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Materialismo e meccanicismo

Il materialismo dichiara che la materia è l’unica sostanza e l’unica causa delle cose. La sostanza materiale
complessiva dell’universo è eterna, cioè non può né aumentare né diminuire perché altrimenti
implicherebbe il postulato di origine eleatica, proprio anche degli atomisti, secondo cui nulla viene dal
nulla e nulla torna al nulla. Connesso al materialismo è l’ateismo, in cui Democrito ritiene non ci sia
alcuna intelligenza alla base del mondo. Una parte integrante del materialismo filosofico è il
meccanicismo, diviso in due categorie: quello finalistico, o teologico, vale a dire il metodo con cui si
spiega la realtà facendo uso della nozione di “fine”, “scopo” e “progetto divino”; quello meccanicistico
invece, o naturalistico, spiega le cose in virtù delle cause efficienti naturali che le producono. Gli atomisti
quindi, per interpretare la natura con la sola natura, contrappongono il concetto filosofico di necessità
meccanica alle nozioni popolari di “volontà divina” e alle nozioni empedoclee e anassagoree di “amore e
discordia” e di “nous”.

Causalismo e casualismo

A differenza di Aristotele, che si pone domande riguardanti il motivo delle cose, Democrito ricerca il
“come”. Da questa ricerca si forma la sua mentalità causalistica (o deterministica), che è la base
dell’atomismo filosofico, e che afferma che nulla avviene per caso, tutto avviene per una ragione. Per
“caso” si intende che l’aggregazione degli atomi, la quale porta all’origine di tutte le cose, avviene in
assenza di qualsiasi progetto divino. Da ciò la nascita del cosmo casuale, cioè l’universo come frutto di
cause naturali e determinate che però non hanno nessun disegno preordinato. Inoltre all’interno del
cosmo ci sono per forza dei nessi causali, per cui l’universo è tanto causale quanto casuale. La casualità è
il principio fondante della fisica, tuttavia non esclude la fede in Dio.

Successori di Democrito

Epicuro, filosofo del IV e V sec, immagina il cosmo come prodotto dell’aggregazione degli atomi, e
introduce il concetto di clinamen: gli atomi cadono, ma non seguono esattamente delle traiettorie
parallele, bensì subiscono delle deviazioni casuali che consentono il loro urto e la loro aggregazione.

Tommaso XIII d’Aquitania afferma che gli enti e gli eventi sono legati tra loro attraverso nessi causali in
un’unica “catena”, e risalendo questa corrente si potrebbe arrivare a un primum incausato, un ens
realissimum e necessario, cioè Dio.

Kant, filosofo tedesco del XVIII sec., smentisce questa teoria, poiché afferma essere un uso illegittimo del
causalismo. Infatti questo può essere utilizzato solo nel mondo fenomenico. L’uomo, per quanto
sottoposto alla concatenazione causale perché ente fenomenico, è comunque dotato di una propria
volontà, è quindi libero e appartenente al mondo intelligibile. Per cui il principio di causa-effetto non
vincola le scelte dell’uomo.
Meccanicismo finalismo e causalità tra 600 e 700

Con la rivoluzione astronomica e scientifica del 500/600 emerge una nuova immagine della natura: come
osserva Galileo, essa si rivela caratterizzata da una struttura quantitativa. Cartesio elabora una
concezione meccanicistica del mondo, comprendendo anche animali e umani, intesi come “automi” che
agiscono secondo le stesse leggi che regolano l'universo. Questo determina un senso di smarrimento, in
quanto l’uomo, come osserva Pascal, si sente ridotto a un semplice ingranaggio e avverte con forza la
precarietà del suo esistere.

Ma è ancora pensabile un’interpretazione finalistica della realtà? Spinoza afferma che il finalismo è un
errore che nasce dal considerare possibile l’esistenza di qualcosa al di fuori dell’ordine naturale: in natura
non esistono cause finali. Al contrario, Leibniz ritiene essenziale conciliare il metodo scientifico moderno
e la considerazione della causa finale. Il dibattito sulla causa finale è una questione più ampia, che
riguarda la nozione di causa in generale.

Il nesso di causa-effetto mette in relazione fenomeni di tipo diverso, e non spiega in modo convincente il
rapporto tra la mente e il corpo. Per risolvere questi problemi Malebranche attribuisce un’effettiva
causalità soltanto a Dio: gli eventi naturali e le idee dell’uomo sono cause occasionali che inducono Lui,
l’autore della natura, unica causa vera della realtà, ad agire in un certo modo. L’empirismo spiega il nesso
causale tralasciando il piano metafisico. Secondo Locke, noi chiamiamo due idee 'causa' ed 'effetto' solo
perchè si presentano in successione regolare tra loro.

Con Hume vengono messi radicalmente in questione sia il principio di causalità in generale, sia la
possibilità di rilevarlo empiricamente in singoli casi, ma comunque l’uomo continua a credere nella sua
validità: questo perchè la natura umana, di fronte al ripetersi costante di due fenomeni, è indotta ad
associarli necessariamente. È una sorta di “istinto naturale” quello che ci fa avere bisogno di un
collegamento necessario e oggettivo.

Nella riflessione novecentesca si sottolinea come le nozioni della fisica classica non siano più adeguate
alle nuove scoperte scientifiche: Heisenberg propone una conoscenza del reale di tipo probabilistico e
statistico, rifiutando ogni determinismo. Viene inoltre ripresa la riflessione di Hume sull’induzione, e
quella di Goodman sulla soluzione soggettivistica. Emerge anche il tema della qualità, che diventa il
parametro che consente un allargamento del modello classico di razionalità.
Jung e Freud tra casualismo e finalismo

Secondo Jung ogni processo psichico può: da un lato essere ricondotto a eventi passati (per esempio a
esperienze infantili, come Freud specialmente ha messo in rilievo), dall’altro essere inteso come un
processo volto verso una meta o uno scopo determinati.

Questi due punti di vista secondo lui sono fondamentali per descrivere i fenomeni psichici, e afferma che
si comportano come reciprocamente complementari, seguendo Niels Bohr, che parla di connessioni
biologiche definite da noi 'finali'. Quindi i due sistemi di descrizione si escludono a vicenda, ma non
necessariamente si contraddicono.

Jung applicava questo ragionamento anche ai sogni, sia causalmente sia in relazione alla loro finalità;
specialmente la guarigione psichica può essere compresa solo dal punto di vista finalistico (quello
causale serve a fornire la diagnosi di volta in volta).

Quando si vuole spiegare un fatto psicologico, l’elemento psicologico deve essere considerato da un
doppio punto di vista: quello causale e quello finalistico.

Egli contrappone alla concezione freudiana la sua considerazione finalistica dei sogni: i fatti, i materiali,
rimangono gli stessi, quello che cambia è il metro con cui li si misura: chiedersi cioè la ragione e il fine di
ogni sogno.

Il sogno è inteso quindi come "reazione finalizzata", come mezzo di difesa per i problemi interiori, perchè
apporta alla coscienza il materiale inconscio, sotto forma di combinazione simbolica.

Solitamente il contenuto inconscio è addirittura in contrasto con il contenuto della coscienza, soprattutto
quando l'atteggiamento cosciente si muove in modo troppo specifico ed esclusivo, pericoloso per le
necessità vitali dell'individuo.

Quindi, più l'atteggiamento cosciente è unilaterale, più è possibile che l'autogoverno psicologico
dell'individuo si esprima con sogni vivaci e contrastanti, ma capaci di compensare in modo finalistico.

Il sogno avrebbe quindi la funzione di preservare non tanto il sonno, quanto l’equilibrio del sistema
psichico.

A ogni conoscenza presiede sempre il soggetto: anche il mondo ‘è come lo vediamo’ e non puramente
oggettivo; per la psiche questo è ancora più vero.

Per questo, capire oggettivamente la psiche, l'anima, è possibile; però, la mente scientificamente
impostata, poichè pensa causalisticamente, è incapace di capire in senso prospettico. Ma la mente è solo
una metà della psiche; l’altra sua metà, quella più importante, va capita in senso prospettico-costruttivo,
e se non si procede in questo modo, non la si comprende.

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