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Grand Tour

Il Grand Tour era un lungo viaggio nell'Europa continentale intrapreso dai ricchi dell'aristocrazia,
prima inglese e poi di tutta Europa, a partire dal XVII secolo e destinato a perfezionare il loro sapere.
Aveva una durata non definita e di solito aveva come destinazione l'Italia.
Il termine turismo e più in generale il fenomeno dei viaggi turistici ebbero origine proprio dal Grand
Tour.
Durante il Grand Tour, i giovani imparavano a conoscere la politica, la cultura, l'arte e le antichità dei
paesi europei. Passavano il loro tempo facendo giri turistici, studiando e facendo acquisti.
L'Italia con la sua eredità della Roma antica, con i suoi monumenti, divenne uno dei posti più popolari
da visitare. Oltre alla conoscenza del mondo antico. Durante il viaggio i giovani potevano acquistare,
secondo le loro possibilità e i mezzi, numerose opere d'arte e cimeli, e visitare le rovine di Roma, ma
anche di Pompei ed Ercolano che erano state riscoperte recentemente (a partire dal 1748). Tappa
molto importante era anche la Sicilia, i vulcani ed i tesori greci e barocchi dell'isola. Allo stesso tempo,
anche gli studenti di arte da tutte le parti di Europa venivano in Italia a imparare dagli antichi modelli.
La Sicilia infatti offriva la possibilità di studiare l'arte greca senza dover affrontare il viaggio in Grecia,
all'epoca sotto il dominio turco, con i rischi e le proibizioni che la sua amministrazione comportava.
Ne dà esempio lo scrittore tedesco, Wolfgang von Goethe nel suo Viaggio in Italia.

Viaggio in Italia è un'opera che Wolfgang von Goethe scrisse tra il 1813 e il 1817 e pubblicò in due
volumi, il primo dei quali uscì nel 1816 e il secondo nel 1817. I due volumi contengono il resoconto
di un Grand Tour che l'autore compì in Italia tra il 3 settembre 1786 e il 18 giugno 1788.
Il 3 settembre 1786, verso le 3 del mattino, Goethe parte da Karlsbad con un passaporto falso che
recava il nome di Philipp Möller, in quanto desiderava mantenere l'anonimato per poter viaggiare
tranquillamente senza troppe noie.
Passato il Brennero, l'11 settembre arriva a Trento e quindi il 12 è sul Lago di Garda. Il 16 arriva a
Verona, dove si sofferma per osservarne con ammirazione i monumenti e le architetture, lodando
soprattutto l'Arena. Tre giorni dopo è a Vicenza, dove visita le opere di Andrea Palladio (tra cui la
Villa Almerico Capra), innalzando l'artista a grande maestro; nel capoluogo berico visita inoltre Villa
Valmarana "Ai Nani", restando affascinato dall'opera del Tiepolo.
Il 26 settembre è a Padova, dove visita l'Orto botanico; qui, rimarrà affascinato da una palma nana
che è presente ancora oggi nel grande giardino. Mentre si reca da Padova verso Venezia percorre il
Brenta in gondola per la prima volta
Il 28 settembre 1786 arriva finalmente a Venezia, per lui il coronamento di un sogno. Nella
Serenissima vi rimarrà fino al 14 ottobre; è proprio durante questo soggiorno veneziano che Goethe
vede per la prima volta il mare. Sebbene della città scrisse molte cose positive, lo scrittore criticò
molto la mancanza di pulizia e la noncuranza delle autorità verso questo problema.

«Sono rimasto colpito dalla grande sporcizia delle strade, facendo di conseguenza alcune
considerazioni. In materia esiste certamente un qualche regolamento: la gente spinge il
sudiciume negli angoli, e vedo anche mandar su e giù grosse imbarcazioni che si fermano in
punti determinati e raccolgono l'immondizia [...]. In queste operazioni non v'è logica né rigore,
e tanto più è imperdonabile la sporcizia della città, che per le sue caratteristiche potrebbe
esser tenuta pulita come lo è qualunque città olandese.»
Vicenza, il 19 Settembre
La strada che da Verona porta in questa città è molto amena. Si cammina verso i monti in
direzione di settentrione e levante, lungo i contrafforti di quelli che si hanno costantemente a sinistra,
formati di sabbie, di terre calcari ed argillose; su quelle colline sorgono villaggi, case, castelli, ed a
destra si stende ampia e vasta la pianura.
La strada bella, ampia, e stupendamente mantenuta corre a traverso fertili terreni, ne’ quali in
mezzo a filari di piante corrono e ricadono in festoni i tralci delle viti, i quali in questi giorni piegano
sotto il peso dei grappoli, oramai maturi. La strada ribocca di persone, di veicoli, e fra questi mi
allietavo specialmente a rimirare i carri con ruote basse, piene, tirati da quattro buoi, i quali in grandi
cassoni portavano le uve ai tini, dove queste si pestano, e si lasciano fermentare. Fra i filari degli
alberi che servono di sostegno alla vite, il terreno è coltivato con ogni sorta di cereali, e specialmente
a gran turco ed a sorgo.
Nello avvicinarsi a Vicenza le colline volgono di bel nuovo da tramontana a mezzogiorno; sono
di natura volcanica a quanto mi si assicurò, e chiudono la pianura. Vicenza giace ai piedi quelle, e si
potrebbe dire quasi in un seno, formato dalle stesse.

Vicenza, il 19 Settembre
Sono qui giunto da quattro ore, ed ho percorso di già la città, e visti il teatro olimpico, e gli
edifici del Palladio. Si è pubblicata ad uso e per comodo dei forastieri una piccola guida con incisioni,
e con un testo scritto con gusto in materia d’arte. Nel contemplare quegli edifici si riconosce tosto il
loro pregio, imperocchè traggono a sè l’attenzione per la loro grandezza e per la loro imponenza, e
soddisfano ad un tempo lo sguardo, per la perfetta armonia delle loro dimensioni, nonchè per la
prospettiva delle sporgenze, e delle parti rientranti. Intendo parlare degli edifici del Palladio, che qui
si scorge ad evidenza essere stato propriamente uomo distinto. La più grande difficoltà colla quale
egli ebbe a lottare, al pari di tutti gli architetti moderni, si fù il retto impiego degli ordini di colonne
nell’architettura civile, imperocchè riunire mura e colonne, sarà pur sempre una contraddizione. Con
quanta abilità non seppe egli superare cotale difficoltà! quanto non impone l’aspetto delle sue opere,
e come si dimentica, ch’egli non ebbe altro in mira se non il farvi illusione! Si scorge veramente un
non so che di divino nelle sue linee, armoniche quanto i versi di un gran poeta, il quale dalla verità e
dalla menzogna sa trarre un terzo elemento affatto nuovo, il quale incanta, rapisce!
Il teatro olimpico si è il teatro degli antichi, ridotto a minime proporzioni, ma pur sempre
d’inarrivabile bellezza; paragonato ai teatri moderni, direi fare quello la figura di un giovane di buona
famiglia, ricco, stupendamente educato, a fronte d’uomo maturo d’anni, di origine meno distinta,
meno ricco, meno colto, ma che sà meglio del primo quanto possa ottenere con i suoi mezzi.
Quando si considerano qui sul sito gli edifici stupendi eretti da quel genio, e che si scorge in
quale stato li abbiano ridotti il sudiciume e la trascuranza, e come i progetti fossero spesse volte
superiori alle forze di coloro i quali li intraprendevano, e come i monumenti di quell’ingegno eletto,
poco corrispondessero alla vita usuale, allora si scorge che avvenne al Palladio pure, quanto avvenne
ad altri, vale a dire che si ottiene poca gratitudine dagli uomini, quando si accrescono le loro pretese,
quando si mira ad ispirare loro idea grande di sè stessi, a far loro comprendere la bellezza di una
esistenza veramente nobile. Ma quando s’illudono gl’insulsi, quando loro si narrano favole, quando
si cerca corromperli un giorno più dell’altro, allora si è grandi, allora si ottiene favore; e questa si è
la cagione per la quale si scorgono cotanti sconci nell’età presente. Non dico questo già per fare torto
a miei contemporanei; dico unicamente che sono tali, e che non havvi punto a maravigliarsi, se le
cose tutte, vanno come vanno.
Non vorrei dovere esprimere come la basilica del Palladio sia un edificio quasi a foggia di
castello, sopracarico di finestre disuguali, di cui non si riesce a comprendere il motivo, e debbo
unicamente conchiudere, che anche qui pur troppo, trovo quanto io fuggo, e quanto io ricerco, l’uno
accanto all’altro.
Guido Piovene è nato a Vicenza il 27 luglio 1907 ed è morto a Londra il 12 novembre 1974. È stato
uno scrittore e giornalista italiano.
Dopo aver scritto alcuni romanzi e racconti, la produzione di Piovene si orientò verso il reportage di
viaggio: diede alla luce il De America nel 1953, frutto di un viaggio di 32’000 chilometri attraverso
38 stati degli Stati Uniti, assieme alla moglie Mimy, su un'automobile; seguì Viaggio in Italia (dal
1953 al 1956), la più celebre guida letteraria del Bel Paese durante il boom economico, scritto mentre
percorreva il territorio da nord a sud, raccontando le 'cose viste'.
Si trattò di un resoconto unico per rilevanza storica della condizione dell’Italia ancora reduce dalle
rovine della guerra. Nella sua narrazione, Piovene fa vivere, accanto alle bellezze paesaggistiche e
monumentali, tradizioni, rituali, mestieri, caratteri, situazioni sociali ed economiche di un’Italia che
ormai è scomparsa.
Di Vicenza scrive che “la sua meraviglia sta nel suo rigoglio architettonico. I palazzi di un tardo
gotico quattrocentesco, poi, con Palladio e la sua scuola, gli archi, i colonnati e i portici sorsero senza
altro motivo che la bellezza estetica”. Nel testo si percepisce il compiacimento dello scrittore per la
sua città natale, evocata come una “piccola Roma, una meraviglia scenografica, che sorge in un
angolo del Veneto”

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