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Le motivazioni di una nuova sentenza di condanna

per il terremoto dell’Aquila, questa volta nei


confronti dei responsabili dei lavori sulla Casa dello
Studente poi crollata, sono state depositate. A prima
vista si direbbero simili a quelle per la Commissione Grandi
Rischi: in realtà sono completamente diverse, almeno
per quanto si può capire da una trasposizione
giornalistica. Ma andiamo con ordine.
Nelle motivazioni, il giudice Giuseppe Grieco afferma
che il sisma è stato «certamente non eccezionale per
il territorio aquilano e assolutamente in linea con la
sismicità storica dell’area». Questa frase è
indubbiamente condivisibile: le stime di intensità dei
gravi terremoti dal medioevo a oggi sono tra il grado
6 e il 6.5 della scala Richter, e il terremoto dell’aprile
2009 è stato di magnitudo 6.1. L’accusa per gli
imputati è che la Casa dello Studente non fosse stata
costruita per reggere un terremoto di magnitudo 6, e
gli ultimi lavori avessero persino indebolito la
struttura; per fare un esempio molto meno cruento, è
come dire che pur sapendo che a casa mia sono
venuti a trovarmi amici alti fino a due metri io ho
fatto costruire una porta alta un metro e novanta.
Non è così strano che qualcuno si dovrà chinare per
entrare da me, no?
Se Grieco si fosse fermato lì, questo post non ci
sarebbe stato. Ma il giudice aggiunge dell’altro:
«essendosi verificato in quello che viene definito
periodo di ritorno, vale a dire nel lasso temporale di
ripetizione di eventi previsto per l’area aquilana».
Questo periodo «è stato indicato in circa 325 anni
dall’anno 1000». La frase a prima vista è
incomprensibile: per fortuna che ci viene in aiuto
Wikipedia, che ha una voce sul tempo di ritorno che non
è chiarissima ma fa un po’ di luce. Il tempo di ritorno
sarebbe «il tempo medio intercorrente tra il
verificarsi di due eventi successivi di entità uguale o
superiore ad un valore di assegnata intensità». L’idea
dovrebbe essere semplice: a partire dal tempo di
ritorno puoi calcolare la probabilità che un terremoto
di magnitudo pari o superiore alla soglia succeda nel
corso della vita utile di un manufatto. Il guaio è che
di terremoti forti non ce ne sono moltissimi: secondo
l’INGV, nell’area ristretta dell’aquilano ci sono stati
terremoti di quell’ordine di grandezza 1315, 1349,
1461, 1703, 1762, più un terremoto un po’ meno forte
nel 1958.

A me
balzano all’occhio due cose, come si può anche
vedere dalle cartine della storia sismica dei luoghi
(qui sopra c’è quella di Onna, presa dall’articolo
succitato: quella relativa all’Aquila è molto più
complessa, perché naturalmente le cronache sono
molto più ricche di particolari, ma se ci si limita alle
scosse maggiori l’unica differenza è l’aggiunta di
quelle del XIV secolo). I dati a disposizione sono
pochi; e non sono affatto uniformi, cosa del resto che
ci si può aspettare quando si hanno pochissimi dati a
disposizione. Parlare di 325 anni di tempo di ritorno
per quanto mi riguarda è insensato; anche perché, se
ci pensate un attimo, uno potrebbe dedurre che
adesso è inutile costruire case pensate per durare un
secolo ma capaci a resistere a un sisma di magnitudo
6, visto che tanto la probabilità che nei prossimi
cent’anni un sisma così arrivi è molto bassa. Molto
più logico appunto definire magnitudo 6.5 come il
livello di benchmark, punto.

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