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Lezione 20 – 20 aprile

Qualche precisazione: nell'elegia nona del primo libro di Tibullo. le bruciature le percosse che
vengono inflitte al poeta, in realtà, sono causate da Marato. Questo è vero, ma la cosa importante da
mettere in luce è che per la prima volta nella lettura occidentale compare l'associazione del dolore e
delle percosse, dell'umiliazione di un maschio al piacere sessuale. Anche se non sappiamo poi bene
quale fosse la realtà però a livello di dimensione erotica è importante notare questo cambiamento:
mentre i greci prediligono la “dolcezza” per quanto riguarda le cose dell'amore, nell'elegia latina si
assiste ad un cambiamento molto importante.
Seconda precisazione: si può associare Nemesi a Diana? A questa domanda né il prof, né i
commentatori riescono a dare delle risposte. Questo forse è dato anche dal fatto che l'elegia, o
meglio il corpo degli elegiaci Tibullo e Properzio, sia stata tramandata in codici di età umanistica.
Al contrario, le opere di Virgilio, per esempio, hanno avuto una tradizione ininterrotta dall'antichità
fino al Rinascimento: abbiamo i papiri, i manoscritti tardo-antichi (il Codice Vaticano, il Romano, il
Mediceo) di Virgilio. In età carolingia poi, nei manoscritti sono stati trascritti anche i commenti
come quelli di Servio, di Donato (tutte le interpretazioni tardoantiche, ne abbiamo veramente molte)
e questo ci ha permesso di ricostruire tutto il retroterra culturale e lo sfondo storico, insieme anche
ad altre notizie, di questi poeti. Basterebbe prendere in mano Servio per farcene subito un'idea
molto precisa. Per questi due elegiaci (Tibullo e Properzio) non è stato così. Ovidio, che è il terzo
poeta elegiaco, ha una tradizione ampiamente medievale, tuttavia non abbiamo dei commenti
antichi. Perché? Perché gli elegiaci non erano poeti adatti alla scuola. Erano sicuramente presenti
anche in Virgilio delle allusioni erotico-sessuali (scena della caverna tra Didone ed Enea) ma
Virgilio era un mostro sacro e inoltre, il contenuto dell’Eneide era sicuramente più adatto alla
scuola rispetto ai Carmina di Tibullo, Properzio e Ovidio.
Queste domande, quindi, rimangono per forza di cose senza una risposta certa anche se lasciano
spazio alle varie ipotesi interpretative.
ELEGIA II.5
È molto lunga rispetto alle altre, conta 122 vv. Sembra, inoltre, appartenere ad un genere diverso
rispetto all’elegia. È un carme espressamente richiesto da Messalla? In effetti, l’evento da cui
scaturisce questo carme è l'ingresso di Messalino nel corpo dei sacerdoti che si occupavano della
custodia dei libri sibillini, anche se il testo non ci informa di questa notizia. La conosciamo, però,
grazie ad un’iscrizione, contenuta nel terzo volume del CIL (Corpus Inscriptionum Latinarum), è la
3242-3243. Il testo epigrafico ci dà notizia dell'elezione di Messalino, il figlio di Messalla ( il
patrono di Tibullo) fra i membri di questo collegio sacrale, il quale era molto più antico (la sua
fondazione viene attribuita a Tarquinio, quindi siamo alle origini di Roma).
I riferimenti a Messalino sono:
- quello religioso, infatti vi è l’invocazione ad Apollo, in quanto questo collegio aveva delle
prerogative religiose;
- e poi al verso 115:
Traduzione: perché io celebri Messalino quando le città vinte/conquistate scorreranno davanti ai
suoi carri (quindi immagina il trionfo di Messalino in cui ci sarà anche il padre)
E poi ai vv. 119-120 dice: Allora il mio Messalla, cioè il mio patrono (meus  qui ha un senso
affettivo) offrirà al popolo/alla folla (turbae) degli spettacoli devoti, e lui come padre/da padre
applaudirà mentre il carro trionfale del figlio gli passerà davanti (praetereunte)
Questi sono i riferimenti che fa, oltre a quello iniziale al verso 17 con l’invocazione ad Apollo 
Phoebe, sacras Messallinum sine tangere chartas: Apollo stesso gli permetterà di toccare le sacre
carte (i libri sacri).
Il testo non ci dice altro, né aggiunge ulteriori informazioni, ma possiamo immaginare che Tibullo
abbia preso spunto da questa occasione per celebrare Messalla, che era il suo patrono. Non
sappiamo se Messalla fosse stato ricco o povero, probabilmente non era povero, ma di sicuro faceva
parte di questo circolo culturale che viveva l'ideologia augustea da una posizione più dimessa.
STRUTTURA TEMATICA:
1-18: Invocazione ad Apollo
1-2  introduzione tematica: novus sacerdos
3-10  rappresentazione di Apollo
11-16  Apollo e la profezia
17-18  distico di passaggio: Messallino

19-64: Enea
19-22  la fuga di Enea da Troia
23-38  idillio di campagna
39-64  discorso della Sibilla all’impiger Aenea
39-54: avvenimenti futuri della storia di Roma;
55-62: grandezza di Roma;
63-64: contenuto di verità della veggenza.

65-66: distico di passaggio


67-78: vecchie predizioni e premonizioni di guerra
79-82: distici di passaggio: esortazione ad Apollo a predire un futuro migliore
83-104: idillio di pace
83-94: vita campestre
95-100: gioventù
101-104: feste come ambientazione amorosa

105-106: Apollo e Cupido (entrambi hanno le frecce: il primo uccide, il secondo fa innamorare)

Il discorso sull'elegia come genere tutto sommato aperto, senza dei confini chiusi, funziona. È
proprio un genere letterario che permette delle ingressioni da parte di altri generi letterari.
Possiamo dire che in questa elegia ci sono tre contenuti estranei all’elegia:
- l’inno
- un contenuto epico
- un contenuto panegirico
Ritornando alla domanda: è un carme espressamente richiesto da Messalla?
Sembrerebbe un'elegia condizionata del fatto di dover celebrare Messalino, cioè di “dover scrivere”.
Quindi, chiede a Nemesi di risparmiarlo, di non farlo soffrire perché deve scrivere per celebrare
Messalino. In ogni caso, resta un’impressione: non abbiamo delle spie verbali che ci dicano
qualcosa in più. Sicuramente c'è stato un input esterno, dato appunto dall'occasione, che lo ha spinto
a scrivere questo componimento però non abbiamo degli elementi sicuri e certi per dirlo. Potrebbe
essere un’ipotesi probabile, ma niente di certo perviene dal testo.
Leggiamo i versi 1-18:

Questa sezione contiene un inno cletico, (da “caleo” che dal greco significa: “chiamo, invoco”): è
l’inno di invocazione. Al v.2 abbiamo Hue age cum cithara carminibusque veni: su via, vieni qui; al
v. 6: ad tua sacra veni; al v.7: Sed nitidus pulcherque veni. Quindi c’è proprio un’invocazione a
partecipare a questo rito.
Traduzione:
1-4: Ora Febo, sii favorevole/propizio, un nuovo membro sacerdotale entra nei tuoi templi: qui,
forza, vieni con la cetra e le poesie ( quindi Apollo viene nominato con il suo strumento tipico,
che è la cetra). Ora prego che tu tocchi con il pollice le corde sonore (quelle della cetra sono nove),
ora prego che le tue parole modulino a ritmo della lode.
Attenzione al verso 4. Luck riporta: Nunc precor ad laudes flectere verba novas.
Il professore fa riferimento alla versione che troviamo nelle note:

laudis ... modos sono due rese tramandate solamente da un solo manoscritto.
In realtà, quasi tutti i manoscritti hanno: laudes ... tuas  secondo questi manoscritti la traduzione
sarebbe: “ora prego/mi auguro/faccio suppliche che tu ti muova/che tu venga alle tue lodi”. Cambia
un po’ l’interpretazione. Sembra essere proprio una lectio difficilior cioè: la lezione più difficile è
stata banalizzata e resa più facile da un amanuense/scriba e poi si è imposta su tutte le altre.
(Quella di Luck che abbiamo in PDF è la seconda edizione (del 1998), il professore ha quella più
vecchia (1988), per questo abbiamo due versioni diverse)
Traduzione verso 4: Nunc precor ad laudes flectere verba novas  ora prego che tu moduli le tue
parole a seconda delle tue lodi.
L’editore ha scelto l’emendamento di Vahlen. Guardiamo il verbo precor. Ha dato l’italiano
“prego”. È costruito con l’infinito, infatti troviamo precor flectere e precor impellere.
Questa costruzione è piuttosto rara, in genere si costruisce con il congiuntivo.
Tutto questo distico però utilizza una costruzione piuttosto rara, quella con l’infinito, perché vuole
impreziosire lo stile dell'inno.
5-18: Tu stesso vieni/giungi ai tuoi riti (sacra), cinto nelle tempie con l’alloro trionfale, mentre (gli
uomini/gli astanti/i partecipanti al rito  soggetto impersonale) riempiono gli altari di offerte
votive. Ma vieni splendente e bello1. Ora mettiti il vestito tenuto da parte/la veste più bella per
venire nel rito che si celebra il tuo onore. Ora pettina bene i lunghi capelli, come ti ricordano che,
quando fu messo in fuga il re Saturno, tu abbia cantato i canti di lode in onore di Giove vincitore.
Tu da lontano vedi tutto ciò che è destinato ad avvenire (il futuro), l’augure2, che è a te devoto, sa
bene che cosa gli uccelli, consci (provida 3) del futuro, cantino. Tu governi le sorti, attraverso di te
l’aruspice ha una prescienza (praesentit4), quando il dio ha contrassegnato con dei segni gli intestini
scivolosi5. Sotto la tua guida, la Sibilla non ingannò mai i Romani, (la sibilla) che canta con i piedi
di sei (senis pedibus6) i destini nascosti. O Febo, permetti (sine7) che Messalino tocchi le sacre
carte8 (del vate/della Sibilla) e tu stesso insegna, così prego io, ciò che ella (la Sibilla) canta (
prevede esprimendosi in poesia).
v. 19 Haec dédit Aeneae sortes : costei fece le previsioni del futuro ad Enea.

1
Una delle caratteristiche di Apollo era proprio l'essere bello: era il Dio della luce, del giorno e del sole.
2
Sacerdote che traeva gli auspici
3
Dal volo degli uccelli i Romani traevano gli auspici e le previsioni per il futuro. L’aggettivo singolare “provida”
(tradotto con il plurale “consci”) è composto da due elementi: pro e video. Significa letteralmente “vedere prima” 
l’uccello in grado di vedere prima, in questo caso.
4
È un verbo molto tecnico. Prae- significa “davanti”, come pro- sta per “prima”. C’è una corrispondenza tra il piano
spaziale e quello temporale in questo caso: gli avvenimenti che stanno davanti a lui (devono ancora venire) ma chi è
connesso al culto di Apollo è in grado di prevederli/di vederli prima.
5
Possiamo immaginare che si tratti di viscere ancora palpitanti, estratte dagli animali sacrificati e quindi, essendo
sporche di sangue e di altri liquidi umorali, fossero scivolose.
6
Sono gli esametri. Gli oracoli della Sibilla erano espressi in versi.
7
Imperativo di sino, sinis, sivi, sitŭm, sinĕre...
8
carthas vatis: i due testi, quello dell’iscrizione e quello dell’elegia, si confermano a vicenda: sono i libri Sibillini.

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