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L’ascesa degli impressionisti non fu in alcun modo un fulmine a ciel sereno.

Già in Francia, con le opere dei


pittori realisti (come Gustave Courbet) e con quelle degli artisti della scuola di Barbizon (come Théodore
Rousseau e Jean-François Daubigny), si erano creati i presupposti per un cambio di paradigma, sia dal punto
di vista dei contenuti (non più soltanto pittura di storia o temi religiosi o mitologici: la realtà quotidiana
entrava di nuovo in maniera dirompente nei soggetti più in voga tra gli artisti), sia da quello formale (i
pittori di Barbizon furono i primi a “uscire” dall’atelier e a dipingere en plein air, ovvero all’aria aperta).
Anche in Italia si erano creati i presupposti per una pittura di paesaggio creata all’aria aperta e per un’arte
capace di far leva sull’interesse ottico degli artisti, ovvero l’arte dei macchiaioli, che precedono di circa
dieci-quindici anni l’impressionismo (tanto che uno dei più grandi macchiaioli, Giovanni Fattori, nel valutare
per la prima volta le opere degli impressionisti avrebbe affermato il primato degli italiani, che tuttavia
rimanevano ancora legati al disegno, abbandonato invece dai francesi).

Uno dei grandi anticipatori dell’impressionismo fu Eugène Boudin sia per l’attualità delle sue scelte
tematiche, sia per il modo in cui venivano affrontate, con un linguaggio diretto, che riportava fedelmente
sulla tela ciò che l’artista osservava durante le sue sedute all’aperto. Boudin non arrivò al grado di
sperimentalismo degli impressionisti, ragion per cui non lo si può pienamente ascrivere al loro gruppo, ma è
comunque uno dei massimi precursori del nuovo movimento.

Altro artista che anticipò le ricerche degli impressionisti e che poi passò a ingrossare le loro fila fu Édouard
Manet, che già dalla fine degli anni Cinquanta aveva cominciato a dipingere, in uno stile fortemente
influenzato dalla pittura realista, brani della vita della Parigi di quegli anni. Raccontare la modernità in tutti i
suoi aspetti: anche questo fu uno degli obiettivi degli impressionisti.

Come afferma Argan, l’Impressionismo, non fu “banale verismo, ma rigorosa ricerca sul valore
dell’esperienza visiva come momento primo ed essenziale del rapporto tra soggetto ed oggetto, e
fondamento concreto, della coscienza”.

In effetti, dato il rifiuto degli impressionisti per la pittura accademica e il loro desiderio di affrontare non
temi aulici o solenni, ma contenuti che non erano ritenuti adatti per la pittura “ufficiale”, si può ben
comprendere come la critica conservatrice fosse tutt’altro che dalla loro parte.

Quali furono le principali novità degli impressionisti?

“Dipingo le cose che vedo nel modo più semplice”, aveva detto Manet. “Così la mia Olympia. Che c’è di più
spontaneo?”. Ecco una delle parole chiave dell’impressionismo: spontaneità. Inoltre, per la prima volta, la
vita quotidiana della borghesia entrava sistematicamente nei dipinti degli artisti. Nel loro approccio alla
realtà, gli impressionisti però segnarono una differenza rispetto ai realisti: da parte loro non c’era la volontà
di denuncia sociale che aveva caratterizzato la pittura realista. Per gli impressionisti si trattava soltanto di
mostrare ciò che gli artisti vedevano. Ecco dunque perché i colori sono accostati e non mescolati, perché le
figure si sfibrano, perché tutto ha quest’aria di grande immediatezza, perché le immagini degli
impressionisti sono spesso sfocate: perché l’occhio umano, nel soffermarsi un istante su di una scena, non
coglie con precisione tutti gli elementi di ciò che vede, nei singoli dettagli.
Eiffel riuscì a salvare la sua creatura grazie all’installazione di una stazione radio in cima alla costruzione con
la collaborazione di Guglielmo Marconi. Con lo scoppio della prima guerra mondiale, la torre si rivelò
talmente strategica per le comunicazioni radio da far accantonare definitivamente ogni pretesa di
dismissione.

Non solo: presto tanti pittori cominciarono a trarre ispirazione da questo bizzarro monumento: non era
caratteristico come la Torre di Pisa, non era leggendario come la Torre di Babele, ma emanava il fascino del
progresso e la bellezza dell’essenzialità.

Uno tra i primi a cogliere la valenza iconografica della torre Eiffel fu Georges Seurat. Padre del Pointillisme,
dipinse il singolare monumento appena realizzato, nel 1889, attraverso la sua tipica tecnica per puntini di
colore accostati sulla tela. La torre qui sembra quasi smaterializzarsi, via via che si sale verso l’alto,
disperdendo il suo colore nel cielo circostante. Per altro la torre è proprio dipinta in questo modo: il suo
caratteristico marrone (ma inizialmente era rossa e poi divenne gialla) si schiarisce gradualmente verso
l’alto per ridurre il contrasto con il cielo.

Con Robert Delaunay la torre, raffigurata in numerose tele , subisce la classica esplosione cubista:
frammentata e ricomposta da punti di vista differenti sembra quasi che stia crollando sotto i nostri occhi.

Negli anni Venti e Trenta Delaunay riprese il soggetto della torre recuperandone la forma e le proporzioni
ma utilizzando colori e prospettive del tutto inconsueti. La torre appare così vista dal cielo o, al contrario,
fortemente scorciata dalla visione dal basso verso l’alto in prossimità di un pilone.

Completamente diversa è l’interpretazione di Marc Chagall: spesso umanizzata, a volte posta sullo sfondo,
la torre partecipa di quell’atmosfera colorata e fiabesca che accomuna tutte le opere dell’artista russo.

Le versioni di Raoul Dufy invece, sono più vicine all’illustrazione e alla cartellonisitca. Qui la torre è
tratteggiata rapidamente e spesso confrontata con il paesaggio urbano, quasi a volerne cogliere il ruolo di
nuovo fulcro dello skyline di Parigi.

Una versione completamente diversa è quella di Guillaume Apollinaire che realizzò il famoso calligramma
con la forma della torre.È uno di quegli esperimenti di poesia visiva nella quale la valenza grafica delle
parole e della loro distribuzione sulla pagina conta anche più del contenuto verbale (che in questo caso è
“Ciao mondo di cui io sono la lingua eloquente che la tua bocca o Parigi tira e tirerà sempre ai tedeschi”)

Naturalmente il fascino della torre non poteva sfuggire ai fotografi. Il grande Robert Doisneau (1912-1994)
ha dedicato alla torre un’intera serie di scatti eccezionali.
DEGAS

“Bisogna rifare dieci volte, cento volte lo stesso soggetto. Niente, in arte, deve sembrare dovuto al caso.” Il
realismo esasperato si sublima in un’arte ed una tecnica da perfezionismo assoluto.

RENOIR

Una mattina, siccome uno di noi era senza nero, si servì del blu: era nato l’impressionismo.

Un dipinto deve essere una cosa amabile, allegra e bella, sì, bella. Ci sono già abbastanza cose noiose nella
vita senza che ci si metta a fabbricarne altre.

Così, a forza di vedere l’esterno, ho finito con l’accorgermi solo delle grandi armonie senza più
preoccuparmi dei piccoli dettagli che spengono il sole anziché infiammarlo.

Quando, immersi nel silenzio, sentiamo tutt’a un tratto squillare il campanello, abbiamo l’impressione che il
rumore sia molto più stridente di quanto lo sia effettivamente. Ebbene! Io cerco di far vibrare un certo
colore in modo così intenso come se il rumore del campanello risuonasse in mezzo al silenzio.

Com’è difficile capire nel fare un quadro qual è il momento esatto in cui l’imitazione della natura deve
fermarsi. Un quadro non è un processo verbale. Quando si tratta di un paesaggio, io amo quei quadri che mi
fanno venir voglia di entrarci dentro per andarci a spasso.

MONET

Ciò che farò qui avrà almeno il merito di non rassomigliare a nulla, perché sarà l’impressione di ciò che avrò
sentito, soltanto io.

Quando sei lì fuori dimentica gli oggetti che hai di fronte, un albero una casa o qualsiasi cosa. Pensa
semplicemente: qui un rettangolo di blu, qui un pezzo di rosa, qui una fascia di giallo, e dipingi come
appare, in quel colore e in quella forma che percepisci.

Il soggetto è secondario, quel che voglio riprodurre è ciò che si trova tra il soggetto e me stesso.

MANET

In una figura, cerca la grande luce e la grande ombra, il resto verrà da sé.

SU MANET

Il talento del Signor Manet è fatto di semplicità e di esattezza. Senza dubbio, davanti alla natura incredibile
di alcuni dei suoi colleghi si sarà deciso ad interrogare la realtà, solo con sé stesso: avrà rifiutato tutta la
perizia acquisita, tutta l’antica esperienza, avrà voluto prendere l’arte dall’inizio, cioè dall’osservazione
esatta degli oggetti. Si è dunque messo coraggiosamente di fronte a un soggetto, ha visto questo soggetto
per larghe macchie, per opposizioni vigorose, e ha dipinto ogni cosa così come la vedeva. (Émile Zola)

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