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Un libro sulla chiesa di Santo Stefano

Giovedì 19 dicembre alle ore 18.30 sarà presentato presso la chiesa di S. Stefano il
volume “Santo Stefano in Verona”, promosso dalla parrocchia, redatto da Leonardo
Venturini e pubblicato dall’editrice Scripta.
Il libro non è solo una guida aggiornata e puntuale alla visita della basilica, ma si propone
di sintetizzare in un linguaggio accessibile e accattivante l’imponente mole di studi
dedicati, da più di un secolo a questa parte, a una chiesa la cui complessa vicenda storica,
architettonica e artistica è poco conosciuta anche dai veronesi. Il testo è accompagnato da
un ricco corredo fotografico, a volte inedito, in quanto valorizza vivaci dettagli che possono
sfuggire anche a un attento osservatore.
Rispetto alle grandi basiliche veronesi, Santo Stefano è una chiesa un po’ defilata,
piuttosto umile nella struttura e modesta nelle dimensioni, perciò poco considerata dal
circuito turistico e ignorata nelle note stampe e vedute della città. Il suo studio
approfondito, invece, è appassionante e riserva affascinanti sorprese e interrogativi.
Nella zona del duomo furono rinvenuti nel secolo scorso bellissimi mosaici di due chiese
paleocristiane, ma di quegli edifici resta solo il pavimento. Santo Stefano al contrario, pur
con le ristrutturazioni e aggiunte subite nel corso dei secoli, è sostanzialmente lo stesso
edificio di millecinquecento anni fa: in esso sono chiaramente riconoscibili le originarie
murature paleocristiane del V secolo, che tuttora ne costituiscono il perimetro e la struttura
portante. Possiamo quindi considerarla la più antica chiesa tuttora esistente di Verona,
essendo stata per tutto questo tempo adibita al culto dei fedeli.
Essa sorse in sinistra Adige poco fuori dalle mura della città romana, presso la porta
urbica da cui usciva la via Claudia Augusta Padana diretta a Trento, come basilica
cimiteriale a protezione delle sepolture di una Verona ormai in larga parte cristianizzata,
circa un secolo dopo l’editto di Costantino, e fu dedicata a santo Stefano, perché vi fu
deposta una preziosa reliquia del protomartire, il cui corpo si riteneva di aver rinvenuto
nell’anno 415, presso Gerusalemme. La chiesa divenne famosa anche per le reliquie dei
quaranta martiri veronesi trucidati secondo la tradizione in riva all’Adige sotto Diocleziano
e quelle di alcuni dei bimbi uccisi da Erode il Grande nella strage di Betlemme, oltre a ciò
divenne ben presto luogo di sepoltura dei vescovi veronesi, molti dei quali proclamati
santi.
L’edificio paleocristiano era costituito da un’aula unica conclusa dall’abside; tra l’abside e
l’aula si inseriva il lungo transetto formando una croce con evidente valore simbolico.
Anche la luce solare ne aveva uno importante: essa rappresentava la luce di Cristo che
squarcia le tenebre del peccato. Per questo l’abside era rivolta a oriente, dove il sole sorge
all’equinozio e lungo le fiancate e nell’abside si aprivano grandi finestre, attraverso le quali
la luce inondava l’interno dell’edificio.
In età ottoniana, intorno al X decimo secolo, durante le incursioni degli Ungari, le finestre
furono murate, lasciando solo strette feritoie, come si può facilmente vedere osservando il
fianco sud della chiesa (verso l’Adige). Sempre in questo periodo l’aula unica fu divisa in
tre navate e quattro campate da muri ad arcate, sostenute da semplici pilastri
quadrangolari privi di ogni decorazione e la chiesa fu dotata di un ambulacro, una galleria
semicircolare a volte, sostenuta da colonne, appoggiata al muro dell’abside e che gira
intorno all’altar maggiore, come avverrà più tardi in molte chiese romaniche e gotiche
poste lungo le vie dei pellegrinaggi. Verona era, infatti, percorsa da una variante della via
Romea che portava a Roma e l’ambulacro probabilmente favoriva il passaggio
devozionale dei pellegrini, che potevano contemplare le reliquie attraverso apposite
finestrelle (tuttora esistenti anche se murate), senza disturbare le funzioni liturgiche.
Ma la particolarità di Santo Stefano, che ne fa un unicum, è che essa fu dotata di due
ambulacri, uno sovrapposto all’altro. La funzione dell’ambulacro superiore è controversa:
alcuni pensano che servisse in particolari solennità, in cui interveniva il vescovo, così si
spiegherebbe la cattedra “episcopale” di pietra, posta un tempo sotto la volta centrale di
tale ambulacro.
Al secolo X o XI risale l’affresco più antico: si tratta di un esteso ciclo affrescato sul muro
dietro l’altar maggiore che imita i preziosi drappi di seta dell’epoca, intessuti di perle, usati
per avvolgere i corpi o le reliquie dei santi.
Santo Stefano divenne ecclesia baptismalis con diritto cioè di amministrare il Battesimo,
riservato di solito in ambito cittadino alla sola cattedrale e già nei secoli XI-XII godeva dello
stato particolare di pieve cittadina, affidata a un archipresbiter o arciprete a capo di una
collegiata e da cui dipendeva uno xenodochio per pellegrini e un ospizio per poveri.
Più tardi in epoca romanica, alcuni decenni dopo il terremoto del 1117, la chiesa subì
importanti trasformazioni, che ne alterarono l’interno: fu scavata una vasta cripta sorretta
da volte a crociera, per dare adeguata collocazione alle sante reliquie e fu
conseguentemente rialzata la zona presbiteriale del transetto e dell’abside. All’incrocio tra
la navata centrale e il transetto fu elevata la torre ottagonale del tiburio, unico esempio a
Verona, con funzione di lucernario e campanile. L’atrio paleocristiano fu inglobato nella
chiesa e ne costituì la quinta campata, immorsata alla nuova facciata “a capanna”
costruita in tipico stile romanico veronese, con alternanza di filari di mattoni e tufo.
Numerosi sono i resti di affreschi romanico - gotici bizantineggianti. Nella navata sinistra
un riquadro a mo’ di vessillo reca la scritta STOPHANIA che l’autore integra come
CHRISTOPHANIA, manifestazione del Cristo, infatti, la punta della lancia del vessillo indica
l’adiacente affresco della Presentazione di Gesù Bambino al tempio in cui il Cristo si rivela
al vecchio Simeone.
Tra gli affreschi tardogotici si segnala il meraviglioso dipinto di Martino da Verona (? -
1412). Annunciazione e Incoronazione di Maria, rimasto integro perché scomparso sotto
altro affresco nel XV secolo e riportato alla luce solo ai primi del Novecento.
A metà del Cinquecento il vano del tiburio fu chiuso da una cupola le cui spinte laterali
furono contrastate da due volte a botte. Nella cupola ci viene incontro un Cristo trionfante,
nei quattro pennacchi stanno gli Evangelisti e nelle volte a botte Angeli musicanti tutti
affrescati dalla vivace fantasia di Domenico Brusasorzi (1516–1567).
Molto belli ed efficaci sono i due affreschi monocromi in ocra rossiccia di Battista del
Moro (1514-1575), posti di fronte uno all’altro nelle due navate laterali, che rappresentano
l’Ordinazione e la drammatica Sepoltura di santo Stefano.
Il rinascimento è rappresentato anche da pale d’altare dipinte a olio su tela, tra le quali si
distinguono due tele di Domenico Brusasorzi. La prima imponente, Cristo portacroce con
santo Stefano e santi ornava l’altar maggiore e ora si trova nel transetto sinistro. L’altra,
Adorazione dei magi è detta anche Epifania del fuoco, per l’originale trattazione del tema,
infatti, mentre i magi porgono i loro doni, un giovane san Giuseppe in disparte tiene
disteso un candido pannolino ad asciugare sopra un focherello. Purtroppo la tela non è più
presente nella basilica, ma, in seguito alla demolizione dell’altare che ornava, posto ai
piedi dell’affresco di Martino da Verona, fu trasferita, assieme ad una tela Madonna e santi
di Nicola Giolfino, al museo di Castelvecchio.
Un documento del Regio Subeconomato dei Benefici Vacanti del 10 maggio 1909,
custodito nell’Archivio Parrocchiale, autorizza la Fabbriceria della Chiesa Parrocchiale di
S. Stefano “a consegnare in deposito al museo civico della città le due pale dei suddetti
altari con espressa riserva di ogni suo diritto su di esse e con la facoltà di potere
richiederne in ogni momento la restituzione”.
Nel 1618-1620, in piena controriforma, monsignor Giulio Varalli pensò di dare un giusto
risalto alle reliquie e, a sue spese, fece aprire sul fianco destro della chiesa l’architettura
barocca della cappella degli Innocenti, abbellita da stucchi dorati e concepita come un
raffinato contenitore delle preziose reliquie, qui trasferite dalla cripta e illustrate dalle tele di
tre pittori veronesi che rivelano l’influsso del Caravaggio. Nella parete destra ammiriamo
la tela dei Cinque santi vescovi veronesi di Marcantonio Bassetti (1588-1630), al centro La
strage degli Innocenti di Pasquale Ottino (1578-1630), a sinistra Il martirio dei quaranta
martiri veronesi di Alessandro Turchi, detto l’Orbetto (1581 - 1650).
Nel Settecento furono aperte tre piccole cappelle contigue sulla parete della navata
sinistra. La cappella centrale fu poi ampliata verso l’esterno ai primi del Novecento, per
celebrare l’Immacolata Concezione nel cinquantenario della proclamazione del dogma.
Negli ultimi due secoli la chiesa ha richiesto numerosi e importanti restauri, l’ultimo dei
quali si è concluso recentemente nel 2007, riportando alla luce nel transetto il luminoso
intonaco marmorino e i pregevoli affreschi del XV e XVII secolo.

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