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Appunti Semiotica
Erwin Panofsky (1892-1968) Scrive il significato delle arti visive nel 1955.
Partendo dalle icone bisogna decostruire per capire veramente da cosa è
formata la struttura creativa. Panofsky è il padre dell’iconografia ed ideologia.
L’iconografia è quel ramo della storia dell’arte che si occupa del soggetto o
significato delle opere d’arte contrapposto a quelli che sono i loro valori
formali. Il significato fattuale: è di natura elementare e facilmente
comprensibile, viene percepito con la semplice operazione di identificare certe
forme visibili con certi oggetti a noi noti, dall’esperienza pratica e identificando
il loro mutamento nei loro rapporti con certe azioni o eventi. Il significato
espressivo: è appreso per empatia. È necessaria una certa sensibilità perché
si tratta di interpretare una certa reazione che gli oggetti, le azioni e gli eventi
producono in noi. L’iconografia: prima di descrivere si intende logicamente.
Graphein (greco), scrivere, un modo di procedere puramente descrittivo,
spesso addirittura statico. È classificazione delle immagini. L’iconografia è di
incalcolabile aiuto per fissare date, provenienza, autenticità delle opere o di
un’idea. L’iconologia è un’iconografia che vuol essere anche interpretazione,
diviene parte integrante dello studio
La linea analitica Nel 1975, in pieno dibattito sulla semiotica rapportata alle
arti, Filiberto Menna pubblica “La Linea Analitica”. Secondo lui “L’artista
assume un atteggiamento analitico, sposta i procedimenti dal piano
immediatamente espressivo o rappresentativo a un piano riflessivo, di ordine
metalinguistico (analizza il linguaggio mentre lo adopera) impegnandosi in un
discorso sull’arte nel momento stesso in cui fa concretamente dell’arte.”
Quella domenica alla Grande Jatte, 1866, Seurat Menna dice “Idea ed
esecuzione” “è un lavoro che nasce sulla base di relazioni e dipendenze
interne, non esiste nulla di esterno, la realtà è solo analisi e studio. Elabora un
discorso sul linguaggio della pittura. L’artista scompone lo spazio in unità
minime di senso che messe insieme vanno a creare le icone ed elabora questo
discorso in 3 fasi: 1 La ricerca del soggetto da analizzare 2 La rielaborazione
dei dati 3 Verifica definitiva, esecuzione materiale intesa come puro
trasferimento dell’idea sulla tela. Seurat elabora un discorso sulle forme con le
sue regole combinatorie. Ars Combinatoria. La realtà non può essere
rappresentata. L’artista elabora un discorso sulla realtà: superficie è tutto
quello che forma la superficie. Seurat stabilisce ,attraverso il metodo della
cromatologia, le regole di organizzazione sintattica delle unità minime
cromatiche elementari, per differenza e opposizione. Ci sono diversi livelli del
codice visivo: da una parte da unità elementari prive di significato (le figure) il
cui valore è dato per differenza posizionale e opposizione all’interno di un
determinato contesto; sono dice Menna, il corrispondente del fonema. Unità
minime di senso e di significato. Sono tratti elementari che messi insieme
vanno a formare l’enunciato iconico.
Nel libro “La Cornice” di George Simmel, egli spiega come sia invero raro che
si possa creare una breccia tra l’opera e la realtà, anche se Braque e Picasso
lo sbalordiscono. Se si vuole creare il reale all’interno dell’opera questo deve
essere inserito. Picasso dice che tutti sappiamo che l’arte non è verità, l’arte è
una bugia, che ci fa raggiungere la verità. L’opera deve diventare un oggetto
della realtà, parte della verità.
Jim Dine (Pala 1962) nel momento in cui la realizza mette linguaggi semiotici
diversi insieme. La pala non viene rappresentata ma inserita, inghiottita,
inglobata all’interno di un’altra dimensione linguistica (la pittura in questo
caso). Il ready made pone un problema propriamente linguistico e di ordine
logico.
La scultura aniconica/iconica
Robert Morris Una delle sue opere è ”Lastra” del 1962. Si pronuncia come una
struttura minimale. È un oggetto muto che rivela solo se stesso, inserito in
uno spazio.
Duane Hanson Una sua opera è “Ultimi”, del 1974. Elabora un discorso
sull’icona, usa un realismo impeccabile della figura umana sui collassi della
civiltà. Il massimo della somiglianza crea uno scollamento. Gli “Ultimi” è una
accusa alla società.
John De Andrea Utilizza dei paradossi iconici, facendo compiere alla scultura
l’ultimo sforzo per far sì che la scultura, l’opera, prenda il suo posto nella
realtà. Sembra realtà ma non lo sarà mai.
Joseph Kosuth Con le tre sedie egli vuole rappresentare l’oggetto con la
fotografia, la definizione da vocabolario di cosa è una sedia e l’oggetto stesso.
È un’opera tautologica, rappresentata in 3 modi differenti. Neutralizza ogni
impennata metaforica in vista di una più fredda e ed esatta dimostrazione
dell’assunto linguistico: la nominazione non si fonda sulla relazione diretta tra
segni e oggetto ma piuttosto sulla catena delle sostituzioni-traduzioni di un
segno in un altro segno. Egli fa propria una legge elementare : x=y se e solo se
x gode di tutte le proprietà di cui gode y. Comincia a lavorare con il Neon.
Questo presenta se stesso, come lo scola bottiglia Duchampiano, ma c’è un
operazione differente: scrivendo il nome dell’oggetto con l’oggetto stesso
l’artista mette il “lettore” al piano del segno. Non è più un attraversamento ma
è una catena di ordine intersemiotico.
Bernar Venet Secondo Venet l’arte non può essere monosemica. L’opera d’arte
non comunica una sola cosa, è un articolarsi di pensieri. La rappresentazione
stessa dell’ambiguità semiotica usa l’ambiguità per costruire dei discorsi da
comunicare.
Anton Giulio Bragaglia crea la fotografia dinamica con il suo “schiaffo” nel
1910.
Dalle forme bisogna scoprire l’essenza assoluta, portarle alla loro infinità.
L’energia del nero serve a svelare l’azione stessa delle forme, il loro articolarsi
sul foglio , sulla pagina. Con il quadrato nero ogni colore sparisce, non ha più
importanza all’interno di un discorso costruttivista. È un discorso per tutti, per
la comunità, non solo piacevole ma utile. Significa elaborare una fonte di
energia, un discorso sulla città, come forma d’insieme energetico di materiali.
All’interno troviamo i progetti stessi del suprematismo volumetrico. È lo
sguardo della persona esterna, un unità minima di senso che nel suo progetto
diventa tridimensionale. Nel 1915 è in arrivo un’epoca di nuovi materiali, è per
questo che arriva all’azzeramento. Il quadrato nero è tempo volume della
nuova costruzione architettonica. Il quadrato nero è un’esperienza di una
creazione totale. Possiamo arrivare ad un’azione pura. Il nero è il segno stesso
dell’economia, economia vitale. Il quadrato nero ha definito l’economia, che
egli introduce come quinta dimensione dell’arte. Il pittore non c’è più,
anch’egli è un pregiudizio del passato.
Vettor Pisani Nasce a Bari nel 1934 e morto a Roma nel 2011. Un’artista
creativo che mette a nudo la realtà, ironizza sulla storia e ferisce il senso
comune, per creare uno scollamento tra l’artista e il critico. Crea un’ arte con
riferimenti simbolici, filosofici, psicanalitici e magici. Filiberto Menna definisce
il discorso critico affidato alle immagini, opera come critica che sarebbe
l’elemento semiotico. Pisani fin dalle prime opere mostra la volontà di
elaborare un discorso che “colpisce l’arte attraverso l’arte”. Pisani diventa
critico perché vuole interpretare tradurre e tradire l’arte rifacendosi a
Duchamp, Manzoni, Klein e Beuys, attraverso tutti gli strumenti dell’arte. Dalla
sua prima mostra, nel 1970, alla Galleria La Salita di Roma (Maschile,
Femminile e Androgino – Incesto e Cannibalismo in Marcel Duchamp), La
dottrina dei Rosacroce, i riti alchemici e le filosofie esoteriche sono alcuni dei
riferimenti contenuti nei lavori esposti, incentrati sul mistero della Sfinge, sul
mito di Edipo e sulla figura di Duchamp. Vettor Pisani crea una mostra come
se facesse il critico d’arte di Duchamp, un critico che utilizza gli stessi mezzi e
lo stesso linguaggio dell’artista per parlarne. Realizza questa mostra ponendo
l’attenzione sulla critica che induce ad analizzare le sue opere: fa una critica
nella critica, un’analisi dei suoi linguaggi, prendendo ispirazione da Dalì (Dalì
scrisse un libro chiamato “Paranoia critica” e anche Pisani scrisse un libro
basandosi su questo, “metodo paranoico critico”). Vince tra l’altro il premio
Pino Pascali, prendendo in giro la critica, con l’opera “Malinconia Pot”
(tartaruga più veloce del mondo). Il vivente entra a far parte dell’opera.
Sol Lewitt Parte dall’approccio matematico legato alla matematica, ma non alla
matematica stessa. Ars Combinatoria. Regola e Caso. Parte dalla struttura
modulare per eccellenza: il cubo. Il cubo è relativamente poco interessante,
manca di aggressività, è il meno emotivo. È l’unità minima di senso. Non
richiede intenzionalità da parte dell’osservatore. È una figura geometrica
incontestabile. Evita la necessità di inventare un’altra forma prestandosi esso
stesso a nuove invenzioni. Sol Lewitt è il padre dell’arte concettuale. L’incipit
del suo discorso sono le composizioni seriali. Egli parte dal finito per arrivare
all’infinito, dal logico all’illogico. L’artista seriale non cerca di produrre un
oggetto bello o misterioso; egli è un impiegato che registra e cataloga i
risultati di quei presupposti. I suoi wall drawing sono una serie finita che
utilizza il quadrato, il cubo, come sintassi. Sono elementi efficaci e simmetrici.
L’opera d’arte è una struttura mentale. La sua è un’arte intuitiva, non teorica.
Nella realizzazione di un’opera si cerca di evitare la soggettività. La forma è di
scarsissima importanza; alla base c’è solo il pensiero, l’intuizione, l’idea. Gli
artisti sono mistici più che razionalisti, arrivano a conclusioni alle quali
attraverso la logica è impossibile arrivare. L’illogico contiene in se’ la logica.
Concetto ed idea sono diversi; le idee arricchiscono il concetto; le idee sono le
opere d’arte; il concetto è l’espressione della stessa. Il muro si fa supporto del
concetto assieme alle sue declinazioni. Tipi diversi di pareti elaborano tipi
diversi di wall drawings.
Egli ha provato ad annullare il suo corpo. Utilizzando mezzi soft, cerca di avere
uno scontro diretto con la sua nazione, dove è stato bruciato l’humus
culturale. Bolin si adatta con l’ambiente con cui decide di operare. Secondo lui
la cultura deve essere recuperata, bisogna conservare il proprio passato. È per
questo che decide di visitare le città di Roma, Pompei, Paestum, Agrigento).
Egli ritrova in Italia rovine differenti dalle sue: le rovine italiane hanno una
cultura prepotente, che vogliono mantenere il proprio passato; le sue rovine
sono quelle rovine dei palazzi create dal potere per poter far posto a qualcosa
di nuovo. Bolin utilizza il camaleontismo per nascondersi e per sconfiggere il
potere dall’interno. Il suo è un attacco al modello capitalistico, il modello che
ha fatto sì che il popolo non creasse più significato. Egli è uno scultore che ha
deciso di concentrarsi sul proprio corpo, che non decide di scomparire, ma di
apparire insieme alle cose, per evidenziarne i difetti (consumismo,
capitalismo).