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Capitolo 1

Origini e sviluppo del diritto di famiglia musulmano

1.1 Il diritto musulmano: fonti

L'inizio dell'era musulmana si fa risalire al 622 d.C., anno in cui il Profeta Maometto

insieme ad un gruppo di suoi fedeli compirono l'Egira, letteralmente “emigrazione”1,

abbandonando la Mecca per raggiungere la cittadina di Yathrib, che da allora prese

il nome di Medina, ovvero “Città del Profeta”2.

Tale avvenimento di decisiva importanza, fu preso ad inizio del calendario del

mondo islamico che proprio per questo segue una datazione diversa rispetto a quella

del mondo occidentale.

La rivelazione della religione islamica comportò immediatamente mutamenti nella

società del tempo, andando ad incidere su aspetti non solo religiosi, ma anche

giuridici, sociali ed economici.

All'interno della Penisola Arabica, che costituisce la “culla della religione islamica” 3

si distinguevano zone in cui si erano formate organizzazioni statali di una certa

importanza, ad altre dove regnava l'anarchica vita delle tribù nomadi dedite alla

transumanza, le tribù dei cosiddetti beduini.

1 Egira: in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.


2 C. Lo Jacono, Maometto, Roma-Bari, Editori Laterza, 2011, p. 78.
3 F. Castro, G. Vercellin, Introduzione allo studio delle istituzioni giuridiche dell'Islam classico, p. 8.

1
A quei tempi l'unico legame riconosciuto quale collante della comunità, era quello

di sangue4.

Con l'affermarsi dell'Islam si assistette al passaggio dalla concezione

dell'uomo/individuo, quale appartenente ad una determinata tribù, a quella

dell'uomo /fedele, quale membro di una nuova società costituita su base religiosa, la

Comunità dei credenti, ossia la “Umma”.

Al vincolo di sangue, fondamento della tribù araba preislamica, si sostituì il vincolo

della comune fede nell'Islam, dando vita alla Comunità Musulmana, che viene

considerata dal Corano5 superiore rispetto a tutte le altre comunità umane.

Il processo di formazione dell'Umma non fu immediato, ma procedette per gradi,

data la difficoltà di sradicare del tutto l'idea dei tradizionali legami fondati sul vincolo

del sangue.

Fu soltanto nel 627 d.C., in seguito all'espulsione da Medina delle tribù ebraiche,

che l'Umma assunse il suo carattere definitivo, quale insieme di fedeli che credono

ed accettano di essere giudicati, dal verbo Divino del Corano 6.

Maometto, l' ultimo dei profeti, era considerato l'unico in grado di conoscere l'intera

Rivelazione7 e da qui discende l'idea della superiorità dei fedeli musulmani, i soli in

grado di vivere rettamente grazie alla conoscenza completa della Rivelazione.

Ai credenti, membri a pieno diritto della comunità, si contrapposero gli infedeli, ai

fini giuridici distinti nelle due categorie degli “scritturati” o “gente del libro” e della

“gente degli idoli”.

4 A. Rahman Pasquini, Fondamenti della famiglia musulmana, Quaderni islamici, LVIII, Edizioni del
Calamo, Milano, 2009, p. 30
5 Corano III, 104,110.
6 Umma in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010.
7 C. Lo Jacono, Maometto, l'Inviato di Dio, Roma, Edizioni Lavoro, 1995, p. 35

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Alla “gente del libro”, cristiani ed ebrei, l'Islam attribuì piena dignità religiosa, un

riconoscimento che non si rifletté però in una uguaglianza tra i vari fedeli, è infatti

sempre sancita la supremazia del fedele musulmano.

Prima della sua morte, avvenuta nel 632 d.C. , Maometto riuscì ad unificare ampie

regioni dell'Arabia in un unico regno fondato su vincoli religiosi.

Tuttavia con la fine della vita terrena del Profeta, l'unità dell'Islam venne minata dal

problema della individuazione del suo successore.

Tale questione, che vide la contrapposizione tra la corrente di coloro che

ritenevano che il suo successore dovesse essere eletto, e coloro che ritenevano

invece che lo stesso fosse già designato nella persona di Alì, cugino e genero di

Maometto, portò alla creazione delle due grandi ramificazioni all'interno della

comunità islamica: quella dei sunniti e quella degli sciiti, sostenitori i primi dell'una ed

i secondi dell'altra corrente.

Ancora oggi persiste questa suddivisione, con una netta maggioranza dei sunniti

che rappresentano circa il novanta per cento dei musulmani e che rivestono un ruolo

politico e religioso maggioritario all'interno della Comunità musulmana.

Nonostante le differenze fondamentali tra sunniti e sciiti, elemento unificante

dell'Umma divenne il Corano, il Libro Sacro, di cui tutti i fedeli erano tenuti a

rispettare gli insegnamenti, non importa di quale tribù o di quale villaggio fossero

originari.

La stessa parola Islam, letteralmente “sottomissione”, descrive il completo stato di

subordinazione del fedele verso tali principi, compiendo un dovere non solo religioso,

ma anche sociale e giuridico8.

8 Islam in il Dizionario Enciclopedico Italiano (DEI) dell'Istituto Treccani, vol. VI

3
A partire dalla Rivelazione ogni aspetto della vita del credente venne regolato e si

adattò ai segni rivelati da Dio, tutti i fedeli si incamminarono sulla “strada battuta”, sul

“cammino che conduce alla fonte a cui abbeverarsi”, la Shari'ah, vale a dire il

complesso di regole morali, giuridiche e religiose, dettate direttamente da Dio ai suoi

fedeli9.

Il termine arabo Shari'ah, significa letteralmente “via diritta rivelata da Dio”10, ed in

questo senso ha una triplice accezione.

Da un punto di vista generale, è la “via religiosa” rivelata a Musulmani, Cristiani ed

Ebrei, comprendente riti, dogmi, precetti morali e giuridici.

In senso lato, è la “via rivelata” ai soli Musulmani, riguardante sia il foro interno,

ossia l'ambito della coscienza, sia il foro esterno,ovvero l'ambito della disciplina 11.

Infine, in senso stretto, è la via o “Legge religiosa”, rivelata ai soli Musulmani e

riguardante esclusivamente il foro esterno.

In questa ultima, più ristretta accezione, il concetto di Shari'ah coincide con quello

di fiqh, letteralmente “comprensione, conoscenza, sapere”, più spesso tradotto come

“scienza del diritto religioso dell'Islam”, vale a dire l'attività del giurista che grazie alla

sua opera interpretativa è in grado di regolare le azioni del credente verso Dio, verso

se stesso e verso gli altri12.

Più in particolare il fiqh consiste nell'estrarre dalle radici e dalle fonti le norme

relative alla ripartizione sciaraitica delle azioni umane, suddivise nelle cinque

categorie fondamentali degli atti obbligatori, proibiti, consigliati, sconsigliati ed infine

liberi.

9 M. Papa, L. Ascanio, Shari'a. La legge sacra dell'islam., 2014, il Mulino , Bologna p.24.
10 Sharia, in Vocabolario on line, Treccani.
11 F. Castro,Diritto musulmano, Torino,UTET, 2006 pp. 16-17.
12 G. Vercellin, Il profeta dell'islam e la parola di Dio, Giunti editore, 2000, p. 57

4
Il fiqh è costituito dai manuali che gli studiosi hanno prodotto nel corso dei secoli,

in particolare dall’VIII al X secolo, e per mezzo dei quali si elabora e si spiega la

Sharī’ha e si dà interpretazione giuridica alle regole contenute nel Corano.

Tra i caratteri del fiqh, fondamentale è quello della sacralità, dal quale derivano più

o meno direttamente anche i caratteri della confessionalità, personalità, eticità,

extrastatualità, imperatività ed immutabilità.

Gli studiosi della Shari'ah e quelli del fiqh, in mancanza di un vero e proprio clero,

hanno sempre goduto di una certa venerazione religiosa, esercitando talvolta una

sorta di sacerdozio del diritto13.

La scienza giuridica, si divide poi nello studio delle fonti e dei rami del diritto.

Secondo la costruzione dottrinale musulmana classica, le “radici” o basi del diritto,

assimilabili a quelle che noi chiamiamo “ fonti del diritto”, sono quattro.

La fonte primaria, è il Corano, il Libro Sacro, che si compone delle rivelazioni fatte

direttamente da Dio all'ultimo dei suoi profeti, Maometto 14.

Le disposizioni coraniche che hanno un vero e proprio valore giuridico, i cosiddetti

“versetti legali”, sono solo il tre per cento di quelle totali, ecco perché i musulmani pur

partendo dal Corano nella costruzione del loro sistema giuridico, hanno poi

l'esigenza di andare oltre lo stesso.

La seconda fonte è la Sunna, termine arabo che indica “il modo abituale di

comportarsi”, la consuetudine e anche la norma di condotta.

13 V. Colombo, G. Gozzi, Tradizioni culturali, sistemi giuridici e diritti umani nell’area del Mediterraneo,
Bologna, Il Mulino, 2003, p. 302.
14 F. Castro, Diritto musulmano, Torino,UTET, 2006, p. 6.

5
La Sunna integra e colma le lacune presenti nel Libro Sacro attraverso il racconto

della “tradizione”, vale a dire tutto ciò che riguarda la vita di Maometto e dei suoi

primi seguaci, racconto che assume valore di norma e di guida perché la sua vita,

anche se è stata la vita di un uomo, è considerata come ispirata direttamente da Dio.

Oltre alle due fonti scritte, il diritto islamico comprende due fonti orali.

La prima fonte orale è l'Igma, ovvero “il consenso della comunità”, la quale trova la

sua legittimazione in un detto attribuito al Profeta stesso secondo il quale la “ Sua

comunità non si sarebbe mai trovata d'accordo su un errore”15.

L'accordo della comunità, per le materie giuridiche, è in realtà l'accordo dei dottori

della legge, quali rappresentanti qualificati in una data epoca su un dato argomento

che rientra nell'ambito della Shari'ah.

In ultimo, quale fonte orale del diritto Islamico c'è il qiyas, che in arabo significa

“comparazione di una cosa con un'altra, misurazione”, e sta ad indicare il

procedimento per analogia, per cui da un caso che è espressamente disciplinato si

trae il principio per regolare un caso simile, ma non previsto.

Non è annoverata tra le radici del diritto, ma può comunque essere considerata

una fonte sussidiaria, la consuetudine, che sia essa generale, particolare o locale,

riveste sempre un ruolo subordinato rispetto alle altre fonti del diritto con le quali non

può essere in contrasto16.

Diversa dalla consuetudine è la prassi e giurisprudenza forense, che consiste

essenzialmente in raccolte di formulari, pareri, regole e responsi.

15 Al-Buhari, Detti e fatto del profeta dell'Islam, UTET, 2009.


16 M.Papa, Afghanistan: Tradizione giuridica e ricostruzione dell’ordinamento tra Sharῑ‘a, consuetudini
e diritto statale, Torino, Giappichelli, 2006, p. 15.

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Infine, per la qualificazione delle azioni in senso sciaraitico, il giurista deve

compiere “uno sforzo interpretativo ermeneutico”17 direttamente sulle fonti del diritto,

il cosiddetto igtihad.

A questa fase segue quella del taqlid, letteralmente “accettazione pubblica”, in cui

il giurista è vincolato dalla precedente elaborazione

Proprio la fase di interpretazione sulle fonti, ha provocato la riunione dei dottori

della legge in diverse scuole giuridiche18 di cui bisogna dare una necessaria, seppur

breve menzione, in ragione delle differenze che si riscontrano tra le stesse, in

particolare per quanto riguarda il diritto di famiglia.

Delle diverse scuole o indirizzi giuridici che si formarono all'interno della scuola

sunnita a partire dal XII sec. d.C, ne sono sopravvissute quattro: quella ḥanafita,

malikita, šafi‘ita ed ḥanbalita19.

Ognuna di queste scuole prende il nome dal suo fondatore, ed ha trovato la sua

origine ed il successivo sviluppo in aree geografiche differenti.

Tra le quattro scuole quella ad aver avuto la maggiore diffusione, è stata la scuola

hanafita, il cui successo è legato all'essere stata riconosciuta quale scuola giuridica

ufficiale dell'Impero Ottomano, ed essersi diffusa di pari passo con lo sviluppo

dell'Impero stesso.

In merito al diritto di famiglia, le differenze tra le diverse scuole sono numerose e

spesso anche molto marcate tra loro, tra le principali si ricorda la questione relativa

alla necessità della presenza del “tutore matrimoniale” e quella del “dono nuziale”.

17 A. Cilardo e F. Mennillo, Due sistemi a confronto. La famiglia nell’Islam e nel diritto canonico,
Cedam, 2009, pp 3-9.
18 F. Castro, Corso elementare di diritto musulmano, p.88.
19 M. Ruocco, Il mondo arabo, Roma, I.P.O., 1998, pp. 33-35.

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Per quanto riguarda la presenza del tutore al fine della validità del matrimonio,

essa è ritenuta necessaria dalle scuole malikita, šafi‘ita ed ḥanbalita, mentre è

considerata superflua dalla scuola hanabita.

Riguardo l'ammontare del dono nuziale, la scuola malikita e quella šafi‘ita

prevedono un limite minimo e massimo, le altre invece non prevedono alcun limite.

Nonostante queste ed altre divergenze, per tutti i giuristi musulmani la materia

della classificazione giuridica assume l'immagine metaforica di un albero stilizzato.

A partire dalle fonti o “radici” si sviluppano i “rami” del diritto, che rappresentano

le varie branche del diritto musulmano e che secondo la concezione occidentale

potremmo suddividere nelle materie che hanno carattere extra giuridico e nelle

materie di diritto pubblico e privato.

Nella macrocategoria per così dire extragiuridica, rientrano le regole relative al

rapporto tra l'uomo ed il Creatore, gli atti di culto, insieme alle norme di galateo e di

comportamento, fondamentali nella religiosità musulmana.

In questa categoria si collocano anche i cosiddetti “cinque Pilastri dell'Islam”20, gli

obblighi fondamentali che ogni fedele musulmano, sia esso uomo o donna è tenuto a

rispettare e che trovano la loro istituzione e disciplina direttamente nel Corano.

I cinque Pilastri sono: l' attestazione di fede, la preghiera quotidiana, l'elemosina

purificatrice obbligatoria, il digiuno del mese di Ramadan ed infine, il pellegrinaggio

alla Mecca.

La seconda macrocategoria, quella assimilabile al diritto pubblico e privato, è

costituita dalle norme ed i negozi che regolano i rapporti tra gli uomini, ad esempio il

diritto penale, le successioni, il diritto patrimoniale e il diritto di famiglia.

20 A. Bausani, Islam, Milano, Garzanti, 1987 (2ª ed).

8
La considerazione immediata che deriva da questa analisi delle fonti del diritto

musulmano è che esso non può essere paragonato ad un sistema laico di diritto

occidentale.

Il diritto musulmano non è un diritto positivo, posto da una autorità civile, il diritto

islamico è considerato quale diretta emanazione del volere Divino, è Dio l'unico

legislatore e sovrano del mondo musulmano ed i giuristi musulmani hanno solo

interpretato la Sua volontà.

Ne consegue una possibile definizione del diritto islamico, quale “peculiare

sistema di diritto sacro”.

Fondamentalmente, il diritto islamico è un diritto religioso che poggia le sue basi

sul diritto consuetudinario delle tribù preislamiche al quale però ha apportato una

sostanziale riforma tramite il diritto rivelato.

1.2 Il diritto di famiglia islamico

Il diritto di famiglia costituisce il ramo del diritto musulmano maggiormente

ancorato alla legge divina, lo stesso è infatti regolamentato per molti aspetti,

all'interno del Corano.

La gran parte dei versetti giuridici del Corano, disciplina la materia delle relazioni

familiari che si instaurano prima, durante e successivamente al matrimonio.

I musulmani contraggono, costruiscono ed eventualmente sciolgono il legame

matrimoniale, sempre rispettando i precetti che sono stati rivelati loro da Dio, la cui

inosservanza va a qualificarsi come vero e proprio peccato.

9
Tuttavia, le norme del Corano su questa materia non sempre sono chiare ed

esaustive ed è per questo che alle stesse si è aggiunta una sistematizzazione del

quadro normativo ad opera degli interpreti delle scuole giuridiche.

In seguito alla rivelazione della religione islamica, si è assistito ad una

trasformazione dell'istituto del matrimonio e dei vari metodi del suo scioglimento.

La società preislamica pare fosse predominata da una diffusa promiscuità tra

uomini e donne21, le unioni sessuali erano prevalentemente libere e raramente si

faceva ricorso al matrimonio, la parentela era trasmessa in linea femminile, poiché

era difficile accertare la paternità.

L'avvento dell'Islam cambiò radicalmente la situazione, il matrimonio venne

riconosciuto come l'unico possibile legame tra l'uomo e la donna e la parentela iniziò

ad essere trasmessa in linea maschile.

Nella tradizione preislamica, in caso di matrimonio, questo si stipulava in seguito

ad un accordo tra lo sposo ed il padre della sposa, il primo in cambio della dote

versata alla famiglia della sposa, poteva “godere fisicamente” della stessa.

I “limiti” fissati nel Corano stabilirono invece che la dote fosse un dono di proprietà

esclusiva della sposa che le avrebbe permesso di sostenersi in caso di ripudio o di

morte del marito.

Il Libro Sacro rese il matrimonio più stabile e la condizione della donna meno

incerta, anche limitando il numero di donne che l'uomo poteva sposare e

disciplinando il ripudio.

Fu fissato infatti un limite al matrimonio di quattro donne, a patto però che lo sposo

si trovasse nella possibilità di garantire a tutte condizioni di vita dignitose e fosse in

grado di trattarle tutte allo stesso modo22.

21 G. Caputo, Introduzione al diritto islamico I, Torino, Giappichelli, 1990, p.82.


22 A. Bausani, Il Corano. Introduzione, traduzione e commento, Milano, Rizzoli, 1988, p.54.

10
Per quanto riguarda il ripudio, al marito fu concesso un massimo di tre volte

successive di ripudio della sposa.

Come appena osservato, l'istituto del matrimonio ed il suo scioglimento così come

regolati nel Corano, rappresentano un mutamento significativo dei costumi e delle

tradizioni esistenti nella penisola araba anteriormente al VII sec. d.C.

In questo processo di cambiamento l'elemento di maggiore rilievo fu un lento e

graduale miglioramento della condizione femminile.

1.3 Modernizzazione del diritto di famiglia

Dal secolo scorso, nel mondo musulmano è in atto un processo di modernizzazione

più o meno significativo a seconda dei territori, che nel campo del diritto si è

prevalentemente manifestato in un confronto con i modelli normativi stranieri 23.

Si è assistito ad un graduale processo di laicizzazione della cultura giuridica, lo

stato si impone quale protagonista della riforma del diritto ed il legislatore statale si

sostituisce gradualmente alle fonti tradizionali del diritto, ed in particolare alle diverse

consuetudini locali.

Nel 1877 entrò in vigore la Megelle, il codice civile ottomano, che costituì il primo

tentativo di codificazione del sistema legislativo della Shari'ah e che risultò

influenzato, dal punto di vista della struttura e dell'impianto, dalle contemporanee

esperienze codicistiche europee.

23 V. M. Donini, D. Scolart , La sharì'a e il mondo contemporaneo. Sistemi giuridici dei paesi islamici,
Carocci, 2015.

11
La Megelle comprendeva la disciplina di numerosi settori civilistici, ma escludeva il

diritto di famiglia che risultava ancora di dominio esclusivo della legge religiosa.

Anche al di fuori dell'Impero ottomano, molti paesi musulmani durante il

colonialismo furono influenzati dal diritto europeo, come risposta a questa tendenza

si svilupparono numerosi movimenti nazionalistici che auspicavano la rottura dei

contatti con l'Occidente ed il ritorno a forme più “pure” di Islam.

In seguito alla dissoluzione dell'impero Ottomano, dopo la prima guerra mondiale,

la Megelle rimase in vigore in gran parte degli stati che nacquero dalle sue ceneri, e

si assistette accanto al diffondersi dell'idea di stato nazione, il consolidarsi della

convinzione, sempre più diffusa, di poter attuare attraverso leggi e codici, un diritto

ed una giustizia anche al di fuori della Shari'ah

L'ondata di modernizzazione, che ha attraversato per più di un secolo i governi e

le masse musulmane, ha però seguito nel diritto di famiglia ed in particolare

nell'istituto del matrimonio un percorso più lento e graduale, che si spiega per la

posizione di centralità di questa materia e per il maggiore radicamento che tali

principi hanno nella coscienza religiosa e nella società.

Le regole sulla famiglia possono essere considerate il vero e proprio nucleo del

diritto islamico, è dunque naturale che si tenda a conservarle con gelosia di fronte

alle sfide della modernizzazione.

La resistenza del diritto di famiglia alla modernizzazione, oltre che dai suddetti

motivi di natura, per così dire “endogena”, è riconducibile a ragioni di natura

“esogena”, le potenze straniere non hanno infatti mai mostrato alcun interesse ad

una riforma del diritto della famiglia e del matrimonio di quelle popolazioni islamiche

sottoposte prima al loro controllo e poi alla loro influenza 24.

24 La modernizzazione del diritto musulmano: dinamiche e prospettive. In annali della facoltà di


giurisprudenza dell'Università di Taranto. Anno I, volume 2, 2008, pp. 359 e ss.

12
1.4 Il diritto di famiglia nei paesi arabi moderni

Nonostante le difficoltà incontrate, l'attività di razionalizzazione, riordino e

sistematizzazione che da un secolo a questa parte ha interessato le fonti ed il

contenuto delle regole del diritto musulmano, ha investito gradualmente anche il

diritto di famiglia

La quasi totalità degli stati arabi moderni ha adottato leggi che regolano il diritto di

famiglia, spesso collegandolo a materie affini quali le successioni, le donazioni, ecc.

La matrice comune a tutte le leggi oggi in vigore continua ad essere l'influenza

sciaraitica25, per il diritto di famiglia quasi nessuno stato arabo ha optato per

l'abbandono completo del diritto religioso e tradizionale a favore di modelli esterni.

La comune origine sciaraitica delle diverse leggi islamiche giustifica il fatto che

spesso se ne parli a livello globale, ma bisogna tener conto dei diversi risultati

raggiunti dai legislatori dei vari paesi, risultati differenti nello stile e nei contenuti.

Tra i paesi che sono riusciti a raggiungere l'ambizioso progetto di modernizzazione

si ricordano Giordania, Siria, Marocco e tra i nuovi testi normativi spicca per

intraprendenza riformatrice la Magalla Tunisina, che costituisce uno dei codici più

all'avanguardia nell'intero panorama arabo.

Nel campo del diritto di famiglia ed in particolare di quello matrimoniale, il diritto

religioso ha mostrato una significativa capacità di resistenza.

L'istituto matrimoniale ad esempio, è stato oggetto di molti interventi relativi all'età

minima degli sposi o al consenso della sposa, ma i tentativi che sono stati fatti di

regolare pratiche quali la poligamia, hanno avuto pieno successo solo in casi limitati.

25 A. Cilardo, La comunità islamica, in AA.VV., L’islam oggi, Bologna 1993 (rist. 2004), pp. 23-24.

13
Al giorno d'oggi si può dire che il diritto religioso musulmano, abbia cessato di

avere applicazione soltanto in Albania, in Turchia, ed in quei paesi dell'Asia Centrale

che vennero inglobati all'interno dell'Unione Sovietica.

Negli ultimi anni, mentre alcuni paesi come Tunisia e Marocco 26 continuano a

porsi come fautori della modernizzazione, si sta assistendo anche ad un diffuso

ritorno a forme di conservatorismo integralista, soprattutto all'interno della nuova

classe media, animata da un certo “risentimento” nei confronti dell'Occidente.

1.5 La questione femminile

Una questione che i paesi musulmani di tutto il mondo, non solo quelli della

penisola arabica si trovano ad affrontare nei tempi moderni, è quella della condizione

femminile.

È opinione diffusa e consolidata quella secondo la quale la Rivelazione Coranica

ha rappresentato un momento centrale nel processo di miglioramento della

condizione della donna.

Le norme Coraniche sono intervenute a correggere quei principi propri della

società tribale preislamica, che tolleravano pratiche abiette quali l'infanticidio

femminile o la poligamia senza alcuna restrizione 27.

26 A. Cilardo, “La riforma del diritto di famiglia in Marocco (2004)”, in Oriente, Occidente e dintorni...
Scritti in onore di Adolfo Tamburello (a cura di Franco Mazzei e Patrizia Carioti), 5 voll., Napoli
2010; vol. I, pp. 467-488.
27 C. Lo Jacono, «La cultura araba preislamica». Relazione presentata al convegno Internazionale
Corano e Bibbia organizzato da Biblia (Napoli, 24-26 ottobre 1997). Atti a cura di R. Tottoli,
Morcelliana, Brescia, 2000, pp. 117-131.

14
L'uguaglianza morale e spirituale tra uomini e donne è sancita nel Corano, l'unico

tra i testi sacri delle religioni abramitiche ad essersi rivolto direttamente alle donne 28.

Sul piano spirituale la donna è identica all'uomo, al pari del quale è tenuta a

rispettare i precetti e a rispondere dei suoi atti direttamente di fronte ad Allah.

Se sul piano spirituale si assiste ad una sostanziale eguaglianza tra uomo e

donna, in ambito familiare, secondo il diritto islamico, l'uomo e la donna svolgono

ruoli nettamente diversi e non fungibili.

I diritti e gli obblighi dell'uno non corrispondono a quelli dell'altra e la posizione

dell'uomo, capo della famiglia, è assolutamente più vantaggiosa.

La disuguaglianza tra uomo e donna, nella concezione della società musulmana

costituisce un fondamento naturale, sul quale è incentrato l'intero ordinamento

sociale.

La visione musulmana dei generi si basa sull'idea che Allah ha creato due sessi

separati, attribuendo ad ognuno una “natura” che seppure complementare è

nettamente diversa. si basa sull'idea che Allah ha creato due sessi separati,

attribuendo ad ognuno una “natura” che seppure complementare è nettamente

diversa29.

Tale disparità di genere è riconosciuta non solo sul piano fisiologico e psicologico,

ma anche su quello giuridico.

In particolare in ambito matrimoniale, la disuguaglianza tra uomo e donna è

evidente fin dalla fase iniziale dell'istituto, molti giuristi non consideravano la donna

nemmeno parte del contratto matrimoniale.

28 Corano, Sura IV. An-Nisâ'. (Le Donne).


29 A. Cilardo e F. Mennillo, Due sistemi a confronto. La famiglia nell’Islam e nel diritto canonico,
Cedam, 2009, pp 11-14.

15
Ancora oggi sono poche le leggi che prevedono che il contratto di matrimonio sia

concluso direttamente tra i due coniugi, nella maggior parte dei casi è prevista solo

la possibilità per la donna di essere rappresentata dal suo tutore matrimoniale.

Fortunatamente in tutte le leggi oggi in vigore è stata abolita la possibilità che

tutore eserciti il “potere di costrizione”30, con il quale poteva forzare la donna al

matrimonio, così come è stata fissata un'età matrimoniale minima.

Nonostante formalmente il tutore non può più costringere la donna al matrimonio,

nei fatti egli può ancora usare la propria influenza per condizionare ed interferire

nella libera formazione della volontà matrimoniale della stessa.

Nell'obiettivo di garantire anche in presenza del tutore l'esistenza piena e reale del

consenso della donna, esemplari sono stare le leggi introdotte dal Marocco con la

riforma n.347 del 10 settembre 1993, in cui è sancito che al momento della

conclusione del contratto matrimoniale la donna debba essere presente, e debba

apporre personalmente la propria firma sull'atto di matrimonio.

Un altro aspetto di radicale disparità tra la posizione dell'uomo e della donna può

essere ritrovato nella struttura stessa del matrimonio islamico che è poligamico, o più

esattamente poliginico, non è ammessa invece la poliandria, ovvero l'unione di una

donna con più uomini.

Come detto in precedenza, il Corano dà la possibilità all'uomo di avere fino a

quattro mogli, tuttavia le interpretazioni coraniche più recenti, in collegamento con

un versetto presente nel Corano che recita: “...anche se lo desiderate, non potrete

agire con equità con le vostre mogli...” 31 tendono a mettere in luce una virtuale

proibizione della poligamia, la cui pratica è peraltro in diffuso calo in tutti paesi

musulmani.

30 Cfr. il Dizionario Enciclopedico Italiano (DEI) dell'Istituto Treccani.


31 Corano, Sura IV, Le donne, v. 129.

16
Le attuali scelte legislative a proposito della poligamia sono assai diversificate, la

soluzione più diffusa è quella di ammonire l'uomo affinché valuti con estrema

attenzione l'impegno di farsi carico di più mogli.

In alcuni paesi come Libia, Somalia, Algeria ed Iraq, i matrimoni poligamici

debbono essere preventivamente autorizzati dal giudice.

Il legislatore marocchino a partire dal 1993 prevede oltre alla autorizzazione da

parte del giudice anche un obbligo di informazione per le mogli presenti e future

riguardo le scelte poligamiche dell'uomo.

Ad oggi pochissimi paesi hanno abolito la possibilità di contrarre più matrimoni, tra

questi Turchia e Tunisia.

L'altro momento di netta disparità tra la posizione dell'uomo e quella della donna è

il momento relativo allo scioglimento del matrimonio.

Se infatti al pari dell'uomo, la donna può in alcuni casi chiedere lo scioglimento

giudiziale del matrimonio, la permanenza del vincolo coniugale dipende

essenzialmente dalla volontà del marito, al quale è riconosciuta la possibilità di

causare direttamente la dissoluzione del matrimonio attraverso una dichiarazione la

cui efficacia non è subordinata né a limiti di natura causale, né alla conoscenza che

la donna abbia della stessa, vale a dire il ripudio, vero e proprio atto di volontà

unilaterale.

La tendenza di numerosi paesi islamici è oggi quella di trasferire il ripudio dalla

sfera nettamente privata a quella giuridica, portandolo davanti al giudice.

In questo modo si è cercato di fornire una seppur minima tutela alla donna, alla

quale è garantita almeno la tempestiva conoscenza del ripudio.

17
Nonostante la regola generale sia che il divorzio è prerogativa dell'uomo, anche

sul versante del divorzio giudiziale i legislatori sono intervenuti ampliando le ipotesi

per le quali la donna può richiederlo.

Accanto alle posizioni classiche, che ammettevano la richiesta di divorzio da parte

della donna solo in presenza di difetti fisici dell'uomo, di indisponibilità patrimoniale o

di inadempienza dei suoi obblighi, oggi sono state introdotte nuove cause tipiche di

divorzio, tra le quali in diversi paesi, proprio la causa del matrimonio poligamico.

La tendenza generale determinata dalla spinta di modernizzazione è stata quella

di consentire alla donna, tramite il divorzio, di avere a disposizione un rimedio

generale con il quale potersi opporre a possibili maltrattamenti subiti o per reagire ad

una situazione di insanabile dissenso che laceri la coppia.

Si è avuto modo di fare menzione nei paragrafi precedenti a quel fenomeno,

fondamentale per l'evoluzione dell'ordinamento giuridico di molti paesi islamici,

definito di modernizzazione del diritto, che è scaturito da una complessa ed a volte

travagliata attività di riforme32.

Quello che intendo mettere in luce in questa sede è come, se da un lato questo

processo rinnovatore si è tradotto in alcuni campi in una limitazione sempre più

accentuata dell'applicazione della Shari'ah a vantaggio del diritto positivo, dall'altro

ha trovato la strenua resistenza di alcuni settori del diritto ad ogni forma di

cambiamento33.

32 F. Castro, Sistema sciaraitico, siyāsa šar’iyya e modelli normativi europei nel processo di
formazione degli ordinamenti giuridici dei Paesi del vicino oriente, in Il mondo islamico tra
interazione e acculturazione, Roma, 1981, p. 165.
33 J. Schacht, Introduzione al diritto musulmano, Edizione della Fondazione Giovanni Agnelli
Agnelli,Torino, 1995, p. 3.

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In particolare una osservazione dei moderni codici dei paesi islamici, mette in

mostra come la maggiore riluttanza all'abbandono della Shari'ah si abbia proprio nel

campo dei diritti personali e del diritto di famiglia.

Tra gli istituti più legati ai dettami sciaraitici vi è il contratto del matrimonio, molte

delle norme che lo riguardano hanno la loro fonte diretta nel Corano e proprio per

questo sono considerate intangibili ed immutabili.

Proprio per questo, nel settore del diritto di famiglia gli unici risultati di rilievo nel

processo di modernizzazione si sono registrati solo in epoca molto recente.

I legislatori musulmani più progressisti hanno cercato di mitigare la severità di

alcune disposizioni, come il dovere di obbedienza ed il generale esercizio della

potestà maritale, attraverso la possibilità, prevista dal diritto musulmano classico 34, di

apporre delle clausole accessorie al contratto del matrimonio, anche fuori dal

contratto o successivamente alla conclusione dello stesso.

Tra le clausole che rivestono maggiore importanza vi sono quelle che permettono

alla donna di autoripudiarsi, oppure che permettono alla stessa di svolgere una

attività lavorativa, o ancora che vietano al marito di trasferire il domicilio famigliare.

A conclusione di questa prima parte del lavoro si è avuto modo di constatare come

nonostante casi isolati di modernizzazione del diritto di famiglia, questo continui

generalmente ad essere ancorato alla disciplina prevista dal diritto musulmano

classico.

Tale circostanza costituisce un ostacolo assai ostinato verso ogni tentativo di

armonizzazione nei confronti degli schemi proposti a livello internazionale.

34 A. Cilardo, Teorie sulle origini del diritto islamico, Istituto per l’Oriente,Roma, 1990, p. VI

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Per questo motivo, mentre in alcuni paesi, come nel caso della Tunisia, sono stati

raggiunti risultati di modernizzazione di grande rilievo legislativo, in altri casi, come

ad esempio quello dell'Iran, si è imposto un ritorno a modelli di società

indiscutibilmente radicali e antimodernisti, andando a colpire ed invalidare

innanzitutto quei provvedimenti legislativi regolanti la materia del diritto di famiglia.

La difficoltà al superamento di quegli ostacoli che impediscono una piena

modernizzazione del diritto musulmano, risulta tanto più difficile quanto più la

riproposizione ed il richiamo a modelli ancorati al passato ed alle norme sciaraitiche

diviene strumentale alla legittimazione di politiche sociali oppressive ed al diniego di

diritti fondamentali, correndo il rischio che l'invocazione alla propria tradizione e

appartenenza culturale si trasformi in un mero alibi per giustificare pratiche

anacronistiche35.

35 Coulson N.J. The State and the Individual in Islamic Law in International and Comparative Law
Quarterly VI, 1957 pp. 46-60.

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