ISBN 978-88-548-8599-8
DOI 10.4399/97888548859983
pag. 51–63 (settembre 2015)
Mauro Ronzani
. Ivi, p. .
. Ivi, p. .
. G. D, Bischof und Stadtverfassung in Oberitalien, in « Zeitschrift der Savigny–
Stiftung für Rechtsgeschichte. Germanistische Abteilung », (), pp. –: Id., Die
Entstehung der lombardischen Stadtkommune. Eine rechtsgeschichtliche Untersuchung, Aalen
. Questi lavori sono stati ripresi con grande finezza da L. F, Vescovi, città e signorie
(secc. VIII ex.–XV), in Chiesa e società. Appunti per una storia delle diocesi lombarde, a cura di A.
Mauro Ronzani
. Die Urkunden Friedrichs I. –, a cura di H. Appelt (MGH, Diplomata regum et
imperatorum Germaniae, X/), Hannover , nr. –, pp. –. Cfr. I Brevi dei consoli
del Comune di Pisa degli anni e , a cura di O. Banti, ISIME, Roma , pp. e .
. Su Villano si veda M. L. C L, Un presule tra politica comunale e fedeltà
pontificia. Villano, arcivescovo di Pisa (–), in Päpste, Privilegien, Provinzen. Beiträge zur
Kirchen–, Rechts– und Landesgeschichte. Festschrift für Werner Maleczek zum . Geburtstag, hg.
von J. Gießauf, R. Murauer und M. P. Schennach, Wien–München , pp. –. Per il
privilegio concesso da Alessandro III al nuovo arcivescovo Ubaldo l’ aprile : Italia
pontificia, III, a cura di P. F. Kehr, Berlino , p. , nr. .
. Riprendo qui osservazioni già fatte in Vescovo e città nell’Italia comunale del Duecento:
qualche riflessione, in Il vescovo, la Chiesa e la città di Reggio in età comunale, a cura di L. Paolini,
Patron, Bologna , pp. –: –.
Mauro Ronzani
. La sentenza è edita in appendice al mio saggio Dall’edificatio ecclesiae all’« Opera
di S. Maria »: nascita e primi sviluppi di un’istituzione nella Pisa dei secoli XI e XII, in Opera.
Carattere e ruolo delle fabbriche cittadine fino all’inizio dell’età moderna, a cura di M. Haines e
L. Riccetti, Olschki, Firenze , pp. –.
. M. R, Vescovo e città, cit., p. .
Vescovi e città in età comunale (secoli XII–XIII)
sione; ora mal si sopporta ciò che può apparire una concorrenza e una
limitazione ai propri interessi e prerogative » .
Come vedremo fra poco, il conflitto genovese del fu tutt’altro
che isolato, giacché negli stessi anni altri simili si presentarono in
diverse città; si può dire, anzi, che nella prima metà del secolo XIII i
diritti “pubblici” detenuti dai vescovi su terre e castelli del territorio
costituirono il principale motivo di scontro fra Comune e chiesa
vescovile.
Prima di arrivarvi, mi piace però riprendere l’esempio di Bergamo,
perché il conflitto che qui oppose fra il e il il Comune e
il vescovo Lanfranco, documentato da alcune lettere di Innocenzo
III, ha di recente attirato l’attenzione degli studiosi, i quali vi hanno
dedicato osservazioni molto utili per il mio discorso. In particolare,
Dario Galli ha efficacemente riepilogato la situazione di fine XII se-
colo, in cui i tradizionali legami fra la sede vescovile bergamasca e
l’Impero erano ancora pienamente operanti. Così, « il vescovo Guala
non solo fu a Costanza in rappresentanza della città alla stipulazione
definitiva degli accordi di pace, ma se ne tornò con un privilegio che
confermava tutte le concessioni fatte dal Barbarossa nel al vescovo
Gerardo e che riguardavano « omnes districtiones et publicas func-
tiones Pergamensis civitatis et villarum et castellorum »; come se,
cioè, per Bergamo quanto disposto dallo stesso Federico I e dal figlio
Enrico in favore delle città dei « Lombardi » e della loro Societas non
dovesse modificare in nulla lo status precedente. Lanfranco, succeduto
a Guala nel , fu molto legato a Enrico VI, che nel gli affidò
un vero e proprio “missatico”, sia pure limitato, almeno inizialmente,
ad un triennio. La morte di Enrico privò bruscamente Lanfranco
della “copertura” imperiale; e quando, all’inizio del nuovo secolo, il
Comune introdusse un prelievo fiscale generalizzato sui patrimoni
ecclesiastici della città e della diocesi, il presule, non riuscendo a farsi
ascoltare dai reggitori, decise di rivolgersi a Innocenzo III, le cui lette-
re, come dicevo, sono una fonte d’informazioni tanto preziosa quanto,
inevitabilmente, “tendenziosa”. Colpisce, ad esempio, l’insistenza del
pontefice sulla decisione dei magistrati civili di installare « communes
latrinas » proprio « accanto alle pareti della chiesa bergamasca » e « nel
cimitero »: un atto volutamente “sacrilego”, impensabile persino per
i Saraceni (come lo dipinge il papa), oppure un modo per rivendicare
la competenza comunale sugli spazi circostanti l’ecclesia, secondo un
ordine di idee non lontano da quello che ispirò l’atteggiamento del
Comune pisano riguardo all’Opera del Duomo?
In ogni caso, sembra chiaro che a Bergamo (come pure in altre
città lombarde) il duro e prolungato conflitto d’inizio Duecento fu
condizionato da due fattori: l’evidente “squilibrio” di legittimazio-
ne “pubblica” fra sede vescovile e Comune, mantenutosi per tutto
il secolo XII; e la nuova politica “interventista” attuata, soprattutto
in Lombardia, da Innocenzo III, che sottopose i vescovi ad un con-
trollo assai più stretto che nel passato, e ne accentuò la dipendenza
nei confronti della sede apostolica, sì da limitarne alquanto la libertà
d’azione. Così, dopo lunghi anni di conflitti (e di « interdetto » sulla
città), per accettare l’accordo proposto dal comune il vescovo Lanfran-
co ebbe bisogno dell’autorizzazione papale, che giunse nell’aprile .
Secondo Maria Pia Alberzoni, « diversi motivi indussero il pontefice
ad acconsentire a una soluzione probabilmente di compromesso pur
di terminare la questione: oltre agli oramai critici rapporti con Ottone
IV, già scomunicato e teso a mantenere il tradizionale consenso nell’I-
talia padana, non può essere sottovalutata sia la capacità di resistenza
mostrata dalle città colpite da così gravi sanzioni ecclesiastiche, che
permise nella sostanza di vanificare gli sforzi del papato, sia precedenti
esperienze negative nella politica intrapresa da Innocenzo III e dalla
curia a difesa della libertas ecclesiastica nell’Italia settentrionale, dove,
nel frattempo, si erano verificati altri casi analoghi » .
. Segnalo intanto il saggio di S. M. C, Il principato vescovile di Volterra nel XII
secolo (in base ad alcune deposizioni testimoniali dell’ottobre ), in Studi di storia e archeologia
in onore di Maria Luisa Ceccarelli Lemut, a cura di M. Baldassarri e S. M. Collavini, Pacini,
Pisa , pp. –.
. Cfr. Die Urkunden Friedrichs I. –, nr. , pp. –. Per quanto segue mi
permetto di rinviare al mio saggio Lo sviluppo istituzionale di Pistoia alla luce dei rapporti
con il Papato e l’Impero fra la fine del secolo XI e l’inizio del Duecento, in La Pistoia comunale nel
contesto toscano ed europeo (secoli XIII–XIV), a cura di P. Gualtieri, Pistoia , pp. –.
Mauro Ronzani
. Ivi, pp. –; si veda altresì G. F, “Episcopus amasciat homines, set civitas
punit maleficia”. Conflitti di potere e strategie insediative a Lamporecchio tra XII e XIII secolo, in
« Bullettino storico pistoiese », CVII (), pp.–, e ora anche in I., Districtus civitatis
Pistorii. Strutture e trasformazioni del potere in un contado toscano (secoli XI–XIII), Società
storica Pistoiese, Pistoia , pp. –.
. Cfr. Documenti dell’antica costituzione del Comune di Firenze, a cura di P. Santini, I,
Firenze , p. . Lo studio di riferimento è quello di A. B, Un vescovo, una
città: Ardingo nella Firenze del primo Duecento, ora in Ead., Pastori di popolo: storie e leggende di
vescovi e di città nell’Italia medievale, Arnaud, Firenze , pp. –: cfr. le osservazioni
di pp. –. Io però non interpreterei il passo della fonte in cui è menzionato il vescovo,
come se egli avesse pronunciato a sua volta un giuramento per riconoscere al podestà « la
Vescovi e città in età comunale (secoli XII–XIII)