non può essere amministratore,sindaco,revisore o
liquidatore di società;non può essere iscritto nell’albo degli avvocati o dei dottori
commercialisti;non può svolgere la funzione di tutore,arbitro,notaio.
Queste restrizioni ed in passato permanevano anche dopo la chiusura della procedura fino a che il
fallito non fosse stato cancellato dal registro dei falliti con riabilitazione del fallito ad opera de
tribunale,di regola concesso dopo 5 anni di buona condotta.
La riforma del 2006 ha però soppresso il registro dei falliti e con esso il procedimento di
riabilitazione. Anche le incapacità civili pertanto oggi cessano automaticamente con la chiusura del
fallimento.
Sono state altresì soppresse le incapacità politiche che colpivano il fallito:perdita dell’elettorato
attivo e passivo;interdizione dai pubblici uffici.
La dichiarazione di fallimento espone infine il fallito a sanzioni penali per fatti compiuti prima del
fallimento o anche successivamente e che la legge configura come reati in quanto diretti a recare
pregiudizio ai creditori. Le principali figure di reali fallimentari sono:
a) la bancarotta fraudolenta,che comprende una serie di fatti,elencati dall’art.216,caratterizzati dal dolo
dell’imprenditore (esempio:occultamento di beni;distruzione o falsificazione delle scritture
contabili;pagamenti eseguiti per favorire alcuni creditori a danno degli altri);
b) la bancarotta semplice,che è reato punito con pene più lievi in quanto riguarda fatti,elencati
dall’art.217,commessi dall’imprenditore solo con colpa (esempio:spese personali eccessive rispetto
alla condizione economica;omessa o irregolare tenuta delle scritture contabili nei 3 anni precedenti
il fallimento).Non configurano il reato di bancarotta i pagamenti e le operazioni compiuti in
esecuzione di un concordato preventivo,di un accordo di ristrutturazione omologato,del piano di
risanamento,di un accordo di composizione delle crisi da sovra indebitamento omologato e
nemmeno le operazioni di finanziamento autorizzate dal tribunale in pendenza di una procedura di
concordato preventivo;
c) il ricorso abusivo al credito,che è il reato di chi ricorre o continua a ricorrere al credito dissimulando
il proprio dissesto.
La condanna per tali reati comporta come pena accessoria il divieto di esercitare un’impresa
commerciale propria e di ricoprire uffici direttivi presso qualsiasi impresa,rispettivamente per 10,2 e
3 anni.

Effetti del fallimento per i creditori.


Il fallimento è diretto a soddisfare,secondo il principio della parità di trattamento,tutti coloro che
sono creditori del fallito al momento della dichiarazione di fallimento. L’art.52 della legge

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fallimentare dispone perciò che il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito.
Dalla sua data i creditori del fallito diventano creditori concorsuali;possono cioè realizzare il loro
credito solo attraverso la procedura fallimentare.
I creditori concorsuali acquistano però il diritto di partecipare alla ripartizione dell’attivo
fallimentare solo in seguito dell’accertamento giudiziale del loro credito nelle forme stabilite dalla
legge fallimentare. Diventano in tal modo creditori concorrenti.
I creditori concorrenti non sono però tutti sullo stesso piano dato che il fallimento non fa venir
meno le cause legittime di prelazione precedentemente acquistate. Da qui la distinzione fra creditori
chirografari e creditori privilegiati,cioè garantiti da pegno,ipoteca o privilegio.
Il principio della par condicio creditorum non incide sui diritti specifici dei creditori privilegiati.
Questi hanno infatti diritto di prelazione sul ricavato della vendita del bene oggetto della loro
garanzia,per il capitale,gli interessi e le spese. Se in tal modo non sono soddisfatti integralmente,
per il residuo concorrono alla pari con i creditori chirografari nella ripartizione di ciò che resta
dell’attivo fallimentare. I creditori chirografari partecipano invece solo alla ripartizione relativo
fallimentare,non gravato da vincoli,in proporzione del loro credito e sono quindi soddisfatti tutti
nella stessa misura percentuale.
Dai creditori concorrenti (chirografari o privilegiati) vanno poi tenuti distinti i creditori della massa.
Sono tali coloro i cui crediti devono essere soddisfatti in prededuzione:vale a dire prima dei
creditori concorrenti,per intero. Per i titolari di crediti prededucibili non opera quindi la par condicio
credito rum nei confronti dei creditori concorrenti. I crediti prededucibili non contestati sono inoltre
esonerati dal procedimento di accertamento dei crediti;e se sono anche liquidi ed esigibili possono
essere pagati via va che diventano esigibili,al di fuori del procedimento di riparto.
Sono crediti prededucibili quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge,nonché le
obbligazioni sorte in occasione o in funzione delle procedure concorsuali.
Sono pertanto creditori della massa coloro che diventano creditori del fallito dopo la dichiarazione
del fallimento per atti compiuti dagli organi fallimentari;in particolare rientrano fra i crediti
prededucibili le spese della procedura fallimentare,le obbligazioni contratte dal curatore per
l’amministrazione del fallimento e per la continuazione dell’esercizio dell’impresa. Ma non
mancano ipotesi in cui obbligazioni sorte prima della dichiarazione di fallimento devono per legge
essere soddisfatte in prededuzione.
L’apertura del fallimento incide innanzitutto sulle modalità processuali di realizzazione del credito.
All’esecuzione individuale sui beni del debitore si sostituisce infatti l’esecuzione collettiva
fallimentare,nell’ambito della quale i creditori devono trovare soddisfacimento.
Due sono i principi cardine al riguardo posti dalla legge fallimentare:
a) ogni credito (salvo i crediti prededucibili non contestati) deve essere accertato giudizialmente
nell’ambito del fallimento,secondo le norme fissate per la formazione dello stato passivo. Lo stesso
vale per i diritti reali o personali vantati da terzi su beni della massa fallimentare;
b) dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione esecutiva individuale può essere iniziata
o proseguita sui beni compresi nel fallimento.
Resta inoltre preclusa ogni altra azione cautelare dei creditori diretta a sottrarre beni all’esecuzione
concorsuale,mentre il curatore si sostituisce ai creditori nelle azioni volte a ricostruire il patrimonio
del fallito.
Il divieto di azioni esecutive individuali subisce tuttavia alcune eccezioni.
1) I creditori garantiti da pegno o assistiti da privilegio speciale su mobili con diritto di
ritenzione,possono essere autorizzati dal giudice delegato alla vendita dei beni vincolati,una volta
ammessi al passivo con prelazione;

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2) Le banche possono iniziare o proseguire l’azione esecutiva individuale sugli immobili ipotecati a
garanzia di operazioni di credito fondiario,di credito alle operare pubbliche e di credito agrario. Il
curatore ha facoltà di intervenire nell’esecuzione e la somma ricavata dall’esecuzione,eccedente la
quota spettante alla banca,viene attribuita al fallimento;
3) Le banche e gli altri enti finanziari pubblici o privati possono escutere il pegno avente ad oggetto
attività finanziarie (depositi bancari,strumenti finanziari,ecc.) ottenuto a garanzia di obbligazioni
finanziarie con le formalità previste dal contratto,senza autorizzazione del giudice delegato. Il
creditore è tenuto ad informare ex post gli organi del fallimento in merito alle modalità di
escussione adottate e all’importo ricavato,restituendo l’eccedenza.

La determinazione dei crediti.


Tutti i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti,agli effetti del concorso,alla data di
dichiarazione del fallimento ed al concorso hanno diritto di partecipare anche coloro che vantano un
credito sottoposto a condizione o che può essere fatto valere verso il fallito solo dopo l’escussione
di altro obbligato principale. L’ammissione al passivo di tali creditori avviene però con riserva.
Altra regola generale è che i creditori partecipano al concorso per l’importo che il loro credito ha al
momento della dichiarazione di fallimento.
Infatti,la dichiarazione di fallimento sospende il corso degli interessi,convenzionali e legali,fino alla
chiusura del fallimento. Questa regola subisce però eccezione per i crediti privilegiati e per i crediti
prededucibili.
I crediti non pecuniari e quelli pecuniari determinati con riferimento ad altri valori (crediti in valute
estera ed indicizzati) concorrono,se non ancora scaduti,secondo il loro valore alla data della
dichiarazione di fallimento. Vengono cioè trasformati in crediti pecuniari in moneta nazionale.
La scadenza anticipata dei crediti verso il fallito si riflette poi sulla disciplina della compensazione
in sede fallimentare.
Non solo resta fermo il diritto dei creditori del fallito di far valere la compensazione coi loro debiti
verso lo stesso (così sottraendosi al concorso),ma la possibilità di compensazione è ampliata. E’
infatti ammessa anche se il credito verso il fallito non è scaduto prima della dichiarazione di
fallimento.
Entrambi i crediti devono però essere anteriori alla dichiarazione di fallimento. E’ invece
controverso se,al momento della dichiarazione di fallimento,devono ricorrere tutti gli altri requisiti
richiesti dal codice per la compensazione legale (omogeneità e liquidità dei crediti
reciproci;esigibilità del credito vantato dal fallito) o se la compensazione operi anche se il credito
vantato dal fallito non è liquido ed esigibile alla data del fallimento,come tende a ritenere la
giurisprudenza più recente.
Inoltre,è orientamento consolidato che il diritto del creditore di far valere la compensazione non è
subordinato all’ammissione del suo credito al passivo del fallimento,consentendosi al creditore non
insinuato al passivo di opporre la compensazione,in via di eccezione,nel giudizio promosso dal
curatore per ottenere la condanna al pagamento del credito del fallito.
Per evitare possibili abusi,la compensazione non ha però luogo se il credito non scaduto verso il
fallito è stato acquistato per atto fra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore.Vi
è in tal caso la presunzione assoluta che l’acquisto sia avvenuto al solo fine di sottrarsi,con la
compensazione,al pagamento del proprio debito.
Norme specifiche sono infine dettate per l’ipotesi in cui il credito sia vantato verso più obbligati in
solido (coobligati o fideiussiore del fallimento),al fine di evitare che il fallimento di uno o più di
essi pregiudichi la posizione del creditore. I principi cardine di tale disciplina possono essere così
sintetizzati:

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a) Il creditore concorre nel fallimento di ciascuno dei coobbligati per l’intero credito ancora vantato
alla data della dichiarazione di fallimento fino al totale pagamento,ferma restando la possibilità di
agire anche nei confronti dei coobbligati in bonis;
b) I diritti che spettano ai coobbligati verso il fallito,per effetto dell’azione di regresso,vanno a
beneficio del creditore fin quando questi non sia integralmente soddisfatto.

Effetti del fallimento sugli pregiudizievoli ai creditori.


Di regola intercorre un certo intervallo di tempo fra il momento in cui si manifesta lo stato di
insolvenza e quello in cui il fallimento è dichiarato. In tale periodo l’imprenditore,nel tentativo di
far fronte alla crisi o di mascherarla,può aver compiuto una serie di atti di disposizione che alterano
l’integrità del proprio patrimonio ed arrecano pregiudizio ai creditori.
Il problema non è in verità esclusivo del fallimento ed è problema che il legislatore ha affrontato e
risolto in via generale con le disposizioni che regolano l’azione revocatoria.
Il singolo creditore può infatti ottenere dal giudice che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti
gli atti di disposizione con i quali il debitore reca pregiudizio alle sue ragioni e così soddisfarsi sui
relativi beni,come se gli stessi non fossero mai usciti dal patrimonio del debitore. L’azione
revocatoria ordinaria non è però di agevole esercizio. Incombe infatti sul creditore agente l’onere di
provare l’eventus damni (l’impossibilità cioè di soddisfarsi sul residuo patrimonio del debitore),
nonché il consilium fraudis del debitore e,se l’atto è a titolo oneroso,anche del terzo.
L’azione revocatoria ordinaria è esercitabile anche in caso di fallimento di un imprenditore ed è
esercitata dal curatore nell’interesse di tutti i creditori. In caso di fallimento però con la disciplina
della revocatoria ordinaria concorre anche la specifica disciplina della revocatoria fallimentare.
Questa si fonda su presupposti parzialmente diversi e consente una più agevole ed ampia
ricostruzione del patrimonio da sottoporre all’esecuzione concorsuale.
Il principio ispiratore della revocatoria fallimentare è che tutti gli atti posti in essere
dall’imprenditore in stato di insolvenza si presumono pregiudizievoli per i creditori perché idonei
quanto meno ad alterare la par condicio creditorum.Il curatore che agisce in revocatoria è perciò
dispensato dall’onere di provare l’eventus damni ed il consilium fraudis.
Presupposti della revocatoria fallimentare sono infatti:
a) Lo stato di insolvenza dell’imprenditore (presupposto oggettivo);
b) La conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo (presupposto soggettivo).
Perciò spetterà tutt’al più a quest’ultimo provare che l’atto non ha arrecato alcun danno alla massa
dei creditori per sottrarsi alla revocatoria fallimentare.
Quindi:
a) Gli atti posti in essere dall’imprenditore in un certo periodo anteriore alla dichiarazione di
fallimento (sei mesi o un anno a seconda dei casi) si presumono compiuti in stato di insolvenza
(cosiddetta retrodatazione dell’insolvenza),sicché sarà il terzo a dover provare che in concreto
l’imprenditore non era già insolvente;
b) Per alcuni atti,particolarmente sintomatici dello stato di insolvenza, è posta anche una presunzione
relativa di conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo,sicché sarà ancora una volta questi
a dover provare che in concreto ignorava lo stato di insolvenza dell’imprenditore.
Da tutto ciò consegue che il curatore avrà bisogno di ricorrere all’azione revocatoria ordinaria solo
se intende colpire atti compiuti in epoca anteriore a quella coperta dalla revocatoria fallimentare,o
atti posti in essere dagli aventi causa del fallito,assumendosi però l’onere di provare eventus damni
e consilium fraudis.
L’atto di disposizione revocato resta valido,ma è inefficace nei confronti ella massa dei creditori. Il
terzo che ha subito la revocatoria dovrà perciò restituire al fallimento quanto in precedenza ricevuto

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dal fallito o l’equivalente in danaro se la restituzione in natura è impossibile. Nel contempo,il


creditore sarà ammesso al passivo del fallimento per il suo eventuale credito verso il fallito e
parteciperà alle ripartizioni dell’attivo in concorso con gli altri creditori subendo la relativa falcidia.
Identico è altresì il termine entro cui le due azioni revocatorie (fallimentare e ordinaria) devono
essere esercitate. Tutte le azioni revocatorie esercitate dal curatore devono essere promosse a pena
di decadenza entro 3 anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque non oltre 5 anni dal
compimento dell’atto.
Tanto fissato in via generale,vediamo in dettaglio come si articola la revocatoria fallimentare.
Vi è innanzitutto una categoria di atti che è senz’altro priva di effetti nei confronti dei creditori,per
il solo fatto della sopravvenuta dichiarazione di fallimento (revocatoria di diritto). Rientrano in
tale categoria:
a) Gli atti a titolo gratuito compiuti nei 2 anni anteriori alla dichiarazione di fallimento (donazioni,
garanzie concesse dal fallito a titolo gratuito,ecc).Sono esclusi i regali d’uso e gli atti compiuti in
adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità,purché proporzionati al patrimonio
del donante.
b) I pagamenti di debiti che scadono nel giorno della dichiarazione di fallimento o successivamente,
anch’essi se compiuti nei 2anni anteriori alla dichiarazione di fallimento.
Per questi atti il curatore non ha bisogno di agire in giudizio per l’accertamento della loro
inefficacie. Il terzo è senz’altro tenuto a restituire al fallimento quanto ricevuto:irrilevante è la sua
ignoranza dello stato di insolvenza e la stessa esistenza dello stato di insolvenza quando l’atto fu
compiuto.
Tutti gli altri atti sono revocabili in seguito ad azione giudiziaria promossa dal curatore
(revocatoria giudiziale).
Gli atti soggetti a revocatoria sono distinti in due categorie:
a) Quelli per i quali la conoscenza dello stato di insolvenza di presume,sicché spetterà al terzo provare
la sua ignoranza;
b) Quelli per i quali è il curatore a dover provare che il terzo conosceva lo stato di insolvenza.
La prima categoria comprende gli atti anormali di gestione,compiuti nell’anno o nei 6 mesi anteriori
alla dichiarazione di fallimento. Essi sono:
1) Gli atti a titolo oneroso,compiuti nell’anno anteriore,caratterizzati da una notevole sproporzione fra
la prestazione a carico del fallito e quella a carico della controparte. Esempio classico è la vendita di
un immobile a prezzo notevolmente inferiore a quello di mercato. La sproporzione è rilevante
quando le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò
che a lui è stato dato o promesso.
2) I pagamenti di debiti pecuniari,scaduti ed esigibili,effettuati con mezzi anormali di pagamento è la
datio in solutum.
3) I pegni,le anticresi e le ipoteche volontarie costituite,sempre nell’anno anteriore,per debiti
preesistenti non scaduti.
4) Le garanzie indicate al punto precedente più le ipoteche giudiziarie per debiti preesistenti ma
scaduti,poste in essere nei 6 mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.
Per tutti questi atti spetterà al terzo convenuto in revocatoria dare la prova,non facile,che ignorava
lo stato di insolvenza,dovendo egli fornire la prova positiva che l’imprenditore si trovava in una
situazione di apparente normalità di esercizio dell’impresa quando l’atto revocabile e stato posto in
essere.
La situazione processuale invece si ribalta per la seconda categoria di atti sottoposti a revocatoria
giudiziale. E’ il curatore a dover provare che il terzo conosceva lo stato di insolvenza quando l’atto

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fu compiuto,trattandosi di atti che rientrano nel normale svolgimento dell’attività dell’imprenditore.


Rientrano in tale categoria,purché compiuti nei 6 mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento:
a) I pagamenti di debiti liquidi ed esigibili effettuati con mezzi normali;
b) Gli atti costituitivi di diritti di prelazione (ipoteca,pegno,ecc.) per debiti sorti contestualmente;
c) Ogni altro atto a titolo oneroso.
Non sono revocabili:
1) I pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso. Si
vuole evitare che all’imprenditore in odore di crisi vengano subitamente interrotte le
forniture,precludendo la prosecuzione dell’ordinaria gestione;
2) I pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro a dipendenti e a collaboratori anche non
subordinati del fallito;
3) Le vendite a giusto prezzo d’immobili ad uso abitativo,destinati a costituire l’abitazione principale
dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado. Lo stesso vale inoltre per i preliminari
di tali contratti,purché debitamente trascritti ed efficaci ai sensi dell’art.2645-bis cod.civ.
4) Le vendite a giusto prezzo ed i preliminari di vendita (trascritti e efficaci) di immobili destinati a
costituire la sede principale dell’attività d’impresa dell’acquirente. Per ottenere l’esonero da
revocatoria è necessario che,alla data della dichiarazione di fallimento dell’alienante, l’acquirente
abbia già iniziato l’attività d’impresa nell’immobile,o anche solo che abbia compiuto investimenti
per avviarla.
Quando la revoca ha ad oggetto atti che estinguono posizioni passive derivanti da rapporti
continuativi o reiterati (contro corrente bancario ed ordinario):il creditore è tenuto a restituire al
fallimento solo l’importo di cui è si è complessivamente ridotta l’esposizione debitoria del fallito
nel periodo rilevante per la revocatoria (cosiddetta regola del massimo scoperto).Vale a dire,deve
restituire una somma pari alla differenza fra l’ammontare massimo raggiunto dalla sue pretese,nel
periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato di insolvenza,e l’ammontare residuo delle
stesse alla data in cui si è aperto il concorso. Rientrano in questa ipotesi anche le rimesse effettuate
su un conto corrente bancario,che sono irrevocabili nei limiti esaminati.
Non sono revocabili i pagamenti e le garanzie concesse su beni del fallito posti in essere in
esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria
dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria (art.67 comma 3
modificato dal decreto legge n.83/2012).La veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano
devono essere attestate da un professionista indipendente,designato dal debitore,iscritto nel registro
dei revisori legali ed appartenente ad una delle categorie indicate dalla legge (avvocati,dottori
commercialisti,ragionieri e ragionieri commercialisti).Il piano può (ma non deve) essere pubblicato
nel registro delle imprese su richiesta dal debitore:a quest’ultimo è pertanto lasciata la scelta di non
rendere la crisi di pubblico dominio.
Analoga esenzione è prevista anche per i pagamenti e le garanzie legittimamente posti durante la
procedura di concordato preventivo o in esecuzione del concordato stesso. Lo stesso vale per gli atti
posti in essere in esecuzione di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato oppure di un
accordo di composizione delle crisi da sovraindebitamento;nonché per il pagamento,alla
scadenza,di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali e di concordato
preventivo,come ad esempio la relazione del professionista da allegare alla domanda.
Sono inoltre sottratte alla disciplina della revocatoria fallimentare alcune operazioni di
finanziamento bancario. L’esenzione è in particolare prevista:
a) Per le ipoteche concesse a garanzia di operazioni di credito fondiario,alle opere pubbliche ed
agrario e per i pagamenti effettuati dal debitore a fronte dei relativi crediti;
b) Per le operazioni di credito su pegno disciplinate dalla legge 745/1938 (art.48 tub).

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Infine,per le cessioni di crediti realizzate nell’ambito di operazioni di factoring o di


cartolarizzazione di crediti.

Rapporti fra coniugi.


Il coniuge di un imprenditore difficilmente ignora lo stato di insolvenza di questo e non è raro poi
che il coniuge si presti a far da tramite per il compimento di atti pregiudizievoli ai creditori
nell’approssimarsi della dichiarazione di fallimento.
La disciplina della revocatoria fallimentare dettata dall’art.67 è resa più drastica quando i relativi
atti di disposizione sono posti in essere fra i coniugi:
a) È eliminato il limiti temporale dettato in via generale (un anno o 6 mesi) e possono essere revocati
tutti gli atti di disposizione fra coniugi a partire dal momento in cui il fallito aveva iniziato
l’esercizio di un’impresa commerciale;
b) La conoscenza dello stato di insolvenza da parte del coniuge è sempre presunta,cioè opera anche per
gli atti normali e non solo per quelli anormali. Sul coniuge del fallito graverà perciò in ogni caso
l’onere di provare che ignorava lo stato di insolvenza dello stesso,o che l’atto fu compiuto quando il
fallito non era insolvente.
Questa disciplina,limitata in origine ai soli atti a titolo oneroso,è oggi applicabile anche agli atti a
titolo gratuito fra coniugi che,per essere stati compiuti più di 2 anni prima della dichiarazione di
fallimento,non sono soggetti alla revocatoria di diritto.
Con la riforma del 2006 è stata invece soppressa la cosiddetta presunzione muciana.Vale a dire la
regola per la quale i beni acquistati a titolo oneroso dal coniuge del fallito nei 5 anni anteriori alla
dichiarazione di fallimento si presumevano acquistati con danaro del fallito. Già da tempo aveva
cessato di esistere per abrogazione implicita da parte della giurisprudenza,in quanto ritenuto
incompatibile con i principi del nuovo diritto di famiglia introdotto nel 1975.
Ne consegue che,intervenuto il fallimento di uno dei coniugi,si applicherà la disciplina del codice:la
comunione legale fra i coniugi si scioglie e le attività e passività facenti parte della stessa sono
divise in parti uguali. Perciò,nella massa attiva del coniuge fallito,oltre i beni personali dello
stesso,resterà la metà dei beni della comunione. Nel contempo,nella massa passiva sarà ricompresa
anche la metà dei debiti gravanti sui beni della comunione.

Effetti del fallimento sui contratti in corso di esecuzione.


L’imprenditore fallito è di regola al centro di una trama di rapporti contrattuali che non hanno
ancora avuto esecuzione (od esecuzione integrale) al momento della dichiarazione di fallimento.
Tuttavia ci si domanda se tali contratti si sciolgono o rimangono in vita.
La risposta che la legge dà al problema non è unitaria. Le soluzioni prescelte possono tuttavia
raggrupparsi in tre categorie.
Vi è innanzitutto un gruppo di contratti che si scioglie di diritto a seguito della dichiarazione di
fallimento,con conseguente definizione delle posizioni reciproche a tale momento (scioglimento di
diritto). Rientrano in tale categoria:
a) I contratti di borsa a termine su merci o titoli. Il loro carattere speculativo potrebbe infatti
comportare situazioni pregiudizievoli per il patrimonio fallimentare;
b) L’associazione in partecipazione,in caso di fallimento dell’associante sia perché l’attività di impresa
dell’associante di regola cessa col fallimento,sia perché anche tale contratto presenta profili
speculativi;
c) I contratti di conto corrente ordinario e bancario,commissione e mandato nel caso di fallimento del
mandatario. La finalità liquidativa del fallimento è infatti incompatibile con la reciprocità delle

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rimesse propria del conto corrente. E’ ritenuta inoltre incompatibile con lo svolgimento di attività
gestoria da parte del fallito (mandatario) per conto di terzi.
Fra i contratti che si sciolgono di diritto vi è anche l’appalto. Con una particolarità però:entro 60
giorni dal fallimento il curatore,previa autorizzazione del comitato dei creditori,può dichiarare di
voler subentrare nel contratto offrendo idonee garanzie. Il committente in bonis si può tuttavia
opporre alla prosecuzione quando la considerazione della qualità soggettiva dell’appaltatore è stato
un motivo determinante del contratto.
Vi è poi un secondo gruppo di contratti che continua nonostante il fallimento di una della parti in
quanto per legge tali contratti sono ritenuti vantaggiosi per la massa dei creditori (subingresso
automatico).Perciò il curatore subentra ex lege nel contratto e dovrà adempiere per l’intero e in
prededuzione le relative obbligazioni.
Rientrano in tale categoria:
1) Il contratto di locazione di immobili. In caso di fallimento del conduttore il curatore può però
recedere in ogni momento dal contratto corrispondendo (in prededuzione) al locatore un giusto
indennizzo per l’anticipato recesso. Nel dissenso delle parti,l’indennizzo è determinato dal giudice
delegato. Il curatore può recedere anticipatamente anche in caso di fallimento del locatore. Ma a
tutela del conduttore in bonis si prevede che il recesso deve essere dichiarato entro un anno dal
fallimento ed ha effetto solo dopo 4 anni dall’apertura della procedura,salvo che la scadenza
naturale del contratto sia più breve. Resta fermo inoltre il diritto del contraente in bonis ad un equo
indennizzo.
2) L’affitto di azienda. Entrambe le parti possono tuttavia recedere entro 60 giorni corrispondendo alla
controparte un equo indennizzo,per il quale valgono regole analoghe alla locazione di immobili;
3) Il contratto di assicurazione contro i danni in caso di fallimento dell’assicurato,salvo patto contrario.
L’assicuratore può tuttavia recedere dal contratto adducendo che dal fallimento deriva un
aggravamento del rischio;
4) Il contratto di edizione,che però si risolve se entro un anno il curatore non continua l’esercizio
dell’impresa editoriale o non la cede ad altro editore;
5) Il contratto di cessione di crediti di impresa (factoring),in caso di fallimento del cedente. Il curatore
può recedere dal contratto,ma il recesso opera solo per i crediti non ancora sorti alla data della
dichiarazione di fallimento. Inoltre,in caso di recesso il curatore dovrà restituire al cessionario
quanto da questi già pagato per tali crediti;
6) I leasing finanziario,in caso di fallimento del concedente.
Vi è infine un terzo gruppo di contratti la cui sorte non è prefissata dalla legge (sospensione del
contratto). Essi restano sospesi in seguito al fallimento di una delle parti e sarà il curatore,con
l’autorizzazione del comitato dei creditori,a decidere se sciogliere il contratto o continuarlo. In
questo secondo caso tutte le relative obbligazioni dovranno essere adempiute dal curatore in
prededuzione.
Il contraente in bonis può chiedere al giudice delegato di fissare un termine,non superiore a 60
giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto se il curatore non opta per la continuazione.
Non è invece consentito pattuire fin dall’inizio che,in caso di fallimento,il contratto si risolva di
diritto,poiché ciò violerebbe il diritto di scelta del curatore.
In caso di scioglimento,il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al
mancato adempimento,ad esempio per la restituzione degli anticipi. Diventa cioè semplice creditore
concorsuale. Né gli è dovuto alcun risarcimento del danno,in quanto la risoluzione del contratto
dipende dall’esercizio di un diritto che la legge attribuisce al curatore. Al curatore converrà perciò
sciogliere il contratto quando l’altra parte ha versato anticipi o pagato in tutto o in parte il prezzo.

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Rientra in questa terza categoria per espressa previsione di legge il contratto di vendita. La regola
della sospensione del contratto è tuttavia applicabile solo alla vendita con effetti obbligatori. Nella
vendita con effetti reali invece la cosa è già passata in proprietà del compratore prima del fallimento
del venditore. Il contratto perciò non si scioglie:il venditore dovrà consegnare la cosa ed il
compratore pagarne il prezzo.
Anche la vendita a termine o a rate con riserva di proprietà rimane sospesa per effetto del
fallimento,ma con una significativa eccezione:il fallimento del venditore non comporta lo
scioglimento del contratto. Al curatore non è quindi consentita alcuna scelta;il contratto prosegue ed
il compratore in bonis diventa proprietario col pagamento dell’ultima rata.
Rimane sospeso inoltre il preliminare di vendita di immobili (cosiddetto compromesso),fermo
restano che per essere opponibile al fallimento tale contratto deve essere stato trascritto e la
trascrizione deve essere ancora efficace alla data di apertura della procedura.Se il curatore opera per
lo scioglimento,il credito che il promittente acquirente insinua nel fallimento (per il rimborso della
caparra e degli anticipi versati) è assistito da privilegio speciale sull’immobile oggetto del
preliminare.
Regole speciali sono però previste per i preliminari di vendita aventi ad oggetto un immobile
destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo
grado o la sede principale dell’impresa dell’acquirente stesso.
Più semplice è la disciplina dei contratti ad esecuzione continuata o periodica,come la
somministrazione. La scelta spetta in ogni caso al curatore che,se opta per la prosecuzione del
contratto,dovrà pagare per l’intero anche il prezzo delle consegne già avvenute o dei servizi già
erogati.
Dopo la riforma del 2006,rimane sospeso anche il mandato in caso di fallimento del mandante,ma
con una peculiarità. I crediti del mandatario sono da soddisfare in prededuzione solo per l’attività
compiuta dopo il fallimento.
Questa regola è da ritenere applicabile fra l’altro anche al mandato in rem propriam,cioè il mandato
conferito anche nell’interesse del mandatario o di terzi. Spetterà al curatore decidere se subentrare o
risolvere il contratto.
Se il curatore subentra,le conseguenze sfavorevoli per gli altri creditori sono però neutralizzate. Si
ritiene infatti che il mandatario debba restituire al fallimento le somme riscosse dopo la
dichiarazione di fallimento e si esclude inoltre che lo stesso possa compensare il debito di
restituzione è sorto dopo la dichiarazione di fallimento.
Rimane sospeso poi anche il contratto di leasing finanziario in caso di fallimento dell’utilizzatore,
per il quale valgono regole speciali già esaminate.
Fra i contratti che sono soggetti alla regola della sospensione in via residuale,in quanto non
destinatari di una speciale disciplina,meritano di essere ricordati in particolare:
a) L’associazione in partecipazione in caso di fallimento dell’associato;
b) Il contratto di agenzia in caso di fallimento del preponente.
Per quanto riguarda infine il rapporto di lavoro subordinato trova applicazione la disciplina
specifica in materia di licenziamento (licenziamento per giustificato motivo oggettivo).

L’esercizio provvisorio dell’impresa. L’affitto di azienda.


Con la dichiarazione di fallimento l’attività di impresa si arresta ed i beni aziendali sono destinati ad
essere liquidati per soddisfare i creditori. Si può tuttavia avere una continuazione,sia pure
provvisoria,dell’attività quando ciò è funzionale ad una migliore liquidazione del complesso
aziendale o si spera di venderlo in blocco. Due sono le ipotesi al riguardo previste dall’art.104 della
legge fallimentare:l’esercizio provvisorio e l’affitto d’azienda.

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La prima si ha con la dichiarazione di fallimento. Il tribunale nella sentenza che lo dichiara può
disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa,anche limitatamente a specifici rami dell’azienda,se
dalla interruzione può derivare un danno grave,purché non arrechi pregiudizio ai creditori.
La seconda interviene dopo che è stato nominato il comitato dei creditori. Questo deve infatti
pronunziarsi sull’opportunità di continuare o di riprendere,in tutto o in parte,l’esercizio
dell’impresa,fissandone anche la durata.
Solo se il parere è favorevole il giudice delegato su proposta del curatore può disporre la
continuazione o la ripresa del’attività.
La continuazione dell’esercizio dell’impresa è provvedimento che richiede particolare cautela.
Durante l’esercizio provvisorio tutti i contratti pendenti proseguono salvo ce il curatore non intenda
sospenderne l’esecuzione o scioglierli e le obbligazioni assunte dal curatore per la continuazione
dell’esercizio dell’impresa costituiscono debiti della massa da soddisfare in prededuzione.La
continuazione dell’attività può perciò comportare l’assorbimento di larga parte dell’attivo da parte
dei nuovi creditori,con grave pregiudizio per i creditori concorsuali,anche privilegiati. D’altro
canto,le obbligazioni assunte dal curatore,che si sostituisce al fallito nella gestione
dell’impresa,sono e restano imputabili al fallito. Dovranno perciò essere da questi soddisfatte dopo
la chiusura del fallimento,se non trovano capienza nell’attivo fallimentare.
La continuazione dell’’esercizio dell’impresa è perciò provvedimento eccezionale che si giustifica
solo se tende alla migliore liquidazione del patrimonio del fallito. Non può essere invece piegata a
fini di conservazione dei posti di lavoro o a tentativi di risanamento dell’impresa,come in passato è
talvolta avvenuto.
Per tale ragione,l’attuale disciplina dispone che durante l’esercizio provvisorio il curatore informi
(ogni 3 mesi o quando le circostanze lo richiedano) il comitato dei creditori sull’andamento della
gestione,affinché quest’ultimo si pronunci sull’opportunità di continuare l’esercizio. Se il comitato
dei creditori non ravvisa l’opportunità di continuare l’esercizio provvisorio,il giudice delegato ne
ordina la cessazione. La cessazione dell’esercizio provvisorio,il giudice delegato ne ordina la
cessazione. La cessazione dell’esercizio provvisorio può inoltre essere ordinata anche dal tribunale
in qualsiasi momento,laddove n ravvisi l’opportunità,con decreto non soggetto a reclamo.
La conservazione del complesso aziendale in vista di una vendita in blocco può essere realizzata
anche attraverso il non facile affitto dell’azienda. E’ questa soluzione preferita nella prassi,in
quanto presenta il vantaggio di non far gravar sulla massa fallimentare i debiti contratti
dall’affittuario nell’esercizio dell’impresa. L’attività di impresa è infatti imputabile
all’affittuario,che la gestisce personalmente ed assume in proprio le relative obbligazioni,mentre
dovrà corrispondere al fallimento il canone pattuito.
L’affitto dell’azienda o di specifici rami di essa è autorizzato dal giudice delegato,su proposta del
curatore e previo parere favorevole del comitato dei creditori,quando appaia utile al fine della più
proficua vendita dell’azienda o di parti di essa.
L’affittuario è prescelto dal curatore,tenuto conto non solo dell’ammontare del canone offerto,ma
anche delle garanzie offerte sulla prosecuzione delle attività imprenditoriali e sulla conservazione
dei livelli occupazionali.
Per predisporre un rimedio contro la cattiva conduzione dell’azienda da parte dell’affittuario,il
contratto deve prevedere il diritto del curatore di recedere. In tal caso,all’affittuario è dovuto solo un
giusto indennizzo,da soddisfare in prededuzione.
In base alla disciplina generale,l’affittuario subentra in tutti i contratti aziendali che non abbiano
carattere personale e non si siano sciolti (automaticamente o per scelta del curatore) in seguito al
fallimento. Non deve inoltre accollarsi i debiti pregressi,salvo quelli derivanti da rapporti di lavoro
subordinato.

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Alla fine dell’affitto,il complesso aziendale viene retrocesso al fallimento. Il fallimento non assume
però alcuna responsabilità per i debiti sorti durante l’affitto,nemmeno per i debiti di lavoro.
Sui rapporti pendenti al momento della retrocessione si producono invece gli effetti normalmente
connessi alla dichiarazione di fallimento. Essi rimangono pertanto sospesi finché il curatore non
decida se scioglierli o subentrare,salvo che sia diversamente disposto.
All’affittuario è riconosciuto per legge diritto di prelazione in caso di successiva vendita
dell’azienda,per le imprese soggette alla disciplina sulla cassa integrazione. Per altre imprese,il
diritto di prelazione dell’affittuario può invece essere concesso convenzionalmente,previa
autorizzazione del giudice delegato e parere favorevole del comitato dei creditori.
D. LO SVOLGIMENTO DELLA PROCEDURA

L’accertamento del passivo.


L’accertamento del passivo costituisce la fase centrale e più delicata della procedura fallimentare ed
è diretta ad accertare quali creditori hanno diritto di partecipare alle ripartizioni
dell’attivo,l’ammontare dei loro crediti e le eventuali cause di prelazione. Con l’ammissione al
passivo i creditori da concorsuali diventano concorrenti.
La procedura di accertamento del passivo si apre con la domanda di ammissione dei creditori,a tal
fine sollecitati dal curatore con apposito avviso.
La domanda si presenta con ricorso da trasmettere all’indirizzo di posta elettronica certificata
indicato nell’avviso del curatore,almeno 30 giorni prima della data dell’udienza di esame dello stato
passivo fissata dalla sentenza di fallimento. Essa deve fra l’altro indicare a pena di
inammissibilità,la procedura a cui si intende partecipare,le generalità del creditore,l’oggetto del
credito,nonché gli elementi di diritto su cui si fonda. I creditori privilegiati devono inoltre
specificate il titolo e le caratteristiche della prelazione vantata,altrimenti sono considerati
chirografari. Al ricorso vanno allegati i documenti dimostrativi del diritto. Sul creditore incombe
anche l’onere di provare che il suo credito è anteriore alla dichiarazione di fallimento. Nella
domanda di ammissione i creditori devono indicare l’indirizzo di posta elettronica presso il quale
ricevere tutte le comunicazioni relative alla procedura;in mancanza,tali comunicazioni si effettuano
esclusivamente mediante deposito in cancelleria.
Analoga domanda deve essere presentata per la restituzione o rivendicazione di beni di proprietà
di terzi che sono stati appresi alla massa fallimentare in quanto erano in possesso del fallito
(esempio:cose date in deposito al fallito).
Se però i beni rivendicati non sono stati acquisiti all’attivo della procedura (esempio:il fallito ha
perso il possesso) al terzo proprietario non rimane che insinuarsi al passivo come creditore
chirografario per recuperare il valore che le cose avevano al giorno della dichiarazione di
fallimento.
La domanda di ammissione al passivo produce gli effetti della domanda giudiziale. In particolare,
interrompe il decorso della prescrizione fino alla chiusura del fallimento.
Il procedimento di accertamento del passivo si articola in due fasi:la prima,necessaria, ad opera del
curatore e del giudice delegato,consiste nella predisposizione dell’elenco dei crediti ammessi alla
procedura,nonché dei diritti spettanti a terzi sui beni della massa;la seconda,eventuale,di fronte al
tribunale fallimentare, è quella delle impugnazioni.
Riguardo alla prima fase,in passato si prevedeva che il giudice delegato (con l’assistenza del
curatore) esaminasse le domande per formare uno stato passivo provvisorio. La riforma ha inteso
invece ristabilire la terzietà del giudice delegato nel procedimento di verificazione dei crediti,
riconoscendo al curatore un ruolo più ampio.

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In base all’attuale disciplina,sulla base delle domande presentate,il curatore predispone un progetto
di stato passivo,nel quale deve indicare:
a) I crediti ammessi,ulteriormente distinti in crediti chirografari e crediti privilegiati;
b) I crediti non ammessi in tutto o in parte o per i quali non si intende riconoscere la natura
privilegiata;
c) I crediti ammessi con riserva,come quelli sottoposti a condizione e quelli per i quali non è stato
presentato il titolo per fatto non imputabile al creditore.
In un separato elenco sono poi inclusi i titolari di diritti su beni di proprietà o in possesso del fallito.
Per ciascun diritto riconosciuto o non riconosciuto,il curatore deve motivare le proprie conclusioni.
E’ in particolare suo onere sollevare le eccezioni non rilevabili d’ufficio dal giudice,come la
prescrizione del credito,la compensazione,l’annullabilità,la rescindibilità o l’inefficacia dell’atto da
cui sorge la pretesa,ecc. e può sollevare tali eccezioni anche se è prescritta la relativa azione.
Il progetto di stato passivo è depositato in cancelleria,almeno 15 giorni prima di quello fissato per
l’udienza di esame,e trasmesso nello stesso termine ai creditori e ad i titolari di diritti sui beni della
massa;costoro ed il fallito possono presentare al curatore,in via telematica,eventuali osservazioni
scritte e documenti integrativi fino a 5 giorni prima dell’udienza.
Si apre così la fase di esame dello stato passivo,che coinvolge il curatore e tutti i creditori che
desiderano parteciparvi. Il fallito può chiedere d’essere sentito. Nell’udienza di esame,che può
durare anche più sedute,il giudice delegato esamina le posizioni dei singoli creditori quali risultano
dal progetto di stato passivo del curatore.
Ogni decisione spetta al giudice delegato,nei limiti delle conclusioni formulate ed avuto riguardo
alle eccezioni rilevabili d’ufficio nonché a quella sollevate dal curatore e dagli altri interessati. Il
giudice delegato può anche procedere agli atti di istruzione richiesti dalla parti,compatibilmente con
le esigenze di speditezza del procedimento.
Esaurite le operazioni di esame,il giudice delegato forma lo stato passivo definitivo,lo dichiara
esecutivo con proprio decreto e lo deposita in cancelleria.
In mancanza di opposizioni o di impugnazioni dinanzi al tribunale,il decreto di esecutività preclude
infatti ogni ulteriore questione in merito ai crediti verificati,sia pure solo nell’ambito della
procedura fallimentare.
Resta però sempre la possibilità di proporre istanza di revocazione se si scopre che l’accoglimento o
il rigetto di una domanda è stato determinato da falsità,dolo,errore essenziale di fatto o dalla
mancata conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per causa
non imputabile.
Il decreto di esecutività dello stato passivo non preclude la possibilità di presentare nuove domande
di ammissione (domande tardive).Sono considerate tardive le domande trasmesse al curatore oltre il
termine di 30 giorni prima dell’udienza di verificazione dei crediti. In base all’attuale disciplina
però le domande tardive possono essere presentate senza preclusioni entro 12 mesi dal deposito del
decreto che rende esecutivo lo stato passivo(prorogabili fino a 18 mesi per procedure
particolarmente complesse).Dopodiché,il creditore tardivo è ammesso soltanto se prova che il
ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile,e sempre che l’attivo fallimentare non sia già stato
interamente ripartito.
La domanda di insinuazione tardiva viene esaminata con lo stesso procedimento previsto per le
domande tempestive,richiamato anche per la parte relativa alle impugnazioni. A tal fine il giudice
delegato fissa un’udienza ogni 4 mesi,salvo che sussistano motivi di urgenza.
Se il ritardo della domanda è imputabile al creditore,questi ha diritto di partecipare solo alle
ripartizioni dell’attivo successive all’ammissione,salvi i diritti di prelazione. In caso contrario,il

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creditore è ammesso a prelevare sull’attivo ancora non ripartito anche la parte che gli sarebbe
spettata nelle ripartizioni precedenti.
Contro lo stato passivo,reso esecutivo dal giudice delegato,possono essere proposte opposizioni e
impugnazioni.
Le opposizioni possono essere proposte dai creditori esclusi contro il curatore,al fine di ottenere
l’ammissione del loro credito o il riconoscimento di una causa di prelazione disconosciuta dal
giudice delegato.Possono inoltre proporre opposizione i creditori che contestano la loro ammissione
con riserva,per ottenere l’ammissione del loro credito o il riconoscimento di una causa di prelazione
disconosciuta dal giudice delegato. Possono inoltre proporre opposizione creditori che contestano la
loro ammissione con riserva,per ottenere l’ammissione definitiva;nonché i titolari di diritti su beni
della massa per ottenere l’accoglimento delle domande di restituzione e rivendica.
Le impugnazioni possono essere invece proposte dai creditori ammessi,dai titolari di diritti ad
ottenere l’eliminazione dalla massa passiva di uno o più crediti o della relativa causa di prelazione.
Identica è comunque la procedura prevista per le opposizioni,le impugnazioni,e le istanze di
revocazione. Esse devono essere proposte con ricorso al tribunale fallimentare entro 30 giorni dalla
comunicazione del deposito dello stato passivo,oppure dalla scoperta del fatto o del documento su
cui si fonda la domanda di revocazione. Il ricorso deve a pena di decadenza indicare le prove di cui
il ricorrente intende avvalersi e i documenti prodotti. Non si prevede più che il giudice delegato
istruisca congiuntamente le cause,ma anzi si precisa che lo stesso non può far parte del collegio,dato
che ha emesso il provvedimento impugnato.
Il tribunale decide in camera di consiglio con decreto,che (al pari del provvedimento impugnato) ha
effetto solo nell’ambito della procedura fallimentare. La decisione viene comunicata d’ufficio alle
parti che possono ricorrere direttamente in Cassazione (ma non più in appello) entro 30 giorni.

Liquidazione e ripartizione dell’attivo.


La liquidazione dell’attivo è rivolta a convertire in danaro i beni del fallito per soddisfare i creditori.
Alla liquidazione provvede il curatore. Questi,entro 60 giorni dalla redazione
dell’inventario,predispone un programma di liquidazione con il quale si pianificano le modalità e i
termini previsti per la realizzazione dell’attivo e lo sottopone all’approvazione del comitato dei
creditori. Con le stesse modalità il curatore può successivamente presentare,per sopravvenute
esigenze un supplemento del programma di liquidazione.
Il programma deve fra l’altro indicare le azioni che il curatore intende proporre,le condizioni della
vendita dei singoli cespiti,l’opportunità di disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa o di
autorizzare l’affitto dell’azienda,nonché le possibilità di cessione unitaria o di rami della stessa.
Il programma di liquidazione approvato è comunicato al giudice delegato che autorizza l’esecuzione
degli atti ad esso conformi. L’approvazione del programma di liquidazione tiene luogo delle singole
autorizzazioni del comitato dei creditori eventualmente necessarie per la realizzazione degli atti
inclusi nel programma stesso,salvo il controllo di conformità demandato al giudice delegato.
Conseguita l’approvazione del programma il curatore può pertanto procedere senz’altro alla
liquidazione dei beni.
Prima dell’approvazione invece il curatore può compiere atti di liquidazione solo quando dal ritardo
può derivare un pregiudizio all’interesse dei creditori,e previa autorizzazione del giudice
delegato,sentito il comitato dei creditori.
Per le vendite fallimentari,la riforma del 2006 ha optato per una maggiore libertà di forme e per il
riconoscimento al curatore di maggiore autonomia. La vendita dei beni mobili e immobili avviene
infatti secondo le modalità indicate dal curatore nel programma di liquidazione. Si richiede soltanto
che siano prescelte procedure competitive,e ne sia data massima informazione,allo scopo di

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consentire la partecipazione di tutti gli interessati. A tal fine il curatore può anche avvalersi di
soggetti specializzati e,salvo il caso di beni di modesto valore,deve operare sulla base di stie
effettuate da operatori esperti. Resta ferma comunque la possibilità di avvalersi del procedimento di
vendita disciplinato dal codice di procedura civile ,se ciò è previsto nel programma di liquidazione.
Con le stesse modalità il curatore può cedere i crediti del fallimento,compresi quelli futuri o di
natura fiscale,anche se oggetto di contestazione,nonché le azione revocatorie già proposte. Il che
consente di pervenire più speditamente alla chiusura del fallimento.
Ulteriore obiettivo dell’attuale disciplina è evitare,nei limiti del possibile,la disgregazione del
complesso aziendale. La vendita dei singoli beni è infatti disposta solo quando risulta prevedibile
che la vendita dell’intera azienda,di suoi rami,o di beni o rapporti giuridici individuali in blocco,non
consenta un maggiore soddisfacimento dei creditori.
Per favorire ulteriormente la vendita dell’azienda si prevede inoltre che:
a) In deroga all’art.2560,l’acquirente non risponde delle obbligazioni pregresse.La regola però è
derogabile e può essere perciò convenuto che l’acquirente si accolli in tutto o in parte i debiti,in
pagamento del prezzo di cessione dei beni aziendali. La cessione delle passività aziendali,ove
pattuita,ha effetto liberatorio per il fallimento,essendo espressamente esclusa la responsabilità
dell’alienante prevista dall’art.2560;
b) In deroga all’art.2112,si può convenire con le rappresentanze sindacali che solo una parte dei
lavoratori si trasferisca alle dipendenze dell’acquirente e le ulteriori modifiche del rapporto di
lavoro consentite dalla disciplina laburistica;
c) I crediti (eventualmente) ceduti insieme con l’azienda conservano tutti i privilegi e le garanzie,con
il relativo grado.
Degli esiti delle procedure di liquidazione il curatore informa il giudice delegato ed il comitato dei
creditori,depositando in cancelleria la relativa documentazione. Il giudice delegato,su istanza del
fallito,del comitato dei creditori o di altri interessati,può sospendere le operazioni di vendita quando
ricorrono gravi e giustificati motivi;può inoltre impedire il perfezionamento della vendita quando
ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto,tenuto conto delle condizioni
di mercato.
Le somme che si rendono via via disponibili sono ripartite fra i creditori ed in questa sede acquista
rilievo la distinzione fra crediti prededucibili,crediti privilegiati e crediti chirografari.
Infatti,prima di procedere a qualsiasi ripartizione fra i creditori concorrenti (privilegiati o
chirografari) si deve provvedere al pagamento dei crediti prededucibili.Le somme necessarie per
soddisfarli vengono prelevate dalle disponibilità liquide,con esclusione però di quanto ricavato dalla
liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti.
I crediti prededucibili liquidi e non contestati vengono soddisfatti man mano che diventano
esigibili,con l’autorizzazione del comitato dei creditori o del giudice delegato. Se però l’attivo non è
presumibilmente sufficiente a soddisfare tutti i crediti prededucibili,gli stessi sono soddisfatti
nell’ambito del procedimento di riparto,secondo i criteri della graduazione fra crediti (prededucibili)
privilegiati e chirografari e della par condicio fra creditori di pari grado.
Il ricavato della vendita dei beni oggetto di pegno ed ipoteca viene devoluto per il pagamento dei
creditori a cui spetta la relativa garanzia.
Quanto residua dopo il pagamento dei crediti prededucibili e di quelli assistiti da garanzia reale è
destinato innanzitutto al pagamento degli creditori privilegiati,rispettando l’ordine dei privilegi
stabilito dal codice e dalla leggi speciali. Ciò nei limiti del ricavato della vendita dei beni su cui
insiste il privilegio.

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Quanto residua ulteriormente (e spesso è molto poco) è infine destinato al pagamento proporzionale
dei creditori chirografari e dei creditori privilegiati per la parte del loro credito eventualmente
rimasta insoddisfatta.
Le somme che spettano ai creditori sono assegnate loro con periodiche ripartizioni parziali,cui
segue una ripartizione finale.
Per le ripartizioni parziali,ogni 4 mesi a partire dalla data di esecutività dello stato passivo il
curatore presenta al giudice delegato un prospetto delle somme disponibili ed un progetto di
ripartizione viene depositato in cancelleria e trasmesso in via telematica a tutti i creditori,che
possono presentare reclamo davanti allo stesso giudice delegato.
Scaduti i termini per l’impugnazione,il giudice delegato rende esecutivo il progetto di
ripartizione,previo accantonamento delle somme contestate,la cui destinazione sarà stabilita dalla
decisione sul reclamo.
Le ripartizioni parziali non possono superare l’80% delle somme disponibili. Almeno il 20% deve
infatti essere accantonato per eventuali imprevisti (esempio:pagamenti a creditori ritardatari
incolpevoli).Sono inoltre trattenute le somme necessarie per le spese della procedura,per pagare il
compenso al curatore e ogni altro credito prededucibile,nonché le somme dovute ai creditori
incerti,quali i creditori ammessi con riserva o quelli sulla cui ammissione pende giudizio di
opposizione,impugnazione o revocazione. Gli altri creditori sono pagati dal curatore nei modi
stabiliti dal giudice delegato.
Esaurita la liquidazione dell’attivo,il curatore rende al giudice delegato il conto della sua gestione.
Questo è approvato dal giudice delegato in un’apposita udienza,nella quale i creditori ed il fallito
possono presentare osservazioni. Se sorgono contestazioni e sulle stesse non si raggiunge in udienza
un accordo,si apre un giudizio contenzioso dinanzi al tribunale fallimentare che decide in camera di
consiglio.
Approvato il conto della gestione,viene liquidato il compenso al curatore. Si procede quindi alla
ripartizione finale dell’attivo,con la quale si distribuiscono anche gli accantonamenti
precedentemente effettuati.
La somma dovuta ai creditori incerti è depositata nei modi stabiliti dal giudice delegato,perché
possa essere versata ai creditori a cui spetta. Se invece l’evento non si verifica,se ne fa oggetto di
riparto supplementare fra gli altri creditori,dopo la chiusura del fallimento.
La somma dovuta ai creditori che non si presentano o sono irreperibili è depositata presso un ufficio
postale o una banca. Decorsi 5 anni,possono essere reclamate dagli altri creditori rimasti
insoddisfatti, altrimenti sono incamerate dallo Stato.

E. LA CESSAZIONE DEL FALLIMENTO.

La chiusura del fallimento.L’esdebitazione.


Oltre che per concordato fallimentare,il fallimento si chiude per una delle seguenti cause elencate
dall’art.118 della legge fallimentare.
a) Mancata presentazione di domande di ammissione allo stato passivo nel termine dalla sentenza
dichiarativa di fallimento. Il che può verificarsi quando fra il fallito e tutti i suoi creditori è
raggiunto un accordo extragiudiziario per il pagamento,di regola in percentuale,di quando dal primo
dovuto (cosiddetto concordato stragiudiziale).
b) Pagamento integrale dei creditori ammessi al passivo e di tutti i debiti e le spese da soddisfare in
prededuzione prima che sia compita la ripartizione integrale dell’attivo.
c) Ripartizione integrale dell’attivo. E’ questa l’ipotesi più frequente in pratica,che lascia i creditori
concorrenti parzialmente insoddisfatti.

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d) Impossibilità di continuare utilmente la procedura per insufficienza dell’attivo. Il che significa


quando le attività rinvenute nel patrimonio del fallito (o recuperabili con le azioni del curatore) sono
talmente scarse da far prevedere che il tutto non consentirà di soddisfare,neppure in parte,i creditori
concorrenti,né i crediti prededucibili e le spese di procedura.
La chiusura del fallimento è dichiarata con decreto motivato del tribunale,su istanza del curatore,del
fallito o di ufficio. Il decreto di chiusura è pubblicato nelle forme previste per la sentenza
dichiarativa di fallimento ed è reclamabile dinanzi alla corte di appello e successivamente in
Cassazione. Gli stessi rimedi sono esperibili anche contro il decreto che respinge la richiesta di
chiusura del fallimento.
Il decreto di chiusura ha effetto quando non è più impugnabile per scadenza dei termini o quando il
reclamo è stato definitivamente rigettato.
Con la chiusura del fallimento decadono gli organi preposti alla procedura e cessano gli effetti del
fallimento,sia per il fallito,sia per i creditori.
Le azioni esperite dal curatore per l’esercizio di diritti derivanti dal fallimento (esempio:le azioni
revocatorie) non possono essere proseguite,salvo che siano state cedute a terzi durante la
liquidazione o per effetto del concordato fallimentare.
Di regola, il debitore rimane obbligato verso i creditori concorsuali non interamente soddisfatti
attraverso il fallimento. Questi ultimi riacquistano perciò la possibilità di proporre azioni esecutive
individuali contro l’ex fallito. La liberazione del fallito dai debiti residui può aversi soltanto in due
casi:quando il fallimento si chiude per concordato o quando il debitore ottiene l’esdebitazione dal
tribunale fallimentare.
L’esdebitazione è un beneficio concesso al fallito persona fisica (non dunque alla società né agli
altri imprenditori collettivi) in presenza di particolari condizioni soggettive ed oggettive al fine di
limitare l’esdebitazione ai soli imprenditori:
a) Che ne siano meritevoli per aver svolto in modo corretto la propria attività ed aver mostrato buona
condotta ed atteggiamento collaborativo durante la procedura fallimentare;
b) Il cui fallimento abbia consentito il soddisfacimento almeno parziale dei creditori concorsuali.
Quanto ai requisiti di meritevolezza,è ammesso al beneficio dell’esdebitazione solo l’imprenditore
che:
1) Ha cooperato con gli organi della procedura,fornendo tutte le informazioni e la documentazione
utile ed adoperarsi per il proficuo svolgimento delle operazioni. E’ escluso dall’esdebitazione il
debitore che ha tenuto comportamenti ostruzionistici durante il fallimento;
2) Nei 10 anni precedenti non ha beneficiato di altra esdebitazione;
3) Non ha distratto l’attivo,o esposto debiti inesistenti,cagionato o aggravato il dissesto rendendo
gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari o fatto ricorso
abusivo al credito. Si tratta di condotte sanzionate anche penalmente,ma in questi casi
l’esdebitazione è esclusa a prescindere dalla condanna penale;
4) Non è stato condannato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia
pubblica,l’industria ed il commercio,ed altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio
dell’attività d’impresa.
In presenza di queste condizioni soggettive ed oggettive,il tribunale con lo stesso decreto di
chiusura del fallimento dichiara d’ufficio inesigibili nei confronti dell’ex fallito i debiti concorsuali
non soddisfatti integralmente. Se non è disposta con il decreto di chiusura,il debitore stesso può
presentare istanza di esdebitazione con ricorso al tribunale entro l’anno successivo.
Contro il decreto che concede o nega l’esdebitazione qualunque interessato può presentare reclamo
alla corte d’appello. L’esdebitazione opera di regola su tutti i debiti anteriori all’apertura del
fallimento,anche quelli per i quali non è stata presentata domanda di insinuazione al passivo.

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Rispetto ai creditori che non hanno partecipato al fallimento però l’effetto liberatorio si produce
solo per l’eccedenza rispetto alla percentuale attribuita dal fallimento ai creditori concorrenti di pari
grado. Sono comunque salvi i diritti vantati dai creditori contro i coobbligati, i fideiussori del
debitore e gli obbligati in via di regresso.
Fanno eccezione particolari categorie di debiti rispetto alle quali l’esdebitazione non opera ed il
debitore resta quindi pienamente obbligato:
a) Gli obblighi di mantenimento e alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da rapporti estranei
all’esercizio dell’impresa;
b) La responsabilità extracontrattuale e le sanzioni pecuniarie penali ed amministrative che non siano
accessori a debiti estinti.

La riapertura del fallimento.


Il fallimento chiuso per ripartizione integrale o per insufficienza dell’attivo (cioè che siano stati
integralmente soddisfatti i creditori concorrenti) può essere successivamente riaperto.
E’ necessario però che ricorrano le seguenti condizioni:
a) Non devono essere trascorsi 5 anni dal decreto di chiusura;
b) Nel patrimonio del fallito si rinvengono nuove attività (preesistenti o sopravvenute) che rendono
utile la riapertura o,in alternativa,il fallito offre garanzie di pagare almeno il 10% ai creditori vecchi
e nuovi.
La riapertura del fallimento può essere richiesta dal debitore o da qualsiasi creditore,anche nuovo.
Non può invece essere disposta di ufficio. La riapertura del fallimento può essere richiesta dal
debitore o da qualsiasi creditore,anche nuovo. Non può invece essere disposta di ufficio. La
riapertura è in ogni caso rimessa alla valutazione discrezionale del tribunale,che potrebbe ritenerla
non conveniente per i creditori anche quando venga garantito il pagamento del 10% da parte del
debitore.
Per la riapertura del fallimento non è comunque necessario l’accertamento dell’esistenza attuale
dello stato di insolvenza.
Il fallimento riaperto si atteggia per un verso come un nuovo fallimento e per altro verso come la
continuazione del precedente.
Al fallimento riaperto concorrono infatti non solo i vecchi creditori,ma anche i nuovi. I primi
concorrono per la somma loro dovuta in base alla precedente ammissione,dedotto quanto hanno già
percepito; essi possono chiedere la conferma del provvedimento di ammissione al passivo
conseguito nel precedente fallimento,salvo che intendano insinuare al passivo ulteriori interessi. Al
normale procedimento di verifica sono invece sottoposti i nuovi creditori,che non hanno partecipato
al precedente fallimento.
I termini per l’esercizio delle azioni revocatorie relative ad atti compiuti dal fallito dopo la chiusura
del fallimento sono computati dalla data della sentenza di riapertura. Nel contempo sono però privi
di effetto nei confronti dei creditori gli atti a titolo gratuito posteriori alla chiusura ed anteriori alla
riapertura del fallimento,sicché non opera il limite dei due anni previsto dall’art.64.Lo stesso vale
per gli atti di disposizione tra i coniugi,che quindi tutti sono revocati di diritto.
Infine,il tribunale deve,se possibile,richiamare in carica il giudice delegato ed il curatore del
fallimento chiuso. Il comitato dei creditori è invece nominato ex novo,dovendo la sua composizione
tener conto anche dei nuovi creditori.
Per il resto si applica la disciplina precedentemente esposta.

Il concordato fallimentare.
Un particolare modo di chiusura del fallimento è costruito dal concordato fallimentare.

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E’ questo un istituto che consente all’imprenditore fallito di chiudere definitivamente i rapporti


pregressi attraverso il pagamento parziale dei creditori o altra forma di ristrutturazione dei debiti,
ottenendo nel contempo la liberazione dei beni soggetti alla procedura fallimentare.
Il concordato fallimentare può perciò giovare sia al fallito che ai creditori. Il primo,adempiuto il
concordato,si libera definitivamente dei propri debiti per la parte che eccede la percentuale
concordataria. I creditori chirografari a loro volta rinunciano sì definitivamente ad una parte del
proprio credito,o accettano modi di soddisfazione diversi dall’adempimento,ma questo sacrificio è
compensato dalla possibilità di ottenere qualcosa di più e soprattutto più rapidamente di quanto
otterrebbero attraverso la liquidazione fallimentare dell’attivo.
La chiusura del fallimento mediante concordato è sotto più profili agevolata:in particolare,è reso
obbligatorio per tutti i creditori il concordato approvato dalla maggioranza qualificata degli stessi.
La riforma del 2006 ha inteso ulteriormente favorire il ricorso all’istituto eliminando talune rigidità
che caratterizzano la disciplina previgente:è stato ampliato l’ambito dei soggetti legittimati a
presentare proposta di concordato,sono stati soppressi alcuni vincoli relativi al contenuto della
proposta,ridotte le maggioranze necessarie per l’approvazione,anticipato il momento a partire dal
quale si può proporre il concordato.
Nel contempo la legge si preoccupa di prevenire possibili abusi a danno dei creditori sottoponendo
la conclusione del concordato ad un penetrante controllo di legalità,e in alcuni casi anche di
merito,dell’autorità giudiziaria.
Le gasi essenziali del concordato fallimentare sono:la proposta;l’approvazione della maggioranza
dei creditori;l’omologazione da parte del tribunale.
La proposta di concordato può essere presentata,mediante ricorso al giudice delegato,da uno o più
creditori,da un terzo,ed anche dal fallito. I termini di presentazione variano a seconda del soggetto
proponente.
Creditori e terzi possono infatti proporre il concordato in qualsiasi momento. Di regola si attenderà
che sia formato lo stato passivo,poiché solo allora si avrà l’accertamento dei crediti ammessi al
concorso. E’ possibile tuttavia presentare la proposta anche prima di tale passaggio
procedurale,purché sia stata tenuta la contabilità ed i dati contabili risultanti da essa e le altre notizie
disponibili consentano al curatore di predisporre un elenco provvisorio dei creditori del fallito da
sottoporre all’approvazione del giudice delegato.
Il fallito che intende avanzare proposta di concordato deve invece sottostare ad un duplice vincolo
temporale. Non può infatti proporre il concordato prima che sia trascorso una anno dalla
dichiarazione di fallimento. In questo modo,si incentiva il debitore a ricorrere alla procedura
alternativa del concordato preventivo,evitando il fallimento.
Il fallito non può avanzare proposta di concordato dopo che siano trascorsi 2 anni dal decreto che
rende esecutivo lo stato passivo.
Il contenuto della proposta di concordato può essere variamente articolato,ed il ventaglio delle
opzioni è stato sensibilmente ampliato con la riforma del 2006:si può prevedere il pagamento
immediato di una percentuale (concordato remissorio) o all’opposto il pagamento differito
dell’intero credito (concordato dilatorio).L’ipotesi più frequente nella pratica è tuttavia l’offerta di
un pagamento in percentuale e dilazionato (concordato misto).Si può prevedere altresì che i
creditori siano soddisfatti attraverso forme diverse dall’adempimento (esempio:cessione di
beni,attribuzione di partecipazioni sociali,obbligazioni o altri strumenti finanziari).Si può proporre
la suddivisione dei creditori in classi,secondo posizione giuridica ed interessi economici
omogenei,offrendo trattamenti differenziati fra i creditori appartenenti a classi diverse,purché non si
alteri l’ordine delle cause legittime di prelazione.

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Rispetto al passato è stato inoltre soppresso il vincolo che imponeva di soddisfare per intero i
creditori privilegiati. E’ possibile prevedere infatti che anche tali creditori siano soddisfatti
parzialmente, purché in misura non inferiore a quanto gli stessi potrebbero conseguire,in ragione
della loro collocazione preferenziale,sul ricavato in caso di liquidazione. A tal fine il valore di
mercato dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione deve essere stimato da un esperto
indipendente,designato dal tribunale fra gli iscritti nel registro dei revisori legali appartenenti alle
categorie professionali indicate dalla legge.
La proposta presentata dai creditori o da un terzo può prevedere che persone diverse dal fallito
assumano la veste di obbligato principale per l’adempimento del concordato.
In questo caso si ha la figura dell’assuntore del concordato. L’assuntore può obbligarsi in solido col
fallito (accollo cumulativo) o può restare il solo obbligato,se si prevede la liberazione immediata del
fallito da ogni debito (accollo liberatorio).
L’assuntore però può limitare il proprio impegno ai soli creditori ammessi al passivo o il cui credito
è in corso di accertamento al tempo della proposta (creditori ammessi provvisoriamente,creditori
tardivi).In quest’ultima ipotesi,verso tutti gli altri creditori continua perciò a rispondere il
fallito,sempre che lo stesso non ottenga l’esdebitazione.
Come corrispettivo dell’accollo, all’assuntore viene di regola ceduto tutto l’attivo fallimentare;su di
lui grava perciò il rischio della realizzazione dello stesso restando comunque tenuto nei confronti
dei creditori ad adempiere gli obblighi derivanti dal concordato. All’assuntore possono essere
cedute anche le azioni di pertinenza del fallimento la cui proposizione è stata già autorizzata dal
giudice delegato.
La proposta di concordato è soggetta al preventivo esame (solo sulla ritualità della proposta e non
più anche sul merito) del giudice delegato,tenuto a richiedere il parere vincolante del comitato dei
creditori e quello non vincolante del curatore;quest’ultimo riferisce sui presumibili risultati della
liquidazione e sulle (eventuali) garanzie offerta dal proponente.
La proposta di concordato deve essere sottoposta al tribunale,che verifica il corretto utilizzo dei
criteri di formazione e di trattamento delle classi.
Espletati tali adempimenti preliminari,il giudice delegato ordinala comunicazione della proposta e
dei relativi pareri ai creditori e fissa il termine (non inferiore a 20 giorni e non superiore a 30) entro
il quale gli stessi devono far pervenire nella cancelleria del tribunale la loro dichiarazione di
dissenso. I creditori che tacciono si ritengono consenzienti.
Se sono state presentate più proposte viene sottoposta all’approvazione dei creditori solo quella
prescelta dal comitato dei creditori,salvo che il giudice delegato,su richiesta del curatore,disponga
che ne vengano comunicate anche altre,ritenute parimenti convenienti. In tal caso,si considera
approvata la proposta che ha conseguito il maggior numero di consensi e,in caso di parità,la
proposta presentata per prima.
Hanno diritto di voto i creditori chirografari ammessi al passivo,anche se con riserva;o se la
votazione ha luogo prima che sia stato reso esecutivo lo stato passivo,hanno diritto di voto i
creditori chirografari che risultano dall’elenco provvisorio approvato dal giudice delegato.
Non possono invece votare i creditori privilegiati,se ad essi si offre l’integrale pagamento,a meno
che non rinuncino al privilegio. I creditori privilegiati di cui la proposta di concordato prevede,al
contrario,la soddisfazione non integrale sono equiparati ai creditori chirografari (e possono quindi
votare) per la parte residua del credito.
Non possono inoltre votare:
a) Il coniuge,i parenti e gli affini del fallito fino al quarto grado e coloro che sono divenuti cessionari o
aggiudicatari dei crediti di dette persone da meno di un anno prima della dichiarazione di
fallimento;

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b) Lo stesso vale per le società appartenenti al medesimo gruppo di quella fallita;


c) Coloro che sono diventati cessionari di un credito verso il fallito dopo la dichiarazione di
fallimento,ad eccezione di banche ed altri intermediari finanziari.
Per l’approvazione della proposta di concordato è richiesto il consenso (anche tacito) dei creditori
che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto.
Se sono previste classi di creditori,è inoltre necessario che il concordato sia approvato dalla
maggioranza delle classi,con il consenso di tanti creditori che rappresentino la maggioranza dei
crediti inclusi in ciascuna classe. Tuttavia,i creditori appartenenti ad una classe dissenziente
possono sollecitare un controllo più approfondito del tribunale in sede di omologazione.
Se il concordato è approvato,su istanza del proponente si apre il giudizio di omologazione del quale
è investito il tribunale fallimentare. All’omologazione del concordato possono opporsi i creditori
dissenzienti,il fallito e qualsiasi interessato,entro un termine fissato dal giudice delegato. Nel
contempo, il comitato dei creditori (o in mancanza il curatore) deposita una relazione col suo parere
definitivo.
A differenza che in passato,il tribunale procede ad un controllo solo di legalità,e non di
merito;valuta cioè la regolarità della procedura,e non anche la convenienza per i creditori della
proposta,ma con una eccezione:che sulla convenienza del concordato sia stata sollevata
contestazione da parte di creditori appartenenti ad una delle classi dissenzienti. In tal caso tuttavia il
tribunale può omologare ugualmente la proposta,ove ritenga che il credito dell’opponente possa
risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente
praticabili.
In mancanza di opposizioni,il tribunale decide sull’omologazione con decreto non soggetto a
gravame. Altrimenti,decide con decreto impugnabile con reclamo davanti alla corte d’appello e
successivamente in Cassazione.
Quando diventa definitivo il decreto che omologa il concordato,il fallimento si chiude ed il curatore
deve rendere il conto della sua gestione.
Il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al fallimento,compresi quelli
che non hanno presentato domanda di ammissione al passivo. Anche a questi ultimi è perciò dovuta
la percentuale concordataria,ma non si estendono a loro favore le garanzie data nel concordato da
terzi. Limitazione quest’ultima che non opera invece per l’assuntore data la sua posizione di
obbligato principale.
Nonostante il concordato,restano in vita le azioni dei creditori per l’intero contro i coobbligati,i
fideiussori del fallito e gli obbligati in via di regresso. E’ invece preclusa ogni azione dei creditori
verso il fallito (o l’assuntore) per la parte non soddisfatta del loro credito.
Dopo l’omologazione,ha inizio l’esecuzione del concordato (liquidazione dei beni e pagamento dei
creditori).
Il concordato è eseguito dal fallito (o dall’assuntore cessionario delle attività) sotto la sorveglianza
del giudice delegato,del curatore e del comitato dei creditori,che sopravvivono a tal fine pur dopo la
chiusura del fallimento conseguente al decreto di omologazione. Accertata la completa esecuzione
del concordato,il giudice delegato ordinalo svincolo delle cauzioni,la cancellazione delle ipoteche
iscritte a garanzia del concordato e adotta ogni misura idonea per il conseguimento delle finalità del
concordato.
Gli effetti del concordato possono cessare per risoluzione o per annullamento.
La risoluzione si fonda sull’inadempimento del concordato. Essa è pronunziata dal tribunale con
sentenza,su richiesta di ciascun creditore,quando:
a) Non vengono costituite le garanzie promesse;
b) Il proponente non adempie regolarmente agli obblighi derivanti dal concordato.

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La risoluzione non può essere però pronunziata quando gli obblighi del concordato sono stati
assunti da un terzo,con liberazione immediata del fallito. In tal caso i creditori potranno agire solo
contro l’assuntore, provocandone il fallimento se ne ricorrono i presupposti.
L’annullamento del concordato è disposto dal tribunale,su istanza del curatore o di qualsiasi
creditore, quando si scopre che il passivo era stato dolosamente esagerato o che una parte rilevante
dell’attivo era stato sottratta o dissimulata.
Annullato o risolto il concordato,si riapre automaticamente il fallimento. Tuttavia i creditori
anteriori non devono restituire quanto già riscosso in base al concordato e conservano le garanzie
per le somme ad essi tuttora dovute in base al concordato stesso.

F. IL FALLIMENTO DELLE SOCIETA’

Il fallimento delle società.


Al fallimento delle società è in via di principio applicabile la disciplina fin qui esposta,sia pure con
gli adattamenti imposti dal dato che non si è in presenza di un imprenditore individuale. Vi è una
scarna disciplina specifica dettata dalla legge fallimentare (artt.146-156).
E’ così fuori contestazione che falliscono solo le società che esercitano un’impresa commerciale e
sono sottratte al fallimento se non superano le soglie dimensionali fissate dall’art.1 comma2 della
legge fallimentare.
La legge fallimentare non specifica poi a chi,nell’ambito della società,compete l’iniziativa per la
dichiarazione di fallimento su richiesta del debitore ed il punto è controverso. Preferibile è tuttavia
l’opinione che ritiene legittimati a proporre reclamo contro la dichiarazione di fallimento.
Alcuni adattamenti si hanno anche per quanto riguarda gli effetti del fallimento.
Ogni qual volta la legge richiede che sia sentito il fallito,dovranno essere sentiti gli amministratori o
i liquidatori della società fallita. Sugli stessi grava inoltre l’obbligo di comunicare ogni
cambiamento della propria residenza o domicilio e di presentarsi agli organi fallimentari quando ne
siano richiesti.
Nella società di capitali,al curatore è riservato l’esercizio sia dell’azione sociale di responsabilità,sia
di quella spettante ai creditori sociali contro amministratori,componenti degli organi di
controllo,direttori generali e liquidatori,nonché contro la controllante per abuso di attività di
direzione e coordinamento. Il curatore deve essere preventivamente autorizzato dal giudice
delegato, sentito il comitato dei creditori.
Nei confronti di amministratori,sindaci,direttori generali e liquidatori sono poi applicabili le
sanzioni penali per i reati di bancarotta semplice e fraudolenta.
E’ infine espressamente stabilito che,salva diversa disposizione dell’atto costitutivo o dello statuto,
la proposta e le condizioni del concordato fallimentare devono essere approvate:nelle società di
persone, dai soci che rappresentano la maggioranza del capitale;nelle società di capitali e nelle
cooperative,dagli amministratori con decisione verbalizzata da notaio e dallo stesso iscritta nel
registro delle imprese dopo averne verificato la legittimità.
Il fallimento è causa legale di scioglimento delle società di persone;dopo la riforma del diritto
societario del 2003,non lo è più invece per le società di capitali. Tuttavia,la nuova disciplina
fallimentare prevede che,in caso di chiusura del fallimento per integrale ripartizione dell’attivo o
insufficienza della massa,il curatore deve chiedere la cancellazione della società dal registro delle
imprese. Di fatto il fallimento continua perciò a configurare una causa estintiva della società quando
conduce all’integrale liquidazione del patrimonio sociale. Non invece quando al termine del
fallimento residua un attivo da liquidare o la società è tornata in bonis ed è perciò possibile che la

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società ritorni al nomale esercizio dell’attività di impresa,previa revoca dello stato di liquidazione
nelle società di persone.
Si esclude invece la possibilità di riapertura del fallimento dopo l’estinzione della società.

La posizione dei soci nel fallimento della società.


Il fallimento della società non è senza effetti per i soci. Nelle società lucrative tali effetti sono però
nettamente diversi a seconda del tipo di società e del regime di responsabilità dei soci.
Per i soci a responsabilità limitata,il fallimento della società comporta come unica conseguenza che
il giudice delegato può ingiungere loro di eseguire i conferimenti ancora dovuti,anche se non è
ancora scaduto il termine fissato dall’atto costitutivo per il relativo versamento.
Nelle società in nome collettivo,nella società in accomandita semplice e nell’accomandita per
azioni, il fallimento della società produce invece anche il fallimento dei soci a responsabilità
illimitata,sebbene solo alla società e non ai soci competa la qualifica di imprenditore commerciale.
Il fallimento dei soci consegue automaticamente al fallimento della società,senza che sia necessario
accertare la loro personale insolvenza. I soci possono perciò sottrarsi al fallimento solo contestano
l’esistenza della società o la sua insolvenza,o la qualità di soci a responsabilità illimitata della
stessa. A tal fine devono essere sentiti dal tribunale,in camera di consiglio,prima della dichiarazione
di fallimento per esercitare il loro diritto di difesa.
Il fallimento della società determina il fallimento non solo dei soci noti al momento della
dichiarazione di fallimento della società,ma anche di quelli la cui esistenza è successivamente
accertata. Falliscono cioè non solo i soci palesi,ma anche i soci occulti (di società palese).
L’estensione del fallimento ai soci occulti può essere richiesta dai soci già dichiarati falliti,dai
creditori della società o dal curatore (ma non più di ufficio dal tribunale,né su istanza del pubblico
ministero).Il socio occulto deve essere preventivamente sentito in camera di consiglio.
L’estensione del fallimento ai soci occulti si produce infine anche se,dopo il fallimento di un
imprenditore individuale,risulti che l’impresa è riferibile ad una società di cui il fallito è socio
illimitatamente responsabile. Così la riforma del 2006 sancisce la soggezione al fallimento della
società occulta.
L’art.147 della legge fallimentare opera solo nei tre tipi societari espressamente indicati. Falliscono
perciò:i soci (palesi od occulti) della società in nome collettivo;gli accomandatari dell’accomandita
semplice e dell’accomandita per azioni;l’accomandante di società in accomandita semplice che
violato il divieto di immistione,dato che lo stesso risponde per tutte le obbligazioni sociali.
Non falliscono invece (punto controverso in passato) l’unico quotista di società a responsabilità
limitata e l’unico azionista,anche quando ricorre una responsabilità illimitata degli stessi per le
obbligazioni sociali.
L’art.147 comma 2 estende poi al fallimento dei soci i principi dettati dall’art.10 della legge
fallimentare in tema di fallimento dell’imprenditore che ha cessato l’attività.
I soci illimitatamente responsabili falliscono pertanto anche se hanno cessato di far parte della
società per morte,recesso od esclusione,dato che in tal caso persiste la responsabilità illimitata per le
obbligazioni anteriori. Il fallimento può però essere dichiarato solo se non è trascorso più di un anno
da quando sono state realizzate le formalità necessarie per rendere noti ai terzi tali fatti:vale a
dire,l’iscrizione nel registro delle imprese della cessazione del singolo rapporto sociale per le
società registrate,e la pubblicità con mezzi idonei per le società irregolari.
E’ inoltre necessario che lo stato di insolvenza della società attenga,in tutto o anche solo in parte,a
debiti esistenti alla data della cessazione della responsabilità illimitata.
La medesima regola (fallimento entro un anno dalla pubblicazione) si applica quando i soci hanno
perso la qualità di soci illimitatamente responsabili anche in conseguenza di trasformazione,fusione

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o scissione della società. Benché la legge non lo precisi,è tuttavia da ritenere che i soci possano
fallire solo nel caso che non abbiano conseguito la liberazione dalla responsabilità per le
obbligazioni anteriori alla trasformazione o alla fusione.

Fallimento della società e dei soci.


Il tribunale nomina un solo giudice delegato ed un solo curatore per i diversi fallimenti,ma possono
essere nominati distinti comitati dei creditori.
Al fallimento della società partecipano solo i creditori sociali. Nel fallimento dei singoli soci
concorrono invece sia i creditori sociali sia i rispettivi creditori particolari. Vengono
conseguentemente formata distinte masse passive. Tuttavia,per semplificare la procedura,la
domanda di ammissione allo stato passivo della società vale anche come domanda di ammissione al
passivo del fallimento personale dei soci. I crediti verso la società assistiti da privilegio generale
conservano inoltre tale privilegio anche nel fallimento dei soci.
Distinte restano pure le masse attive dei diversi fallimenti,formate rispettivamente dai beni della
società e dai beni di ciascun socio. I creditori sociali hanno diritto di partecipare alle ripartizioni
dell’attivo di tutti fallimenti fino all’integrale pagamento,salvo il regresso fra i fallimenti dei soci
per la parte eccedente la quota rispettiva.
Il concordato fallimentare della società ha,salvo patto contrario,efficacia anche per i soci e fa
chiudere anche i loro fallimenti.
Ciascuno dei soci falliti può concludere un concordato particolare con i creditori sociali ed i
creditori personali del proprio fallimento. Tale concordato fa cessare solo il fallimento di quel socio.
Anche la chiusura del fallimento della società per mancata presentazione di domande di
insinuazione al passivo,o per integrale soddisfacimento dei creditori e delle spese di procedura,
determina la chiusura del fallimento del socio,salvo che quest’ultimo sia stato dichiarato fallito
perché riconosciuto titolare di un’autonoma impresa individuale.

Fallimento e patrimoni destinati.


L’attuale disciplina detta infine alcune regole applicabili alle società per azioni che hanno costituito
patrimoni destinati.
Al riguardo le conseguenze sono diverse a seconda del tipo di patrimonio destinato e a seconda che
sia divenuto incapiente il patrimonio destinato e a seconda che sia divenuto incapiente il patrimonio
destinato oppure sia quello generale a cadere in stato d’insolvenza.
Cominciamo dall’ipotesi che la società abbia costituito un patrimonio destinato operativo.
Quando il patrimonio destinato non consente di soddisfare integralmente le relative obbligazioni,ma
il patrimonio generale è in bonis,non viene dichiarato il fallimento e non è prevista alcuna
procedura concorsuale a tutela dei creditori separatisti. I creditori insoddisfatti possono chiedere la
liquidazione del patrimonio destinato,ma la legge puntualizza che la liquidazione avverrà
osservando esclusivamente le disposizioni sulla liquidazione delle società di capitali,in quanto
compatibili.
Nell’ipotesi inversa (patrimonio destinato operativo capiente,patrimonio generale insolvente), viene
invece dichiarato il fallimento e la gestione del patrimonio destinato compete al curatore. Non viene
meno tuttavia la separazione patrimoniale fra il patrimonio generale e quello destinato. I creditori
del patrimonio destinato operativo non possono perciò insinuarsi al passivo del fallimento,se non
nei limiti in cui la società fallita ha prestato garanzie con il suo patrimonio generale a loro favore.
Ne consegue ulteriormente che il curatore può esercitare l’azione revocatoria contro gli atti
pregiudizievoli per i creditori del patrimonio generale che incidono sul patrimonio destinato:come
le garanzie prestate a favore terzi dal patrimonio generale a favore di debiti del patrimonio

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destinato. In base alla nuova disciplina devono ritenersi revocabili anche i cosiddetti rapporti
intergestori, vale a dire i trasferimenti di liquidità e di beni da un patrimonio all’altro, realizzati in
danno del patrimonio generale,ferma restando la disponibilità degli amministratori e dei componenti
dell’organo di controllo della società. Il requisito soggettivo della revoca è la conoscenza dello stato
di insolvenza della società.
Il curatore deve vagliare la possibilità di cedere a terzi il patrimonio separato,al fine di conservarne
la destinazione produttiva. Il corrispettivo della cessione è acquisito al patrimonio del fallimento
detratto quanto necessario per pagare i creditori separatisti. Ove non sia possibile la cessione,il
patrimonio destinato viene posto in liquidazione,osservano le regole in tema di liquidazione delle
società in quanto compatibili.
Se infine durante il fallimento della società risulta che il patrimonio separato è incapiente,il curatore
con l’autorizzazione del giudice delegato lo pone in liquidazione con l’osservanza delle regole in
tema di liquidazione delle società. Vale a dire,senza osservare la par condicio fra i creditori
separatisti e senza possibilità di esercitare azioni revocatorie fallimentari sugli atti pregiudizievoli
per il patrimonio destinato.
Regole più favorevoli al creditore separatista sono invece previste per l’altro tipo di patrimonio
destinato previsto dalla legge:il finanziamento destinato.
Finché la società è in bonis,il finanziatore non ha azione sul patrimonio generale della stessa,se non
nei limiti in cui tale patrimonio garantisce il rimborso del finanziamento.
In caso di fallimento della società occorre invece distinguere:se il fallimento impedisce la
realizzazione o la continuazione dell’affare,il contratto si scioglie e il finanziatore può insinuarsi al
passivo per l’intero importo del finanziamento ancora non rimborsato.
Se invece l’affare non è impedito dal fallimento,il curatore può (sentito il parere del comitato dei
creditori) decidere di subentrare nel contratto assumendosene i relativi oneri.Ove il curatore non
subentri nel contratto,lo stesso finanziatore può chiedere al giudice delegato (sentito il comitato dei
creditori) di realizzare o di continuare l’operazione in proprio o affidandola a terzi,insinuandosi nel
fallimento in via chirografaria per l’eventuale credito residuo.Altrimenti,il contratto si scioglie ed il
finanziatore può insinuarsi nel fallimento per l’importo del credito non rimborsato.

CAPITOLO VENTICINQUESIMO: IL CONCORDATO


PREVENTIVO.GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI
DEBITI

A. IL CONCORDATO PREVENTIVO.

L’imprenditore commerciale che si trova in stato di difficoltà economica,e che supera anche uno
solo dei limiti dimensionali fissati dall’art.1 comma 2 della legge fallimentare,può evitare che la
crisi sfoci in fallimento regolando i propri rapporti con i creditori mediante un concordato
preventivo:procedura disciplinata dalla legge fallimentare (artt.160-186-bis) e ripetutamente
riformata (ultimo intervento d.l.n.82/2012).
In particolare,l’intervento del 2005 ha modificato il presupposto oggettivo del concordato
preventivo,che non è più solo lo stato d’insolvenza,bensì più in generale lo stato di crisi economica
del’imprenditore. Lo stato di crisi è concetto più ampio dell’insolvenza,e ricorre anche in presenza
di una situazione di difficoltà temporanea e reversibile di adempiere regolarmente i propri debiti.
Il concordato preventivo è perciò una procedura concorsuale alla quale attualmente può essere
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riconosciuta una duplice finalità.


Se la crisi è temporanea e reversibile,il concordato mira a superare tale situazione attraverso il
risanamento economico e finanziario dell’impresa. In tal senso il concordato preventivo sostituisce
la procedura dell’amministrazione controllata,soppressa dal d.lgs.5/2006.
Se la crisi è definitiva e irreversibile,il concordato preventivo può essere proposto prima che sia
dichiarato il fallimento al fine di evitare lo stesso. Sotto tale profilo si differenzia perciò nettamente
dal concordato fallimentare,nonostante le numerose affinità. Anche il concordato preventivo è
infatti un concordato giudiziale e di massa.
È un concordato giudiziale in quanto viene perfezionato nel quadro di una procedura che richiede la
necessaria presenza di organi giurisdizionali sia prima che dopo l’approvazione dalla proposta da
parte dei creditori.
È un concordato di massa in quanto,una volta approvato,è produttivo di effetti per tutti i creditori
anteriori e al pari del concordato fallimentare libera definitivamente l’imprenditore per la parte
eccedente la percentuale concordataria.
Il concordato preventivo offre però all’imprenditore insolvente l’ulteriore notevole vantaggio di
evitare le gravi conseguenze patrimoniali,personali e penali del fallimento. In
particolare,l’imprenditore non subisce lo spossessamento e conserva,sia pure con particolari
cautele,l’amministrazione dei beni e la gestione dell’impresa. Inoltre,il concordato preventivo non
deve più condurre necessariamente alla liquidazione del patrimonio del debitore insolvente per il
soddisfacimento dei creditori,bensì può essere oggi legittimamente impiegato per il risanamento
dell’impresa.
Il concordato preventivo costituisce perciò in definitiva un beneficio concesso all’imprenditore per
favorire la composizione della crisi mediante una soluzione concordata con i creditori. Tuttavia,la
legge non fissa particolari condizioni soggettive di meritevolezza per l’ammissione alla procedura.
Può presentare proposta di concordato preventivo qualsiasi imprenditore commerciale in stato di
crisi economica che superi i limiti dimensionali fissati dall’art.1 comma 2 della legge fallimentare.
Né è più richiesto che l’imprenditore sia in grado di garantire il pagamento di una percentuale non
esigua ai creditori chirografari (prima,almeno il 40%).
Neppure è necessario soddisfare per intero i creditori privilegiati.
Tali creditori però devono essere soddisfatti in misura non inferiore a quanto gli stessi potrebbero
conseguire,in ragione della loro collocazione preferenziale,sul ricavato in caso di liquidazione. A tal
fine il valore di mercato del bene o diritto sul quale sussiste la causa di prelazione deve essere
stimato da un esperto,designato dal debitore fra gli iscritti nel registro dei revisori contabili
appartenenti alle categorie professionali sindacate dalla legge (avvocati,dottori commercialisti,
ragionieri, ragionieri commercialisti,anche organizzati in forma di studi professionali o società) ed
in possesso dei requisiti di indipendenza richiesti per l’attestazione del piano di risanamento.
Inoltre,quando la proposta contempla la prosecuzione dell’attività dell’impresa in concordato,è
consentito prevedere una moratoria fino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei
creditori privilegiati,salvo che siano liquidati i beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.
In merito al contenuto della proposta di concordato preventivo valgono regole analoghe a quanto
già visto per il concordato fallimentare. Il concordato può pertanto perseguire la ristrutturazione dei
debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma;può consistere in una dilazione dei
termini di pagamento,o nel soddisfacimento parziale dei creditori,o in entrambe le soluzioni;può
disporre l’attribuzione ad un assuntore delle attività delle imprese interessate dalla proposta;può
infine suddividere i creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici
omogenei,con trattamenti differenziati per le varie classi,purché non si alteri l’ordine delle cause
legittime di prelazione. Il pagamento dei debiti concordatari può essere realizzato anche mediante la
cessione ai creditori di tutti beni del proponente;oppure solo di quelli non più funzionali
all’esercizio dell’impresa nel caso in cui la proposta contempli il mantenimento in attività del
complesso aziendale risanato (cosiddetto concordato con cessione parziale di beni).
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L’ammissione al concordato.
La procedura di concordato preventivo inizia con la domanda di ammissione del debitore,presentata
con ricorso al tribunale competente per la dichiarazione del fallimento. La domanda è pubblicata
d’ufficio nel registro delle imprese entro il giorno successivo.
In base all’attuale disciplina la domanda di concordato può essere presentata già completa della
proposta concordataria rivolta ai creditori,oppure con riserva.
La domanda completa della proposta deve essere corredata da una serie di allegati:un’aggiornata
relazione sulla situazione patrimoniale economica e finanziaria dell’impresa;uno stato analitico
delle attività con i relativi valori;l’elenco nominativo dei creditori e dei titolari di diritti reali o
personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;un piano contenete la descrizione analitica
delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta.
La proposta e gli allegati devono inoltre essere accompagnati dalla relazione di un professionista
indipendente,scelto dal debitore,avente gli stessi requisiti richiesti per l’attestazione dei piani di
risanamento. Il professionista deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano
ed è soggetto a responsabilità civile ed anche penale in caso di falso od omissioni.
Particolari cautele sono poi previste allorché la proposta concordataria preveda la prosecuzione
dell’attività d’impresa durante la procedura concordataria (concordato con continuità aziendale).Il
mantenimento della continuità aziendale è indispensabile quando il concordato persegue il
risanamento dell’impresa in crisi e la prosecuzione dell’attività imprenditoriale da parte del
debitore;può inoltre risultare conveniente per conservare il valore di avviamento,quando si prospetti
la possibilità di una cessione in blocco dell’azienda. Presenta però il rischio che le passività
originate dalla prosecuzione dell’esercizio dell’impresa assorbano gran parte delle risorse destinate
al soddisfacimento dei creditori concordatari. Per tale ragione,il piano concordatario con continuità
aziendale deve contenere un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione
del’attività d’impresa,delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura. La
relazione del professionista,inoltre deve attestare che la prosecuzione dell’attività d’impresa
prevista dal piano è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori. Se durante la procedura
l’attività d’impresa cessa o risulta manifestamente dannosa per i creditori,il tribunale revoca
l’ammissione al concordato preventivo.
Dopo la riforma del 2012 però il debitore può presentare anche una domanda di concordato
incompleta con riserva di presentare successivamente la proposta,il piano e gli altri allegati richiesti.
Potrà così preparare questa complessa documentazione al riparo del divieto di azioni esecutive
individuali che scatta subito per i creditori,con la pubblicazione del ricorso per l’ammissione al
concordato. Insieme alla domanda con riserva devono essere depositati i bilanci relativi agli ultimi
tre esercizi e l’elenco dei creditori con i rispettivi crediti.
Quando viene presentata una domanda incompleta,il giudice fissa un termine per la formulazione
della proposta,fra un minimo di 60 ed un massimo di 120 giorni (prorogabili,in presenza di
giustificativi motivi,fino a 60 giorni).Entro questo termine,il debitore può presentare una proposta
di concordato,oppure la richiesta di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti;ma se
non presenta né l’una,né l’altra,la domanda di ammissione di concordato viene rigettata. In questo
caso, può anche essere contestualmente dichiarato il fallimento,se ne viene fatta istanza da parte di
un creditore o del pubblico ministero e sussistono i relativi presupposti.
Inoltre,se alla domanda con riserva non fa seguito l’ammissione alla procedura di concordato,o
l’accordo di ristrutturazione non viene omologato,il debitore perde la facoltà di presentare una
nuova domanda di concordato con riserva per un periodo di 2 anni.
Contestualmente alla fissazione del termine per l’integrazione della domanda,il tribunale stabilisce
anche obblighi informativi periodici a carico del preponente,la cui violazione comporta
l’inammissibilità della domanda. Può inoltre nominare un commissario giudiziale in funzione di
vigilanza.
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Per la presentazione della domanda da parte delle società valgono le regole fissate per il concordato
fallimentare.
Ricevuta la domanda completa della proposta e degli allegati,il tribunale svolge un controllo
preliminare volto ad accertare se ricorrono i presupposti di legge per l’ammissione alla procedura
(qualità di imprenditore commerciale non piccolo,esistenza dello stato di crisi),la completezza e la
regolarità della documentazione. Verifica inoltre il rispetto dei limiti fissati dalla legge riguardo al
contenuto della proposta:trattamento da riservare ai creditori privilegiati,correttezza dei criteri di
formazione delle classi. Non può più entrare nel merito della convenienza della proposta per i
creditori e si tende pure ad escludere che debba verificare la fattibilità economica della stessa.
Prima di pronunziarsi il tribunale deve ordinare la comparizione del debitore in camera di consiglio
per consentirgli l’esercizio del diritto di difesa. Può inoltre assegnare un termine per l’integrazione
della proposta o dei documenti.
Se l’accertamento ha esito negativo,il tribunale dichiara inammissibile la proposta di concordato.
Inoltre,su istanza dei creditori o del pubblico ministero,verifica l’esistenza dei presupposti per
dichiarare il fallimento del debitore.
Se invece ritiene ammissibile la proposta,il tribunale,con decreto non soggetto a gravame,dichiara
aperta la procedura di concordato preventivo. Con lo stesso provvedimento il tribunale designa gli
organi della procedura:il giudice delegato,cui è devoluta la direzione della procedura;un
commissario giudiziale,che svolge essenzialmente funzioni di vigilanza e di controllo.
Sempre col decreto di ammissione il tribunale ordina la convocazione dei creditori (entro 30
giorni);fissa inoltre la somma che ritiene necessaria come acconto sulle spese della procedura ed il
termine,non superiore a 15 giorni,entro il quale il debitore deve depositarla nella cancelleria del
tribunale,pena la revoca dell’ammissione alla procedura. Il decreto di ammissione al concordato è
pubblicato con le stesse modalità della dichiarazione di fallimento e,se il tribunale lo ritiene
opportuno,anche in uno o più giornali.
Il decreto di ammissione è revocabile da parte del tribunale,qualora il commissario giudiziale
accerti che il debitore ha intenzionalmente rappresentato in modo infedele la propria situazione
patrimoniale oppure ha commesso altri atti di frode idonei a trarre in inganno i creditori e ad
influenzarne il voto;e inoltre quando durante la procedura di concordato il debitore compie atti non
autorizzati o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori,o se risulta che mancano le
condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato. Quando revoca l’ammissione al
concordato,il tribunale può contestualmente pronunciare con sentenza il fallimento del debitore,su
richiesta di un creditore o del pubblico ministero,ed accerta l’esistenza dei necessari presupposti fra
cui lo stato di insolvenza.
La presentazione della domanda di concordato incide sia sulla posizione del debitore sia su quella
dei creditori anteriori.
A differenza che nel fallimento,il debitore conserva l’amministrazione dei suoi beni e,se previsto
nella proposta,continua l’esercizio dell’impresa. Subisce però una limitazione del potere di gestione
in quanto può compiere autonomamente solo gli atti di ordinaria amministrazione. Per gli atti di
straordinaria amministrazione è invece necessaria un’autorizzazione,rilasciata nella fase di apertura
della procedura dal tribunale,e dopo il decreto di ammissione dal giudice delegato. Devono in
particolare essere autorizzati gli atti elencati dall’art. 167 comma 2 (contrazione di mutui anche
in forma cambiaria,concessione di ipoteche,di pegno o di fideiussioni,accettazioni di
eredità,ecc.).Per semplici fare la procedura,il tribunale può tuttavia stabilire che l’autorizzazione
non è necessaria per gli atti di valore inferiore ad un determinato importo.
In caso di concordato preventivo con continuità aziendale,il tribunale può altresì autorizzare il
debitore a pagare crediti per prestazioni di beni e servizi anteriori alle presentazione della
domanda. Questi pagamenti costituiscono una vistosa deroga al principio della par condicio
credito rum,e sono perciò consentiti dalla legge solo in presenza di una delle seguenti
condizioni:
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a) Che un professionista in possesso dei requisiti per l’asseverazione del piano di concordato attesti
che le tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell’attività d’impresa e funzionali ad
assicurare la migliore soddisfazione degli altri creditori concordatari;
b) Oppure che i pagamenti siano effettuati con nuove risorse finanziarie,apportate al debitore senza
obbligo di restituzione postergato alla soddisfazione degli altri creditori concordatari.
Gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione e i pagamenti compiuti senza la necessaria
autorizzazione sono inefficaci nei confronti dei creditori anteriori al concordato. Espongono
inoltre l’imprenditore alla revoca dell’ammissione al concordato.
L’amministrazione dei beni e la gestione dell’impresa sono soggette alla vigilanza del
commissario giudiziale.
Gli effetti per i creditori anteriori sono in larga parte coincidenti con quelli propri del fallimento,
dato che anche il concordato preventivo è per i creditori caratterizzato dal principio della par
condicio credito rum.
Infatti, dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese i creditori anteriori
non possono,a pena di nullità,iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari individuali sul
patrimonio del debitore fino a quando il decreto di omologazione del concordato diventa
definitivo. Non possono inoltre acquistare diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori
concorrenti,salvo che vi sia autorizzazione del giudice delegato.
Per lo stesso periodo restano sospese le prescrizioni e non si verificano le decadenze.
Inoltre,resta sospeso il corso degli interessi e si producono gli altri effetti per i creditori (artt.55-
63) propri del fallimento. Non trova invece applicazione la disciplina della revocatoria
fallimentare.
Non è richiamata la disciplina del fallimento per i contratti in corso di esecuzione. L’attuale
disciplina precisa anzi che,quando la proposta di concordato prevede la prosecuzione
dell’attività di impresa, tutti i contratti in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso
proseguono e sono inefficaci i patti contrati. Proseguono anche i contratti pubblici,sia pure con
alcune cautele.
La permanenza dei vincoli contrattuali può però intralciare la liquidazione dei beni del
concordato. Il debitore può perciò chiedere di essere autorizzato a sciogliersi dai contratti in
corso di esecuzione alla data di presentazione del ricorso. Può inoltre essere autorizzata la
sospensione dei medesimi rapporti per un periodo non superiore a 60 giorni, prorogabile una
sola volta. Le relative autorizzazioni sono rilasciate dal tribunale nella fase di apertura della
procedura,o dal giudice delegato dopo il decreto di ammissione.
La controparte, che subisce la sospensione o lo scioglimento del contratto,ha diritto ad un
indennizzo, equivalente al risarcimento del danno per il mancato adempimento. Tuttavia la
legge precisa che tale credito è soddisfatto come credito anteriore al concordato e pertanto sarà
sottoposto alla falcidia eventualmente prevista dalla proposta concordataria.
La richiesta di sospensione e scioglimento non può avere ad oggetto rapporti di lavoro
subordinato,né alcuni tipi di contratto indicati dalla legge (finanziamento destinato,locazione di
immobili quando il debitore in concordato è il locatore,preliminari di vendita).
Lo svolgimento della procedura.
Intervenuta l’ammissione alla procedura,il procedimento per la concessione del concordato
preventivo sia articola in due fasi:l’approvazione della proposta da parte dei creditori e la successiva
omologazione del concordato da parte del tribunale.
Nel concordato preventivo manca il previo accertamento giudiziario dello stato passivo. Il
commissario giudiziale provvede perciò a convocare i creditori sulla base dell’elenco nominativo
presentato dal debitore apportando di sua iniziativa,con la scorta delle scritture contabili,le
necessarie rettifiche. Con lo stesso avviso,i creditori sono invitati ad indicare al commissario un
indirizzo di posta elettronica certificata dove ricevere le successive comunicazioni;in mancanza tali
comunicazioni saranno eseguite nei loro confronti esclusivamente mediante deposito in cancelleria.
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Nel contempo,il commissario redige l’inventario del patrimonio del debitore ed una relazione
particolareggiata sulle cause del dissesto,sulla condotta del debitore e sulla proposta di concordato.
Tale relazione va depositata in cancelleria e comunicata in via telematica ai creditori almeno 10
giorni prima dell’adunanza dei creditori.
Diversamente che per il concordato fallimentare,l’approvazione del concordato preventivo avviene
in apposita adunanza dei creditori,presieduta dal giudice delegato. Vi partecipa inoltre il
commissario giudiziale che illustra ai creditori la proposta definitiva del debitore,la quale diventa
immodificabile con l’inizio delle operazioni di voto. All’adunanza possono intervenire anche i
creditori non convocati ed ottenere l’ammissione al voto provando in tale sede il loro credito.
Ogni contestazione sollevata dai creditori o dal debitore è decisa,ai soli fini dell’ammissione al voto
e del calcolo delle maggioranze,dal giudice delegato,senza che ciò precluda le pronunzie definitive
sulla sussistenza del credito. I creditori esclusi dalla votazione possono opporsi all’esclusione in
sede di omologazione del concordato,qualora la loro ammissione avrebbe avuto influenza sulla
formazione delle maggioranze.
Valgono regole analoghe a quelle esposte per il concordato fallimentare per quanto riguarda
l’esclusione dal voto dei creditori privilegiati,del coniuge,parenti ed affini del debitore,nonché dei
cessionari dei crediti di costoro. Sono inoltre esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze i
crediti derivanti da finanziamenti concessi in funzione della presentazione di concordato in quanto
tali pretese sono considerate crediti della massa in caso di fallimento;il che potrebbe disinteressare il
creditore al buon esito del concordato.
Identiche al concordato fallimentare sono le maggioranze richieste per l’approvazione del
concordato preventivo:la maggioranza dei crediti e,in caso di concordato con classi,anche la
maggioranza delle classi.
Se nell’adunanza non è raggiunta la maggioranza necessaria per l’approvazione,questa si può
formare iussivamente attraverso un meccanismo di silenzio-assenso,introdotto con la riforma del
2012.I creditori che non hanno esercitato il loro voto possono far pervenire il loro dissenso per
corrispondenza nei 20 giorni successivi alla chiusura dell’adunanza. In mancanza si ritengono
consenzienti e come tali sono considerati ai fini del computo della maggioranza dei crediti.
Si tende a riconoscere che chi ha votato contro in adunanza può mutare opinione e far pervenire la
propria adesione negli stessi termini. Per modificare il voto favorevole,il creditore deve costituirsi
nel giudizio di omologazione entro la data della relativa udienza.
Se la proposta è respinta,il tribunale dichiara d’ufficio inammissibile la proposta di concordato con
decreto; inoltre,su istanza dei creditori o del pubblico ministero e previo accertamento dei relative
presupposti,dichiara il fallimento del debitore con separata sentenza. Se il concordato è stato
approvato,si apre invece il giudizio di omologazione,con procedimento in camera di consiglio,nel
quale possono intervenire il debitore,il commissario giudiziale (che è tenuto a depositare il proprio
parere entro 10 giorni dall’udienza),i creditori dissenzienti e qualsiasi interessato.
In sede di omologazione,il tribunale effettua un controllo sulla regolarità della procedura e sul
risultato della votazione. L’attuale disciplina non prevede più invece un controllo di merito sulla
convenienza economica del concordato per i creditori,sulla sicurezza delle garanzie offerte o sulla
sufficienza dei beni. La vantaggiosità del concordato resta pertanto rimessa,di regola,alla sola
valutazione dei creditori. Come per il concordato fallimentare,fa tuttavia eccezione l’ipotesi che la
convenienza del concordato sia contestata mediante un’opposizione. Possono presentare
opposizione un creditore appartenente ad una delle classi dissenzienti o nell’ipotesi di concordato
senza classi,i creditori dissenzienti che rappresentano almeno il 20 % dei crediti ammessi al voto:in
tal caso il tribunale può però omologare ugualmente la proposta,ove ritenga che il credito
dell’opponente possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle
alternative concretamente praticabili.
Se i risultati del controllo sono positivi,il tribunale omologa con decreto il concordato. Altrimenti lo
respinge e,su istanza di un creditore o del pubblico ministero e previo accertamento dei relativi
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presupposti,dichiara contestualmente il fallimento con sentenza, o lo stato d’insolvenza per le


imprese assoggettabili ad amministrazione straordinaria. Contro il decreto che omologa il
concordato respingendo le opposizioni,o che nega l’omologazione ,è possibile proporre reclamo alla
corte d’appello. Con lo stesso reclamo si può impugnare l’eventuale sentenza che contestualmente
dichiara il fallimento.
Il concordato preventivo è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione del registro
delle imprese della domanda di ammissione (cosiddetti creditori concordatari).Restano tuttavia
impregiudicati i diritti dei creditori concordatari verso i coobbligati,i fideiussori e gli obbligati in
via di regresso.
Nel caso di società con soci a responsabilità illimitata,il concordato della società ha, salvo patto
contrario, efficacia anche per i soci,che restano perciò liberati nei confronti dei creditori sociali per
la parte eccedente la percentuale concordataria. E’ tuttavia discusso,se tale disposizione si applichi
anche quando i soci abbiano prestato specifiche garanzie personali a favore della società,o se in tal
caso trovi applicazione il primo comma dell’art.184,con la conseguenza che i soci restano
ugualmente obbligati per l’intero.
L’imprenditore resta invece obbligato per l’intero per i debiti contratti successivamente alla
pubblicazione della domanda.

Esecuzione. Risoluzione ed annullamento del concordato.


Con il decreto di omologazione del concordato,la procedura si chiude. Il concordato viene quindi
eseguito sotto la sorveglianza del commissario giudiziale,secondo le modalità stabilite del decreto
di omologazione.
Qualora il concordato consista nella cessione dei beni ai creditori,se non è previsto diversamente,il
tribunale nomina uno o più liquidatori ed un comitato di 3 o 5 creditori per assistere alla
liquidazione;determina inoltre le altre modalità della stessa. Infatti,il concordato con cessione non
comporta di regola il trasferimento della proprietà dei beni ai creditori,ma solo il conferimento ai
creditori stessi di un mandato irrevocabile in rem propriam a liquidare i beni e a ripartirne il
ricavato fra di loro.
Il concordato preventivo può essere risolto,su istanza di ciascun creditore,purché l’inadempimento
non sia di scarsa importanza.
Nel caso di concordato con cessione dei beni ai creditori,le percentuali di soddisfacimento indicate
nella proposta sono considerate meramente indicative del possibile risultato della liquidazione e non
costituiscono un’obbligazione del proponente,a meno che questi non le avvia espressamente
garantite. Pertanto non si può chiedere la risoluzione qualora il ricavato si riveli in concreto
inferiore alle attese,anche di molto. Si tende tuttavia ad ammettere che il concordato con cessione
possa essere risolto quando risulta prevedibilmente impossibile corrispondere una qualsiasi
percentuale ai creditori chirografari.
Il concordato può inoltre essere annullato negli stessi casi previsti per il concordato fallimentare,su
ricorso di ciascun creditore o del commissario giudiziale.
Benché la legge non lo disponga espressamente,si deve ritenere che anche in caso di annullamento o
risoluzione del concordato il tribunale,su istanza dei creditori o del pubblico ministero,debba
valutare se sussistono i presupposti per la dichiarazione di fallimento.

Consecuzione del fallimento al concordato preventivo.


L’apertura del fallimento in seguito al mancato perfezionamento del concordato o alla risoluzione
dello stesso (consecuzione delle procedure) solleva due delicati problemi.
Un primo problema è se i termini per l’esercizio delle azioni revocatorie fallimentari decorrano a
ritroso dall’avvio della procedura di concordato preventivo oppure dalla data della dichiarazione di
fallimento.
Già in passato la giurisprudenza si era orientata nel senso che i termini retroagissero dalla data del
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decreto di ammissione al concordato preventivo,invocando l’unità sostanziale del procedimento che


risulta dalla successione concordato preventivo- fallimento. Le procedura si fondavano sul
medesimo presupposto:l’insolvenza del debitore.
Dopo la riforma del 2005,la Cassazione aveva confermato tale orientamento,sia pure con qualche
titubanza, nonostante che il presupposto oggettivo del concordato fosse diventato lo stato di crisi
economica e non più l’insolvenza del debitore. Aveva però puntualizzato che gli effetti della
consecuzione di procedure potevano realizzarsi soltanto quando la sentenza dichiarativa del
fallimento avesse accertato che lo stato di crisi esistente al momento dell’ammissione al concordato
preventivo configurasse più specificamente un’insolvenza vera e propria.
Da ultimo è intervenuto sul punto il legislatore,a recidere i dubbi.
Con la riforma del 2012 è stato stabilito che,nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo
segua la dichiarazione di fallimento,i termini delle revocatorie decorrono sempre dalla data di
pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese.
Il secondo problema riguarda invece la prededucibilità.Gli atti,i pagamenti e le garanzie
legittimamente posti in essere dal debitore dopo la presentazione della domanda di concordato non
sono soggetti a revocatoria,né lo sono quelli compiuti in esecuzione del concordato,nonché i
pagamenti di servizi strumentali all’accesso al concordato (esempio:la relazione del professionista
prevista dall’art.161).Coloro che sono diventati creditori dell’imprenditore durante la procedura di
concordato,per atti inerenti alla gestione dell’impresa in concordato,devono però essere considerati
nel successivo fallimento creditori della massa (e quindi soddisfatti in prededuzione).
Dopo la riforma l’orientamento prevalente ammette la prededucibilità.Tali pretese possono infatti
farsi rientrare nella previsione del nuovo art.11 comma 2,secondo cui i debiti sorti in occasione o in
funzione di una delle procedure concorsuali regolate dalle legge fallimentare devono essere
soddisfatti con preferenza rispetto agli altri.
Per sgombrare il campo dai dubbi,comunque,con le riforme più recenti (2012 e 2012) il legislatore
ha espressamente regolato alcune ipotesi di crediti,sorti in connessione con la procedura di
concordato preventivo,ai quali è riconosciuto il rango di crediti prededucibili in caso di successivo
fallimento. Regione che motiva la nuova disciplina è quella di consentire all’imprenditore qualche
chance in più di ripresa.
Sono prededucibili i crediti derivanti da atti legalmente compiuti dal debitore nella fase di
apertura della procedura,che intercorre dalla presentazione della domanda al decreto di
ammissione.
Il beneficio della prededucibilità è inoltre riconosciuto a favore dei nuovi finanziamenti concessi
al debitore concordatario,seppure a condizioni e con cautele diverse a seconda che i prestiti
siano erogati prima,durante o dopo la procedura:
a) Crediti derivanti da finanziamenti erogati in funzione della presentazione della domanda di
ammissione alla procedura.Si tratta di finanziamenti erogati prima della procedura di concordato
allo scopo di fornire al debitore le risorse economiche necessarie per presentare la domanda.,dati
gli ingenti costi della procedura. Affinché operi la prededucibilità dei finanziamenti è però
necessario che gli stessi siano indicati dal paino concordatario e che la prededuzione sia
espressamente disposta nel decreto di ammissione alla procedura. Si assicura così un controllo
del tribunale sull’effettiva destinazione delle somme prestate.
b) Crediti derivanti da finanziamenti contratti in pendenza della procedura concordataria. Il
debitore può farsi autorizzare dal tribunale a contrarre finanziamenti prededucibili anche durante
la procedura di concordato,per sopperire al fabbisogno finanziario dell’impresa fino
all’omologazione. L’istanza deve essere accompagnata dalla dichiarazione di un professionista
con la quale si attesta che tali finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei
creditori (esempio:permettono di mantenere in esercizio il complesso aziendale).
c) Creidti derivanti da finanziamenti,in qualsiasi forma effettuati,in esecuzione di un concordato
preventivo. I finanziamenti devono essere previsti dal piano di concordato e realizzati dopo
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l’omologazione. Poiché dunque tali crediti sono parte integrante della proposta approvata dai
creditori concordatari,la prededucibilità è concessa di diritto,senza altra formalità.
La prededucibilità dei finanziamenti erogati in funzione o in esecuzione di un concordato è
riconosciuta dalla legge anche quando il finanziamento viene concesso ad una società dai suoi
soci:e ciò in deroga alle opposte disposizioni del codice civile,in base alle quali i prestiti erogati
dai soci quando la società versa in stato di crisi dovrebbero essere postergati in caso di
fallimento. Onde impedire che i soci riversino per intero il rischio del salvataggio sui creditori,i
finanziamenti effettuati dagli stessi sono però prededucibili solo nella misura dell’80 %.Resta
invece prededucibile l’intero importo del credito quando il finanziatore (esempio:banca d’affari)
ha acquisito la qualità di socio in esecuzione del concordato preventivo,quale mezzo per
rafforzare la società con nuovi conferimenti.

B. GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI.

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono un nuovo istituto introdotto nella legge
fallimentare (art.182-bis) dal d.l.n.35/2005,come ulteriore strumento per la soluzione delle crisi
d’impresa alternativo al fallimento.
Essi sono accordi stipulati fra l’imprenditore in stato di crisi ed una maggioranza qualificata di
creditori,i quali,una volta pubblicati nel registro delle imprese e ottenuta l’omologazione del
tribunale,consentono di porre gli atti compiuti in esecuzione degli stessi al riparo dall’azione
revocatoria fallimentare,qualora la crisi non sia superata e sopraggiunga il fallimento.
Consentono inoltre di rendere prededucibili,in caso di successivo fallimento,i crediti derivanti
da nuovi finanziamenti accordati all’impresa in crisi. Infine,i pagamenti e le operazioni compiuti
in esecuzione di una accordo di ristrutturazione dei debiti omologato sono posti la riparo anche
dall’applicazione di sanzioni penali,dato che non configurano reato di bancarotta in caso di
fallimento.
Gli accordi di ristrutturazione si distinguono dal concordato preventivo in quanto non costituiscono
un concordato giudiziale e di massa. Non sono concordati giudiziali perché non sono raggiunti per il
tramite di organi giudiziali,bensì mediante trattative dirette fra il debitore ei creditori;il tribunale
interviene sull’accordo già concluso solo in funzione di controllo mediante l’omologazione. Non
sono concordati di massa perché parte dell’accordo sono esclusivamente i creditori che lo accettano,
e che proprio per questo possono acconsentire a ricevere trattamenti non conformi al principio della
par condicio credito rum:gli altri sono qualificati dalla legge come creditori estranei e dono essere
soddisfatti per intero entro i termini messimi stabiliti dalla legge.
Inoltre,le categorie di imprenditori che possono accedere agli accordi di ristrutturazione sono più
ampie di quelle ammissibili al concordato preventivo,perché oggi anche gli imprenditori agricoli
possono servirsi di questo strumento di composizione della crisi e non più solo gli imprenditori
commerciali.
L’essenza dell’istituto non si esaurisce tuttavia in un mero accordo negoziale:gli accordi di
ristrutturazione danno origine ad una procedura che è pur sempre una procedura concorsuale. A
seguito dell’omologazione infatti l’accordo è in grado di produrre effetti anche per i creditori
estranei. In questo va ravvisata la concorsualità del procedimento:vale a idre,nell’essere mezzo di
composizione della mediante il coinvolgimento di tutti i creditori anteriori.
Gli accordi di ristrutturazione vanno altresì distinti dai piani di risanamento previsti dall’art.67
comma 3 della legge fallimentare,che pure hanno l’effetto di esentare da revocatoria (in caso di
successivo fallimento) gli atti,i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione degli stessi. I
piani di risanamento tuttavia conseguono tale risultato senza bisogno di preventivo accordo dei
creditori,senza essere anticipatamente pubblicati nel registro delle imprese e senza essere sottoposti
al previo controllo omologatorio del tribunale:è sufficiente che il piano sia stato redatto prima di
compiere gli atti che si intende sottrarre alla revocatoria e che un esperto n attesti la fattibilità. Sulla
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carta,pertanto,sembrerebbero più semplici e vantaggiosi degli accordi di ristrutturazione,anche


perché la loro pubblicazione nel registro delle imprese è facoltativa e quindi il debitore,se vuole,può
tenere segreta la situazione di crisi che sta attraversando.
I piani di risanamento presentano però un elemento di grave incertezza,che ne ha finora determinato
lo scarso successo:essi sono esibiti al giudice solo a fallimento aperto,per contrastare l’azione
revocatoria del curatore. Forte è quindi il rischio che il giudice,davanti all’insuccesso del tentativo
di salvataggio,si convinca che il piano era fin dall’inizio inidoneo a superare la crisi;e
conseguentemente non riconosca l’esenzione dalla revocatoria degli atti esecutivi.
Gli accordi di ristrutturazione,invece,proprio perché soggetti a controllo giudiziale
preventivo,conferiscono certezza riguardo ai loro effetti protettivi nei confronti di un’eventuale
successiva azione revocatoria. Solo gli accordi di ristrutturazione e il concordato preventivo, inoltre,
consentono di assicurare il beneficio della prededucibilità ai nuovi finanziamenti.

La disciplina.
Nulla stabilisce l’art.182-bis riguardo al contenuto dell’accordo. L’imprenditore è quindi libero di
pattuire con i creditori aderenti le modalità più opportune di ristrutturazione dei debiti (pagamento
in percentuale,dilazione o rateizzazione dei pagamenti). Né è vincolato all’integrale pagamento dei
creditori privilegiati o a rispettare l’ordine dei privilegi. E’ possibile poi che l’accordo preveda
l’erogazione di nuovi finanziamenti al debitore.
Ai creditori che non aderiscono all’accordo deve invece essere assicurato l’integrale pagamento.
Però dopo la riforma del 2012,il pagamento di costoro deve essere integrale,e non più regolare
come precedentemente disposto. La differenza non è meramente terminologica,dato che oggi la
legge permette di stabilire dilazioni di pagamento anche a carico per i creditori non aderenti,fino ad
un massimo di 120 giorni che decorrono dall’omologazione,per i crediti già scaduti a tale
data,oppure dalla scadenza,per i crediti non scaduti alla data di omologazione.
All’accordo devono aderire i creditori che rappresentano almeno il 60 % dei crediti.
All’accordo si perviene all’esito di negoziazioni diretta fra il debitore ed i creditori senza
partecipazione di alcun organo giudiziario. Durante la fase delle trattative,l’imprenditore può però
chiedere al tribunale di essere posto al riparo dalle azioni cautelari o esecutive individuali dei
creditori. A tal fine deve presentare un’istanza corredata della documentazione volta ad attestare
l’esistenza di trattative in corso e l’inidoneità della proposta. L’istanza di sospensione è pubblicata
nel registro delle imprese e da quel momento preclude provvisoriamente l’inizio o la prosecuzione
delle azioni esecutive e cautelari,nonché l’acquisizione di titoli di prelazione non concordati con il
debitore, fino alla decisione del tribunale. Il tribunale verifica in udienza l’esistenza dei presupposti
per pervenire ad un accordo con la necessaria maggioranza di creditori e assicurare l’integrale
pagamento di quelli non aderenti. Se l’esame ha esito positivo,concede con proprio decreto
all’imprenditore la protezione dai creditori,così consolidando gli effetti prodotti dalla pubblicazione
dell’istanza. Il provvedimento fissa anche un termine non superiore a 60 giorni per il deposito
dell’accordo raggiunto e della relativa documentazione. Nello steso termine il debitore può
presentare in alternativa una proposta di concordato preventivo.
Dopo la stipulazione dell’accorso,il debitore ne deve chiedere l’omologazione al tribunale,
corredano il ricorso con la stessa documentazione richiesta per l’ammissione al concordato
preventivo. In particolare,è necessario che la relazione del professionista attesti la veridicità dei dati
aziendali, l’attuabilità dell’accordo e la sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei
creditori estranei.
L’accordo è inoltre pubblicato nel registro delle imprese. Dal giorno della pubblicazione acquista
efficacia e può essere eseguito,sia pure con effetti ancora precari (risolutivamente condizionati) in
quanto destinati a venir meno in caso di mancata omologa da parte del tribunale. Gli atti,i
pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato non sono soggetti ad
azione revocatoria in caso di successivo fallimento né integrano il reato di bancarotta.
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Dalla pubblicazione dell’accordo di ristrutturazione scatta anche il divieto per creditori anteriori di
intraprendere azioni cautelari o esecutive individuali,nonché di acquistare titoli di prelazione non
concordati con il debitore,per un periodo di 60 giorni. Per lo stesso periodo restano sospese le
prescrizioni e non si verificano le decadenze.
I creditori ed ogni altro interessato possono presentare opposizione contro l’omologazione entro 30
giorni dalla pubblicazione dell’accordo. Il diritto di opposizione si giustifica perché,in caso di
fallimento, i creditori estranei sarebbero pregiudicati dall’irrevocabilità degli atti esecutivi e dalla
prededucibilità accordata ad alcuni crediti.
Trascorso il termine per la presentazione di opposizioni,il tribunale decide sull’omologazione con
decreto motivato,contro il quale è proponibile reclamo davanti alla corte d’appello. Il decreto di
omologazione è pubblicato nel registro delle imprese.
E’ dubbio se,dopo l’omologazione,l’accordo di ristrutturazione dei debiti possa essere annullato o
risolto, dato che nulla dispone la legge in proposito. Preferibile è la soluzione di applicare
analogicamente le corrispondenti norme del concordato preventivo,con la conseguenza che in caso
di annullamento o risoluzione i creditori conservano le garanzie ricevute e non sono tenuti a
restituire quanto hanno già riscosso in base all’accordo caducato.
In caso di fallimento dopo l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione si pone inoltre il
problema di stabilire se le obbligazioni assunte dal debitore in funzione o in occasione dello stesso
diano origine a crediti prededucibili.In linea di principio,se si condivide la qualificazione degli
accordi di ristrutturazione come una procedura concorsuale,si potrebbe giustificare la soluzione
positiva in applicazione dell’art.111 comma 2 della legge fallimentare.
Ad ogni modo,come per il concordato preventivo,il legislatore è intervenuto a risolvere
espressamente i dubbi per quanto riguarda alcuni tipi di crediti concernenti i nuovi finanziamenti
concessi al debitore nell’ambito dell’operazione di ristrutturazione. Sono perciò prededucibili,a
condizione che l’accordo sia omologato,i finanziamenti erogati in funzione della domanda di
omologazione o in esecuzione dell’accordo;inoltre,se tali finanziamenti sono stati concessi da soci
della società debitrice,la prededucibilità è ridotta all’80% del loro ammontare. Valgono al riguardo
regole analoghe a quelle già esaminate in precedenza.

CAPITOLO VENTISEIESIMO:LA LIQUIDAZIONE COATTA


AMMINISTRATIVA

La liquidazione coatta amministrativa è una procedura concorsuale a carattere amministrativo cui


sono assoggettate determinate categorie di imprese (non necessariamente commerciali)
specificamente indicate da leggi speciali. Si tratta per lo più di imprese pubbliche (enti pubblici
economici) o di imprese private sottoposte a controllo pubblico per il rilievo economico e sociale
della loro attività.
La liquidazione coatta amministrativa è in particolare prevista per le imprese bancarie e per le
società facenti parte di un gruppo bancario;le imprese di assicurazione;le società cooperative ed i
loro consorzi;le società di intermediazione mobiliare,le società di gestione del risparmio e le società
di investimento a capitale variabile;le società di gestione accentrata di strumenti finanziari;le società
fiduciarie e di revisione;le imprese sociali.
La liquidazione coatta può essere disposta non solo quando vi è lo stato di insolvenza,ma anche per
gravi irregolarità di gestione o per violazione di norme di legge o regolamentari. In alcuni casi può
essere determinata anche da ragioni di pubblico interesse che giustificano la soppressione dell’ente.
Inoltre,l’autorità competente a disporre la liquidazione coatta non è mai l’autorità giudiziaria,bensì
l’autorità amministrativa individuata dalla singole leggi speciali. Ad esempio,il Ministro
dell’economia e delle finanze per le banche,le società di intermediazione mobiliare e le società di
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gestione del risparmio;il Ministro dello sviluppo economico per le imprese di assicurazione e così
via.
Diverso è,infine e di riflesso,il fine specifico della liquidazione coatta amministrativa rispetto al
fallimento. Obiettivo costante della liquidazione coatta è infatti l’eliminazione dal mercato
dell’impresa (non necessariamente insolvente) colpita dal relativo provvedimento attraverso un
procedimento amministrativo di liquidazione che assicura anche il soddisfacimento dei creditori
(secondo i principi del concorso e nel rispetto della par condicio) come passaggio per arrivare alla
soppressione dell’impresa.
Nette sono quindi le differenze fra fallimento e liquidazione coatta amministrativa per quanto
riguarda ambito di applicazione,presupposti oggettivi,natura e finalità delle due procedure
concorsuali. La liquidazione coatta può tuttavia avere per presupposto oggettivo anche lo stato di
insolvenza e da qui la necessità di regolare il rapporto fra le due procedure.
La regola è che le imprese soggette a liquidazione coatta sono sottoposte al fallimento. In alcuni
casi, la legge invece ammette entrambe le procedure e risolve il possibile conflitto fra le stesse
secondo il criterio della prevenzione:la dichiarazione di fallimento,possibile solo in caso di
insolvenza, preclude la liquidazione di fallimento,possibile solo in caso di insolvenza,preclude
la liquidazione coatta e viceversa.
Peculiare è infine il criterio seguito per disciplinare la liquidazione coatta amministrativa. La
legge fallimentare si limita a dettare uno schema generale di disciplina applicabile in assenza di
diverse disposizioni delle numerose leggi speciali in materia.
Nel contempo si è voluto però assicurare un minimo di unità alle diverse procedure di
liquidazione coatta,essenzialmente al fine di evitare che la discrezionalità della pubblica
amministrazione possa pregiudicare le ragioni dei creditori e dei terzi. In questa prospettiva
sono dichiarate inderogabili e prevalgono su quanto disposto dalle leggi speciali:
a) Le disposizioni generali della legge fallimentare che regolano gli effetti della liquidazione coatta
secondo i principi del concorso;
b) Quelle che prevedono l’intervento dell’autorità giudiziaria a tutela dei diritti soggettivi dei
creditori e dei terzi coinvolti dalla procedura amministrativa di liquidazione.

Il provvedimento di liquidazione. L’accertamento dello stato di insolvenza.


La liquidazione coatta amministrativa è disposta con decreto dell’autorità governativa che ha la
vigilanza sull’impresa. Entro 10 giorni dalla sua data,il decreto deve essere pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale e comunicato per l’iscrizione all’ufficio del registro delle imprese.
La stessa autorità governativa nomina gli organi della procedura,che sono il commissario
liquidatore ed il comitato di sorveglianza.
Il commissario liquidatore (quando l’importanza dell’impresa lo richiede ne possono essere
nominati 3) è l’organo deputato a svolgere l’attività di liquidazione,secondo le direttive
impartite dall’autorità di vigilanza. E’ investito,per quanto attiene all’esercizio delle sue
funzioni,della qualità di pubblico ufficiale e trovano applicazione nei suoi confronti le norme in
tema di responsabilità del curatore.
Il comitato di sorveglianza è composto da 3 o 5 membri (non necessariamente creditori) scelti
fra persone esperte nel ramo di attività esercitato dall’impresa. Ha funzioni consultive e di
controllo.
L’autorità amministrativa di vigilanza sovrintende all’intera procedura e riassume in sé le
funzioni svolte nel fallimento dal tribunale e dal giudice delegato.
Resta però di competenza esclusiva dell’autorità giudiziaria l’accertamento dell’eventuale stato
di insolvenza;accertamento che per le sole imprese private può precedere o seguire il
provvedimento amministrativo di apertura della liquidazione coatta. Gli enti pubblici economici
sono invece sottratti all’accertamento preventivo dello stato di insolvenza e ciò al fine di
concentrare il più possibile nell’autorità amministrativa il potere discrezionale di apertura della
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liquidazione coatta.
L’accertamento preventivo dello stato di insolvenza di un’impresa privata soggetta a
liquidazione coatta (con esclusione del fallimento) di regola può essere richiesto da uno o più
creditori,da parte dello stesso imprenditore o dall’autorità governativa che ha la vigilanza
sull’impresa.
Prima di provvedere il tribunale deve sentire il debitore,con le modalità previste per l’istruttoria
prefallimentare, nonché l’autorità governativa che la vigilanza sull’impresa. La sentenza che
accerta lo stato di insolvenza è comunicata a quest’ultima,entro 3 giorni,perché disponga la
liquidazione, che costituisce in tal caso atto dovuto della pubblica amministrazione.
Prima di provvedere il tribunale deve sentire il debitore,con le modalità previste per l’istruttoria
prefallimenare,nonché l’autorità governativa che la vigilanza sull’impresa. La sentenza che
accerta lo stato di insolvenza è comunicata a quest’ultima,entro 3 giorni,perché disponga la
liquidazione, che costituisce in tal caso atto dovuto della pubblica amministrazione.
L’accertamento dello stato di insolvenza di un’impresa (anche pubblica) che già si trova in
liquidazione coatta può essere invece richiesto al tribunale solo dal commissario liquidatore o
dal
pubblico ministero,non invece dai creditori. Anche in tal caso lo stato di insolvenza è dichiarato con
sentenza ed il tribunale è tenuto a disporre la preventiva comparizione dell’imprenditore in camera
di consiglio affinché possa esercitare il diritto di difesa.
Contro la sentenza che dichiara (preventivamente o successivamente) lo stato di insolvenza e contro
il decreto che respinge il relativo ricorso sono previsti gravami analoghi a quelli ammessi contro la
dichiarazione di fallimento.
Gli effetti del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa sono in parte diversi a seconda
che sia stato o meno accertato lo stato di insolvenza.
In entrambi i casi non trovano applicazione le norme in tema di effetti del fallimento sul patrimonio
del debitore (spossessamento) e se l’impresa è una società restano sospese le funzioni degli organi
sociali. Si applicano inoltre integralmente le norme che regolano gli effetti del fallimento per i
creditori e quelle sui rapporti giuridici in corso di svolgimento.
Solo se è stato accertato lo stato di insolvenza trovano invece applicazione,dalla data del
provvedimento di liquidazione,le norme della legge fallimentare relative agli atti pregiudizievoli ai
creditori e le sanzioni penali disposte per il fallimento. Perciò,solo se è stato accertato lo stato di
insolvenza è possibile promuovere l’azione revocatoria fallimentare per reintegrare il patrimonio
dell’imprenditore.
Si tenga infine presente che la liquidazione coatta amministrativa di una società non si estende in
alcun caso ai soci illimitatamente responsabili della stessa.
Nei confronti dei soci a responsabilità illimitata trova tuttavia applicazione la disciplina della
revocatoria fallimentare,relativamente agli atti dagli stessi compiuti sul patrimonio personale prima
del’apertura della liquidazione coatta della società.

Il procedimento. Chiusura.
La liquidazione coatta amministrativa si sviluppa,come il fallimento attraverso le fasi
dell’accertamento dello stato passivo della liquidazione dell’attivo e del riparto del ricavato fra i
creditori concorrenti. Tutte queste fasi si svolgono però in sede amministrativa,anche se non
mancano possibili interventi dell’autorità giudiziaria.
Significative differenze rispetto al fallimento si hanno in primo luogo per quanto riguarda la
formazione dello stato passivo.
Non è necessaria una domanda di ammissione dei creditori e lo stato passivo è formato di ufficio
dal commissario liquidatore sulla base delle scritture contabili,dei documenti dell’impresa e delle
eventuali osservazioni od istanze dei creditori. Agli stessi il commissario è tenuto a
comunicare,entro un mese dalla nomina,le somme risultanti a credito di ciascuno.
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Manca inoltre una fase di verificazione dello stato passivo. E’ sempre il commissario liquidatore
che,entro 90 giorni dalla data del provvedimento di liquidazione,forma lo stato passivo definitivo,lo
deposita nella cancelleria del tribunale,e lo trasmette tramite posta elettronica certificata a coloro la
cui pretesa non sia stata in tutto o in parte riconosciuta. Col deposito lo stato passivo diventa
esecutivo.
A questo punto si può aprire una fase contenziosa davanti all’autorità giudiziaria,con la
proposizione di opposizioni e di impugnazioni da parte dei creditori. Per questa cosa contenziosa è
richiamata la corrispondente disciplina del fallimento,salvo gli opportuni adattamenti. Identica
disciplina si applica inoltre per le domande di rivendica e restituzione di cose possedute
dall’imprenditore e per le insinuazioni tardive di crediti.
Notevolmente più snella rispetto al fallimento è anche la liquidazione dell’attivo. Vi provvede il
commissario,investito per legge di tutti i poteri necessari e che può procedere in piena libertà,salve
le limitazioni stabilite dall’autorità di vigilanza. Per le vendite di immobili e la vendita in blocco di
mobili sono però necessari in ogni caso l’autorizzazione di quest’ultima ed il parere del comitato di
sorveglianza.
Per la ripartizione dell’attivo valgono criteri analoghi a quelli dettati in tema di fallimento. Le
ripartizioni parziali sono però facoltative e possono essere disposte anche prima che lo stato passivo
è stato reso esecutivo. Prima dell’ultimo riparto,il commissario liquidatore deve sottoporre
all’autorità amministrativa di vigilanza il bilancio finale di liquidazione con il conto della gestione
ed il piano di riparto fra i creditori,accompagnati da una relazione del comitato di sorveglianza.
L’autorità di vigilanza ne autorizza il deposito presso la cancelleria del tribunale e liquida il
compenso al commissario.
Si può aprire a questo punto un’ulteriore fase giudiziaria. Il tribunale può essere infatti investito
delle eventuali contestazioni nel termine di 20 giorni,che decorre per i creditori dalla comunicazione
dell’avviso di deposito e dall’inserzione dello stesso nella Gazzetta Ufficiale per ogni altro
interessato. Le contestazioni sono decise in camera di consiglio con la procedura già vista per i
reclami contro gli atti del giudice delegato.
In mancanza di contestazioni,bilancio finale e piano di riparto si intendono approvati.Il commissario
provvede alla ripartizione finale tra i creditori e,se del caso,alla cancellazione della società nel
registro delle imprese.
La liquidazione coatta amministrativa si può chiudere anche mediante concordato. La procedura di
concordato presenta però notevoli differenze rispetto al concordato fallimentare e si caratterizza in
particolare per il fatto che non è richiesta l’approvazione dei creditori.
La proposta di concordato,presentata dall’imprenditore,da uno o più creditori o da un terzo,previa
autorizzazione dell’autorità di vigilanza,è infatti approvata direttamente dal tribunale,sentito il
parere di quest’ultima.
I creditori possono far valere le loro ragioni solo mediante opposizione presentata al tribunale prima
dell’approvazione. Il tribunale,d’altro canto,può approvare la proposta di concordato anche se si
oppongono tutti i creditori,ritenendosi preminente la valutazione della rispondenza della proposta
all’interesse pubblico. Contro il decreto del tribunale che approva o respinge il concordato si può
proporre reclamo alla corte d’appello.

CAPITOLO VENTISETTESIMO:L’AMMINISTRAZIONE
STRAORDINARIE DELLE GRNADI IMPRESE INSOLVENTI.

Il fallimento,il concordato preventivo e la liquidazione coatta amministrativa sono procedure


concorsuali che di regola conducono alla disgregazione del complesso aziendale con conseguente
perdita dei posti di lavoro per i dipendenti.
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Da qui l’esigenza, avvertita negli anni settanta,di una nuova procedura concorsuale idonea a
conciliare il soddisfacimento dei creditori dell’imprenditore insolvente con il salvataggio del
complesso produttivo in crisi e la conservazione dei posti di lavoro:l’amministrazione straordinaria
delle grandi imprese in stato di insolvenza:procedura concorsuale introdotta nel 1979 (legge
n.95/1979) e radicalmente riformata dal d.lgs. n.270/1999.
Lì originaria disciplina,infatti,non solo non tutelava adeguatamente i creditori,ma aveva finito col
favorire l’artificiosa permanenza in vita,a spese della collettività,di organismi produttivi privi di
qualsiasi prospettiva di ripresa. Il che determinava effetti discorsivi della concorrenza contrastanti
con la disciplina comunitaria. Tale revisione è attuata appunto con il d.lgs.270/1999,che abrogato
quasi integralmente l’originaria disciplina ridisegnando finalità e struttura della procedura.
In base all’attuale disciplina,l’amministrazione straordinaria è la procedura concorsuale della
grande impresa commerciale insolvente con finalità conservative del patrimonio
produttivo,mediante prosecuzione,riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali.
Nel contempo,è significativamente rafforzata,rispetto alla disciplina previgente,la tutela dei
creditori dell’imprenditore insolvente il cui soddisfacimento costituisce,pur sempre,finalità
concorrente della procedura, come emerge dal fatto che il tribunale dispone,anche di ufficio, la
conversione dell’amministrazione straordinaria in fallimento quando risulta che la stessa non
può utilmente proseguire.
L’attuale amministrazione straordinaria si atteggia infatti come una procedura concorsuale nel
contempo giudiziaria ed amministrativa,articolata in due fasi:la dichiarazione dello stato di
insolvenza da parte dell’autorità giudiziaria;la successiva eventuale apertura della procedura di
amministrazione straordinaria vera e propria,subordinata all’accertamento delle concrete
prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali.
Competente a disporre l’apertura e la cessazione di questa seconda fase è ancora l’autorità
giudiziaria e non più,come in passato,l’autorità amministrativa. All’autorità giudiziaria sono
inoltre riservati anche l’accertamento del passivo e la ripartizione dell’attivo.
E’ invece devoluta all’autorità amministrativa (Ministero dello sviluppo economico) la gestione
della procedura che si caratterizza per l’automatica continuazione dell’esercizio dell’impresa
insolvente da parte di un commissario straordinario. Tale commissario provvede anche a
predisporre il programma di risanamento secondo uno degli indirizzi alternativi (programma di
cessione dei complessi aziendali o programma di ristrutturazione) fissati per legge,la cui
attuazione avviene sotto il controllo della stessa autorità governativa e con interventi statali volti
ad agevolare il risanamento.

Presupposti. Dichiarazione di insolvenza.


La nuova procedura di amministrazione straordinaria è riservata alle imprese commerciali,anche
individuali,soggette a fallimento,che rispondono ai requisiti ed alle condizioni fissati dagli artt.2
e 27 del d.lgs.270/1999.Vale a dire:
a) Hanno un numero di dipendenti non inferiore a 200 da almeno un anno;
b) Hanno debiti per un ammontare complessivo non inferiore ai due terzi tanto del totale dell’attivo
dello stato patrimoniale che dei ricavi provenienti dalle vendite e delle prestazioni dell’ultimo
esercizio;
c) Sono in stato di insolvenza;
d) Presentano concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico.
Quest’ultima è condizione il cui accertamento avviene dopo la dichiarazione dello stato di
insolvenza,dato che la procedura è articolare in due fasi.
Nella pria fase il tribunale si limita ad accertare lo stato di insolvenza ,in presenza dei primi due
requisiti sopra indicati,deve astenersi dal dichiarare il fallimento e deve invece mettere una
sentenza dichiarativa dello stesso di insolvenza. Si dà così avvio ad un procedimento diretto ad
accertare se esistono concrete prospettive di risanamento e che può avere un duplice
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sbocco:l’apertura dell’amministrazione straordinaria o la dichiarazione di fallimento.


Competente a dichiarare lo stato di insolvenza è il tribunale del luogo dove l’impresa ha la sede
principale,che vi provvede di ufficio o su iniziativi degli stessi soggetti legittimati a chiedere la
dichiarazione di fallimento. La sentenza è comunicata e resa pubblica con le stesse modalità
previste per la dichiarazione di fallimento. E’ inoltre comunicata entro 3 giorni al Ministro dello
sviluppo economico.
Con la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza il tribunale nomina il giudice
delegato,nonché uno o tre commissari giudiziali in conformità delle indicazioni del Ministero
dello sviluppo economico se pervenute o,in mancanza,autonomamente. Inoltre,dà avvio al
procedimento per la formazione dello stato passivo,che con l’attuale disciplina avviene in sede
giudiziale secondo le regole proprie del fallimento.
Gli effetti della sentenza che accerta lo stato di insolvenza sono però diversi da quelli della
dichiarazione di fallimento. Coincidono infatti,salvo alcuni adattamenti,con quelli propri
dell’ammissione al concordato preventivo.
L’imprenditore insolvente conserva perciò l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio
dell’impresa,che continua sia pure sotto la vigilanza del commissario giudiziale e con le
limitazioni esposte in sede di concordato preventivo. Il tribunale può tuttavia affidare la gestione
dell’impresa al commissario giudiziale con la stessa sentenza dichiarativa dello stato
d’insolvenza o con successivo decreto. Solo in tal caso l’imprenditore perde l’amministrazione e
la disponibilità di tutto il suo patrimonio,così come accade nel fallimento.
Nel contempo,come nel concordato preventivo,i creditori non possono iniziare o proseguire
azioni esecutive individuali,né possono acquisire diritti di prelazione salvo autorizzazione del
giudice delegato. Ogni credito deve essere però accertato secondo le norme che regolano la
formazione dello stato passivo nel fallimento. Con l’autorizzazione del giudice delegato,inoltre
l’imprenditore può pagare i debiti anteriori ala dichiarazione dello stato di insolvenza.
E’ infine espressamente stabilito che i crediti sorti per la continuazione dell’esercizio
dell’impresa e la gestione del patrimonio del debitore sono considerati crediti della massa e
vanno soddisfatti in prededuzione.
Se è dichiarata insolvente una società con soci a responsabilità illimitata,gli effetti della
dichiarazione dello stato di insolvenza si estendono ai soci illimitatamente responsabili,compresi
i soci receduti,esclusi o defunti. Si specifica tuttavia che l’estensione a questi ultimi è possibile
solo se la dichiarazione di insolvenza è pronunciata entro l’anno successivo alla data in cui lo
scioglimento del rapporto sociale è divenuto opponibile ai terzi e sempre che l’insolvenza della
società attenga,in tutto o in parte,a debiti contratti prima di tale data.
Gli effetti della dichiarazione di insolvenza si estendono altresì ai soci la cui esistenza è
accertata dopo la dichiarazione dello stato di insolvenza della società (soci occulti) o anche di
un’impresa individuale. L’estensione può essere richiesta anche dagli altri soci o dal
commissario giudiziale.

Apertura dell’amministrazione straordinaria.


Con l’attuale disciplina l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria è
subordinata all’accertamento che ricorrano concrete prospettive di recupero dell’equilibrio
economico delle attività imprenditoriali. Tale risultato deve potersi realizzare tramite uno dei
seguenti indirizzi alternativi:
a) Cessione dei complessi aziendali,sulla base di un programma di prosecuzione dell’esercizio
dell’impresa di durata non superiore ad un anno (programma di cessione di complessi
aziendali);
b) Ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa,sulla base di un programma di
risanamento di durata non superiore a due anni (programma di ristrutturazione).
Il commissario giudiziale deve redigere una relazione contenente una motivata valutazione circa
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l’esistenza di tali condizioni e depositarla in cancelleria entro 30 giorni della dichiarazione dello
stato di insolvenza. La relazione viene anche trasmessa ai creditori per iva telematica ed al
Ministero dello sviluppo economico,che esprime il proprio parere non vincolante.
Entro 30 giorni dal deposito della relazione,il tribunale assume le sue determinazioni,tenuto
conto del parere del Ministero e delle eventuali osservazioni dell’imprenditore,dei creditori e di
ogni
interessato. Se ritiene che sussistono concrete prospettive di risanamento,con decreto motivato
dichiara aperta la procedura di amministrazione straordinaria. Altrimenti,sempre con decreto
motivato,dichiara il fallimento.
Con il decreto che dichiara il fallimento,il tribunale nomina il giudice delegato ed il curatore,e così
cessano le funzioni degli organi nominati con le sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza.
Se invece dichiara aperta la procedura di amministrazione straordinaria,il tribunale adotta i
provvedimenti opportuni per la prosecuzione dell’attività dell’impresa,la cui gestione deve essere
necessariamente affidata al commissario giudiziale sino alla nomina del commissario straordinario.
L’amministrazione straordinaria si svolge infatti ad opera di uno o tre commissari straordinari
nominati dal Ministro dello sviluppo economico e che sono sottoposti alla vigilanza dello stesso. Il
commissario straordinario ha la gestione dell’impresa e l’amministrazione dei beni
dell’imprenditore insolvente,nonché degli eventuali soci a responsabilità illimitata ammessi alla
procedura,il cui patrimonio deve comunque essere tenuto distinto da quello della società.
Il Ministro dello sviluppo economico nomina anche un comitato di sorveglianza composto da tre o
cinque membri,di cui rispettivamente uno o due creditori chirografari e nomina altresì il presidente
del comitato. Il comitato di sorveglianza esprime pareri sugli atti del commissario nei casi previsti
per legge e ogni qualvolta il Ministro lo ritenga opportuno.
Per quanto non espressamente previsto si applicano all’amministrazione straordinaria le
disposizioni sulla liquidazione coatta amministrativa in quanto compatibili. Si producono perciò per
l’imprenditore,i creditori ed i terzi gli stessi effetti della dichiarazione di fallimento che conseguono
alla liquidazione coatta amministrativa,sia pure con alcune significative differenze determinate dalla
finalità conservativa (e non liquidatoria) dell’amministrazione straordinaria e dalla conseguente
esigenza di salvaguardare l’unità operativa del complesso aziendale.
Infatti,il divieto di azioni esecutive individuali a carico dei creditori ha carattere assoluto e non
soffre le eccezioni consentite in caso di fallimento da leggi speciali,quale quella a favore delle
operazioni di credito fondiario.
Inoltre,salvo il caso della conversione della procedura in fallimento,le azioni revocatorie possono
essere promosse dal commissario straordinario solo se è stata autorizzata l’esecuzione di un
programma di cessione dei complessi aziendali. Non invece quando è stato autorizzato un
programma di ristrutturazione,dato che obiettivo dello stesso è il ritorno in bonis dell’imprenditore
sicché il risultato delle revocatorie andrebbe a vantaggio dell’imprenditore e non dei creditori.
E’ poi dettata una specifica disciplina dei contratti in corso di svolgimento,volta ad agevolare la
prosecuzione ed il risanamento dell’attività d’impresa.
Infatti,tutti i contratti continuano ad avere esecuzione fino a quando il commissario straordinario
non decide se subentrare nel contratto o scioglierlo. A tale regola fanno tuttavia eccezione:i contratti
di lavoro subordinato per i quali restano ferme le disposizioni vigenti in tema di licenziamento;il
contratto di locazione di immobili,nel quale il commissario subentra ex lege,salvo patto contrario,se
sottoposto ad amministrazione straordinaria è il locatore.
I crediti dei terzi derivanti dalla prosecuzione dei contratti in corso come in genere tutti i crediti
sorti per la continuazione dell’esercizio dell’impresa e la gestione del patrimonio del debitore sono
soddisfatti in prededuzione,anche se la procedura si converte in fallimento.
Infine,resta ferma la competenza dell’autorità giudiziaria per la formazione dello stato passivo,che
prosegue con l’osservanza della disciplina fallimentare,sostituito al curatore il commissario
straordinario.
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Lo svolgimento della procedura.


Anche lo svolgimento dell’amministrazione straordinaria presenta rispetto alla liquidazione coatta
amministrativa notevoli differenze.
La continuazione dell’esercizio dell’impresa infatti è automatica (e non più rimessa alla
valutazione discrezionale dell’autorità amministrativa) in quanto essenziale per la conservazione del
complesso aziendale.
Inoltre,in tempi brevi (60 giorni dall’apertura della procedura) il commissario straordinario deve
predisporre e presentare al Ministero dello sviluppo economico un programma per il recupero
dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali,optando per uno degli indirizzi alternativi
previsti per legge:programma di cessione dei complessi aziendali da realizzare entro un
anno;programma di ristrutturazione da attuare entro due anni.
Il programma,redatto in conformità egli indirizzi di politica industriale adottati dal Ministero dello
sviluppo economico,deve tendere a salvaguardare l’unità operativa dei complessi aziendali,tenuto
conto degli interessi dei creditori. Deve inoltre conformarsi alle disposizioni ed agli orientamenti
comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà.
Il programma deve contenere una serie di indicazioni,in parte comuni e in parte differenziate a
seconda dell’indirizzo prescelto.
Col programma di cessione dei complessi aziendali si avvia infatti anche una fase di liquidazione
destinata a soddisfare i creditori con il ricavato delle cessioni,mentre l’attività di impresa sarà
eventualmente continuata dai cessionari. Il programma deve perciò indicare le modalità della
cessione,segnalando le offerte pervenute od acquisite,nonché le previsioni in ordine alla
soddisfazione dei creditori.
Col programma di ristrutturazione si tende invece a risanare l’impresa,in modo che l’imprenditore
possa essere messo in grado di soddisfazione de creditori,anche sulla base di piani di proroga delle
scadenze o di riduzione degli importi da concordare con gli stessi,nonché le eventuali previsioni di
ricapitalizzazione dell’impresa e di mutamento degli assetti proprietari.
L’esecuzione del programma è autorizzato dal Ministero dello sviluppo economico,sentito il
comitato di sorveglianza,entro 30 giorni dalla presentazione. Nel corso della procedura il
programma può essere modificato o sostituito adottando l’indirizzo alternativo a quello inizialmente
autorizzato.
Nel contempo,sono previste particolari misure per consentire la realizzazione del programma e per
preservare,per quanto possibile,l’unità dei complessi aziendali ed i livelli occupazionali.
Così,fermo restando che i debiti contratti dal commissario durate l’esercizio dell’impresa sono
debiti di massa da soddisfare in prededuzione,per evitare che vengano chiusi i canali del
finanziamento bancario è prevista la concessione della garanzia dello Stato a favore delle banche
che erogano finanziamenti per la gestione corrente e per la riattivazione ed il completamento di
impianti,immobili ed attrezzature industriali. E’ evidente però che anche il peso di questi debiti si
scarica sui creditori anteriori:lo Stato interviene come semplice garante e diviene perciò a sua volta
creditore di massa per il recupero delle somme pagate a chi ha concesso tali finanziamenti.
Il trasferimento in blocco dei beni aziendali è inoltre agevolato sotto più profili.
La vendita di aziende e di rami di aziende,soggetta ad autorizzazione del Ministero dllo sviluppo
economico sentito il parere del comitato di sorveglianza,può avvenire anche a trattativa
privata,previo espletamento di idonee forme di pubblicità,se il valore supera l’equivalente di 100
milioni di lire,cioè 51.645,69 euro.
Inoltre,può essere concesso un consistente sconto sul valore del complesso aziendale a chi acquista
aziende non ancora risanate e che perciò continuano a produrre perdite. Infatti,nella determinazione
del valore si tiene conto della redditività,anche negativa,non solo all’epoca della stima,ma anche nel
biennio successivo alla vendita. L’acquirente si deve però impegnare a continuare l’esercizio
dell’impresa per almeno 2 anni ed a mantenere per lo stesso periodo i livelli di occupazione
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stabiliti all’atto della vendita;e si specifica che l’acquirente deve essere scelto tenendo conto
anche delle garanzie di mantenimento dei livelli occupazionali.
Infine,in deroga alla disciplina dettata dall’art.2560 cod.civ.,l’acquirente non risponde dei debiti
aziendali anteriori al trasferimento.
Contro gli atti e i provvedimenti relativi alla liquidazione dei beni,lesivi di diritti soggettivi,è
ammesso ricorso al tribunale.
L’attuale disciplina dell’amministrazione straordinaria regola anche la ripartizione dell’attivo
prevedendo due forme di distribuzione:gli acconti e i riparti.
Gli acconti possono essere disposti dal commissario straordinario in qualsiasi momento della
procedura,hanno carattere provvisorio e sono ripetibili. I riparti invece possono essere effettuati
solo dopo che lo stato passivo è stato reso esecutivo,con l’osservanza della disciplina al riguardo
dettata dalla legge fallimentare;sono definitivi e non revocabili.
Inoltre,gli acconti possono essere distribuiti indipendentemente dal tipo di programma adottato e
nella distribuzione è data preferenza ai crediti dei lavoratori subordinati e degli imprenditori per
le vendite somministrazioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate nei sei mesi
precedenti la dichiarazione dello stato di insolvenza.
I riparti invece sono possibili solo quando il programma adottato prevede la cessione dei
complessi aziendali, dato che col programma di ristrutturazione i creditori vengono soddisfatti
secondo i tempi e con le modalità previste del programma stesso.
Nel contempo,avvenuta l’integrale cessione dei complessi aziendali nei termini stabiliti dal
programma, qualora residuino attività da liquidare o somme da recuperare il tribunale,su
richiesta del commissario straordinario o di ufficio,dichiara con decreto la cessazione
dell’esercizio dell’impresa. A partire da tale momento l’amministrazione straordinaria perde la
propria funzione conservativa ed è considerata,ad ogni effetto,mera procedura concorsuale
liquidatoria. Non potrà quindi essere continuata alcuna attività di impresa,né potranno sorgere a
tale titolo crediti prededucibili, mentre la liquidazione dei beni residui prosegue secondo la
disciplina propria dell’amministrazione straordinaria.

Cessazione della procedura.


L’amministrazione straordinaria termina per conversione in fallimento o con la chiusura della
procedura.
La conversione in fallimento può essere disposta nel corso della procedura quando risulta che la
stessa non può essere utilmente proseguita. E’ inoltre disposta alla scadenza del programma di
cessione o di ristrutturazione quando,rispettivamente,la cessione non sia ancora avvenuta in
tutto o in parte,oppure l’imprenditore non abbia recuperato la capacità di soddisfare
regolarmente le proprie obbligazioni.
La conversione è disposta dal tribunale con decreto motivato,su richiesta del commissario
straordinario o di ufficio e sentiti il Ministro dello sviluppo economico,il comitato di
sorveglianza e l’imprenditore.
La chiusura dell’amministrazione straordinaria può a usa volta avvenire nei casi previsti
dall’art.74.Sono cause generali di chiusura,oltre al concordato:
a) La mancata presentazione di domande di ammissione al passivo,nei termini stabiliti dalla
sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza;
b) Il recupero da parte dell’imprenditore della capacità di soddisfare regolarmente le proprie
obbligazioni,con conseguente eliminazione dello stato di insolvenza.
Se è stato autorizzato un programma di cessione dei complessi aziendali,la procedura si chiude
altresì:
a) Quanto tutti i crediti ammessi sono soddisfatti o in altro modo estinti e sono pagati i compensi
agli organi della procedura e le relative spese;
b) Quando è comunque compiuta la ripartizione finale dell’attivo.
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La chiusura è disposta con decreto motivato del tribunale. Il decreto è reclamabile alla corte di
appello.
Se l’amministrazione straordinaria con programma di cessione dei complessi aziendali si chiude
per ripartizione integrale dell’attivo e quindi sono rimasti creditori insoddisfatti,il tribunale può
ordinare la riapertura della procedura,su istanza dell’imprenditore o di qualsiasi
creditore,quando ricorrono condizioni analoghe a quelle previste per la riapertura del fallimento.
La sentenza di riapertura non comporta però la ripresa della procedura di amministrazione
straordinaria,bensì la sua conversione in fallimento.
La cessazione dell’amministrazione straordinaria può infine aversi per concordato,proposto
dall’imprenditore o da un terzo dopo che lo stato passivo è stato reso esecutivo. La proposta di
concordato deve essere autorizzata dal Ministero dello sviluppo economico ed è assoggettata
alla stessa disciplina prevista per il concordato nella liquidazione coatta amministrativa.
Nell’amministrazione straordinaria di una società con soci a responsabilità illimitata,ciascun
socio ammesso alla procedura può concludere un concordato particolare con i creditori sociali
ed i creditori personali che concorrono sul suo patrimonio.

L’amministrazione straordinaria speciale del d.l.347/2003(decreto Marzano).


L’amministrazione straordinaria è procedura particolarmente complessa,soprattutto nella fase di
apertura quando si deve accertare prima l’insolvenza e poi l’esistenza di concrete prospettive di
recupero dell’impresa. I tempi tecnici per la realizzazione di queste valutazioni comportano di
fatto la necessità di attendere mesi prima che si possa insediare il commissario straordinario ed
avviare concretamente il piano di recupero. Tali mesi di incertezza gravano sulle residue ciance
di risanamento dell’impresa,ormai in crisi conclamata.
Nel frattempo,può anche accadere che venga aperta una procedura di insolvenza in altro Stato
europeo,con la conseguenza che l’amministrazione straordinaria aperta per seconda non
potrebbe essere qualificata come la procedura principale d’insolvenza per quell’impresa,bensì
come una procedura secondaria. Ciò significa che non potrebbe coinvolgere l’intero patrimonio
del debitore,ma solo i beni presenti in Italia.
Questi inconvenienti erano ben noti al legislatore nel 2003,quando si è trovato ad affrontare
l’insolvenza del gruppo Parmalat,a quel tempo uno dei più grandi gruppi alimentari italiani con
attività sparse in tutto il mondo e debiti per decine di miliardi di euro. Per affrontare i problemi
posti da quella insolvenza,si decise di introdurre invia d’urgenza una amministrazione
straordinaria speciale,specificamente dedicata alle imprese di grandissime dimensioni:il d.l.
n.347/2003.
Per quanto non diversamente disposto comunque si continua ad applicare in quanto compatibile
la disciplina generale dell’amministrazione straordinaria dettata dal d.lgs.270/1999.
La nuova procedura è riservata alle imprese soggette al fallimento che versano in stato
d’insolvenza. E’ però ulteriormente necessario che l’impresa,singolarmente o come gruppo di
imprese costituito da almeno un anno:
a) Abbia impiegato da almeno un anno non meno di 500 dipendenti;
b) Abbia debiti,inclusi quelli derivanti da garanzie rilasciate, per non meno di 300 milioni di euro.
Diversamente da quanto previsto in origine,la procedura di amministrazione straordinaria
speciale è oggi utilizzabile non solo se l’impresa intende perseguire il recupero
dell’equilibrio economico
attraverso un programma di ristrutturazione ma anche se si vuol realizzare un programma di
cessione.
In presenza di tali requisiti,l’ammissione all’amministrazione straordinaria viene disposta
direttamente dal Ministro dello sviluppo economico sulla base della semplice richiesta
dell’impresa in crisi. Con il decreto di apertura,il debitore viene spossessato e la gestione
dell’impresa viene assunta dal commissario straordinario. Scatta inoltre il divieto per i creditori
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di intraprendere azioni esecutive individuali.


Contestualmente alla domanda d’ammissione l’impresa deve però presentare ricorso al tribunale
del luogo in cui ha sede principale ,perché ne accerti la condizione di insolvenza.
L’accertamento giudiziale dello stato d’insolvenza avviene pertanto ad amministrazione
straordinaria già aperta,con il commissario straordinario insediato e la procedura indirizzata
verso l’attuazione di un programma di ristrutturazione o di cessione. Resta fermo,tuttavia,che
qualora il tribunale accerti l’insussistenza dello stato di insolvenza o di uno dei limiti
dimensionali per l’ammissione alla procedura,cessano gli effetti del decreto ministeriale di
ammissione,sia pure senza travolgere la validità degli atti legalmente compiuti fino a quel
momento dagli organi della procedura.
Non è previsto invece alcun accertamento giudiziale circa l’effettiva capacità di recupero
dell’impresa insolvente. Ogni decisione in merito è rimessa all’autorità governativa,che può
approvare o respingere il progetto di risanamento presentato dal commissario straordinario.
Con la sentenza che dichiara lo stato di insolvenza si producono gli effetti propri
dell’amministrazione straordinaria,che retroagiscono a partire dal momento del decreto
ministeriale di ammissione alla procedura. Con una vistosa eccezione,tuttavia:il commissario
straordinario può infatti proporre le azioni revocatorie anche nel caso di autorizzazione
all’esecuzione del programma di ristrutturazione,purché tali azioni si traducano in un vantaggio
per i creditori.
Entro 180 giorni dalla nomina (prorogabili per altri 90),il commissario straordinario deve
presentare al Ministro dello sviluppo economico il programma di ristrutturazione o di cessione.
In deroga a quanto previsto dal d.lgs.270/99,il programma di cessione può avere durata di due
anni;esso è presentabile anche in seguito alla mancata approvazione di un programma di
ristrutturazione.
Fra l’altro,il programma (di cessione o di ristrutturazione) può essere unico per tutte le società
del gruppo sottoposte ad amministrazione straordinaria e prevedere la soddisfazione dei
creditori attraverso un concordato.
Qualora nessun programma sia autorizzato,il tribunale,sentito il commissario
straordinario,dispone la conversione della procedura di amministrazione straordinaria in
fallimento.
Anche prima dell’approvazione del programma,il commissario straordinario può però:
a) Pagare i debiti anteriori all’apertura della procedura,con l’autorizzazione del giudice
delegato,quando ciò sia necessario per evitare un grave pregiudizio alla continuazione
dell’attività d’impresa o alla consistenza patrimoniale dell’impresa stessa;
b) Compiere le operazioni necessarie per la salvaguardia della continuità aziendale delle imprese
del gruppo,con l’autorizzazione del Ministero dello sviluppo economico per atti di importo
superiore a 250 mila euro;
c) Può inoltre ottenere che queste ultime siano ammesse ad amministrazione straordinaria con la
procedura accelerata del d.l.347/2003,qualora le stesse versino in stato di insolvenza e
sussistano prospettive di recupero o risulti comunque opportuna la gestione unitaria
ll’insolvenza nell’ambito del gruppo;ciò anche se le società del gruppo non sono in possesso dei
prescritti requisiti dimensionali. In questo caso spetta al commissario straordinario l’opzione di
attuare le procedure relative alle imprese del gruppo unitariamente a quella relativa alla
capogruppo,o in via autonoma,attraverso un programma di ristrutturazione o mediante un
programma di cessione.
Solo il commissario straordinario è legittimato a proporre il concordato,che è parte integrante del
programma di ristrutturazione. Il concordato si propone con istanza al giudice delegato,cui va
allegata copia del programma autorizzato dall’autorità governativa.
Il concordato può perseguire la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso
qualsiasi forma. Può fra l’altro prevedere la formazione di classi di creditori,raggruppate secondo
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posizione giuridica ed interessi economici omogenei,secondo un modello successivamente esteso


anche al concordato fallimentare e a quello preventivo,ma che è stato introdotto per la prima volta
nel nostro ordinamento proprio dal d.l.347/2003.
Si può altresì proporre l’accollo dei debiti da parte di un assuntore,nonché l’assegnazione ai
creditori, in luogo dell’adempimento,di partecipazioni sociali o altri strumenti finanziari.
All’assuntore può essere trasferito l’intero attivo ed anche le azioni revocatorie promosse dal
commissario straordinario fino alla data della sentenza di approvazione del concordato.
La proposta di concordato viene pubblicata nella Gazzetta Ufficiale e con le altre modalità
(quotidiani,siti internet,ecc.) ritenute idonee dal giudice delegato.
La presentazione della proposta di concordato impone un’accelerazione alla fase di accertamento
del passivo,essendo necessario stabilire senza indugio i creditori legittimati a votare. Si interrompe
pertanto la normale procedura di accertamento dei singoli crediti secondo la disciplina del
fallimento:gli elenchi dei creditori ammessi,ammessi con riserva e non ammessi vengono
predisposti dal giudice delegato con la collaborazione del commissario straordinario,sono depositati
quindi nella cancelleria del tribunale e dichiarati esecutivi con decreto del giudice delegato stesso.
Contro lo stato passivo reso esecutivo possono essere proposte opposizioni e impugnazioni,
secondo le regole del fallimento,nel termine abbreviato di 15 giorni (30 per i creditori residenti
all’estero) dalla comunicazione del deposito degli elenchi.
Si passa quindi alla fase di approvazione. Il concordato deve ottenere l’approvazione dei creditori
che rappresentano almeno la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Ove siano previste diverse
classi di creditori è inoltre necessaria l’approvazione di ciascuna classe,con il consenso tanti
creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti che vi sono inclusi.
Per agevolare l’approvazione,opera però un meccanismo di silenzio-assenso come nel concordato
fallimentare:tutti i creditori che non fanno pervenire per iscritto il loro dissenso nel termine fissato
dal giudice delegato si ritengono infatti consenzienti.
Ottenuta l’approvazione dei creditori,il concordato viene infine approvato anche dal tribunale con
sentenza. Inoltre,il tribunale può approvare il concordato nonostante l’opposizione di una o più
classi di creditori (purché la maggioranza delle classi sia stata favorevole e sia stata raggiunta la
maggioranza dei crediti) qualora ritenga che i creditori appartenenti alle classi dissenzienti possano
risultare soddisfatti dal concordato in misura non inferiore rispetto alle altre alternative
concretamente praticabili. Il passaggio in giudicato della sentenza di approvazione determina la
chiusura della procedura di amministrazione straordinaria.
Se invece la proposta concordataria è respinta,il commissario straordinario può presentare nei
successivi 60 giorni al Ministro dello sviluppo economico un programma di cessione dei complessi
aziendali.
Altrimenti l procedura si converte in fallimento.

CAPITOLO VENTOTTESIMO:LE PROCEDURE CONCORSUALI


DELLE CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO
Fino a pochissimo tempo fa,le procedure concorsuali regolavano solo l’insolvenza
dell’imprenditore commerciale non piccolo. La composizione della crisi degli altri debitori restava
invece affidata esclusivamente agli strumenti di diritto comune,e in particolare all’esecuzione
forzata individuale.
Questa scelta del nostro ordinamento era riconducibile a vari motivi. Per il piccolo imprenditore,
l’esigenza di non sovraccaricare gli uffici giudiziari di procedure fallimentari scarsamente rilevanti
sul piano economico. Per l’imprenditore agricolo,il favor legislativo giustificato dal più accentuato
rischio di impresa insito nello sfruttamento di fattori produttivi biologici:non solo il rischio
economico,ma anche il rischio di calamità naturali che possono compromette o distruggere la
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produzione. I professionisti non falliscono perché l’esercizio di una professione intellettuale non è
qualificato dalla legge come attività d’impresa e più in generale tutti i soggetti non imprenditori
sono estranei all’ambito del fallimento.
L’esenzione dal fallimento è certamente un vantaggio e un privilegio per il debitore,perché significa
non essere esposto ai gravi effetti personali e penali della procedura,al discredito commerciale e in
passato persino al disonore associato alla condizione di fallito. Per altro verso,però,vuol dire anche
che il debitore resta perennemente esposto alle azioni esecutive individuali dei creditori senza
possibilità di liberarsi dai debiti con una procedura di concordato,oppure con un provvedimento di
esdebitazione. Di fronte alla grave crisi economica di questi anni,che ha deteriorato la condizione
finanziaria di vasti strati della popolazione,anche l’Italia ha deciso di dotarsi di simili strumenti per
regolare la crisi dei debitori che si trovano in stato sovraindebitamento e non possono usufruire di
altra procedura concorsuale.
Una procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento è stata introdotta per la prima
volta nel nostro ordinamento con il d.l. n.212/2011 (non convertito),la cui disciplina è poi confluita
nelle legge n.3/2012,di poco successiva. Il testo della legge è stato in seguito profondamente
modificato dal d.l. n.179/2012 (convertito con legge 221/2012) che,accanto alla originaria
procedura degli accordi di composizione della crisi,ne ha aggiunte altre due:la procedura di
liquidazione del patrimonio ed il piano del consumatore.
Il sistema delle procedure concorsuali destinate ai soggetti non fallibili si articola perciò in tre
istituti:una procedura di liquidazione giudiziaria di tutti i beni del debitore (procedurali di
liquidazione del patrimonio);una procedura in cui la crisi viene superata mediante un piano
predisposto dal debitore ed accettato dalla maggioranza dei creditori (accordo di composizione della
crisi da sovraindebitamento);una procedura,infine,riservata solo ai consumatori incolpevoli del
proprio stato di sovraindebitamento,in cui il piano predisposto dal debitore viene omologato e reso
effettivo dal giudice senza bisogno di accettazione da parte dei creditori (piano del consumatore).
Presupposto (oggettivo)comune a tutte queste procedure è che il debitore versi in stato di
sovrraindebitamento:vale a dire si trovi in situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni
assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte,che determina la rilevante difficoltà
di adempiere le proprie obbligazioni,oppure la definitiva incapacità di adempierle regolarmente.
Nella nuova formulazione del 2012,il sovraindebitamento è dunque una condizione di illiquidità
patrimoniale del debitore che può consistere tanto in uno stato di insolvenza (definitiva incapacità di
adempiere regolarmente),tanto in una mera crisi finanziaria (rilevante difficoltà di
adempiere).Mentre non dipende necessariamente dal rapporto fra passività e attivo patrimoniale:un
debitore che ha molti debiti, in proporzione alle sue sostanze,non è sovraindebitamento finché
riesce a procurarsi le risorse necessarie per adempiere regolarmente le obbligazioni in scadenza.
Viceversa,il soggetto che possiede molti beni,ma non riesce a far fronte alle obbligazioni in
scadenza perché non ha redditi sufficienti ed il patrimonio non è facilmente liquidabile,versa in
stato di sovraindebitamento.
Come l’insolvenza poi il sovra indebitamento non va confuso con l’inadempimento;né si richiede
che la difficoltà di adempiere regolarmente risulti dal mancato pagamento di debiti scaduti.
Altra caratteristica comune alle procedure in esame è che essa sono concepite come un beneficio
concesso al debitore,per consentirgli di regolare contestualmente i rapporti con tutti i creditori ed
ottenere,a determinate condizioni,l’esdebitazione dalla passività. Solo il debitore pertanto può dare
avvio ad un procedimento da sovraindebitamento: i creditori non sono legittimati a chiederne
l’apertura e nemmeno è attribuito al tribunale il potere di iniziativa d’ufficio o su richiesta del
pubblico ministero. Solo per la conversione di una procedura di composizione della crisi in una
procedura di liquidazione è riconosciuta anche ai creditori la legittimazione a presentare domanda.
Inoltre,una volta che il debitore ha fatto ricorso ad uno di questi strumenti,per 5 anni non può più
usufruire di altra procedura disciplinata dalla legge 3/2012.

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A.LA PROCEDURA DI LIQUIDAZIONE DEL PATRIMONIO

Apertura della procedura.


Con la procedura di liquidazione del patrimonio il debitore in stato di sovra indebitamento chiede la
liquidazione giudiziale di tutti i suoi beni affinché il ricavato sia distribuito ai creditori secondo il
principio della par condicio credito rum;se si tratta di una persona fisica,può inoltre ottenere
l’esdebitazione dai debiti rimasti insoddisfatti al termine della procedura. Si tratta perciò di un
procedimento che presenta affinità col fallimento sia per scopo che per struttura. A differenza del
fallimento,però,può essere utilizzato anche in presenza di una mera crisi finanziaria non ancora
qualificabile come insolvenza. Gli effetti per il debitore sono inoltre meno gravosi che nel
fallimento,né sono previste speciali azioni revocatorie contro gli atti dallo stesso compiuti prima
della domanda di liquidazione.
Possono presentare domanda di liquidazione del patrimonio i debitori non soggetti ad altre
procedure concorsuali fuorché quelle disciplinate dalla legge 3/2012. Pertanto,rientrano nell’ambito
di applicazione della procedura i consumatori,i professionisti e gli imprenditori commerciali
(individuali e collettivi) che non superano le sogli di fallibilità stabilite dall’art.1 comma 2 della
legge fallimentare,le società start-up innovative.
Più incerto è invece se la procedura di liquidazione del patrimonio si applichi anche
all’imprenditore agricolo dato che può presentare un accordo di ristrutturazione dei debiti secondo
la disciplina della legge fallimentare. La soluzione affermativa si impone tuttavia per il fatto che
l’imprenditore agricolo è espressamente incluso fra i soggetti che possono presentare richiesta di
accordo di composizione della crisi da sovra indebitamento secondo la legge 3/2012;e la disciplina
di quest’ultimo istituto presuppone in più punti,per il suo corretto funzionamento,che il debitore sia
assoggettabile in via alternativa alla procedura di liquidazione del patrimonio.
Non può presentare domanda di ammissione il debitore che ha fatto ricorso nei precedenti 5 anni ad
altra procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento o di liquidazione del patrimonio
disciplinata dalla legge 3/2012.
La domanda si propone con ricorso al tribunale del luogo dove il debitore ha la residenza o la sede
principale. Ad essa vanno allegati una serie di documenti:l’inventario di tutti i beni del debitore,
l’elenco dei creditori,l’elenco degli atti di disposizione compiuti negli ultimi 5 anni,le dichiarazioni
dei redditi degli ultimi 3 anni,la certificazione del nucleo familiare del debitore con l’elenco delle
spese correnti necessaire per il sostentamento suo e della famiglia. Se il debitore svolge attività
d’impresa, devono essere allegata anche le scritture contabili degli ultimi tre esercizi.
Nella presentazione della domanda il debitore deve farsi assistere da un organismo di composizione
della crisi.
Possono costituire organismi di composizione della crisi gli enti pubblici dotati di requisiti di
indipendenza e professionalità,come le camere di commercio e gli ordini professionali di avvocati,
commercialisti e notai,ecc.Gli organismi di composizione della crisi sono iscritti in un albo tenuto
presso il Ministero della giustizia,al quale è demandata anche la normativa secondaria di attuazione
(ancora da emanare).In alternativa,i compiti e le funzioni di organismo di composizione della crisi
possono essere svolti da un professionista (o società tra professionisti) in possesso dei requisiti per
la nomina come curatore fallimentare o da un notaio,nominati dal tribunale.
L’organismo di composizione della crisi deve verificare la veridicità dei dati contenuti nella
domanda di ammissione e negli allegati,ed esprime un giudizio sulla completezza e di attendibilità
della relativa documentazione mediante una relazione che va a sua volta allegata alla domanda.
Nella medesima relazione l’organismo riferisce in maniera particolareggiata sulle cause della crisi,
sulla diligenza del debitore nell’assumere obbligazioni, sulla sua capacità di adempiere in passato
nonché sull’eventuale esistenza di atti impugnati dai creditori.
La domanda di liquidazione è inammissibile se la documentazione prodotta non consente di
ricostruire compiutamente la situazione economica e patrimoniale del debitore.
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La fase di apertura della procedura è regolata secondo le forme dei procedimenti in camera di
consiglio in quanto compatibili. Nel corso del procedimento il giudice verifica l’esistenza di
requisiti di ammissibilità della domanda ed accerta l’assenza di atti in frode ai danni dei creditori
negli ultimi 5 anni. A tal fine può assumere informazioni esercitando poteri inquisitori,come
l’accesso all’anagrafe tributaria e ad altre banche dati pubbliche e private. L’esame si conclude con
un decreto motivato di ammissione o di rigetto della domanda,contro cui è possibile presentare
reclamo al medesimo tribunale:per il rispetto del principio di terzietà del giudice tuttavia
l’impugnazione viene decisa da un collegio del quale non può far parte il giudice che ha
pronunciato il provvedimento impugnato.
Con il decreto di ammissione il giudice nomina anche il liquidatore,prescelto fra i professionisti in
possesso dei requisiti per la nomina come curatore fallimentare. Può essere nominato liquidatore
anche l’organismo di composizione della crisi.
La domanda ed il conseguente provvedimento di ammissione sono soggetti a pubblicità mediante
annotazione nel registro delle imprese,se il debitore è un imprenditore,nonché con le altre forme
determinate dal giudice. Il decreto è inoltre trascritto a cura del liquidatore nei registri dei beni
mobili ed immobili.

Effetti della procedura.


L’apertura della procedura di liquidazione determina per il debitore effetti patrimoniali
sostanzialmente simili a quelli del fallimento.
Con il decreto di ammissione il giudice ordina la consegna o il rilascio al liquidatore dei beni
facenti parte del patrimonio di liquidazione,salvo che non ritenga,in presenza di gravi e specifiche
ragioni, di autorizzare il debitore ad utilizzare alcuni di essi.
Il decreto di ammissione è espressamente equiparato all’atto di pignoramento. Perciò gli atti
disposizione del debitore,riguardanti beni e diritti inclusi nel patrimonio di liquidazione,sono
inefficaci nei confronti dei creditori concorsuali,analogamente a quanto si verifica con lo
spossessamento del fallito.
La liquidazione ha ad oggetto l’intero patrimonio del debitore,compresi gli accessori,le pertinenze e
i frutti dei beni,con le seguenti eccezioni,in larga parte coincidenti con le categorie di beni esclusi
dallo spossessamento fallimentare:
a) Gli assegni a carattere alimentare,stipendi,pensioni,salari e ciò che il debitore guadagna con la
propria attività,nei limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia determinati
dal giudice col decreto di apertura della procedura;
b) I frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli ed i beni costituiti in fondo patrimoniale
con i loro frutti;
c) I crediti e le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge (vestiti,strumenti
di lavoro,ecc).
La liquidazione si estende altresì ai beni che pervengono al debitore nei 4 anni successivi al
deposito della domanda di ammissione,dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la
conservazione degli stessi,da soddisfare in prededuzione.
Durante la procedura,il patrimonio oggetto di liquidazione è amministrato dal liquidatore,che
può esercitare ogni azione correlata con lo svolgimento di tale attività,quali quelle volte al
recupero dei crediti o a conseguire la disponibilità dei beni. Il dato normativo non chiarisce se al
liquidatore competa anche l’esercizio delle azioni revocatorie (ordinarie) e di
responsabilità,come invece espressamente previsto per il curatore fallimentare. Ma la risposta
non può che essere affermativa:l’esercizio delle azioni recuperatorie dirette a reintegrare la
massa attiva deve essere riservato agli organi della procedura perché vadano a vantaggio di tutti
i creditori concorsuali e non di singoli creditori.
A carico del debitore ammesso alla procedura di liquidazione non si producono invece gli effetti
personali e quelli penali del fallimento.
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Né viene richiamata la disciplina degli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli per i
creditori,che pertanto potranno essere impugnati solo con gli strumenti di diritto comune,
ricorrendone i presupposti.
Manca altresì una disciplina degli effetti della procedura sui contratti in corso di esecuzione,e
questo fa ritenere che l’apertura della liquidazione non ne determina automaticamente la
sospensione o lo scioglimento.
È invece dettata da una disciplina,sia pur lacunosa,degli effetti della procedura per i
creditori,ispirata ai principi della disciplina fallimentare. I creditori per titolo e casa anteriore al
decreto di apertura di liquidazione (creditori concorsuali) devono far valere le loro pretese
esclusivamente nell’ambito della procedura concorsuale,al fine di consentire l’attuazione del
principio della par condicio creditorum. Pertanto,per tutta la durata del procedimento non
possono, sotto pena di nullità,iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive,né acquistare
diritti di prelazione sul patrimonio oggetto di liquidazione. Se alla data di apertura della
liquidazione sono pendenti procedure esecutive,il liquidatore può subentrarvi.
Il deposito della domanda sospende il corso degli interessi convenzionali e legali fino alla
chiusura della liquidazione,salvo che per i crediti privilegiati.
Stranamente,non viene richiamata invece la regola secondo cui tutti i debiti pecuniari del fallito
si considerano scaduti alla data di apertura della procedura;e nemmeno quella che i debiti non
pecuniari,o determinati in base ad altri valori,vengono trasformati in crediti pecuniari in euro
secondo il loro valore alla data dell’apertura della procedura. Poiché però tali effetti
costituiscono presupposto necessario per poter realizzare il concorso fra i creditori,può trovare
applicazione analogica la corrispondente disciplina del fallimento.
I creditori che partecipano al concorso si dividono in gradi,a seconda che siano chirografari,
privilegiati o creditori della massa. Questi ultimi sono i titolari di crediti sorti in occasione o in
funzione della liquidazione o di altra procedura disciplinata dalla legge 3/2012 e devono essere
soddisfatti con preferenza rispetto agli altri,salvo quanto ricavato dalla liquidazione dei beni
oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti.
I creditori con causa o titolo posteriore al momento in cui è eseguita la pubblicità del decreto di
apertura (e che non siano qualificabili come creditori della massa) sono invece esclusi dal concorso.
Essi potranno pertanto avviare azioni esecutive individuali anche durante lo svolgimento della
procedura,ma soltanto sui beni non facenti parte del patrimonio di liquidazione.
Il procedimento di liquidazione prevede una fase di accertamento del passivo,sia pure con modalità
semplificate rispetto al fallimento. Pertanto i creditori,sollecitati a tal fine dal liquidatore con una
avviso,devono presentare domanda di partecipazione alla liquidazione. Lo stesso devono fare i
titolari di diritti reali e personali su beni in possesso o nella disponibilità del debitore per
rivendicarne la proprietà o ottenerne la restituzione. La domanda si presenta con ricorso entro il
termine indicato nell’avviso del liquidatore. Il suo contenuto ricalca quello dell’insinuazione al
fallimento:il ricorrente deve indicare le generalità,il contenuto del diritto e gli eventuali titoli di
prelazione,l’esposizione dei fatti e degli elementi alla base della pretesa ,ed il domicilio eletto ai fini
della procedura. Al ricorso vanno allegati i documenti giustificativi del diritto fatto valere.
Il liquidatore esamina le domande,predispone un progetto di stato passivo e lo comunica agli
interessati, assegnando un termine per osservazioni. In mancanza di contestazioni, il liquidatore
approva lo stato passivo. Altrimenti,se non ritiene fondate le osservazioni ricevute,rimette gli atti al
giudice che lo ha nominato,il quale provvede alla definitiva formazione del passivo. Il decreto del
giudice è impugnabile con reclamo davanti al tribunale.

Liquidazione del patrimonio ed esdebitazione.


Nell’assumere la gestione del patrimonio di liquidazione,il liquidatore deve verificare l’attendibilità
della documentazione allegata alla domanda e formare l’inventario dei beni da liquidare. Entro 30
giorni dalla formazione dell’inventario elabora un programma di liquidazione,che comunica al
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debitore ed ai creditori e deposita presso la cancelleria del tribunale. Il programma deve assicurare
la ragionevole durata della procedura.
Le vendite poste in essere in esecuzione del programma di liquidazione devono essere effettuate dal
liquidatore mediante procedure competitive adeguatamente pubblicizzate,che consentano la massiva
informazione e partecipazione degli interessati. A tal fine il liquidatore è tenuto a far stimare
previamente i beni da parte di operatori esperti (salvo che si tratti di cose di modico valore) e può
avvalersi di soggetti specializzati per lo svolgimento delle procedure di vendita.
Non è richiesto il rispetto delle norme del codice di procedura civile sulle esecuzioni individuali.
Trattandosi però pur sempre di una vendita giudiziaria,resta fermo in ogni caso il ruolo di controllo
del giudice,il quale è chiamato verificare la conformità degli atti dispositivi al programma di
liquidazione ed ha anche il potere di sospenderli in presenza di gravi e giustificati motivi. Al
giudice spetta inoltre autorizzare lo svincolo delle somme ed ordinare la cancellazione dei vincoli
sui beni,così da realizzare il cosiddetto effetto purgativo delle vendite forzate.
Nulla prevede la legge circa le modalità di ripartizione dell’attivo,ferma restando la distinzione dei
creditori in prededucibili,privilegiati e chirografari. Al riguardo possono però richiamarsi i principi
della disciplina fallimentare,con la conseguenza che il concorso dei creditori sarà in concreto attuato
dal liquidatore mediante una serie di riparti parziali del ricavato di liquidazione,ed un riparto finale
da realizzare dopo la presentazione del conto della gestione.
La procedura rimane aperta sino alla completa esecuzione del programma di liquidazione e,in ogni
caso,per una durata minima di 4 anni successivi al deposito della domanda di ammissione.
Trascorso questo termine ed accertata la completa esecuzione del programma,il giudice dispone con
decreto la chiusura della procedura.
Al termine,della procedura,il debitore persona fisica è ammesso al beneficio dell’esdebitazione per
ottenere la liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali. A tal fine è
necessario però che lo stesso presenti i requisiti di meritevolezza determinati dalla legge e che la
procedura abbia consentito di soddisfare almeno in parte i creditori concorsuali.
Non è meritevole il debitore al quale è imputabile lo stato sovraindebitamento per aver fatto
ricorso al credito in modo colposo e sproporzionato rispetto alle sue capacità patrimoniali.
Sono inoltre esclusi coloro che hanno già beneficiato di altra esdebitazione negli 8 anni
antecedenti la domanda.
Il debitore perde il requisito di meritevolezza anche quando,nei 5 anni precedenti l’apertura
della liquidazione o nel corso della stessa,ha posto in essere atti in frode ai creditori,pagamenti o
altri atti dispositivi del proprio patrimonio o simulazioni di titoli di prelazione,allo scopo di
favorire alcuni creditori a danno di altri. Non può fra l’altro ottenere l’esdebitazione chi ha
conseguito una condanna penale definitiva per reati attinenti allo svolgimento di una procedura
di sovra indebitamento.
Infine,il debitore deve aver mantenuto una condotta collaborativa ed operosa durante la
procedura. Egli deve in particolare:
a) Aver cooperato al regolare,rapido ed efficace svolgimento della procedura;
b) Aver svolto un’ attività produttiva di reddito o quanto meno cercato un’occupazione,senza
rifiutare ingiustificatamente proposte di impiego.
In presenza dei sopra indicati requisiti,l’esdebitazione viene concessa dal giudice su richiesta
del debitore,da presentare entro un anno dalla chiusura della procedura,e sentiti i creditori non
integralmente soddisfatti. Il provvedimento può essere impugnato dai creditori mediante
reclamo al tribunale;esso comunque è sempre revocabile se risulta che il debitore ha compiuto
atti in frode ai creditori,violato la par condicio,oppure ha con dolo o colpa grave rappresentato
infedelmente il proprio stato patrimoniale.
Per effetto del decreto di esdebitazione,tutti i crediti concorsuali ancora non integralmente
insoddisfatti sono dichiarati inesigibili. L’esdebitazione non opera tuttavia per alcune categorie
di debiti:
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a) Debiti di mantenimento e alimentari;


b) Debiti da responsabilità extracontrattuale,sanzioni pecuniarie penali ed amministrative che non
siano accessorie a debiti estinti;
c) Debiti fiscali accertati successivamente all’apertura della procedura in ragione della conoscenza
di nuovi elementi.

B.LE PROCEDURE DI COMPOSIZIONE DELLE CRISI


DA SOVRAINDEBITAMENTO.

L’accordo di composizione della crisi da sovra indebitamento:proposta ed effetti.


Sotto il nome di procedure di composizione delle crisi da sovra indebitamento la legge 3/2012
raggruppa due procedure (l’accordo di composizione della crisi e il piano del consumatore)
accomunate dalla circostanza che la crisi economica del debitore viene superata mediante
l’attuazione di un piano proposto dal debitore stesso.
L’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento è una procedura concorsuale che,a
dispetto del nome,presenta somiglianze tanto con il concordato preventivo che con gli accordi di
ristrutturazione dei debiti disciplinati dalla legge fallimentare.
Possono proporre un accordo di composizione della crisi tutti i debitori (consumatori inclusi) in
stato di sovra indebitamento,i quali non siano soggetti ad altre procedure concorsuali che quelle
disciplinate dalla legge 3/2012.E’ espressamente previsto inoltre che possono avvalersi della
procedura anche gli imprenditori agricoli.
La proposta di accordo può prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei
creditori attraverso qualsiasi forma. Ad esempio,l’affidamento del patrimonio del debitore ad un
gestore la liquidazione,la custodia e la distribuzione ai creditori (accordo con cessione dei
beni);la rinunzia da parte dei loro crediti (accordo remissorio);la dilazione di pagamento
(accordo dilatorio);o una combinazione di tutti questi elementi (accordo misto).Possono essere
ceduti ai creditori i crediti futuri del debitore. Si possono inoltre suddividere i creditori in
classi,allo scopo di offrire a ciascuna classe un trattamento differenziato.
La proposta deve prevedere scadenze e modalità di pagamento dei creditori ed indicare le
eventuali garanzie rilasciate per l’adempimento dei debiti. Può inoltre prestabilire modalità per
la liquidazione dei beni.
Il contenuto della proposta deve tuttavia osservare in seguenti limiti:
a) per i crediti impignorabili per legge (alimenti,stipendi,trattamento di fine rapporto ecc.) deve
essere assicurato il regolare pagamento. Nessuna dilazione o falcidia o modalità alternativa di
adempimento è perciò ammessa;
b) i creditori muniti di privilegio,pegno o ipoteca devono essere soddisfatti in misura non inferiore
a quella realizzabile in ragione della loro collocazione preferenziale sul ricavato in caso di
liquidazione,avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali insiste
riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali insiste la causa di prelazione.
Quando la proposta di accordo prevede la continuazione dell’attività d’impresa,è però possibile
stabilire una moratoria fino ad un anno dall’omologazione per tali crediti,salvo che siano
liquidati i beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Analoga dilazione deve ritenersi
ammissibile nella proposta di accordo avanzata dal debitore non imprenditore
(professionisti,consumatori),benché la legge non lo preveda espressamente;
c) per i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea,l’iva,e le ritenute operate e non
versata si può prevedere esclusivamente una dilazione di pagamento.
Il debitore che intende presentare una proposta di accordo deve rivolgersi un organismo di
composizione della crisi. L’organismo assume ogni iniziativa funzionale alla predisposizione
del piano e,dopo l’omologazione, all’esecuzione dello stesso;verifica la veridicità dei dati
contenuti nella proposta e negli allegati. Attesta inoltre la fattibilità del piano.
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La proposta di accordo è depositata presso il tribunale del luogo di residenza o sede principale
del debitore. Qualora i beni e i redditi del debitore non siano sufficienti a garantire la fattibilità
dell’accordo,la proposta deve essere sottoscritta anche da uno o più terzi che consentono il
conferimento,anche in garanzia,di redditi o beni sufficienti per assicurarne l’attuabilità.
Alla proposta il debitore deve allegare una documentazione analoga a quella già vista per la
domanda di ammissione nella procedura di liquidazione del patrimonio. Insieme alla proposta
deve essere presentata anche l’attestazione dell’organismo di composizione della crisi sulla
fattibilità del piano.
La proposta è inammissibile quando il proponente non rientra in una delle categorie di debitori
ammesse a presentarla,ed inoltre quando il debitore:
a) ha fatto ricorso nei 5 anni precedenti ad una procedura di composizione della crisi o di
liquidazione del patrimonio;
b) ha subito,per causa a lui imputabile,un provvedimento di annullamento o risoluzione di un
precedente accordo di composizione della crisi,oppure di revoca o cessazione degli effetti di un
precedente piano del consumatore;
c) ha fornito una documentazione che non consente di ricostruire compiutamente la sua situazione
economica e patrimoniale.
Per lo svolgimento della procedura sono richiamate,in quanto compatibili,le regole dei procedimenti
in camera di consiglio.
Il giudice effettua un esame preliminare della domanda volto ad accertare la sussistenza dei requisiti
di ammissibilità,la completezza della documentazione ed il rispetto dei limiti posti dalla legge al
contenuto della proposta. Se rileva irregolarità può concedere al debitore un termine perentorio non
superiore a 15 giorni per apportare integrazioni alla proposta e produrre nuovi documenti. Non può
invece sindacare nel merito la convenienza dell’accordo,in questa fase,perché questo profilo è
rimesso alla valutazione del giudice solo in caso di contestazioni all’omologa. L’esame si conclude
con un decreto di apertura della procedura oppure di rigetto,contro il quale è possibile presentare
ricorso al tribunale:anche in questo caso,l’impugnazione viene decisa da un collegio del quale non
può far parte il giudice che ha emanato il provvedimento impugnato.
La proposta ed il decreto di apertura della procedura sono soggetti a pubblicità con le forme stabilite
dal giudice,ed in ogni caso mediante pubblicazione nel registro delle imprese,se il proponente
svolge attività d’impresa. Il decreto è inoltre trascritto nei registri mobiliari e immobiliari,a cura
dell’organismo di composizione della crisi,quando il piano prevede la cessione o l’affidamento a
terzi di tali beni.
Durante la procedura,e cioè dal decreto di apertura fino all’omologazione,si producono per il
proponente e per i creditori effetti analoghi a quelli del concordato preventivo.
Il proponente resta nella disponibilità del proprio patrimonio ma può compiere autonomamente solo
atti di ordinaria amministrazione. Per gli atti di straordinaria amministrazione è necessaria
l’autorizzazione del giudice,altrimenti gli stessi sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al
momento in cui è stata eseguita la pubblicità del decreto.
I creditori aventi titolo o causa anteriore al decreto di apertura (creditori concorsuali) non
possono,sotto pena di nullità,iniziare o proseguire azioni esecutive individuali,attuare sequestri
conservativi,acquistare diritti sul patrimonio del proponente. Per lo stesso periodo rimangono
sospese le prescrizioni e non si verificano le decadenze. Il divieto di azioni esecutive individuali
non opera però per i titolari di crediti impignorabili.
Inoltre resta sospeso il corso degli interessi convenzionali e legali con le stesse modalità previste
per la procedura di liquidazione del patrimonio.
Manca tuttavia il richiamo di latri effetti del concordato necessari per la realizzazione del concorso
fra i creditori:scadenza anticipata dei crediti al momento dell’apertura della procedura,conversione
dei crediti non pecuniari in obbligazioni pecuniarie,disciplina della compensazione ecc. Per colmare
queste lacune si dovrà fare applicazione analogica della corrispondente disciplina della legge
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fallimentare in quanto compatibile. Non trova invece applicazione la disciplina della revocatoria
fallimentare.
Il decreto di apertura della procedura è espressamente equiparato dalla legge ad un atto di
pignoramento sui beni oggetto del paino,effettuato in favore dei creditori concorsuali. Perciò tali
beni non possono essere aggrediti dai creditori concausa o titolo posteriore al momento in cui è stata
data pubblicità al decreto,i quali sono creditori non concorsuali.
I crediti sorti in occasione o in funzione di una procedura di composizione della crisi sono invece
considerati crediti prededucibili e devono essere soddisfatti con preferenza rispetto agli altri,con
esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte
desinata ai creditori garantiti.

Approvazione ed esecuzione dell’accordo.


La legge delinea un procedimento abbastanza agile per l’approvazione e l’omologazione
dell’accordo.
Con il decreto di apertura,il giudice investito della procedura fissa l’udienza nella quale si dovrà
constatare se l’accordo è stato raggiunto. Dispone inoltre la comunicazione ai creditori della
proposta e del decreto,alla quale provvede l’organismo di composizione della crisi.
I creditori possono aderire espressamente all’accordo facendo pervenire all’organismo di
composizione della crisi una dichiarazione di consenso alla proposta,come eventualmente
modificata dal debitore almeno 10 giorni prima dell’udienza. In mancanza,tuttavia,si ritiene che gli
stessi abbiano prestato consenso alla proposta nei termini in cui è stata loro comunicata. Pertanto
opera un meccanismo di silenzio-assenso,analogo a quello ora previsto per il concordato
preventivo:tutti i creditori che non hanno manifestato volontà contraria sono considerati
consenzienti.
L’accordo deve essere raggiunto con i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti. E’
questa l’unica maggioranza richiesta e a nulla rileva l’eventuale suddivisione dei creditori in classi.
Come nel concordato preventivo,i creditori privilegiati non sono computati ai fini del
raggiungimento della maggioranza e non hanno diritto di esprimersi sulla proposta,a meno che non
rinunciano in tutto in parte al diritto di prelazione. Sono inoltre esclusi dall’approvazione e dal
calcolo della maggioranza il coniuge del debitore,i suoi parenti ed affini fino al quarto grado,nonché
i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della proposta.
All’udienza il giudice verifica che non vi siano state iniziate o atti in fronde ai creditori. Altrimenti
dispone immediatamente la revoca del decreto di ammissione e la cessazione delle forme di
pubblicità dello stesso.
Se l’accordo è stato raggiunto,l’organismo di composizione della crisi avvia una serie di attività
preliminari all’omologazione. Predispone una relazione sui consensi espressi e sul raggiungimento
della maggioranza e la trasmette,insieme al testo dell’accordo,ai creditori;costoro possono sollevare
contestazioni entro 10 giorni dalla ricezione. Quindi l’organismo comunica la relazione al giudice,
unitamente alle contestazione ricevute e ad un’attestazione definitiva sulla fattibilità del piano.
In sede di omologazione,il giudice verifica il raggiungimento della necessaria
maggioranza,l’idoneità del piano ad assicurare il pagamento integrale dei crediti per i quali non è
ammessa riduzione (crediti impignorabili,iva ecc),ed in generale la regolarità del procedimento.
Non entra invece nel merito della convenienza dell’accordo per i creditori,salvo che sul punto siano
state sollevate contestazioni da parte di creditori dissenzienti,o esclusi dal piano o da qualsiasi
interessato. In questo caso,tuttavia,il giudice può omologare ugualmente l’accordo quando ritiene
che il credito può essere soddisfatto dall’esecuzione dello stesso in misura non inferiore
all’alternativa di una procedura di liquidazione del patrimonio.
Il decreto di omologazione è pubblicizzato con le stesse forme disposte per il decreto di ammissione
alla procedura.
L’accordo omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita
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la pubblicità del decreto di ammissione. L’accordo non determina invece novazione delle
obbligazioni,salvo che sia diversamente stabilito;né pregiudica i diritti dei creditori nei confronti dei
coobbligati,fideiussori del debitore e obbligati in via di regresso. Pertanto,anche se il creditore ha
acconsentito ad una proposta che prevede la falcidia del credito verso il proponente,può invece
rivalersi per l’intero nei confronti degli eventuali garanti.
Intervenuta l’omologazione s passa alla fase di esecuzione,alla quale provvede il debitore stesso,
oppure un liquidatore giudiziale,che può essere lo stesso organismo di composizione della crisi.
Il liquidatore dispone in via esclusiva dei beni sottoposti alla procedura concorsuale e delle somme
incassate. Spetta al giudice tuttavia ordinare lo svincolo delle somme e la cancellazione dei vincoli
sui beni,dopo aver verificato la conformità all’accordo dell’atto di alienazione. I pagamenti e gli atti
dispositivi di beni posti in essere in violazione dell’accordo sono inefficaci nei confronti dei
creditori concorsuali. In ogni caso,il giudice può sospendere gli atti di esecuzione dell’accordo
quando ricorrono gravi motivi.
Nella fase di esecuzione,l’organismo di composizione della crisi vigila sull’esatto adempimento
dell’accordo,segnalando ai creditori ogni irregolarità riscontrata. Risolve inoltre le difficoltà
insorte nell’esecuzione,fermo restando che solo il giudice investito della procedura può decidere
sulle contestazioni che hanno ad oggetto la violazione di diritti soggettivi.
L’accordo raggiunto con i creditori può essere revocato,risolto o annullato.
È revocato d’ufficio se risultano compiuti durante la procedura atti diretti a frodare le ragioni
dei creditori.
Ogni creditore può poi presentare istanza di annullamento,quando il debitore abbia,dolosamente
o con colpa grave,aumentato o diminuito il passivo,sottratta o dissimulata una parte rilevante
dell’attivo o dolosamente simulate attività inesistenti. Non sono ammesse altre cause di
annullamento. Il ricorso deve essere proposto entro 6 mesi della scoperta dei fatti che lo
giustificano e non oltre 2 anni dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento.
La risoluzione può avvenire di diritto o in via
giudiziale. È di diritto:
1) quando il debitore non esegue integralmente,entro 90 giorni dalle scadenze previste,i pagamenti
dovuti secondo il piano alle amministrazioni pubbliche ed altri enti previdenziali;
2) per il mancato pagamento di crediti per i quali non è consentito proporre l’adempimento
parziale (crediti impignorabili,tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea ,iva,
ritenute).L’accertamento del mancato pagamento deve però essere richiesto al tribunale;
3) quando interviene la dichiarazione di fallimento del proponente. Gli atti,i pagamenti e le
garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato non sono tuttavia soggetti
all’azione revocatoria fallimentare;inoltre,i finanziamenti effettuati in esecuzione o in funzione
dell’accordo conservano il rango di crediti prededucibili anche nel fallimento.
Fuori da questa ipotesi,la risoluzione è disposta dal tribunale su richiesta dei creditori,quando il
proponente non adempie agli obblighi assunti,oppure se le garanzie promesse non vengono
costituite. Il ricorso per la risoluzione deve essere proposto entro 6 mesi dalla scoperta e
comunque entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto
dall’accordo.
I creditori possono domandare la risoluzione dell’accordo anche quando l’esecuzione dello
stesso è diventata impossibile per ragioni non imputabili al debitore. In questo caso però il
debitore può proporre con l’ausilio dell’organismo di composizione della crisi,una modifica del
piano originario. La modifica equivale ad una nuova proposta di accordo con i creditori e deve
accettata da costoro con le medesime regole procedimentali già viste.
Per effetto della risoluzione o dell’annullamento,cessano retroattivamente gli effetti
dell’accordo, ma vengono fatti salvi i diritti acquistati dai terzi in buona fede. Inoltre,quando
interviene la revoca, l’annullamento o la risoluzione, su richiesta del debitore o di un creditore,il
giudice può disporre la conversione della procedura di composizione della crisi in una
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procedura di liquidazione del patrimonio. La conversione è invece esclusa in caso di risoluzione


dell’accordo per causa non imputabile al debitore.

Il piano del consumatore.


In alternativa alla proposta di accordo di composizione della crisi,il consumatore che versi in
stato di sovra indebitamento può regolare i rapporti con i creditori mediante la più agevole
procedura del piano del consumatore. In base a questa procedura,il piano predisposto dal
debitore viene omologato e reso vincolante dal giudice,senza necessità d ottenere
l’approvazione dei creditori. Si tratta quindi di un istituto particolarmente vantaggioso per il
debitore,riservato ai consumatori che presentino specifici requisiti di meritevolezza.
Per consumatore si intende la persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi
estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.
La disciplina del piano del consumatore è in larga parte coincidente con quella degli accordi di
composizione della crisi con ben poche differenze.
Il consumatore deve depositare la proposta di piano,redatta con l’ausilio di un organismo di
composizione della crisi,presso il tribunale del luogo ove ha la residenza.
Valgono gli stessi vincoli previsti per la proposta di accordo di composizione della crisi in merito ai
crediti per i quali non può essere previsto un pagamento ridotto o dilazionato. Devono inoltre essere
presentati gli stessi allegati. In più però deve essere depositata una relazione particolareggiata
dell’organismo di composizione della crisi,nella quale si illustrano le cause della crisi e si
forniscono elementi utili per valutare la meritevolezza della condotta del debitore:diligenza
nell’assumere obbligazioni;capacità di adempiere in passato;esistenza di atti impugnati dai creditori
ecc. Nella medesima relazione l’organismo è chiamato,fra l’altro,ad esprimere un giudizio sulla
probabile convenienza del piano per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria.
Il giudice,verificata l’esistenza dei presupposti di ammissibilità della domanda e l’assenza di atti di
frode,fissa l’udienza per la convocazione dei creditori per l’udienza di omologazione. Il decreto ed
il piano vengono quindi comunicati creditori a cura dell’organismo di composizione della
crisi,almeno 30 giorni prima della data fissata per l’udienza.
A differenza dell’accordo di composizione della crisi,la presentazione della proposta non comporta
la sospensione automatica delle azioni esecutive individuali dei creditori (in questa procedura tale
effetto si produce solo dopo l’omologazione).Tuttavia quando nelle more della convocazione dei
creditori la prosecuzione di specifici procedimenti di esecuzione forzata potrebbe pregiudicare la
fattibilità del piano,il giudice con il decreto di apertura della procedura può disporre la sospensione
degli stessi sino al momento in cui il decreto di omologazione diventa definitivo.
All’udienza,il giudice risolve in via preliminare le contestazioni sollevate dai creditori anche in
ordine all’effettivo ammontare dei crediti. Prima di omologare,deve inoltre verificare d’ufficio la
fattibilità del piano e la meritevolezza del debitore:sotto quest’ultimo profilo-precisa la legge -il
piano non può essere omologato quando il consumatore ha assunto obbligazioni senza la
ragionevole prospettiva di poterle adempiere,o ha colposamente determinato il sovraindebitamento,
anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali.
La convenienza del piano non è oggetto invece di una valutazione di merito da parte del giudice,
salvo in presenza di specifiche contestazioni sul punto da parte di uno dei creditori o di qualsiasi
interessato. In tal caso,il giudice può omologare il piano se ritiene che il credito possa essere
soddisfatto dall’esecuzione dello stesso in misura non inferiore all’alternativa di una procedura di
liquidazione del patrimonio.
Il decreto di omologazione è soggetto a pubblicità con le forme determinate dal giudice ed è
trascritto nei pubblici registri a cura dell’organismo di composizione della crisi.Solo con
l’adempimento delle formalità pubblicitarie del decreto di omologa si determina la distinzione fra
creditori concorsuali e non concorsuali.
Sono creditori concorsuali tutti i creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità
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del decreto:per costoro il piano omologato è obbligatorio e dalla data dell’omologazione gli stessi
non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari individuali,né possono acquistare
diritti di prelazione sul patrimonio del debitore. Restano salvi,tuttavia,i diritti vantati dai creditori
nei confronti dei coobbligati,fideiussori del debitore o obbligati in via di regresso.
I creditori con causa o titolo posteriore alla pubblicità del decreto di omologazione non sono invece
soggetti agli effetti del concorso. Perciò non sono soggetti al divieto di azioni esecutive
individuali;però non possono procedere esecutivamente sui beni che formano oggetto del
piano,perché il decreto di omologa equivale ad un atto di pignoramento su tali beni in favore dei
creditori concorsuali.
Gli effetti dell’omologazione vengono meno di diritto,oppure possono essere revocati dal giudice su
istanza dei creditori,negli stessi casi previsti,per la revoca,l’annullamento o la risoluzione degli
accordi di composizione della crisi. In questo caso,su istanza del debitore o di un creditore,il giudice
può disporre la conversione della procedura di composizione della crisi in una procedura di
liquidazione del patrimonio.

Riforma falimentare 2016: da integrare


Il Consiglio dei Ministri oltre al maxi-decreto sulle banche, ha dato il via anche ad un disegno legge delega per la riforma del diritto
fallimentare e sul riordino delle varie procedure concorsuali. I punti salienti della riforma prevedono anche dei meccanismi di allerta
per l’emersione tempestiva delle crisi d’impresa e l’introduzione della figura del 'giudice specializzato' in materia di crisi aziendali. I
tribunali delle imprese si occuperanno delle procedure concorsuali di maggiori dimensioni. Le procedure di sovraindebitamento
resteranno invece di competenza dei tribunali ordinari. Viene prevista anche una procedura extragiudiziale di allerta e di composizione
anticipata delle imprese in stato di difficoltà. Lo scopo è agevolare lo svolgimento di trattative tra creditori e debitori. Spetterà inoltre
ai sindaci e ai revisori avvisare immediatamente gli amministratori dell’esistenza di uno stato di crisi.

Modifiche alla procedura di liquidazione giudiziale ed esdebitazione


La procedura di liquidazione giudiziale che dovrebbe prendere il posto dell’attuale procedura di fallimento contiene alcune importanti
novità. In primis, riguardo la fase della liquidazione dell’attivo, è prevista l’introduzione di un sistema di vendita dei beni che
diventa telematico. In questo senso tutti i beni posti in vendita verranno inseriti in un mercato telematico unificato a livello nazionale,
così da ampliare la platea dei potenziali acquirenti. Sarà possibile acquistare i beni mobili e immobili sia con denaro corrente sia con
appositi titoli, che incorporano un diritto speciale attribuito ai creditori. Per i beni rimasti invenduti verrà creato invece un fondo in
vista della loro futura valorizzazione.
Per quanto riguarda la procedura di esdebitazione vista l’importanza acquisita negli ultimi anni viene prevista un’esdebitazione di
diritto, per la quale non è necessario un apposito provvedimento del giudice. L’esdebitazione di diritto riguarda solamente le
insolvenze di minor portata ed è ammessa solo dopo la chiusura della procedura di liquidazione giudiziale. Per le insolvenze
maggiori, invece, l’interessato deve presentare una domanda, anche dopo il decorso di un triennio dall’apertura della procedura, su cui
poi il giudice deve pronunciarsi.Tale procedura non è ammessa nei casi di dolo o mala fede del debitore. Il #Governo ha dato l’OK
anche ad una nuova disciplina per i gruppi d’impresa che prevede l’introduzione di una procedura unitaria con l’individuazione di un
solo tribunale competente. A carico delle imprese appartenenti ad un gruppo ci saranno degli obblighi dichiarativi e il deposito di un
bilancio consolidato.

Concordato preventivo: limiti e nuovi accordi di ristrutturazione


Il concordato preventivo, che spesso per i creditori non è affatto una soluzione vantaggiosa, sarà tendenzialmente limitato alle sole
ipotesi del concordato in continuità. Cioè a quelle situazione di crisi aziendali che siano però reversibili. Il concordato finalizzato alla
liquidazione dell’impresa viene dunque limitato alle sole ipotesi in cui gli apporti di terzi consentano di soddisfare le ragioni dei
creditori in misura maggiore. Il concordato in continuità prevede inoltre il superamento della crisi mediante la prosecuzione
dell’attività aziendale. La riforma sul fallimento prevede l’estensione della procedura degli accordi di ristrutturazione anche agli
intermediari finanziari. La disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti, più volte già modificata, consente all’imprenditore
di chiedere l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei propri debiti a specifiche condizioni però.

Il Decreto Legge n. 83/2015 recante “Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di
organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria” è legge (l. n. 132 del 6 agosto 2015), in vigore dal 21
agosto scorso.
Importanti novità hanno coinvolto non solo la materia fallimentare, ma anche alcuni strumenti per il rilancio delle
imprese in crisi come il concordato preventivo e l'accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis L.F. (in
particolare, trattasi degli articoli da 1 a 11 del decreto-legge).
Il concordato preventivo
Molto rilevante è l'obbligo da oggi imposto all'imprenditore in crisi di assicurare un realizzo non inferiore al 20% per i
creditori chirografari in caso di piano di concordato preventivo di tipo liquidatorio.
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E' stato poi modificato (art. 4 lett. f DL) il meccanismo del voto, con la eliminazione del principio del “silenzio =
assenso” che in questi anni aveva agevolato l'approvazione delle proposte di concordato.
Queste due innovazioni, inserite tra l'altro in sede di conversione del decreto legge, dovrebbero, da un lato, tutelare
maggiormente i creditori più deboli, dall'altro lato però disincentivare il concordato preventivo quale soluzione alla crisi
d'impresa, incrementando il ricorso alla procedura fallimentare.
Altra rilevante modifica è l'apertura a proposte concorrenti.
Il debitore che non proponga ai creditori chirografari il pagamento di almeno il 40% (in caso di concordato liquidatorio)
o del 30% (in caso di concordato in continuità), può vedere il proprio piano (e relativa proposta) messo in concorrenza
con altri migliorativi o diversi provenienti da uno o più creditori che rappresentino almeno il 10% dei crediti; sarà poi il
voto della massa dei creditori a stabilire quale ipotesi verrà attuata (art. 3 del DL, che ai commi 3-4-5 dispone le modalità
per la votazione tra proposte concorrenti).
Permangono alcuni dubbi sugli esiti pratici della norma: il debitore che voglia proporre un concordato in continuità
potrebbe essere scoraggiato dal pericolo di essere spossessato della sua azienda per effetto di una proposta liquidatoria
più allettante fatta da terzi (non è stabilito infatti l'obbligo di presentare proposte omogenee a quella del debitore).
E' stato inoltre introdotto il nuovo art. 163bis nella Legge fallimentare. Qualora il piano concordatario dovesse prevedere
la vendita dell'azienda, di un suo ramo o di beni aziendali specifici, si aprirà ora un procedimento competitivo per cercare
altri interessati all'acquisto (offerte concorrenti), allo scopo di ottenere un ricavo maggiore (art. 2 del DL). A differenza
che nel caso delle "proposte", il DL prevede che le "offerte" debbano essere comparabili tra loro.
Sia le proposte (pur con i dubbi di cui sopra) che le offerte concorrenti devono in generale considerarsi positivamente,
perché l'imprenditore non sarà tentato di “giocare al ribasso” offrendo il meno possibile ai creditori; lo scopo è infatti
quello di portare ad una maggiore soddisfazione del ceto creditorio. Tale scopo è positivamente perseguito dal legislatore
anche attraverso maggiori possibilità per i creditori di ottenere informazioni dal Commissario giudiziale (modifica all'art.
165 LF).
Interessante è anche la norma (art. 1 del DL, che incide sull'art. 182-quinquies LF) che favorisce i finanziamenti urgenti
per le necessità aziendali in attesa dell'omologa degli accordi di ristrutturazione dei debiti (Art. 182 bis L.F.) o
anche al momento di presentare la domanda di concordato “in bianco” (Art. 161 c. 6 L.F.): il Tribunale decide in 10
giorni con un procedimento snello, che incentiva la banca a concedere il prestito in quanto prededucibile.
Un'altra modifica di rilievo è disposta dall'art. 8 del DL, che incide sull'art. 169-bis della Legge fallimentare in tema di
contratti in corso di esecuzione al momento della domanda di concordato preventivo. Viene uniformata la disciplina del
concordato a quella del fallimento (ivi comprese le norme in tema di leasing), e vengono chiariti alcuni dubbi sulla
portata della precedente formulazione della norma, in primis la prededucibilità dei crediti per prestazioni rese dopo
l'ammissione al concordato e la possibilità di chiedere lo scioglimento/sospensione anche successivamente alla
presentazione della domanda di concordato.
Il legislatore, tuttavia, non ha chiarito se sospensione e scioglimento possano essere chiesti anche nel concordato "in
bianco": occorre quindi fare ancora rinvio all'applicazione concreta da parte dei Tribunali, che sembrano propendere ad
oggi per l'autorizzazione delle sole sospensioni.

Gli accordi di ristrutturazione


Il D.L. 83/15 ha poi di fatto introdotto un nuovo particolare “accordo di ristrutturazione” dei debiti (art. 182 septies
L.F.) con effetti per banche e intermediari finanziari.
Qualora l'impresa in crisi abbia contratto debiti verso intermediari finanziari pari almeno al 50% dell'indebitamento
complessivo, può individuare per tali creditori finanziari categorie omogenee, all'interno delle quali l'approvazione del
75% (del credito della categoria) rende efficace e vincolante l'accordo per tutti i membri del gruppo (fermo restando
l'integrale pagamento dei creditori non-finanziari).
Sostanzialmente, l'introduzione dell'art. 182 septies L.F. ha come fine quello di togliere a banche che vantino crediti di
modesta entità il potere di interdizione in relazione ad accordi di ristrutturazione che vedano l'adesione delle banche
creditrici maggiormente esposte.
Infatti, il debitore può ottenere dal Tribunale che l'accordo raggiunto valga (cioè venga omologato) anche per i creditori
finanziari non aderenti, se il giudice accerta che gli stessi sono stati informati delle trattative e che possono risultare
soddisfatti in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili. La portata della norma - sulle cui
intenzioni il giudizio non può che essere positivo nell'ottica della soluzione della crisi d'impresa - andrà comunque
valutata alla luce della sua concreta applicazione da parte dei Tribunali in sede di omologa degli accordi.
Analoga disciplina nei confronti dei creditori non aderenti è prevista dall'art. 9 del DL in tema di “accordi di moratoria”
(art. 182 septies L.F.), che il debitore può stipulare con le banche.
Tale accordo, attestato da un professionista ex art. 67 comma 3 lettera d) deve essere accettato da una maggioranza pari
ad almeno il 75% dei crediti finanziari e, a differenza di quello "di ristrutturazione”, non sconta l'omologa. Pare potersi
dire che tale accordo di moratoria finisca per soppiantare il vecchio "Piano di risanamento" ex art. 67 L.F.
Il fallimento
Il d.l. n. 83/2015 (artt. da 5 a 7) ha modificato e specificato i requisiti per la nomina a curatore (art. 28 LF), rendendoli
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più stringenti, a maggiore garanzia del ceto creditorio.


L'art. 6 del decreto inoltre, al fine di ridurre i termini di gestione delle procedure concorsuali, ha previsto un termine di 2
anni per la conclusione della liquidazione fallimentare e la possibilità, in caso di liquidazione dell'attivo, di chiudere il
fallimento anche in pendenza di cause (con possibilità di vedere anticipato il momento per l'emissione della nota di
variazione ex art. 26 DPR 633/72 ai fini del recupero IVA).
Infine, le controversie in cui è coinvolto un fallimento o un concordato preventivo godono di una corsia
preferenziale, dovendo essere trattate con priorità rispetto alle altre

La nuova legge fallimentare dopo il Dl 83/2015

Articolo 28
Requisiti per la nomina a curatore
Possono essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore:
a) avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti;
b) studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse abbiano i requisiti professionali
di cui alla lettera a). In tale caso, all’atto dell’accettazione dell’incarico, deve essere designata la persona fisica
responsabile della procedura;
c) coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni, dando prova di
adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia intervenuta nei loro confronti dichiarazione di fallimento.
abrogato
Non possono essere nominati curatore il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito, i creditori di questo
e chi ha concorso al dissesto dell’impresa durante i cinque anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, nonché
chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento. Non può altresì essere nominato curatore chi abbia svolto la
funzione di commissario giudiziale in relazione a procedura di concordato per il medesimo debitore, nonché chi sia unito
in associazione professionale con chi abbia svolto tale funzione.
Il curatore deve essere in possesso di una struttura organizzativa e di risorse che appaiano adeguate al fine del rispetto dei
tempi previsti dall’articolo 104- ter .
La sentenza pronunciata ai sensi dell’articolo 16 motiva specificamente in ordine alla sussistenza dei requisiti di cui al
terzo comma e tiene conto, anche alla luce delle risultanze dei rapporti riepilogativi di cui all’articolo 33, quinto comma,
delle eventuali indicazioni in ordine alla nomina del curatore espresse dai creditori nel corso del procedimento di cui
all’articolo 15.
È istituito presso il Ministero della giustizia un registro nazionale nel quale confluiscono i provvedimenti di nomina dei
curatori, dei commissari giudiziali e dei liquidatori giudiziali. Nel registro vengono altresì annotati i provvedimenti di
chiusura del fallimento e di omologazione del concordato, nonché l’ammontare dell’attivo e del passivo delle procedure
chiuse. Il registro è tenuto con modalità informatiche ed è accessibile al pubblico.

Articolo 104-ter
Programma di liquidazione
Entro sessanta giorni dalla redazione dell’inventario, e in ogni caso non oltre centottanta giorni dalla sentenza
dichiarativa di fallimento, il curatore predispone un programma di liquidazione da sottoporre all’approvazione del
comitato dei creditori. Il mancato rispetto di tale termine senza giustificato motivo è giusta causa di revoca del curatore.
Il programma costituisce l’atto di pianificazione e di indirizzo in ordine alle modalità e ai termini previsti per la
realizzazione dell’attivo, e deve specificare:
a) l’opportunità di disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa, o di singoli rami di azienda, ai sensi dell’ articolo 104,
ovvero l’opportunità di autorizzare l’affitto dell’azienda, o di rami, a terzi ai sensi dell’articolo 104-bis;
b) la sussistenza di proposte di concordato ed il loro contenuto;
c) le azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie da esercitare ed il loro possibile esito;
d) le possibilità di cessione unitaria dell’azienda, di singoli rami, di beni o di rapporti giuridici individuabili in blocco;
e) le condizioni della vendita dei singoli cespiti;
f) il termine entro il quale sarà completata la liquidazione
dell’attivo.
Il termine di cui alla lettera f) del precedente comma non può eccedere due anni dal deposito della sentenza di fallimento.
Nel caso in cui, limitatamente a determinati cespiti dell’attivo, il curatore ritenga necessario un termine maggiore, egli è
tenuto a motivare specificamente in ordine alle ragioni che giustificano tale maggior termine.
Il curatore, fermo restando quanto disposto dall’articolo 107, può essere autorizzato dal giudice delegato ad affidare ad
altri professionisti o società specializzate alcune incombenze della procedura di liquidazione dell’attivo.
Il comitato dei creditori può proporre al curatore modifiche al programma presentato.
Per sopravvenute esigenze, il curatore può presentare, con le modalità di cui ai commi primo, secondo e terzo, un
supplemento del piano di liquidazione.
Prima della approvazione del programma, il curatore può procedere alla liquidazione di beni, previa autorizzazione del
giudice delegato, sentito il comitato dei creditori se già nominato, solo quando dal ritardo può derivare pregiudizio
all’interesse dei creditori.
Il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può non acquisire all’attivo o rinunciare a liquidare uno o più
beni, se l’attività di liquidazione appaia manifestamente non conveniente. In questo caso, il curatore ne dà comunicazione
ai creditori i quali, in deroga a quanto previsto nell’articolo 51, possono iniziare azioni esecutive o cautelari sui beni
rimessi nella disponibilità del debitore.
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Il programma approvato è comunicato al giudice delegato che autorizza l’esecuzione degli atti a esso conformi.
Il mancato rispetto dei termini previsti dal programma di liquidazione senza giustificato motivo è giusta causa di revoca
del curatore.

Articolo 107
Modalità delle vendite
Le vendite e gli altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di liquidazione sono effettuati dal
curatore tramite procedure competitive anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate, salvo il
caso di beni di modesto valore, da parte di operatori esperti, assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima
informazione e partecipazione degli interessati. Le vendite e gli atti di liquidazione possono prevedere che il versamento
del prezzo abbia luogo ratealmente; si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 569, terzo
comma, terzo periodo, 574, primo comma, secondo periodo e 587, primo comma, secondo periodo, del codice di
procedura civile. In ogni caso, al fine di assicurare la massima informazione e partecipazione degli interessati, il curatore
effettua la pubblicità prevista dall’articolo 490, primo comma, del codice di procedura civile, almeno trenta giorni prima
dell’inizio della procedura competitiva.
Il curatore può prevedere nel programma di liquidazione che le vendite dei beni mobili, immobili e mobili registrati
vengano effettuate dal giudice delegato secondo le disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili.
Per i beni immobili e gli altri beni iscritti nei pubblici registri, prima del completamento delle operazioni di vendita, è
data notizia mediante notificazione da parte del curatore, a ciascuno dei creditori ipotecari o comunque muniti di
privilegio.
Il curatore può sospendere la vendita ove pervenga offerta irrevocabile d’acquisto migliorativa per un importo non
inferiore al dieci per cento del prezzo offerto.
Degli esiti delle procedure, il curatore informa il giudice delegato ed il comitato dei creditori, depositando in cancelleria
la relativa documentazione.
Se alla data di dichiarazione di fallimento sono pendenti procedure esecutive, il curatore può subentrarvi; in tale caso si
applicano le disposizione del codice di procedura civile; altrimenti su istanza del curatore il giudice dell’esecuzione
dichiara l’improcedibilità dell’esecuzione, salvi i casi di deroga di cui all’articolo 51.
Con regolamento del Ministro della giustizia, da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988,
n. 400, sono stabiliti requisiti di onorabilità e professionalità dei soggetti specializzati e degli operatori esperti dei quali il
curatore può avvalersi ai sensi del primo comma, nonché i mezzi di pubblicità e trasparenza delle operazioni di vendita.

Articolo 118
Casi di chiusura
Salvo quanto disposto nella sezione seguente per il caso di concordato, la procedura di fallimento si chiude:
1) se nel termine stabilito nella sentenza dichiarativa di fallimento non sono state proposte domande di ammissione al
passivo;
2) quando, anche prima che sia compiuta la ripartizione finale dell’attivo, le ripartizioni ai creditori raggiungono l’intero
ammontare dei crediti ammessi, o questi sono in altro modo estinti e sono pagati tutti i debiti e le spese da soddisfare in
prededuzione;
3) quando è compiuta la ripartizione finale dell’attivo;
4) quando nel corso della procedura si accerta che la sua prosecuzione non consente di soddisfare, neppure in parte, i
creditori concorsuali, né i crediti prededucibili e le spese di procedura. Tale circostanza può essere accertata con la
relazione o con i successivi rapporti riepilogativi di cui all’articolo 33.
Nei casi di chiusura di cui ai numeri 3) e 4), ove si tratti di fallimento di società il curatore ne chiede la cancellazione dal
registro delle imprese. La chiusura della procedura di fallimento della società nei casi di cui ai numeri 1) e 2) determina
anche la chiusura della procedura estesa ai soci ai sensi dell’articolo 147, salvo che nei confronti del socio non sia stata
aperta una procedura di fallimento come imprenditore individuale. La chiusura della procedura di fallimento nel caso di
cui al n. 3) non è impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore può mantenere la legittimazione
processuale, anche nei successivi stati e gradi del giudizio, ai sensi dell’articolo 43. In deroga all’articolo 35, anche le
rinunzie alle liti e le transazioni sono autorizzate dal giudice delegato. Le somme necessarie per spese future ed eventuali
oneri relativi ai giudizi pendenti, nonché le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti provvisoriamente
esecutivi e non ancora passati in giudicato, sono trattenute dal curatore secondo quanto previsto dall’articolo 117, comma
secondo. Dopo la chiusura della procedura di fallimento, le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti
definitivi e gli eventuali residui degli accantonamenti sono fatti oggetto di riparto supplementare fra i creditori secondo le
modalità disposte dal tribunale con il decreto di cui all’articolo 119. In relazione alle eventuali sopravvenienze attive
derivanti dai giudizi pendenti non si fa luogo a riapertura del fallimento. Qualora alla conclusione dei giudizi pendenti
consegua, per effetto di riparti, il venir meno dell’impedimento all’esdebitazione di cui al comma secondo dell’articolo
142, il debitore può chiedere l’esdebitazione nell’anno successivo al riparto che lo ha determinato.

Articolo 120
Effetti della chiusura
Con la chiusura cessano gli effetti del fallimento sul patrimonio del fallito e le conseguenti incapacità personali e
decadono gli organi preposti al fallimento.
Le azioni esperite dal curatore per l’esercizio di diritti derivanti dal fallimento non possono essere proseguite.
I creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti per
capitale e interessi, salvo quanto previsto dagli articoli 142 e seguenti.
Il decreto o la sentenza con la quale il credito è stato ammesso al passivo costituisce prova scritta per gli effetti di cui
all’articolo 634 del codice di procedura civile.
Nell’ipotesi di chiusura in pendenza di giudizi ai sensi dell’articolo 118, secondo comma, terzo periodo e seguenti, il
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giudice delegato e il curatore restano in carica ai soli fini di quanto ivi previsto. In nessun caso i creditori possono agire
su quanto è oggetto dei giudizi medesimi.

Articolo 161
Domanda di concordato
La domanda per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo è proposta con ricorso, sottoscritto dal debitore, al
tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale; il trasferimento della stessa intervenuto nell’anno
antecedente al deposito del ricorso non rileva ai fini della individuazione della competenza.
Il debitore deve presentare con il ricorso:
a) una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa;
b) uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi
crediti e delle cause di prelazione;
c) l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;
d) il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili;
e) un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta; in ogni caso, la
proposta deve indicare l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile procurata in favore di ciascun
creditore.
Il piano e la documentazione di cui ai commi precedenti devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista,
designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all’ articolo 67, terzo comma, lett. d), che attesti la veridicità dei
dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo. Analoga relazione deve essere presentata nel caso di modifiche
sostanziali della proposta o del piano.
Per la società la domanda deve essere approvata e sottoscritta a norma dell’articolo 152.
La domanda di concordato è comunicata al pubblico ministero ed è pubblicata, a cura del cancelliere, nel registro delle
imprese entro il giorno successivo al deposito in cancelleria.
L’imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre
esercizi e all’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti, riservandosi di presentare la
proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo entro un termine fissato dal giudice, compreso fra
sessanta e centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni. Nello stesso
termine, in alternativa e con conservazione sino all’omologazione degli effetti prodotti dal ricorso, il debitore può
depositare domanda ai sensi dell’articolo 182-bis, primo comma. In mancanza, si applica l’articolo 162, commi secondo e
terzo. Con decreto motivato che fissa il termine di cui al primo periodo, il tribunale può nominare il commissario
giudiziale di cui all’articolo 163, secondo comma, n. 3; si applica l’articolo 170, secondo comma. Il commissario
giudiziale, quando accerta che il debitore ha posto in essere una delle condotte previste dall’articolo 173, deve riferirne
immediatamente al tribunale che, nelle forme del procedimento di cui all’articolo 15 e verificata la sussistenza delle
condotte stesse, può, con decreto, dichiarare improcedibile la domanda e, su istanza del creditore o su richiesta del
pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale
sentenza reclamabile a norma dell’articolo 18.
Dopo il deposito del ricorso e fino al decreto di cui all’articolo 163 il debitore può compiere gli atti urgenti di
straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni e deve
acquisire il parere del commissario giudiziale, se nominato. Nello stesso periodo e a decorrere dallo stesso termine il
debitore può altresì compiere gli atti di ordinaria amministrazione. I crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli
atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili ai sensi dell’articolo 111.
Con il decreto che fissa il termine di cui al sesto comma, primo periodo, il tribunale deve disporre gli obblighi informativi
periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell’impresa e all’attività compiuta ai fini della predisposizione della
proposta e del piano, che il debitore deve assolvere, con periodicità almeno mensile e sotto la vigilanza del commissario
giudiziale se nominato, sino alla scadenza del termine fissato. Il debitore, con periodicità mensile, deposita una situazione
finanziaria dell’impresa che, entro il giorno successivo, è pubblicata nel registro delle imprese a cura del cancelliere. In
caso di violazione di tali obblighi, si applica l’articolo 162, commi secondo e terzo. Quando risulta che l’attività compiuta
dal debitore è manifestamente inidonea alla predisposizione della proposta e del piano, il tribunale, anche d’ufficio,
sentito il debitore e il commissario giudiziale se nominato, abbrevia il termine fissato con il decreto di cui al sesto
comma, primo periodo. Il tribunale può in ogni momento sentire i creditori.
La domanda di cui al sesto comma è inammissibile quando il debitore, nei due anni precedenti, ha presentato altra
domanda ai sensi del medesimo comma alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura di concordato
preventivo o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.
Fermo restando quanto disposto dall’articolo 22, primo comma, quando pende il procedimento per la dichiarazione di
fallimento il termine di cui al sesto comma del presente articolo è di sessanta giorni, prorogabili, in presenza di
giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni.

Articolo 163
Ammissione alla procedura e proposte concorrenti
Il tribunale, ove non abbia provveduto a norma dell’ articolo 162, commi primo e secondo, con decreto non soggetto a
reclamo, dichiara aperta la procedura di concordato preventivo; ove siano previste diverse classi di creditori, il tribunale
provvede analogamente previa valutazione della correttezza dei criteri di formazione delle diverse classi.
Con il provvedimento di cui al primo comma, il tribunale:
1) delega un giudice alla procedura di concordato;
2) ordina la convocazione dei creditori non oltre centoventi giorni dalla data del provvedimento e stabilisce il termine per
la comunicazione di questo ai creditori;
3) nomina il commissario giudiziale osservate le disposizioni degli articoli 28 e 29;
4) stabilisce il termine non superiore a quindici giorni entro il quale il ricorrente deve depositare nella cancelleria del
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tribunale la somma pari al 50 per cento delle spese che si presumono necessarie per l’intera procedura, ovvero la diversa
minor somma, non inferiore al 20 per cento di tali spese, che sia determinata dal giudice. Su proposta del commissario
giudiziale, il giudice delegato può disporre che le somme riscosse vengano investite secondo quanto previsto dall’
articolo 34, primo comma.
Qualora non sia eseguito il deposito prescritto, il commissario giudiziale provvede a norma dell’articolo 173, primo
comma.
Uno o più creditori che, anche per effetto di acquisti successivi alla presentazione della domanda di cui all’articolo 161,
rappresentano almeno il dieci per cento dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata ai sensi dell’articolo
161, secondo comma, lettera a) , possono presentare una proposta concorrente di concordato preventivo e il relativo piano
non oltre trenta giorni prima dell’adunanza dei creditori. Ai fini del computo della percentuale del dieci per cento, non si
considerano i crediti della società che controlla la società debitrice, delle società da questa controllate e di quelle
sottoposte a comune controllo. La relazione di cui al comma terzo dell’articolo 161 può essere limitata alla fattibilità del
piano per gli aspetti che non siano già oggetto di verifica da parte del commissario giudiziale, e può essere omessa
qualora non ve ne siano.
Le proposte di concordato concorrenti sono ammissibili se non risulta che la proposta di concordato del debitore assicura
il pagamento, ancorché dilazionato, di almeno il quaranta per cento dell’ammontare dei crediti chirografari. La proposta
può prevedere l’intervento di terzi e, se il debitore ha la forma di società per azioni o a responsabilità limitata, può
prevedere un aumento di capitale della società con esclusione o limitazione del diritto d’opzione.
I creditori che presentano una proposta di concordato concorrente hanno diritto di voto sulla medesima solo se collocati
in una autonoma classe.
Qualora la proposta concorrente preveda diverse classi di creditori essa, prima di essere comunicata ai creditori ai sensi
del secondo comma dell’articolo 171, deve essere sottoposta al giudizio del tribunale che verifica la correttezza dei criteri
di formazione delle diverse classi.

Articolo 163 -bis


Offerte concorrenti
Quando il piano di concordato di cui all’articolo 161, secondo comma, lettera e) comprende una offerta da parte di un
soggetto già individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore e verso un corrispettivo in denaro dell’azienda o
di uno o più rami d’azienda o di specifici beni, il commissario è tenuto a valutare, motivando le proprie conclusioni, la
congruità dell’offerta, tenuto conto dei termini e delle condizioni della stessa, del corrispettivo e delle caratteristiche
dell’offerente. L’offerta e il piano possono prevedere che il trasferimento abbia luogo prima dell’omologazione. Nel caso
in cui il commissario ritenga, alla luce di manifestazioni di interesse comunque pervenute, del valore dell’azienda o del
bene, che l’offerta contemplata dal piano possa non corrispondere al miglior interesse dei creditori, chiede al tribunale,
con istanza motivata, di aprire un procedimento competitivo. L’offerta e il piano possono prevedere che il trasferimento
abbia luogo prima dell’omologazione.
Il tribunale, sentito il commissario, decide sull’istanza ovvero dispone d’ufficio l’apertura di un procedimento
competitivo, tenuto conto del valore dell’azienda o del bene, nonché della probabilità di conseguire una migliore
soddisfazione dei creditori. Il decreto che dispone l’apertura del procedimento competitivo stabilisce le modalità di
presentazione di offerte irrevocabili, prevedendo che ne sia assicurata in ogni caso la comparabilità, i requisiti di
partecipazione degli offerenti, le forme e i tempi di accesso alle informazioni rilevanti, gli eventuali limiti al loro utilizzo
e le modalità con cui il commissario deve fornirle a coloro che ne fanno richiesta, la data dell’udienza per l’esame delle
offerte, le modalità di svolgimento della procedura competitiva, le garanzie che devono essere prestate dagli offerenti e le
forme di pubblicità del decreto. L’offerta di cui al primo comma diviene irrevocabile dal momento in cui viene
modificata l’offerta in conformità a quanto previsto dal decreto di cui al presente comma e viene prestata la garanzia
stabilita con il medesimo decreto. Le offerte, da presentarsi in forma segreta, non sono efficaci se non conformi a quanto
previsto dal decreto e, in ogni caso, quando sottoposte a condizione.
Le offerte sono rese pubbliche all’udienza fissata per l’esame delle stesse, alla presenza degli offerenti e di qualunque
interessato. Se sono state presentate più offerte migliorative, il giudice dispone la gara tra gli offerenti. La gara può avere
luogo alla stessa udienza o ad un’udienza immediatamente successiva e deve concludersi prima dell’adunanza dei
creditori, anche quando il piano prevede che la vendita o l’aggiudicazione abbia luogo dopo l’omologazione. In ogni
caso, con la vendita o con l’aggiudicazione, se precedente, a soggetto diverso da colui che ha presentato l’offerta di cui al
primo comma, quest’ultimo è liberato dalle obbligazioni eventualmente assunte nei confronti del debitore e in suo favore
il commissario dispone il rimborso delle spese e dei costi sostenuti per la formulazione dell’offerta entro il limite
massimo del tre per cento del prezzo in essa indicato.
Il debitore deve modificare la proposta e il piano di concordato in conformità all’esito della gara.
La disciplina del presente articolo si applica, in quanto compatibile, anche agli atti da autorizzare ai sensi dell’articolo
161, settimo comma, nonché all’affitto di azienda o di uno o più rami di azienda.

Articolo 165
Commissario giudiziale
Il commissario giudiziale è, per quanto attiene all’esercizio delle sue funzioni, pubblico ufficiale.
Si applicano al commissario giudiziale gli articoli 36, 37, 38 e 39.
Il commissario giudiziale fornisce ai creditori che ne fanno richiesta, valutata la congruità della richiesta medesima e
previa assunzione di opportuni obblighi di riservatezza, le informazioni utili per la presentazione di proposte concorrenti,
sulla base delle scritture contabili e fiscali obbligatorie del debitore, nonché ogni altra informazione rilevante in suo
possesso. In ogni caso si applica il divieto di cui all’articolo 124, comma primo, ultimo periodo.
La disciplina di cui al terzo comma si applica anche in caso di richieste, da parte di creditori o di terzi, di informazioni
utili per la presentazione di offerte ai sensi dell’articolo 163- bis .

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Articolo 169-bis
Contratti pendenti
Il debitore con il ricorso di cui all’articolo 161 o successivamente può chiedere che il Tribunale o, dopo il decreto di
ammissione, il giudice delegato con decreto motivato sentito l’altro contraente, assunte, ove occorra, sommarie
informazioni, lo autorizzi a sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione alla data della presentazione del ricorso. Su
richiesta del debitore può essere autorizzata la sospensione del contratto per non più di sessanta giorni, prorogabili una
sola volta. Lo scioglimento o la sospensione del contratto hanno effetto dalla comunicazione del provvedimento
autorizzativo all’altro contraente.
In tali casi, il contraente ha diritto ad un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato
adempimento. Tale credito è soddisfatto come credito anteriore al concordato, ferma restando la prededuzione del credito
conseguente ad eventuali prestazioni eseguite legalmente e in conformità agli accordi o agli usi negoziali, dopo la
pubblicazione della domanda ai sensi dell’articolo 161.
Lo scioglimento del contratto non si estende alla clausola compromissoria in esso contenuta.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai rapporti di lavoro subordinato nonché ai contratti di cui agli articoli
72, ottavo comma, 72-ter e 80, primo comma.
In caso di scioglimento del contratto di locazione finanziaria, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto
a versare al debitore l’eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene
stesso avvenute a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale. La somma versata al debitore a norma del
periodo precedente è acquisita alla procedura. Il concedente ha diritto di far valere verso il debitore un credito
determinato nella differenza tra il credito vantato alla data del deposito della domanda e quanto ricavato dalla nuova
allocazione del bene. Tale credito è soddisfatto come credito anteriore al concordato.

Articolo 172
Operazioni e relazione del commissario
Il commissario giudiziale redige l’inventario del patrimonio del debitore e una relazione particolareggiata sulle cause del
dissesto, sulla condotta del debitore, sulle proposte di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori, e la deposita in
cancelleria almeno quarantacinque giorni prima dell’adunanza dei creditori. Nello stesso termine la comunica a mezzo
posta elettronica certificata a norma dell’articolo 171, secondo comma.
Qualora nel termine di cui al quarto comma dell’articolo 163 siano depositate proposte concorrenti, il commissario
giudiziale riferisce in merito ad esse con relazione integrativa da depositare in cancelleria e comunicare ai creditori, con
le modalità di cui all’articolo 171, secondo comma, almeno dieci giorni prima dell’adunanza dei creditori. La relazione
integrativa contiene, di regola, una particolareggiata comparazione tra tutte le proposte depositate. Le proposte di
concordato, ivi compresa quella presentata dal debitore, possono essere modificate fino a quindici giorni prima
dell’adunanza dei creditori. Analoga relazione integrativa viene redatta qualora emergano informazioni che i creditori
devono conoscere ai fini dell’espressione del voto.
Su richiesta del commissario il giudice può nominare uno stimatore che lo assista nella valutazione dei beni.

Articolo 175
Discussione della proposta di concordato
Nell’adunanza dei creditori il commissario giudiziale illustra la sua relazione e le proposte definitive del debitore e quelle
eventualmente presentate dai creditori ai sensi dell’articolo 163, comma quarto.
abrogato
Ciascun creditore può esporre le ragioni per le quali non ritiene ammissibili o convenienti le proposte di concordato e
sollevare contestazioni sui crediti concorrenti. Il debitore può esporre le ragioni per le quali non ritiene ammissibili o
fattibili le eventuali proposte concorrenti.
Il debitore ha facoltà di rispondere e contestare a sua volta i crediti, e ha il dovere di fornire al giudice gli opportuni
chiarimenti.
Sono sottoposte alla votazione dei creditori tutte le proposte presentate dal debitore e dai creditori, seguendo, per queste
ultime, l’ordine temporale del loro deposito.

Articolo 177
Maggioranza per l’approvazione del concordato
Il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Ove siano previste
diverse classi di creditori, il concordato è approvato se tale maggioranza si verifica inoltre nel maggior numero di classi.
Quando sono poste al voto più proposte di concordato ai sensi dell’articolo 175, quinto comma, si considera approvata la
proposta che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto; in caso di parità, prevale quella del
debitore o, in caso di parità fra proposte di creditori, quella presentata per prima. Quando nessuna delle proposte
concorrenti poste al voto sia stata approvata con le maggioranze di cui al primo e secondo periodo del presente comma, il
giudice delegato, con decreto da adottare entro trenta giorni dal termine di cui al quarto comma dell’articolo 178, rimette
al voto la sola proposta che ha conseguito la maggioranza relativa dei crediti ammessi al voto, fissando il termine per la
comunicazione ai creditori e il termine a partire dal quale i creditori, nei venti giorni successivi, possono far pervenire il
proprio dissenso con le modalità previste dal predetto articolo. In ogni caso si applicano il primo e secondo periodo del
presente comma.
I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, ancorché la garanzia sia contestata, dei quali la proposta di concordato
prevede l’integrale pagamento, non hanno diritto al voto se non rinunciano in tutto od in parte al diritto di prelazione.
Qualora i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca rinuncino in tutto o in parte alla prelazione, per la parte del
credito non coperta dalla garanzia sono equiparati ai creditori chirografari; la rinuncia ha effetto ai soli fini del
concordato.
I creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell’ articolo 160, la
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soddisfazione non integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito.
Sono esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze il coniuge del debitore, i suoi parenti e affini fino al quarto grado,
la società che controlla la società debitrice, le società da questa controllate e quelle sottoposte a comune controllo, nonché
i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della proposta di concordato.

Articolo 182
Cessioni
Se il concordato consiste nella cessione dei beni e non dispone diversamente, il tribunale nomina nel decreto di
omologazione uno o più liquidatori e un comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione e determina le
altre modalità della liquidazione. In tal caso, il tribunale dispone che il liquidatore effettui la pubblicità prevista
dall’articolo 490, primo comma, del codice di procedura civile e fissa il termine entro cui la stessa deve essere eseguita.
Si applicano ai liquidatori gli articoli 28, 29, 37, 38, 39 e 116 in quanto compatibili.
Si applicano al comitato dei creditori gli articoli 40 e 41 in quanto compatibili. Alla sostituzione dei membri del comitato
provvede in ogni caso il tribunale.
Le vendite di aziende e rami di aziende, beni immobili e altri beni iscritti in pubblici registri, nonché le cessioni di attività
e passività dell’azienda e di beni o rapporti giuridici individuali in blocco devono essere autorizzate dal comitato dei
creditori.
Alle vendite, alle cessioni e ai trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in
esecuzione di questo, si applicano gli articoli da 105 a 108-ter in quanto compatibili. La cancellazione delle iscrizioni
relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro
vincolo, sono effettuati su ordine del giudice, salvo diversa disposizione contenuta nel decreto di omologazione per gli
atti a questa successivi.
Si applica l’articolo 33, quinto comma, primo, secondo e terzo periodo, sostituendo al curatore il liquidatore, che
provvede con periodicità semestrale dalla nomina. Quest’ultimo comunica a mezzo di posta elettronica certificata altra
copia del rapporto al commissario giudiziale, che a sua volta lo comunica ai creditori a norma dell’articolo 171, secondo
comma.

Articolo 182-quinquies
Disposizioni in tema di finanziamento e di continuità aziendale nel concordato preventivo e negli accordi di
ristrutturazione dei debiti
Il debitore che presenta, anche ai sensi dell’articolo 161, sesto comma, una domanda di ammissione al concordato
preventivo o una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’articolo 182-bis,
primo comma, o una proposta di accordo ai sensi dell’articolo 182-bis, sesto comma, può chiedere al tribunale di essere
autorizzato, anche prima del deposito della documentazione di cui all’articolo 161, commi secondo e terzo, assunte se del
caso sommarie informazioni, a contrarre finanziamenti, prededucibili ai sensi dell’articolo 111, se un professionista
designato dal debitore in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), verificato il complessivo
fabbisogno finanziario dell’impresa sino all’omologazione, attesta che tali finanziamenti sono funzionali alla migliore
soddisfazione dei creditori.
L’autorizzazione di cui al primo comma può riguardare anche finanziamenti individuati soltanto per tipologia ed entità, e
non ancora oggetto di trattative.
Il debitore che presenta una domanda di ammissione al concordato preventivo ai sensi dell’articolo 161, sesto comma,
anche in assenza del piano di cui all’articolo 161, secondo comma, lettera e) , o una domanda di omologazione di un
accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’articolo 182-bis, primo comma, o una proposta di accordo ai sensi
dell’articolo 182- bis , sesto comma, può chiedere al tribunale di essere autorizzato in via d’urgenza a contrarre
finanziamenti, prededucibili ai sensi dell’articolo 111, funzionali a urgenti necessità relative all’esercizio dell’attività
aziendale fino alla scadenza del termine fissato dal tribunale ai sensi dell’articolo 161, sesto comma, o all’udienza di
omologazione di cui all’articolo 182- bis , quarto comma, o alla scadenza del termine di cui all’articolo 182- bis , settimo
comma. Il ricorso deve specificare la destinazione dei finanziamenti, che il debitore non è in grado di reperire altrimenti
tali finanziamenti e che, in assenza di tali finanziamenti, deriverebbe un pregiudizio imminente ed irreparabile
all’azienda. Il tribunale, assunte sommarie informazioni sul piano e sulla proposta in corso di elaborazione, sentito il
commissario giudiziale se nominato, e, se del caso, sentiti senza formalità i principali creditori, decide in camera di
consiglio con decreto motivato, entro dieci giorni dal deposito dell’istanza di autorizzazione. La richiesta può avere ad
oggetto anche il mantenimento di linee di credito autoliquidanti in essere al momento del deposito della domanda.
Il tribunale può autorizzare il debitore a concedere pegno o ipoteca o a cedere crediti a garanzia dei medesimi
finanziamenti.
Il debitore che presenta domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, anche ai sensi
dell’articolo 161, sesto comma, può chiedere al tribunale di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie
informazioni, a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, se un professionista in possesso dei requisiti di
cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione della attività di
impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori. L’attestazione del professionista non è
necessaria per pagamenti effettuati fino a concorrenza dell’ammontare di nuove risorse finanziarie che vengano apportate
al debitore senza obbligo di restituzione o con obbligo di restituzione postergato alla soddisfazione dei creditori.
Il debitore che presenta una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’articolo
182-bis, primo comma, o una proposta di accordo ai sensi dell’articolo 182-bis, sesto comma, può chiedere al Tribunale
di essere autorizzato, in presenza dei presupposti di cui al quarto comma, a pagare crediti anche anteriori per prestazioni
di beni o servizi. In tal caso i pagamenti effettuati non sono soggetti all’azione revocatoria di cui all’articolo 67.

Articolo 182-septies
Accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari
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e convenzione di moratoria
Quando un’impresa ha debiti verso banche e intermediari finanziari in misura non inferiore alla metà dell’indebitamento
complessivo, la disciplina di cui all’articolo 182- bis , in deroga agli articoli 1372 e 1411 del codice civile, è integrata
dalle disposizioni contenute nei commi secondo, terzo e quarto. Restano fermi i diritti dei creditori diversi da banche e
intermediari finanziari.
L’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182- bis può individuare una o più categorie tra i creditori di cui
al primo comma che abbiano fra loro posizione giuridica e interessi economici omogenei. In tal caso, con il ricorso di cui
al primo comma di tale articolo, il debitore può chiedere che gli effetti dell’accordo vengano estesi anche ai creditori non
aderenti che appartengano alla medesima categoria, quando tutti i creditori della categoria siano stati informati dell’avvio
delle trattative e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e i crediti delle banche e degli intermediari
finanziari aderenti rappresentino il settantacinque per cento dei crediti della categoria. Una banca o un intermediario
finanziario può essere titolare di crediti inseriti in più di una categoria. I creditori ai quali il debitore chiede di estendere
gli effetti dell’accordo sono considerati aderenti all’accordo ai fini del raggiungimento della soglia del sessanta per cento
di cui al primo comma dell’articolo 182- bis .
Ai fini di cui al precedente comma non si tiene conto delle ipoteche giudiziali iscritte dalle banche o dagli intermediari
finanziari nei novanta giorni che precedono la data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese.
Il debitore, oltre agli adempimenti pubblicitari già previsti, deve notificare il ricorso e la documentazione di cui al primo
comma dell’articolo 182- bis alle banche e agli intermediari finanziari ai quali chiede di estendere gli effetti dell’accordo.
Per costoro il termine per proporre l’opposizione di cui al quarto comma del medesimo articolo decorre dalla data della
notificazione del ricorso. Il tribunale procede all’omologazione previo accertamento che le trattative si siano svolte in
buona fede e che le banche e gli intermediari finanziari ai quali il debitore chiede di estendere gli effetti dell’accordo:
a) abbiano posizione giuridica e interessi economici omogenei rispetto a quelli delle banche e degli intermediari
finanziari aderenti;
b) abbiano ricevuto complete ed aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del
debitore nonché sull’accordo e sui suoi effetti, e siano stati messi in condizione di partecipare alle trattative;
c) possano risultare soddisfatti, in base all’accordo, in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente
praticabili.
Quando fra l’impresa debitrice e una o più banche o intermediari finanziari viene stipulata una convenzione diretta a
disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi attraverso una moratoria temporanea dei crediti nei confronti di una o
più banche o intermediari finanziari e sia raggiunta la maggioranza di cui al secondo comma, questa, in deroga agli
articoli 1372 e 1411 del codice civile, produce effetti anche nei confronti delle banche e degli intermediari finanziari non
aderenti se questi siano stati informati dell’avvio delle trattative e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona
fede, e un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d) , attesti l’omogeneità della
posizione giuridica e degli interessi economici fra i creditori interessati dalla moratoria.
Nel caso previsto dal comma precedente, le banche e gli intermediari finanziari non aderenti alla convenzione possono
proporre opposizione entro trenta giorni dalla comunicazione della convenzione stipulata, accompagnata dalla relazione
del professionista ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d) . La comunicazione deve essere effettuata,
alternativamente, mediante lettera raccomandata o posta elettronica certificata. Con l’opposizione, la banca o
l’intermediario finanziario può chiedere che la convenzione non produca effetti nei suoi confronti. Il tribunale, con
decreto motivato, decide sulle opposizioni, verificando la sussistenza delle condizioni di cui al comma quarto, terzo
periodo. Nel termine di quindici giorni dalla comunicazione, il decreto del tribunale è reclamabile alla corte di appello, ai
sensi dell’articolo 183.
In nessun caso, per effetto degli accordi e convenzioni di cui ai commi precedenti, ai creditori non aderenti può essere
imposta l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare
affidamenti esistenti o l’erogazione di nuovi finanziamenti. Agli effetti del presente articolo non è considerata nuova
prestazione la prosecuzione della concessione del godimento di beni oggetto di contratti di locazione finanziaria già
stipulati.

Articolo 185
Esecuzione del concordato
Dopo l’omologazione del concordato, il commissario giudiziale ne sorveglia l’adempimento, secondo le modalità
stabilite nella sentenza di omologazione. Egli deve riferire al giudice ogni fatto dal quale possa derivare pregiudizio ai
creditori.
Si applica il secondo comma dell’articolo 136.
Il debitore è tenuto a compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla proposta di concordato presentata da uno o più
creditori, qualora sia stata approvata e omologata.
Nel caso in cui il commissario giudiziale rilevi che il debitore non sta provvedendo al compimento degli atti necessari a
dare esecuzione alla suddetta proposta o ne sta ritardando il compimento, deve senza indugio riferirne al tribunale. Il
tribunale, sentito il debitore, può attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari a provvedere in luogo del debitore
al compimento degli atti a questo richiesti.
Il soggetto che ha presentato la proposta di concordato approvata e omologata dai creditori può denunziare al tribunale i
ritardi o le omissioni da parte del debitore, mediante ricorso al tribunale notificato al debitore e al commissario giudiziale,
con il quale può chiedere al tribunale di attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari a provvedere in luogo del
debitore al compimento degli atti a questo richiesti.
Fermo restando il disposto dell’articolo 173, il tribunale, sentiti in camera di consiglio il debitore e il commissario
giudiziale, può revocare l’organo amministrativo, se si tratta di società, e nominare un amministratore giudiziario
stabilendo la durata del suo incarico e attribuendogli il potere di compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla
suddetta proposta, ivi incluso, qualora tale proposta preveda un aumento del capitale sociale del debitore, la
convocazione dell’assemblea straordinaria dei soci avente ad oggetto la delibera di tale aumento di capitale e l’esercizio
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del voto nella stessa. Quando è stato nominato il liquidatore a norma dell’articolo 182, i compiti di amministratore
giudiziario possono essere a lui attribuiti.

Articolo 236
Concordato preventivo e, accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari, e convenzione di moratoria e
amministrazione controllata
È punito con la reclusione da uno a cinque anni l’imprenditore, che, al solo scopo di essere ammesso alla procedura di
concordato preventivo o di ottenere l’omologazione di un accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari o il
consenso degli intermediari finanziari alla sottoscrizione della convenzione di moratoria di amministrazione controllata,
siasi attribuito attività inesistenti, ovvero, per influire sulla formazione delle maggioranze, abbia simulato crediti in tutto
o in parte inesistenti.
Nel caso di concordato preventivo o di amministrazione controllata, si applicano:
1) le disposizioni degli artt. 223 e 224 agli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società;
2) la disposizione dell’art. 227 agli institori dell’imprenditore;
3) le disposizioni degli artt. 228 e 229 al commissario del concordato preventivo o dell’amministrazione controllata;
4) le disposizioni degli artt. 232 e 233 ai creditori.
Nel caso di accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari o di convenzione di moratoria, si applicano le
disposizioni previste dal secondo comma, numeri 1), 2) e 4).

Articolo 236-bis
Falso in attestazioni e relazioni
Il professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui agli articoli 67, terzo comma, lettera d), 161, terzo comma, 182-
bis, 182-quinquies , 182- septies e 186-bis espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti, è
punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro.
Se il fatto è commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per sè o per altri, la pena è aumentata.
Se dal fatto consegue un danno per i creditori la pena è aumentata fino alla metà.

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