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In questo clima di “pace armata” si scatenò la corsa agli armamenti, accompagnata da una
propaganda nazionalista e aggressiva.
L’Austria, convinta che il governo serbo fosse implicato nell’attentato, lanciò un ultimatum alla
Serbia, nel quale tra l’altro si richiese che i funzionari governativi austriaci partecipassero alle
indagini. Si trattava di una richiesta inaccettabile in quanto era lesiva della sovranità dello Stato
serbo.
L’Austria insoddisfatta dichiarò guerra alla Serbia il 28 luglio 1914.
La Russia proclamò invece la mobilitazione delle sue truppe sui fronti austriaco e tedesco.
La Germania interpretò la mobilitazione russa come un atto offensivo e chiese di annullarla;
nello stesso tempo lanciò un ultimatum alla Francia chiedendole di restare neutrale in caso
di apertura del conflitto.
La risposta della Russia fu negativa e quella della Francia esitante.
Quindi la Germania prese l’iniziativa e dichiarò guerra alla Francia e nell‘agosto del 1914
invase il Belgio che era un paese neutrale.
Si delinearono quindi due blocchi contrapposti: da una parte le forze dell’Intesa: Russia, Francia e
Gran Bretagna e dall’altra gli Imperi centrali: Austria-Ungheria e Germania.
In un primo luogo l’Italia da pochi mesi presieduta da Antonio Salandra aveva dichiarato una
posizione neutrale sia perché la triplice alleanza aveva un carattere aggressivo e sia perché l’Italia
non era era pronta per entrare in guerra contro le grandi potenze europee.
Su questa linea di condotta pesò il diffuso sentimento antiaustriaco all’interno dell’opinione
pubblica italiana, dove invece era viva l’aspirazione ad entrare in guerra contro l’Austria per
recuperare le cosiddette “terre irredente” cioè i territori di Trento e Trieste ancora sottoposti al
dominio austriaco. Quindi nel dibattito sul problema di entrare in guerra o meno si formarono due
schieramenti uno favorevole che erano gli interventisti e l’altro contrario alla guerra formato dagli
antinterventisti.
interventisti erano i gruppi nazionalisti poiché vedevano nella guerra un modo per affermare
la Nazione e come forza rigeneratrice all’interno di una società.
Poi vi erano anche il re e i settori dell’industria pesante in quanto vedevano nella guerra un
modo per arricchirsi.
A favore dell’intervento erano anche i rappresentanti dell’irredentismo e i gruppi
democratici, repubblicani, radicali e socialriformisti.
non interventisti erano gli esponenti del partito liberale che faceva riferimento a Giolitti,
convinto che la guerra avrebbe avuto alti costi per un Paese tuttora economicamente fragile
come l’Italia.
Contrari alla guerra erano anche i cattolici e i socialisti il cui slogan affermava “né aderire
né sabotare”.
Benito Mussolini inizialmente schierato sulle posizioni del partito, si convertì alle ragioni
della guerra, fu espulso. Egli fondò allora un proprio giornale “il popolo di Italia” che
condusse una martellante campagna interventista.
Già nell’autunno 1914 il ministro Salandra aveva avviato contatti segreti con le potenze dell’Intesa
senza tuttavia interrompere la trattativa con gli imperi centrali al fine di ottenere compensi
territoriali in cambio della neutralità.
L’Austria benché sollecitata dalla Germania ad assecondare le richieste italiane, non intendeva
cedere su Trieste, porto di vitale importanza per l’Impero, limitandosi a offrire Trento e parte del
Trentino. Però di fronte alle trattative segrete tra Austria e Germania l’Italia stipulò il patto di
Londra il 16 aprile 1915.
Con questo patto l’Italia si impegnava ad entrare in guerra con l’Inghilterra e la Francia e in caso di
vittoria, avrebbe avuto il Trentino, il Sud Tirolo, la Venezia Giulia e l’Istria esclusa la città di Fiume
e una parte della Dalmazia.
Si creò quindi una frattura fra il re e il governo poiché il re era a favore della guerra mentre invece il
parlamento era costituito da una maggioranza di deputati neutralisti.
Infatti Salandra si dimise ma il re respinse le dimissioni mentre un’intensa opera di propaganda
interventista suscitava nel Paese sentimenti di entusiasmo patriottico. La popolazione italiana quindi
si fece mobilitare e questo portò alle “radiose giornate di maggio” le quali alimentarono le spinte
favorevoli alla guerra. Infatti il 23 maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria e il 24 iniziarono
le operazioni militari.
UNA GUERRA MAI VISTA:
La prima Guerra Mondiale fu chiamata in questo modo per il numero di grandi potenze
coinvolte che si portarono dietro di sé anche i grandi possedimenti coloniali.
Fu anche una guerra di nuovo tipo in quanto fu allo stesso tempo una guerra di posizione,
tecnologica, e di massa.
Si trattò di una guerra di posizione poiché sulle linee dei diversi fronti si cominciarono a
scavare trincee, fossati lunghi chilometri e chilometri dentro cui i combattenti erano messi in
qualche modo al riparo dal fuco nemico. All’inizio i comandanti militari avevano elaborato
la strategia militare del passato che prevedeva una guerra di movimento ma con lo
stabilizzarsi delle posizioni le trincee persero il carattere di provvisorietà che avevano
all’inizio e furono trasformate in una specie di “fortino” lineare. Infatti le truppe erano
costrette all’immobilità dentro le trincee, dalle quali potevano uscire solo per compiere delle
azioni notturne di pattuglia o per andare all’assalto delle trincee nemiche.
Si trattò anche di una guerra tecnologica in quanto lo sviluppo tecnologico dei decenni
precedenti mise a disposizione delle esigenze belliche nuovi prodotti come gli aerei, i carri
armati e i sottomarini. Infatti la produzione di aerei conobbe un forte incremento nel corso
della guerra. Quindi proprio per questo si passò da una guerra di successione a una guerra
moderna.
La prima Guerra Mondiale fu anche una guerra di massa in quanto coinvolse per la prima
volta milioni di soldati in una guerra molto diversa da quella del passato poiché nell’800’ le
guerre avevano un carattere risolutivo. Le enormi dimensioni degli eserciti messi in campo
furono rese possibili dalla coscrizione obbligatoria infatti il richiamo al fronte sottrasse
milioni di uomini alle fabbriche e ai campi dei Paesi impegnati nel conflitto che furono
sottoposti ad una severa ed insensata disciplina militare.
Fu quindi una guerra totale non soltanto per tutti questi aspetti ma anche perché richiese anche la
mobilitazione del fronte interno, il quale fu l’indice che confermò la totalità della guerra. La
società civile fu mobilitata in vista di uno sforzo bellico che doveva riguardare tutti. Infatti il fronte
interno sentiva la guerra come i soldati in trincea perché per esempio il sistema produttivo
industriale fu riorganizzato secondo le esigenze belliche, e anche la prodizione agricola venne via
via sottoposta a un regime di prezzi controllati.
Al posto della manodopera maschile furono reclutati giovani e donne, le quali vennero per la prima
volta immesse in modo massiccio nelle fabbriche siderurgiche e meccaniche.
Un altro settore fortemente influenzato dalla guerra fu quello dell’informazione, infatti durante il
periodo bellico venne utilizzata la propaganda di guerra ovvero dei discorsi pubblici condotti dai
governi per sensibilizzare i cittadini a mobilitarsi al fine di sostenere il fronte esterno.
Il fronte interno portò inoltre a dei cambiamenti nel rapporto tra lo Stato (potere politico) e il
mercato (potere economico) in quanto per rifornire la macchina degli eserciti al fronte lo Stato entrò
massicciamente nell’organizzazione economica della Nazione. Infatti le industrie coinvolte nelle
forniture militari ebbero uno straordinario sviluppo grazie alle commesse dello Stato il quale dava a
questa fabbriche dei precisi ordini di produzione. Quindi divenne sempre più stretto il rapporto tra
lo Stato e il mercato.