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Filiberto Menna, La linea analitica dell'arte moderna

Appunti Semiotica

Semiotica dell’arte Il termine semiotica deriva dal greco “semeion”, che


significa segno. È la disciplina che studia i segni e il modo in cui questi
formano un senso, ovvero una significazione. Bachtin descrive nel libro “il
linguaggio come pagina sociale” l’intreccio tra la psicanalisi e la semiotica (si
avvicina alla logica, alla matematica). “La parola diventa parola soltanto nello
scambio comunicativo sociale vivo, nell’enunciazione reale che può essere
compresa non soltanto da chi esprime il concetto, ma anche dall’uditore,
anch’esso non reale”. La comunicazione è al centro di ogni discorso
semiotico. Il segno nasce da un elemento di natura comunicativa. “Quando
comunichiamo dobbiamo conoscere la lingua con cui parliamo” Elementi
fondamentali all’interno del discorso semiotico sono il significante e il
significato. C’è un’altra traccia fondamentale: la codificazione. Dobbiamo
lavorare con la convenzione. La “significazione” : è il messaggio del
destinatario (senza emittente) come nella comunicazione e indica la relazione
tra un significante e significato. La “comunicazione”: quando parliamo di
comunicazione ci riferiamo al processo mediante il quale qualcuno
(l’emittente) trasmette qualcosa (il messaggio); è un “pontefice” a qualcun
altro (il destinatario). Bachtin fa un discorso sul concetto di rimando citando
Sant’Agostino su “De Doctrina Cristiana” :“il segno è una cosa che, oltre
all’aspetto sensibile con cui si presenta, porta a pensare a qualcosa di un altro
a partire da se’”. Zanzotto dice che “la poesia è come una lettera, ha tanti
destinatari da cui si cerca anche una risposta”. McLuan dice che “il messaggio
è un massaggio alla comunità di massa”. Si deve tener conto della
correlazione socio gerarchica: se alfa parla beta ascolta, la situazione si
ribalta, beta parla e alfa ascolta. La semiotica studia i fenomeni di
significazione e di comunicazione, è una disciplina che non solo analizza il
segno ma anche un complesso che è il testo. Il concetto di testo : testo/textum
=tessuto. Trama o ordine del discorso. Michel Fugòt dice che “Il segno è la
materia di qualsiasi arte, l’insieme di segni crea un testo che è un manifesto
che va scomposto, un’opera, un elaborato”.

Ferdinand de Saussure Cos’è la lingua? Essa non si confonde con il


linguaggio, essa non ne è che una determinata parte. Essa è al tempo stesso
un prodotto sociale della facoltà del linguaggio ed un insieme di convenzioni
necessarie, adottate dal corpo sociale per consentire l’esercizio di questa
facoltà negli individui. Il linguaggio è multiforme e a cavallo di parecchi campi,
nello stesso tempo fisico, fisiologico, psichico, esso appartiene anche al
dominio individuale e al dominio sociale; non si lascia classificare in alcuna
categoria di fatti umani, poiché non si sa come chiarire la sua unità. Fabio
Vittorini dice che qualcuno decide di riferire ciò che è accaduto. Scrivendo o
parlando in entrambi i casi l’atto compiuto, visibilmente comunicativo,
l’interlocutore presente o assente che sia (con una persona o con un pubblico
di massa), cui indirizzare il resoconto dei fatti, si rivela un atto narrativo, che è
in se’ un testo. Ciò viene immesso in campo da Jameson, in “narrazioni
magiche”: ogni genere artistico è un contratto stipulato tra colui che scrive e i
suoi lettori, è una previsione. Noi chiamiamo “segno” la combinazione del
concetto e dell’immagine acustica, ma nell’uso corrente questo termine
designa generalmente solo l’immagine acustica. Saussure distingue tra
significato e significante: il significato è ciò che il segno esprime; il
significante è il mezzo utilizzato per esprimere il significato (l’immagine
acustica). Ma il significato e il significante non sono separabili: come dice
Saussure, sono come le due facce dello stesso foglio. Ma pur essendo
inseparabili, il rapporto tra i due è arbitrario: ciò è dimostrato dal fatto che, per
esprimere uno stesso significato (ad esempio, sorella), le diverse lingue usano
significanti diversi (sorella in italiano, soeur in francese, e così via). Grafema F
0 E 0 Fonema F 0 E 0 Morfema F 0 E 0 Intreccio

|Unita minime di senso| F 0 E 0 Qualcosa che puù creare significazione. Il


linguaggio è il totale.

Charles Senders Pierce: i tre passi della traduzione F 0 E 0 Segno,


Interpretante, Oggetto. Quando andiamo a tradurre, tradiamo il testo e questo
anche nella semiotica. Segno: può essere qualsiasi cosa susciti
un’interpretazione: un’immagine, un rumore, una melodia, un gesto, un segno.
Affinché un elemento funga effettivamente da segno deve essere percepito
come tale ed entrare in relazione con un oggetto, producendo nella mente del
soggetto una rappresentazione ,mentale che stabilisce la relazione tra quel
segno e quell’oggetto. Interpretante: è una porzione di materiale mentale,
un’idea o un pensiero, che interpreta il segno e lo collega all’oggetto. È
soggettivo e incostante. Un segno non produce sempre lo stesso
interpretante. La parola interpretante è una sorta di abbreviazione per segno
interpretante; si tratta quindi di un segno mentale, mentre è l’interprete la
persona che interpreta. Oggetto: ciò a cui rimanda il segno attraverso
l’interpretante. Esiste a prescindere dal segno ma è conoscibile solo per
mezzo del segno. Può essere percepibile o immaginabile. Si tratta del
significato che una persona attribuisce a un segno.

Roland Barthes Fa un discorso rifacendosi al libro “ l’uomo ad una


dimensione” di Marcuse del 1964, a anche a De Saussure, fermando però di
più l’attenzione sulla lingua e la parola. Il linguaggio deve essere visto come
una combinazione di segni. La parola rappresenta la parte puramente
individuale del linguaggio. A lui non interessa il fonema ma la parola in se’ che
va a rappresentare la dimensione individuale del linguaggio mentre la lingua è
un’istituzione sociale e contemporaneamente è un sistema di valori. La lingua
è un contratto collettivo. La parola è una scelta bene precisa per chi ha aderito
al contratto sociale. Questo prodotto sociale (la lingua) è un gioco dotato di
regole proprie perché non se ne può fruire se non in seguito ad un processo di
apprendimento. Più apprendiamo più possiamo fare nostro il gioco stesso.
Fondamentalmente la parola è un atto individuale di selezione e di
attualizzazione. Esiste un’infinita diversità nelle parole; andiamo ad effettuare
una scelta. Il gioco linguistico; lo conosciamo e lo sviluppiamo. Più ne
abbiamo padronanza più possiamo utilizzare quelle parole, più possiamo
andare al di là, creare un discorso che crei un collasso, delle parole composte,
dei NEOLOGISMI, sperimentazione della lingua attraverso l’utilizzo di parole.
La “Variazione” che implicano una trasformazione di quello che è una parola
originaria. Questo legame tra collettivo ed individuale è legato al concetto di
desiderio, di comunicare, di modificare, di insinuare nell’altro il desiderio di
mettersi all’ascolto, creando una relazione, il tutto legato da una coscienza
collettiva. La lingua (moda) non emana dalla stessa parola, ma da un gruppo di
decisioni, che elabora un codice ben preciso.

Erwin Panofsky (1892-1968) Scrive il significato delle arti visive nel 1955.
Partendo dalle icone bisogna decostruire per capire veramente da cosa è
formata la struttura creativa. Panofsky è il padre dell’iconografia ed ideologia.
L’iconografia è quel ramo della storia dell’arte che si occupa del soggetto o
significato delle opere d’arte contrapposto a quelli che sono i loro valori
formali. Il significato fattuale: è di natura elementare e facilmente
comprensibile, viene percepito con la semplice operazione di identificare certe
forme visibili con certi oggetti a noi noti, dall’esperienza pratica e identificando
il loro mutamento nei loro rapporti con certe azioni o eventi. Il significato
espressivo: è appreso per empatia. È necessaria una certa sensibilità perché
si tratta di interpretare una certa reazione che gli oggetti, le azioni e gli eventi
producono in noi. L’iconografia: prima di descrivere si intende logicamente.
Graphein (greco), scrivere, un modo di procedere puramente descrittivo,
spesso addirittura statico. È classificazione delle immagini. L’iconografia è di
incalcolabile aiuto per fissare date, provenienza, autenticità delle opere o di
un’idea. L’iconologia è un’iconografia che vuol essere anche interpretazione,
diviene parte integrante dello studio

dell’arte. Panofsky lavora sulla decostruzione e descrizione, come


nell’allegoria della prudenza di tiziano, infatti egli decostruisce l’opera
risalendo a strutture antiche e del passato ( rappresentazione del tricefalo). Fa
una ricerca a ritroso arrivando fino all’entico Egitto, facendo un’analisi
strettamente iconografica attraversando lingue differenti e crea una
compenetrazione di codici iconografici e linguistici. Dopo aver fatto una serie
di analisi riuscì ad affermare che Tiziano aveva creato qualcosa di già
esistente. Ciò che intende dire Panofsky è che non è necessario inventare
qualcosa di nuovo.

La linea analitica Nel 1975, in pieno dibattito sulla semiotica rapportata alle
arti, Filiberto Menna pubblica “La Linea Analitica”. Secondo lui “L’artista
assume un atteggiamento analitico, sposta i procedimenti dal piano
immediatamente espressivo o rappresentativo a un piano riflessivo, di ordine
metalinguistico (analizza il linguaggio mentre lo adopera) impegnandosi in un
discorso sull’arte nel momento stesso in cui fa concretamente dell’arte.”

Manét, 1863, La colazione sull’erba, scandalo della pittura. Indifferenza del


soggetto. Non c’è prospettiva. Come disse Emile Zolà, il corpo femminile è
solo una macchia di colore. C’è un rapporto di partecipazione con lo scuro che
ha affianco.

Quella domenica alla Grande Jatte, 1866, Seurat Menna dice “Idea ed
esecuzione” “è un lavoro che nasce sulla base di relazioni e dipendenze
interne, non esiste nulla di esterno, la realtà è solo analisi e studio. Elabora un
discorso sul linguaggio della pittura. L’artista scompone lo spazio in unità
minime di senso che messe insieme vanno a creare le icone ed elabora questo
discorso in 3 fasi: 1 La ricerca del soggetto da analizzare 2 La rielaborazione
dei dati 3 Verifica definitiva, esecuzione materiale intesa come puro
trasferimento dell’idea sulla tela. Seurat elabora un discorso sulle forme con le
sue regole combinatorie. Ars Combinatoria. La realtà non può essere
rappresentata. L’artista elabora un discorso sulla realtà: superficie è tutto
quello che forma la superficie. Seurat stabilisce ,attraverso il metodo della
cromatologia, le regole di organizzazione sintattica delle unità minime
cromatiche elementari, per differenza e opposizione. Ci sono diversi livelli del
codice visivo: da una parte da unità elementari prive di significato (le figure) il
cui valore è dato per differenza posizionale e opposizione all’interno di un
determinato contesto; sono dice Menna, il corrispondente del fonema. Unità
minime di senso e di significato. Sono tratti elementari che messi insieme
vanno a formare l’enunciato iconico.

Pual Cézanne, Le Buffet, 1873-77 ca Cézanne elabora un discorso diverso alla


costruzione, attraverso il linguaggio matematico. La realtà della pittura è
legata alla superficie e una serie di forze esercitate sulla superficie. Cézanne si
chiede se si possa accettare la sintassi del linguaggio senza uscire da questo.
Natura calcologica. Menna, dice di Cézanne, che viaggia tra bidimensionalità
della superficie pittorica e la tridimensionalità della realtà. Cézanne affida alla
tela il compito della mediazione tra interno ed esterno. Comincia un discorso
di divaricamento, come il cubismo analitico che tende in sostanza ad
individuare le unità linguistiche di base, a partire dalle quali diventa poi
possibile costruire un nuovo discorso: : in natura tutto è modellato secondo 3
unità fondamentali: la sfera, il cono e il cubo. Bisogna portare sulla tela tutte le
dimensioni e le prospettive reali.

Georges Braque, La Roche-Guyon, 1909 Dopo una retrospettiva su Cézanne.


Non bisogna soltanto girare intorno alle cose, ma per capire la realtà le cose
vanno viste anche all’interno. Un cubismo di natura analitica. Elabora
un’analisi sulla superficie, più vicino alla realtà, tanto da scomporla, una realtà
guardata nella sua interezza.

Nel libro “La Cornice” di George Simmel, egli spiega come sia invero raro che
si possa creare una breccia tra l’opera e la realtà, anche se Braque e Picasso
lo sbalordiscono. Se si vuole creare il reale all’interno dell’opera questo deve
essere inserito. Picasso dice che tutti sappiamo che l’arte non è verità, l’arte è
una bugia, che ci fa raggiungere la verità. L’opera deve diventare un oggetto
della realtà, parte della verità.

Umberto Boccioni L’artista assume un atteggiamento analitico. La realtà


stessa deve modificarsi e combinarsi, un gioco di forze nell’equilibrio dello
spazio, che diventa semantico. Fu uno dei primi estremisti dell’Assemblage e
critico della rappresentazione con Duchamp. Elabora un discorso sulla
scultura attraverso gli oggetti. Dice che la vecchia plastica non può più
esistere. È la realtà a diventare strumento semiotico. La vita è esercizio
artistico per l’artista. È tutto un incastro di cose, oggetti, che non vogliono più
rappresentare il vero, la realtà. Kandinskij e De Chirico continuano il discorso
di Boccioni, attuandolo però su tela.

Giorgio De Chirico Fu fondamentale per la nascita e lo sviluppo artistico di


Andy Warhol. Nelle sue opere il passato è sempre presente. Egli predilige il
passato, e l’originario all’originale. Crea così un collasso semiotico. Egli può
sintetizzare in un’opera, tempi differenti. Grande Astrazione : Kandinskij (
realismo concretismo, l’elemento artistico diventa ai minimi termini) Grande
Realismo : De Chirico (elabora un discorso di suoni interiori, le cose storiche
diventano sovrastoriche, ritorna il passato). Piccoli oggetti della quotidianità
vengono strappati e posti nell’opera. L’oggetto nell’opera non deve essere
letto solo come oggetto, ma dobbiamo riconoscere quei segni che esercitano
una forza ben precisa all’interno di uno spazio.
Marcel Duchamp Nasce con la pittura. La rappresentazione è finzione. Decide
di presentare l’oggetto per quello che è. La morte dell’aura. Strappa gli oggetti
dalla realtà in maniera indifferente. Prendere un oggetto e decontestualizzarlo
da una parte e contestualizzarlo da un’altra. L’oggetto è tautologico, parla di
se’. Il gesto di Duchamp è che l’artista affida all’oggetto il dovere, l’onere di
presentare se stesso.

Jasper Johns New Dada. Pone l’attenzione su qualcosa che va a rarefarsi ai


nostri occhi. Utilizza un linguaggio antico (la pittura) a differenza di Duchamp.
Le sue “Tre Bandiere” sono un enunciato iconico. Riconosce all’immagine i
diritti di proprietà e lascia all’oggetto la propria riconoscibilità più immediata,
persino banale. Pur utilizzando la pittura, l’oggetto si presenta da se’. L’opera
è oggetto. Immagine e oggetto si sovrappongono. Gli oggetti vengono
strappati dalla realtà, trasformati, ma riconoscibili. L’opera non è l’oggetto per
quello che è ma autonomina se stesso, perde la sua funzionalità e si crea un
altro oggetto che parla solo di se’. Realtà Automimica.

Jim Dine (Pala 1962) nel momento in cui la realizza mette linguaggi semiotici
diversi insieme. La pala non viene rappresentata ma inserita, inghiottita,
inglobata all’interno di un’altra dimensione linguistica (la pittura in questo
caso). Il ready made pone un problema propriamente linguistico e di ordine
logico.

L’oggetto si autopresenta, non delega ad altri l’ufficio della propria


denominazione. Se l’oggetto Duchampiano non delegava a nessuno il
linguaggio, in Dine l’oggetto è delegato al linguaggio della lettura. L’oggetto è
quello che è ma viene inglobato in un altro sistema, un’altra struttura ben
precisa, la pittura.

La scultura aniconica/iconica

Francesco Lo Savio Per Francesco Lo Savio le unità minime di senso si


articolano nello spazio, vogliono essere rappresentate nello spazio e farsi
spazio nella realtà. La scultura fa un’operazione ben precisa: investiga su se
stessa e sui propri strumenti linguistici. I segni parlano di loro.

Robert Morris Una delle sue opere è ”Lastra” del 1962. Si pronuncia come una
struttura minimale. È un oggetto muto che rivela solo se stesso, inserito in
uno spazio.

Duane Hanson Una sua opera è “Ultimi”, del 1974. Elabora un discorso
sull’icona, usa un realismo impeccabile della figura umana sui collassi della
civiltà. Il massimo della somiglianza crea uno scollamento. Gli “Ultimi” è una
accusa alla società.

John De Andrea Utilizza dei paradossi iconici, facendo compiere alla scultura
l’ultimo sforzo per far sì che la scultura, l’opera, prenda il suo posto nella
realtà. Sembra realtà ma non lo sarà mai.

Yves Klein Opera in maniera similare a De Andrea, ma si avvicina molto alla


linea di Jasper Johns, con un procedimento ben preciso, il calco. Con i suoi
“Ritratti-Rilievo” attua uno scollamento della realtà rispetto all’opera.

L’illusionismo pittorico Alla base di questo “movimento” c’è René Magritte.


Egli mette in questione, in termini radicali, l’illusionismo pittorico, che si fonde
sulla fiducia nella possibilità di un’omologazione del reale mediante la
rappresentazione, e viceversa. Elabora un discorso sull’immagine e sulla
parola. Ogni cosa che vediamo può essere nominata. Lui fa franare questa
corrispondenza. L’immagine resta immagine. Il tema è la convenzionalità e
l’arbitrarietà del segno e della sua relazione con l’oggetto (relazione
semantica). Un oggetto non è mai lo stesso ufficio che il suo nome o la sua
immagine.

Joseph Kosuth Con le tre sedie egli vuole rappresentare l’oggetto con la
fotografia, la definizione da vocabolario di cosa è una sedia e l’oggetto stesso.
È un’opera tautologica, rappresentata in 3 modi differenti. Neutralizza ogni
impennata metaforica in vista di una più fredda e ed esatta dimostrazione
dell’assunto linguistico: la nominazione non si fonda sulla relazione diretta tra
segni e oggetto ma piuttosto sulla catena delle sostituzioni-traduzioni di un
segno in un altro segno. Egli fa propria una legge elementare : x=y se e solo se
x gode di tutte le proprietà di cui gode y. Comincia a lavorare con il Neon.
Questo presenta se stesso, come lo scola bottiglia Duchampiano, ma c’è un
operazione differente: scrivendo il nome dell’oggetto con l’oggetto stesso
l’artista mette il “lettore” al piano del segno. Non è più un attraversamento ma
è una catena di ordine intersemiotico.

Bernar Venet Secondo Venet l’arte non può essere monosemica. L’opera d’arte
non comunica una sola cosa, è un articolarsi di pensieri. La rappresentazione
stessa dell’ambiguità semiotica usa l’ambiguità per costruire dei discorsi da
comunicare.

La fotografia analitica. Figure ed icone La messa in questione dell'iconismo


coinvolge anche la pratica della fotografia. Gli artisti avviano un processo di
decostruzione del linguaggio fotografico, riconducendolo ai dati costitutivi più
semplici. I fotogrammi, quali immagini fissate su carta fotografica senza l'aiuto
di una camera fotografica, nascono tra il 1918 e il 1922 per opera di due artisti:
il tedesco Christian Schad e l'americano Man Ray. Un'altra data molto
importante è quella del 1925, anno in cui Lazso Moholy-Nagy pubblica l'ottavo
volume Pittura Fotografia Film della collana editoriale diretta dalla scuola del
Bauhaus, contribuendo in questo modo alla diffusione di questa tecnica
fotografica. Quest’ultimo rappresenta momenti diversi nello stesso
fotogramma.

Veronesi dice che l'immagine che si ottiene non è mai un documento, o la


descrizione o la rappresentazione di un oggetto, ma la trasformazione
dell'immagine di questo oggetto in un puro rapporto di luce ed ombra. La luce
è usata per comporre. La fotografia diventa qualcosa di nuovo della realtà.

Anche Munari si dedica ai fotogrammi. Egli dice che è un derivato della


radiografia e non è che l’impressione su carta sensibile dell’ombra di
determinati oggetti, in modo da creare un’ impronta personale che resterà
fissata in negativo sulla carta. Per lui il fotogramma è un nuovo mezzo artistico
da porre accanto alla xilografia, al monotipo. Quando si fanno i fotogrammi
occorrono tutti i mezzi della fotografia ma nessun obiettivo o macchina
fotografica. La pratica analitica della fotografia mette in questione l'iconismo
anche per altra via, cioè senza rinunciare alla rappresentazione, ma […]
adottando una serie di convenzioni connotative del linguaggio fotografico che
vanno dalle scomposizioni futuriste al fotomontaggio, dalla solarizzazione al
negativo, all'uso di obiettivi speciali, di lenti deformanti, ecc.

Anton Giulio Bragaglia crea la fotografia dinamica con il suo “schiaffo” nel
1910.

Secondo Josephson la fotografia è costruzione linguistica. L’icona è sempre


un’icona, non la realtà, e ci dimostra questo con la foto nella foto.

Nel 1933 Magritte elabora “La condizione umana”. Un illusionismo pittorico, di


un dipinto di un quadro che rappresenta il paesaggio fuori dalla finestra.
Secondo Magritte bisogna ben distinguere la somiglianza dalla similitudine. La
somiglianza è legata al pensiero, è soggettiva, basata su un percorso
linguistico.

Il versante aniconico e le unità linguistiche elementari

Malevich Secondo Malevich le cose non possono più essere rappresentate. La


rappresentazione è sana esercitazione (è contro l’accademia). È un sistema
ammuffito. Il suo “Quadrato nero”, del 1913 circa, è l’elemento fondamentale
con il quale si può creare qualsiasi discorso. È la condensazione di tutta la
storia dell’arte. Una finestra attraverso la quale respiriamo la vita. Da questa
forma bisogna scoprire l’assenza. L’energia del nero trattiene tutta la storia. Al
suo interno possiamo trovare qualunque cosa. Il quadrato nero è l’elemento
supremo con il quale possiamo sviluppare tutto ciò che ci circonda. Il
quadrato è qualcosa di concreto, è la creazione della ragione intuitiva. La
forma da cui vengono fuori tutte le forme del mondo. Per Malevich ci deve
essere un azzeramento della forma, come discorso assoluto e assolutistico. È
un’opera esplosiva, contro le icone, contro le accademie, contro le strutture.
Ci dice che il tutto è costruzione. Se sino ad ora tutte le forme sono state
rappresentate, nel suprematismo invece, l’azione su una superficie è stata un
rapporto geometrico economico. Non può che essere un mondo concreto che
avanza. La forma in se’ è la natura, ma la seconda natura. La prima è quella
che vediamo articolarsi, la seconda si articola attraverso il quadrato. Malevich
comincia a mettere insieme una serie di quadrati, unità minime di senso.

Dalle forme bisogna scoprire l’essenza assoluta, portarle alla loro infinità.
L’energia del nero serve a svelare l’azione stessa delle forme, il loro articolarsi
sul foglio , sulla pagina. Con il quadrato nero ogni colore sparisce, non ha più
importanza all’interno di un discorso costruttivista. È un discorso per tutti, per
la comunità, non solo piacevole ma utile. Significa elaborare una fonte di
energia, un discorso sulla città, come forma d’insieme energetico di materiali.
All’interno troviamo i progetti stessi del suprematismo volumetrico. È lo
sguardo della persona esterna, un unità minima di senso che nel suo progetto
diventa tridimensionale. Nel 1915 è in arrivo un’epoca di nuovi materiali, è per
questo che arriva all’azzeramento. Il quadrato nero è tempo volume della
nuova costruzione architettonica. Il quadrato nero è un’esperienza di una
creazione totale. Possiamo arrivare ad un’azione pura. Il nero è il segno stesso
dell’economia, economia vitale. Il quadrato nero ha definito l’economia, che
egli introduce come quinta dimensione dell’arte. Il pittore non c’è più,
anch’egli è un pregiudizio del passato.

Mondrian Viene reputato il poeta della pittura e precursore del Neoplasticismo.


Il suo discorso non è differente a quello di Malevich. Elabora una serie di
discorsi legati all’albero che rappresenta l’articolarsi delle cose. È un’apertura
costante. Arriva via via al gesto assoluto il cui interno è un discorso
comunitario. Egli attua un discorso sulle figure primarie. Mira all’istituzione
poetica di un nuovo codice della pittura, dell’arte in generale, da cui fare
partire sottocodici. Mondrian si rivolge all’individuazione di un sistema
linguistico costituito da unità costanti di base (figure) e dalle regole che ne
rendono possibile il funzionamento. Parte da un elemento concreto e,
riducendolo, lo porta ad essere. L’albero è l’origine stessa della composizione.
Alla base c’è la musica. Egli capisce che tutte le cose che si muovono sono
legate alle cose primarie. Nei suoi quadri le linee nere sono viste come pareti;
è tutto un articolarsi di spazi. Le sue composizioni sono architetture, in senso
molto più ampio. Attua una destrutturazione del codice pittorico.
Neoplasticismo e suprematismo combaciano. Non c’è più purezza, è solo una
cosa mentale. L’articolazione degli elementi è la stessa, è il codice che cambia.
Il neoplasticismo è Ars Combinatoria. È uno sviluppo continuo di spazialità e
spazializzazione.

Vettor Pisani Nasce a Bari nel 1934 e morto a Roma nel 2011. Un’artista
creativo che mette a nudo la realtà, ironizza sulla storia e ferisce il senso
comune, per creare uno scollamento tra l’artista e il critico. Crea un’ arte con
riferimenti simbolici, filosofici, psicanalitici e magici. Filiberto Menna definisce
il discorso critico affidato alle immagini, opera come critica che sarebbe
l’elemento semiotico. Pisani fin dalle prime opere mostra la volontà di
elaborare un discorso che “colpisce l’arte attraverso l’arte”. Pisani diventa
critico perché vuole interpretare tradurre e tradire l’arte rifacendosi a
Duchamp, Manzoni, Klein e Beuys, attraverso tutti gli strumenti dell’arte. Dalla
sua prima mostra, nel 1970, alla Galleria La Salita di Roma (Maschile,
Femminile e Androgino – Incesto e Cannibalismo in Marcel Duchamp), La
dottrina dei Rosacroce, i riti alchemici e le filosofie esoteriche sono alcuni dei
riferimenti contenuti nei lavori esposti, incentrati sul mistero della Sfinge, sul
mito di Edipo e sulla figura di Duchamp. Vettor Pisani crea una mostra come
se facesse il critico d’arte di Duchamp, un critico che utilizza gli stessi mezzi e
lo stesso linguaggio dell’artista per parlarne. Realizza questa mostra ponendo
l’attenzione sulla critica che induce ad analizzare le sue opere: fa una critica
nella critica, un’analisi dei suoi linguaggi, prendendo ispirazione da Dalì (Dalì
scrisse un libro chiamato “Paranoia critica” e anche Pisani scrisse un libro
basandosi su questo, “metodo paranoico critico”). Vince tra l’altro il premio
Pino Pascali, prendendo in giro la critica, con l’opera “Malinconia Pot”
(tartaruga più veloce del mondo). Il vivente entra a far parte dell’opera.

Michelangelo Pistoletto rimase affascinato dall’opera, da qui inizia una


collaborazione sul plagio e sull’androginia. Un’altra opera del ’70 fu “la camera
dell’eroe”, una venere di cioccolato. Nel ’71 elaborò “androginia come umana
e oro”. Per Pisani l’androginia era un corpo che conteneva tutto, l’originario
dell’essere; non si è uomo o donna, esiste solo androginia, l’unicità. Per Pisani
l’arte è legata inevitabilmente al corpo, all’assenza dell’eroe e quindi al tragico.
Non può esserci un eroe, ma un antieroe. Niente per Pisani può essere
inventato, ma può essere riportato attraverso uno scavo psicologico . Nel ’72
fece “lo scorrevole”, pone una figura femminile, (simbolo del movimento della
vita) e il tempo che scorre rappresenta la scorrevolezza. Nell’”isola dei morti”
si capisce quanto centrale sia la figura dell’isola per Pisani. Nel ’73 fece
“Plagio”: il corpo vivente entra nell’opera. Pisani fu sempre affascinato
dall’isola di Ischia, l’isola lontana staccata dalla terra, grande richiamo
all’opera “l’isola dei morti”. “Edipo e la sfinge” del 1980 è un ricordo del
passato, all’origine, all’originario. Con “al coniglio non piace Joseph Beuys”,
Pisani critica quest’ultimo, poiché non si può più tornare alla natura
primordiale e al mondo animale, perché ormai la cultura è artificio. Al centro
del pensiero di Pisani c’è l’uomo e l’artificio ed è la cultura a forgiare le cose.

Sol Lewitt Parte dall’approccio matematico legato alla matematica, ma non alla
matematica stessa. Ars Combinatoria. Regola e Caso. Parte dalla struttura
modulare per eccellenza: il cubo. Il cubo è relativamente poco interessante,
manca di aggressività, è il meno emotivo. È l’unità minima di senso. Non
richiede intenzionalità da parte dell’osservatore. È una figura geometrica
incontestabile. Evita la necessità di inventare un’altra forma prestandosi esso
stesso a nuove invenzioni. Sol Lewitt è il padre dell’arte concettuale. L’incipit
del suo discorso sono le composizioni seriali. Egli parte dal finito per arrivare
all’infinito, dal logico all’illogico. L’artista seriale non cerca di produrre un
oggetto bello o misterioso; egli è un impiegato che registra e cataloga i
risultati di quei presupposti. I suoi wall drawing sono una serie finita che
utilizza il quadrato, il cubo, come sintassi. Sono elementi efficaci e simmetrici.
L’opera d’arte è una struttura mentale. La sua è un’arte intuitiva, non teorica.
Nella realizzazione di un’opera si cerca di evitare la soggettività. La forma è di
scarsissima importanza; alla base c’è solo il pensiero, l’intuizione, l’idea. Gli
artisti sono mistici più che razionalisti, arrivano a conclusioni alle quali
attraverso la logica è impossibile arrivare. L’illogico contiene in se’ la logica.
Concetto ed idea sono diversi; le idee arricchiscono il concetto; le idee sono le
opere d’arte; il concetto è l’espressione della stessa. Il muro si fa supporto del
concetto assieme alle sue declinazioni. Tipi diversi di pareti elaborano tipi
diversi di wall drawings.

Liu Bolin (Shandong, 7 Gennaio 1972) Il proprio corpo è strumento linguistico;


la persona è un numero che non ha nome, si perde all’interno dell’anonimato
dove chi controlla è chi esercita il potere. La sua idea nasce dalle ceneri del
comunismo che ha fallito, una grande utopia. L’arte è mimesis (Aristotele), è
qualcosa legata alla realtà, e se l’arte imita il reale, l’arte non può mentire
(Platone). L’artista punta dritto al piacere e alla conoscenza; i suoi sono
camaleontici ritratti dove il suo corpo si fonda con le cose, con quella che è
una verità universale. L’uomo è privato di spazio, fisico e mentale. Lo spazio
urbano è una stimolazione continua di simboli semiotici.

Egli ha provato ad annullare il suo corpo. Utilizzando mezzi soft, cerca di avere
uno scontro diretto con la sua nazione, dove è stato bruciato l’humus
culturale. Bolin si adatta con l’ambiente con cui decide di operare. Secondo lui
la cultura deve essere recuperata, bisogna conservare il proprio passato. È per
questo che decide di visitare le città di Roma, Pompei, Paestum, Agrigento).
Egli ritrova in Italia rovine differenti dalle sue: le rovine italiane hanno una
cultura prepotente, che vogliono mantenere il proprio passato; le sue rovine
sono quelle rovine dei palazzi create dal potere per poter far posto a qualcosa
di nuovo. Bolin utilizza il camaleontismo per nascondersi e per sconfiggere il
potere dall’interno. Il suo è un attacco al modello capitalistico, il modello che
ha fatto sì che il popolo non creasse più significato. Egli è uno scultore che ha
deciso di concentrarsi sul proprio corpo, che non decide di scomparire, ma di
apparire insieme alle cose, per evidenziarne i difetti (consumismo,
capitalismo).

Tomaso Binga Il corpo è per l’artista il paese più straziante. L’artista ha


trasformato il pensiero del marito in un elemento estetico. Nel 1960 elabora un
discorso sul segno, sul disegno, strettamente pedagogico e didattico. Utilizza
materiali di scarto della metropoli (polistirolo, giornali) che ella stessa ha
desemantizzato. È la genitrice della desemantizzazione del linguaggio. La
parola diventa traccia, un segno puro, è una menzogna, non può essere letta.
Ha vissuto la sua infanzia in un sistema maschilista; ha investigato il segno,
contorcendolo. I primi segni sono pedagogici. Comincia poi a polemizzarsi.
Struttura un discorso di natura andragogica. La parola vuole essere un
semplice segno; annullamento delle parole che diventano segni, tracciati. È il
corpo a diventare scrittura. Scrive “ti scrivo solo di domenica” come denuncia
al maschilismo pressante che costringeva la donna a potersi “godere”
solamente quel giorno della settimana, che è l’unico ad essere al femminile. Il
suo corpo si fa abecedario, con il ruolo di educare il maschio ad eliminare i
pudori. Utilizza la carta da parati, come riassunzione delle persecuzioni
femminili, costrette all’interno delle mura domestiche. Smonta l’interno e lo
porta verso l’esterno. Comincia ad elaborare un discorso utilizzando i
dattilocodici; è lei la prima artista che distrugge la lettera alfabetica. Dice lei
“la mia ricerca si è sviluppata nell’ambito della scrittura verbo visiva e del
suono”. Nel ’78 partecipa alla biennale di Venezia. Nel 1985 cambia codice di
linguaggio mescolando l’archetipo e il futuribile, l’arazzo ed il computer, le
lettere diventano personaggi, animali, cose attraverso l’utilizzo del Biographic.
Nel 1991, dopo “ti scrivo solo di domenica” decide di realizzare “riflessioni
appuntate”, dedicate all’involontario di guerra. Il corpo si fa scrittura vivente,
con una voce diversa, che è quella del corpo. Il significato e il significante si
intrecciano in un gioco di prevaricazioni costanti. La donna e l’uomo
all’interno della società diventano segni, verbalità. L’artista non è né uomo né
donna, senza nazionalità, appartiene al mondo.

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