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“Il sistema reale,

finanziario e
l’intermediazione”
Obiettivi

Specificare i collegamenti tra circuito reale e


circuito finanziario
Introdurre alcuni concetti di politica
economica e monetaria
Definizione di “sistema reale”
e “sistema finanziario”
Il sistema economico è un insieme di soggetti,
strumenti, attività e regole strettamente
interrelati tra di loro per la produzione, lo
scambio e il consumo di beni e servizi nel tempo
e nello spazio.

Le principali categorie di soggetti:


Le famiglie, le imprese, il Governo
e la Pubblica Amministrazione
Definizione di “sistema reale”
e “sistema finanziario”
• Le famiglie lavorano e gestiscono il loro
patrimonio, al fine di ottenere i redditi da
destinare all’acquisto di beni e servizi.

• Le imprese investono in beni reali e forza


lavoro, al fine di generare il profitto per
l’imprenditore (o per i diversi soci).
Definizione di “sistema reale”
e “sistema finanziario”
• Il Governo e la Pubblica Amministrazione, ha
un duplice ruolo:

quale produttore di beni e servizi di pubblica


utilità, stabilisce imposte e tasse;

quale regolatore del mercato, emana norme e


gestisce la quantità di moneta in circolazione.
Definizione di “sistema reale”
e “sistema finanziario”

Sistema
economico

Sistema reale: Sistema finanziario:


scambi scambi di moneta
di beni, servizi e altri strumenti
e forza lavoro finanziari
Definizione di “sistema reale”
e “sistema finanziario”
• Nel sistema economico, contemporanea
presenza di:

Soggetti in avanzo finanziario (surplus),


disposti a scambiare potere di acquisto attuale
con quello futuro a condizioni di adeguati
rendimenti attesi;
Definizione di “sistema reale”
e “sistema finanziario”
• Nel sistema economico, contemporanea
presenza di:

Soggetti in disavanzo finanziario (deficit),


disposti a ricorrere a risorse esterne per far
fronte al fabbisogno maggiore delle
disponibilità, a condizione che il relativo costo
sia inferiore al rendimento degli investimenti
finanziati.
Definizione di “sistema reale”
e “sistema finanziario”

• Il sistema finanziario influenza:


Le decisioni di distribuzione del reddito fra
consumo e risparmio;
Le decisioni d’investimenti dei soggetti in
avanzo finanziario (surplus);
Le decisioni d’investimento dei soggetti in
disavanzo finanziario (deficit).
Definizione di “sistema reale”
e “sistema finanziario”
• Per il trasferimento efficiente di risorse, il
sistema finanziario deve garantire:
Liquidità, negoziabilità e standardizzazione
degli strumenti finanziari ed esistenza dei
mercati ove effettuare gli scambi;
Diversificazione e riduzione del rischio a
vantaggio dei datori di fondi (risk sharing);
Elaborazione e diffusione delle informazioni
per una corretta gestione del rischio.
Definizione di “sistema reale”
e “sistema finanziario”
• Secondo alcune tesi:
Il sistema finanziario tende a seguire, con un
certo ritardo temporale, l’andamento del
sistema reale.
• Secondo altre:
Eventuali ritardi nel sistema reale sono
imputabili al sistema creditizio, che dovrebbe
avere un ruolo attivo, di sostegno e
incentivazione della crescita dell’economia.
“Finanziarizzazione”
dell’economia
Un ruolo della “finanza” difforme da quello
utile al funzionamento efficiente del sistema
economico porta al fenomeno comunemente
definito come:
Finanziarizzazione dell’economia
in cui le tipologia e le quantità di prodotti e
servizi finanziari offerti risultano
costantemente in crescita e scollegati rispetto
alla crescita ed evoluzione del sistema reale.
“Finanziarizzazione”
dell’economia

L’effetto è una “distrazione” della ricchezza


verso gli strumenti finanziari a discapito degli
investimenti produttivi, con conseguenti effetti
negativi, nel medio e lungo termine, sulla
crescita economica.
“Finanziarizzazione”
dell’economia

Diviene indispensabile l’equilibrio tra sistema


finanziario e sistema economico, pena il
formarsi di “bolle” finanziarie (eccesso di
strumenti finanziari rispetto ai beni e servizi
reali) o reali (aumento dei prezzi per scarsità di
moneta)
La “politica economica” e quella
“monetaria”

La politica monetaria, la politica di bilancio e la


politica dei redditi costituiscono, insieme, il
corpo della moderna politica economica.
La “politica economica” e quella
“monetaria”

La politica economica persegue i seguenti


obiettivi macroeconomici:
sviluppo del reddito;
 stabilità dei prezzi;
crescita occupazionale;
equilibrio della bilancia dei pagamenti.
La “politica economica” e quella
“monetaria”

La “politica di bilancio” è costituita dalle


manovre fiscali e di spesa pubblica, attuate
tramite il bilancio dello Stato.
In Italia, l’Autorità competente è il
Parlamento che la attua mediante la cd “legge
finanziaria” (o più di recente “di stabilità”);
Nella UEM, le scelte dagli Stati membri sono
vincolate dal “Trattato istitutivo dell’UE” e dal
“Patto di stabilità e crescita”.
La “politica economica” e quella
“monetaria”
Il“Patto di stabilità e crescita” è volto a
contenere la crescita del deficit pubblico
imponendo i due parametri di Maastrict :
 Rapporto Deficit/PIL <3%;
Rapporto Debito pubblico/PIL <60%

Il 2012 si è chiuso con i seguenti valori dei citati parametri:


•Deficit/Pil=3%
•Debito pubblico/Pil=127,0%
La “politica economica” e quella
“dei redditi”

La “politica dei redditi” ha l’obiettivo di


assicurare una crescita equilibrata dei salari e
del margine di profitto.

La responsabilità della sua attuazione è


affidata alle parti sociali (rappresentanze
sindacali e associazioni degli imprenditori);
La “politica economica” e quella
“monetaria”

Le modalità di attuazione della politica dei


redditi, consistono in: provvedimenti legislativi
afferenti la regolamentazione del mercato del
lavoro; la mobilità dei lavoratori; gli accordi tra
le parti sociali; il finanziamento degli
ammortizzatori sociali; etc.
La “politica economica” e quella
“monetaria”

La “politica monetaria” ha come obiettivi:


di breve periodo, di assicurare un mix
soddisfacente tra stabilità monetaria,
occupazione e sviluppo;
di lungo periodo, il raggiungimento degli
obiettivi della politica fiscale e dei redditi in
una situazione di contenimento del tasso
d’inflazione.
Il principio della “neutralità della
moneta”

Il principio della neutralità della moneta,


secondo l’orientamento prevalente, ritiene che
la moneta con le sue variazione, sortisce i sui
effetti non sul mercato reale ma sul livello di
inflazione (money wiew).
Il principio della “neutralità della
moneta”
La visione della Banca Centrale Europea

Nel breve periodo:


• una variazione dei tassi del mercato monetario,
attiva una serie di meccanismi e reazioni degli
operatori che si ripercuoteranno sull’andamento
delle grandezze economiche (prodotti e prezzi);
Il principio della “neutralità della
moneta”

La visione della Banca Centrale Europea

Nel lungo periodo:


Una variazione della quantità di moneta
modifica il livello generale dei prezzi ma non
incide sulle variabili reali, quali i prodotti e la
disoccupazione.
“Cicli economici e saldi
finanziari”
Obiettivi

Delineare il fenomeno dei “cicli economici”.

Introdurre il concetto di saldo finanziario e


ruolo degli intermediari nel favorire il matching
tra settori in avanzo e disavanzo finanziario.
I “cicli economici”

L’equilibrio economico di un sistema non è


statico ma dipende dalla continua
contrapposizione (sequenza) di situazioni di
disequilibrio in movimento, con una condizione
mediana di stabilità

La produzione di beni e servizi di un Paese


fluttua intorno ad una tendenza di fondo, con
fasi di crescita e di contrazione
I “cicli economici”

Ciascun ciclo economico si articola in fasi


generali di espansione seguite da fasi di
recessione e contrazione ugualmente diffuse, poi
seguite da riprese che confluiscono nella fase di
espansione del ciclo successivo

Tali sequenze sono ricorrenti ma non periodiche


(altrimenti sarebbero prevedibili)
La loro durata è variabile e va da 1 a 10-12 anni
I “cicli economici”

I comparti e settori produttivi reagiscono in


maniera difforme al trend generale
dell’economia, sono pertanto definiti:
ciclici, anticiclici e pro-ciclici

Ciascuna congiuntura economica è differente


dalle altre e, pertanto, anche le misure e i
rimedi adottati non sono replicabili con i
medesimi risultati
I “cicli economici”

Caratteristiche individuabili di un ciclo


economico:
Tendenza di fondo (trend)
Una componente ciclica (congiuntura)
Una componente stagionale
Una componente accidentale (movimenti
imprevedibili)
I “cicli economici”

Fasi tipiche del ciclo economico:


Recessione (almeno due trimestri consecutivi
negativi)
Ripresa (breve fase di inversione di tendenza
dopo una recessione o rallentamento)
Espansione (fase di crescita fino al massimo
del ciclo)
Rallentamento (fase in cui la crescita della
produzione decelera)
I “cicli economici”

Il trend è graficamente rappresentato dalla linea


che intercetta le diverse fasi congiunturali,
segnando i passaggi da ripresa a espansione e da
rallentamento a recessione
I “cicli economici”

Con riferimento all’analisi temporale del ciclo


economico:
Ampiezza di una fase (differenza di livello tra
due punti di svolta successivi), dell’intero ciclo
(somma delle variazioni tra minimo iniziale e
massimo successivo e tra questo ed il minimo
finale)
Durata e alternanza (distanza temporale tra il
max di due cicli successivi)
I “cicli economici”
I “cicli economici”

Con riferimento alla durata del ciclo economico:


Diffusione generalizzata (verificarsi di una fase
di espansione/recessione che riguarda un
novero ampio di attività economiche)
Ricorrenza delle alternanze (senza poter
parlare di periodicità)
Profilo (forma che assume il ciclo, che può
differenziarsi per durata, pendenza, ritmo)
I “cicli economici”

Per effetto della globalizzazione, negli ultimi anni


si è registrata una crescita della sincronia dei cicli
dei diversi Paesi industrializzati, con con
conseguente ampliamento delle oscillazioni
congiunturali
I “saldi finanziari settoriali”

Due importanti obiettivi del sistema finanziario:

Favorire gli scambi generando moneta,


garantendo le transazioni

Contribuire al trasferimento delle risorse


finanziarie tra gli operatori economici
I “saldi finanziari settoriali”

Obiettivo strategico di lungo periodo degli


intermediari finanziari:

Soddisfare al meglio le differenze


comportamentali in campo finanziario della
propria clientela
I “saldi finanziari settoriali”

Due elementi per comprendere al meglio la


struttura ed il funzionamento dei mercati
finanziari:

L’oggetto dello scambio (i saldi finanziari)

Gli attori dello scambio (i settori istituzionali)


I “saldi finanziari settoriali”

Circuito reale

consumo
economia
Lavoro e
capitale Reddito
Le famiglie
risparmio
I “saldi finanziari settoriali”

Produzione e vendita di beni e servizi

imprese

Investimenti
I “saldi finanziari settoriali”

economia Imposizione
Erogazione
fiscale
di servizi
(indiretta e
pubblici Lo Stato personale)
I “saldi finanziari settoriali”
Dal lato della domanda aggregata (Y), il reddito
può essere destinato o a finanziare i consumi (C)
o ad essere risparmiato (S) Y=C+S
Dal lato della offerta aggregata (PIL), la stessa
può essere destinata alla produzione di beni e
servizi di consumo (C) o verso investimenti in
attività reali (I) PIL = C + I
Equazione di un’economia chiusa (in equilibrio):
PIL = Y = C + I = C + S S=I
I “saldi finanziari settoriali”
Tale condizione (S = I), che caratterizza il sistema
nel suo complesso e in situazione di equilibrio,
non si verifica necessariamente per le singole
unità economiche.
Es. una famiglia può destinare parzialmente il
proprio risparmio all’acquisto di beni
d’investimento. Il differenziale tra la quantità di
risparmio investito viene definito saldo
finanziario (S – I). Tale quantità può essere
positiva (S > I), negativa (S < I) o nulla (S = I).
I “saldi finanziari settoriali”
Tale condizione è possibile per l’esistenza del
circuito finanziario, dove:
I prestatori di capitale e lavoro ricevono stipendi
e rendite finanziarie (interessi e dividendi) e
utilizzano il loro risparmio in forma di credito e
partecipazione al capitale d’impresa.
I “saldi finanziari settoriali”
In termini tipicamente contabili, gli stock
accumulati a fine periodo ad es. da una famiglia
sono:
In termini di impieghi, investimenti in attività
reali (es. abitazione) e in attività finanziarie
(titoli, depositi bancari, ecc.)
In termini di fonti, risparmio cumulato nel tempo
(patrimonio) e indebitamento acceso e in essere
(passività finanziarie)
I “saldi finanziari settoriali”
Pertanto l’investimento in attività reali e finanziarie
è reso possibile dal patrimonio posseduto e
dall’indebitamento (in formula):
AR (attività reali) + AF (attività finanziarie) = P (patrimonio) +
PF (passività finanziarie)
In termini di flusso:
I + ΔAF = S + ΔPF
quindi
S – I = ΔAF - ΔPF = SF (SALDO FINANZIARIO)
I “saldi finanziari settoriali”
Considerata la possibilità di effettuare
disinvestimenti (vendite) e riduzioni delle passività
finanziarie (rimborsi) l’equazione è la seguente:

I + ΔAF + rimborsi (- ΔPF) = S + ΔPF + vendite (- ΔAF – ΔAR)


Settori istituzionali

Sistema Europeo dei conti 1995 (SEC95):


“raggruppamenti di unità istituzionali che
manifestano autonomia e capacità di decisione in
campo economico-finanziario e che, fatta
eccezione per le famiglie tengono scritture
contabili separate”
Settori istituzionali

Famiglie
Imprese non finanziarie
Pubblica Amministrazione
Estero
Istituzioni finanziarie
Settori istituzionali
Classificazione per omogeneità di comportamento:
Famiglie, abitualmente in condizione di avanzo
finanziario
Imprese non finanziarie, sistematicamente in
condizione di disavanzo finanziario (assuntrici di
debito)
Pubblica Amministrazione in condizione di
disavanzo finanziario (deficit), spesa pubblica
maggiore delle entrate
Settori istituzionali
Classificazione per omogeneità di comportamento:
Estero, dipende dalla saldo della bilancia dei
pagamenti

Istituzioni finanziarie, dedite a raccogliere,


trasformare e impiegare, secondo modalità
mutevoli nel tempo e nello spazio le disponibilità
finanziare degli operatori.
Settori istituzionali
Da quanto fin ora detto risultano evidenti gli stretti
legami tra sistema reale e sistema finanziario.
Le quattro grandezze esaminate:
S + ΔPF = I + ΔAF
Sono direttamente influenzate:
Modello distribuzione dei redditi
Politica di finanza pubblica e sistema fiscale
Andamento del ciclo economico
Sistema previdenziale pubblico e privato
Settori istituzionali
In Italia i dati relativi ai Settori istituzionali sono
rinvenibili nella Relazione Annuale della Banca
d’Italia.
Dalla sua lettura si rileva che la somma dei saldi
dei vari settori istituzionali, in ciascun anno, è
sempre uguale a zero, a conferma che, a livello
aggregato è vera l’uguaglianza
S=I
Intermediari e raccordo fra
flussi
Il trasferimento di risorse può avvenire:
Nello spazio, dando origine alla moneta quale
mezzo di pagamento;
Nel tempo, dando origine ad operazioni di credito;
Tra unità appartenenti ad un medesimo settore;
Tra unità appartenenti e settori diversi, mediante
l’emissione di titoli di debito/credito o, più
comunemente, attraverso gli intermediari
finanziari.
Intermediari e raccordo fra
flussi
Il trasferimento può dare origine a due circuiti:

Il circuito diretto (i mercati, paradigmaticamente


la Borsa);

Il circuito indiretto che richiede l’esistenza degli


intermediari finanziari.
Intermediari e raccordo fra
flussi
Principali caratteristiche degli intermediari finanziari:
Finanziare le imprese;
Consentire di colmare il gap di conoscenze;
Sopportare l’onere di eventuali ritardi nello
sviluppo di un sistema economico;
Finanziare i cambiamenti dell’economia reale;
Promuovere la standardizzazione degli impieghi,
pur considerando la varietà delle esigenze e delle
propensioni al rischio dei risparmiatori.
“Funzioni e struttura del
sistema finanziario, ruolo
di quello bancario”
Obiettivi

Analizzare le funzioni, la struttura e le


componenti del sistema finanziario e il ruolo
del sistema bancario

Osservare l’orientamento dei sistemi finanziari


L’intermediazione finanziaria

In senso stretto il sistema finanziario è costituito


dalla struttura mediante la quale si svolge,
sistematicamente e in modo specializzato, la
complessiva attività di produzione e offerta di
mezzi di pagamento, di servizi e strumenti
finanziari; attività, appunto, definita di

intermediazione finanziaria
L’intermediazione finanziaria

Le funzioni svolte dal sistema finanziario sono


sostanzialmente tre:

1) la funzione monetaria, legata alla creazione e


circolazione dei mezzi di pagamento,
compresa la gestione dei relativi sistemi di
pagamento
L’intermediazione finanziaria

2) La funzione creditizia e di mobilizzazione del


risparmio, legata al trasferimento delle risorse
tra operatori economici (detentori e prenditori di
fondi; azionisti; management; ecc.)

3) La funzione di trasmissione della politica


monetaria, al fine di perseguire gli obiettivi di
politica economica
L’intermediazione finanziaria

Il sistema finanziario, nell’ottica degli operatori


economici, favorisce:
1)Il regolamento degli scambi mediante l’offerta
di strumenti di pagamento;
2)Il trasferimento di risorse da risparmio
accumulato a investimenti che necessitano di
opportuni finanziamenti;
3)La gestione dei rischi e la loro copertura
mediante strumenti a termine e assicurativi.
L’intermediazione finanziaria

La scambio di risorse finanziare deve avvenire


nel tempo oltre che nello spazio, mediante
strumenti di debito/credito, per consentire di
scambiare potere di acquisto nel presente
versus potere di acquisto nel futuro.
In questo modo le risorse risparmiate dalle unità
in surplus diventano disponibili per quelle in
deficit, consentendo a quest’ultime di compiere
gli investimenti
L’intermediazione finanziaria

Elementi costitutivi del sistema finanziario sono:


1) gli strumenti, insieme di contratti di natura
finanziaria

1) i mercati, insieme degli scambi per il cui


funzionamento occorrono strutture, organi di
gestione, operatori, regole di comportamento,
controlli
L’intermediazione finanziaria
Elementi costitutivi del sistema finanziario sono:
3)gli intermediari, istituzioni specializzate nella
produzione ed negoziazione di prodotti e servizi
finanziari

3)l’ordinamento, insieme di norme che,


disciplinando i precedenti elementi, devono
assicurare il funzionamento efficace ed efficiente
del sistema medesimo
L’intermediazione finanziaria

I mercati finanziari detti anche mercato dei


capitali, rappresentano l’insieme delle operazioni
di scambio dei contratti nei quali la presenza di
strutture operative specializzate agevola l’incontro
tra la domanda e l’offerta.
L’intermediazione finanziaria

La principale classificazione distingue tra:


 mercato creditizio, dove intermediari
specializzati operano in termini di raccolta ed
erogazione di prestiti;
mercato mobiliare, in cui trovano esecuzione le
operazioni aventi ad oggetto titoli;
mercato assicurativo, in cui gli operatori si
coprono dal rischio mediante la stipula di polizze;
mercato dei servizi di pagamento.
L’ordinamento delle attività
finanziarie
Le ragioni della necessità di un ordinamento anche
di controllo del sistema finanziario sono:

 interesse generale, del sistema dei pagamenti e


della funzione monetaria (sicurezza, stabilita;
efficienza e regolazione della quantità di moneta);
L’ordinamento delle attività
finanziarie
Le ragioni della necessità di un ordinamento anche
di controllo del sistema finanziario sono:
interesse generale, che il risparmiatore rafforzi la
propria fiducia nei confronti di prenditori e
intermediari (anche al fine di scongiurare fenomeni
di sfiducia collettiva con ricadute sull’economia
reale otre che finanziaria);
Intrinseca esistenza di asimmetrie informative
tra creditore e debitore che non garantisce un
efficace selezione dei prenditori di fondi.
L’ordinamento delle attività
finanziarie

L‘ordinamento delle attività finanziarie è


rappresentato dall’insieme organico delle norme
che disciplinano le attività e gli intermediari
finanziari in un dato contesto politico-
amministrativo.

L’intervento dello Stato si manifesta a livello


legislativo, esecutivo e amministrativo
L’ordinamento delle attività
finanziarie
La normativa primaria rappresenta il quadro delle
regole base per tutte le componenti di ciascun
sistema ed è costituita da norme comunitarie (le cd
“direttive”) e da norme statali (leggi e decreti).
A livello esecutivo, sono definiti i poteri
d’intervento attribuiti al Governo, a comitati di
ministri e a singoli ministri.
A livello amministrativo, Autorità di controllo
indipendenti operano attraverso istruzioni e
regolamenti
L’ordinamento delle attività
finanziarie

La normativa secondaria si riferisce ad una


regolamentazione più specifica, tipicamente, di
vigilanza emessa dalle Autorità di controllo
indipendenti
L’ordinamento delle attività
finanziarie
L’Ordinamento comunitario delle attività
finanziarie è finalizzato alla realizzazione di un
contesto istituzionale in cui sia possibile la libera
circolazione di persone, informazioni, capitali, beni
e servizi in tutta la Unione Europea.

L’obiettivo del legislatore è la progressiva


rimozione degli ostacoli alla formazione di un
mercato unico dei servizi finanziari.
Il ruolo del sistema bancario

Nella maggior parte dei Paesi, il sistema bancario


rappresenta la parte preponderante del sistema
finanziario sia sotto l’aspetto quantitativo che
qualitativo (livello di fiducia che godono nei
confronti dei risparmiatori)
Il ruolo del sistema bancario

La banca è per definizione il soggetto che raccoglie


il risparmio tra il pubblico ed eroga credito,
individuandone un ruolo tra i settori in disavanzo e
quelli in avanzo finanziario

Nella definizione degli intermediari finanziari, il


risparmio è una tipologia di investimento del
saldo finanziario e il risparmiatore il soggetto che
impiega le proprio risorse nella passività emesse
dalle banche
Il ruolo del sistema bancario

La banca svolge altresì una funzione di


intermediazione, collocamento e distribuzione di
strumenti finanziari di terzi (raccolta indiretta).
Tale funzione è assicurata dall’elevato livello di
fiducia che gli operatori (datori e prenditori)
hanno nei suoi confronti.
Il ruolo del sistema bancario

A tal fine, si distingue:


un’intermediazione definita “pesante”, quando
la banca “acquista” il risparmio garantendone sia
la restituzione che la remunerazione
contrattualmente pattuita (raccolta diretta)
un’intermediazione “leggera”, quando la banca
governa, indirizza e amministra il risparmio,
incanalandolo verso strumenti di debito emessi
da soggetti terzi in disavanzo (raccolta indiretta)
L’orientamento dei sistemi
finanziari
Il sistema finanziario nella sua evoluzione storica
può essere configurato come segue:

l’orientamento alle banche (bancocentrico)

l’orientamento al mercato (mercatocentrico)

l’orientamento alla securitization


L’orientamento dei sistemi
finanziari

Nei sistemi orientati alle banche (bancocentrici), le


imprese oltre ai mezzi propri ed al credito
commerciale, ricorrono esclusivamente al credito
bancario. Tali sistemi sono storicamente
caratterizzati da forte concetrazione proprietaria,
e praticamente assenza di distinzione tra
management e proprietà. In tale contesto, la gran
parte del risparmio è raccolto e gestito dal
sistema bancario
L’orientamento dei sistemi
finanziari
Nei sistemi orientati ai mercati (mercatocentrici), le
imprese finanziano i mezzi propri ed il debito
esterno ricorrendo al mercato dei capitali, con
l’emissione, rispettivamente, di titoli azionari e
obbligazionari. Il capitale proprio è, pertanto,
detenuto da soggetti via via diversi dai soci
fondatori, il management tende ad essere separato
dalla proprietà. In tale contesto, il risparmio
nazionale è raccolto non solo dalle banche ma
anche dal mercato, nel quale assumono ruolo
prevalente gli investitori istituzionali
L’orientamento dei sistemi
finanziari
Nei sistemi orientati alla securitization, le imprese
si finanziano mediante la cessione dei propri crediti
e non dall’emissione di nuovo passivo. Tale sistema
è altresì caratterizzato dalla presenza di soggetti
(fondi) specializzati nel finanziamento di imprese
particolarmente rischiose. Le banche oltre a
finanziare marginalmente l’attività dell’impresa
divengono esse stesse compratrici dei crediti
dell’impresa. I risparmiatori tendono ad acquisire
quote di fondo, delegando ad essi le decisioni
d’investimento in azioni o obbligazioni.
L’orientamento dei sistemi
finanziari

Altri tipi di catalogazione riguardano le strategie


del rapporto banca-impresa. In tal senso, si
riportano:
 l’orientamento transazionale
l’orientamento di lungo periodo
L’orientamento dei sistemi
finanziari

L’orientamento transazionale, predilige un


rapporto orientato alla convenienza della singola
transazione. In tale rapporto, l’impresa tenderà ad
avere più rapporti con più banche, con la finalità
di ottimizzare l’aspetto economico; di converso le
banca tenderanno a non supportare le imprese in
fasi negative del ciclo congiunturale.
L’orientamento dei sistemi
finanziari

L’orientamento alla relazione di lungo periodo,


predilige, viceversa, l’intensità del legame
instaurato tra la banca e l’impresa. Con tale
orientamento, la banca tende ad offrire
all’impresa tutti i suoi prodotti nell’intero suo
ciclo. L’impresa tenderà ad avere un rapporto
esclusivo con la banca, con un evidente risparmio
di costi di valutazione per la banca che dovrà
ricorrere solo ad aggiornamenti.
Lezione N.5 “Principali teorie
dell’intermediazione finanziaria
- asimmetrie informative e costi
di agenzia”
Obiettivi

COMPRENDERE L’APPROCCIO TEORICO DELLE


ASIMMETRIE INFORMATIVE E DEI COSTI DI
AGENZIA A SUPPORTO DELL’ESISTENZA E
OPERATIVITÀ DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI
ANALIZZARE IN CHE MODO LE DIFFERENTI
CATEGORIE DI INTERMEDIARI FINANZIARI E I
MERCATI RISPONDONO ALLE FINALITÀ
PREVISTE DA CIASCUN APPROCCIO
La teoria delle “asimmetrie
informative”
La teoria delle asimmetrie informative è
riconducibile a Akerlof (1970), il quale con il suo
“The market of lemons: Quality Uncertainty and
the Market Mechanism”, sottolineava che in un
mercato in cui l’acquirente è meno informato del
venditore, quest’ultimi può offrire buoni affari o
“bidoni” allo stesso prezzo, senza che ciò venga
percepito ex ante dal compratore
La teoria delle “asimmetrie
informative”

A causa di una incompleta informazione del


compratore e considerata la disonestà di alcuni
venditori, è possibile ipotizzare che la qualità
media dei prodotti offerti sia sempre minore, con
una progressiva diminuzione delle dimensioni del
mercato stesso
La teoria delle “asimmetrie
informative”

Applicata al rapporto creditore-debitore, il


difetto di informazione è tipicamente a danno
del creditore. Ciò determina la formazione di un
prezzo, a cui avverranno gli scambi finanziari, che
si attesterà su un valore medio,
nell’impossibilità di definire la corretta
relazione con il rischio.
La teoria delle “asimmetrie
informative”
Da cui, la discriminazione dei “prenditori” di
maggiore qualità che non sono disposti ad
indebitarsi a prezzi più elevati del rischio
percepito, a vantaggio di quelli di qualità
inferiore, il cui rischio è superiore al prezzo
richiesto. Nel tempo, tale fenomeno “scaccia” i
prenditori buoni dal mercato a vantaggio di
quelli cattivi (adverse selection o selezione
avversa)
La teoria delle “asimmetrie
informative”

I soggetti finanziati, inoltre, potrebbero assumere


anche dopo il finanziamento comportamenti
lesivi nei confronti dei finanziatori, per esempio
occultando le informazioni veritiere o, più in
generale, operando diversamente da quanto
stabilito contrattualmente (moral hazard o
rischio morale); con la conseguente, progressiva
estinzione del mercato.
Il ruolo dell’intermediario e le
“asimmetrie informative”

In tale schema teorico, il ruolo degli intermediari


è associato alla presenza delle asimmetrie
informative, considerate come elemento
permanente dei mercati e quindi non eliminabile.
Di conseguenza, il contributo dell’intermediario
finanziario va valutato prevalentemente in
termini di riduzione di tale imperfezione e degli
effetti negativi ad essa connessi.
Il ruolo dell’intermediario e le
“asimmetrie informative”

Il ruolo dell’intermediario è quello di acquistare,


sulla base delle proprie informazioni, le passività
emesse dai debitori e di collocare a sua volta
proprie passività sul mercato. In tal modo,
l’intermediario rende gli investitori (tipicamente
disinformati) compartecipi della sua maggiore
informazione, riducendo, in tal modo, le
asimmetrie informative esistenti tra prenditore e
datore di fondi.
Il ruolo dell’intermediario e le
“asimmetrie informative”

Rispetto al ruolo nella riduzione delle asimmetrie


informative, si distinguono funzioni che vanno
dal semplice accertamento dell’informazione
fornita dall’impresa (debitore) al mercato, alla
completa interposizione tra due soggetti
(funzione creditizia), nel quale l’intermediario
risolve alla radice i problemi informativi.
Il ruolo dell’intermediario e le
“asimmetrie informative”

Nel mercato finanziario, alcuni esempi di


strumenti di riduzione delle asimmetrie
informative, sono i seguenti:
il “documento dei rischi” fornito
dall’intermediario, prima della conclusione del
contratto di finanziamento;
Il “prospetto informativo” che accompagna il
collocamento di nuovi strumenti finanziari
Il ruolo dell’intermediario e le
“asimmetrie informative”

le “analisi e previsioni” messe a disposizione


degli investitori da Borsa Italiana S.p.A.;
le “analisi” compiute sui principali titolo
quotati ad opera dei principali operatori.
La teoria del “rapporto di
agenzia”

La teoria del “rapporto di agenzia” prevede


l’esistenza di una delega da parte di un soggetto
(principal o mandante), proprietario di
un’attività, ad un’altro soggetto (agente o
mandatario), gestore dell’attività medesima, nel
presupposto che tale specializzazione nella
divisione del lavoro generi maggiore efficienza.
La teoria del “rapporto di
agenzia”

Al rapporto di agenzia sono legati, però, i


potenziali conflitti di interesse tra principal ed
agent, ed i costi che ne conseguono (agency
cost). Il contatto di agenzia è, pertanto,
potenzialmente viziato dai problemi connessi al
comportamento dei mandatari rispetto agli
interessi dei loro mandanti.
La teoria del “rapporto di
agenzia”

La presenza di asimmetrie informative rende,


difatto, per il principal, non osservabile il
comportamento dell’agent, il quale, animato da
interessi potenzialmente diversi da quelli del
principal, potrebbe porre in essere
comportamenti scorretti (moral hazard)
generando costi definiti appunto di agenzia
La teoria del “rapporto di
agenzia”

Da tale eventualità sorge l’esigenza per il principal


di compensare le divergenze con l’agent
mediante:
l’introduzione di incentivi che spingano l’agent
ad adottare il comportamento desiderato;
controlli sull’operato dell’agent al fine di
limitarne i comportamenti scorretti.
La teoria del “rapporto di
agenzia”
Alla luce di tali considerazioni, si individuano le
seguenti categorie di costi di agenzia:
Spese per il controllo dell’operato del
mandatario;
Spese di competenze dell’agent per garantire
la propria fedeltà al principal;
Riduzione di ricchezza acquisita dal
mandante e derivante dal comportamento non
ideale dell’agent nei suoi confronti
Gli intermediari nella teoria del
“rapporto di agenzia”

In tale contesto teorico, la giustificazione della


presenza degli intermediari finanziari si avvale
della “dimostrazione” della convenienza della
loro funzione. I costi di agenzia trovano
nell’intermediario finanziario, o meglio nelle
economie di scala da esso scaturenti, un potente
strumento di riduzione.
Gli intermediari nella teoria del
“rapporto di agenzia”

Va, altresì, osservato che fenomeni simili possono


riproporsi a monte e a valle del processo
d’intermediazione:
nel primo caso, l’intermediario svolge funzione
di agent degli investitori e potrebbe sfruttare le
informazione riservate di cui è in possesso a suo
esclusivo vantaggio a discapito del principal
(investitore);
Gli intermediari nella teoria del
“rapporto di agenzia”
nel secondo caso, il riferimento è ai conflitti di
interesse che derivano da un rapporto di
finanziamento tra intermediario e impresa. I
problemi e costi che ne derivano possono
essere ridotti chiedendo una remunerazione
più elevata a fronte di prestiti a lungo termine;
predisponendo contratti flessibili; dando
origine a nuovi intermediari specializzati in
grado di ridurre tali costi legati ai
finanziamenti tipici.
Lezione N.4 “Principali
teorie dell’intermediazione
finanziaria – costi di
transazione e incertezza”
Obiettivi

Comprendere i diversi approcci teorici a


supporto dell’esistenza e operatività degli
intermediari finanziari

Analizzare in che modo le differenti categorie


di intermediari finanziari e i mercati
rispondono alle finalità previste da ciascun
approccio
Intermediari finanziari e teorie
economiche
La presenza di mercati e intermediari finanziari
agevola l’efficienza e l’efficacia degli scambi,
incidendo sui seguenti elementi di base:
Disponibilità delle informazioni;
Liquidità e negoziabilità degli strumenti;
Possibilità per gli operatori di trovare la
combinazione rischio/rendimento attesa.
Intermediari finanziari e teorie
economiche
Lo scambio può avvenire secondo le seguenti
modalità:
Scambio diretto e autonomo (solo datori e
prenditori, assenza di intermediari)
Scambio diretto e assistito (intermediari
semplice funzione di mediazione)
Scambio indiretto (attraverso un soggetto
intermediario che svolge una funzione di
intermediazione)
Intermediari finanziari e teorie
economiche

Qualunque scambio presuppone prestazioni


monetarie di segno opposto e distanziate nel
tempo, caratterizzato da differente grado di
incertezza e durata
Intermediari finanziari e teorie
economiche
Nella teoria economica classica,
l’intermediazione finanziaria come l’esistenza
della moneta sono temi trascurati:
La perfezione dei mercati non giustifica la
presenza degli intermediari finanziari (in un
sistema economico perfetto, tutti gli scambi
dovrebbero concludersi in modo diretto e
autonomo senza costi, avendo gli operatori tutte
le informazioni disponibili)
Intermediari finanziari e teorie
economiche
La teoria keynesiana si fonda, viceversa, sulla
rilevanza della moneta, secondo Tobin la
presenza della moneta rappresenta
un’alternativa all’investimento in beni reali, in
funzione del livello dei tassi reali di rendimento.

L’osservazione storica e della morfologia dei


moderni e più evoluti sistemi finanziari ha
dimostrato la coesistenza tra mercati e
intermediari finanziari
Intermediari finanziari e teorie
economiche
Gurley e Shaw (1955) hanno sottolineato, tra i
primi, che la necessità di disporre di soggetti
deputati da un lato alla raccolta del risparmio e
dall’altro all’allocazione delle risorse finanziare
verso unità economiche meritevoli di
affidamento, nasce dalla dissociazione tra
risparmio e investimento.
Dalla coesistenza di posizioni di deficit e di
surplus finanziario
Intermediari finanziari e teorie
economiche
Negli ultimi anni si è assistito a una crescente
integrazione tra attività creditizia e mobiliare
nell’ambito delle funzioni svolte dalle banche.

Sfruttando al meglio il patrimonio informativo;


utilizzando nuove forme di
intermediazione/finanziamento; facendo ricorso
massivo alla securitization; sfruttando i vantaggi
dello sviluppo della tecnologia.
Teorie dell’intermediazione
finanziaria

Le teorie dell’intermediazione hanno attribuito


(sia pur diversamente) all’esistenza di
imperfezioni nel funzionamento dei mercati
finanziari, un ruolo fondamentale nella presenza
e diversità degli intermediari finanziari
Teorie dell’intermediazione
finanziaria
Le principali “imperfezioni” sono riconducibili:

Costi di transazione impliciti;


Incertezza e rischi insiti negli scambi creditizi;
Asimmetrie informative tra datori e prenditori
di fondi;
Rapporto di agenzia tra datore di fondi e
intermediario;
La teoria dei “costi di
transazione”
La riduzione di costi, diretti e indiretti, migliora
l’efficienza degli scambi finanziari e giustifica la
presenza degli intermediari ai quali è
riconosciuta tale funzione di “efficientamento”

L’intermediario, infatti, può sfruttare


sistematicamente le economie di scala e di
diversificazione legate alle diverse fasi dello
scambio
La teoria dei “costi di
transazione”
I principali costi, la cui eccessiva onerosità può
inibire uno scambio diretto, sono genericamente
definiti:
costi di transazione (o di divisibilità degli
strumenti finanziari);
costi di raccolta ed elaborazione delle
informazioni;
 costi operativi in senso stretto
La teoria dei “costi di
transazione”
I costi di divisibilità degli strumenti finanziari,
sono legati alla “imperfetta divisibilità” degli
strumenti finanziari.
La presenza degli intermediari riduce i costi di
“smobilizzo” degli impieghi finanziari (es. i
depositi bancari immediatamente liquidi)
La teoria dei “costi di
transazione”
I costi di informazione sia legati alla ricerca delle
parti con le quali effettuare gli scambi sia quelli
relativi alla valutazione del rischio del debitore e
gestione dello scambio.
La presenza dell’intermediario rende evidente la
convenienza per il singolo investitore sia per la
possibilità di sfruttare le economie di scala
(altrimenti non possibili) sia per la riduzione del
rischio mediate un portafoglio ben diversificato
di impieghi
La teoria dei “costi di
transazione”

I costi di operativi sono quelli tipicamente


sostenuti per definire le clausole contrattuali,
predisporre la necessaria documentazione,
effettuare la transazione, comprese le spese di
trasporto per raggiungere il luogo dove
avvengono gli scambi di informazione
La teoria dei “costi di
transazione”

Pertanto, una diffusione dell’informazione e


l’offerta in uno stesso luogo genera una
consistente riduzione dei costi di transazione.
Attraverso la standardizzazione dei processi
operativi, l’intermediario finanziario riesce ad
ottenere consistenti economie di scala,
riducendo i costi (imperfezioni) delle transazioni,
incentivandone la crescita.
La teoria dei “costi di
transazione”
Secondo tale impostazione teorica ciascuna
tipologia di intermediario finanziario è spiegata
dalla circostanza che ciascuna tipologia di costo
può essere internalizzata da soggetti diversi.
Il broker riduce il costo di ricerca della
controparte;

L’investitore istituzionale riduce i costi di


negoziazione pagati a soggetti terzi;
La teoria dei “costi di
transazione”
…segue da precedente

Le banche riducono i costi di screening;

La banca universale è tendenzialmente in grado di


internalizzare tutte le tipologie di costi operativi.
Il rischio derivante
dall’“incertezza”

Il concetto di “incertezza”, presente in ogni scambio,


è comune sia alla teoria dei “costi di transazione”
sia a quella delle “asimmetrie informative”.
Può assumere negli scambi finanziari motivo
giustificativo dell’attività di intermediazione
Il rischio derivante
dall’“incertezza”
Un prima interpretazione in tal senso, risiede nella
capacità dell’intermediario di “comporre” la
possibile dicotomia tra creditore e debitore, in
termini di rischio “atteso”

Sfruttando le economie di scala, infatti, gli


intermediari sono in grado di fronteggiare le diverse
tipologie di rischio in modo più conveniente di
quanto possa fare il singolo operatore
Il rischio derivante
dall’“incertezza”
L’intervento degli intermediari vanno dalla
semplice riduzione del rischio senza assunzione
diretta (es. fondi comuni d’investimento) alla sua
acquisizione, trasformazione e gestione
(tipicamente, le banche).
La riduzione dell’incertezza può avvenire anche
mediante una redistribuzione dei rischi tra le parti
di un contratto di finanziamento (es. copertura dei
rischi di tasso o di cambio)
Il rischio derivante
dall’“incertezza”
L’analisi del rischio viene effettuata non solo dagli
intermediari finanziari ma anche dalla Banca
d’Italia, attraverso la Centrale dei Rischi, alla
quale le banche sono tenute a comunicare gli
importi e tipologie dei crediti concessi.
Tali informazioni sono rese disponibili alle banche
richiedenti permettendo a quest’ultime di
conoscere il rischio globale dei nominativi
esaminati
Il rischio derivante
dall’“incertezza”
Quando l’incertezza viene ridotta a vantaggio
della relazione rischio-rendimento, il ruolo
dell’intermediario sono analizzati dalla “teoria
delle scelte di portafoglio”
Il rendimento del portafoglio e la riduzione del
rischio per effetto delle strategie di
diversificazione, costituiscono la giustificazione
dell’esistenza dell’intermediario
Il rischio derivante
dall’“incertezza”
La validità dell’impianto teorico fin qui descritto è,
comunque, legata alla mancata considerazione di
altre imperfezioni, quali:
le imperfezioni strutturali (norme, fisco, ecc.)
l’offerta di strumenti di pagamento e di
prestazioni consulenziali da parte di numerosi e
variegati operatori
l’esistenza di intermediari con funzione
monetaria
Lezione
“Classificazione degli
intermediari finanziari: creditizi
bancari e altri”
Obiettivi

INDIVIDUARE LE TIPOLOGIE DI INTERMEDIARI


FINANZIARI: CREDITIZI BANCARI E ALTRI
INTERMEDIARI CREDITIZI

ANALIZZARE I FONDAMENTI DELLA


DISCIPLINA DELL’INTERMEDIAZIONE
FINANZIARIA
La molteplicità degli
intermediari finanziari

Una tassonomia che considera i caratteri distintivi


degli intermediari finanziari può essere ricondotta
alla capacità degli stessi di ridurre le imperfezioni
come definite dalle impostazioni teoriche
esaminate
La molteplicità degli
intermediari finanziari

Una prima distinzione degli intermediari


attiene allo svolgimento della funzione
monetaria:
Intermediari monetari (le banche)
Intermediari non monetari (tutti gli altri)
La molteplicità degli
intermediari finanziari

Considerato che la funzione monetaria si basa


sull’offerta di debiti bancari (es. i depositi),
pubblicamente accettati quali strumenti di
pagamento alternativi alla moneta legale, ne
deriva che le banche hanno conservato per
lungo tempo il monopolio di tale funzione,
La molteplicità degli
intermediari finanziari

Legato alla loro funzione monetaria è stato


altresì il particolare controllo pubblico a cui
sono state sottoposte le banche, a causa degli
effetti che l’emissione di moneta bancaria può
avere sull’economia reale
La molteplicità degli
intermediari finanziari
Nel corso del tempo il monopolio delle banche
nella funzione monetaria si è ridotto, in quanto
altri intermediari sono stati autorizzati a offrire
mezzi di pagamento.
Gli IMEL (Istituti di Moneta Elettronica)
emettono in via esclusiva strumenti elettronici
di pagamento (moneta elettronica), accettati
come mezzo di pagamento alternativo al
contante
La molteplicità degli
intermediari finanziari
Gli IMEL posso anche svolgere attività
connesse o strumentali a quella principale ma
non possono concedere crediti di qualunque
forma;

Gli IP (Istituiti di Pagamento) sono autorizzati


esclusivamente a prestare sevizi di pagamento.
La molteplicità degli
intermediari finanziari
In funzione delle modalità di svolgimento
delle attività ed alle finalità del controllo
esercitato dalle Autorità di vigilanza, si
distinguono:
Gli investitori delegati (comprese le banche
con emissione di passività a valore nominale);
Le imprese di investimento (intermediari
mobiliari, con passività di mercato)
La molteplicità degli
intermediari finanziari
Il grado di estensione della delega può essere:
Quasi nullo - nei servizi di supporto degli
scambi diretti, limitandosi gli intermediari (SIM e
agenzie di rating) a fornire le informazioni
necessarie allo scambio
Medio - nella gestione dei patrimoni mobiliari,
poiché gli intermediari (SIM e Investitori
istituzionali) svolgono una trasformazione del
rischio che comunque ricade sul cliente
La molteplicità degli
intermediari finanziari
Il grado di estensione della delega può essere:
Elevato - nel caso l’intermediario (tipicamente
la banca) si assuma una parte residua del rischio,
isolando completamente i datori di fondi dai
rischi legati all’emissione dei finanziamenti
La molteplicità degli
intermediari finanziari
Le differenti preferenze dei soggetti giustificano la
presenza di intermediari finanziari e la
configurazione di circuiti alternativi al mercato.
Nel circuito indiretto, gli intermediari assumono
impegni propri nei confronti sia dei datori di
fondi che dei prenditori
Nei circuiti diretti, viceversa, gli intermediari
intervengono come fornitori di servizi a coloro
che domandano o offrono fondi
Intermediari creditizi - Banche

La banca svolge un’attività di intermediazione


creditizia, cioè di conferimento di risorse
finanziarie a titolo di credito, utilizzando in
prevalenza fondi ottenuti da terzi a titolo di
debito, in via minore a titolo di capitale proprio.
La differenza rispetto a tutti gli altri intermediari
risiede nella natura delle passività: i clienti bancari
possono utilizzare le somme depositate in conto
corrente mediante strumenti di pagamento
comunemente accettati come moneta legale
Intermediari creditizi - Banche

Ai sensi dell’ordinamento italiano (art.10 TUB):


“La raccolta di risparmio tra il pubblico e
l’esercizio del credito costituiscono attività
bancaria. Essa ha carattere d’impresa.”
L’attività bancaria, pertanto, è tale solo se la
raccolta del risparmio e la concessione dei
prestiti è svolta congiuntamente e tale operare è
necessariamente orientato, in maniera rilevante,
al profitto
Intermediari creditizi - Banche

Il Legislatore ha espressamente previsto che tale


attività sia esercitata in via esclusiva dalle banche:
“L’esercizio dell’attività bancaria è riservato alle
banche” (art.10, TUB) e “La raccolta del
risparmio tra il pubblico è vietata ai soggetti
diversi dalle banche” (art.11, TUB)
Intermediari creditizi - Banche
“Le banche esercitano, oltre all'attività bancaria,
ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina
propria di ciascuna, nonché attività connesse o
strumentali. Sono salve le riserve di attività
previste dalla legge” (art.10, TUB)
La combinazione raccolta del risparmio-
erogazione del credito rappresenta una
combinazione minima, in conformità
all’orientamento europeo verso il modello
istituzionale di “banca universale”
Intermediari creditizi - Banche

Le uniche attività non permesse alle banche e


riservate agli altri intermediari finanziari, sono:
le attività assicurative, da sempre appannaggio
delle compagnie di assicurazione;
le attività di gestione collettiva del risparmio,
riservate alle SGR (Società di Gestione del
Risparmio)
Intermediari creditizi - Banche

La banca è un intermediario strutturalmente


orientato al margine d’interesse (interessi attivi su
prestiti e altri investimenti meno gli interessi
passivi su depositi e altre forme di raccolta fondi),
strettamente collegato alla combinazione tipica
delle attività della stessa
Intermediari creditizi - Banche

L’evoluzione del modello bancario verso quello di


“banca universale”, ha spostato l’orientamento
verso il margine di intermediazione che include
oltre il margine d’interesse anche il margine
commissionale (commissioni attive su servizi
offerti meno commissioni passive per quelle
ricevute più dividendi e altri proventi)
Altri intermediari creditizi

Accanto alle banche l’ordinamento italiano (Titolo


V, TUB) definisce altresì intermediari finanziari:
i soggetti ai quali è riservato lo svolgimento
professionale nei confronti del pubblico delle
attività di concessione dei finanziamenti sotto
qualsiasi forma, di assunzione di partecipazioni, di
prestazione di pagamento e di intermediazione in
cambi, oltre alla Cassa Depositi e Presiti
Altri intermediari creditizi

Tali soggetti sono iscritti in apposito elenco


speciale (art.107, TUB) e assoggettati alla
vigilanza della Banca d’Italia che ne verifica
l’adeguatezza: patrimoniale; organizzativa,
amministrativa e contabile; dei controlli interni e
dell’informativa da rendere al pubblico sugli
aspetti patrimoniali
Altri intermediari creditizi

Le caratteristiche comuni degli intermediari


creditizi diversi dalle banche sono due:
La raccolta delle risorse (non potendo essere
diretta) avviene presso le banche o altri soggetti
istituzionali, da qui la denominazione di
intermediari di II livello
La concessione dei finanziamenti è finalizzata a
soddisfare esigenze di carattere particolare dei
prenditori di fondi
Lezione
“Gli intermediari finanziari:
creditizi non bancari, mobiliari
e assicurativi”
Obiettivi

ANALIZZARE NEL DETTAGLIO LE TIPOLOGIE DI


INTERMEDIARI CREDITIZI NON BANCARI,
MOBILIARI E ASSICURATIVI

ANALIZZARE I FONDAMENTI DELLA


DISCIPLINA DELL’INTERMEDIAZIONE
FINANZIARIA
Intermediari creditizi non
bancari
In ragione delle tipiche modalità di svolgimento
delle attività, tali soggetti vengono altresì definiti
intermediari creditizi non bancari e sono:
Società di leasing
Società di factoring
Società di credito al consumo
Confidi
Società veicolo
Cassa Depositi e Prestiti
Intermediari creditizi non bancari
Le Società di leasing

La Società di leasing svolge tipicamente l’acquisto


di beni mobili o immobili strumentali all’attività
d’impresa e successiva locazione a quest’ultima,
dietro il pagamento di canoni periodici (leasing
finanziario).
Intermediari creditizi non bancari
Le Società di leasing

Si tratta di un intermediario tipicamente orientato


al margine di interesse (canoni per i beni concessi
in leasing, al netto delle relative quote di
ammortamento, più le plusvalenze/minusvalenze
da riscatto dei beni); saltuaria è la prestazioni di
servizi accessori, remunerati sotto forma di
commissioni
Intermediari creditizi non bancari
Le Società di factoring

La Società di factoring (factor) acquista e gestisce


i crediti d’impresa; assume le caratteristiche di
intermediazione creditizia quando la società (o la
banca) anticipa all’impresa l’importo di crediti
esistenti o di futura formazione, a fronte della
loro acquisizione
Intermediari creditizi non bancari
Le Società di factoring

L’acquisizione del credito da parte del factor può


avvenire con:
prestazione di garanzia a favore del cedente,
nella cessione pro soluto (rischio a carico del
cessionario)
senza garanzia, nella cessione pro solvendo
(rischio rimane a carico del cedente)
Intermediari creditizi non bancari
Le Società di factoring

L’orientamento attuale delle società di factoring è


prevalentemente alla formazione di un margine di
intermediazione, legato alla gestione dei crediti e
non necessariamente al loro finanziamento.
In passato, viceversa, era prevalente l’attività di
anticipazione finanziaria.
Intermediari creditizi non bancari
Confidi

I Consorzi di garanzia collettiva fidi (Confidi),


rilasciano garanzie collettive a fronte dei
finanziamenti erogati a favore della imprese socie
o consorziate
Il loro intervento nei casi di concessione dei
finanziamenti delle banche alle piccole e medie
imprese, riduce i costi di informazione sui
soggetti da affidare e i rischi di inadempimento
Intermediari creditizi non bancari
Confidi

I Confidi, ai sensi della L.326/2003, possono


assumere il ruolo di “intermediari vigilati” o di
“banche cooperative a responsabilità limitata”
che consente il riconoscimento delle garanzie
prestate nei modelli di riduzione del rischio
bancario previsti dall’Accordo di Basilea 2
Intermediari creditizi non bancari
Confidi

L’orientamento reddituale del Confidi è al


“margine di gestione della garanzia” che assume
carattere peculiare in quanto legato all’incasso
delle commissioni e alla gestione del rischio di
credito
Intermediari creditizi non bancari
SPV
Introdotte nell’ordinamento italiano con Legge
130/1999 e iscritte all’Albo speciale, le Società
veicolo per la cartolarizzazione (SPV - Special
Purpose Vehicle) sono finalizzate alle operazioni
di securitization, acquistando i crediti o altre
attività finanziarie a fronte dell’emissione di titoli
con particolari caratteristiche tecniche.
In assenza di strutture operative garantiscono
una perfetta simmetria tra attivo e passivo
Intermediari creditizi non bancari
Società di credito al consumo

L’attività delle Società di credito al consumo


consiste nella erogazione di prestiti
esclusivamente alle famiglie sotto la forma del
credito personale (senza vincoli di destinazione)
o di credito finalizzato (es. per l’acquisto di
determinati beni o servizi)
Intermediari creditizi non bancari
Società di credito al consumo
Il credito personale è prevalentemente erogato
dalle società di matrice bancaria, mentre il
credito finalizzato è erogato generalmente dalle
società di matrice industriale ed ha una stretto
legame con le politiche commerciali delle
società di appartenenza

L’orientamento di tali intermediari è verso il


margine di interesse
Intermediari creditizi non bancari
CDP - Cassa Depositi e Prestiti
La Cassa Depositi e Prestiti concede
finanziamenti e svolge attività di assistenza
finanziaria agli Enti pubblici; rappresenta
l’intermediario del circuito indiretto pubblico.
La “raccolta” dei fondi per l’attività di
finanziamento avviene soprattutto attraverso i
depositi postali. La titolarità del servizio di
raccolta dei depositi è del Ministero
dell’Economia e delle Finanze (D.L. 269/2003)
Gli intermediari mobiliari

Per comprendere la tassonomia degli intermediari


mobiliari è opportuno distinguere tre principali
ambiti di attività, presidiati da soggetti differenti:
Il finanziamento mobiliare mediante
l’assunzione di capitale di rischio nelle imprese
non finanziarie;
Lo svolgimento di servizi di investimento;
La gestione collettiva del risparmio.
Gli intermediari mobiliari

Gli intermediari di partecipazione svolgono


istituzionalmente l’attività di acquisizione di
capitale di rischio delle imprese, a tale attività
affiancano anche servizi di informazione,
consulenza, coordinamento, ecc.
L’assunzione di partecipazione può essere svolta sia
da intermediari finanziari, nel caso di operatività
rivolta al pubblico, sia da imprese non soggette a
vigilanza qualora non operanti verso il pubblico
risparmio
Gli intermediari mobiliari

L’equilibrio reddituale di tali imprese è legato in


prevalenza al margine di plusvalenza, relativo al
differenziale tra il costo di acquisizione della
partecipazione e quello di realizzo, sovente
affiancato da margini di commissione, riferiti ai
servizi offerti
Gli intermediari mobiliari

Le imprese di investimento, in Italia SIM – Società


di Intermediazione Mobiliare, sono soggetti,
diversi dalle banche e dagli altri intermediari
finanziari, autorizzate a svolgere per conto proprio
e di terzi i servizi di investimento e accessori
come definiti nell’art.1 del TUF.
Gli intermediari mobiliari

L’equilibrio reddituale delle SIM è dato:


dal margine commissionale se l’attività è
svolta esclusivamente per conto di terzi
(borkeraggio e selling);
da un margine misto di interessi e plusvalenza
se l’attività e svolta anche per conto proprio
(dealing e sottoscrizione)
Gli intermediari mobiliari

Le SGR – Società di Gestione del Risparmio,


svolgono attività di asset management per conto
terzi su base sia individuale sia collettiva
Sono abilitate, a tal fine, a promuovere, istituire e
gestire fondi comuni d’investimento; gestire
OICR anche di altrui istituzione; istituire e gestire
fondi pensione; svolgere attività connesse e
strumentali
Gli intermediari mobiliari

Gli OICR – Organismi di Investimento Collettivo


del Risparmio sono lo strumento per la gestione
collettiva del risparmio. Essi assumono la forma
giuridica del fondo comune d’investimento
(aperto e chiuso) e SICAV (Società d’Investimento
A Capitale Variabile).
La caratteristica della raccolta di tali strumenti e
mediante l’emissione di proprie quote azionarie
Gli intermediari mobiliari

Tali strumenti sono comunemente annoverati


nella categoria degli investitori istituzionali,
denominazione non presente nel ns.
ordinamento. Categoria di cui fanno parte, altresì,
i fondi immobiliari, i fondi pensione e le
compagnie di assicurazione ramo vita.
Gli intermediari mobiliari

Il TUF ha inoltre classificato altre due categorie di


soggetti specializzati:
Le società di gestione dei mercati;
Le società di gestione accentrata
Gli intermediari mobiliari

Le società di gestione dei mercati, svolgono


l’attività di organizzazione e gestione dei mercati
regolamentati nella forma d’impresa (art. 61,
TUF). La governance di tale imprese definiscono e
regolamentano la gestione ed organizzazione del
mercato.
L’autorizzazione CONSOB all’esercizio dei mercati
regolamentati è subordinata all’esistenza della
società di gestione e alla conformità del
regolamento alla disciplina comunitaria
Gli intermediari mobiliari

Le società di gestione accentrata, svolgono i


servizi di gestione centralizzata degli strumenti
finanziari, di compensazione e liquidazione delle
transazioni e di gestione dei sistemi di garanzia
(art. 80, TUF). Per la gestione delle attività, tali
imprese devono possedere una struttura
organizzativa idonea a garantire livelli di efficienza
riconosciuti dai migliori standard internazionali
(Banca d’Italia e Consob, 2008)
Gli intermediari assicurativi

L’impresa di assicurazioni gestisce i rischi con


riferimento ad una collettività omogenea di
situazioni al fine di formulare delle previsioni e
adottare le relative coperture, applicando un
premio minore della somma assicurata.
La determinazione dei premi si basa sia sul
verificarsi probabilistico dei rischi (ipotesi
statistiche) sia su ipotesi finanziarie
Gli intermediari assicurativi

I principali rami di attività di un intermediario


assicurativo sono:
Ramo danni, con ad oggetto i rischi che
riguardano beni (furto, incendio, ecc.), soggetti
(infortunio, malattia, ecc.), patrimonio
(responsabilità civile)
Ramo vita, afferente la vita umana (rischio
morte, sopravvivenza, mancanza di reddito, ecc.)
Gli intermediari assicurativi

Il margine assicurativo è composto sia dal saldo


tecnico (ammontare premi incassati meno danni
risarciti e spese di gestione) sia dal saldo
finanziario (derivante dagli interessi maturati
sugli investimenti della liquidità proveniente
dagli incassi dei premi)
Gli intermediari assicurativi

Tra gli intermediari assicurativi possono essere


annoverati i fondi pensione, che svolgono una
funzione di gestione del rischio di copertura
previdenziale.
Istituiti nel 1993 hanno la finalità di garantire
prestazioni pensionistiche complementari a
quelle erogate dagli Enti pubblici
Gli intermediari assicurativi

I fondi pensione posso essere aperti o chiusi.


Il fondo pensione aperto, è destinato
prevalentemente ai lavoratori autonomi su base
individuale o collettiva e si alimenta con i
contributi dei lavoratori.
Il fondo pensione chiuso, nasce dagli accordi tra
parti sociali, è destinato prevalentemente ai
lavoratori dipendenti, è alimentato dai contributi
dei lavoratori, dei datori di lavoro e dal TFR
Lezione
“Rischi tipici
dell’intermediazione
finanziaria”
Obiettivi

Concetto e modalità alternative di


misurazione dei rischi

Distinguere i rischi legati al rapporto


intermediario-ambiente esterno da quelli
insiti nell’attività d’intermediario
Intermediari finanziari e rischio

Anche nel contesto finanziario il rischio è


genericamente legato alle condizioni di incertezza
nelle quali spesso vengono prese le decisioni

L’aleatorietà delle variabili che caratterizzano gli


scambi compresa la limitata razionalità di chi li
realizza inducono a valutare i risultati attesi dalle
transazioni in termini di probabilità
Intermediari finanziari e rischio

Le informazioni risultano essenziali nelle


transazioni finanziarie sia prima (ex ante) del loro
perfezionamento sia durante il successivo
monitoraggio (ex post), per la verifica del rispetto
degli accordi presi

Al mercato ed agli intermediari è affidato il


compito di ridurre il differenziale informativo che
generalmente separa il finanziatore dal finanziato
Intermediari finanziari e rischio

Gli intermediari favoriscono non solo la riduzione


ma anche la trasformazione dei rischi.

Nello scambio diretto l’intermediario consente


all’investitore di beneficiare della riduzione del
rischio grazie alla gestione professionale di
portafogli d’investimenti, efficacemente
diversificati
Intermediari finanziari e rischio
L’intermediario consente altresì la trasformazione
delle scadenze, tipicamente differenti nella
raccolta e negli impieghi, incrementando la
compatibilità delle esigenze tra i datori ed i
prenditori di fondi.

La gestione dei rischi, pertanto, rappresenta la


base del processo d’intermediazione ed una delle
principali ragioni che giustifica, sotto il profilo
teorico, la loro esistenza e differente tipologia
I rischi finanziari

In finanza una prima classificazione dei rischi si


basa sugli effetti del verificarsi degli eventi ad essi
collegati:
Rischi puri (o anche assicurativi), il cui eventuale
manifestarsi comporta solo eventi negativi e la cui
gestione è solo oggetto dell’attività assicurativa
I rischi finanziari

In finanza una prima classificazione dei rischi si


basa sugli effetti del verificarsi degli eventi ad essi
collegati:
Rischi finanziari (o anche speculativi), i cui
effetti possono essere, con diversa intensità,
positivi o negativi e strettamente connaturati
all’attività finanziaria
I rischi finanziari

In relazione alla loro natura i rischi vengono


distinti anche in:
Rischi sistematici, la cui origine è legata a
situazioni di contesto generale compreso
l’andamento delle variabili di mercato (tassi
d’interesse e di cambio, prezzi, inflazione, ecc.),
che prescindono dalla situazione specifica della
singola impresa o intermediario
I rischi finanziari

In relazione alla loro natura i rischi vengono


distinti anche in:
Rischi non sistemici (o specifici), che traggono
origine da fenomeni che, seppur in maniera
differente, dipendono dalle peculiarità della
gestione caratteristica della singola impresa o
intermediario
I rischi finanziari

Il rischio finanziario è un rischio speculativo


poiché si può manifestare attraverso l’oscillazione
del valore del capitale investito
Il suo maggior livello, pertanto, connota la
maggiore probabilità non solo di riportare perdite
(evento negativo) ma anche guadagni elevati
(evento positivo)
Pertanto, si possono ottenere rendimenti più
elevati solo accettando livelli di rischio crescenti
I rischi finanziari

Il trade-off rischio-rendimento è una relazione


che dovrebbe essere avvalorata (nel medio/lungo
termine) su tutti i mercati finanziari, sebbene nel
breve periodo, talvolta, alcuni di essi mostrano
andamenti difformi dalla teorica funzione lineare
in argomento
I rischi finanziari

La capacità di sopportazione dell'incertezza varia


da individuo ad individuo, pertanto, nella scelta
del proprio obiettivo d’investimento va
considerata la propria propensione al rischio.
Mediante l’analisi congiunta sia degli elementi
oggettivi che soggettivi
I rischi finanziari

In termini oggettivi vanno considerati:


La capacità di generare risparmio finanziario
(funzione del reddito-spesa-investimenti, ecc.)
Le disponibilità patrimoniali in termini di
consistenza e stabilità nel tempo
Gli obiettivi d’investimento
L’orizzonte temporale di riferimento
I rischi finanziari

In termini soggettivi, influenzano la propensione


al rischio:
Le eventuali passate esperienze negative in
investimenti finanziari;
Il grado di cultura finanziaria personale e/o
professionale
L’età e l’orizzonte temporale prescelto
I rischi finanziari

La misurazione del rischio, quale incertezza del


verificarsi dei rendimenti attesi dall’investimento,
può essere effettuata mediante la deviazione
standard dei rendimenti storici (s.q.m.) o il suo
quadrato (varianza)

Indicatore degli scostamenti dei singoli


rendimenti nel periodo osservato rispetto al
rendimento medio del periodo stesso
I rischi finanziari

Il rischio ed il rendimento possono tuttavia essere


misurati da indicatori differenti. La molteplicità
degli approcci di valutazione è funzione della
complessità e numerosità dei fattori che
determinano il rischio
I rischi finanziari

A titolo esemplificativo, con riferimento al valore


(o prezzo) di un’attività esistono:
Indicatori di rischio assoluto che misurano la
variabilità assoluta;
Indicatori si rischio relativo, rispetto ad un
elemento esterno di riferimento;
Indicatori di sensibilità (sensitivity), misurano la
variabilità rispetto al fattore a cui (l’attività) è
tipicamente esposta
I rischi dell’intermediario
finanziario
In termini generali, indipendentemente dalla
natura di attività svolta, il rischio d’impresa è
costituito dalle possibili oscillazione subite dal
valore patrimoniale (attività-passività) o dalla sua
redditività (espressa in ragione del capitale
investito - ROE)
I rischi dell’intermediario
finanziario
Per l’individuazione di singole categorie di rischio
è necessario definire, preliminarmente, gli
aggregati sensibili (aree di impatto) che negli
intermediari finanziari ed in particolare nelle
banche sono generalmente rappresentati da
singole attività o passività finanziarie, portafogli
di crediti e titoli oppure di debiti e capitale, unità
di business o aree strategiche d’affari
I rischi dell’intermediario
finanziario
Per gli intermediari finanziari e le banche, la gran
parte degli aggregati sensibili non ha un
riferimento di mercato e, pertanto, per definirne il
valore (e sue eventuali oscillazioni) è necessario
ricorrere a tecniche di quantificazione più
complesse basate sull’attualizzazione dei flussi
finanziari previsti
I rischi dell’intermediario
finanziario
Le principali cause di esposizione al rischio di un
intermediario finanziario, riguardano:

Scelte di composizione del proprio portafoglio


di attività e passività;
Caratteristiche contrattuali degli strumenti
finanziari emessi e/o sottoscritti
I rischi dell’intermediario
finanziario

La distribuzione dell’attivo (impieghi) tra attività


non negoziabili (prestiti) e titoli (azioni e
obbligazioni), cosi come le scelte di raccolta dei
fondi tra depositi e obbligazioni, rappresentano
una prima indicazione in merito alla dimensione e
tipologia di rischio assunto
Lezione
“Classificazione e gestione dei
rischi dell’intermediario”
Obiettivi

Esaminare le principali classi di rischio

Individuarne modalità di quantificazione,


gestione e contenimento
Classificazione dei rischi

La normativa di vigilanza in vigore limita,


tuttavia, la dimensione e la tipologia di rischio
che un intermediario finanziario può assumere
nella composizione del proprio portafoglio di
attività/passività
Le norme sul patrimonio di vigilanza ed il Nuovo
Accordo sul Capitale, stabiliscono precisi limiti in
termini di rapporto tra rischi assunti e
dimensione minima del capitale
Classificazione dei rischi
I principali rischi considerati dalle Autorità di
vigilanza sono:
Rischio di credito - perdite nello svolgimento
delle attività creditizie (banking book);
Rischio di mercato – perdite sul portafoglio di
negoziazione (trading book), legate a variazioni
avverse dei tassi di cambio e prezzi;
Rischio di ALM - Asset Liability Management –
perdite da variazione dei tassi su raccolta e
impieghi
Classificazione dei rischi

I principali limiti considerati dalle Autorità di


vigilanza sono:
Rischio operativo - perdite derivanti da
disfunzioni riscontrabili a livello di procedure
gestionali, oppure da eventi esogeni generali;
Rischio di liquidità – rischio di non riuscire a
fronteggiare, tempestivamente ed
economicamente, i propri impegni di pagamento;
Classificazione dei rischi

Da un ottica più aziendale le principali fonti del


rischio sono riconducibili:
al tipo di attività svolta e al tipo di relazioni e
natura dei soggetti nei confronti dei quali
l’intermediario opera (fonti esterne)
al modo in cui lo stesso realizza la propria
attività produttiva (fonti interne)
Classificazione dei rischi
Mercati
finanziari
Rischi di mercato

Rischi di provvista
Rischi di controparte

Intermediari Datori
Prenditori Rischi
di fondi di fondi
interni

Rischi di regolamentazione
Autorità di
vigilanza
Classificazione dei rischi

I principali fattori d’incertezza incidono


sull’equilibrio di gestione dell’intermediario, sotto
il profilo:
Economico, in termini di risultati reddituali;
Patrimoniale, in termini di mantenimento di un
valore dell’attivo superiore al passivo;
Finanziario, in termini di mantenimento
dell’equilibrio tra entrate ed uscite nel breve
periodo
Rischi di mercato

Il Rischio di mercato è legato all’impatto dei


mutamenti delle condizioni di mercato sul valore
delle attività e passività di un intermediario
finanziario
Tale rischio può essere suddiviso in:
Rischio di interesse
Rischio di cambio
Rischio di prezzo
Rischi di mercato

Il Rischio di interesse deriva dalla volatilità dei


tassi mercato e impatta sull’attività di
intermediazione creditizia:
direttamente, in termini di rendimento degli
impieghi (prestiti e titoli) e di costo della raccolta
(depositi e obbligazioni) e, dunque, sul margine
d’interesse
Indirettamente, in termini di variazioni dei
volumi negoziati causate da differenti scelte della
clientela
Rischi di mercato

Il Rischio di interesse deriva dalla volatilità dei


tassi mercato e influenza altresì:
Il prezzo degli strumenti finanziari posseduti (es.
il valore delle obbligazioni a tasso fisso subisce
variazioni di segno opposto all’andamento del
mercato).
Il fair value delle poste di bilancio relative ad
operazioni di finanziamento (impieghi) e di raccolta
(fonti)
Rischi di mercato

La tipica funzione dell’intermediario di


trasformazione delle scadenze crea una condizione
di mismatching tra attivo e passivo che espone
parte del portafoglio ai rischi di mercato (es.
scadenze non coincidenti o differenti termini di
rinegoziabilità della raccolta e degli impieghi)
L’esposizione al rischio viene misurata dal gap tra
attività e passività sensibili alle variazioni dei tassi
d’interesse, preventivamente riclassificate.
Rischi di mercato

Il gap avrà segno positivo quando le attività


sensibili sono superiori alle passività, negativo nel
caso opposto e nullo in caso di eguaglianza.
Il gap stima l’impatto sul margine di interesse
delle variazioni dei tassi (es. il margine aumenta in
presenza di gap positivo e aumento dei tassi
oppure diminuzione dei tassi e gap negativo;
diminuisce negli altri casi)
Rischi di mercato

Obiettivi della gestione del rischio d’interesse:


ridurre al minimo il mismatching tra attività e
passibilità sensibili, contenendo gli effetti alla
variabilità dei tassi;
governare la dimensione ed il segno algebrico
del gap in funzione delle aspettative circa
l’andamento dei tassi al fine di massimizzare il
margine d’interesse
Rischi di mercato

Il Rischio di cambio, esprime gli effetti prodotti


dalle variazioni dei tassi di cambio sulle posizioni
(attive e passive) in valuta, detenute
dall’intermediario
La misura dell’esposizione al rischio può essere
anche in questo caso valutata in termini
differenziali tra attività e passività detenute in
una medesima valuta – posizione netta (analoga
al gap)
Rischi di mercato

Il Rischio di prezzo è collegato alla attività di


negoziazione in proprio di valori mobiliari.
L’esposizione al rischio di variazioni patrimoniali e
reddituali per effetto della volatilità dei prezzi dei
titoli è funzione della posizione netta della
volatilità dei titoli detenuti oltre che dalle
condizioni generali di mercato.
Rischi di mercato

Le variazione dei prezzi hanno impatti:


reddituali, in termini di margine di negoziazione
patrimoniali, in quanto, a parità di posizione,
l’intermediario deve procedere ad adeguare il
valore del proprio attivo a prezzi di mercato (fair
value)
Rischi di mercato

Le principali metodologie utilizza per la


misurazione del rischio di prezzo prendono in
considerazione il fair value delle attività e sono:
La duration, per i titoli obbligazionari (identità
tra rischio di tasso e di prezzo)
Il coefficiente Beta, per le azioni (individua la
variabilità del prezzo del singolo titolo rispetto alla
variabilità del mercato di appartenenza)
coefficienti specifici, per i derivati (cd greeks)
Rischi di mercato

Le misure di sensibilità esposte, tuttavia, non sono


“additive”; presentano pertanto il limite di non
esprimere una misura complessiva del rischio di
tutte le posizioni detenute dall’intermediario.
Tale possibilità, viceversa, è data dai modelli del
“valore a rischio” (VAR – Value At Risk)
Il cui obiettivo è stimare la perdita massima
potenziale di una posizione in un dato intervallo
temporale e con un certo grado di confidenza
Rischi di controparte

Il Rischio di controparte afferisce alla probabilità


che alcuni soggetti (clienti) possano risultare
inadempienti. Tali rischi, in ragione della attività
mobiliare e creditizia degli intermediari, vengono
classificati, rispettivamente, come rischi di
regolamento e rischi di credito
Rischi di controparte

Il rischio di regolamento è legato


all’inadempienza della controparte a regolare il
pagamento in contropartita di strumenti
finanziari o viceversa.
In tale circostanza diviene determinante la
scadenza del contratto sottostante.
Nel caso di compravendita “a pronti” il danno
dall’insolvenza è legato alla possibilità di
sostituire la controporte in tempi brevissimi.
Rischi di controparte

In quella “a termine” il danno aumenta in quanto


il soggetto adempiente è esposto al costo derivante
dalla sostituzione della controparte, avendo
anticipato la prestazione.

Per evitare tali danni nei mercati organizzati dei


derivati è previsto un organo centrale (claring
house) che elimina il rischio di regolamento
Rischi di controparte
Il rischi di credito è legato all’attività di
finanziamento (concessione di fidi o sottoscrizione
di titoli) della clientela.

L’insolvenza, parziale o totale, del debitore


determina il peggioramento della condizione
creditizia della controparte, con la conseguente
riduzione del valore delle attività in portafoglio.
Rischi di controparte

Il rischio di credito assume differenti accezioni in


relazione al fattore causale e alla natura della
posizione (rischio di insolvenza, di migrazione, di
spread, di recupero, di pre-regolamento, rischio
Paese, rischio di portafoglio).
Lezione
“Valutazione del rischio di
credito, rischi di provviste e di
liquidità”
Obiettivi

INDIVIDUARNE MODALITÀ DI
QUANTIFICAZIONE DEL RISCHIO DI CREDITO,
GESTIONE E SUO CONTENIMENTO

ANALISI DEI RISCHI DI PROVVISTA E LIQUIDITÀ


Quantificazione del rischio di
credito
Per quantificare il rischio di credito è necessario
valutare l’entità della perdita che la banca
potrebbe subire, distinguendo i seguenti concetti:
perdita attesa (EL, Expected Loss), valore medio
della distribuzione delle probabilità di perdita
associata ad ogni operazione di finanziamento
perdita inattesa (UL, Unexpected Loss), in
termini di probabilità la possibilità che la perdita
verificatasi (ex post) sia superiore a quella stimata
ex ante
Quantificazione del rischio di
credito
In entrambi i casi le componenti del rischio
derivano dalle seguenti tre variabili:
La probabilità d’insolvenza (PD, Probability of
default) del debitore
Il tasso di perdita in caso d’insolvenza (LGD,
Loss Given Default) - complemento ad 1
dell’ammontare recuperabile (RR, Recovery Rate)
L’ammontare dell’esposizione al momento del
fallimento (EAD, Exposure At Default)
Quantificazione del rischio di
credito
Tasso di perdita attesa (ELR) 0,45%

Tasso di Perdita
Probabilità perdita in Esposizione attesa(EL)
di default caso di al default
(PD) default (EAD)
(LGD)

ES. 1% 45% euro 1000 euro 4,5


Tasso di
recupero
1 55%
del credito
(RR)
Quantificazione del rischio di
credito

La probabilità d’insolvenza (PD, Probability of


default) indica la capacità del soggetto finanziato
ad onorare i propri impegni, ossia che il soggetto
fallisca in un orizzonte temporale pari ad un anno
(intervallo tra 0% - 100%)
Quantificazione del rischio di
credito

Il tasso di perdita in caso d’insolvenza (LGD,


Loss Given Defalt) esprime la percentuale di
perdita potenziale subita dalla banca
sull’ammontare del prestito erogato al termine
delle procedure di recupero, dipende dalle
procedure poste in essere. Rappresenta, altresì, il
complemento ad 1 dell’ammontare recuperabile
(RR, Recovery Rate)
Quantificazione del rischio di
credito

L’ammontare dell’esposizione al momento del


fallimento (EAD, Exposure At Default), stima la
dimensione dell’esposizione della banca al
momento dell’insolvenza del debitore. Viene
calcolata come somma dei crediti scaduti e non
pagati, dei crediti a scadere e degli interessi e
delle commissioni previste dal contratto a favore
della banca
Quantificazione del rischio di
credito

Un efficace quantificazione del rischio deve


tenere in conto anche la probabilità di uno
scostamento tra perdita attesa (ex ante) e
perdita effettiva (ex post)

La perdita inattesa viene coperta con il


patrimonio di vigilanza
Quantificazione del rischio di
credito
La perdita attesa viene coperta con
accantonamenti e rettifiche del valore,
esponendo il valore del credito in bilancio al
presunto valore di realizzo

Costituendo una componente di costo certa, la


perdita attesa deve essere considerata nella
definizione del prezzo del credito mediante uno
spread commisurato al rischio
Rischi di provvista

Il Rischio di provvista (funding risk) è funzione


della capacità dell’intermediario di raccogliere
le risorse presso le diverse controparti, alle
quantità e prezzi (costi) in linea con:
gli obiettivi di crescita,
la composizione dell’attivo
il rendimento degli investimenti
Rischi di provvista

Le banche sono particolarmente esposte al


rischio di provvista essendo il loro passivo
caratterizzato da una rilevante quota di depositi a
vista. Un’improvvisa richiesta di denaro da parte
della clientela (cd “corsa agli sportelli”)
richiederebbe alla banca di reperire velocemente
le risorse necessarie
Rischi di provvista
Il costante mantenimento della capacità di
raccolta riduce la probabilità che la capacità di
pagamento venga meno, garantendo, pertanto, la
sussistenza della liquidità della banca

La riduzione della capacità di raccolta di una


banca può essere legata a una situazione di crisi
diffusa sui mercati finanziari oppure a fattori
contingenti quali la presenza di dubbi
sull’affidabilità della banca medesima
Rischi di provvista
Nel tempo la composizione della raccolta delle
banche è variata:
da una prevalenza dei depositi da clientela,
caratterizzati da elevato frazionamento, stabilità,
alta incidenza dei costi operativi, si è passati ad un
peso preponderante dell’emissione dei titoli
obbligazionari, con maggiori vantaggi in termini di
maggiori volumi, riduzione della componente “a
vista” e minori costi operativi, a fronte, tuttavia, di
un maggiore rischio di mercato (quantità e prezzo)
Rischi di provvista

Le operazioni di provvista sul mercato


interbancario dei depositi danno la possibilità di
stipulare operazioni di provvista/impiego
marginali con maggiore facilità e di condividere in
maniera efficiente la liquidità ma espongono
altresì al “rischio di contagio” delle crisi di
liquidità aziendale
Rischi di provvista

Il rischio di funding riguarda anche il


comportamento degli azionisti che potrebbero
essere non disposti a sottoscrivere nuovi aumenti
di capitale, necessari a riequilibrare la situazione
deteriorata della banca.
Tale situazione si verifica tipicamente nelle
banche quotate, dove la prevalenza di azionisti-
investitori non sono direttamente coinvolti nella
gestione
Rischi di provvista

I due principali indicatori di funding risk sono:


la cash capital position, indicatore di liquidità a
breve termine (attività liquide o facilmente
liquidabili meno le passività a vista o a
brevissimo termine)
I medium-long term funding ratios, pari al
rapporto tra le attività e passività a medio e
lungo termine
Rischi di liquidità

Il Rischio di liquidità è strettamente legato


all’impossibilità per l’intermediario di far fronte ai
propri impegni di pagamento e deriva dalla
combinazione da un lato dei rischi di provvista,
dall’altro da quelli di controparte e dai rischi di
mercato, da cui:
Il funding liquidity risk, legato alla difficoltà nella
raccolta delle risorse necessarie (quantità, prezzo
e rispetto dei tempi)
Rischi di liquidità

Il market liquidity risk, legato all’eventualità di


incontrare limiti nello smobilizzo (o nella
costituzione in garanzia) delle attività detenute
Eventualità di sopportare oneri elevati ed
imprevisti, legati ai costi crescenti della provvista
Rischi di liquidità

Nel tempo, la sempre maggiore dimensione del


trading book e la possibilità di smobilizzare anche
attivi non negoziabili, hanno spinto le gestioni
delle banche a fare sempre più affidamento sulla
capacità dei propri attivi di generare liquidità con
conseguente market liquidity risk (limitato solo in
condizione di equilibrio dei mercati – liquidi)
In condizioni eccezionali, il mercato diventa
illiquido, fermo, determinando rarefazione della
liquidità
Rischi di liquidità

La crisi di liquidità del mercato determina crisi di


liquidità delle banche, le quali tentano di
recuperare liquidità “svendendo” l’attivo, con il
conseguente aumento delle perdite, tale che, a
lungo andare, il rischio di liquidità si traduce in un
rischio solvibilità, minando la stabilità del sistema
finanziario
Rischi di liquidità

Per quantificare il rischio di liquidità è possibile


utilizzare la metodologia del gap, tra attività e
passività preventivamente selezionate in termini
di liquidità
Un indicatore del grado di esposizione al rischio
di liquidità è dato dalla differenza tra il volume
dei prestiti concessi e la componente “stabile” dei
depositi; se positivo evidenza il fabbisogno di
liquidità che l’intermediario è chiamato a
soddisfare nel periodo di tempo osservato.
Rischi di liquidità

La duration (durata media finanziaria) consente


di conoscere la tempistica con la quale si
generano i flussi di cassa di tutte le poste di
bilancio (duration della liquidità).
La gestione della liquidità avviene sia
mantenendo un gap positivo tra le attività liquide
e le fonti di raccolta variabili sia adottando
strategie di diversificazione delle fonti di
finanziamento (tipologia e controparte)
Rischi di liquidità

Al rischio di liquidità è strettamente connesso


quello di leva finanziaria (leverage), storicamente
elevato e irrilevante ai fini della determinazione
del livello di mezzi propri, assoggettato al vincolo
del patrimonio di vigilanza!
Rischi di liquidità

Per tale motivazione molte banche avevano


raggiunto livelli d’indebitamento elevatissimo, il
sopraggiungere della crisi le ha costrette alla
diminuzione delle attività liquide e riduzione di
prestiti alla clientela (credit crunch) con i noti
effetti negativi sull’economia reale
Lezione
“Rischi di regolamentazione e
rischi interni”
Obiettivi

ANALISI DEI RISCHI DI REGOLAMENTAZIONE E


INTERNI DELL’INTERMEDIARIO FINANZIARIO
Rischi di regolamentazione
I rischi di regolamentazione riguardano:
Il Rischio legislativo, legato agli effetti sulla
gestione dell’introduzione di nuove norme;
Il Rischio di compliance, rappresentato dal
rischio di incorrere in sanzioni giudiziari e
amministrative, in conseguenza del mancato
rispetto di norme imperative (di legge o
amministrative) o regolamenti (statuti, codici di
condotta, ecc.)
Rischi di regolamentazione

Il Rischio legislativo, dipende dalla possibilità che


l’introduzione di nuove norme arrechi un aggravio
di costi (o riduzione dei ricavi) con effetti negativi
sulla redditività dell’intermediario.

La valutazione di tale rischio è generalmente ex-


post, essendo di difficile quantificazione ex-ante.
Rischi di regolamentazione

Il Rischio di compliance, attiene soprattutto al


rispetto della disciplina in tema di esercizio
dell’attività d’intermediazione, alla gestione ed ai
conflitti d’interesse; alla trasparenza nei confronti
della clientela, più in generale alla tutela del
consumatore.
La mancata compliance può dar luogo a sanzioni,
risarcimento danni, e soprattutto a potenziali
effetti negativi sulla reputazione
dell’intermediario
Rischi di regolamentazione
Il rispetto delle norme e la correttezza di
comportamento sono elementi fondamentali nello
svolgimento dell’attività di intermediazione
soprattutto quella bancaria, fondata sul rapporto
fiduciario con la clientela

Tali rischi rientrano nella categoria dei non


business risk, non avendo natura finanziaria non
sono facilmente misurabili e, dunque, non cedibili
a terzi o coperti con strumenti di hedging
Rischi di regolamentazione
I danni derivanti da attività non conformi alla
normativa spesso generano altre manifestazioni di
rischio, come il rischio di credito o di mercato.

Risulta pertanto necessario da un lato


promuovere una cultura aziendale improntata su
principi di onestà, correttezza e rispetto delle
regole; dall’altro strutturare specifici meccanismi
di controllo che ciò avvenga
Rischi interni
Le principali categorie di rischi interni sono
riconducibili a:

Rischio operativo;
Rischio strategico;
Rischio reputazionale
Rischi interni – rischio
operativo
Il Rischio operativo, è legato agli effetti
economici negativi (perdite inattese) per
l’intermediario, derivanti dal malfunzionamenti
o inefficienze di sistemi e di processi aziendali;
comportamenti erronei o dolosi dei dipendenti;
cambiamento del contesto fiscale,
regolamentare, ecc.; eventi di natura esterna
imprevisti

Tale rischio è annoverato tra i Rischi puri


Rischi interni – rischio
operativo
Il Rischio operativo, è anche oggetto di puntuale
definizione adottata dal Comitato di Basilea:
“il rischio di perdite derivanti da disfunzioni a
livello di procedure, personale e sistemi interni,
oppure da eventi esogeni.”

Da tale definizione è escluso il rischio strategico


e di reputazione.
Rischi interni – rischio
operativo
La gestione del Rischio operativo, necessità della
individuazione delle sue determinanti.
Per gli intermediari finanziari, tuttavia, tale
rischio è, spesso, considerato residuale rispetto
ai rischi finanziari (es. rischio di mercato e di
credito), a differenza delle altre tipologie
aziendali, per le quali il rischio operativo è il
“vero” rischio d’impresa
Rischi interni – rischio
operativo
Le cause che generano il rischio operativo posso
essere catalogate come segue:

Le risorse umane e i loro comportamenti


(competenze, esperienza, compliance
normativa, e deontologia)
La tecnologia e relativa applicazione (sistemi
informativi e informatici; programmazione,
struttura in rete, ecc.)
Rischi interni – rischio
operativo
Le cause che generano il rischio operativo posso
essere catalogate come segue:

I processi produttivi e organizzazione (controllo


interno, ruoli e responsabilità, modelli, ecc.)
Gli eventi esterni che impattano sull’operatività
interna (calamità naturali, contesto politico-
legislativo-fiscale, attività criminale, ecc.)
Rischi interni – rischio
operativo

Il mapping del rischio operativo costituisce un


intervento minimo di previsione dell’evento
dannoso, le banche sono incentivate dall’Autorità
a servizi di metodologia più sofisticate di gestione
(ORM – Operational Risk Management)
Rischi interni – rischio
operativo

Per meglio valutare le conseguenze degli eventi


associabili al rischio operativo possono essere
classificati secondo due criteri:
La (frequency) frequenza del loro accadimento
La (severity) gravosità e onerosità delle
conseguenze
Rischi interni – rischio
operativo

Per meglio valutare le conseguenze degli eventi


associabili al rischio operativo possono essere
classificati secondo due criteri:
La (frequency) frequenza del loro accadimento
La (severity) gravosità e onerosità delle
conseguenze
Rischi interni – rischio
operativo
Anche per tale tipologia di rischi è possibile seguire
una sequenza logica nella attività di gestione
dello stesso:
Identificazione delle possibili fonti di rischio
(Mapping);
Stima della probabilità di accadimento (PE,
Probability of Event);
Stima della severity, dimensione della perdita
potenziale (LGE, Loss Given Event);
Stima della perdita attesa, EL = PE - LGE
Rischi interni – rischio
operativo
La perdita inattesa può essere stimata per l’intera
banca, per una sua unità di business, per ogni
fattore di rischio
Gli obiettivi di un sistema ORM sono:
La riduzione della quantità di rischio, non solo
la quantificazione;
La rimozione delle fonti di rischio;
La ripartizione tra le varie aree/unità aziendali;
La stima del capitale per la relativa copertura.
Rischi interni - Il rischio
strategico

Il Rischio strategico si manifesta attraverso le


perdite subite da un intermediario per effetto di
cambiamenti del contesto operativo o di
decisioni aziendali errate o, ancora, di una loro
attuazione inadeguata, o anche di una scarsa
capacità di reazione della struttura aziendale al
nuovo contesto competitivo (Banca d’Italia,
Circolare n.263/2006)
Rischi interni - Il rischio
strategico
Il Rischio strategico dipende pertanto da una
errata strategia aziendale, da una rigidità al
cambiamento della stessa a intervenuti
mutamenti di contesto, dalla errata esecuzione.

A seconda della causa sono diversi gli effetti sia


in termini quantitativi che di orizzonte
temporale; allo stesso modo è diverso il grado e
le modalità di gestione dello stesso
Rischi interni - Il rischio
strategico
Tale rischio è difficilmente valutabile a priori,
trova risconto solo ex-post nella valutazione del
suo impatto sulla redditività aziendale.

L’assunzione del rischio strategico è speculativa,


pertanto, l’obiettivo gestionale potrebbe essere
non solo quello di minimizzarlo ma anche di
aggiungere valore.
Rischi interni - Il rischio
strategico
Tale rischio è difficilmente valutabile a priori,
trova risconto solo ex-post nella valutazione del
suo impatto sulla redditività aziendale.

L’assunzione del rischio strategico è speculativa,


pertanto, l’obiettivo gestionale potrebbe essere
non solo quello di minimizzarlo ma anche di
aggiungere valore.
Rischi interni - Il rischio
strategico
In tal senso il modello formale-regolamentare
indirizza i comportamenti delle banche con
l’obiettivo di evitare o mitigare manifestazioni
negative del rischio

L’elevata discontinuità dei processi rende obsoleti


e inefficaci approcci alle gestione del rischio
meccanicistici e standardizzati, occorre una
crescita di cultura strategica e una diffusa
misurazione, valutazione e mitigazione dei rischi
Rischi interni - Il rischio
reputazionale

Il Rischio reputazionale è “il rischio attuale o


prospettico di flessione degli utili o del capitale
derivante da una percezione negativa
dell’immagine della banca da parte dei clienti,
controparti, azionisti, investitori o Autorità di
vigilanza” (Banca d’Italia, Circolare 263/2006)
Rischi interni - Il rischio
reputazionale
Le cause di tale rischio sono molteplici e sono
riconducibili ad esempio a:
Comportamenti non conformi alle norme
(compliance); comportamenti scorretti o non
trasparenti; errori, ritardi e inefficienze;
Strategie dannose per l’immagine della banca,
ecc.
Pertanto, può essere interpretato come la
trasformazione di altre categorie di rischio
Rischi interni - Il rischio
reputazionale
Il rischio reputazionale presenta numerosi
problemi di misurabilità. Gli approcci più diffusi
sono:
di natura qualitativa, attraverso l’attribuzione
di un ranking da parte di soggetti esterni;
di natura quantitativa, misurando la perdita
subita dall’intermediario a seguito del verificarsi
dell’evento in grado di condizionare
negativamente la reputazione
“Introduzione al rischio,
rendimento e costo
opportunità del capitale”
Nozione di
Costo Opportunità del Capitale

Il rendimento che i
finanziatori otterrebbero
impiegando i propri fondi in
attività alternative,
caratterizzate da medesimo
grado di rischio
Nozione di
Costo Opportunità del Capitale

C.O.C.

dipende

dal costo del puro impiego dal rischio specifico


del capitale (rf) del progetto

tasso interesse titoli di stato a breve


Definizione di rischio

rf ed il premio per il rischio

non sono costanti nel tempo

dipendono

fondamentalmente dall’atteggiamento degli investitori nei


confronti del
rischio nei diversi periodi

Cos’è il rischio?
Definizione di rischio
Il rischio – Come definirlo?

Il rischio – Da dove ha origine?

Possibilità che i valori attesi (rendimento) si discostino


da quelli effettivi

Come quantificarlo?

2
Valore assoluto Varianza σ

Valore relativo Scarto quadratico medio σ


I principali indicatori del rischio

2 2
Varianza σ Valore atteso (rx*-rx)

Scarto quadratico medio σ Valore atteso (rx*-rx)


2

dove r x* = rendimento effettivo dal titolo x


r x = rendimento medio atteso dal titolo x
n
Rendimento atteso ∑ xi ri
i =1

dove xi = probabilità di ottenere il rendimento iesimo


ri = rendimento iesimo
I principali indicatori del rischio
2 2
Varianza σ Valore atteso (rx*-rx)
Per calcolare la varianza e lo sqm si devono:
• identificare tutti i risultati possibili
• assegnare una probabilità ad ogni risultato
• determinare il rendimento medio atteso
• calcolare lo scarto tra rendimento medio atteso e risultati
possibili
• elevare gli scarti al quadrato e moltiplicarli per la loro
probabilità
• sommare i valori ottenuti

Come si può stimare la probabilità dei risultati possibili?


I principali indicatori del rischio

Varianza σ Valore atteso (rx*-rx)

Come si può stimare la probabilità dei risultati


possibili?

Si osserva la variabilità passata


(trends storici dei rendimenti medi del mercato)

ma è opportuno ricordare

che le serie storiche non si ripetono necessariamente


nel tempo
Varianza e rendimento atteso
di un portafoglio
consideriamo il mercato quale portafoglio diversificato

il mercato

Il rendimento medio di mercato e la sua variabilità


non riflettono quelli dei singoli titoli che lo compongono,
perchè?
la diversificazione riduce la variabilità, in quanto
i prezzi dei titoli non hanno un
andamento concorde.
Graficamente
Varianza e rendimento atteso
di un portafoglio
SQM del
portafoglio Area Rischio specifico

Area Rischio sistematico

N titoli

Con la diversificazione si riduce il rischio connesso a specifiche


aziende ed al loro settore di riferimento. (Rischio specifico)
La diversificazione non può ridurre quella quota di rischio
connessa all’intera economia. (Rischio sistematico)
In formule
Varianza e rendimento atteso
di un portafoglio

Formule - Caso: 2 azioni

Rendimento atteso x 1 r1 + x2 r2
dove x = peso dell’azione nel portafoglio
r = rendimento atteso

2 2 2 2
Varianza di portafoglio (x1 σ1 ) + (x2 σ2 ) + 2 (x1 x2 ρ12 σ1 σ2)

perché ?
Varianza e rendimento atteso
Il valore attuale - concetto
di un portafoglio
2 2 2 2
Varianza di portafoglio (x1 σ1 ) + (x2 σ2 ) + 2 (x1 x2 ρ12 σ1 σ2)

Variabilità e peso azione 2


Variabilità e peso azione 1

La covarianza è la
misura di come ρ12 σ1 σ2 Covariabilità 1-2 / 2-1
due azioni e peso azioni
variano assieme
Il senso e la misura dipendono dal coefficiente
di correlazione ρ12
- 1 < ρ12 = ρ21 > + 1
Varianza e rendimento atteso
di un portafoglio
Caso: 2 azioni
2 2 2 2
Varianza di portafoglio (x1 σ1 ) + (x2 σ2 ) + 2 (x1 x2 ρ12 σ1 σ2)

Covarianza12 ρ σσ
12 1 2

Coefficiente di correlazione ρ12 - 1 < ρ12 > + 1


Tre casi :
ρ12 > 0
ρ12 = 0
ρ12 < 0 Solo in questo caso la diversificazione
riduce il rischio complessivo del portafoglio
Il contributo dei titoli al rischio
di un portafoglio

1° Concetto fondamentale

titolo A
titolo B portafoglio
titolo C

Il rischio di un portafoglio ben diversificato


dipende dal rischio sistematico dei titoli inclusi
nel portafoglio stesso.
Il contributo dei titoli al rischio
di un portafoglio

2° Concetto fondamentale

Il contributo di un singolo titolo al rischio di


portafoglio non si misura considerando il titolo
a sè stante:

bisogna misurare il suo rischio sistematico.

Il rischio sistematico di un titolo dipende dalla sua


sensibilità ai movimenti del mercato ().

Graficamente
IlIlcontributo
beta – misura
dei titoli
standard
al rischio
del
di unrischio
portafoglio
β quale misura R. titolo
standard del rischio
Covarianza fra 20%

Azione 2
rendimenti 5%

azione - mercato
10%
R. mercato

β = σim
σm2 varianza dei
rendimenti
del mercato
Il contributo dei titoli al rischio
di un portafoglio

Il β di un portafoglio è pari alla media dei beta dei titoli inclusi

β = σ2im β mercato è pari ad 1


σm

-- Se il titolo ALFA ha un beta pari a 1,5 significa che tenderà


ad ampliare al 150% gli effetti del Mercato

-- Se il titolo GAMMA ha un beta pari a 0,5 significa che


tenderà a ridurre al 50% gli effetti del Mercato
Lezione
“Struttura, funzioni e
classificazione dei mercati
finanziari”
Obiettivi

DEFINIRE STRUTTURA E FUNZIONI DEL


SISTEMA FINANZIARIO

CLASSIFICAZIONE DEI DIFFERENTI MERCATI


FINANZIARI
Definizione di mercati
finanziari

Spazio economico dove si incontrano domanda


ed offerta di servizi e strumenti finanziari

Le principali funzioni da esso svolte:


Trasferimento delle risorse finanziarie (tra chi è
in surplus finanziario e coloro che sono in deficit)
Semplificazione degli scambi (agevolare la
ricerca di una controparte)
Definizione di mercati
finanziari

Le principali funzioni da esso svolte:


Contenimento dei costi di transazione (es. costi
di ricerca della controparte, raccolta informazione
sulla stessa, definizione dell’accordo )
Formazione dei prezzi (tipica funzione dei
mercati con l’incontro delle differenti aspettative
tra domanda e offerta ad un determinato prezzo)
Definizione di mercati
finanziari

Le principali funzioni da esso svolte:


Informazione su strumenti e operatori
finanziari (ruolo in termini di produzione e
diffusione delle informazioni)
Trasferimento dei rischi (scambio di posizioni di
rischio differenti grazie all’incontro di divergenti
aspettative di realizzazione di risultati economici)
Definizione di mercati
finanziari

Il perseguimento delle finalità dei mercati


finanziari può presentare delle difficoltà per la
presenza di alcuni fattori di imperfezione dei
mercati stessi (es. presenza di asimmetrie
informative con i conseguenti fenomeni di adverse
selection e moral hazard).
Definizione di mercati
finanziari

Le possibili soluzioni individuate in dottrina


consistono nell’introduzione degli intermediari
degli scambi, l’organizzazione e la
regolamentazione dei mercati finanziari.
In tal senso, va considerata l’attenzione alla
natura e specificità degli strumenti finanziari
scambiati, nell’ottica di far corrispondere una
segmentazione dei mercati in relazione alla
tipologia di strumento oggetto dello scambio
Classificazione dei mercati
finanziari
La classificazione più importante e maggiormente
utilizzata distingue i mercati finanziari in:
mercato creditizio, in cui intermediari creditizi
attraverso la raccolta ed erogazione di prestiti
soddisfano (attraverso il proprio bilancio) le
differenti esigenze degli scambisti
mercato mobiliare, in cui vengono scambiati
titoli destinati alla circolazione tra operatori e in
cui gli intermediari hanno la funzione prevalente di
agevolare l’emissione e lo scambio dei titoli stessi
Classificazione dei mercati
finanziari
La classificazione più importante e maggiormente
utilizzata distingue i mercati finanziari in:
mercato assicurativo, in cui le compagnie di
assicurazioni stipulano con gli operatori appositi
contratti di copertura dai rischi
mercato dei servizi di pagamento, in cui i
corrispettivi delle transazioni effettuate possono
avvenire mediate strumenti e procedure dedicate
Classificazione dei mercati
finanziari

I mercati finanziari, come in precedenza


classificati, si differenziano per il diverso grado
di standardizzazione e personalizzazione dei
contratti:
i mercati creditizio e assicurativo sono a
contrattazione diretta e i contratti sono
riconducibili a schemi più comuni e, pertanto,
sempre adattabili alle esigenze della domanda e
offerta
Classificazione dei mercati
finanziari
Il mercato mobiliare, viceversa, è aperto e tutte
le condizioni del contratto definitore dello
scambio sono standardizzate
nel mercato dei servizi di pagamento, la
standardizzazione dei prodotti agevola il
regolamento degli scambi tra le controparti. Al
segmento del mercato dei cambi, si ricorre per
effettuare negoziazioni di strumenti di
pagamento in valuta estera o per la copertura del
rischio di cambio
Classificazione dei mercati
finanziari

I mercati mobiliari, possono essere ulteriormente


distinti in funzione di diversi fattori, tra questi
quello della tipologia di strumenti negoziati:
mercato monetario
mercato obbligazionario
mercato azionario
mercato degli strumenti derivati
Classificazione dei mercati
finanziari

Il mercato monetario ha ad oggetto tutte le


transazioni di breve termine finalizzate a
soddisfare le esigenze temporali delle differenti
posizioni di liquidità degli operatori (es.
operazioni pronti contro termine e depositi
interbancari)
Classificazione dei mercati
finanziari
Il mercato obbligazionario ha ad oggetto gli
scambi titoli di debito emessi da imprese
(corporate bond), da intermediari finanziari e
emittenti sovrani (titoli di Stato)
Il mercato azionario è il luogo in cui avvengono gli
scambi di azioni o altri titoli rappresentativi di
partecipazioni al capitale sociale di imprese;
pertanto, funzionamento e dimensione del
mercato impattano anche su aspetti
macroeconomici
Classificazione dei mercati
finanziari

Il mercato degli strumenti derivati ha ad oggetto


gli scambi dei principali strumenti derivati
(contratti a termine, futures, swap, opzioni,
forward rate agreement, altro)
Criterio alternativo di classificazione porta ad
aggregare ogni segmento al relativo
“sottostante” (es. derivati su tassi di cambio, su
titoli azionari, ecc.)
Classificazione dei mercati
finanziari

La segmentazione del mercato degli strumenti


derivati è altresì legata alle differenti funzioni
unitarie svolte da ciascun segmento

Tale mercato infine è caratterizzato da peculiarità


organizzative e dalla presenza di organismi
addetti alla compensazione e liquidazione degli
scambi (le clearing house)
Altri criteri di classificazione dei
mercati finanziari

In ragione del “momento” in cui avvengono gli


scambi i mercati finanziari si distinguono in:
mercato primario
mercato secondario
Nel mercato primario si tratta il complesso di
operazioni che riguardano titoli di prima
emissione e che, pertanto, portano risorse agli
emittenti
Altri criteri di classificazione dei
mercati finanziari

Nel mercato secondario, viceversa, avviene lo


scambio di titoli già in circolazione e, pertanto,
sono differenti gli operatori e soprattutto le
motivazioni sottostanti. In particolare, si tratta di
investitori che acquistano e/o vendono per
esigenze di miglioramento (“aggiustamento”) del
loro portafoglio investito
Altri criteri di classificazione dei
mercati finanziari

I mercati mobiliari possono altresì essere


classificati in ragione della loro natura
istituzionale, in mercati regolamentati o non
regolamentati, in relazione alla presenza o meno
di una specifica disciplina che regolamenti aspetti
quali: condizioni di accesso, trasparenza, pricing,
ecc. Negli ultimi anni , si è affermato il modello
privatistico che affida a società per azioni la
funzione di “gestione dei mercati”
Altri criteri di classificazione dei
mercati finanziari

I mercati non regolamentati (OTC, Over The


Counter), si caratterizzano per assenza di norme e
procedure standardizzate ma non per meccanismi
di autoregolamentazione autonoma degli
operatori. Sono, dunque, più adatti per alla
negoziazione di strumenti altamente
personalizzati o, viceversa, a elevata fungibilità
Altri criteri di classificazione dei
mercati finanziari

In ragione della dimensione geografica, i mercati


mobiliari possono essere classificati in mercati
nazionali (domestici) o internazionali.
Le caratteristiche tuttora differenti sia degli
strumenti negoziati che delle normative che ne
regolamentano gli scambi e i loro effetti, hanno
difatto impedito la nascita di veri e propri mercati
sovranazionali ad eccezione di quello dei cambi e
dei titoli di stato
Altri criteri di classificazione dei
mercati finanziari

La dimensione dei titoli oggetto degli scambi,


genera una ulteriore suddivisione in mercati al
dettaglio (retail) e mercati all’ingrosso
(wholesales) ed ha rilevanza, soprattutto, per
l’impatto organizzativo degli intermediari.
Altri criteri di classificazione dei
mercati finanziari

La tempistica del regolamento della transazione


distingue i mercati a pronti da quelli a termine.
La contestualità o meno delle prestazioni risulta
rilevante in termini di assunzione di rischio delle
parti.
Altri criteri di classificazione dei
mercati finanziari

La struttura logistica utilizzata per gli scambi puo’


essere fisica o telematica. La tendenza dei
mercati negli ultimi anni è stata quella
telematica anche per effetto dell’innovazione
tecnologica intervenuta. La struttura telematica
genera i suoi effetti positivi, in termini di
maggiore efficienza e contenimento dei costi per
gli investitori finali.
Altri criteri di classificazione dei
mercati finanziari
L’adozione di differenti formule organizzative degli
intermediari dipendono congiuntamente da:
elementi soggettivi degli intermediari (che
effettuano le scelte d’investimento sulla base di
modelli di rischio-rendimento)
caratteristiche degli scambi, in termini di
fungibilità dei titoli e volume complessivo delle
transazioni
tecnologie di riferimento, che consentono
l’aumento del volume delle transazioni
Lezione
“Efficienza finanziaria e
funzionamento dei mercati
finanziari”
Obiettivi

Concetto di efficienza finanziaria, sue


differenti forme

Classificazione e analisi delle diverse forme


organizzative dei mercati e fasi di
funzionamento
Efficienza dei mercati

I benefici derivanti dal ricorso ai mercati


finanziari devono essere valutati in termini di
efficienza economicamente misurabile

Alle diverse funzioni dei mercati finanziari


corrispondono differenti definizioni di efficienza
Efficienza dei mercati

Funzione dei mercati finanziari Definizioni di efficienza

Trasferimento delle risorse finanziarie Efficienza


Trasferimento dei rischi allocativa-funzionale

Formazione dei prezzi


Efficienza
Informazioni su strumenti e operatori
informativa
finanziari

Semplificazione degli scambi Efficienza


Contenimento dei costi di transazione Tecnico-operativa
Efficienza dei mercati

L’efficienza allocativa-funzionale si realizza


quando i fabbisogni delle unità che effettuano gli
scambi risultano soddisfatti, senza ulteriore
necessità di ridistribuzione delle risorse
Efficienza dei mercati

L’efficienza informativa di un mercato finanziario


è funzione della capacità del mercato stesso a
raccogliere, produrre e diffondere informazioni
rilevanti ai fini dello scambio

Nella teoria finanziaria sono i prezzi che


riflettono il grado di informazione presente nel
mercato
Efficienza dei mercati
E. Fama (1970) ha individuato tre livelli di
intensità di efficienza informativa:
Efficienza debole, quando i prezzi incorporano
solo informazioni di tipo storico
Efficienza semiforte, quando i prezzi sintetizzano
tutte le informazioni di dominio pubblico
Efficienza forte, quando i prezzi sono la
risultante di tutte le informazioni necessarie, di
tipo storico, prospettico, di dominio pubblico e
privato
Efficienza dei mercati
E. Fama (1970) ha individuato tre livelli di
intensità di efficienza informativa:
Efficienza debole, quando i prezzi incorporano
solo informazioni di tipo storico
Efficienza semiforte, quando i prezzi sintetizzano
tutte le informazioni di dominio pubblico
Efficienza forte, quando i prezzi sono la
risultante di tutte le informazioni necessarie, di
tipo storico, prospettico, di dominio pubblico e
privato
Efficienza dei mercati

L’efficienza tecnica-operativa si ottiene quando


un mercato finanziario esprime la capacità di
contenere i costi di transazione e, più in generale,
di agevolare gli scambi finanziari
La misura dell’efficienza tecnica-operativa si basa
sui seguenti parametri:
ampiezza, relativa alla presenza di ordini di
acquisto e vendita in corrispondenza dei possibili
livelli di prezzo
Efficienza dei mercati

spessore, relativa alla presenza di numerosi


ordini di acquisto e vendita a prezzi tra loro vicini
Immediatezza, relativa alla tempistica delle
transazioni
elasticità, la capacità dei prezzi di riflettere
variazioni infinitesime della dimensione della
domanda e dell’offerta
Forme organizzative dei
mercati

L’organizzazione adottata da un mercato


finanziario definisce la cosidetta “microstruttura”
del mercato stesso.
I principali elementi che caratterizzano la
microstruttura dei mercati sono: la presenza di
intermediari specializzati, di strutture fisiche e/o
piattaforme informatiche, l’esistenza di sistemi di
esecuzione delle transazioni
Forme organizzative dei
mercati

In base alla modalità di formazione dei prezzi si


distinguono due principali tipologie di mercato:
I mercati order-driven, definiti anche “mercati
ad asta” in quanto i prezzi si formano
dall’incontro delle funzioni di domanda e offerta
degli operatori
Forme organizzative dei
mercati

In tali mercati operano i broker, figure


professionali che operano per conto della
clientela per la ricerca della controparte alle
condizioni richieste dal cliente. Non detengono un
proprio portafoglio ma operano per conto terzi.
La loro attività è di tipo consulenziale e viene
retribuita a mezzo fee prestabilite con la clientela
Forme organizzative dei
mercati

I mercati quote-driven, sono caratterizzati dalla


presenza di dealer che opera in proprio ed espone
(continuativamente o su richiesta) i prezzi a cui è
disposto ad acquistare e vendere determinati
strumenti finanziari, meccanismo definito di
“market making”
Forme organizzative dei
mercati
Tali mercati sono definti altresì “mercati dei
dealer” a testimonianza del ruolo svolto da
questa tipologia di intermediari che operano
come controparte diretta nello scambio.
L’intermediario diffonde due prezzi: prezzo “bid”
(o “denaro”) a cui è disposto ad acquistare
strumenti finanziari e prezzo “ask” (o “lettera”) a
cui è disposto a venderli. La differenza tra i due
prezzi, detta bid-ask spread, rappresenta la
remunerazione del dealer
Forme organizzative dei
mercati

I mercati “ibridi”, sono quoei mercati che


assumono le caratteristiche sia dei mercati order-
driven che quote-driven.
Fasi di funzionamento dei
mercati
Le principali fasi in cui si realizzano gli scambi
finanziari sono:
Ammissione alla contrattazione, fase in cui sia
l’intermediario finanziario sia l’organo di vigilanza
preposto valutano le condizioni per l’ingresso nel
mercato regolamentato dell’emittente e degli
strumenti da negoziare
Conferimento dell’ordine, in cui viene conferito
all’intermediario l’incarico di per realizzare una
determinata operazione
Fasi di funzionamento dei
mercati
Esecuzione dell’ordine, in cui l’intermediario a
cui è stato conferito l’incarico assume l’impegno
ad eseguire l’operazione, direttamente (esecuzione
diretta) o tramite altro intermediario (indiretta)
Liquidazione, fase post-trading e ha l’obiettivo di
dare seguito agli obblighi delle controparti circa le
operazioni concluse. Può essere lorda o netta,
rispettivamente, se riguarda operazioni
singolarmente regolate o come saldo tra più
operazioni di acquisto e vendita
Fasi di funzionamento dei
mercati
Attualmente le liquidazioni di strumenti finanziari
avvengono il terzo giorno lavorativo successivo
alla negoziazione, ad eccezione dei BOT che
vengono liquidati due giorni successivi la
negoziazione e gli strumenti derivati che per loro
natura sono liquidati il giorno successivo
Regolamento, momento di effettivo scambio
degli strumenti finanziari negoziati. Le fasi di
liquidazione e regolamento compongono il
“Processo di regolamento”
Il mercato dei servizi di
pagamento
Preliminare distinzione nei mercati dei servizi di
pagamento è tra pagamenti all’ingrosso e al
dettaglio, legata all’ammontare unitario delle
operazioni; nel primo caso numerosi e di elevato
importo (es. per i bonifici, pari o superiori a
500.000 euro).
I rischi in tale mercato sono rilevanti soprattutto
per gli effetti che singole inadempienze possano
generarne altre (cd “effetto domino”)
Il mercato dei servizi di
pagamento
I pagamenti al dettaglio, secondo la Banca dei
Regolamenti internazionali si differenziano per i
seguenti aspetti:
sono numerosi e strettamente correlati alla
domanda di consumo di beni e servizi
Utilizzano una gamma più ampia di strumenti di
pagamento
Caratterizzati da un uso estensivo per le fasi di
processing e claering
Strettamente connessi ad altri servizi bancari
Il mercato dei servizi di
pagamento
Il sistema dei pagamenti, è caratterizzato dalla
ricerca di un continuo equilibrio tra
concorrenzialità e cooperazione tra i soggetti
dell’offerta.
I servizi di pagamento sono dei servizi di rete e
pertanto maggiore è il numero dei soggetti che li
utilizzano maggiore sarà il valore che ciascun
utilizzatore ne può trarne.
Il mercato dei servizi di
pagamento
La domanda dei servizi di pagamento ha fatto
segnare nel tempo la crescita dell’interesse per le
modalità di pagamento automatizzate a scapito
degli strumenti cartacei. I dati dimostrano,
tuttavia, ancora ampio spazio di crescita del
settore nella realtà italiana. La tendenza è dunque
di sostituire gli strumenti automatizzati come le
carte di pagamento, gli addebiti preautorizzati e i
bonifici
Il mercato dei servizi di
pagamento
Anche da parte delle imprese, si rileva una
costante tendenza a sostituire gli strumenti
cartacei (assegni) con i bonifici, facilitati dallo
sviluppo di sistemi informatici che consentano di
effettuare i bonifici attraverso canali telematici di
corporate banking
Progressi sono intervenuti anche nei rapporti con
la P.A. anche se persistono maggiori ostacoli
rappresentati da vincoli normativi, organizzativi e
dalla scarsità di risorse finanziare
Il mercato dei servizi di
pagamento
L’offerta dei sistemi di pagamento è caratterizzata
da diversi soggetti con ruoli differenti nella catena
del valore. I principali sono:
I produttori dei servizi
I soggetti che svolgono funzioni di indirizzo e
coordinamento
I gestori delle reti e delle infrastrutture tecniche
I sistemi di compensazione e regolamento
Gli agenti di regolamento le società di service
Lezione N.15 “I mercati
monetario e obbligazionario”
Obiettivi

CONOSCERE IL FUNZIONAMENTO DEL


MERCATO MONETARIO E DEL MERCATO
OBBLIGAZIONARIO
Il Mercato monetario

Il mercato monetario è costituito dal segmento


dei mercati finanziari in cui avvengono gli
scambi dovuti alle esigenze degli operatori “di
ottimizzare la gestione dei flussi finanziari, in
corrispondenza di un determinato livello di
riserve di liquidità”
Il Mercato monetario
Rappresenta il contesto delle contrattazioni
legate alle differenti posizioni di fabbisogno ed
eccedenza di liquidità (flussi di breve e
brevissimo periodo) degli operatori rispetto ai
livelli desiderati delle riserve di liquidità

Il ruolo primario nel mercato monetario è


ricoperto dalle banche quali “garanti” della
liquidità del sistema economico nel suo
complesso
Il Mercato monetario
Storicamente il mercato monetario si è
sviluppato grazie alle operazioni bancarie,
compresa quelle della banca centrale, la quale si
attivava per fornire liquidità al sistema.
Attualmente il mercato monetario coinvolge i
seguenti operatori: Ministero dell’Economia e
Finanze; Banca Centrale Europea; Banche; Fondi
Comuni d’Investimento; Grandi imprese;
Risparmiatori privati (solo attraverso gli
strumenti del “risparmio gestito”)
Il Mercato monetario
Gli strumenti finanziari scambiati nel mercato
monetario hanno le seguenti caratteristiche:
sono strumenti di debito (obbligazioni, ecc.);
sono a breve e brevissimo termine;
sono altamente negoziabili;
hanno un rischio insolvenza dell’emittente
molto basso;
Le negoziazioni sono d’importo unitario molto
elevati.
Il Mercato monetario

Il ruolo del mercato monetario cambia da Paese


a Paese, in funzione delle caratteristiche del
sistema finanziario

In Italia, in cui prevale la funzione svolta dagli


intermediari finanziari, il ruolo del mercato
monetario tende ad essere limitato e riferito, in
prevalenza, agli scambi tra intermediari stessi
Il Mercato monetario

Viceversa, negli Stati Uniti (ad esempio), dove è


intensa la domanda di liquidità direttamente dal
sistema delle imprese (v. commercial papers), il
mercato monetario ha anche un valore
segnaletico dello stato di liquidità del tessuto
imprenditoriale
Il Mercato obbligazionario

Nel mercato obbligazionario vengono scambiati i


titoli di debito emessi da imprese (corporate
bond), intermediari finanziari e emittenti Sovrani
(titoli di Stato).

In Italia, è prevalente il ruolo degli emittenti del


settore pubblico e degli intermediari finanziari.
Il Mercato obbligazionario

Nel caso in cui l’emittente sia lo Stato, la


modalità di emissione è rappresentata dai
meccanismi di asta, viceversa nel caso
l’emittente sia un soggetto privato (società o
banche), l’emissione avverrà attraverso una delle
modalità di collocamento privato
tradizionalmente gestite dal sistema degli
intermediari finanziari.
Il Mercato obbligazionario
primario dei titoli di Stato
Nel mercato primario dei titoli di Stato, il
collocamento avviene mediante aste, tutte,
gestite dalla Banca d’Italia, in presenza di un
funzionario del Ministero dell’Economia.
Le aste vengono svolte in via telematica,
mediante la presentazione periodica, da parte
dei soggetti autorizzati a partecipare, entro una
determinata ora (11), di un massimo di cinque
domande per titolo offerto
Il Mercato obbligazionario
primario dei titoli di Stato
I soggetti sono abilitati in ragione di requisiti
prestabiliti (banche italiane e comunitarie,
intermediari mobiliari e imprese d’investimento).
E’ esclusa la banca d’Italia, in quanto nei paesi
della UME e sottoscrittori del trattato di
Maastricht, è vietato qualsiasi forma di
finanziamento diretto del debito pubblico dello
Stato da parte delle banche centrali nazionali.
Il Mercato obbligazionario
primario dei titoli di Stato
La sottoscrizione dei titoli di Stato da parte dei
privati risparmiatori può avvenire solo sul
mercato secondario, mediante l’intermediazione
finanziaria autorizzata.

Questi ultimi, nel formulare le proposte di prezzo,


terranno conto delle richieste della propria
clientela alla quale negozieranno il titolo
acquistato nel mercato primario
Il Mercato obbligazionario
primario dei titoli di Stato

Le fasi di collocamento dei titoli di Stato sono:


Offerta dei titoli da parte dell’emittente
(mediante D.M., pubblicato su G.U.);
Raccolta delle domande formulate dagli
investitori autorizzati;
Aggiudicazione dei tioli e definizione del prezzo
Il Mercato obbligazionario
primario dei titoli di Stato

In Italia per i Buoni Ordinari del Tesoro (BOT), si


utilizza il metodo dell’asta competitiva, per i
restati titoli del debito pubblico a medio lungo
termina quello dell’asta marginale
Il Mercato obbligazionario
primario dei titoli di Stato

Nell’asta competitiva, il prezzo per ogni


operatore è quello formulato nella domanda.
Sono aggiudicate prima le domande con il prezzo
maggiore e, fino ad esaurimento dell’offerta, in
ordine decrescente, le richieste minori.
Ciascun operatore autorizzato può presentare
fino a cinque domande per un valore minimo, di
ciascuna domanda, pari a 1,5 milioni di euro
Il Mercato obbligazionario
primario dei titoli di Stato
Il prezzo medio ponderato delle domande
aggiudicatarie, rappresenta il prezzo
(rendimento) di ciascuna tipologia di BOT,
relativamente a quell’emissione; costituirà altresì
il prezzo a cui gli intermediari sono obbligati (per
effetto di apposito D.M.) a cedere i titoli
medesimi sul mercato secondario. Pertanto, il
differenziale tra prezzo medio ponderato e
prezzo di acquisto rappresenta l’utile o la perdita
dell’intermediario
Il Mercato obbligazionario
primario dei titoli di Stato

Allo scopo di evitare la presentazione di domande


speculative definite “anomale”, è previsto un
sistema di controllo mediante la fissazione di un
prezzo minimo “prezzo di esclusione” e massimo
“prezzo massimo ammissibile”, rispettivamente,
al disotto e al disopra dei quali le domande non
vengono accolte.
Il Mercato obbligazionario
primario dei titoli di Stato

Nell’asta marginale, l’aggiudicazione avviene al


prezzo più basso tra quelli proposti dai
sottoscrittori risultati aggiudicatari. I prezzo è,
infatti, quello della domanda marginale più
bassa (cioè quella dell’ultima domanda che trova
capienza – anche pro-quota - nelle quantità
offerte)
Il Mercato obbligazionario
primario dei titoli di Stato
Ciascun operatore può formulare fino a cinque
domande per importi minimi pari a 500.000
euro. Anche nell’asta marginale, per evitare
domande speculative viene calcolato un prezzo di
esclusione
Gli operatori, pertanto, nella definizione delle
proposte devono mediare tra la formulazione di
un prezzo che risulti il più basso possibile senza
rischiare di essere esclusi dall’asta o di non
rientrare tra le domande “capienti”.
Il Mercato obbligazionario
primario dei titoli delle imprese
Nel mercato primario dei titoli obbligazionari
emessi da imprese private, il processo di
collocamento può essere:
a fermo
a rubinetto
private placement
Il Mercato obbligazionario
primario dei titoli delle imprese

Nel collocamento a fermo, l’emittente comunica


agli investitori tutte le caratteristiche del titolo di
debito, compreso quantità offerta e prezzo.
Provvederà, alla raccolta delle domande entro un
determinato lasso di tempo, e alla soddisfazione
delle stesse fino ad esaurimento dell’offerta.
Il Mercato obbligazionario
primario dei titoli delle imprese
In tale modalità di collocamento, il rischio
dell’emittente è legato al pricing. Infatti, nel caso
l’offerta sia stata effettuata ad un prezzo
inferiore a quello a cui gli investitori sarebbero
stati disposti ad acquistare, l’emittente perde la
possibilità di raccogliere fondi ad un costo
inferiore. Nel caso opposto, rischia di non
incontrare la domanda e, dunque, di non
collocare i titoli
Il Mercato obbligazionario
primario dei titoli delle imprese
Nel collocamento a rubinetto, viceversa,
l’emittente comunica solamente il prezzo e non le
quantità del titolo offerto.
Le richieste degli investitori posso intervenire in
un lasso di tempo ampio e l’emittente si rende
disponibile a soddisfare tutta la domanda.
In tale procedura, il rischio è legato alle quantità
del finanziamento, non alla sua onerosità.
Il Mercato obbligazionario
primario dei titoli delle imprese
Nel private placement sono direttamente le
società emittenti i titoli che si occupano di
contattare gli investitori, coadiuvate da
intermediari specializzati, generalmente
organizzati in “consorzi di collocamento”; la cui
formazione e il cui coordinamento, è
generalmente affidato ad una banca capofila,
definita originator
Il Mercato obbligazionario
primario dei titoli delle imprese
A seconda delle garanzie date dal consorzio di
collocamento alla società emittente, si
distinguono le seguenti categorie di consorzi:
Selling group, dove il consorzio si assume solo
l’onere di offrire i titoli della emittente tramite la
propria rete;
Underwrite group, dove oltre la diffusione dei
titoli il consorzio si obbliga a sottoscrivere una
parte dell’offerta;
Il Mercato obbligazionario
primario dei titoli delle imprese
A seconda delle garanzie date dal consorzio di
collocamento alla società emittente, si
distinguono le seguenti categorie di consorzi:
Purchase group, dove il consorzio acquista la
totalità dei titoli obbligazionari emessi e si
occupa del loro collocamento presso il pubblico.
Il rischio dell’operazione è interamente a carico
del consorzio.
ato
zionario
o dei titol
Il Mercato obbligazionario
secondario
Una volta emessi (e collocati) il titoli
obbligazionari sono negoziati sul mercato
secondario dei titoli, suddiviso in due mercati
distinti: “al dettaglio” e “all’ingrosso”.

Il mercato obbligazionario secondario al


dettaglio italiano è rappresentato dal MOT
(Mercato Obbligazionario Telematico), gestito da
Borsa Italiana S.p.A. e suddiviso nel segmento
DomesticMOT e EuroMOT
Il Mercato obbligazionario
secondario
Nel MOT il pricing è effettuato secondo il criterio
orden-driven, con il quale gli investitori
formulano le loro offerte di prezzo oltre che di
quantità

Segue un criterio di pricing quote-driven il


Mercato all’ingrosso per i titoli di Stato,
denominato MTS (Mercato Telematico dei Titoli
di Stato) e gestito da MTS SPA.
Lezione
“Il Mercato Azionario, relativa
segmentazione e mercato del
risparmio gestito”
Obiettivi

Definire il mercato azionario, analizzare i


principali segmenti

Conoscere il mercato del Risparmio gestito


Definizione del mercato
azionario
Il mercato azionario è il luogo in cui vengono
trasferiti i titoli rappresentativi della
partecipazione al capitale sociale delle imprese

In Italia il mercato secondario dei titoli azionari è


gestito da Borsa Italiana S.p.A., costituita nel 1998
a seguito della privatizzazione dei mercati come
disposto dal TUF che ha recepito la Direttiva
Eurosim (1993/22/CE)
Definizione del mercato
azionario
Nel 2007, Borsa Italiana S.p.A. è stata integrata
alla London Stock Exchange Group generando la
più importante società di gestione europea dei
mercati finanziari

Nel mercato azionario, come sopra gestito,


vengono scambiati, altresì, ETF, covered warrant, i
certificates e gli strumenti obbligazionari solo
segmento retail
Definizione del mercato
azionario
I mercati azionari gestiti da Borsa Italiana S.p.A.
sono:
MTA (Mercato Telematico Azionario)
AIM Italia (Alternative Investment Market)

Nel MTA vengono scambiate azioni, obbligazioni


convertibili, diritti di opzione e warrant
Il Mercato Telematico
Azionario - MTA
Borsa Italiana S.p.A. stabilisce l’ammissione a
quotazione al MTA, sulla base di requisiti formali e
sostanziali, principalmente:
Capitalizzazione della società (min 40 mil./euro)
Flottante - quota percentuale delle azioni
destinate alla negoziazione sul mercato secondario
e ad un numero elevato di sottoscrittori (almeno il
25% - 35% nel caso di STAR)
Libera trasferibilità dei titoli
Il Mercato Telematico
Azionario - MTA
Tra i requisiti sostanziali vengono considerati:
una chiara visione strategica
un buon posizionamento competitivo
la sostenibilità finanziaria
l’autonomia gestionale
gli indicatori della capacità della società a creare
valore per gli azionisti
Il Mercato Telematico
Azionario - MTA
L’MTA è articolato nei seguenti segmenti:
Standard
STAR (Segmento Titoli ad Alti Requisiti)
MTA International

Fino al 2010 esisteva anche il segmento Blue Chip


riferito alle società con una struttura economico
finanziaria di particolare solidità ed una
capitalizzazione superiore a 1 miliardo di euro.
Il Mercato Telematico
Azionario - MTA
Il termine Blue Chip è tuttora utilizzato per le
società a più elevata capitalizzazione

Il segmento standard riguarda le aziende che pur


soddisfacendo i requisiti formali e sostanziali
esaminati non sono classificabili altrimenti

Il segmento STAR comprende le medie imprese con


capitalizzazione tra i 40 milioni e 1 miliardo di euro
Il Mercato Telematico
Azionario - MTA
Le società del segmento STAR sono obbligate a
rispettare i seguenti requisiti:
Flottante minimo pari al 35% delle azioni
Elevata trasparenza e comunicazione delle scelte
e dei risultati aziendali
Liquidità del titolo e garanzia di controparte in
caso di smobilizzo
Standard internazionali della corporate
governance
Il Mercato Telematico
Azionario - MTA
Nel segmento MTA International sono scambiati i
titoli emessi da società estere già negoziati in altri
mercati (dual listing)

Per accedere a questo segmento non è necessario


produrre l’estesa documentazione usualmente
richiesta nella fase di ammissione; unico requisito la
persistenza sui mercati esteri di almeno 18 mesi
antecedenti la richiesta di dual listing
Il Mercato Telematico
Azionario - MTA
Gli indicatori di riferimento del mercato azionario
sono definiti FTSE Italia Index Series e
rappresentano il 95% della capitalizzazione delle
azioni nazionali

Uno dei maggiori sviluppatori e gestori di indici di


mercato sulle piazze finanziarie mondiali è FTSE
Group, frutto di una Joint Venture tra Financial
Times e il London Stock Exchange
Il Mercato Telematico
Azionario - MTA

Tra gli indicatori, il più importante è l’FTSE MIB


rappresentativo dell’andamento delle principali
azioni del mercato italiano (campione costituito
dalle 40 azioni più liquide e capitalizzate)
Il Mercato Telematico
Azionario - MTA

L’ FTSE MIB rappresenta anche il “sottostante” di


future, minifuture e option quotati sul mercato
IDEM di Borsa Italiana

All’FTSE si affiancano numerosi altri indicatori al


fine di fornire specifiche e puntuali indicazioni agli
investitori
AIM - Alternative Investment
Market Italia

AIM – Alternative Investment Market Italia è il


mercato dedicato alle piccole e medie imprese
italiane ad alto potenziale di crescita ed è gestito
da Borsa Italiana S.p.A.
Il modello a cui si ispira è quello dell’AIM UK
AIM - Alternative Investment
Market Italia

Caratteristica dell’AIM è quella di consentire alle


imprese di quotarsi in maniera veloce ed
efficiente,
eliminando i criteri minimi di ammissione
(capitalizzazione, flottante, corporate
governance, stabilità economica finanziaria)
AIM - Alternative Investment
Market Italia

Per l’ammissione ad AIM è sufficiente dotarsi di


un intermediario finanziario (nomad, nominated
advisor) che accompagni la società nella fase
precedente l’ammissione e in quella di
negoziazione del mercato
AIM - Alternative Investment
Market Italia

Unico documento necessario in fase di


ammissione è “il documento di ammissione”,
anche sotto il profilo della reportistica le società
devono presentare il bilancio e la relazione
semestrale
Il Mercato del Risparmio
Gestito
Il mercato del risparmio gestito, nonostante le
sue origine antiche, si è sviluppato in Italia agli
inizi degli anni ‘80 (L.77 del 23/03/1983), con
l’introduzione dei fondi comuni di investimento
mobiliari aperti
Lo sviluppo dell’asset management ha avuto
impulso in Italia solo a partire dagli anni 90 anche
a causa della riduzione del rendimento offerto dai
titoli di Stato
Il Mercato del Risparmio
Gestito
Il 1999, anno in cui sono aumentate le
competenze e i servizi delle SGR, il ruolo di tali
società ha assunto rilevanza principale tanto che
le banche hanno ridotto la loro attività tipica di
gestione delle risorse raccolte per affidarle alle
SGR di gruppo
A fine 2011 il patrimonio complessivamente
gestito dalle SGR ammontava a circa 950 miliardi
di euro
Il Mercato del Risparmio
Gestito
Il sistema finanziario offre una molteplicità di
prodotti e servizi finalizzati alla gestione del
risparmio
I fondi comuni aperti rappresentano oltre il 45%
del risparmio gestito delle famiglie
Da metà 2010 Borsa Italiana ha istituito il MIV -
Mercato Telematico degli Investment Vehicles, in
cui è possibile negoziare quote di fondi chiusi
mobiliari e immobiliari
Il Mercato del Risparmio
Gestito
In precedenza Borsa Italiana aveva istituito il
mercato ETFplus interamente dedicato agli
strumenti finanziari che replicano gli indici di
borsa o di singole materie prime
Gli ETF (Exchange Traded Funds) sono fondi o
SICAV, caratterizzati da basse commissioni di
gestione e negoziati in borsa come le normali
azioni
Il Mercato del Risparmio
Gestito

Gli ETC (Exchange Traded Commodities),


viceversa, sono strumenti finanziari che
replicano l’andamento di materie prime o di
contratti derivati sulle materie prime

Il prezzo degli ETC è pertanto, collegato


all’andamento del sottostante
Lezione
“Il Mercato dei derivati e quello
dei derivati”
Obiettivi

Conoscere i segmenti del mercato dei derivati


e del mercato valutario
Il mercato dei derivati

I derivati vengono negoziati sia nei mercati


regolamentati che in quelli non regolamentati (OTC
– Over The Counter)
I mercati dei derivati regolamentati più importanti
sono:
EUREX (European Exchange - UE)
CME (Chicago Mercantile Exchange – USA)
In Italia, il MIF (Mercato Italiano dei Futures su
titoli di stato) e IDEM (Italian DErivatives Market)
Il mercato dei derivati

Nel mercato IDEM le contrattazioni avvengono per


via telematica e la liquidità è garantita da
numerosi market maker
La CC&G (Cassa di Compensazione e Garanzia)
interviene in questo mercato come garante e
assume il ruolo di controparte nelle negoziazioni
eseguite
La presenza di CC&G elimina il rischio di
controparte garantendo il buon esito dei contratti
Il mercato dei derivati

Il mercato IDEM, costituito nel 1994, si suddivide


in due segmenti:
IDEM Equity
IDEX
Nel IDEM Equity sono principalmente negoziati
opzioni e futures su azioni liquide e ad elevata
capitalizzazione e di dimensioni accessibili agli
investitori retail oltre all’opzione (MIBO) e ai
futures (FIB e MiniFIB) sull’indice FTSE MIB
Il mercato dei derivati
Il valore dei derivati dipende dal prezzo del relativo
sottostante (underlying asset) e pertanto, ai fini
della negoziazione tale relazione deve essere
esattamente definita.

Il FIB30 è stato il primo futures negoziato in Italia e


aveva come sottostante il MIB 30.
Oggi il MIB30 è stato sostituito dal FTSEMIB, unico
indice sottostante dei derivati negoziati nel IDEM
Il mercato dei derivati

Nel 2008 è stato introdotto l’IDEX dedicato alla


negoziazione degli strumenti derivati su merci e
relativi indici (es. futures sull’energia elettrica)
La CC&G è controparte di tutti i contratti eseguiti
sull’IDEX

Di più recente costituzione è il SEDEX, il mercato di


Borsa Italiana dedicato alla negoziazione dei
derivati cartolarizzati (securitised derivates)
Il mercato dei derivati
Il SEDEX è suddiviso nei seguenti segmenti:
Covered warrant (plain vanilla e
strutturati/esotici)
Certificates (Investment e leverage)

Tra tali strumenti è possibile distinguere quelli


caratterizzati dal cd effetto leva (covered warrant e
leverage certificates) da quelli senza effetto leva
(investment certificates)
Il mercato dei derivati

Gli strumenti con “effetto leva” consentono agli


investitori di accedere alle negoziazioni con
capitali ridotti beneficiando dell’effetto
amplificatore dell’indebitamento a cui
corrisponde però un incremento della rischiosità
Il mercato valutario
Il mercato valutario è il mercato nel quale vengono
negoziate le valute dei diversi Paesi
Tale mercato è denominato FOREX (FORein
Exchange Market)
E’ un mercato non regolamentato (OTC)
E’ un mercato “ampio” e “profondo” in quanto gli
elevati volumi e la numerosità delle negoziazioni lo
proteggono dai condizionamenti di manovre
speculative degli investitori
Il mercato valutario
Il FOREX è operativo 24 ore su 24, in quanto i
relativi scambi si svolgono all’interno di un
network di intermediari internazionali sempre
collegati tra loro
La giornata inizia con l’apertura dei mercati
asiatici a cui seguono quelli europei e poi
statunitensi, poco prima della chiusura dei
mercati statunitensi, per effetto dei fusi orari,
riaprono già le piazze asiatiche
Il mercato valutario
Il prezzo al quale una valuta viene scambiata con
un’altra è definito tasso di cambio
La quotazione di tale prezzo può essere:
certo per incerto ed è riferito alla quantità di
moneta estera (incerta) in contropartita di
un’unità (certa) di moneta domestica
incerto per certo ed è riferito alla quantità di
moneta domestica (incerta) in contropartita di
un’unità (certa) di moneta estera
Il mercato valutario

L’euro è quotato sempre con il metodo certo per


incerto (ad un euro corrisponde una quantità
variabile di moneta estera, es. USD/Euro=1,305)

Stesso metodo viene utilizzato per il dollaro


statunitense ad eccezione fatta negli scambi con
l’euro, la sterlina e il dollaro australiano
Il mercato valutario

Quando il valore di una moneta aumenta rispetto


al valore di un’altra si parla di apprezzamento
della prima sulla seconda
Si definisce deprezzamento il caso contrario

Nell’ipotesi di cambio USD/Euro=1,305 diremo che


l’euro si è apprezzato ovvero deprezzato nei
confronti del dollaro se il tasso di cambio sale o
scende
Il mercato valutario

Si definisce operazione a pronti (spot) quando la


negoziazione delle valute viene conclusa
immediatamente, al tasso di cambio corrente

Si definisce operazione a temine (forward),


quando viene fissato oggi un tasso di cambio al
quale effettuare in futuro la transazione
Il mercato valutario
I soggetti che negoziano generalmente in valuta
sono:
importatori ed esportatori interessati a
convertire la valuta domestica in valuta estera e,
viceversa,per regolare le transazioni di merci
effettuate al di fuori del paese di appartenenza
Banche centrali e governi per attuare manovre
di politica monetaria
Investitori e speculatori
Il tasso di cambio
Il tasso di cambio è funzione della domanda e
dell’offerta della valuta scambiata, rispondendo
ai principi di efficienza dei mercati

Secondo la teoria definita Legge dell’unico prezzo


uno stesso bene prodotto in due paesi differenti
in assenza di costi di transazione e costi di
trasporto, avrà il medesimo prezzo in entrambe
le economie
Il tasso di cambio

In caso contrario, la domanda aumenterebbe


nel Paese dove il prezzo è inferiore, mentre i
produttori lo venderebbero esclusivamente nel
Paese dove il prezzo è più elevato
considerato che le transazioni possono avvenire
solo grazie ad una conversione tra le valute dei
due Paesi coinvolti, le conseguenti oscillazioni
dei tassi di cambio tenderanno a riallineare i
prezzi dei beni nelle due economie
Il tasso di cambio

In presenza di inflazione nelle due economie, il


tasso di cambio è funzione dei rispettivi tassi di
inflazione; se i prezzi del Paese estero
aumentano in maniera maggiore di quelli interni
(a causa di un tasso di inflazione estero maggiore
di quello nazionale) allora il tasso di cambio
dovrà mostrare una simmetrica variazione in
aumento affinché sia dimostrata la Legge
dell’unico prezzo
Il tasso di cambio
Pertanto, la Teoria della Parità dei Poteri di
acquisto (PPP, Purchasing Power Parity) afferma
che i tassi di cambio tra due valute riflettono le
variazioni dei tassi di inflazione dei due Paesi

La valuta di un Paese subirà un deprezzamento


rispetto a quella di un altro Paese se il suo tasso
di inflazione sarà superiore a quello dell’altra
economia
Il tasso di cambio
La teoria detta Parità dei Tassi di Interesse cerca di
spiegare la variazione dei tassi di cambio nel breve
periodo
Secondo tale teoria, un investitore sceglierà di
investire una somma di denaro in attività
domestiche o in attività estere in ragione del
maggior tasso di rendimento offerto dalle due
alternative
Il tasso di cambio

Nel caso in cui un investitore italiano dovesse


scegliere di investire 1 euro in titoli domestici ad
un tasso di interesse annuo pari a rt €
oppure in titoli statunitensi che garantiscano un
tasso si interesse annuo pari a rtUSD
dovrà confrontare i montanti (es. di durata pari
ad un anno) dei due investimenti
Il tasso di cambio
Considerato che il montante della prima scelta di
investimento è uguale a
(1+ rt €)
Mentre nel secondo caso è pari a
St(1+ rt USD) St+1-1
dove
St= tasso di cambio USD/Euro corrente
St+1= tasso di cambio spot USD/Euro tra un anno
Il tasso di cambio
La scelta dell’investitore dipende unicamente dal
montante finale di ciascuna delle due alternative
che in condizioni di equilibrio sarebbero uguali:
(1+ rt €)= St(1+ rt USD) St+1-1
In assenza di tale equilibrio gli investitori si
orienterebbero per l’investimento caratterizzato
dal montante maggiore generando una modifica
nel tasso di cambio corrente con l’immediato
riallineamento dei montanti finali
Il tasso di cambio

Tale equazione di equilibrio definisce la teoria


della parità dei tassi di interesse scoperta (in
quanto l’investitore si trova scoperto quando deve
riconvertire i dollari in euro)
Il tasso di cambio

Qualora l’investitore definisse anche il cambio a


termine utilizzando un tasso forward USD/Euro
Ft+1 si garantirebbe pure dalle future oscillazioni
dei tassi di cambio; pertanto, la relativa seguente
equazione seguente definirebbe la parità dei tassi
di interesse coperta

(1+ rt €)= St(1+ rt USD) Ft+1-1


Lezione
“Definizione e profilo
economico degli strumenti
finanziari”
Obiettivi

Riconoscere e classificare i differenti


strumenti finanziari sotto il profilo economico
Definizione degli strumenti
finanziari
Lo strumento finanziario è un contratto
caratterizzato da uno sfasamento temporale, di
durata variabile, tra la prestazione del datore dei
fondi e una controprestazione del prenditore

Lo sfasamento genera tipicamente un rischio e


determina altresì un’attività e una passività
finanziaria, rispettivamente, per l’investitore e
per l’emittente
Definizione degli strumenti
finanziari
Le mutate esigenze dei prenditori e datori di fondi
nonché le modifiche dei circuiti diretti e indiretti
determinano la continua evoluzione degli
strumenti finanziari

Gli strumenti finanziari soddisfano l’esigenza di


scambio di risorse monetarie sia nel tempo che
nello spazio alimentando in tal modo i circuiti
diretti attraverso le cd. primary securities
(es.azioni e obbligazioni)
Definizione degli strumenti
finanziari
Le esigenze, invece, legate alle asimmetriche
preferenze tra i datori e i prenditori di fondi
alimentano il circuito indiretto (intermediari)
attraverso lo scambio dei cd secondary securities
(es. depositi bancari e prestiti)
Definizione degli strumenti
finanziari
Sia l’inquadramento giuridico sia quello contabile
sortiscono sostanziali effetti sul profilo economico,
in termini di rischio e rendimento, degli strumenti
finanziari
In particolare la normativa in Italia, rappresentata
prevalentemente dal Testo Unico della Finanza,
disciplina le modalità di accesso ai mercati dei
capitali mentre le norme contabili hanno lo scopo
di rendere chiara la natura dello strumento
finanziario
Definizione degli strumenti
finanziari
Sotto il profilo economico, coerentemente con la
finalità di soddisfare le esigenze di rischio
rendimento degli operatori, gli strumenti
finanziari possono essere classificati in ragione dei
seguenti elementi:
natura dei diritti derivanti dal contratto
remunerazione
restituzione del capitale
Definizione degli strumenti
finanziari
natura e rischio dell’emittente
durata contrattuale
trattamento fiscale

L’intensità e la tipologia dei diritti determinano


altresì il grado di distribuzione dei rischi, e
dunque dei rendimenti tra emittente e investitore
Classificazione degli strumenti -
natura dei diritti
In ragione della natura dei diritti derivanti dallo
strumento finanziario è possibile effettuare una
prima distinzione tra:
Contratti di partecipazione
Contratti di indebitamento
Contratti di assicurazione
Contratti derivati e composti
Classificazione degli strumenti -
natura dei diritti
Nel caso dei contratti di partecipazione
(tipicamente le azioni) la partecipazione alla
gestione da parte dell’investitore (azionista)
determina la rinuncia alla certezza della
remunerazione che è data dal rendimento
periodico legato alla distribuzione dei dividendi e
in via residuale (rispetto agli altri stakeholders)
alla restituzione del capitale investito in caso di
liquidazione della società emittente
Classificazione degli strumenti -
natura dei diritti
Nel caso di elevata diffusione dell’azionariato la
gestione è viceversa demandata al management
mentre l’azionista di minoranza rimane di fatto
portatore di interessi residuali rispetto agli
stakeholders aziendali
Classificazione degli strumenti -
natura dei diritti

Nei contratti di indebitamento (tipicamente


finanziamenti bancari o prestiti obbligazionari) la
partecipazione alla gestione è totalmente
assente, a fronte di ciò viene garantito al datore
dei fondi la remunerazione periodica
(rendimento) e la restituzione del capitale alle
scadenze convenute
Classificazione degli strumenti -
natura dei diritti
I contratti di assicurazione (tipicamente polizze
vita e danni) consentono al sottoscrittore di
trasferire ad un soggetto economico (compagnia
di assicurazioni) il rischio del verificarsi di un
evento dannoso (sinistro) dietro il pagamento di
un premio
Ciò è reso possibile in quanto per il singolo il
rischio è aleatorio mentre per la compagnia
diviene un rischio calcolabile (in quanto parte di
una distribuzione nota di rischi di pari natura)
Classificazione degli strumenti -
natura dei diritti
Gli strumenti derivati (tipicamente contratti a
termine e opzioni) contengono i diritti e gli
obblighi di altri strumenti finanziari ad essi
sottostanti (underlying), al manifestarsi di eventi
contingenti
Tali strumenti nati con la finalità di contemperare
il rischio degli strumenti sottostanti hanno assunto
nel tempo anche il ruolo di investimenti
speculativi o di arbitraggio
Classificazione degli strumenti -
natura dei diritti

Gli strumenti composti, definiti tipicamente di


ingegneria finanziaria, sintetizzano le
caratteristiche di più strumenti “di base” al fine
di conformarsi il più possibile alle esigenze dei
datori e dei prenditori di fondi
Classificazione degli strumenti
– remunerazione

In ragione della remunerazione e del rimborso


del capitale gli strumenti possono essere:
a rendimento nullo qualora non riconoscano al
sottoscrittore alcuna remunerazione (es. moneta e
mezzi di pagamento)
Classificazione degli strumenti
– remunerazione

a rendimento di mercato nel caso di strumenti


con finalità di investimento o finanziamento, a sua
volta distinguibili con rendimento certo (in
assenza di variabilità della remunerazione);
rendimento incerto (in relazione
all’indeterminatezza di alcuni parametri a cui la
remunerazione è riferita);
Classificazione degli strumenti
– remunerazione
rendimento aleatorio, qualora la remunerazione
è aleatoria anche nel suo eventuale manifestarsi
(es. una variazione positiva di prezzo, l’incasso dei
dividendi)
Per tale tipologia di strumenti la differente natura
del rendimento ne determina il valore nel corso
del tempo
Classificazione degli strumenti
– remunerazione
Con particolare riferimento alle modalità di
restituzione del capitale la stessa può avvenire:
in un’unica soluzione alla scadenza
(tipicamente titoli di stato e altri titoli a basso
rischio)
mediante piani di rimborso (di ammortamento)
che si differenziano per frequenza, struttura
temporale e importi
Altre classificazioni degli
strumenti finanziari
In ragione della natura del soggetto emittente ed
in particolare della sua solvibilità, è possibile
suddividere gli strumenti finanziari in base al loro
grado di rischio
Il rating rappresenta la modalità di classificazione
del grado di rischio generalmente utilizzata nei
mercati finanziari sviluppati e si basa sullo
sviluppo di particolari algoritmi che contemplano
le principali determinanti il rischio stesso
Altre classificazioni degli
strumenti finanziari
In ragione della durata contrattuale gli strumenti
possono essere:
a scadenza indeterminata nel caso in cui il
rimborso è subordinato al verificarsi di un
evento successivo alla sottoscrizione che può
essere legato alle condizioni oggettive e
soggettive dell’emittente (azioni) ovvero alla
discrezionalità del datore dei fondi (es. depositi
bancari)
Altre classificazioni degli
strumenti finanziari
a scadenza determinata per i quali è previsto,
all’atto della sottoscrizione, il momento del
rimborso del capitale (titoli di stato, obbligazioni,
prestiti) e possono essere distinti in strumenti a
breve termine (durata fino a 12 mesi), strumenti a
medio (tra 1 e 5 anni) e lungo termine (oltre i 5
anni)
Altre classificazioni degli
strumenti finanziari
a scadenza condizionata (tipicamente da una
clausola contrattuale) la cui data di rimborso
può subire modifiche nel tempo a favore del
prenditore ovvero del datore di fondi
Altre classificazioni degli
strumenti finanziari
Il trattamento fiscale ha un’incidenza sul
rendimento netto degli strumenti finanziari sia
con riferimento alle imposte indirette (es.
tassazione delle plusvalenze) sia con riferimento
alle imposte dirette (su interessi o dividendi) e
pertanto, concorre alla valutazione economica
complessiva di tali strumenti. In alcuni casi, il
trattamento fiscale influisce sulla strutturazione
di nuovi strumenti finanziari (D.lgs 47/2000,
polizze previdenziali)
Lezione
“Le caratteristiche tecniche e
giuridiche degli strumenti
finanziari”
Obiettivi

Analizzare le caratteristiche tecniche e


giuridiche degli strumenti finanziari
Caratteristiche tecniche degli
strumenti finanziari

La trasferibilità è una caratteristica tecnica che


consente una utile tassonomia degli strumenti
finanziari e si riferisce alle modalità di circolazione
(di legge o contrattuali) degli stessi
Caratteristiche tecniche degli
strumenti finanziari
A tal fine si distinguono:
Titoli al portatore, trasferibili mediante la
semplice consegna del titolo
Titoli nominativi, il cui trasferimento può
avvenire solo a seguito del mutamento della
intestazione, riportata anche in apposito registro
detenuto dall’emittente (libro soci)
Caratteristiche tecniche degli
strumenti finanziari
La progressiva diffusione dell’accentramento e
della dematerializzazione rendono meno rilevante
la suddetta distinzione
Gli strumenti negoziati sui mercati regolamentati
sono infatti sottoposti alla dematerializzazione
obbligatoria (“dematerializzazione totale” ai sensi
del Regolamento Consob 11768/2008)
In tutti gli altri casi, viceversa, si tratta di
dematerializzazione volontaria (ai sensi
dell’art.2346 del c.c.)
Caratteristiche tecniche degli
strumenti finanziari
Per liquidità si intende l’attitudine di un’attività
finanziaria ad essere scambiata contro moneta a
vista
La teoria economica ha esteso tale concetto alla
liquidabilità intesa come grado di scambiabilità
delle attività finanziarie (negoziabilità)
distinguendo:
Mezzi di pagamento
Strumenti negoziabili a vista
Strumenti negoziabili sul mercato
Caratteristiche tecniche degli
strumenti finanziari

Incidono sulla negoziabilità: la standardizzazione,


che consente un più facile accesso alle
informazioni incorporate nel titolo e la divisibilità
del valore unitario che consente l’abbassamento
della soglia minima di investimento
Caratteristiche tecniche degli
strumenti finanziari
L’elemento della eticità come distintivo degli
strumenti finanziari, concorre sempre più quale
criterio di scelta in aggiunta a quelli economici
I criteri di selezione sviluppati da apposite agenzie
indipendenti possono essere:
negativi nel caso in cui si tratti di titoli riferiti a
società impegnate in business caratterizzati da
comportamenti non etici
positivi nel caso contrario
Caratteristiche tecniche degli
strumenti finanziari
Gli strumenti finanziari possono essere
ulteriormente classificati in relazione ai bisogni da
essi soddisfatti, tra i principali:
Investimento
Finanziamento
Copertura dei rischi finanziari
Copertura dei rischi assicurativi
Gestione dei pagamenti
Caratteristiche giuridiche degli
strumenti finanziari
L’impianto normativo che regolamenta gli
strumenti finanziari è costituito dalle seguenti due
fonti principali il Testo Unico della Finanza e il
codice civile (recentemente oggetto di significative
modifiche di diritto societario)
La definizione giuridica ricorrente nel suddetto
ordinamento è quella di valore mobiliare e di
prodotto finanziario
Caratteristiche giuridiche degli
strumenti finanziari
Di recente il TUF, modificato ed integrato rispetto
alla versione originale, ha fornito le seguenti tre
definizioni:
Valore mobiliare
Strumento finanziario
Prodotto finanziario
Caratteristiche giuridiche degli
strumenti finanziari

Per quanto attiene ai valori mobiliari, l’art.1 bis


del TUF evidenzia, quale principale caratteristica
distintiva, la capacità di essere negoziati nel
mercato dei capitali, indipendentemente dalle
caratteristiche tecniche e contiene un elenco non
esaustivo di tipologie dei valori medesimi
Caratteristiche giuridiche degli
strumenti finanziari
L’art. 2 del TUF non fornisce una definizione
generale degli strumenti finanziari ma una
catalogazione degli stessi riconducibili a quattro
categorie: a) valori mobiliari; b) strumenti di
mercato monetario; c) quote di un organismo di
investimento collettivo del risparmio; infine un
complesso di strumenti derivati
I mezzi di pagamento sono espressamente esclusi
dagli strumenti finanziari
Caratteristiche giuridiche degli
strumenti finanziari
I prodotti finanziari comprendono gli strumenti
finanziari e ogni altra forma di investimento di
natura finanziaria

Una diversa classificazione giuridica è riconducibile


al diritto societario che con l’ultima riforma ha
inteso favorire il ricorso delle società di capitali al
mercato finanziario mediante l’emissione di
strumenti finanziari partecipativi e non
partecipativi
Caratteristiche giuridiche degli
strumenti finanziari

In base a tale disciplina possono essere


circoscritte tre macroclassi: azioni, obbligazioni e
altri strumenti finanziari “speciali” (strumenti
ibridi o semi equity i quali possono assumere le
caratteristiche dell’una o dell’altra macroclasse)
Caratteristiche giuridiche degli
strumenti finanziari
Per quanto attiene alle azioni, il legislatore è
intervenuto a regolamentare i seguenti elementi
di qualificazione:
il voto e gli altri diritti amministrativi
i diritti patrimoniali
il regime di circolazione
la rappresentazione cartacea
l’indicazione del valore nominale
Caratteristiche giuridiche degli
strumenti finanziari
Per quanto attiene alla classificazione dei titoli
obbligazionari i principali criteri sono:
la remunerazione del capitale sotto forma di
interessi
l’eventuale postergazione nel rimborso
la presenza di opzioni di acquisto (warrant) e di
conversione
Caratteristiche giuridiche degli
strumenti finanziari

Con riferimento alla remunerazione si citano le


obbligazioni partecipative, recentemente
contemplate dall’ordinamento giuridico, le quali
hanno la peculiarità che la remunerazione
periodica (interessi) o il rimborso del capitale
sono parzialmente o totalmente legati
all’andamento della società emittente
(acquisendo il connotato tipico degli strumenti di
partecipazione)
Caratteristiche giuridiche degli
strumenti finanziari
Nuove tipologie di titoli obbligazionari hanno
quale caratteristica il servizio del debito legato ad
un puntuale insieme (pool) di attivi che
costituiscono un patrimonio “segregato”, per fini
di tutela, rispetto agli altri attivi dell’originario
possessore
Tale tipologia è comunemente utilizzate nelle
operazioni di cartolarizzazione
Caratteristiche giuridiche degli
strumenti finanziari
La terza macroclasse strumenti ibridi o di semi
equity che possiedono caratteristiche
diversamente combinate tipiche sia di titoli
azionari che obbligazionari ma che in ogni caso
non rappresentano una partecipazione al
capitale. Essi sono: strumenti finanziari forniti di
diritti patrimoniali o amministrativi; strumenti
connessi alla costituzione di un patrimonio
separato, strumenti assegnati ai prestatori di
lavoro dipendente
Caratteristiche giuridiche degli
strumenti finanziari

L’ordinamento giuridico ha ampliato la possibilità


di combinare in maniera e misura differente i
diritti di natura economica e partecipativa, tanto
da divenire oggi ad una difficile distinzione tra
strumenti di debito e di capitale qualora si volesse
fare rigidamente ricorso a tali criteri distintivi
Caratteristiche giuridiche degli
strumenti finanziari
In una valutazione congiunta degli aspetti giuridici
ed economici le caratteristiche essenziali degli
strumenti finanziari possono avere la seguente
articolazione
Con riferimento agli strumenti di debito:
La connotazione contrattuale di essere emessi al
fine di un utilizzo temporaneo delle somme
prestate
Caratteristiche giuridiche degli
strumenti finanziari
L’onerosità collegata alla dimensione del
prestito, al tasso di interesse e alla durata del
contratto
Il grado di seniority (priorità nella soddisfazione
degli interessi degli stakeholders) in relazione al
quale sono antergati rispetto agli strumenti di
capitale
Caratteristiche giuridiche degli
strumenti finanziari
Con riferimento agli strumenti di capitale:
La connotazione giuridica di essere
rappresentativi della proprietà dell’azienda cui si
riferiscono
La remunerazione periodica non
predeterminata né predeterminabile per
contratto
Caratteristiche giuridiche degli
strumenti finanziari
•il grado di seniority in relazione al quale sono
postergati rispetto agli strumenti di debito
• il diritto di voto che garantisce ai detentori (nel
loro insieme) la gestione della governance
aziendale
Lezione
“Aspetti contabili, liquidità,
pricing e rischi degli strumenti
finanziari”
Obiettivi

Classificare gli strumenti finanziari secondo i


relativi criteri di contabilizzazione
Distinguere il grado di liquidità in relazione alla
negoziabilità ed alle caratteristiche tecniche di
ciascuno strumento
Calcolare il valore di ciascuno strumento
Conoscere il sistema di valutazione dei rischi dei
differenti strumenti finanziari
Profili contabili degli strumenti
finanziari
Una definizione di strumento finanziario è
rinvenibile anche nei principi contabili
internazionali IAS (International Accounting
Standards) n.32 e n.39
“qualsiasi contratto che dia origine ad un
financial asset (attività finanziaria) per un’entità
(detentore) e a una financial liability (passività
finanziaria) o un equity instrument (strumento
rappresentativo di capitale) per un’altra entità
(emittente)”
Profili contabili degli strumenti
finanziari
E’ definito derivato lo strumento finanziario:
il cui valore cambia in relazione ai cambiamenti
di un prestabilito tasso di interesse, prezzo di un
titolo, prezzo di una merce, tasso di cambio,
indice dei prezzi o di tassi, rating di credito o altra
variabile;
per il quale non vi sia un investimento netto
iniziale o minimo investimento netto iniziale;
sarà regolato in data futura.
Profili contabili degli strumenti
finanziari

I criteri di contabilizzazione da adottare mutano a


seconda che lo strumento finanziario sia
considerato dal punto di vista del detentore o
dell’emittente.
Il principio contabile internazionale fornisce le
definizioni di attività finanziaria, passività
finanziaria e di patrimonio netto
Profili contabili degli strumenti
finanziari
Dal punto di vista del detentore sono classificati
come attività finanziaria i seguenti strumenti:

Disponibilità liquide (compresi i depositi


bancari);

I diritti a ricevere disponibilità liquide o altre


attività finanziarie (crediti verso clienti, effetti
attivi, titoli obbligazionari e leasing finanziario);
Profili contabili degli strumenti
finanziari

I diritti a scambiare attività o passività


finanziarie a condizioni potenzialmente favorevoli;

Gli strumenti rappresentativi di patrimonio


netto (azioni e titoli assimilabili).
Profili contabili degli strumenti
finanziari
Dal punto di vista dell’emittente sono classificate
passività finanziarie
gli strumenti costituiti da un’obbligazione
contrattuale a consegnare disponibilità liquide o
altre attività finanziarie oppure a scambiare
strumenti finanziari a condizioni potenzialmente
sfavorevoli
Profili contabili degli strumenti
finanziari
Sono classificati strumenti di partecipazione al
patrimonio netto
Ogni qualvolta si è in assenza di una qualunque
obbligazione contrattuale di trasferimento a
carico dell’emittente, vi sia discrezionalità
dell’emittente nella definizione del quantum e
della scadenza nella distribuzione dell’utile e del
patrimonio netto
Profili contabili degli strumenti
finanziari

Pertanto, per distinguere gli strumenti di debito


da quelli di capitale, l’approccio contabile si
differenzia da quello economico-giuridico, in
quanto non considera in alcun modo il diritto-
dovere a partecipare alla governance dell’impresa
(mediante l’esercizio del diritto di voto o di altri
diritti amministrativi) basandosi unicamente
sull’aspetto finanziario
Profili contabili degli strumenti
finanziari
Aspetto finanziario che interpreta l’effettiva ratio
delle scelte di investimento e la relativa tipica
combinazione rischio – rendimento
La descritta classificazione degli strumenti
finanziari è propedeutica ai criteri di
contabilizzazione mediante la valutazione al fair
value che, in relazione alla finalità della
detenzione dei suddetti strumenti, li riconduce a
quattro categorie:
Profili contabili degli strumenti
finanziari
Strumenti negoziabili acquistati o venduti per
conseguire utili nel breve termine e derivati
senza finalità di copertura per i quali va
adeguata la loro valutazione ai cambiamenti del
fair value (con conseguente rilevazione dei
relativi utili o perdite al conto economico)
Strumenti acquisiti per essere detenuti fino a
scadenza (intenzionalmente o per capacità) da
valutare al costo ammortizzato
Profili contabili degli strumenti
finanziari
Finanziamenti ottenuti o crediti concessi per i
quali è prevista una valutazione al costo
ammortizzato
Attività disponibili per la vendita, tutti gli
strumenti non precedentemente classificati,
per i quali va adeguata la loro valutazione ai
cambiamenti del fair value (con conseguente
rilevazione dei relativi utili o perdite non al
conto economico ma “segregati” in una riserva
patrimoniale)
Liquidità e pricing
La liquidità di uno strumento finanziario è data
dall’attitudine delle stesso a trasformarsi
rapidamente e con il minor costo possibile in
denaro contante

Le modalità in cui uno strumento finanziario può


trasformarsi in flussi monetari vengono
comunemente definite liquidità naturale o
primaria oppure liquidità artificiale o secondaria
Liquidità e pricing

La liquidità naturale dipende dai termini


contrattuali che ne disciplinano durata
(complessiva e residua), modalità di rimborso del
capitale e pagamento degli interessi
Ad esempio, una durata complessiva o residua
minore ed una maggiore frequenza nel pagamento
degli interessi aumentano il grado di liquidità dello
strumento
Liquidità e pricing

La liquidità artificiale si riferisce viceversa al grado


di negoziabilità dello strumento. Attiene, dunque,
al comportamento dei possessori al fine di
trasformarli in denaro contante prima della
scadenza contrattualmente prevista
Liquidità e pricing

La negoziabilità è funzione:
diretta delle caratteristiche tecnico-giuridiche
dello strumento che ne possono agevolare la
cessione e della presenza di una domanda che
consenta di negoziarlo ad un prezzo ritenuto
congruo dal venditore
inversa dei costi di transazione
Liquidità e pricing
Gli approcci che definiscono il prezzo degli
strumenti finanziari (pricing) sono
sostanzialmente due:
Formazione del prezzo come conseguenza dello
scambio (incontro tra domanda e offerta) che
enfatizza le caratteristiche di efficienza tecnica e
informativa del mercato. Approccio adatto con
riferimento agli strumenti dotati di caratteristiche
standard, idonei ad essere scambiati nei mercati
organizzati
Liquidità e pricing

Valutazione degli strumenti indipendente dallo


scambio, utilizzato prevalentemente qualora la
finalità sia la corretta rappresentazione contabile
delle attività e passività degli operatori (esempio
principi contabili internazionali IAS). La tecnica di
valutazione utilizzata da tale approccio è quella
dell’attualizzazione dei flussi di cassa mediante
un fattore di attualizzazione prestabilito
Liquidità e pricing

I principali limiti di questa tecnica sono legati


all’ampiezza dell’orizzonte temporale di
riferimento (maggiore aleatorietà per orizzonti più
ampi), alla corretta determinazione del fattore di
attualizzazione e dalla difficoltà nella
determinazione dei flussi prospettici nel caso in
cui questi siano caratterizzati da elevata
aleatorietà e variabilità
I rischi degli strumenti
finanziari e il rating
I principali rischi individuati dalla teoria finanziaria
sono riconducibili ai fenomeni di adverse selection
(selezione avversa) e moral hazard (rischio
morale) strettamente connessi alla presenza delle
asimmetrie informative che minano l’efficienza
dei mercati e che giustificano pertanto, la
presenza degli intermediari finanziari che
assicurano tale efficienza
I rischi degli strumenti
finanziari e il rating
Esistono casi in cui l’operato degli intermediari
finanziari è condizionato e influenzato dalla
presenza di organismi specializzati nella
acquisizione, trattamento e offerta delle
informazioni necessarie agli investitori:
le agenzie di rating (rater)
I rischi degli strumenti
finanziari e il rating
Le agenzie di rating svolgono quella attività,
irrealizzabile per il singolo investitore, costituita
dallo screaning e monitoring dell’emittente degli
strumenti finanziari
In pratica, attraverso l’attribuzione di valutazioni
sintetiche, espresse in codici alfanumerici (rating),
offrono un servizio di valutazione degli strumenti
finanziari in circolazione sul mercato
I rischi degli strumenti
finanziari e il rating

Tale attività è simile a quella svolta dagli


intermediari finanziari con la differenza che questi
ultimi la effettuano a fini interni mentre i rater a
fini commerciali offrendo il servizio sul mercato
I rischi degli strumenti
finanziari e il rating

Pertanto, il servizio prestato dalle agenzie di rating


si presenta come alternativo o aggiuntivo
all’azione esclusiva e prevalente degli intermediari,
consentendo il superamento degli ostacoli di
onerosità e di realizzabilità delle citate attività di
screaning e monitoring
I rischi degli strumenti
finanziari e il rating
Il servizio di rating per essere efficace deve essere
continuo, standardizzato e costantemente
aggiornato. Infatti, una volta emesso il rating,
l’emittente deve essere continuamente
monitorato al fine di segnalare al mercato, se del
caso, la variazione delle condizioni di solvibilità (e
dunque di rischiosità dello strumento), mediante
la revisione del rating
I rischi degli strumenti
finanziari e il rating
In tal modo risulta altresì superato il problema del
moral hazard (rischio morale).
Infatti, nel caso in cui il management decidesse,
successivamente all’ottenimento del
finanziamento, di effettuare investimenti più
rischiosi ciò verrebbe immediatamente
segnalato al mercato attraverso la riduzione
del rating
I rischi degli strumenti
finanziari e il rating
Anche il fenomeno del adverse selection
(selezione avversa) risulta meno probabile per la
presenza dei rater.
Infatti, le valutazioni compiute da questi ultimi
evidenziano le caratteristiche delle imprese
migliori in termini di affidabilità, consentendo a
queste ultime di ottenere finanziamenti a costi
inferiori e garantire la loro permanenza nel
mercato (a discapito di quelle peggiori)
Lezione
“Gli strumenti di pagamento”
Obiettivi

CLASSIFICARE GLI STRUMENTI FINANZIARI


FINALIZZATI AL REGOLAMENTO DEI
PAGAMENTI
Strumenti di pagamento
In economie monetarie il pagamento rappresenta
il regolamento di uno scambio, l’atto con il quale il
debitore trasferisce al creditore una disponibilità
monetaria quale controvalore dello scambio
medesimo.

Il pagamento si completa con l’ottenimento della


totale disponibilità della moneta da parte del
creditore, liberando il debitore dall’obbligazione
contratta nei suoi riguardi.
Strumenti di pagamento
I sistemi di pagamento costituiscono il mezzo
attraverso il quale vengono trasferite le
disponibilità monetarie, nei casi in cui la natura di
queste ultime sia costituita da moneta bancaria o
da moneta elettronica l’oggetto del trasferimento
è costituito dalle informazioni contabili di
accreditamento o di addebitamento dei conti
monetari, rispettivamente, del soggetto pagato e
di quello pagante
Strumenti di pagamento

Il trasferimento delle informazione avviene, di


norma, in via telematica senza
l’accompagnamento di strumenti cartacei.

In caso di ordine di addebitamento, il


perfezionamento del pagamento avviene solo
all’effettivo addebito del conto del debitore,
esponendo il creditore al duplice rischio di credito
e operativo
Strumenti di pagamento

Il rischio di credito è legato all’eventualità che non


vi sia la disponibilità sul conto del debitore
mentre quello operativo è riferito all’eventualità di
errori, malfunzionamenti o frodi, da parte di chi
offre il servizio
In caso di ordine di accreditamento, l’unico
rischio è quello operativo, legato a chi eroga il
servizio, in quanto la moneta viene messa a
disposizione del creditore al momento dell’ordine
(escludendo il rischio finanziario)
Strumenti di pagamento

Una classificazione degli strumenti di pagamento


in ragione del servizio erogato è la seguente:
1.Servizi di pagamento documentali, che prevede
il trasferimento di documenti cartacei (assegni
bancari e circolari);
2.Servizi di pagamento completamente
automatizzabili, mediante il trasferimento
telematico delle informazioni (bonifico,
bancocgiro, disposizioni d’incasso, ecc.)
Strumenti di pagamento

3. Servizi di incasso, generalmente utilizzati dalle


imprese per l’incasso dei propri crediti;
4. Carte di pagamento, mediante l’utilizzo di
“carte plastificate” utilizzabili per effettuare
acquisti di beni e servizi presso esercenti
convenzionati (carte di credito, di debito,
bancomat, ecc.).
Servizi di pagamento
documentali
Costituiscono servizi di pagamento documentali
l’assegno bancario,
l’assegno circolare e il vaglia cambiario

L’assegno bancario è un titolo di credito


all’ordine contenente un ordine incondizionato di
pagamento ad una banca di pagare a vista la
somma in esso determinata, all’ordine proprio o
di un terzo.
Servizi di pagamento
documentali
L’assegno bancario rientra tra i servizi di
pagamento a ordine di addebitamento e
presuppone l’esistenza di un rapporto di conto
corrente nonché una convenzione all’emissione
degli assegni. Convenzione che si perfeziona con il
rilascio del libretto di assegni e viene revocata nei
casi di emissione di assegni “senza copertura”
(difetto di provvista) ovvero di segnalazione alla
Centrale d’Allarme Interbancaria (CAI)
Servizi di pagamento
documentali
In ragione della normativa attualmente in vigore,
gli assegni bancari posso essere “trasferiti” a
soggetti terzi, mediante “girata”, solo per somme
inferiori a 1.000 euro; in tal caso, va fatta esplicita
richiesta alla banca di emissione di assegni senza
la clausola “non trasferibile”, ciascuno gravato da
imposta di bollo pari a 1,50 euro. I libretti di
assegni, infatti, vengono rilasciati con la clausola
“non trasferibile”
Servizi di pagamento
documentali
L’assegno bancario comporta per il prenditore il
duplice rischio:
nei confronti del debitore nell’eventualità del
difetto di provvista
nei confronti della banca del debitore, in
relazione alla capacità di quest’ultima di onorare
il proprio impegno
Servizi di pagamento
documentali
Per contemperare tali rischi l’assegno bancario è
un titolo esecutivo che consente l’esecuzione
forzata per capitale ed interessi in caso di
insolvenza

Inoltre, esiste un archivio informatico (CAI) nel


quale sono censiti gli assegni smarriti, sottratti o
revocati
Servizi di pagamento
documentali
Ai fini dell’incasso risultano significative le
seguenti date:
Data valuta, dalla quale maturano gli interessi
sulle somme versate
Data disponibilità, dalla quale risultano
materialmente utilizzabili le somme accreditate al
creditore
Data non stornabilità data dalla quale le somme
non possono più essere riaddebitate sul conto del
beneficiario
Servizi di pagamento
documentali
L’assegno circolare è un titolo di credito all’ordine
emesso da una banca autorizzata nei confronti di
un terzo ed è sempre nominativo. Può essere
incassato a vista presso tutto gli sportelli della
banca emittente. La trasferibilità dello stesso può
avvenire solo per somme inferiori a 1.000 euro e
in assenza della clausola “non trasferibile”
L’emissione di tale assegno va richiesta alla banca
previo versamento in contanti, o con addebito di
conto corrente, del soggetto richiedente
Servizi di pagamento
documentali
Il vaglia cambiario è un titolo di credito all’ordine
emesso dalla Banca d’Italia e contiene la
promessa incondizionata di pagare a vista la
somma in esso indicata presso qualsiasi sportello
della Banca medesima
Strumento generalmente utilizzato dalla Pubblica
Amministrazione per effettuare operazioni di
pagamento
Servizi di pagamento automatici
e operazioni di incasso
Il bancogiro ed il bonifico bancario sono degli
ordini di accreditamento impartiti da un soggetto
ad una banca a favore di un proprio conto
corrente o quello di un terzo
Per il bonifico non è necessario l’addebito di un
conto corrente in quanto può essere regolato
anche per cassa. I costi di tali servizi sono
costituiti dalle condizioni contrattuali previste
dalla banca nonché dai giorni di valuta necessari
per la disponibilità delle somme
Servizi di pagamento automatici
e operazioni di incasso
Le operazioni di incasso si classificano in:
RIBA (Ricevuta Bancaria elettronica)

RID (Rapporti Interbancari Diretti)

MAV (incassi Mediante Avviso)

Freccia Bollettino di conto corrente bancario


Servizi di pagamento automatici
e operazioni di incasso
La RIBA - RIcevuta BAncaria elettronica è una
procedura di incasso in cui il creditore fornisce
alla propria banca gli estremi della ricevuta
bancaria in via telematica.
I dati della Ricevuta vengono trasmessi in via
interbancaria alla banca del debitore che
provvederà a consegnare a quest’ultimo la stessa
su supporto cartaceo al momento del pagamento
Servizi di pagamento automatici
e operazioni di incasso
Il RID - Rapporto Interbancario Diretto prevede
un servizio di incasso sulla base di un ordine
permanente di addebito in conto corrente dato
dal debitore alla propria banca (domiciliataria).
La banca del creditore invia telematicamente le
disposizioni di incasso, ricevute dal proprio cliente,
alla banca domiciliataria che provvede al relativo
addebito
Servizi di pagamento automatici
e operazioni di incasso
Il MAV - incasso Mediante AVviso prevede l’invio
di un modulo direttamente al domicilio del
debitore il quale provvederà al pagamento
mediante uno sportello bancario o postale (anche
telematicamente – home banking)
Il freccia bollettino di conto corrente prevede
l’invio di un bollettino precompilato direttamente
al domicilio del debitore il quale provvederà al
pagamento presso qualsiasi sportello bancario in
contanti o con addebito di conto corrente
Le carte di pagamento

Le carte di pagamento costituiscono uno


strumento sostitutivo della moneta, sono tessere
di plastica dotate di tecnologia microchip e
consento di regolare transazioni commerciali,
effettuare disposizioni di pagamento sul conto
monetario e ottenere servizi informativi.
Il servizio di pagamento delle carte genera un
ordine di addebitamento
Le carte di pagamento

Per poter regolare direttamente transazioni


commerciali, l’esercente deve essere dotato di
appositi terminali (POS – Point Of Sale) capaci di
riconoscere le informazioni contenute nella carta
e ricevere autorizzazione ad accettare il
pagamento.
Le carte di pagamento

Con riferimento al momento di addebito del


pagamento le carte possono essere classificate in:
Carte di credito, con addebito successivo
all’acquisto
Carte di debito, con addebito contestuale
all’acquisto
Carte prepagate, con addebito antecedente
all’acquisto
Le carte di pagamento

Le carte di credito, sono rilasciate dalla società


emittente (al richiedente) sulla base di un
apposito contratto e vengono utilizzate,
prevalentemente, al fine di regolare gli acquisti di
beni e servizi presso gli esercenti autorizzati e di
prelevare il denaro contanti (anticipo contanti)
presso gli sportelli ATM (Automated Taller
Machine) aderenti al circuito della società
emittente.
Le carte di pagamento

A determinate scadenze (usualmente mensili), la


società emittente invia un estratto conto delle
spese effettuate e degli anticipi contanti richiesti, il
titolare della carta ha l’obbligo di regolare
l’importo complessivo mediante l’addebito del
proprio conto corrente o con altri mezzi.
Il pagamento avviene, pertanto, con addebito
successivo (pay later) alla transazione, con un
ritardo medio (usualmente) di 15 giorni.
Le carte di pagamento

In molti casi, le carte consentono di associare un


servizio di credito al consumo che permette di
rateizzare l’importo dell’estratto conto, dietro il
pagamento di un tasso d’interesse.

Il titolare della carta è tenuto al pagamento di una


commissione annuale che varia a seconda della
tipologia di carta e delle condizioni contrattuali.
Le carte di pagamento

L’esercente che riceve il pagamento mediante


carta di credito, è sollevato dal rischio di
insolvenza del titolare della carta. Infatti, se la
transazione è accettata, il rischio è traslato sulla
società emittente la carta che garantisce il
pagamento all’esercente. Per tale servizio,
l’esercente paga una commissione alla società
emittente, in percentuale della somma riscossa.
Le carte di pagamento

Le carte di debito hanno le medesime forma e


tecnologia delle carte di credito (dal 2010 tutte le
carte di credito e debito hanno tecnologia
microchip), consentono ai correntisti bancari o
postali, di ottenere una serie di servizi informativi
e dispositivi relativi al conto a cui la carta è
associata.
Le carte di pagamento

Come per le carte di credito, quelle di debito


possono essere utilizzate per regolare i pagamenti
presso gli esercenti dotati di POS e di prelevare
denaro contante preso gli ATM bancari e postali
nazionali e esteri se convenzionati con il circuito a
cui aderisce la carta. Entrambe le funzione sono
consentite nell’ambito delle disponibilità del
conto corrente e, generalmente, entro un limite
(plafond) giornaliero e mensile
Le carte di pagamento
A differenza delle carte di credito, le carte di
debito sono dei servizi a pagamento immediato
(pay now), in quanto il giorno di valuta in cui
viene addebitato il conto è il medesimo di quello
in cui viene effettuato il pagamento o il prelievo
contanti.
Il titolare della carta paga una commissione
annuale, in alcuni casi sono previste altresì delle
commissioni su prelievo contanti presso ATM non
appartenenti al circuito dell’emittente.
Le carte di pagamento

Le carte prepagate, sono dei servizi a pagamento


anticipato (pay before), in quanto esse vengono
rilasciate a fronte di un versamento di contanti (o
di addebito) delle disponibilità della carta su un
conto aperto presso l’emittente. La carta,
pertanto, è dotata di un credito a scalare che si
riduce per effetto delle successive transazioni
(pagamenti e prelievi)
Le carte di pagamento
Con riferimento alla loro spendibilità, le carte
prepagate possono classificarsi come:
Carte monouso, nel caso siano spendibili solo
presso l’emittente
Carte a spendibilità generalizzata, qualora siano
utilizzabili presso tutti gli esercenti convenzionati
con il circuito dell’emittente
Qualora non sia possibile ricaricarle si definiscono
“usa e getta”, nel senso che sono utilizzabili fino
ad esaurimento delle disponibilità
Le carte di pagamento
Tali carte consentono di poter effettuare
pagamenti non in contante senza dovere
necessariamente aprire un conto corrente e essere
assoggettato ad alcuna valutazione di merito per
l’ottenimento.
Il costo è dato dall’esborso anticipato delle
disponibilità della carta, rinunciando agli interessi
su di esse maturandi fino alle date di effettivo
pagamenti o prelievi
Lezione
“Gli strumenti di debito, i Titoli
di Stato”
Obiettivi

Classificare i titoli di debito e analizzare le


loro caratteristiche
Strumenti di debito
Il titoli di debito sono strumenti rappresentativi
del debito dell’emittente nei confronti del
sottoscrittore (creditore).

I titoli di debito (obbligazioni) sono titoli di massa


che rappresentano frazioni uguali di un prestito
unitario, emessi con la finalità di reperire risorse
finanziare a medio-lungo termine.
Strumenti di debito

L‘emissione dei titoli di debito consente il


reperimento di risorse finanziarie da parte dei
soggetti in deficit finanziario mediante la
sottoscrizione degli stessi da parte dei soggetti in
surplus, dietro una remunerazione quale prezzo
per il rischio
Strumenti di debito

Il debito contratto dall’emittente è pari al valore


nominale del titolo maggiorato degli interessi che
matureranno nel periodo intercorrente tra
l’emissione e la scadenza del titolo medesimo
Strumenti di debito
Nel caso in cui prima della scadenza non sia
previsto il pagamento degli interessi, il titolo si
definisce zero coupon (senza cedola) e il suo
rendimento è dato dalla differenza tra il valore
nominale, rimborsato alla scadenza, ed il prezzo di
acquisto
Nel caso in cui il titolo preveda dei pagamenti
periodici degli interessi prima della scadenza, il
titolo si definisce coupon bond (con cedola)
Strumenti di debito
Nei coupon bond, il tasso di interesse (tasso
cedolare) è predefinito, può essere fisso o
variabile ed è calcolato sul valore nominale del
titolo
Il valore nominale del titolo costituisce
l’ammontare da rimborsare alla scadenza ed è
convenzionalmente posto pari a 100
Il prezzo di acquisto è il prezzo di sottoscrizione ed
espresso in percentuale del valore nominale
Strumenti di debito
Il prezzo di emissione di un titolo può essere:
alla pari, sopra la pari o sotto la pari nel caso in
cui tale prezzo sia pari, superiore o inferiore al
valore nominale (a 100) del titolo stesso
La quotazione di un titolo viene effettuata:
al corso secco, pari al valore capitale del titolo,
senza tenere conto dell’eventuale rateo di
interessi, maturati dal pagamento dell’ultima
cedola fino alla data di compravendita;
al corso tel quel, pari al corso secco più il rateo
Strumenti di debito
I titoli zero coupon sono sempre quotati al corso
tel quel, quelli con cedola al corso secco, a cui è
necessario aggiungere il rateo per determinare il
prezzo di acquisto pieno (l’esborso finanziario
effettivo per l’acquirente)

Si definiscono obbligazioni societarie (corporate


bond) i titoli emessi dalle imprese e dalle banche,
quelli emessi dallo Stato e dagli Enti Pubblici si
definiscono titoli di Stato (Government Bond)
Valutazione del rendimento del
titolo obbligazionario
Le scelte d’investimento dei titoli obbligazionari
devono essere effettuate contemplando il profilo
di rischio/rendimento di ciascuno strumento
A tal fine, la valutazione della redditività attesa da
un titolo obbligazionario a tasso fisso, può essere
effettuata calcolando il Tasso di Rendimento
Effettivo a Scadenza (TRES), pari a quel tasso che
eguaglia la sommatoria del valore attuale dei
flussi di cassa futuri generati dal titolo al prezzo
di acquisto (tel quel) del titolo stesso
Valutazione del rendimento del
titolo obbligazionario
In formula
Ft
Corso tel quel = VA = -------------------------
t
t =1 (1+TRES)

VA = Valore attuale della sommatoria dei flussi di


cassa futuri
Ft = flussi di cassa generati dal titolo al tempo t
TRES = Tasso di Rendimento Effettivo a Scadenza
Valutazione del rendimento del
titolo obbligazionario

Le variabili contemplate da tale formula sono:


Il corso d’acquisto del titolo (corso tel quel)
Il valore nominale di rimborso
L’entità e periodicità della cedola e suo
reinvestimento al medesimo tasso
La vita residua del titolo e la valutazione
temporale di ogni suo flusso
Valutazione del rendimento del
titolo obbligazionario
Il TRES ha dunque il merito di considerare
congiuntamente tutte le componenti di reddito e
ponderarle per il tempo nel quali si manifestano,
consentendo di attribuire a ciascuno di essi il reale
valore finanziario rispetto al prezzo di acquisto.
Tale metodologia presenta però anche dei limiti
poiché è basata su due ipotesi teoriche:
mantenimento del titolo fino alla scadenza
reinvestimento continuo delle cedole maturate
ad un tasso pari al TRES
Valutazione del rendimento del
titolo obbligazionario
Talvolta, però, le ipotesi teoriche non trovano
conferma nella realtà, poiché un investitore nella
determinazione del rendimento di un titolo
obbligazionario con cedola è soggetto a due
differenti rischi:
l’incertezza sui livello di tassi al quale potrà
reinvestire le cedole maturate;
oscillazione del corso del titolo in relazione al
variare dei tassi di mercato che può esporre al
rischio di prezzo
Valutazione del rendimento del
titolo obbligazionario
Il TRES si differenzia pertanto dal tasso cedolare
ed è pari ad esso solo nel caso in cui il titolo è
scambiato alla pari
Per i titoli quotati sopra la pari il TRES sarà
inferiore al tasso cedolare
Per i titoli quotati sotto la pari il TRES sarà
maggiore del tasso cedolare
Esiste pertanto una relazione inversa tra prezzo
del titolo e rendimento effettivo a scadenza
Valutazione del rendimento del
titolo obbligazionario
Ne deriva che a variazioni del tasso d’interesse i
titoli di debito subiscono oscillazioni del
prezzo(rischio di tasso d’interesse) e ciò aumenta
all’aumentare della vita residua del titolo

Per misurare tale esposizione bisogna calcolare la


durata media finanziaria (duration) del titolo e
rappresenta altresì il tempo di rientro del prezzo
pagato dall’investitore per l’acquisto del titolo
medesimo
Valutazione del rendimento del
titolo obbligazionario
La duration è pari alla media aritmetica delle
scadenze, ponderata dall’incidenza di ciascun
flusso finanziario attualizzato sul prezzo di
acquisto
Ft
T t
(1+TRES)
Duration = Scadenze X
t =1
Prezzo tel
quel
Valutazione del rendimento del
titolo obbligazionario
Gli elementi che influenzano la duration sono:
la durata (al suo aumentare aumenta la
volatilità del prezzo)
dimensione della cedola (inversamente
proporzionale alla volatilità del titolo)
periodicità della cedola (inversamente
proporzionale alla volatilità del titolo)
il tasso di rendimento (inversamente
proporzionale alla volatilità del titolo)
I titoli di Stato
(Government bond)
I titoli di Stato sono le obbligazioni con le quali lo
Stato finanzia il debito pubblico e la loro
emissione avviene mediante collocamento ad aste
a cui possono partecipare unicamente le banche
e gli intermediari finanziari
Fiscalmente i titoli di Stato sono assoggettati ad
aliquota fissa del 12,50 % a cui va aggiunta
l’imposta di bollo proporzionale applicata al
“conto titoli” intrattenuto presso l’intermediario
finanziario
I titoli di Stato
(Government bond)
I titoli di Stato sono classificabili nelle seguenti
cinque categorie:

BOT (Buoni Ordinari del Tesoro)


CTZ (Certificati del Tesoro zero coupon)
BTP (Buoni del Tesoro Poliennali)
BTPI (Buoni del Tesoro Poliennali Indicizzati)
CCT (Certificato di Credito del Tesoro)
I titoli di Stato
(Government bond)

I BOT (Buoni Ordinari del Tesoro) sono titoli


senza cedola (Zero coupon) con durata di 3, 6, 12
mesi, emessi sotto la pari, il cui collocamento
viene effettuato due volte al mese con il
meccanismo dell’“asta competitiva”
Gli investitori possono acquistare tali titoli presso
banche o altri intermediari finanziari previa
prenotazione fino al giorno antecedente l’asta
I titoli di Stato
(Government bond)
Il prezzo di acquisto sarà quello medio ponderato
dell’asta maggiorato delle commissioni di
negoziazione

Le caratteristiche dei BOT li rendono adatti ad un


profilo d’investitore caratterizzato da elevata
avversione al rischio e per esigenze di breve
periodo
I titoli di Stato
(Government bond)
Il CTZ (Certificati del Tesoro zero coupon) sono
titoli privi di cedola, con scadenza 24 mesi

Il collocamento viene effettuato in concomitanza


della seconda emissione mensile dei BOT,
mediante aste a “prezzo marginale”, per le quali
ciascun intermediario aggiudicatario dovrà
corrispondere il prezzo proposto
I titoli di Stato
(Government bond)
I BTP (Buoni del Tesoro Poliennali) sono titoli di
lungo termine con durata pari a 3, 5, 10, 15 e 30
anni e con cedola semestrale a tasso fisso

Sono emessi con aste periodiche quindicinali a


“prezzo marginale”. Ricorrenti sono le cosiddette
“riaperture” mediante le quali vengono riproposti
titoli non collocati nelle aste precedenti
I titoli di Stato
(Government bond)
I BTP offrono un profilo di rischio basso con
rendimenti di lungo periodo

La liquidità del mercato di tale titolo consente un


facile smobilizzo dello stesso prima della
scadenza anche se espone il risparmiatore al
rischio di tasso di interesse, con conseguenti
effetti sul prezzo del titolo
I titoli di Stato
(Government bond)
I BTPI (Buoni del Tesoro Poliennali indicizzati)
sono titoli di lungo termine con durata pari a 5,
10, e 30 anni, con cedola semestrale indicizzata
all’IAPC (Indice Armonizzato dei Prezzi al
Consumo dell’area EURO) di Eurostat

Il rendimento cedolare è a tasso fisso calcolato


sul valore del capitale rivalutato in base
all’andamento dell’inflazione
I titoli di Stato
(Government bond)
Il CCT (Certificati di Credito del Tesoro) sono
obbligazioni di medio lungo termine con durata
pari a 7 anni, con cedola semestrale, il cui
rendimento è indicizzato al rendimento dei BOT a
sei mesi. Il tasso cedolare è difatti ancorato al
rendimento dei BOT in scadenza nell’ultima asta
antecedente l’inizio della maturazione della cedola
del CCT, maggiorato di uno spread (pari allo
0,15%) quale premio per il rischio dovuto alla
maggiore durata
Lezione
“Le obbligazioni societarie
(corporate bond) e gli
strumenti di partecipazione”
Obiettivi

Analizzare le caratteristiche delle obbligazioni


societarie (corporate bond)

Conoscere gli strumenti di partecipazione


Le obbligazioni societarie
(Corporate bond)
Le obbligazioni societarie sono i prestiti
obbligazionari emessi dalle società

Con la riforma societaria del 2004, il legislatore ha


inteso dare un forte impulso a tale tipologia di
titoli, prevedendo l’ordinarietà della decisione
afferente la loro emissione, attribuendola
all’organo amministrativo e non più ai soci
Le obbligazioni societarie
(Corporate bond)

Attualmente il limite di importo all’emissione dei


titoli obbligazionari è pari a “due volte la somma
di capitale sociale sottoscritto, riserva legale e
riserve disponibili risultante dall’ultimo bilancio
approvato” (non si applica alle banche)
Le obbligazioni societarie
(Corporate bond)
Tale limite, anch’esso introdotto dalla riforma del
2004, deve essere rispettato fino all’estinzione del
prestito obbligazionario ad eccezione di alcuni
casi:
 titoli emessi da società quotate ovvero
destinati alla sottoscrizione da parte di investitori
professionali soggetti a vigilanza;
in presenza di immobili posti a garanzia
dietro autorizzazione governativa.
Le obbligazioni societarie
(Corporate bond)
Nel caso in cui il suddetto limite fosse superato
per effetto della riduzione del capitale / riserve
per la copertura di perdite, la società ha il divieto
di distribuire gli utili fino alla ricostituzione
dell’ammontare pari alle obbligazioni esistenti
Anche le S.r.l., qualora l’atto costitutivo lo preveda,
possono emettere titoli di debito con la
limitazione che gli unici soggetti legittimati a
sottoscriverli siano gli investitori professionali
sottoposti a vigilanza
Le obbligazioni societarie
(Corporate bond)
L’emissione del prestito obbligazionario è
sottoposto ad una comunicazione alla Banca
d’Italia (art. 129 TUB) la quale ha facoltà di
differire o vietare l’emissione stessa
Tale potere non è discrezionale, deve essere
esercitato solo qualora:
L’importo dell’emissione risulti incompatibile
con le dimensioni e le condizioni del mercato;
Le obbligazioni societarie
(Corporate bond)
i titoli offerti non siano conformi alla
regolamentazione vigente o a criteri di
comprensibilità;
nel caso di titoli esteri, sia impossibile accertare
l’esistenza nel Paese dell’emittente di una
disciplina analoga a quella prevista
nell’ordinamento italiano
Numerosi obblighi sono, inoltre, previsti dal TUF nel
caso di emissioni e collocamenti obbligazionari
attraverso un’offerta al pubblico di prodotti
Le obbligazioni societarie
(Corporate bond)
Le obbligazioni societarie sono classificabili in:
ordinarie e strutturate
Nel primo caso, si tratta di titoli semplici con
cedole fisse o variabili e rimborsi del capitale alla
scadenza
Nel secondo caso, sono spesso la somma di più
strumenti finanziari in cui è distinguibile
un’obbligazione principale e uno o più titoli
accessori
Le obbligazioni societarie
(Corporate bond)
Rappresentano titoli obbligazionari strutturati le
obbligazioni convertibili e quelle cum warrant
Le obbligazioni convertibili consentono al
possessore di trasformarle, ad una determinata
scadenza, in titoli azionari, modificando il proprio
status da creditore a socio dell’impresa
Le obbligazioni societarie
(Corporate bond)
Le obbligazioni cum warrant concedono il diritto
all’obbligazionista di acquistare titoli azionari a
condizioni prefissate, entro un dato lasso
temporale
Con riferimento al rimborso distinguiamo:
Titoli a rimborso integrale alla scadenza
Titoli a rimborso graduale mediante estrazione
a sorte delle obbligazioni da rimborsare ovvero
mediante riacquisto da parte dell’emittente
Le obbligazioni societarie
(Corporate bond)
Titoli a rimborso mediante offerta pubblica di
acquisto oppure mediante richiesta
dell’emittente prima della scadenza
Titoli che prevedono la facoltà di rimborso
anticipato a favore dell’investitore
Con riferimento alla remunerazione i titoli
possono essere a tasso fisso e a tasso variabile.
In alcuni casi, le cedole a tasso fisso possono
essere crescenti (step up) o decrescenti (step
down)
Le obbligazioni bancarie

Le Banche rappresentano in Italia il principale


emittente titoli obbligazionari
La Banca d’Italia, con le Istruzioni di vigilanza per
le Banche, stabilisce, tra l’altro, una serie di
caratteristiche che devono essere possedute
dalle obbligazioni bancarie:
Taglio minimo unitario non inferiore a 100.000
euro;
Le obbligazioni bancarie
 si deroga a tale limite, arrivando fino 1.000
euro di taglio minimo, nel caso in cui l’emissione
è pari o superiore a 150 milioni di euro ovvero
che la banca emittente abbia puntuali requisiti
patrimoniali e reddituali certificati (p.d.v. almeno
di 25milioni di euro, ultimi tre esercizi in utile,
ultimo bilancio certificato)
La durata originaria minima non sia inferiore a
36 mesi, ovvero inferiore a 36 mesi purché la
durata media non risulti inferiore a 24 mesi
Le obbligazioni bancarie

 il rimborso anticipato da parte della Banca


emittente non può avvenire prima che siano
trascorsi 18 mesi dalla data di chiusura del
periodo di offerta dell’ultima
tranche/collocamento
nel caso il rimborso anticipato sia richiesto dal
sottoscrittore il suddetto limite sale a 24 mesi
Le obbligazioni bancarie

Le previsioni del Testo Unico della Finanza per


l’appello al pubblico risparmio stabiliscono, per le
banche, l’obbligo di redigere un prospetto
informativo per l’emissione dei prestiti
obbligazionari, ad eccezione dei casi in cui:
sono rivolte ai soli investitori qualificati;
sono rivolte ad un numero di sottoscrittori
diversi dagli investitori istituzionali non superiore
a 150;
Le obbligazioni bancarie
sono di ammontare non superiore a quello
indicato dalla CONSOB;
riguardano strumenti finanziari diversi dai titoli
di capitale emessi in modo continuo e ripetuto
dalle banche, non devono essere subordinati,
convertibili o scambiabili e non devono conferire
diritti su altri strumenti finanziari anche derivati e
devono essere coperti da un sistema di garanzie
dei depositi in base a quanto stabilito
puntualmente a riguardo dal TUB
Le obbligazioni bancarie
riguardano strumenti finanziari diversi dai titoli
di capitale emessi da uno Stato membro
dell’Unione Europea o da organismi
internazionali a carattere pubblico, a cui
partecipano uno più Stato membro

Non si tratta di offerta pubblica di strumenti


finanziari nel caso di raccolta di depositi bancari o
postali senza emissione di strumenti finanziari
Gli strumenti di partecipazione

I titoli azionari sono strumenti finanziari


rappresentativi della partecipazione al capitale di
una società, attribuendo la qualità di socio al
possessore (o titolare) delle stesse.
L’azione da il diritto al socio di partecipare agli
utili e alle perdite (rischi) derivanti dall’attività di
impresa costituita nella forma societaria per
azioni, in accomandita per azioni o cooperativa a
responsabilità limitata
Gli strumenti di partecipazione
Ciascuna azione rappresenta una stessa frazione
del capitale sociale e pertanto ciascuna azione ha
il medesimo valore nominale.
Il valore contabile dell’azione è, viceversa, pari al
valore dell’intero patrimonio netto della società
diviso il numero delle azioni in circolazione
Il valore di mercato è dato dal prezzo che si forma
tra domanda e offerta di mercato ed è influenzato
oltre che dall’andamento attuale dell’impresa
anche (e soprattutto) dalle potenzialità future
Gli strumenti di partecipazione
Le azioni sono generalmente nominative,
riportando il nome del titolare nell’intestazione,
nel caso di “azioni di risparmio” e di quelle
emesse dalle SICAV, viceversa, le azioni sono “al
portatore” nel senso che basta il semplice
possesso del titolo per godere dei diritti
amministrativi e patrimoniali da esso derivante
In caso di azioni nominative lo scambio deve
avvenire mediante girata autenticata da un
notaio
Gli strumenti di partecipazione

I titoli azionari quotati, viceversa, godono della


dematerializzazione e pertanto il loro
trasferimento è meramente contabile sui conti
della gestione accentrata presso Monte Titoli SpA
(gestita da Borsa Italiana SpA) che provvede
all’accredito del conto titoli dell’acquirente e
contestuale addebito di quello del venditore
Gli strumenti di partecipazione
I diritti patrimoniali derivanti dal possesso delle
azione sono rappresentati:
 dalla partecipazione agli utili (dividendi) che
avverrà solo dopo che siano stati soddisfatti tutti
gli stakeholder dell’impresa e qualora non sia
previsto il loro reinvestimento, e soprattutto che
l’impresa sia stata in grado di generali, in caso
contrario la partecipazione sarà alle perdite della
stessa.
Gli strumenti di partecipazione
Non esiste alcuna obbligazione dell’impresa ad
assicurare un rendimento al titolare del titolo
azionario che è, pertanto, assoggettato al rischio
d’impresa
 dalla restituzione del capitale investito che
interverrebbe solo in caso di liquidazione della
società oppure in caso di scambio del titolo
azionario e, in entrambi i casi, sempre a
condizione di ottenere un valore superiore al
prezzo di acquisto
Gli strumenti di partecipazione
I diritti di natura amministrativa associati al
possesso dei titoli azionari, riguardano
sostanzialmente il diritto di voto nell’assemblea
ordinarie e straordinarie, l’impugnazione delle
delibere contrarie alla legge e/o allo statuto,
l’approvazione dei bilanci. Alcuni diritti sono
considerati di natura mista, in quanto sono sia
patrimoniali che amministrativi (es. il diritto di
opzione in caso di aumento del capitale, il diritto
di recesso in caso di variazione dell’oggetto
sociale)
Gli strumenti di partecipazione
Oltre alle azioni ordinarie che godono dei diritti
patrimoniali e amministrativi pieni, esistono altre
tipologie di azioni caratterizzate da alcune
limitazioni:
Le azioni di risparmio che possono essere emesse
solo da società quotate in Italia o altri Paesi
dell’UE, godono di alcuni privilegi patrimoniali,
indicati da ciascuna società nel proprio atto
costitutivo ma scontano una totale assenza del
diritto di voto
Gli strumenti di partecipazione
Le azioni privilegiate, godono anch’esse di
privilegi nella ripartizioni degli utili e nella
restituzione del capitale in caso di liquidazione
della società, ma scontano altrettanto limitazioni
nei diritti amministrativi da esse derivanti
Le preferred shares, infine beneficiano di un
dividendo prefissato e obbligatoriamente
corrisposto alla chiusura dell’esercizio e
privilegiato rispetto alle azioni ordinarie
Lezione
“Le misure del rendimento e
del rischio dei titoli azionari”
Obiettivi

Analizzare i modelli di misurazione


rendimento e del rischio dei titoli azionari
Il rendimento ed il rischio dei
titoli azionari
Il rendimento di un titolo azionario è dato dal:
dividendo periodicamente distribuito dalla
società (nel caso in cui l’esercizio abbia prodotto
un utile e l’assembla dei soci abbia deciso di
distribuirlo, in tutto o in parte);
dal capital gain pari all’eventuale differenza
positiva tra il prezzo di vendita (o derivante da
liquidazione della società) e prezzo di acquisto (o
sottoscrizione) dell’azione
Il rendimento ed il rischio dei
titoli azionari
Limitatamente al rendimento prodotto da un
titolo azionario in un anno si può ricorrere alla
nozione di tasso di rendimento annuo (r):

r = Div1 + P1- P0
P0

Div1 = dividendi all’anno 1


P1 = prezzo di vendita del titolo azionario
P0 = prezzo di acquisto del titolo azionario
Il rendimento ed il rischio dei
titoli azionari
Qualora la valutazione sia da riferirsi ad un
periodo superiore all’anno allora è necessario
calcolare il tasso di rendimento interno:
P0 = Div1 + Div2__ 2 + ……. + Divn + Pnn
1 + r (1 + r) (1 + r)

n
Divt__ + Pn__ n
P0 = ∑ t
t=1 (1 + r) (1 + r)

Quel tasso che rende il VA dei flussi di cassi futuri


pari al prezzo di acquisto del titolo
Il rendimento dei titoli azionari:
attualizzazione dei dividendi
Se si assume che un’impresa non abbia fine
(escludendo i casi di fallimento ed acquisizione),
avremo che con (n) che tende ad infinito, il
valore attuale di (Pn) tenderà a (0) e la precedete
formula diverrà:

Divt__
P0 = ∑ t
t=1 (1 + r)

Il prezzo dell’azione sarà dato dalla sommatoria


dei valori attuali dei soli dividendi futuri
Il rendimento dei titoli azionari:
attualizzazione dei dividendi
Ipotizzando ancora che i dividendi siano tutti
pari al primo (Div1) la formula precedente
potrebbe essere riscritta come valore di una
rendita perpetua di ammontare pari a (Div1):
Div1__
P0 =
r
Tale approssimazione, tuttavia, non è
riscontrabile nella realtà per la natura stessa dei
dividendi, il cui importo è invece tipicamente
incerto e incostante nel suo verificarsi
Il rendimento dei titoli azionari:
attualizzazione dei dividendi
Per contemplare tale caratteristica, nella pratica
viene comunemente utilizzato un tasso di crescita
costante dei dividendi futuri (g), da cui la
precedente formula si modifica in:
Div1__
P0 =
r-g

che consente di determinare oltre al valore, il


rendimento (r) di un titolo azionario in presenza
di un tasso di crescita (g) del dividendo,
Il rendimento dei titoli azionari:
attualizzazione dei dividendi
risolvendo la seguente semplice equazione:

r = Div1__ + g
P0
Il tasso di crescita dei dividendi (g) è influenzato
dalle politiche di distribuzione degli stessi,
adottate dalle imprese, e può essere calcolato
come il prodotto tra il ROE (Return On Equity) ed il
grado di ritenzione degli utili (1- Payout)
Il rendimento dei titoli azionari:
attualizzazione dei dividendi
Per Payout si intende il tasso di distribuzione degli
utili ed è pari al rapporto tra i dividendi (Div) e gli
utili per azione (EPS – Earnings Per Share)

Pertanto in formula il tasso di crescita (g) è pari:


g = ROE x payout ratio = ROE x (1- Div/EPS)

EPS = Utile netto/numero delle azioni


ROE = Utile netto/patrimonio netto
Il rendimento dei titoli azionari:
attualizzazione dei dividendi
Nelle ipotesi fin qui effettuate si è ipotizzato che il
tasso di crescita sia costante, ma nella pratica
l’andamento della crescita dei dividendi è difforme
nel tempo.
A tale fine, si possono utilizzare modelli definiti
multistadio nel senso che ipotizzano più stadi
(generalmente tre) in cui suddividere la durata del
titolo, ciascuno caratterizzato da un differente
grado di crescita dei dividendi (g1, g2 e g3)
Il rendimento dei titoli azionari:
attualizzazione dei dividendi
Nelle ipotesi fin qui effettuate si è ipotizzato che il
tasso di crescita sia costante, ma nella pratica
l’andamento della crescita dei dividendi è difforme
nel tempo.
A tale fine, si possono utilizzare modelli definiti
multistadio nel senso che ipotizzano più stadi
(generalmente tre) in cui suddividere la durata del
titolo, ciascuno caratterizzato da un differente
grado di crescita dei dividendi (g1, g2 e g3)
Il rendimento dei titoli azionari:
i multipli di mercato

Le tecniche di valutazione dei prezzi futuri dei


titoli azionari si dividono tra quelle che si basano
sui cosiddetti fondamentali dell’azienda a cui si
riferiscono (analisi dei fondamentali) e quelle che
si basano sull’andamento delle serie storiche dei
titoli per individuarne le tendenze (analisi
tecnica).
Il rendimento dei titoli azionari:
i multipli di mercato
L’analisi dei fondamentali si basa sul presupposto
che la capacità di un’azienda di produrre redditi
futuri sia funzione degli aspetti fondamentali
quali:
Il suo grado d’indebitamento;
Il tasso di crescita dimensionale;
la solidità patrimoniale ed il grado di solvibilità;
la capacità di produrre flussi di cassa futuri
Il rendimento dei titoli azionari:
i multipli di mercato
Tale analisi si fonda sull’assunto teorico in base al
quale il prezzo di un’azione riflette i flussi di cassa
attesi ed il valore attuale di tali flussi esprime il
valore intrinseco dell’azione
Qualora il valore di mercato di un azione sia
diverso dal valore intrinseco l’azione sarà:
Sopravvalutata e tenderà a diminuire se il valore
di mercato supera quello intrinseco;
Sottovalutata e tenderà a salire, nel caso opposto
Il rendimento dei titoli azionari:
i multipli di mercato
In altri casi è possibile confrontare il valore di un
azione di una singola azienda con quelle di
aziende simili o appartenenti al mercato

Per poter essere comparabili è necessario, però,


ridurre il valore assoluto da confrontare in
rapporti definiti “multipli”.
Il rendimento dei titoli azionari:
i multipli di mercato
I principali multipli sono:
P/E - Price to earnings ratio, in cui il prezzo
dell’azione viene rapportato all’utile unitario

P/BV – Price to book value ratio, che rapporta il


prezzo dell’azione al suo valore contabile

P/S - Price to sales ratio, in cui il prezzo


dell’azione è rapportato ai ricavi delle vendite
Lezione
“Gli strumenti assicurativi e del
risparmio gestito”
Obiettivi

Analizzare i contratti assicurativi e gli


strumenti del risparmio gestito
I contratti assicurativi

Il rischio puro è legato a quegli eventi il cui


manifestarsi è poco probabile ma produce effetti
dannosi molto rilevanti economicamente. Si
differenzia dal concetto di rischio speculativo in
cui minacce e opportunità sono speculari ed
assumono la medesima probabilità di
manifestarsi
Un esempio di rischio puro sono il verificarsi di un
incendio, furto e in genere tutti gli eventi
catastrofici
I contratti assicurativi

Il rischio puro può essere coperto dai contratti


assicurativi che trasferiscono gli effetti dannosi
legati al verificarsi dell’evento in capo ad un
soggetto diverso da colui che ha subito l’evento,
la compagnia di assicurazione, a fronte del
pagamento di un premio periodico da parte
dell’assicurato
I contratti assicurativi

Il meccanismo è di tipo mutualistico in quanto la


compagnia di assicurazione, affidandosi alla
probabilità che l’evento dannoso non si verifichi
nello stesso momento a carico di tutti gli
assicurati, trasla l’onere del danno da coloro che
lo hanno subito in capo a tutti gli assicurati che
versano una quota periodica modesta (rispetto al
danno assicurato)
I contratti assicurativi
I contratti di assicurazione coinvolgono più
soggetti:
La compagnia di assicurazione;
Il contraente, colui che contrae il contratto e
paga il premio periodico;
L’assicurato, il soggetto in capo al quale può
verificarsi l’evento dannoso;
Il beneficiario, colui a cui sarà corrisposto il
risarcimento del danno da parte della compagnia
assicurativa.
I contratti assicurativi

Nei contratti più semplici e diffusi, il contraente,


l’assicurato ed il beneficiario sono la medesima
persona.
In altri casi, il contratto può prevedere che un
soggetto contraente assicuri il danno che
riguardi un terzo diverso da colui che riceverà
l’indennizzo (beneficiario)
I contratti assicurativi

L’entità del premio periodico da corrispondere


varia in funzione di diversi fattori:
Probabilità che si verifichi l’evento dannoso;
L’entità del risarcimento da corrispondere al
beneficiario;
L’entità dei costi operativi e commerciali della
compagnia di assicurazione;
Il margine di profitto della compagnia e la
relativa tassazione.
I contratti assicurativi

I contratti di assicurazione sono comunemente


distinti in ramo vita e ramo danni.

I primi riguardano eventi dannosi afferenti la vita


dell’assicurato (caso morte e caso vita) e
rappresentano altresì un investimento perché
assicurano il pagamento di un capitale o una
rendita legato al verificarsi di un evento della vita
umana
I contratti assicurativi

I secondi si riferiscono all’indennizzo del


beneficiario al verificarsi di un danno economico
patrimoniale dello stesso

A titolo di esempio: le polizze incendio, furto o


responsabilità civile
Organismi di investimento
collettivo del risparmio
L’art. 1, lett. m, del TUF definisce quali organismi
di investimento collettivo del risparmio (Oicr) i
fondi comuni di investimento e le Società
d’Investimento a CApitale Variabile (SICAV)

Tali strumenti si caratterizzano per la raccolta del


risparmio da più soggetti e l’investimento in
modo collettivo delle risorse in strumenti
finanziari
Organismi di investimento
collettivo del risparmio
Attraverso tali strumenti si persegue il fine di
efficientare il processo di investimento e
gestione del risparmio che si compone di una
serie di attività che richiedono:
conoscenza delle alternative di investimento
competenze nella definizione dei profili di
rischio-rendimento più appropriati
definizione degli orizzonti temporali ottimali
monitoraggio dell’investimento medesimo
Organismi di investimento
collettivo del risparmio
Diviene pertanto, necessario affidarsi ad
organismi specializzati nell’attività di asset
management sia per investimenti di grandi sia di
piccole dimensioni
Un investitore di ingenti patrimoni, attraverso
l’attività della società specializzata, potrà attuare
una più efficace diversificazione degli
investimenti in portafoglio massimizzando il
rendimento a parità di rischio
Organismi di investimento
collettivo del risparmio
Per gli investimenti di piccole dimensioni,
l’acquisto di una quota di un fondo comune o di
azioni di una SICAV consente di sfruttare i
vantaggi di un’efficace diversificazione al pari di
un investitore di ingenti patrimoni.
Organismi di investimento
collettivo del risparmio
La gestione collettiva del risparmio presuppone,
infatti, la raccolta del risparmio mediante
l’emissione e la sottoscrizione di quote di un
unico fondo comune che sarà istituito e gestito da
una società di gestione del risparmio (SGR)
ovvero mediante l’emissione e sottoscrizione
delle azioni di una SICAV
Fondi comuni di
investimento
Il fondo comune di investimento viene definito
dal TUF come “il patrimonio autonomo,
suddiviso in quote, di pertinenza di una pluralità
di partecipanti gestito in monte” che può essere
“sia aperto sia chiuso” e può “essere raccolto
attraverso una o più emissione di quote”
Fondi comuni di
investimento
Un fondo comune di investimento è definito:
Aperto, quando i sottoscrittori possono
chiedere il rimborso della quota in qualsiasi
momento, fermo restando le regole di
funzionamento del fondo medesimo
Chiuso, nel caso in cui il rimborso della quota
può avvenire solo a scadenze predeterminate
Fondi comuni di
investimento
Il fondo comune di investimento è istituito da
una Società di Gestione del Risparmio (SGR) e
gestito dalla medesima o da una terza SGR

Il capitale raccolto viene investito in strumenti


finanziari che vengono depositati presso una
banca depositaria, la quale ha altresì il compito
di controllare l’operato della SGR
Fondi comuni di
investimento
Le singole quote di cui si compone il fondo sono
costituite da certificati nominativi o al portatore
Il valore della singola quota è dato dal rapporto
tra il patrimonio netto del fondo e il numero
delle azioni in circolazione
q = Pn/N

q = valore unitario della quota


Pn = Patrimonio netto
N = Numero delle azioni in circolazione
Fondi comuni di
investimento
Il fondo comune è un patrimonio autonomo
rispetto sia ai sottoscrittori delle quote sia alla
SGR
Pertanto, i creditori di quest’ultima non possono
rivalersi sul fondo da questa gestita e i creditori
dei sottoscrittori delle quote possono rivalersi
nel limite della quota sottoscritta
Fondi comuni di
investimento
I rapporti tra i sottoscrittori delle quote e la SGR
sono regolamentati dal Regolamento del fondo
Alla SGR è delegata l’intera attività di gestione
del fondo e pertanto, il sottoscrittore rinuncia a
qualsiasi decisione gestionale
Le SGR, usualmente, istituiscono e gestiscono
fondi con caratteristiche di rischio differenti per
contemplare i diversi profili di rischio dei
sottoscrittori
Fondi comuni di
investimento
In ragione della presenza o meno di azioni nel
portafoglio di strumenti finanziari investiti è
possibile distinguere i fondi:
Di liquidità, che non possono investire in azioni
Obbligazionari, anch’essi non possono investire
in azioni ad eccezione di quelli misti dove la
quota di azioni non può eccedere il 20% del
portafoglio
Fondi comuni di
investimento
Bilanciati, dove la quota di azioni può essere
da un minimo del 10% ad un massimo del 90%
del portafoglio

Azionari hanno almeno il 70% del proprio


portafoglio costituito da azioni

Flessibili non hanno vincoli di asset class


allocation
SICAV
Le Società di Investimento a Capitale Variabile
(SICAV) sono società per azioni il cui scopo
esclusivo è l’investimento in strumenti finanziari
del proprio patrimonio, raccolto mediante la
sottoscrizione di azioni proprie da parte dei
risparmiatori
Il sottoscrittore delle azioni della SICAV è un
socio a tutti gli effetti potendo godere oltre che
dei diritti patrimoniali anche di quelli
amministrativi (esercizio del diritto di voto)
SICAV
Nelle SICAV vi è completa coincidenza tra il
capitale della società e i fondi raccolti
Le SICAV possono gestire autonomamente il
proprio capitale oppure può delegare una SGR
per la gestione

A differenza delle SGR, le SICAV non possono


gestire patrimoni individuali né istituire o gestire
fondi pensione
SICAV
Qualora gli investimenti effettuati dalle SICAV
riguardino più comparti si parla di SICAV
multicomparto ma ciascun patrimonio sarà
autonomo in ragione della diversa categoria di
azioni emesse
Queste ultime possono essere, anche per le SICAV,
nominative o al portatore e il loro valore è dato
dal rapporto tra il valore netto delle attività
detenute in portafoglio e il numero delle azioni
in circolazione
Lezione
“Gli strumenti finanziari
derivati a termine (forward e
future)”
Obiettivi

Analizzare i contratti derivati, effettuare una


loro classificazione
I contratti derivati

I contratti derivati sono dei contratti a termine, il


cui valore dipende dall’andamento del prezzo di
una o più attività sottostanti (underlying asset)
Le attività sottostanti possono avere natura
reale ovvero finanziaria
Nel primo caso il derivato viene qualificato come
commodity derivative, nel secondo caso come
financial derivative
I contratti derivati

Il TUF, all’art.1, commi 2 e 3, definisce gli


strumenti finanziari derivati, classificandoli in
ragione della differente natura e del diverso
contenuto contrattuale e possono essere
ricondotti alle seguenti macrocategorie:
Contratti a termine (o forward)
Contratti futures
Contratti di opzione
Contratti swap
I contratti derivati

I contratti derivati possono essere classificati


anche con riferimento alla modalità di
negoziazione degli stessi:
Derivati negoziati nei mercati regolamentati che
presentano caratteristiche standardizzate, tipiche
degli strumenti negoziati nei mercati organizzati
Derivati negoziati nei mercati OTC – Over The
Counter che presentano caratteristiche più
consone all’esigenze dei relativi contraenti ma
che scontano una minore negoziabilità
I contratti derivati

Afferiscono alla categoria dei derivati negoziati


nei mercati regolamentati i contratti futures e
alcune opzioni

Viceversa, sono derivati negoziati nei mercati


Over The Counter i contratti forward (come il
Forward Rate Agreement), gli swap e alcune
opzioni
I contratti derivati

I Derivati possono altresì essere classificati, con


riferimento al coinvolgimento dei contraenti, in:
Contratti derivati simmetrici, che generano
“prestazioni” ed “obblighi” per entrambi le parti
(futures, forward e swap)

Contratti derivati asimmetrici, consentono ad


una sola delle parti la scelta di dare esecuzione o
meno al contratto (options o warrant)
I contratti derivati

L’utilizzo dei derivati è concettualmente


finalizzato alla copertura di un rischio, in
prevalenza, finanziario ed in alcuni casi puro
(catastrofali o meterologici)
Tali contratti hanno altresì trovato larga
diffusione per usi più tipicamente speculativi
La sempre maggiore diffusione di tali strumenti
ha indotto le Autorità di vigilanza a dare
maggiore rilevanza a tali strumenti
Il Contratto forward

Il contratto forward è un tipico contratto a


termine tra due soggetti che si impegnano a
scambiarsi una data quantità di un bene ad una
determinata scadenza ad un prezzo stabilito alla
data di sottoscrizione del contratto (a pronti)
Il prezzo stabilito a pronti viene definito strike
price (o prezzo contrattuale) e sarà pagato a
termine
Il contratto forward ha il vantaggio di bloccare il
prezzo del bene oggetto dello scambio
Il Contratto forward
Tale vantaggio sarà a favore dal compratore se
alla data di scadenza il prezzo di mercato del bene
risulterà superiore allo strike price, sarà a favore
del venditore nel caso opposto

Chi acquista a scadenza viene definito in


“posizione lunga” (long position) e avrà
aspettative di rialzo del prezzo di mercato; chi
vende a “scadenza”, viceversa, sarà in “posizione
corta” (short position), avrà aspettative di ribasso
Il Contratto forward
Alla scadenza il regolamento può avvenire con lo
scambio del bene o del solo differenziale tra il
prezzo di mercato e lo strike price
La caratteristica di generare un guadagno ad una
parte esattamente pari alla perdita subita dalla
controparte rende questo contratto un contratto
simmetrico
In assenza di un mercato regolamentato, il rischio
che si corre è che alla scadenza la parte che
subisce la perdita può risultare insolvente
Il Contratto forward

Questo tipo di contratti, stipulati direttamente tra


le parti, fuori dalla Borsa (OTC), presentano un
basso grado di standardizzazione che consente
caratteristiche peculiari per ciascuno di essi
Tuttavia, negli ultimi anni, si è verificata una
progressiva crescita dei mercati a termine, al
punto che sono stati creati dei mercati secondari
forward che hanno portato ad una maggiore
standardizzazione dei contratti, rendendo meno
netta la differenza con i contratti futures
Il Contratto forward
Il Forward Rate Agreement (FRA) è tra i più
diffusi contratti forward e ha ad oggetto lo
scambio di un tasso d’interesse variabile
(Euribor, Libor) rilevato alla data di liquidazione
(fixing date), ad un prezzo (tasso) fisso
prestabilito alla data di stipula (tasso FRA o tasso
contrattuale). Oggetto dello scambio sarà,
pertanto, un importo calcolato quale
differenziale tra i due tassi applicato al capitale
nozionale fino alla scadenza del contratto
(maturity date)
Il Contratto forward

Tale contratto è tipicamente utilizzato per


coprirsi dal rischio di tasso a breve termine
essendo le scadenze di tale contratto non
superiori a 18 mesi
Il compratore del tasso fisso a fronte del tasso
variabile viene convenzionalmente definito
“compratore del FRA” ed assume la posizione
lunga, viceversa, colui che paga il tasso variabile
e incassa il tasso fisso è definito “venditore del
FRA” e assume la posizione corta
Il Contratto forward
Il FRA è un contratto non standardizzato,
negoziato tipicamente Over the Counter
La quotazione del FRA viene ad opera di
intermediari specializzati market makers che si
dichiarano disponibili alle operazioni solo alle
loro condizioni:
il tasso “denaro” è il livello di tasso a cui sono
disposti ad acquistare un FRA
il tasso “lettera”, quello a cui sono disposti a
venderlo
Il Contratto forward
I market makers propongono le loro condizioni
specificando tutti gli elementi contrattuali
fondamentali, che sono:
La data di stipula del contratto;
La data di rilevazione del tasso variabile (fixing
date);
la data di scadenza espressa in modo sintetico,
a due cifre (es. FRA 3 x 6, dove 3 è la fixed date e
6 è la maturity date, per cui il periodo di interessi
è pari a 3 mesi)
Il Contratto forward

L’acquirente del FRA, pertanto, pagherà un tasso


fisso, bloccando il costo dell’indebitamento ma
nel contempo si esporrà al rischio di una
diminuzione del tasso variabile; il venditore del
FRA, viceversa, beneficerà di un tasso fisso sugli
impieghi ma si esporrà al rischio di un aumento
dei tassi variabili
Ne deriva che il FRA è uno strumento di
copertura del rischio di tasso, caratterizzato da
diversi vantaggi rispetto ad altri strumenti
I futures
I futures finanziari sono strumenti analoghi ai
contratti forward con la differenza sostanziale
che sono negoziati nel mercato regolamentato in
cui interviene un Autorità garante: la cd Clearing
House (CD) ovvero Stanza di Compensazione e
Garanzia che ha la funzione di fare da garante
del buon fine dell’operazione
Garanzia assicurata dal fatto che la CH limita i
soggetti ammessi ad accedere alle negoziazione
mediante una selezione preventiva
I futures

La selezione avviene anche mediante l’iscrizione


alla CH, nella qualità di socio, e dietro il
versamento di un margine iniziale, dato da un
importo pari in media al 5 % del valore del
sottostante, che deve essere versato presso le
casse della clearing house ogni volta che si
desidera effettuare una operazione in futures
Chi intende effettuare un operazione in futures
deve rivolgersi agli intermediari che sono nel
circuito delle CH
I futures

Con un contratto futures l’acquirente ed il


venditore si impegnano a scambiarsi ad una
determinata data futura prestabilita una
determinata quantità di strumenti finanziari ad
un prezzo prefissato
L’acquirente del contratto future si definisce in
“posizione lunga” mentre il venditore è
detentore di una “posizione corta”
I futures

Generalmente, alla scadenza il future non si


chiude con lo scambio dello strumento
finanziario ma effettuando un operazione di
segno opposto e i guadagni e le perdite vengono
regolati in denaro per differenza
La negoziazione si svolge secondo la tecnica del
making to market, attraverso la quale le
controparti valorizzano quotidianamente le
rispettive posizioni nei confronti della CH
I futures
Le CH provvedono al contestuale accredito e
addebito delle somme che le parti del contratto
stanno guadagnando o perdendo sui rispettivi
conti di deposito
La liquidazione giornaliera riduce pertanto il
rischio d’insolvenza della controparte. Il
versamento iniziale presso la CH viene stabilito in
un ammontare tale da contenere le variazioni
giornaliere del valore del contratto futures, mai al
disotto del margine di contenimento
I futures

La CH può, a sua discrezione, chiedere che


vengano previsti ulteriori margini:
margine aggiuntivo, richiesto in caso di grandi
oscillazioni dei prezzi del futures rispetto al giorno
precedente
margine su consegna, dovuto esclusivamente su
posizioni aperte alla scadenza (tra l’ultimo giorno
delle contrattazioni e la data di liquidazione)
I futures
La presenza dei suddetti margini, riduce al minimo
gli effetti del rischio d’insolvenza di una delle
controparti
Infatti in caso d’insolvenza la perdita massima sarà
ridotta dalla presenza dei citati margini versati
presso la CH e, ad ogni modo non potrà eccedere la
variazione subita dal contratto in una singola
giornata. Qualora si verifichi una perdita di
ammontare superiore a quanto disponibile sui
conti di deposito, tale eccedenza sarà accollata
dalla CH
Lezione
“Gli strumenti finanziari
derivati a termine (opzioni e
swap)”
Obiettivi

Analizzare le opzioni e gli swaps


Opzioni

Il contratto di opzione consente ad una parte di


riservarsi il diritto di effettuare un acquisto o una
vendita a termine dietro il pagamento di un
premio alla controparte

La parte che si riserva il diritto di acquisto o


vendita si chiama buyer, la controparte a cui è
pagato il premio è definita writer
Opzioni

L’opzione si definisce:
call se conferisce al buyer la facoltà di
acquistare a termine a un prezzo prefissato (strike
price o prezzo d’esercizio);

put se conferisce al buyer la facoltà di vendita a


termine a un prezzo prefissato (strike price,
prezzo d’esercizio);
Opzioni

Il premio rappresenta il corrispettivo pagato dal


buyer per ottenere la facoltà di
acquistare/vendere ad un prezzo prefissato e in
caso di mancato esercizio della opzione il solo
guadagno per il writer
Le opzioni possono essere negoziate sia sui mercati
regolamentati che over the counter
Opzioni

Nel primo caso l’operazione è garantita attraverso il


meccanismo “dei margini” attivati dalla clearing
house
Il versamento del “margine iniziale” è dovuto solo
dal venditore (writer) dell’opzione essendo la sola
parte obbligata alla prestazione
Le opzioni possono essere di tipo europeo o
americano
Opzioni

Le opzioni europee si differenziano da quelle


americane per la possibilità di essere esercitate
solo in periodi prestabiliti
Quelle americane possono essere esercitate in
qualsiasi momento fino alla scadenza
Le opzioni possono avere come sottostanti sia
attività reali (merci, materie prime) sia finanziarie
(tassi d’interesse, di cambio, titoli)
Opzioni
La loro finalità principale è quella di coprire dal
rischio di variazione del prezzo del sottostante,
riservandosi l’acquisto o la vendita ad un
determinato prezzo
A seconda dell’andamento del valore del
sottostante l’opzione si dirà:
In the money
Out of the money
At the money
Opzioni

L’opzione è “in the money” quando il prezzo di


mercato del sottostante alla scadenza è superiore
allo strike price nelle opzioni call e inferiore nelle
opzioni put
In entrambi i casi, il buyer avrà convenienza ad
esercitare l’opzione, in quanto:
nel caso di opzione call, acquisterà il sottostante
ad un prezzo inferiore a quello di mercato,
beneficiando della differenza al netto del premio
pagato;
Opzioni

nel caso di opzione put, venderà il sottostante ad


un prezzo superiore a quello di mercato,
beneficiando della differenza al netto del premio
pagato

L’opzione è “out of the money” quando il prezzo di


mercato del sottostante alla scadenza è inferiore
allo strike price nelle opzioni call e superiore nelle
opzioni put
Opzioni

In entrambi i casi, pertanto, il buyer non avrà


convenienza ad esercitare l’opzione in quanto:
nel caso di opzione call, acquisterebbe il
sottostante ad un prezzo superiore a quello di
mercato
nel caso di opzione put, venderebbe il
sottostante ad un prezzo inferiore a quello di
mercato
Opzioni

L’opzione è “at the money” quando il prezzo di


mercato del sottostante (Pm) alla scadenza è
uguale al prezzo d’esercizio (strike price) (Pe),
generando indifferenza per l’esercizio dell’opzione
Tabella delle convenienze
Call Put
Pm>Pe In the money Out of the money
Pm<Pe Out of the money In the money
Pm=Pe At the money At the money
Valore delle opzioni
Solitamente il valore di un’opzione viene suddiviso
in due grandezze: il valore intrinseco (VI) e il
valore temporale (VT)
Il valore intrinseco è facilmente definibile, ed è
pari:
per un’opzione call al Prezzo del Sottostante
meno il Prezzo d’esercizio (Pm-Pe)
per un’opzione put al Prezzo d’esercizio (Pe)
meno Prezzo del sottostante (Pe-Pm)
Valore delle opzioni
Solo un’opzione “in the money” ha un valore
intrinseco superiore a zero, viceversa, le opzioni
“at the money” oppure “out of the money” hanno
valore intrinseco (VI) pari a zero
Il valore temporale (VT) è la componente che si
aggiunge al valore intrinseco nel calcolare il
premio e rappresenta quanto un investitore è
disposto a pagare, oltre al valore intrinseco, in
previsione che il sottostante aumenti la distanza
dallo strike price, facendo così aumentare di valore
dell’opzione
Valore delle opzioni
Il valore temporale (VI) quindi, decrescerà man
mano chi ci si avvicina alla scadenza, diminuendo
la probabilità di eventi aleatori rilevanti che
possano modificare significativamente il livello del
sottostante

Generando quel fenomeno denominato


decadimento temporale del valore dell’opzione
Valore delle opzioni
Il valore di un’opzione alla scadenza è, pertanto,
funzione del Prezzo del sottostante (Pm) e del
prezzo di esercizio (Pe)

Esempio – Valori di un’opzione con prezzo di esercizio $55


Prezzo sottostante $30 40 50 60 70 80
Valore call 0 0 0 5 15 25
Valore put 25 15 5 0 0 0
Valore delle opzioni

Valore della call con prezzo di esercizio $55


Valore della call

$20

55 75
Prezzo del sottostante
Valore delle opzioni

Valore della put con prezzo di esercizio $55


Vaalore della put

$5

50 55
Prezzo dell’azione
Gli swap
Il contratto swap è un contratto derivato a
termine mediante il quale due controparti
decidono di scambiarsi, a determinate scadenze, i
flussi di pagamento determinati su un capitale
nozionale
Nel caso più comune in cui tale contratto abbia
come sottostante i tassi d’interesse, lo swap
assume la denominazione di Interest Rate Swap
IRS, quella di Currency swap nel caso in cui il
sottostante sia costituito da valute
Gli swap

L’Interest Rate Swap IRS, è il contratto mediante il


quale le controparti si scambiano un flusso
d’interesse calcolato sul medesimo capitale
nozionale a tassi differenti, generalmente ad un
tasso fisso ed ad uno variabile.
In questo modo alle scadenze di pagamento, le
parti si scambieranno solo la differenza tra i due
flussi differenti calcolati a tassi differenti
Gli swap

Tale contratto è realizzabile perché sul mercato


esistono contestualmente due aspettative
differenti rispetto all’andamento dei tassi
La parte che paga il tasso fisso cedendo
(incassando) quello variabile ha ipotizzato un
aumento del tasso variabile tale da superare
quello fisso, la controparte, viceversa, ha stimato
che ciò non accada e, pertanto, è disposto a
pagare il tasso variabile e incassare quello fisso
(che ipotizza maggiore del primo)
Gli swap

La parte che paga il tasso fisso si definisce in


posizione corta sul fisso e lunga sul variabile,
viceversa, chi paga il variabile si definisce in
posizione corta sul variabile e lunga sul fisso
Pertanto, alle scadenze, le controparti si
scambieranno il solo flusso differenziale tra tasso
fisso e tasso variabile
Il capitale nozionale non viene mai scambiato
Gli swap

Con il currency swap le parti si scambiano due


flussi corrisposti nella forma degli interessi
calcolati sul medesimo capitale nozionale ma in
valute differenti
Si sostanzia nello scambio di due prestiti effettuati
in valute diverse
Il differenziale sarà pertanto legato al differente
andamento delle valute e dunque dei relativo
tasso di cambio
Gli swap

I contratti swap sono negoziati Over The Counter


ed hanno la caratteristica di essere non
standardizzati, maggiormente personalizzabili ma
per questo anche più rischiosi in quanto le
negoziazioni sono prive di qualsiasi forma di
garanzia

La contrattazione avviene a mezzo di intermediari


(Swap dealer) che definiscono anche il prezzo
Gli swap

Le banche in qualità di swap dealers offrono sul


mercato quotazione bid/offer rates
I tassi bid sono i tassi fissi che le banche si
impegnano a pagare in qualità di compratori di
contratti swaps, i tassi offer sono i tassi fissi che le
banche accettano di ricevere in qualità di
venditori di swap
Lo spread tra i due tassi rappresenta una forma di
compenso per la banca dealers
Lezione
“L’Intermediazione creditizia”
Obiettivi

Analizzare le caratteristiche
dell’intermediazione creditizia ed i bisogni da
essa soddisfatti

Indentificare alcune forme gestionali tipiche


dell’intermediazione creditizia, la sue
evoluzione e i punti critici
Le caratteristiche
dell’intermediazione creditizia
L’Intermediazione creditizia rappresenta uno dei
tre pilastri su cui si basano i sistemi finanziari
Gli altri due sono l’intermediazione mobiliare e
quella assicurativa e tutte e tre favoriscono gli
scambi di risorse finanziare nel tempo e nello
spazio
Nell’intermediazione creditizia ciò avviene
attraverso il cosiddetto “circuito indiretto”
Le caratteristiche
dell’intermediazione creditizia
Nel “circuito indiretto” l’intermediario si
interpone con il proprio stato patrimoniale tra i
prenditori e i datori di risorse finanziare
Nel senso che essi assumono nei confronti dei
prenditori dei fondi il ruolo di creditori e quello
di debitori nei confronti dei datori
L’attivo patrimoniale è pertanto costituito da
impieghi mentre il passivo da fonti
Le caratteristiche
dell’intermediazione creditizia
L’Intermediazione creditizia assume un ruolo
centrale in tutti i sistemi finanziari mondiali
anche in quelli in cui è maggiormente sviluppato
il “circuito diretto” dei mercati degli strumenti
finanziari e l’intermediazione mobiliare
L’intermediazione creditizia, in particolare quella
bancaria, svolge sempre una funzione
imprescindibile volta a soddisfare i bisogni di
famiglie, imprese ed istituzioni
Le caratteristiche
dell’intermediazione creditizia
Nell’esercizio della sua funzione l’intermediario
creditizio svolge altresì un’attività di
trasformazione delle caratteristiche degli
strumenti finanziari, al fine di soddisfare
fabbisogni normalmente divergenti tra datori e
prenditori di fondi
Trasformazione a fronte dell’assunzione di rischio
in proprio a favore degli scambisti
Le caratteristiche
dell’intermediazione creditizia
I contratti negoziati dagli intermediari creditizi
assumono caratteristica di forte
personalizzazione, in quanto sempre adattabili
all’esigenze della domanda e dell’offerta di fondi
In questo si differenziano dall’attività svolta
dall’intermediazione mobiliare in cui i contratti
sono standardizzati e rivolti alla pluralità di
soggetti
Le caratteristiche
dell’intermediazione creditizia
Nel caso dell’intermediazione creditizia la ricerca
della controparte è individuale ed i rapporti si
fondano su informazione qualificate dei
contraenti
Ne deriva che la funzione dell’intermediario
creditizio è anche quella di mitigare il fenomeno
delle asimmetrie informative e le relative
conseguenze dell’adverse selection e del moral
hazard
Le caratteristiche
dell’intermediazione creditizia
La fiducia rappresenta l’ulteriore elemento
caratterizzante l’intermediazione creditizia
Il concetto di fiducia è basato sui principi di
solvibilità e liquidità dell’intermediario
La natura stessa della funzione
dell’intermediario non può prescindere dalla
fiducia che gli operatori debbono riporre in tale
soggetto
Le caratteristiche
dell’intermediazione creditizia

Le Autorità pongono in essere rigorosi e


continui controlli sulla liquidità e solvibilità
degli intermediari creditizi, al fine di
salvaguardare il livello di fiducia necessario per
il corretto funzionamento dell’intero sistema
dell’intermediazione creditizia
Le caratteristiche
dell’intermediazione creditizia
La coesistenza di contratti personalizzati, di
informazioni qualificate e di fiducia consente
altresì l’affermarsi del concetto di relazione,
altrettanto imprescindibile nell’esercizio
dell’attività di intermediazione creditizia
Nel tempo il concetto di relationship banking ha
dato spazio a quello di transaction banking
fondato sulla trasformazione degli attivi
costituiti da prestiti in strumenti finanziari
negoziabili
Le caratteristiche
dell’intermediazione creditizia
Meccanismi quali l’”accettazione”, il “factoring”
e la “cartolarizzazione” consentono di
moltiplicare l’offerta di credito da parte degli
intermediari anche per fronteggiare mercati a
dimensione sempre più internazionale
La “cartolarizzazione” (securitization) è stata
introdotta e regolamentata in Italia dalla legge
130/1999
Le caratteristiche
dell’intermediazione creditizia
Ne deriva che il ruolo svolto non è più solo
quello tipico dell’intermediazione creditizia, in
quanto quest’ultima assume ampiezze diverse in
termini di gamma di servizi ed attività offerte
Tipico esempio è la banca che oltre all’attività,
minima per essere considerata tale, della raccolta
dei fondi direttamente dalla clientela e della
concessione di finanziamenti, può svolgere tutte
le altre funzioni
Le caratteristiche
dell’intermediazione creditizia
Il ruolo monetario caratterizza l’intermediario
banca da tutti gli altri intermediari creditizi e lo
rende speciale sotto il profilo della gestione
della liquidità e delle esigenze finanziarie

Gli altri intermediari diversi dalle banche sono


costituiti nell’ordinamento giuridico italiano da
società di leasing, factoring, credito al consumo,
confidi e cassa depositi e prestiti
Le caratteristiche
dell’intermediazione creditizia
Tali intermediari diversi dalle banche saranno
sempre differenti da esse sotto il profilo della
raccolta dei fondi che può avvenire solo in via
indiretta, presso le banche o altri soggetti
istituzionali e con riferimento alla tipologia degli
impieghi che saranno sempre finalizzati a
soddisfare esigenze particolari
I bisogni soddisfatti dagli
intermediari creditizi
I bisogni soddisfatti dall’intermediazione
creditizia sono:
di investimento
di finanziamento
di gestione degli incassi e dei pagamenti

I bisogni di copertura dei rischi finanziari e puri


sono, viceversa, assolti rispettivamente dagli
intermediari finanziari e assicurativi
I bisogni soddisfatti dagli
intermediari creditizi
Il fabbisogno di finanziamento è soddisfatto da
tutti gli intermediari creditizi ciò che varia sono le
caratteristiche di tali finanziamenti
Differenti varietà di specializzazione si
riscontrano in ragione:
della tipologia del soggetto finanziato
dello strumento finanziario utilizzato
del settore merceologico finanziato
della localizzazione dei soggetti finanziati
I bisogni soddisfatti dagli
intermediari creditizi
In Italia, a titolo di esempio, ci sono intermediari
specializzati:
nel credito agragrio,
nel credito fondiario,
nel credito industriale,
nel finanziamento erogato in specifiche
regioni o a specifici settori merceologici
Tutti questi intermediari hanno elementi
caratterizzanti dal lato dell’attivo
I bisogni soddisfatti dagli
intermediari creditizi
Le modalità di copertura, viceversa, sono
comunemente rappresentate da emissione di
prestiti obbligazionari sottoscritti in prevalenza
da altri intermediari creditizi e solo in via
residuale dal pubblico risparmio

Solo la banca, tra tutti gli intermediari, può


soddisfare contemporaneamente tutti e tre i
bisogni
I bisogni soddisfatti dagli
intermediari creditizi

Ciò pone la banca al centro di complesse


relazioni tra i diversi stakeholders tali da porla al
centro del sistema finanziario e, quindi, oggetto
di particolari controlli da parte delle Autorità di
Vigilanza e di quelle preposte al controllo
monetario e creditizio
I bisogni soddisfatti dagli
intermediari creditizi
Il rischio di tale concentrazione delle funzioni è
quello di aumentare le probabilità di diffusione
del contagio nei sistemi finanziari in quanto la
mancata copertura delle banche può tradursi in
un rischio specifico per i depositanti o in
estrema ratio in un rischio sistemico
Nonostante tali pericoli non si prevede un
ridimensionamento del ruolo delle banche in
quanto ritenuto attualmente né utile né
perseguibile
I bisogni soddisfatti dagli
intermediari creditizi
Una tale ampiezza della funzione svolta dagli
intermediari creditizi impone, più che mai, il
rigido perseguimento degli equilibri economici,
finanziari, patrimoniali e gestionali
L’intermediario, in particolare la banca che
svolge la funzione monetaria, deve fronteggiare
adeguatamente i rischi al fine di preservare gli
impegni assunti nei confronti dei datori e dei
prestatori di fondi
I bisogni soddisfatti dagli
intermediari creditizi
La banca, in particolare, svolge la funzione “in
proprio” e non “per delega” con la conseguente
maggiore esposizione del proprio stato
patrimoniale a differenza ad esempio degli
intermediari mobiliari che svolgono una funzione
cosiddetta “per delega”
Il coinvolgimento di interessi così diffusi e in
questo senso pubblici, soprattutto nell’esercizio
dell’attività bancaria, giustifica il sostenimento di
spesa pubblica a garanzia della stessa
Forme gestionali degli
intermediari creditizi

A livello domestico e internazionale gli


intermediari finanziari si caratterizzano per la
molteplicità dei modelli di business, con diverso
grado di concentrazione/diversificazione delle
attività, differente ampiezza geografica di
riferimento (locale, nazionale, internazionale),
differenti strumenti finanziari utilizzati, diversi
segmenti di clientela servita
Forme gestionali degli
intermediari creditizi

Il Testo Unico Bancario (TUB) precisa le


caratteristiche dell’attività bancaria e prevede
l’inclusione in un apposito elenco gli altri
intermediari creditizi non bancari
Al di là della distinzione giuridica di cui sopra ciò
che caratterizza l’attività d’intermediazione
creditizia (bancaria o non bancaria) è:
la gestione degli attivi
Forme gestionali degli
intermediari creditizi
In particolare l’attività di erogazione dei
finanziamenti, compresa l’attività propedeutiche
alla concessione degli stessi, quella di
monitoraggio del suo rimborso e quelle di
recupero in caso di mancato rimborso dello stesso,
le quali tutte richiedono particolari competenze e
sistemi informativi specifici
La gestione degli attivi (asset management)
caratterizza tutti gli intermediari creditizi come pure
la sua integrazione con la gestione del passivo
Forme gestionali degli
intermediari creditizi

In particolar modo per le banche diviene centrale


la corretta integrazioni tra le scelte dell’attivo e
del passivo a causa della peculiarità della
funzione monetaria da esse svolta che impone il
rimborso dei depositanti a vista con un
connaturato sbilanciamento tra la duration
dell’attivo rispetto al passivo
Da ciò anche la conseguente necessità di
costante adeguatezza del capitale proprio
Forme gestionali degli
intermediari creditizi

Al di là delle condizioni contingenti, come nel


caso delle banche, gli intermediari creditizi
devono ottemperare in modo adeguato ai profili
di solvibilità, liquidità e redditività della gestione
Lezione
“Gli strumenti di raccolta delle
banche”
Obiettivi

Descrivere e far comprendere le


caratteristiche di alcuni strumenti di raccolta
tipici delle banche
La raccolta delle banche
La raccolta delle banche avviene con diversi
strumenti comunque riconducibili a due grandi
macrocategorie: Depositi e Obbligazioni
collocati presso differenti tipologie di operatori
Le politiche del passivo delle banche dipendono
dalla tipologia degli strumenti utilizzati, dalla
tipologia di operatori presso i quali vengono
collocate le passività, dalla dimensione e tipo di
attività d’intermediazione (creditizia e mobiliare)
La raccolta delle banche

Le scelte di raccolta a titolo di debito dipendono


altresì dalle scelte di composizione dell’attivo
(impieghi) nonché dalle scelte relative al
patrimonio

Gli equilibri economici, finanziari e patrimoniali


sono perseguiti dalle banche mediante scelte
combinate che riguardano congiuntamente le
attività e passività finanziare nonché il
patrimonio
La raccolta delle banche
La raccolta bancaria può essere suddivisa in
raccolta indiretta e raccolta diretta
La raccolta indiretta è costituita dalla risorse
finanziarie della clientela “date in gestione” alla
banca, il cosiddetto “risparmio amministrato” o
“gestito”
Non da luogo ad un corrispettivo da parte della
banca alla clientela ma dalla clientela alla banca
per il servizio di gestione reso
La raccolta delle banche
Generando alla banca ricavi da commissioni,
genera risorse finanziarie alla banca (da cui
attività di raccolta)

La raccolta diretta rappresenta un’obbligazione


della banca verso la clientela, rappresentata dal
rimborso del capitale raccolto alla scadenza oltre
che alla corresponsione della remunerazione
pattuita
La raccolta delle banche
La raccolta diretta si definisce:
all’ingrosso, quando riguarda operazioni
unitarie di medie e grandi dimensioni;
al dettaglio, per dimensioni medio piccole
La raccolta all’ingrosso viene effettuata dalle
banche attraverso i seguenti strumenti:
Obbligazioni bancarie
Depositi interbancari
Commercial papers e pronti contro termini
La raccolta delle banche
Si tratta di operazioni che vengono realizzate con
poche controparti selezionate
La raccolta al dettaglio, avviene viceversa
attraverso i seguenti strumenti:
Depositi bancari
Certificati di deposito
Conti correnti di corrispondenza
Pronti contro termine
Obbligazioni bancarie
La raccolta delle banche
La raccolta al dettaglio avviene mediante un
elevato numero di clienti depositanti
indifferenziati che depositano somme non ingenti
di denaro con la generalmente duplice finalità di:
gestire incassi e pagamenti
investire il proprio risparmio
Per la prima finalità la clientela richiede di
disporre di depositi moneta, di cui il conto
corrente di corrispondenza è il tipico esempio,
per la seconda di depositi tempo
I depositi bancari
I depositi bancari rappresentano lo strumento
indispensabile allo svolgimento della funzione di
intermediazione creditizia

Assumono rilievo sociale in quanto consentono il


dirottamento delle risorse finanziare verso le
imprese che possono in tal modo finanziarie la
produzione, aumentare la ricchezza nazionale e
l’occupazione
I depositi bancari
Il deposito bancario è un contratto unilaterale, il
cui obbligato è la banca, a titolo oneroso in
quanto l’obbligato deve corrispondere
periodicamente alla controparte una
remunerazione costituita dal tasso d’interesse
Per il codice civile il deposito rappresenta un
“contratto irregolare”, in cui il depositante cede la
proprietà delle somme depositate al depositario,
che ne dispone come crede, fermo restante
l’obbligo di restituzione alle modalità
contrattualmente previste
I depositi bancari
Le motivazioni delle clientela a depositare le
somme di denaro in banca possono essere
ricondotte a tre categorie:
Depositi per future esigenze finanziare,
tipicamente di piccoli importi e di lungo periodo;
Depositi a titolo transitorio per essere
successivamente destinate ad altri investimenti,
generalmente di importi consistenti e di breve
durata
I depositi bancari
Depositi con funzioni monetarie, con elevata
variabilità della dimensione degli importi e
frequenza
I principali criteri di classificazione dei depositi
bancari sono:
Modalità di restituzione del denaro
Modalità di attuazione del rapporto
Durata del contratto sottoscritto
Tipologia contrattuale
I depositi bancari
Con riferimento alle modalità di restituzione del
denaro i depositi possono essere:
liberi
vincolati
Nel primo caso i depositanti possono richiedere la
restituzione del denaro in qualsiasi momento
Nel secondo caso solo a scadenze prestabilite
I depositi bancari
Per quanto attiene alle modalità di attuazione del
rapporto i depositi possono essere:
semplici, nel caso in cui il depositante versa la
somma di denaro e la ritira in un’unica soluzione
a risparmio, nel caso in cui il depositante può
effettuare prelevamenti e depositi; è
comprovato da un libretto di deposito
I depositi bancari
conto corrente, caratterizzato da numerose
movimentazioni

Con riferimento alla durata del contratto


sottoscritto, i depositi si distinguono in
rimborsabili a vista
con preavviso, in questo ultimo caso le somme
saranno rimborsate solo dopo preavviso dato
alla banca e contrattualmente determinato
I depositi bancari
Per quanto attiene alla tipologia di contratto
sottostante i depositi possono essere:
a risparmio libero, vincolato a scadenza fissa o
a scadenza indeterminata
certificati di deposito
conti correnti di corrispondenza
altri contratti personalizzati
I depositi bancari
Per quanto attiene ai depositi a risparmio tutti i
diritti del depositante vengono esercitati tramite
lo strumento del libretto che può essere
nominativo o al portatore
Nel caso di libretto nominativo le operazioni
possono essere effettuate, previa sua esibizione
presso le dipendenze della banca, solo dal titolare
del libretto
Nel caso di libretto al portatore ciò può avvenire
previa semplice esibizione da parte del possessore
I depositi bancari
La recente normativa in tema di antiriciclaggio,
Dlgs n.231/2007, ha limitato l’operatività dei
libretti al portatore abbassando la soglia
massima del saldo a 1.000 euro
I depositi a risparmio sono definiti liberi qualora
siano esigibili a vista cioè il depositante ha il
diritto di ottenere l’immediato rimborso delle
disponibilità a richiesta
I depositi bancari
Le movimentazioni essendo regolate in contanti
assumono valuta giornaliera
Per valuta si intende la data dalla quale
decorrono gli interessi, che possono essere
capitalizzati con periodicità trimestrale,
semestrale o annuale
Il tasso è quello di mercato e può subire
variazioni da banca a banca
I depositi bancari
I depositi sono vincolati quando si caratterizzano
per alcune limitazioni come ad esempio la
presenza di un termine (o di un obbligo di
preavviso) per la riscossione del denaro

Tale tipologia si caratterizza, generalmente, per


una maggiore remuneratività e per una più bassa
movimentazione e minore grado di liquidità
I certificati di deposito
I certificati di deposito rappresentano dei titoli di
credito emessi dalla banca e costituiscono una
forma di raccolta del risparmio più vicino a
moderne forme mobiliari che ai tradizionali
depositi ma, rispetto alle altre forme mobiliari,
hanno il requisito di essere strumenti del tutto
individuali
I certificati di deposito
I certificati di deposito sono titoli trasferibili,
rilasciati dalle banche a fronte del deposito di
somme per un periodo definito ed a fronte di
un corrispettivo per il depositante,
generalmente maggiore del rendimento offerto
dai titoli di stato

La durata dei certificati di deposito può variare


da un min di 3-18 ad un massimo di 18-60 mesi
I certificati di deposito
I tassi dei certificati di deposito possono essere
fisso o variabili
Nella prima tipologia sono ricompresi i certificati
zero coupon, senza cedola, il cui rendimento
matura alla scadenza ed è determinato come
differenza tra il valore di rimborso e quello di
sottoscrizione
Hanno carattere speculativo i certificati “corridor”,
con cedola minima, il rimborso del capitale ed un
premio alla scadenza
I conti correnti di
corrispondenza
Il conto corrente di corrispondenza consente di
utilizzare oltre alla moneta legale anche quella
bancaria (assegni bancari) e quella elettronica
(bancomat, giroconti, bonifici) assolvendo a
pieno alla funzione monetaria per la clientela

Sotto il profilo giuridico il contratto rappresenta


un mandato con il quale il cliente (mandante)
affida alla banca (mandataria) uno o più atti
giuridici da svolgere per proprio conto
I conti correnti di
corrispondenza
La banca si obbliga a restituire il denaro ricevuto
dalla clientela alla scadenza, si denominano “di
corrispondenza” perché buona parte delle
operazioni avviene a mezzo lettera o rilascio
documenti
Sono conti correnti creditori se rappresentano un
debito per la banca o un’operazione di raccolta
Sono conti correnti debitori se, viceversa,
rappresentano un’apertura di credito verso i
clienti, sono iscritti all’attivo come finanziamenti
I conti correnti di
corrispondenza
In ragione del “segno” del saldo contabile, il
conto corrente si definirà:
attivo, qualora il saldo sia a favore della banca,
rappresentando una posizione di credito della
banca nei confronti del cliente
Passivo, nel caso il saldo sia sfavorevole alla
banca e sono utilizzati dal cliente in prevalenza
per le sue esigenze di cassa
per elasticità di cassa, sono caratterizzati da
una continua alternanza di saldi attivi e passivi
Pronti contro termini
Il contratto pronti contro termini consiste nella
vendita a pronti (spot) di titoli da parte della
banca con il patto di riacquisto degli stessi a
termine (forward) ad un prezzo predefinito
In questo modo la banca si procura contanti per
un periodo di tempo stabilito ed ad un costo
altrettanto definito, coprendo un temporaneo
bisogno di liquidità
Pronti contro termini
Liquidità che investirà per un periodo di tempo
inferiore o pari all’acquisto forward e
presumibilmente ad un tasso di rendimento
superiore al costo della provvista
Il prezzo di vendita a pronti dei titoli sarà quello
del valore di mercato degli stessi a quella data,
quello di acquisto a termine sarà maggiore di
quello a pronti e calcolato come
capitalizzazione di un tasso d’interesse
concordato tra le parti
Pronti contro termini
Il contratto è a breve termine e non è consentita
l’estinzione anticipata, i titoli generalmente
scambiati sono obbligazioni o titoli monetari ad
ampia diffusione, in particolare titoli di Stato
Pur essendo strumenti per i quali la banca si
impegna a garantire un interesse certo al cliente
non si tratta di investimenti privi di rischio, per
l’investitore il vantaggio risiede soprattutto in un
maggior rendimento rispetto ad investimenti
alternativi di pari durata
Lezione
“Gli strumenti di impiego delle
banche”
Obiettivi

Descrivere e far comprendere le


caratteristiche di alcuni strumenti di impiego
delle banche
Strumenti d’impiego delle
banche
Tra le forme di impiego delle banche, l’esercizio
del credito rappresenta la forma più tipica e
rilevante
Dal punto di vista macroeconomico l’esercizio del
credito contribuisce a veicolare l’allocazione del
risparmio verso forme di impieghi produttivi,
destinati alla crescita economica del paese,
palesando una correlazione tra lo sviluppo del
sistema economico e quello bancario
Strumenti d’impiego delle
banche
La concessione dei prestiti alla clientela implica
l’istaurazione di rapporti durevoli con la stessa
che permette alle banche di accedere ad un
sistema di informazioni significativo, anche di
natura riservata, relativo alla controparte
affidata
Ne consegue un’azione efficace di monitoraggio
capace di ridurre azioni di selezione avversa o di
comportamenti opportunistici (moral hazard),
tipici dei mercati inefficienti
Strumenti d’impiego delle
banche
La concessione di un prestito bancario avviene
mediante la preventiva attività della banca di
istruttoria di fido, volta a verificare il merito
creditizio della controparte e le garanzie che
possono assistere l’affidamento
Dall’esito di tale istruttoria la banca definisce
anche l’importo massimo che ritiene di poter
affidare sia se si tratti di crediti monetari che di
crediti di firma
Strumenti d’impiego delle
banche
Il prestiti monetari rappresentano gli affidamenti
in cui la banca eroga direttamente risorse
finanziarie al soggetto affidato e i ricavi per la
banca sono rappresentati dagli interessi attivi
maturati sul capitale erogato ed in essere
I crediti di firma, viceversa, non comportano
necessariamente l’esborso finanziario, in quanto
la banca interviene a garanzia di un obbligazione
della controparte, sostenendo un impegno
monetario solo in caso di insolvenza della stessa
Strumenti d’impiego delle
banche
In tal caso la remunerazione per la banca è
determinata da commissioni attive piuttosto che
da interessi
I prestiti monetari sono prevalentemente erogati
a favore delle imprese e possono articolarsi in:
Strumenti di finanziamento del capitale
circolante
Strumenti di finanziamento del capitale fisso
Strumenti di finanziamento del
capitale circolante
Il fabbisogno di capitale circolante è una costante
nell’attività d’impresa ed è riconducibile alla
disparità temporale tra il sostenimento di costi
operativi ed l’incasso dei ricavi

Si tratta di un fabbisogno ciclico di brevissimo


periodo che lo rendono facilmente prevedibile
nell’entità e tempistica
Strumenti di finanziamento del
capitale circolante
Il ricorso al finanziamento bancario di circolante
dunque ha la finalità di procurarsi la liquidità a
copertura di temporanee carenze di tesoreria o
di anticipare i propri crediti commerciali
Le forme di finanziamento prevalentemente
utilizzate per tali finalità sono:
l’apertura di credito in conto corrente
lo smobilizzo di crediti commerciali
le anticipazioni garantite
Strumenti di finanziamento del
capitale circolante
L’apertura di credito in conto corrente, è
contratto tipico disciplinato dal codice civile agli
artt. 1842-1945
“...è il contratto con il quale la banca si obbliga a
tenere a disposizione dell’altra parte una somma
di denaro per un dato periodo di tempo o a
tempo indeterminato”
Strumenti di finanziamento del
capitale circolante
Nel caso sia a tempo determinato la banca non
può recedere dal contratto a meno di giusta
causa (es. grave deterioramento del merito
creditizio, dichiarazioni mendaci della parte su
situazioni patrimoniale e finanziaria)
Nel caso di tempo indeterminato il diritto di
recesso può essere esercitato da entrambe le
parti previo preavviso non inferiore a 15 giorni,
salvo differente pattuizione contrattuale
Strumenti di finanziamento del
capitale circolante
La somma accordata viene utilizzata in ragione
dei saldi negativi (a debito) prodotti dalla parte,
in modo da consentire l’utilizzo solo per gli
importi e per il tempo necessari, in una o più
soluzioni, con la possibilità di ricostituire la
disponibilità a disposizione della stessa mediante
versamenti successivi
L’apertura di credito ordinaria è detta, pertanto,
revolving e si differenzia da quella semplice la cui
disponibilità non può essere ricostituita
Strumenti di finanziamento del
capitale circolante
Le caratteristiche dell’apertura di credito in conto
corrente sono pertanto molto flessibili e per tale
motivo anche onerose nei limiti dell’effettivo
utilizzo delle somme
Nei casi in cui il cliente è autorizzato,
informalmente, ad effettuare saltuariamente e
per brevissimi intervalli temporali, utilizzi del
proprio conto corrente superiori alla disponibilità
del conto medesimo, si parla di apertura di
credito per elasticità di cassa
Strumenti di finanziamento del
capitale circolante
Il tasso applicato alle somme utilizzate è
generalmente maggiore di quelli applicati su
altre forme di finanziamento in ragione della
descritta flessibilità di utilizzo e anche perché
usualmente non assistito da garanzie
Dall’abolizione della commissione di massimo
scoperto (2009) le banche applicano
alternativamente una commissione sul fido
concesso o su quello non utilizzato
Strumenti di finanziamento del
capitale circolante
Le operazioni di smobilizzo di crediti commerciali
hanno la finalità di liquidare anticipatamente i
crediti che le imprese vantano nei confronti della
loro clientela
Tali operazioni (cd. autoliquidabili) sono
caratterizzate da un rischio inferiore rispetto ad
altri finanziamenti di breve termine, in quanto il
pagamento del credito ceduto viene effettuato
da debitore terzo direttamente a beneficio della
banca
Strumenti di finanziamento del
capitale circolante
Tali operazioni inoltre sono pro-solvendo, in caso
di insolvenza del debitore terzo ceduto la banca
può rivalersi sul proprio cliente affidato
addebitandogli l’importo insoluto, maggiorato
delle spese sostenute per ottenere il rimborso
La principale di tali operazioni è rappresentata
dallo sconto, regolato dall’art.1858 “…mediante il
quale la banca anticipa al cliente l’importo di un
credito verso terzi non ancora scaduto, mediante
cessione, salvo buon fine, del credito stesso”
Strumenti di finanziamento del
capitale circolante
L’operazione di sconto che ha avuto la maggiore
diffusione è lo sconto cambiario con ad oggetto
appunto cambiali tratte o pagherò
Nella pratica riguarda più effetti cambiari che
sistematicamente l’impresa cliente cede alla
banca la quale affida alla stessa un importo
massimo revolving definito “castelletto di
sconto”, che si reintegra con gli incassi degli
effetti pervenuti regolarmente a scadenza
Strumenti di finanziamento del
capitale circolante
L’importo anticipato al cliente, denominato “netto
ricavo”, viene determinato dalla banca
sottraendo dal valore nominale degli effetti:
Gli interessi passivi (“sconto”) calcolati per il
periodo intercorrente tra la data di ammissione
allo sconto e la data di scadenza dell’effetto,
maggiorato di un numero (5 - 10) di giorni banca
Le commissioni fisse di incasso
I diritti di brevità, in caso di scadenza
particolarmente ravvicinata
Strumenti di finanziamento del
capitale circolante
In caso di insolvenza, l’importo anticipato viene
addebitato alla impresa cliente maggiorato delle
spese di protesto degli effetti
La sempre minore diffusione degli effetti cambiari
nella regolazione degli scambi commerciali
affiancata alla rigidità descritta dello sconto
rendono tale operazione di smobilizzo sempre
meno utilizzata; assumono, viceversa, sempre
maggiore diffusione altri strumenti, tra tutti,
l’anticipazione delle Ricevute Bancarie (RIBA)
Strumenti di finanziamento del
capitale circolante
La banca oltre ad essere delegata all’incasso, può,
infatti, anticipare l’importo della RIBA, salvo buon
fine e nei limiti del castelletto concesso al cliente
Le disponibilità possono essere anticipate al
cliente mediante:
accredito diretto di un conto corrente
Utilizzo di un conto fruttifero salvo buon fine
Nel primo caso, il cliente pagherà gli interessi solo
sulle somme anticipate e effettivamente utilizzate
Strumenti di finanziamento del
capitale circolante
Nel secondo caso, viceversa, gli interessi sono
calcolati per tutto il periodo di anticipazione, sulle
somme anticipate indipendentemente dall’utilizzo

Inoltre, le imprese possono ricorrere ai


finanziamenti a breve nella forma delle anticipi
degli importi delle fatture emesse dai loro clienti
Previa istruttoria, generalmente, la banca procede
ad autorizzare l’anticipo del 70-80% dell’importo
delle fatture
Strumenti di finanziamento del
capitale circolante
Le anticipazioni garantite sono operazioni che si
basano sul contratto tipico di anticipo su pegno,
regolato dal codice civile
In base a tale contratto la banca concede un
finanziamento di breve termine alla costituzione
in pegno di beni mobili (merci o titoli mobiliari)
L’importo del finanziamento è pari al valore dei
beni in garanzia al netto di un scarto prudenziale
funzione della volatilità del prezzo del bene
medesimo
Strumenti di finanziamento del
capitale circolante
La caratteristica di tale contratto è il legame tra
l’importo finanziato e il valore del bene in
garanzia che deve sussistere per l’intera durata
del finanziamento, con obbligo di reintegro del
valore in garanzia qualora ci fosse un
deprezzamento superiore al 10%
I beni in garanzia, custoditi dalla banca e
restituiti a scadenza, possono essere costituiti:
merci o titoli rappresentativi della merce
titoli negoziati su mercati regolamentati
Strumenti di finanziamento del
capitale circolante
Le maggiori difficoltà di valutazione e
conservazione delle merci rispetto ai titoli,
rendono le anticipazioni su titoli più diffuse, in
particolare quelle su titoli di Stato a reddito fisso
Le anticipazioni in argomento possono essere:
a scadenza fissa, con erogazione in unica
soluzione e calcolo degli interessi per intero
periodo, indipendentemente dall’utilizzo
di conto corrente, con pagamento degli
interessi solo sulle somme utilizzate
Strumenti di finanziamento del
capitale fisso
Ai sensi del TUB, tutte le banche sono abilitate a
concedere prestiti di medio-lunga scadenza
Tra questi la tipologia più diffusa è il mutuo,
contratto regolato dall’art. 1813 del cod. civ.
Prestito caratterizzato dall’erogazione in unica
soluzione e sua restituzione secondo un piano di
ammortamento prestabilito, l’utilizzo è
frequente sia tra le famiglie, per l’acquisto di
immobili, sia dalle imprese per la copertura di
bisogni finanziari noti nella durata e misura
Strumenti di finanziamento del
capitale fisso
La durata del muto varia per le famiglie da 5 a 30
anni, per le imprese ha durata inferiore,
generalmente, tra i 3 e 5 anni
Tale elevata durata rappresenta un fattore di
rischio per la banca, per questo motivo il muto è
generalmente accompagnato da garanzie reali,
costituite di norma da ipoteca di primo grado
sull’immobile o da privilegio sugli impianti e
macchinari oggetto del finanziamento
Strumenti di finanziamento del
capitale fisso
Il rimborso del muto avviene comunemente
mediante rate costanti (cd. ammortamento alla
francese), con quota capitale crescente e quota
interessi decrescente, non sono rari mutui con
rate decrescenti (cd. ammortamento all’italiana)

In alcuni casi, il piano di ammortamento può


prevedere un periodo di solo pagamento degli
interessi (pre-ammoramento)
Strumenti di finanziamento del
capitale fisso
L’interesse applicato al capitale erogato ed in
essere può essere a:

tasso fisso, invariato per l’intera durata del


muto, con il vantaggio di conoscere in anticipo
l’ammontare di ciascuna rata ma con il rischio che
diventi molto elevato rispetto alle condizioni di
mercato
Strumenti di finanziamento del
capitale fisso
tasso variabile, collegato alle condizioni di
mercato mediante un indicizzazione
(usualmente EURIBOR), in alcuni casi offerto
con un opzione cap che consente di non
superare un tetto massimo
tasso misto, che consente di passare sa un
regime di tasso fisso ad uno variabile,
peculiarità che risulta molto onerosa,
riducendo la convenienza della stessa
Strumenti di finanziamento del
capitale fisso
Oltre al tasso d’interesse, il costo del muto è
rappresentato dalle spese di istruttoria, di
riscossione delle singole rate, dalla stipula di
polizze assicurative, ecc.
Pertanto, il costo totale viene espresso
dall’Indicatore Sintetico di Costo – ISC
Che calcolato come tasso di rendimento interno
di un operazione finanziaria uguaglia il totale del
valore attuale degli esborsi (capitale, interessi e
spese) del debitore al valore dell’erogato
Lezione
“Leasing, factoring e credito al
consumo”
Obiettivi

Descrivere e far comprendere le


caratteristiche, la domanda e l’offerta di
leasing, factoring e credito al consumo
Il leasing
Il leasing può essere definito (requisiti minimi)
come quel contratto che consente al proprietario
di un bene (locatore) di concedere l’uso del bene
medesimo ad una controparte (locatario), per un
periodo contrattualmente definito, dietro il
pagamento di un canone periodico
Il leasing assume caratteristiche eterogenee, in
relazione: alla distribuzione dei rischi tra le
controparti, alla funzione d’uso dei beni in
locazione, ai benefici per la proprietà
Il leasing
Il leasing è uno strumento flessibile tale da
collocarsi in uno spazio economico molto ampio,
delimitato dalle forme di finanziamento
tradizionale per l’acquisto del bene alla locazione
tradizionale

Le due forme tipiche del contratto di leasing sono:


Il leasing finanziario
Il leasing operativo
Il leasing
Durata del contratto

Finanziamenti
tradizionali

Leasing
finanziario

Leasing
operativo

Noleggio a
breve termine

Vita utile del bene


Il leasing

Il leasing finanziario si caratterizza per il


trasferimento dei rischi/benefici della proprietà
del bene dal locatore (proprietario legale) al
locatario (che diviene proprietario sostanziale),
rendendo l’operazione simile ad un mero
finanziamento per il locatore
Il leasing

I termini distintivi del leasing finanziario sono:


trasferimento automatico della proprietà al
locatario al termine del contratto
opzione di acquisto a favore del locatario ad un
prezzo del bene inferiore al valore di mercato
dello stesso alla data di esercizio dell’opzione
durata del contratto sostanzialmente pari alla
vita utile del bene, anche senza trasferimento
della proprietà
Il leasing

Valore attuale dei canoni di leasing, alla data di


stipula del contratto, pari al valore di mercato del
bene a tale data (operazione full-payout)
 rischio a carico del locatario delle oscillazioni
di prezzo di mercato del bene
possibilità di rinnovo per il locatario del
contratto di leasing a canoni inferiori a quelli di
mercato
Il leasing
Il leasing operativo, viceversa, è quel contratto
che non presenta alcuno dei suddetti elementi
ed è, pertanto, caratterizzato dal mantenimento
del rischio del bene in capo al locatore
(proprietario legale e sostanziale)

Il contratto di leasing nell’ordimento giuridico


italiano è un contratto atipico ma è disciplinato
dalla normativa in materia contabile e fiscale
Il leasing
Nella prassi contrattuale le operazioni di
locazione finanziaria si intendono “le operazioni
di locazione di beni mobili e immobili, acquistati
o fatti costruire dal locatore, su scelta e
indicazione del conduttore, che ne assume tutti i
rischi e con facoltà per quest'ultimo di divenire
proprietario dei beni locati al termine della
locazione, dietro versamento di un prezzo
prestabilito”.
Il leasing
Pertanto, in Italia il contratto di leasing assume i
seguenti caratteri distintivi:
il bene in leasing è strumentale all’esercizio di
un’arte, professione o attività imprenditoriale o
istituzionale del locatario
esiste un’opzione di acquisto del bene, al
termine del contratto, a favore del locatario ad
un prezzo inferiore al valore di mercato del bene
sono necessari tre soggetti, l’utilizzatore, la
società di leasing ed il fornitore
Il leasing
Nella prassi contrattuale inoltre è comunemente
previsto un canone iniziale di importo maggiore
rispetto agli altri canoni, detto per questo
“maxicanone”

Con riferimento alla tipologia di bene locato, il


leasing assume la forma di “leasing immobiliare”,
“leasing auto”, “leasing nautico”, “leasing
strumentale”; con riferimento alla natura
locatario in “leasing pubblico” o “ai privati”
Il leasing
Il lease-back è una particolare forma di leasing
finanziario in cui il produttore/proprietario di un
bene lo vende ad una società di leasing che glielo
concede nella forma del leasing

In Italia il leasing risulta largamente diffuso, e


costantemente in crescita nell’ultimo decennio
La prevalenza dei contratti riguarda il leasing
autoveicoli e beni strumentali, in valore assume
rilevanza il leasing immobiliare
Il leasing

Le scelte verso il leasing finanziario sono


caratterizzate in prevalenza dalle seguenti
motivazioni:
acquisire la proprietà del bene;
ottenere un migliore trattamento fiscale,
legato alla possibilità, in talune circostanze, di
ottenere un ammortamento del bene più breve;
possibilità di ottenere un frazionamento del
pagamento dell’IVA
Il leasing
Per l’utilizzatore evitare l’iscrizione in bilancio
del bene (attivo) e del relativo finanziamento
(passivo), evitando di peggiorare gli indicatori
economico-finanziari
Possibilità di aggiungere una serie di servizi
accessori alla semplice fornitura, quali la
manutenzione, l’assistenza, ecc., i cui compensi
possono essere contemplati all’intero
dei canoni di locazione
Il leasing
L’interesse, viceversa, verso il leasing operativo
si sostanzia nella:
preferenza ad acquisire l’utilizzo del bene (e
non la proprietà)
possibilità per l’utilizzatore di scegliere sia il
bene sia il fornitore
possibilità di ottenere degli sconti essendo il
fornitore pagato in contanti
possibilità di acquisire il bene al termine del
contratto
Il leasing
Il leasing finanziario può essere offerto
esclusivamente da intermediari bancari, iscritti
all’albo di cui all’art.13 del TUB, ovvero agli altri
intermediari finanziari, di cui all’art. 106 del TUB
Nel caso di leasing operativo, non costituendo
attività di finanziamento, non esistono
restrizioni relative alla natura del soggetto
offerente ma qualora erogato da normali società
commerciali viene denominato “noleggio a lungo
termine”
Il factoring
Il factoring è il contratto mediante il quale
un’impresa cede una quota consistente dei
propri crediti commerciali ad una società
specializzata, il factor, che provvedere a liquidare
l’impresa anticipando una quota consistente del
credito ceduto
Si tratta pertanto di una tecnica di smobilizzo dei
crediti che consente alle imprese di finanziare il
capitale circolante
Il factoring
Il factoring è un contratto composito formato da
una componente finanziaria, una gestionale ed
una eventualmente di garanzia
La componente finanziaria consiste
nell’anticipazione che il factor eroga all’impresa
cedente prima del pagamento, quella gestionale
afferisce al servizio che il factor eroga al cedente
in quanto subentrante in tutti rapporti con il
cessionario e la cui ampiezza dipende dalle
esigenze dell’impresa cedente
Il factoring
La componente di garanzia afferisce
all’assunzione di responsabilità da parte del
factor, in caso di insolvenza del debitore ceduto;
in tal caso la cessione del credito si definisce pro-
soluto
In caso di assenza di tale garanzia, viceversa,
l’operazione di cessione si definirà pro-solvendo,
in caso d’inadempienza del debitore ceduto, il
factor si rivarrà sull’impresa cedente, chiedendo
la restituzione dell’anticipazione e addebiterà le
somme di recupero del credito
Il factoring
Il prodotto di factoring che comprende tutte e tre
le componenti (finanziaria, gestionale e di
garanzia) si definisce “full factoring” e prevede la
cessione su base continuativa dei crediti
commerciali da parte dell’impresa e l’attivazione
di ciascuna componente in funzione delle
caratteristiche dei crediti e delle esigenze
finanziarie dell’impresa medesima
Il Maturity factoring è una cessione dei crediti in
cui è assente la funzione finanziaria
Il factoring
Il factoring è una operazione largamente diffusa
e risulta di particolare interesse per le imprese
con una gestione del capitale circolante critica
La cessione consente difatti di esternalizzare il
costo di gestione dei crediti commerciali, la quale
richiede competenze specialistiche e quindi di
tramutare costi fissi in costi variabili migliorando
la flessibilità della gestione
L’anticipazione finanziaria consente una
copertura del fabbisogno di circolante
Il factoring
In caso di cessione pro-soluto, infine,
l’operazione di factoring solleva l’impresa dai
rischi e dai relativi oneri dell’insolvenza del
debitore
Le operazioni di factoring sono a titolo oneroso e
le componenti di costo sono rappresentate per
l’impresa cedente da:
interessi finanziari calcolati sull’anticipazione
commissioni di factor che coprono la
componente gestionale e di garanzia
Il factoring
L’operazione di factoring possono essere offerte
esclusivamente da intermediari bancari (ex art.
13 TUB) e finanziari specializzati (ex art. 106 TUB)
essendo operazione costituite da una
componente di finanziamento
L’intermediario interviene effettuando un analisi
dell’intero portafoglio dei crediti commerciali
dell’impresa cedente identificando quali di essi
possono essere ammessi al factoring, definendo
un plafond totale rotativo per l’impresa
Il factoring
Il factor provvede inoltre a definire quali dei
crediti analizzati potranno essere ceduti pro-
solvendo e quali pro-soluto, orientato in tale
scelta prevalentemente da due indicatori:
durata del credito
ammontare del credito
Ad avvenuta cessione, il factor subentra in tutti i
rapporti derivanti dal credito ceduto, primo tra
tutti quello con il debitore
Il credito al consumo
Il credito al consumo rappresenta una forma
atipica rispetto allo schema classico dello
scambio finanziario in quanto le famiglie sono
prenditori di fondi (a differenza della tipica
posizione di surplus finanziario ricoperta dalle
stesse)
Si tratta di operazioni volte a finanziare i
fabbisogni da consumi correnti eccedenti le
coperture correnti, a volte anticipando quote di
redditi futuri attesi
Il credito al consumo
In Italia il credito al consumo è disciplinato dal
D.lgs. 13 agosto 2010 n.141 che definisce da un
lato che il destinatario è un consumatore e
dall’altro le caratteristiche del contratto di
credito
Una prevalente distinzione tra differenti forme di
contratti di credito al consumo è tra:
finanziamenti finalizzati
prestiti personali (o non finalizzati)
Il credito al consumo
I finanziamenti finalizzati sono erogati
direttamente al fornitore del bene/servizio che
provvede a “girarli” al consumatore all’atto
dell’acquisto del bene/servizio oggetto del
finanziamento

I prestiti personali (o non finalizzati) sono


erogati direttamente al consumatore e sono
indipendenti dal singolo bene/servizio acquistato
Il credito al consumo
In entrambi i casi il consumatore è obbligato al
rimborso del prestito, di norma, in base ad un
piano di ammortamento (generalmente di 12 –
48 mesi) a rate costanti e a canali di pagamento
concordati (RID, bollettini postali, ecc.)
Il contratto di acquisto è, comunemente, distinto
da quello di finanziamento, ne deriva che le
controversie che posso nascere su uno dei due
non riguardano l’altro
Il credito al consumo
Il credito al consumo si distingue nelle forme del:
credito rateale, finanziamento di importo e
piano di rimborso definito
apertura di credito rotativo, in cui il soggetto
finanziatore mette a disposizione del
consumatore una somma che può essere
utilizzata da quest’ultimi discrezionalmente
cessione del quinto di stipendio, costituito da
un prestito personale garantito da una quota non
eccedente un quinto dello stipendio
Il credito al consumo
La domanda di credito a consumo è costituita dai
privati, i quali hanno fatto registrare un
incremento della richiesta costante negli ultimi
dieci anni, con una triplicazione del valore
complessivo dei finanziamenti erogati
Questo tipo di finanziamento può essere erogato
unicamente da banche, intermediari finanziari
(artt. 106 e 107 del TUB) e dai soggetti
autorizzati alla vendita di beni/servizi nella sola
forma della dilazione di pagamento del prezzo
Il credito al consumo
Gli intermediari finanziari sono, di norma, di
emanazione bancaria o di gruppi industriali
(captive) e l’offerta ha subito nell’ultimo
decennio una notevole concentrazione, con il
45% dell’intera offerta appannaggio di cinque
operatori
La “Direttiva sul Credito al Consumo”
(2008/48/CE) ha stabilito una serie di obblighi
per gli intermediari creditizi, relativi alle
informazione da fornire al consumatore
destinatario del finanziamento al consumo
Lezione
“L’ordinamento
dell’intermediazione creditizia”
Obiettivi

Analizzare le caratteristiche fondamentali


dell’ordinamento dell’intermediazione
creditizia
Accesso all’esercizio
dell’attività bancaria
L’esercizio dell’attività di intermediazione
creditizia è soggetta a riserva di Legge sia per le
banche che per gli altri intermediari creditizi
Per l’attività bancaria, definita dagli artt. 10 e 11
del TUB come la “raccolta di risparmio tra il
pubblico e l’esercizio del credito”, la Banca
d’Italia prevede l’iscrizione in un apposito albo,
ex art. 13 del TUB, delle banche autorizzate in
Italia nonché delle succursali delle banche
comunitarie stabilite sul territorio italiano
Accesso all’esercizio
dell’attività bancaria
L’autorizzazione può essere concessa sia a nuove
banche sia a società preesistenti, sempre che
sussistano le condizioni per una sana e prudente
gestione della banca, tra cui i seguenti requisiti:
adozione della forma di società per azioni o di
società cooperative a responsabilità limitata
capitale sociale versato di ammontare non
inferiore a 6,3 milioni di euro, ovvero a 2 milioni
per le Banche di Credito Cooperativo (BCC)
Accesso all’esercizio
dell’attività bancaria
presentazione di un programma di attività
iniziale, oltre l’atto costitutivo e lo statuto ed
una relazione tecnica con i bilanci previsionali
dei primi tre anni
possesso da parte dei partecipanti al capitale
dei requisiti di onorabilità e gli altri
presupposti soggettivi ex art. 25 del TUB
possesso da parte degli esponenti aziendali dei
requisiti di professionalità e di onorabilità ex
art. 26 del TUB
Accesso all’esercizio
dell’attività bancaria
La Banca di Italia ha 90 giorni dalla data di
ricevimento dell’istanza per completare
l’istruttoria di autorizzazione, 60 giorni qualora si
tratti di BCC e la domanda sia stata presentata
tramite la Federazione Nazionale delle BCC
Al termine dell’istruttoria la Banca d’Italia,
qualora non sussistano i requisiti di sana e
prudente gestione, nega l’autorizzazione oppure,
qualora possibile, chiede che vengano integrati
alcuni dei citati requisiti
Accesso all’esercizio
dell’attività bancaria
Con l’iscrizione all’albo di cui all’art.13 del TUB le
banche potranno esercitare sia l’attività bancaria
sia ogni altra attività finanziaria nonché attività
connesse e strumentali
Potranno inoltre esercitare tutte le attività
ammesse al mutuo riconoscimento (di cui
all’art.1, co.2, lett.f del TUB) anche al difuori del
territorio della Repubblica Italiana, sia con
proprie succursali che senza
Accesso all’esercizio
dell’attività bancaria
Tale esercizio all’estero potrà avvenire:
“liberamente” se in uno Stato membro della UE
“previa autorizzazione della Banca d’Italia” se
in un Paese extracomunitario

Allo stesso modo le banche comunitarie potranno


esercitare l’attività di mutuo riconoscimento sul
territorio italiano, previa verifica della Banca
d’Italia del Paese di appartenenza
Accesso all’esercizio
dell’attività bancaria
Al fine di garantire la sana e prudente gestione
dall’ingerenza degli azionisti rilevanti, la
normativa prevede la regolamentazione
dell’assunzioni di partecipazione nel capitale
della banca
La Direttiva 2007/44/CE prevede l’obbligo di
autorizzazione della Banca d’Italia
all’acquisizione di partecipazioni al capitale di
una Banca, in caso la stessa dia luogo a situazioni
di controllo o influenza notevole sulla gestione
Accesso all’esercizio
dell’attività bancaria
Ai fini del rilascio dell’autorizzazione, la Banca
d’Italia provvederà a valutare:

I requisiti reputazionali del candidato


acquirente
I requisiti di esperienza e reputazione di coloro
che assumeranno le funzioni di amministrazione,
direzione e controllo a seguito dell’acquisizione
della partecipazione
Accesso all’esercizio
dell’attività bancaria

la solidità finanziaria della società acquirente


La capacità della banca al rispetto delle
disposizioni di vigilanza
l’inesistenza di ragionevoli dubbi che si tratti di
un operazione di riciclaggio di proventi di attività
illecite compreso il finanziamento del terrorismo
Accesso all’esercizio
dell’attività bancaria
La procedura di valutazione viene avviata dalla
Banca d’Italia entro due giorni dal ricevimento
dell’istanza di autorizzazione e non può durare
oltre 60 dall’avvio, trascorso inutilmente tale
termine vale il principio del silenzio-assenso e
l’autorizzazione deve considerarsi concessa
Accesso all’esercizio dell’attività
degli intermediari finanziari

La riserva di legge per l’esercizio dell’attività


svolta dagli altri intermediari creditizi,
denominati intermediari finanziari dal titolo V del
TUB, è rappresentata dalla recente
regolamentazione introdotta con il D.lgs.
n.141/2010 che ha recepito la Direttiva
comunitaria in materia di credito al consumo
Accesso all’esercizio dell’attività
degli intermediari finanziari
Tale normativa ha modificato ed integrato
l’art.106 del TUB, il quale al comma 1 prescrive
che l’attività di concessione di finanziamenti
presso il pubblico sia riservata ai soli intermediari
finanziari autorizzati, iscritti in apposito albo
tenuto da Banca d’Italia
Oltre alla attività di concessione dei
finanziamenti di cui sopra, ai sensi del comma 2
del medesimo art.106, gli intermediari finanziari
possono altresì prestare altre attività finanziarie
Accesso all’esercizio dell’attività
degli intermediari finanziari
Tra le altre attività finanziarie si annoverano:
i servizi di pagamento, previa autorizzazione e
iscrizione in apposito albo
i servizi di investimento, sempre se autorizzati
ai sensi dell’art.18 co.3 del D.lgs. N.58/1998
le altre attività a loro consentite dalla legge
le attività connesse e strumentali, nel rispetto
dei limiti imposti dalla Banca d’Italia
Accesso all’esercizio dell’attività
degli intermediari finanziari
Tali attività possono essere svolte in via
subordinata alla concessione dei finanziamenti e
sempre che l’intermediario invii preventivamente
il programma di attività e la relazione sulla
struttura organizzativa aggiornati alla Banca
d’Italia
L’art.107 del TUB prevede che per poter essere
iscritti all’albo degli intermediari finanziari è
necessario che sussistano i seguenti requisiti:
Accesso all’esercizio dell’attività
degli intermediari finanziari
la forma giuridica di capitali
la sede e la direzione ubicate nel territorio della
Repubblica Italiana
la dimensione del capitale sociale versato non
inferiore a quello richiesto dalla Banca d’Italia,
pari a 2 milioni di euro, elevato a 3 milioni per
quelli che intendono prestare garanzie
la presentazione di un programma afferente
l’attività iniziale, la struttura organizzativa,
unitamente allo statuto e all’atto costitutivo
Accesso all’esercizio dell’attività
degli intermediari finanziari
La sussistenza dei requisiti di onorabilità per i
titolari di partecipazioni e per gli esponenti
aziendali, per quest’ultimi anche quelli di
professionalità
L’insussistenza di stretti legami tra gli
intermediari finanziari o i soggetti del gruppo cui
appartengono e altri soggetti che ostacolino
l’esercizio effettivo delle funzioni di vigilanza
la limitazione dell’oggetto sociale alle sole
attività di cui all’art. 106 comma 1 e 2
Accesso all’esercizio dell’attività
degli intermediari finanziari

La Banca d’Italia, entro 180 giorni dalla data di


ricevimento dell’istanza, in base agli esiti di
apposita istruttoria, tenuto conto dell’esigenza di
assicurare una gestione sana e prudente, rilascia
o nega l’autorizzazione all’avvio delle attività di
intermediazione finanziaria
Accesso all’esercizio dell’attività
degli intermediari finanziari
Le disposizioni di vigilanza prevedono inoltre il
rilascio di autorizzazione per:
la prestazione di servizi di investimento,
autorizzazione connessa alla verifica che tali
servizi siano correlati alla concessione dei
finanziamenti svolta in via principale
gli intermediari esteri insediati in Paesi
comunitari che intendono svolgere la loro
funzione mediante una stabile organizzazione in
Italia
Accesso all’esercizio dell’attività
degli intermediari finanziari
L’autorizzazione decade a seguito delle seguenti
cause:
rinuncia all’autorizzazione
non si avvii l’attività entro 12 mesi
dall’ottenimento dell’autorizzazione
cessi la prestazione dell’attività di concessione
di finanziamento per un periodo continuativo
superiore a 12 mesi
La vigilanza sulle banche
L’art.5 del TUB disciplina finalità e destinatari
della vigilanza:
le autorità creditizie esercitano i poteri di
vigilanza “avendo riguardo alla sana e prudente
gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità
complessiva, all’efficienza e alla competitività del
sistema finanziario nonché all’osservanza delle
disposizioni in materia creditizia”
Si esercita nei confronti delle banche, dei gruppi
bancari, degli intermediari finanziari, degli IMEL e
La vigilanza sulle banche
La ordinamento vigente prevede tre tipi di
vigilanza sulle banche:
la vigilanza regolamentare
la vigilanza informativa
la vigilanza ispettiva
La vigilanza regolamentare è esercitata dalla
Banca d’Italia (si sensi dell’art.53 del TUB)
mediante l’emanazione di disposizioni di
carattere generale (istruzioni di vigilanza) nelle
seguenti materie
La vigilanza sulle banche
a) adeguatezza patrimoniale
b) contenimento del rischio nelle sue diverse
configurazioni
c) partecipazioni detenibili
d) governo societario, organizzazione
amministrativa e contabile, controlli interni e
sistemi di remunerazione e di incentivazione
e) informativa da rendere al pubblico sulle
materie indicate nei punti precedenti
La vigilanza sulle banche
L’adeguatezza patrimoniale della banca rispetto al
livello dei rischi assunti costituisce la base dei più
importanti strumenti di controllo, in quanto il
patrimonio rappresenta il punto di riferimento
per le valutazioni delle Autorità di vigilanza circa
la stabilità delle banche nell’esercizio della loro
autonomia imprenditoriale
Impostazione proposta dal Comitato di Basilea
(organizzazione internazionale che opera
nell’ambito della vigilanza bancaria)
La vigilanza sulle banche
Al fine di garantire l’adeguatezza patrimoniale la
Banca d’Italia ha emanato dettagliate disposizioni
attraverso:
la Circolare 229/1999 (Istruzioni di vigilanza
per le banche)
la Circolare 263/2006 (Nuove disposizioni di
vigilanza prudenziale per le banche), a seguito del
recepimento del Nuovo Accordo sul Capitale di
Basilea (Basilea 2)
La vigilanza sulle banche
Per quanto attiene al contenimento della
concentrazione dei rischi, i gruppi bancari e le
banche non appartenenti a gruppi bancari sono
obbligate a contenere ciascuna posizione di
rischio entro il limite del 25% del patrimonio di
vigilanza (Circ. Banca d’Italia 263/2006 e s.m.i.)
Per le singole banche appartenenti ad un gruppo
bancario il limite è pari al 40% purché, a livello
consolidato, il gruppo rispetti il limite del 25%
La vigilanza sulle banche
Il limite del 25% può essere superato qualora
l’esposizione sia nei confronti di soggetti bancari
e finanziari, alle seguenti condizioni:
l’ammontare della posizione di rischio non sia
superiore a 150 milioni di euro
il totale delle posizioni di rischio relative a
clienti diversi dalle banche o imprese di
investimento non superi il limite del 25%
sia coerente con la dotazione di patrimonio di
vigilanza e, in ogni caso, non la superi
La vigilanza sulle banche
Con riferimento alle partecipazioni detenibili, la
Circolare 263/2006 prevede dei limiti molto
stringenti al fine di tutelare l’indipendenza della
banca evitando un eccessivo coinvolgimento in
società non finanziarie. In particolare, prevede:
che il complesso di partecipazioni e investimenti
in immobili non può eccedere l’ammontare del
patrimonio di vigilanza
regole specifiche per partecipazioni in
intermediari finanziari e imprese non finanziarie
La vigilanza sulle banche
La vigilanza informativa è disciplinata dall’art.51
del TUB e obbliga le banche ad inviare alla Banca
d’Italia, con le modalità e nei termini da essa
stabiliti, le segnalazioni periodiche nonché ogni
altro dato e documento richiesto.
Le segnalazioni vengono trasmesse attraverso la
“matrice dei conti” uno schema contenente
informazioni di dettaglio relative allo stato
patrimoniale, al conto economico, al patrimonio
di vigilanza, ai rischi etc.
La vigilanza sulle banche
La vigilanza ispettiva è disciplinata dall’art.54 del
TUB che attribuisce alla Banca d’Italia il potere di
“effettuare ispezioni presso le banche e
richiedere a esse l’esibizione di documenti e gli
atti che ritenga necessari”
Trattasi di un potere molto ampio finalizzato ad
accertare la presenza di consapevoli e coerenti
strategie imprenditoriali, capacità di governo dei
rischi, strutture organizzative e meccanismi di
contro interno adeguati
La vigilanza sulle banche
I risultati dell’accertamento devono essere
consegnati entro 90 giorni dal termine
dell’accertamento
La banca, entro 30 giorni dalla consegna dei
risultati, può comunicare, rispetto ai rilievi
formulati, le proprie considerazioni e i
provvedimenti assunti o che intende assumere
per rimuovere le irregolarità
La vigilanza sugli intermediari
finanziari
La vigilanza sugli intermediari finanziari ex art.
106 del TUB è disciplinata dall’art. 108 del TUB
che sostanzialmente equipara la vigilanza degli
intermediari finanziari a quella prevista per le
banche
In particolare, per quanto attiene alla vigilanza
regolamentare, l’art. 108 del TUB attribuisce alla
Banca d’Italia esattamente lo stesso potere
conferitole sulle banche dall’art.53
La vigilanza sugli intermediari
finanziari
“la Banca d’Italia emana disposizioni di carattere
generale aventi a oggetto: il governo societario,
l’adeguatezza patrimoniale, il contenimento del
rischio nelle sue diverse configurazioni,
l’organizzazione amministrativa e contabile, i
controlli interni e i sistemi di remunerazione e
incentivazione nonché l’informativa da rendere al
pubblico sulle precedenti materie”. Inoltre, per le
stesse materie può adottare provvedimenti
specifici nei confronti dei singoli intermediari
La vigilanza sugli intermediari
finanziari
Esistono tuttavia regole specifiche per gli
intermediari finanziari che tengono conto delle
peculiarità degli stessi:
per gli intermediari che non effettuano la
raccolta di risparmio presso il pubblico, il
requisito patrimoniale complessivo minimo è
ridotto al 6% delle esposizioni ponderate per il
rischio
La vigilanza sugli intermediari
finanziari
gli intermediari finanziari sono tenuti a
rispettare il limiti alla concentrazione dei rischi
previsti per le banche ma, in via transitoria,
possono superare il limite individuale di
esposizione verso un cliente del 25% del
patrimonio di vigilanza. Tale deroga richiede però
l’applicazione di un requisito patrimoniale
specifico all’esposizione eccedente il 25%. In ogni
caso la singola esposizione non può superare il
40% del patrimonio di vigilanza
La vigilanza sugli intermediari
finanziari
Con riferimento alla vigilanza informativa l’art.
108 del TUB prevede a carico degli intermediari
finanziari gli stessi obblighi posti a carico delle
banche (trasmissione alla Banca d’Italia delle
segnalazioni periodiche etc.)
Per quanto attiene, infine, alla vigilanza ispettiva
l’art. 108 del TUB conferisce alla Banca d’Italia il
potere di effettuare ispezioni presso gli
intermediari e richiedere atti e documenti (stesso
potere che può esercitare sulle banche)
Lezione
“Il bilancio delle banche”
Obiettivi

Analizzare la disciplina del bilancio di esercizio


della banca
Il bilancio delle banche
Il bilancio costituisce un sistema complesso e
integrato di informazioni la cui finalità principale
è quella di fornire agli stakeholder (azionisti,
creditori, mercato, autorità di vigilanza, etc.) una
rappresentazione della situazione aziendale
(patrimoniale, economica e finanziaria) che
consenta valutazioni corrette sullo stato di salute
dell’impresa e di prendere coerenti decisioni
economiche
Il bilancio delle banche
La normativa di riferimento comprende:
D.lgs. 87/1992: ha introdotto una
regolamentazione speciale per i bilanci delle
banche, stabilendone i principi fondamentali
(rinviando a Banca d’Italia la disciplina degli
aspetti tecnici)
D.lgs. 38/2005: ha introdotto l’obbligo per le
banche e gli intermediari finanziari vigilati di
redigere il bilancio secondo i principi contabili
internazionali (IAS e IFRS)
Il bilancio delle banche
Circolare 262/2005 Banca d’Italia: contiene
schemi e regole di compilazione del bilancio
bancario
Istruzioni emanate dalla Banca d’Italia per la
redazione dei bilanci e dei rendiconti degli
Intermediari finanziari ex art 107 del TUB, degli
Istituti di pagamento, degli IMEL, delle SGR e delle
SIM
Il bilancio delle banche
Il bilancio della banca è costituito dai seguenti
documenti: stato patrimoniale, conto economico,
prospetto delle variazioni del patrimonio netto,
rendiconto finanziario, nota integrativa
Deve essere corredato da una relazione degli
amministratori sull’andamento della gestione e
sulla situazione della banca o della società
finanziaria e dell’insieme delle imprese incluse
nel consolidamento
Il bilancio delle banche
I requisiti che gli amministratori devono
rispettare nella redazione del bilancio sono la
chiarezza e la rappresentazione veritiera e
corretta della situazione patrimoniale, finanziaria
ed economica dell’esercizio
La veridicità: agli estensori è richiesta
un’oggettività basata sulla buona fede e sul
rispetto delle norme aziendali
La correttezza si concretizza nel rispetto delle
norme giuridiche e delle regole tecnico-contabili
Il bilancio delle banche
I documenti di bilancio devono essere redatti
secondo gli schemi previsti dalla Banca d’Italia
Con riferimento allo stato patrimoniale, la Banca
d’Italia nello schema proposto prevede che le
poste dell’attivo siano classificate e ordinate in
base al criterio della “liquidità” e quelle del
passivo della “esigibilità”
Lo stato patrimoniale fornisce informazioni sulla
situazione finanziaria della banca e sull’entità dei
rischi insiti nelle poste dell’attivo
Stato Patrimoniale - voci
dell’attivo
Stato Patrimoniale - voci
dell’attivo
Le voci “tipiche” dell’attivo sono:
20. Attività finanziarie detenute per la
negoziazione, cioè le attività finanziarie (es. titoli
di debito, titoli di capitale, derivati, etc.) allocate
nel portafoglio di negoziazione della banca
30. Attività finanziarie valutate al fair value,
cioè le attività finanziarie per cassa iscritte al fair
value con i risultati valutativi in conto economico,
sulla base della c.d. “fair value option”
riconosciuta dagli IAS 39, 28 e 31
Stato Patrimoniale - voci
dell’attivo
40. Attività finanziarie disponibili per la vendita
cioè le attività finanziarie classificate nel
portafoglio disponibile per la vendita
50. Attività finanziarie detenute sino alla
scadenza in questa voce sono indicati i titoli di
debito quotati e i finanziamenti quotati allocati
nel portafoglio detenuto sino alla scadenza
60. Crediti verso banche, cioè attività
finanziarie non quotate verso banche (conti
correnti, etc.) classificate tra i crediti
Stato Patrimoniale - voci
dell’attivo
70. Crediti verso clientela, cioè attività
finanziarie non quotate verso clienti (mutui,
operazioni di factoring, etc.) classificate tra i
crediti. Rientrano anche i crediti verso gli uffici
postali e la Cassa Depositi e Prestiti e i margini di
variazione presso organismi di compensazione
(per l’operatività della banca in derivati)
80.Derivati di copertura, tale voce comprende i
derivati finanziari e creditizi di copertura che, alla
data del bilancio presentano un fair value positivo
Stato Patrimoniale - voci
dell’attivo
90. Adeguamento di valore delle attività
finanziarie oggetto di copertura generica, cioè il
saldo positivo o negativo, delle variazioni di valore
delle attività oggetto di copertura generica dal
rischio di tasso di interesse (c.d. macrohedging)
100. Partecipazioni, sono indicate le
partecipazioni in società controllate, controllate in
modo congiunto e sottoposte ad influenza
notevole, diverse da quelle ricondotte nelle voci
20 e 30 dell’attivo dagli IAS 28 e 31
Stato patrimoniale voci del
passivo e patrimonio netto
Stato patrimoniale voci del
passivo e patrimonio netto
Le voci “tipiche” del passivo sono:
10. Debiti verso banche, in questa voce sono
indicati i debiti verso istituti di credito (depositi,
conti correnti, etc.) diversi da quelli ricondotti
nelle voci 40 e 50 del passivo patrimoniale, e dai
titoli di debito indicati nella voce 30, nonché i
debiti di funzionamento
Stato patrimoniale voci del
passivo e patrimonio netto
20. Debiti verso clientela, in questa voce sono
indicati i debiti verso la clientela (depositi, conti
correnti, etc.) diversi da quelli ricondotti nelle voci
40 e 50 del passivo patrimoniale, e dai titoli di
debito indicati nella voce 30, nonché i margini di
variazione presso organismi di compensazione
(per l’operatività in derivati) e i debiti di
funzionamento connessi con la prestazione di
servizi finanziari (se connessi a forniture di beni e
servizi, rientrano nelle “altre passività”)
Stato patrimoniale voci del
passivo e patrimonio netto
30. Titoli in circolazione, in questa voce
figurano tutti i titoli emessi dalla banca, quotati e
non quotati, valutati al costo ammortizzato. Sono
anche inclusi i buoni fruttiferi, i certificati di
deposito e gli assegni circolari emessi al portatore
40 Passività finanziarie di negoziazione, cioè le
passività finanziarie classificate nel portafoglio di
negoziazione
Stato patrimoniale voci del
passivo e patrimonio netto
50.Passività finanziarie valutate al fair value
cioè le passività finanziarie, iscritte al fair value
con i risultati valutativi in conto economico, sulla
base della c.d. “fair value option” riconosciuta
dallo IAS 39
60. Derivati di copertura, cioè i derivati
finanziari e creditizi di copertura che, alla data di
riferimento del bilancio, hanno un fair value
negativo
Stato patrimoniale voci del
passivo e patrimonio netto
70. Adeguamento di valore delle passività
finanziarie oggetto di copertura generica,
comprende il saldo, positivo o negativo, delle
variazioni di valore delle passività oggetto di
copertura generica dal rischio di tasso di interesse
130. Riserve da valutazione, comprende, tra le
altre, le riserve relative a: attività finanziarie
disponibili per la vendita, copertura di
investimenti esteri, copertura dei flussi finanziari,
differenze di cambio da conversione
Stato patrimoniale voci del
passivo e patrimonio netto
150. Strumenti di capitale, cioè gli strumenti
rappresentativi di patrimonio netto, diversi dal
capitale e dalle riserve
160. Riserve, cioè tutte le riserve (legale,
statutaria, riserva per acquisto azioni proprie,
utili/perdite portati a nuovo, etc.)
180. Capitale tale voce comprende l’importo
delle azioni emesse dalla banca, al netto della
quota sottoscritta e non ancora versata alla data
di riferimento del bilancio
Il Conto Economico
Il Conto Economico
Il fine istituzionale di una banca è quello di
produrre un margine economico (differenza tra
ricavi e costi). L’obiettivo non è quello di
massimizzare la redditività ma di ottimizzarla nel
rispetto dei vincoli di liquidità e solvibilità
Il conto economico fornisce informazioni
sull’equilibrio economico dell’impresa
E’ redatto in forma scalare al fine di evidenziare
margini e risultati economici intermedi e la loro
partecipazione al risultato di esercizio
Il Conto Economico
Le voci principali sono:
10. Interessi attivi e proventi assimilati, 20.
Interessi passivi e oneri assimilati, in queste voci
sono iscritti gli interessi attivi e passivi, i proventi
e gli oneri assimilati relativi, rispettivamente, a
disponibilità liquide, attività finanziarie detenute
per la negoziazione, attività finanziarie disponibili
per la vendita, attività finanziarie detenute sino
alla scadenza, crediti, attività finanziarie valutate
al fair value (voci 10,20,30,40,50,60,70 dell’attivo)
Il Conto Economico
e a debiti, titoli in circolazione, passività
finanziarie di negoziazione, passività finanziarie
valutate al fair value (voci 10,20,30,40,50 del
passivo) nonché eventuali altri interessi maturati
nell’esercizio
Confluiscono in queste voci anche i differenziali o
i margini, positivi o negativi, maturati sino alla
data di riferimento del bilancio, relativi a derivati
di copertura di attività e passività che generano
interessi e a derivati di negoziazione
Il Conto Economico
30.Margine di interesse la differenza tra le voci
10. e 20. rappresenta il Margine di Interesse
10 Interessi attivi e proventi assimilati
- 20 Interessi passivi e oneri assimilati
= MARGINE DI INTERESSE

Il margine di interesse è la fondamentale


componente di reddito di una banca derivante
dalla sua tradizionale attività di intermediazione
creditizia
Il Conto Economico
40. Commissioni attive e 50. Commissioni
passive, riguardano i proventi e gli oneri relativi,
rispettivamente, ai servizi prestati e a quelli
ricevuti dalla banca (garanzie, incassi e pagamenti,
gestione e intermediazione, etc.)
70. Dividendi e proventi simili, comprendono i
dividendi relativi ad azioni o quote detenute in
portafoglio diverse da quelle valutate in base al
metodo del patrimonio netto. Sono compresi
anche i dividendi e altri proventi di quote di OICR
Il Conto Economico
80. Risultato netto dell’attività di negoziazione
rientrano:
a) Il saldo tra i profitti e le perdite delle operazioni
classificate nelle “attività finanziarie detenute per
la negoziazione” e nelle “passività finanziarie di
negoziazione”, inclusi i risultati delle valutazioni di
tali operazioni
b) Il saldo tra i profitti e le perdite delle operazioni
finanziarie, diverse da quelle iscritte al fair value
e da quelle di copertura, denominate in valuta,
inclusi i risultati delle valutazioni di tali operazioni
Il Conto Economico
100. Utili/perdite da cessione o riacquisto,
i saldi tra gli utili e le perdite realizzati con la
vendita delle attività finanziarie classificate nei
portafogli “crediti”, “attività finanziarie
disponibili per la vendita” e “attività finanziarie
detenute sino alla scadenza”, nonché il saldo tra
gli utili e le perdite realizzati in occasione del
riacquisto di proprie passività finanziarie, diverse
da quelle di negoziazione e da quelle designate al
fair value
Il Conto Economico
110. Risultato netto delle attività e passività
finanziarie valutate al fair value la voce
comprende il saldo tra gli utili e le perdite delle
“attività finanziarie valutate al fair value” e delle
“passività finanziarie valutate al fair value”
120. Margine di intermediazione, si ottiene,
quindi, sommando al margine di interesse i ricavi
e costi non finanziari legati ad altre attività svolte
tipicamente dalla banca (servizi) e le plusvalenze
e minusvalenze realizzate e stimate
Il Conto Economico
130. Rettifiche/riprese di valore nette per
deterioramento in tale voce confluiscono i saldi
tra le rettifiche di valore e le riprese di valore
connesse con il deterioramento dei crediti verso
la clientela e verso banche, delle “attività
finanziarie disponibili per la vendita”, delle
“attività finanziarie detenute sino alla scadenza” e
delle “altre operazioni finanziarie”
Il Conto Economico
140. Risultato netto della gestione finanziaria
che si ottiene sommando al margine di
intermediazione le rettifiche e le riprese delle
attività finanziarie detenute a vario scopo dalle
banche, secondo i principi contabili
internazionali IAS/IFRS
Lezione
“I principi contabili
internazionali e il bilancio degli
intermediari finanziari”
Obiettivi

Analizzare l’impatto dei principi contabili


internazionali sul bilancio delle banche
Analizzare la disciplina del bilancio di
esercizio degli intermediari finanziari
I principi contabili
internazionali
I Principi Contabili Internazionali che interessano
gli strumenti finanziari sono:
IFRS 7 Disclosure, lo standard prevede che sia
presentato un livello di informativa che permetta
agli utenti di valutare la significatività degli
strumenti finanziari e la natura e l’estensione dei
rischi ad essi connessi
IAS 32 Presentation, relativo all’esposizione in
bilancio degli strumenti finanziari
I principi contabili
internazionali
IAS 39 Recognition and measurement che
affronta globalmente il tema della
contabilizzazione e della valutazione degli
strumenti finanziari
Le voci tipiche dell’attività bancaria da analizzare
sotto il profilo della iscrizione (recognition) e
valutazione (measurement) sono:
i titoli di proprietà della banca, i crediti e
le passività della banca
I principi contabili
internazionali
Per quanto attiene ai titoli di proprietà della
banca lo IAS 39 classifica il portafoglio titoli, sulla
base delle finalità della detenzione, in:
Titoli valutati al fair value con effetto sul (*)

conto economico (FPVL – Fair Value trough


Profit or Loss) tale categoria comprende
principalmente i titoli detenuti per la
negoziazione (Held For Trading - HFT)

(*) Il Fair Value è definito dagli IAS come il corrispettivo al quale un’attività finanziaria può essere
scambiata o una passività estinta, in una libera transazione fra parti consapevoli e disponibili
I principi contabili
internazionali
Al momento dell’iscrizione (recognition) tali titoli
vanno contabilizzati al fair value pari al
corrispettivo pagato senza considerare i costi e i
proventi di transazione che sono imputati al conto
economico. In sede di redazione del bilancio
(measurement) tali titoli vanno valutati al fair value,
che è dato dal prezzo di mercato se il titolo è
quotato altrimenti è stimato sulla base del prezzo
di titoli simili o del Net Present Value (VAN). Gli
utili o perdite derivanti dalla valutazione andranno
imputati al conto economico
I principi contabili
internazionali
Titoli Held To Maturity – HTM, cioè le attività
finanziarie che la banca ha deciso, con oggettiva
intenzione e capacità, di tenere in portafoglio
fino alla loro scadenza a condizione che siano
caratterizzate da una scadenza fissa e che
generino pagamenti determinabili o fissi:
recognition, vanno contabilizzati al loro fair
value comprensivo dei costi di transazione
measurement, sono valutati secondo il criterio
del “costo ammortizzato”
I principi contabili
internazionali
Il costo ammortizzato è dato dal prezzo di
acquisto del titolo comprensivo di tutte le
componenti accessorie ed eventualmente
rettificato in diminuzione se il rischio di credito è
aumentato
Glie eventuali utili o perdite derivanti dalla
valutazione dovranno essere contabilizzate nella
voce “rettifiche di valore” del conto economico
della banca
I principi contabili
internazionali
Titoli Available For Sale – AFS, si tratta di una
categoria residuale in cui rientrano i titoli non
compresi nelle precedenti categorie
recognition, vanno contabilizzati al loro fair
value comprensivo dei costi di transazione
measurement, sono valutati secondo il criterio
del fair value. Gli eventuali utili o perdite
derivanti dalla valutazione dovranno essere
imputati alla “riserva fair value” (riserve da
valutazione voce 130. del passivo)
I principi contabili
internazionali
Per quanto attiene ai crediti della banca lo IAS 39
prevede la loro iscrizione nel portafoglio Loans
and Receivables – LR che accoglie le attività
finanziarie con pagamenti fissi e determinati non
quotate in un mercato attivo
recognition, vanno contabilizzati al loro fair
value comprensivo dei costi di transazione
(commissioni up front, oneri non ripetibili al
cliente)
I principi contabili
internazionali
Se il credito è erogato ad un tasso inferiore a
quello di mercato, l’iscrizione deve essere
effettuata al valore che si ottiene attualizzando i
futuri flussi di cassa al tasso di mercato; la
differenza tra l’importo erogato e quello
risultante dall’attualizzazione suddetta deve
essere iscritta nel conto economico (al momento
dell’erogazione) quale componente negativo di
reddito
I principi contabili
internazionali
measurement, le voci del portafoglio Loans
and Receivables vanno valutate secondo il criterio
del costo ammortizzato che è dato da:

Valore di iscrizione iniziale del credito


- Rimborsi di capitale
± Ammortamento delle differenze tra valore iniziale e
valore finale utilizzando il Tasso di Interesse Effettivo
± Svalutazioni da perdite durevoli di valore/
rivalutazioni
I principi contabili
internazionali
Il Tasso di Interesse Effettivo è il tasso che
eguaglia il valore attuale dei flussi di cassa futuri
attesi dallo strumento finanziario (fino alla
scadenza attesa o fino alla successiva data di
ricalcolo del tasso) al valore di iscrizione iniziale
dello strumento medesimo
La svalutazione dei crediti (impairment) può
avvenire nel caso in cui il valore contabile del
credito risulti superiore al valore di realizzo (solo
se vi è un’evidenza di perdite durevoli)
I principi contabili
internazionali
L’eventuale svalutazione va iscritta nel conto
economico della banca nella voce “rettifiche di
valore”
L’impairment può essere analitico (quando viene
operato su singole posizioni) e collettivo (quando
la valutazione degli strumenti è complessiva)
La banca dovrà innanzitutto identificare le singole
posizioni per le quali esista l’evidenza di perdite
durevoli di valore dovute all’inadempimento del
debitore (downgranding o insolvenza)
I principi contabili
internazionali
Il valore del credito si ottiene attualizzando, al
TIE originario, i flussi di cassa futuri attesi stimati
sulla base dell’importo recuperabile e dell’arco
temporale entro il quale si ritiene di recuperare
parte del valore dell’attività
Qualora il valore del credito così determinato sia
inferiore ai flussi di cassa contrattuali (o le
scadenze appaiano slittate) il valore contabile
dovrà essere svalutato
I principi contabili
internazionali
In alternativa a questa procedura il valore di
recupero del credito e la perdita possono essere
definite sulla base del fair value del credito
(utilizzando un prezzo di mercato osservabile)
Se successivamente alla svalutazione, il valore di
recupero del credito aumenta (l’aumento deve
essere riconducibile ad un evento oggettivo) è
necessario operare una ripresa di valore con la
stessa procedura di calcolo utilizzata per la
svalutazione
I principi contabili
internazionali
Dopo il processo di valutazione analitica si passa
ad una valutazione collettiva degli strumenti
(raggruppati in categorie omogenee) c.d.
impairment collettivo
In questi casi l’impairment si calcola
confrontando il valore contabile del gruppo
omogeneo di crediti con il valore effettivo di
recupero (dato dall’attualizzazione dei flussi di
cassa futuri attesi corretti in base al trend storico
delle perdite riferibili al gruppo omogeneo)
I principi contabili
internazionali
Per quanto attiene alle passività della banca lo
IAS 39 classifica il portafoglio delle passività in:
Passività finanziarie valutate al fair value tale
categoria comprende principalmente i titoli
detenuti per la negoziazione (Held For Trading
- HFT)
recognition, vanno contabilizzati al loro fair
value senza considerare i costi e i proventi di
transazione che sono imputati al conto
economico
I principi contabili
internazionali
Measurement, sono valutati secondo il criterio
del fair value. Gli eventuali utili o perdite
derivanti dalla valutazione dovranno essere
imputati al conto economico
Altre Passività finanziarie tale categoria
comprende le passività originate dalla banca
(es. debiti verso banche e clienti, obbligazioni
etc.)
I principi contabili
internazionali
Recognition, vanno contabilizzate al loro fair
value considerando anche i costi e i proventi
di transazione
Measurement, vanno valutate sulla base del
criterio del costo ammortizzato
Il bilancio degli intermediari
finanziari
A partire dal bilancio relativo al 2011, la Banca
d’Italia ha sostanzialmente allineato la disciplina
del bilancio degli intermediari finanziari a quella
delle banche (attraverso le “Istruzioni per la
redazione dei bilanci e dei rendiconti degli
intermediari finanziari ex art 107 del TUB, degli
Istituti di pagamento, degli IMEL, delle SGR e
delle SIM)
Tuttavia gli intermediari finanziari presentano
alcune voci specifiche che è utile analizzare
Il bilancio degli intermediari
finanziari
Per quanto attiene all’attivo dello stato
patrimoniale, la voce tipica per gli intermediari
finanziari ex art. 106 del TUB è quella relativa ai
Crediti che comprende ad es. i crediti derivanti da
attività di leasing finanziario e di factoring
Tra i crediti, la sottovoce “altri finanziamenti”
comprende anche i finanziamenti a fronte di
operazioni di leasing finanziario per beni in corso
di costruzione e quelli in attesa di locazione nel
caso di contratti “con trasferimento dei rischi”
Il bilancio degli intermediari
finanziari
(cioè nel caso in cui i rischi sono trasferiti sul
locatario anteriormente alla presa in consegna del
bene e alla decorrenza dei canoni di locazione)
Le attività finanziarie acquisite nell’ambito di
operazioni di factoring pro-soluto vanno rilevate
al corrispettivo pattuito (anche se regolato in via
differita), al netto dei rimborsi e di eventuali
rettifiche di valore dovute a deterioramento, e le
controparti sono i debitori ceduti
Il bilancio degli intermediari
finanziari
Le attività finanziarie acquisite nell’ambito di
operazioni di factoring pro-solvendo vanno
rilevate in base agli anticipi effettuati al soggetto
cedente (inclusi gli interessi e le competenze
contabilizzati nonché le eccedenze rispetto al
“monte crediti”), al netto dei rimborsi e di
eventuali rettifiche di valore dovute a
deterioramento
Il bilancio degli intermediari
finanziari
Altre voci di interesse dell’attivo sono le Attività
materiali, che comprendono:
Immobili, impianti, macchinari e altre attività
materiali disciplinate dallo IAS 16
Investimenti immobiliari (terreni e fabbricati)
disciplinati dallo IAS 40
Le Attività Immateriali che comprendono
l’avviamento e le altre attività immateriali
disciplinate dallo IAS 38
Il bilancio degli intermediari
finanziari
Con riferimento al Conto economico le voci
tipiche per gli intermediari finanziari sono le
“Rettifiche/riprese di valore nette su attività
materiali e immateriali”: tale voce accoglie il
saldo fra le rettifiche di valore e le riprese di
valore relative ad attività materiali e immateriali
detenute ad uso funzionale o a scopo di
investimento, incluse quelle relative ad attività
acquisite in leasing finanziario e ad attività
concesse in leasing operativo
Lezione
“Gli equilibri di gestione delle
banche”
Obiettivi

Analizzare l’equilibrio patrimoniale,


economico e finanziario nella gestione delle
banche
Funzione obiettivo ed equilibri
di gestione
La banca come ogni altra impresa persegue
l’obiettivo funzionale della “produzione di
reddito” per la soddisfazione, in primis, degli
interessi degli azionisti anche quando sia
caratterizzata da un forte orientamento al sociale
L’“orientamento al profitto”, tuttavia, non può
prescindere dalla sopravvivenza nel medio-lungo
periodo della banca e della soddisfazione più
generale degli interessi degli stakeholder, non
sempre coincidenti con quelli degli shareholder
Funzione obiettivo ed equilibri
di gestione
Nelle teorie economiche d’impresa, la “creazione
e diffusione del valore” rappresenta il principio
in cui convergono in un unico fondamentale
obiettivo:
la sopravvivenza a lungo termine dell’impresa
la conservazione e lo sviluppo della sua
capacità reddituale
il rispetto della sua funzione al servizio della
società civile
il controllo del rischio
Funzione obiettivo ed equilibri
di gestione
Il raggiungimento del più ampio obiettivo da
parte delle banca di creare valore non può
prescindere dal perseguimento degli equilibri
fondamentali di gestione:
equilibrio patrimoniale
equilibrio economico
equilibrio finanziario
Funzione obiettivo ed equilibri
di gestione
Per equilibrio patrimoniale si intende la
situazione in cui il totale delle attività
patrimoniali (finanziarie e reali) supera il totale
delle passività, con conseguente patrimonio
netto positivo
La banca è solvibile se assicura tale equilibrio
La solvibilità è elemento sostanziale, per le
banche è altresì oggetto di regolamentazione e
vigilanza
Funzione obiettivo ed equilibri
di gestione
La solidità patrimoniale, assume particolare
rilevo per le banche caratterizzate dalla
rischiosità tipica dell’attività bancaria e
riconducibile allo strutturale divario tra la
duration delle attività e quella delle passività
La presenza di una robusta capitalizzazione
della banca rappresenta garanzia contro i rischi
assunti dalla stessa e dall’intero sistema bancario
più in generale
Funzione obiettivo ed equilibri
di gestione
Ne deriva che il ricorso all’indebitamento in
maniera eccessiva, a fronte di possibili effetti
positivi sul rendimento dei mezzi propri di breve
periodo (incremento del ROE), può generare una
situazione di instabilità nel medio, lungo periodo
Per equilibrio economico si intende la situazione,
riferita ad un intervallo di tempo prestabilito,
solitamente l’esercizio, in cui il totale dei ricavi,
finanziari e non, supera il totale dei costi
finanziari e operativi, generando un utile
Funzione obiettivo ed equilibri
di gestione
Utile che contribuisce altresì al raggiungimento
dell’equilibrio patrimoniale, in quanto, qualora
reinvestito, consente l’autofinanziamento con
conseguente maggiore capitalizzazione e minore
necessità di ricorrere all’indebitamento
Nelle banche tradizionali (interest-based) tale
utile è dato, in prevalenza, dal margine
d’interesse (differenza tra ricavi e costi
finanziari) e dal contenimento dei costi operativi
Funzione obiettivo ed equilibri
di gestione
Nelle banche basate sui servizi di
intermediazione (fee-based) è influenzato anche
dai ricavi e costi non finanziari (commissioni e
provvigioni)
Per equilibrio finanziario si intende una
situazione in cui i flussi di cassa in entrata
(inflow) sono continuativamente superiori a
flussi di cassa in uscita (outflow) e nel caso di
temporaneo squilibrio la banca riesca, in tempi
brevi e costi sostenibili, a compensarlo
Funzione obiettivo ed equilibri
di gestione
Per l’ottenimento di tale equilibrio, risulta
sostanziale la disponibilità di cassa per
effettuare i pagamenti e, pertanto, la sua
previsione e gestione
La previsione della disponibilità di cassa di una
banca può essere complessa a causa della
peculiarità del grado di libertà che sia i
depositanti che i finanziati posso avere
nell’utilizzo (a vista), rispettivamente, dei propri
crediti e debiti
Funzione obiettivo ed equilibri
di gestione

Nel caso degli intermediari creditizi con pochi


componenti di raccolta a vista, il raggiungimento
dell’equilibrio finanziario risulta più semplice, in
generale ciò si ottiene qualora sia possibile una
gestione delle attività e passività bilanciate sotto
il profilo della duration
Funzione obiettivo ed equilibri
di gestione
Lo squilibrio finanziario, infine, può intaccare:
l’equilibrio economico, a causa dell’incidenza
del costo della provvista necessaria a
fronteggiare esigenze di liquidità o per le
minusvalenze legate al realizzo sul mercato di
componenti dell’attivo
l’equilibrio patrimoniale per effetto di un
maggior ricorso all’indebitamento, con
aumento delle passività, o per la riduzione delle
attività a seguito di cessione delle stesse
Funzione obiettivo ed equilibri
di gestione
La particolare attenzione che il sistema degli
stakeholder, compreso le Autorità di vigilanza e i
Governi, pongono alla solvibilità e liquidità del
sistema bancario non deve indurre a pensare che
ciò sia a scapito della redditività
Solo attraverso una gestione che persegua
contemporaneamente tutti e tre gli equilibri
gestionali è possibile garantire una gestione
realmente equilibrata capace di prevenire e
fronteggiare i rischi collegati a tali equilibri
La riclassificazione dello Stato
Patrimoniale
Al fine di effettuare una analisi di bilancio di una
banca mediante degli indicatori che consentano
opportune valutazioni degli equilibri gestionali, è
necessario effettuare preliminarmente una
riclassificazione dello Stato Patrimoniale e del
Conto Economico
Per quanto attiene allo Stato Patrimoniale una
comune riclassificazione segue la seguente
articolazione delle poste che lo compongono:
La riclassificazione dello Stato
Patrimoniale

ATTIVO PASSIVO

AFI (Attività Fruttifere di Interessi) PO (Passività Onerose)

PNO (Passività Non Onerose)


ANF (Attività Non Fruttifere)
MP (Mezzi Propri)
AR (Attività Reali)
La riclassificazione dello Stato
Patrimoniale
Le AFI (Attività Fruttifere di Interessi)
rappresentano le attività tipiche della
intermediazione che generano flussi di ricavo
finanziario nella forma di interessi attivi e sono
rappresentate ad esempio da crediti di varia
forma verso la clientela e le banche, titoli
obbligazionari emessi da terzi
La riclassificazione dello Stato
Patrimoniale
Le ANF (Attività Non Fruttifere di Interessi) si
riferiscono alle partecipazioni, azioni, quote di
fondi comuni nonché ad attività legate alla
gestione ma non all’attività di intermediazione
che non generano interessi ma margini su
contratti derivati, ratei e risconti attivi, crediti di
natura fiscale, ecc.
Le AR (Attività Reali) costituite da
immobilizzazioni materiali e immateriali che sono
strumentali allo svolgimento delle attività
La riclassificazione dello Stato
Patrimoniale
Le PO (Passività Onerose) si riferiscono a tutti i
debiti della banca, necessari all’acquisizione di
risorse finanziarie, sui quali si pagano interessi
passivi
Le PNO (Passività Non Onerose) si riferiscono a
tutti i debiti legati alla gestione e sui quali la
banca non paga interessi passivi (es. debiti fiscali
e previdenziali, ratei e risconti passivi)
La riclassificazione dello Stato
Patrimoniale
I MP (Mezzi Propri), rappresentano il patrimonio
contabile della banca, costituito dalle fonti di
finanziamento riconducibili agli azionisti della
stessa e costituiscono una garanzia (buffer) a
fronte dei rischi assunti

La solvibilità della banca si avvera quando i mezzi


propri sono positivi o meglio quando le Attività
totali (AFI+ANF+AN) sono maggiori della passività
totali (PO+PNO) come nel caso rappresentato
La riclassificazione del Conto
Economico
La riclassificazione del Conto Economico delle
banche assume forma scalare, mettendo in
evidenza i risultati economici della gestione a
diversi livelli (margini)
Il primo margine è quello d’interesse (MI) ed
esprime il risultato della gestione di
intermediazione creditizia in senso stretto, è
rappresentato dalla differenza tra ricavi e costi da
interesse, frutti e oneri della negoziazione di
contratti diretti con i datori/prenditori di fondi
La riclassificazione del Conto
Economico
Il margine successivo è il Margine
d’Intermediazione Tradizionale (MICN), si ottiene
“scalando” dal MI i costi e ricavi non finanziari
afferenti le altre attività svolte dalla banca, quali i
Ricavi da Commissioni e Provigioni provenienti ad
es. da servizi di incasso e pagamento, da
negoziazione per conto terzi di titoli e valute
I successivi margini rappresentano le aree che
hanno assunto rilevo di recente, sono:
La riclassificazione del Conto
Economico
il Margine di Intermediazione complessivo
(MIF) che si ottiene aggiungendo al MICN la
somma algebrica delle plusvalenze e delle
minusvalenze derivanti dalla cessione delle
attività o dal mantenimento delle stesse con
valore diverso tra l’inizio e la fine dell’esercizio
Tipicamente, tale margine rappresenta il risultato
dell’attività svolta dagli intermediari dediti
all’investment banking e dei fondi comuni
d’investimento
La riclassificazione del Conto
Economico
il Risultato Netto della gestione finanziaria
(RNGF) tiene conto delle rettifiche e delle riprese
delle attività finanziarie detenute a vario titolo
dalle banche, secondo quanto previsto dai
principi contabili internazionali (IAS/IFRS)
Con il continuo allargamento delle attività svolte
dalle banche oltre la mera gestione finanziaria,
assumono rilevanza le rettifiche di valori su
crediti, attività e operazioni finanziarie di
mercato.
La riclassificazione del Conto
Economico
il Risultato della gestione (RG) si ottiene,
sottraendo dal predetto RNGF, i costi operativi (in
prevalenza costituiti dal costo del personale
dipendente), gli accantonamenti a fondi rischi ed
oneri e le rettifiche/riprese di valore delle attività
reali. In generale tale risultato esprime il livello di
efficienza operativa finalizzata a massimizzare il
Risultato di gestione
La riclassificazione del Conto
Economico
Per addivenire all’Utile Lordo (UL), va sommato
algebricamente il saldo delle operazioni
straordinarie, cioè non rientranti nell’attività
tipica della banca
Sottraendo l’imposte dall’Utile Lordo si ottiene
l’Utile Netto (UN), risultato finale della gestione
economica della banca
La riclassificazione del Conto
Economico
IA Interessi Attivi
IP Interessi Passivi
MI Margine di interesse
CN Commissioni nette
MICN Margine di intermediazione tradizionale
PMV Plus e Minusvalenze realizzate e stimate
MIF Margine di intermediazione complessivo
RR Rettifiche e riprese
RNGF Risultato netto della gestione finanziaria
CO Costi operativi
RG Risultato della gestione
OS Saldo delle operazioni straordinarie
UL Utile (perdita) dell’operatività corrente
IM Imposte sul reddito dell’esercizio
UN Utile (perdita) al netto delle imposte
Lezione
“Gli indici di bilancio”
Obiettivi

Analizzare i principali indici di bilancio delle


banche
Fornire una lettura integrata degli stessi
Gli indici di bilancio
Gli indici di bilancio si ottengono mettendo a
confronto, rapportandole, voci dello stato
patrimoniale e/o del conto economico
riclassificati
Anche per le banche gli indici di bilancio
consentono di ottenere una serie di informazioni
sugli equilibri della gestione (equilibrio
patrimoniale, economico e finanziario) utili agli
stakeholder, oltre che alle stesse banche, per
assumere decisioni
Gli indici di bilancio

Consentono, ad esempio, un confronto


semplificato nello spazio degli equilibri di gestione
con banche concorrenti, purché quest’ultime
caratterizzate da similari indirizzi strategici,
politiche di composizione degli attivi e dei passivi,
politiche competitive, etc.
Permettono di verificare l’evoluzione nel tempo
dei propri equilibri evidenziando miglioramenti o
peggioramenti
Gli indici di bilancio
Possono essere di ausilio nella valutazione di una
decisione di investimento
Il principale limite degli indici di bilancio è dato
sostanzialmente dalla loro natura contabile:
i valori contabili sono spesso diversi dai valori
reali
misurano grandezze statiche e non anche ad
esempio i flussi finanziari generati dalla gestione
Gli indici di bilancio

A seguito del processo di privatizzazione delle


medie e grandi banche, avvenuto all’inizio degli
anni ’90 del secolo scorso, il confronto con il
mercato, la valutazione dei costi da sostenere per
attrarre nuovo capitale, i rischi della gestione
hanno reso gli indici di bilancio inadeguati ad
esprimere giudizi sull’andamento della gestione
se impiegati in maniera esclusiva
Gli indici di bilancio
Le banche hanno, pertanto, adottato strumenti di
programmazione e controllo economico della
gestione e di previsione dei flussi finanziari
nonché sistemi di controllo e governo dei rischi
L’obiettivo delle banche è quello di massimizzare
la redditività nel rispetto dei vincoli di liquidità e
solvibilità, in una logica di creazione del valore
per gli azionisti ma di contestuale soddisfazione
degli interessi più generali di tutti gli stakeholder
Il ROE (Return on Equity)
L’indice più utilizzato è il ROE (Return on Equity)
che esprime la redditività del capitale proprio
ossia il ritorno sull’investimento dell’azionista

Tale indice è divenuto di interesse per le banche


italiane in seguito al citato processo di
privatizzazione delle grandi e medie banche, fino
ad allora sotto il controllo pubblico
Il ROE (Return on Equity)

Il ROE è uguale al rapporto tra l’Utile al Netto


delle imposte e i Mezzi Propri
UN
ROE =
MP
Il ROE, attraverso l’albero di indici di cui
rappresenta il vertice, fornisce una
rappresentazione integrata e di sintesi della
gestione, con particolare riguardo agli aspetti
economici e patrimoniali
Il ROE (Return on Equity)
L’albero del ROE può essere così schematizzato:

UN UN UL RG RNGF MIF MICN MI TA


ROE = = * * * * * * *
MP UL RG RNGF MIF MICN MI TA MP

Per meglio comprendere la lettura di tali indici,


di seguito si riportano lo stato patrimoniale e il
conto economico riclassificato
Il ROE (Return on Equity)

ATTIVO PASSIVO

AFI (Attività Fruttifere di Interessi) PO (Passività Onerose)

PNO (Passività Non Onerose)


ANF (Attività Non Fruttifere)
MP (Mezzi Propri)
AR (Attività Reali)
Il ROE (Return on Equity)
IA Interessi Attivi
IP Interessi Passivi
MI Margine di interesse
CN Commissioni nette
MICN Margine di intermediazione tradizionale
PMV Plus e Minusvalenze realizzate e stimate
MIF Margine di intermediazione complessivo
RR Rettifiche e riprese
RNGF Risultato netto della gestione finanziaria
CO Costi operativi
RG Risultato della gestione
OS Saldo delle operazioni straordinarie
UL Utile (perdita) dell’operatività corrente
IM Imposte sul reddito dell’esercizio
UN Utile (perdita) al netto delle imposte
Il ROE (Return on Equity)

UN
UL
Il rapporto tra l’Utile al netto delle imposte e
l’Utile al Lordo delle imposte misura l’incidenza
delle imposte sul risultato economico della banca
(argomento di particolare interesse soprattutto in
Italia)
Il ROE (Return on Equity)

UL
RG
Il rapporto tra l’Utile al Lordo delle imposte e il
Risultato della Gestione misura l’incidenza della
gestione straordinaria sul risultato economico
della banca (il valore di tale indicatore aumenta al
crescere dell’incidenza della gestione
straordinaria)
Il ROE (Return on Equity)

RG
RNGF
Il rapporto tra il Risultato della Gestione e quello
della Gestione Finanziaria, evidenzia l’incidenza
dei costi operativi sul Risultato della Gestione,
dunque l’efficienza operativa della banca
Il ROE (Return on Equity)
Altri indici molto usati per analizzare l’efficienza
più tipicamente organizzativa ed operativa della
banca sono i c.d. Cost/Income, pari al rapporto
tra Costi Operativi e Margine di Intermediazione
tradizionale e dal rapporto tra Costi Operativi e
Margine di Intermediazione complessivo
Il primo indice (CO/MICN) intende analizzare
l’efficienza dell’area di attività tipica della banca,
il secondo (CO/MIF) estende l’analisi all’intera
attività d’intermediazione svolta dalla stessa
Il ROE (Return on Equity)

RNGF
MIF
Il rapporto tra Il Risultato netto della gestione
finanziaria e il Margine di intermediazione
complessivo, misura l’incidenza delle svalutazioni
e riprese di valore (impairment) sul Risultato
Netto della Gestione Finanziaria
Il ROE (Return on Equity)

MIF
MICN
Il rapporto tra Margine di Intermediazione
complessivo e Margine d’Intermediazione
tradizionale misura il contributo dell’area
“finanza” (legata alle negoziazioni delle attività
finanziarie) alla determinazione del Margine di
Intermediazione complessivo
Il ROE (Return on Equity)

MICN
MI
Il rapporto tra Margine di Intermediazione
tradizionale e il Margine di Interesse misura il
contributo dell’attività costituita dai “servizi” resi
alla clientela alla determinazione del Margine di
Intermediazione tradizionale, rispetto a quanto
apportato dall’area più tipica di intermediazione
della banca
Il ROE (Return on Equity)

Negli ultimi anni si è assistito ad uno


spostamento della marginalità della banca dalle
aree tipiche di contribuzione (Margine di
Interesse) verso le aree commissionali e quelle
legate alle negoziazione di attività finanziarie
Le ragioni di tale cambiamento risiedono nella
difficoltà di mantenere livelli adeguati di spread
tra rendimento medio dell’Attivo Finanziario
(IA/AFI) e costo medio del passivo finanziario
(IP/PO)
Il ROE (Return on Equity)
La causa di tale difficoltà è da ricercare nel
processo di disintermediazione che ha
interessato le banche in Italia negli ultimi
trent’anni, con conseguente maggior ricorso a
prestiti erogati da parte di intermediari creditizi
specializzati e un maggior ricorso al mercato dei
capitali (dal lato dell’attivo), dalla concorrenza da
parte di titoli di Stato, fondi comuni e altre forme
del risparmio gestito (dal lato del passivo)
Il ROA (Return on Asset) e leva
fiananziaria (leverage)
MI
TA
Il rapporto tra Margine di Interesse e Totale delle
Attività, è definito ROA (Return on Asset), ed
esprime l’incidenza della redditività dell’attività
più tipica della banca (Margine di Interesse)
rispetto alla totalità del capitale investito (Totale
attivo)
Il ROA (Return on Asset) e leva
fiananziaria (leverage)
TA
MP
Il rapporto di copertura tra il Totale dell’Attivo e i
Mezzi Propri rappresenta la leva finanziaria
(leverage)
Il grado di indebitamento ha un effetto
moltiplicativo sul ROA
Il ROA (Return on Asset) e leva
finanziaria (leverage)
Per le banche è particolarmente sentito il
problema della scelta tra il ricorso alla leva per
incrementare la redditività e il ricorso invece ad
adeguate dotazioni di Mezzi Propri per
fronteggiare i rischi assunti nella gestione
Nel periodo di crisi delle banche, per prevenire
gli effetti negativi sul sistema finanziario, sono
stati introdotti limiti all’utilizzo della leva
finanziaria ed è stata richiesta una maggiore
dotazione di mezzi propri
Il ROA (Return on Asset) e leva
finanziaria (leverage)
Il ruolo moltiplicativo dell’effetto leva, ed i
relativi rischi che esso comporta nell’utilizzo oltre
certi limiti, è ancora più evidente se si analizza
l’ultima parte dell’albero del ROE, quale
composizione dell’indicatore di redditività tipica
della banca (Margine di intermediazione)
attribuita ai Mezzi propri:
MI TA MI
* =
TA MP MP
Il ROA (Return on Asset) e leva
finanziaria (leverage)
Il rapporto tra il Margine di Intermediazione e i
Mezzi propri può essere così scomposta:

MI
=(IA/AFI - IP/PO) * PO/MP + IA/AFI * CCN/MP
MP
Il tal modo è possibile analizzare nello specifico
la redditività dell’Attivo Fruttifero d’Interessi al
netto dell’onerosità delle Passività tipiche da
raccolta dei fondi moltiplicate per il tasso
d’indebitamento oneroso
Il ROA (Return on Asset) e leva
finanziaria (leverage)
Contestualmente alla redditività dell’Attivo
Fruttifero moltiplicato per il rapporto di
copertura dei Mezzi Propri per fronteggiare il
fabbisogno di Capitale Circolante Netto
Lezione
“I servizi di investimento”
Obiettivi

Analizzare la disciplina dei servizi di


investimento
Individuare gli intermediari abilitati
I servizi di investimento
Il TUF, all’art. 1, comma 5, individua i servizi di
investimento che gli intermediari possono offrire
alla propria clientela:
negoziazione per conto proprio
esecuzione di ordine per conto dei clienti
collocamento con (o senza) assunzione a fermo
ovvero con (o senza) assunzione di garanzia nei
confronti dell’emittente (collocamento e
underwriting)
I servizi di investimento
gestione individuale di portafogli
ricezione e trasmissione ordini (compresa la
mediazione)
consulenza in materia di investimenti
gestione di sistemi multilaterali di negoziazione
Tali servizi possono avere ad oggetto
esclusivamente strumenti finanziari
(azioni, obbligazioni, titoli di Stato, quote di fondi
comuni, derivati)
I servizi di investimento
L’elenco dei servizi è tassativo ma al fine di tenere
conto dell’evoluzione dei mercati finanziari e delle
norme di adattamento stabilite dalle autorità
comunitarie, il Ministero dell’Economia e delle
Finanze, con regolamento adottato sentite la
Banca d’Italia e Consob, può individuare nuove
categorie di strumenti finanziari, nuovi servizi e
attività di investimento e nuovi servizi accessori
(art. 18 del TUF)
I servizi di investimento
L’esercizio professionale nei confronti del
pubblico dei servizi e delle attività di investimento
è riservato agli intermediari indicati dal TUF (artt.
18 e 33). In particolare:
le banche e le imprese di investimento possono
svolgere tutti i servizi e le attività di investimento
le SGR possono svolgere i servizi di gestione
individuale di portafogli e i servizi di consulenza
in materia di investimenti
I servizi di investimento
le Società di Gestione di Mercati Regolamentati
(SGMR) possono esercitare servizi di gestione di
sistemi multilaterali di negoziazione
gli intermediari ex art. 106 del TUB possono
esercitare: l’esecuzione di ordini per conto dei
clienti e la negoziazione per conto proprio
esclusivamente su strumenti derivati; il servizio
di collocamento e underwriting, su qualsiasi
strumento finanziario
L’esecuzione di ordini per conto
dei clienti
Un investitore che intenda acquistare (o vendere)
strumenti finanziari sul mercato secondario può
rivolgersi (per ridurre tempi, costi di transazione,
etc.) ad un intermediario finanziario e conferirgli
un ordine di acquisto
L’ordine contiene informazioni sul tipo di
operazione (acquisto o vendita), sullo strumento
finanziario, sulla quantità di titoli
Può prevedere limiti di prezzo o vincoli di durata
L’esecuzione di ordini per conto
dei clienti
Generalmente l’intermediario agisce in nome e
per conto del cliente; gli è concesso di agire in
nome proprio solo previo consenso scritto del
cliente. In tal caso può firmare direttamente i
contratti ma deve immediatamente dopo
intestare gli strumenti finanziari all’investitore
(art.21 del TUF)
L’intermediario che si occupa di combinare gli
scambi di strumenti finanziari è detto broker
L’esecuzione di ordini per conto
dei clienti
Per tale attività percepisce una fee che può
essere di importo fisso o in percentuale (del
valore della transazione)
Nel servizio di esecuzione di ordini per conto dei
clienti (detto anche negoziazione per conto terzi)
l’intermediario (detto anche negoziatore) ha il
compito di promuovere con la massima diligenza
la chiusura dell’ordine (“eseguito” o
“negoziazione”)
L’esecuzione di ordini per conto
dei clienti
Per tale servizio non è prevista la garanzia di
chiusura dell’operazione, tuttavia l’intermediario
percepisce la commissione (c.d. di “eseguito”)
solo con il perfezionamento della compravendita
Nel caso, invece, del servizio di ricezione e
trasmissione ordini l’intermediario si limita a
ricevere gli ordini dai clienti e a trasmetterli al
negoziatore
L’esecuzione di ordini per conto
dei clienti
In questo caso il cliente non sceglie
l’intermediario che dovrà, per suo conto, eseguire
l’ordine ma delega tale scelta al trasmettitore
(utilizzando la sua competenza e professionalità
per ottenere le migliori condizioni)
Anche in questo caso
l’intermediario/trasmettitore percepisce la
commissione solo se la compravendita si
perfeziona
L’esecuzione di ordini per conto
dei clienti
Il servizio comprende anche l’attività consistente
nel mettere in contatto due o più investitori,
rendendo così possibile la conclusione di
un’operazione fra loro (mediazione)
Nel caso della mediazione, a differenza della
negoziazione per conto terzi e della ricezione e
trasmissione ordini, l’intermediario ha diritto a
percepire la commissione anche se non si è
perfezionata la compravendita (è sufficiente che
gli investitori stipulino un preliminare)
La negoziazione per conto
proprio
Per quanto attiene, invece, alla negoziazione per
conto proprio consiste nell’attività di acquisto
o di vendita di strumenti finanziari da parte
dell’intermediario, in contropartita diretta e
in relazione a ordini dei clienti
L’intermediario, cioè si pone direttamente come
controparte del cliente acquistando o vendendo
direttamente il titolo
La negoziazione per conto
proprio
Mentre per i servizi di negoziazione per conto
terzi, ricezione e trasmissione ordini e mediazione,
l’intermediario agisce come broker (e non
garantisce quindi l’esecuzione dell’ordine), nel
caso della negoziazione per conto proprio,
l’intermediario che presta il servizio può agire
come:
dealer
market maker
La negoziazione per conto
proprio
Il dealer detiene titoli in giacenza, che di volta in
volta acquista (dagli emittenti, dai clienti o da altri
intermediari) e rivende al cliente che ne fa
richiesta ottenendo un margine

Il market maker, invece, si impegna in via


continuativa a negoziare determinati titoli, a
condizioni definite (la tipologia di titoli, la
quantità, il prezzo)
La negoziazione per conto
proprio
A differenza del broker, il dealer e il market maker
non percepiscono una commissione per il servizio
reso ma il loro guadagno è rappresentato dallo
scarto tra il prezzo denaro (bid price) e il prezzo
lettera (ask price)
Il prezzo denaro (bid price) è il prezzo a cui
acquista i titoli
Il prezzo lettera (ask price) è il prezzo che ottiene
dalla vendita degli stessi titoli
La negoziazione per conto
proprio

Per stabilire i prezzi, il dealer e il market maker


valutano l’opportunità di effettuare maggiorazioni
(nel caso in cui l’investitore voglia acquistare) o
riduzioni (nel caso in cui l’investitore voglia
vendere) rispetto ai prezzi medi che si registrano
nei mercati regolamentati
La negoziazione per conto
proprio

La negoziazione per conto proprio consente


all’intermediario di realizzare ampi profitti ma
espone lo stesso ad alti rischi di prezzo legati alle
oscillazioni dei titoli in giacenza
La gestione di sistemi
multilaterali di negoziazione
Le operazioni di compravendita di strumenti
finanziari possono avvenire:
su mercati regolamentati
su sistemi di negoziazione alternativi
L’ordinamento prevede che le operazioni di
compravendita di strumenti finanziari sui mercati
regolamentati devono essere gestite dalle SGMR
- Società di Gestione di Mercati Regolamentati –
(soggette all’autorizzazione della Consob)
La gestione di sistemi
multilaterali di negoziazione
I sistemi di negoziazione alternativi possono
essere:
bilaterali, cioè in contropartita diretta
dell’intermediario con il cliente (internalizzazione
di ordini)
multilaterali, sistemi multilaterali di
negoziazione (Multilateral Trading Facilities)
La gestione di sistemi
multilaterali di negoziazione
Con riferimento ai sistemi bilaterali, il TUF
definisce l’“internalizzatore sistematico” come il
soggetto che in modo organizzato, frequente e
sistematico negozia per conto proprio eseguendo
gli ordini del cliente al di fuori di un mercato
regolamentato o di un sistema multilaterale di
negoziazione
La gestione di sistemi
multilaterali di negoziazione
Per gestione di sistemi multilaterali di
negoziazione si intende il servizio di investimento
che consente l’incontro, in base a regole non
discrezionali, di proposte di acquisto e di vendita
di strumenti finanziari provenienti da una
pluralità di operatori
La gestione di sistemi
multilaterali di negoziazione
Similmente a quanto avviene nei mercati
regolamentati, i Multilateral Trading Facilities
coordinano gli interessi di acquisto e vendita al
fine di perfezionare contratti
A differenza di quanto avviene nei mercati
regolamentati, gli MTF ammettono allo scambio
anche strumenti finanziari non quotati
La gestione di sistemi
multilaterali di negoziazione
I sistemi multilaterali di negoziazione possono
essere gestiti non solo dalle SGMR, come i
mercati regolamentati, ma anche da banche e
imprese di investimento

Non è previsto un processo “formale” di


ammissione alle negoziazioni
La gestione di sistemi
multilaterali di negoziazione
Per la gestione dei sistemi multilaterali di
negoziazione gli intermediari percepiscono
commissioni di adesione e di negoziazione dai
loro clienti (gli intermediari negoziatori)
Non è previsto alcun compenso a titolo di
corrispettivo di quotazione da parte degli
emittenti, come avviene invece nel caso di scambi
su mercati regolamentati (proprio perché non è
previsto un processo “formale” di quotazione)
Lezione
“I servizi di collocamento e
underwriting”
Obiettivi

Analizzare le caratteristiche fondamentali del


servizio di collocamento e underwriting
I servizi di collocamento e
underwriting
L’offerta sul mercato di strumenti finanziari viene
definita:

Offerta di sottoscrizione, nel caso si tratti di


nuova emissione di strumenti finanziari

Offerta di vendita, qualora gli strumenti siano


già esistenti
I servizi di collocamento e
underwriting
L’offerta di strumenti finanziari, di importi
considerevoli, si compone delle seguenti fasi:
definire le condizioni di offerta
definire i destinatari dell’offerta che può essere
pubblica (pubblico indistinto) o privata (ristretta
cerchia di investitori tipicamente istituzionali)
scegliere il periodo di collocamento (periodo in
cui gli interessati possono trasmettere l’adesione
all’offerta)
I servizi di collocamento e
underwriting
L’offerta pubblica consente di attrarre un
numero maggiore di investitori, migliorando la
liquidità del titolo sui mercati secondari

Tale tipologia di offerta richiede procedure rigide


e obblighi informativi onerosi proprio perché
destinata ad intercettare il piccolo risparmio
I servizi di collocamento e
underwriting
L’offerta di sottoscrizione assolve a differenti
esigenze nella vita di un’impresa, generalmente è
riconducibile al finanziamento di progetti di
sviluppo ovvero a promuovere la quotazione dei
propri titoli presso mercati regolamentati
Conseguenza di tale processo è l’ottenimento di
un azionariato diffuso che può convenire
all’impresa, come nel caso in cui la proprietà
intenda mantenere il governo dell’azienda
nonostante il ricorso a cospicui aumenti di capitale
I servizi di collocamento e
underwriting
Viceversa, si ricorre ad un’offerta di vendita
generalmente per dismettere quote di proprietà

La complessità delle operazioni di collocamento


e la necessità di competenze e conoscenze
specifiche inducono le imprese al ricorso agli
intermediari per svolgere tale attività fin dalla
progettazione dell’intera operazione (attività di
advisoring)
I servizi di collocamento e
underwriting
Per le attività di collocamento gli emittenti e gli
offerenti si avvalgono della collaborazione degli
intermediari finanziari, generalmente più di uno,
organizzati in sindacati (o consorzi) di
collocamento

Per gli intermediari tale attività, sotto il profilo


giuridico, rappresenta un servizio di investimento
previsto dal TUF
I sindacati o consorzi di
collocamento
Il ricorso ai sindacati o consorzi di collocamento:
agevola la individuazione delle controparti
grazie alla loro rete di vendita
consente altresì di aumentare il grado di
fiducia degli investitori, grazie al capitale
reputazionale detenuto dagli intermediari
aumenta il numero dei potenziali aderenti,
consentendo un prezzo di offerta più elevato
I sindacati o consorzi di
collocamento
sfrutta le diverse capacità distributive dei
consorziati con riferimento a specifiche
tipologie di investitori o di aree territoriali
minimizza i tempi di chiusura delle operazioni,
riducendo le eccessive esposizioni degli
strumenti alle fluttuazioni del mercato
Su mandato dell’emittente o offerente il lead
manager (intermediario capofila) provvede
alla costituzione del sindacato di collocamento
I sindacati o consorzi di
collocamento
Generalmente il lead manager è lo stesso
advisor coinvolto nella fase di progettazione
La formazione del sindacato avviene mediante
trasmissione della lettera di invito che contiene
le caratteristiche salienti dell’operazione di
collocamento
I rapporti tra i consorziati sono regolati dalla
lettera di impegno
I sindacati o consorzi di
collocamento
La lettera di impegno stabilisce:
le modalità di realizzazione e promozione del
collocamento
i tempi di offerta
i termini di trasferimento dei fondi raccolti
la commissione da corrispondere al consorzio,
definita gross spread
I sindacati o consorzi di
collocamento
Per le emissioni o offerte di grandi dimensioni si
ricorre generalmente a più sindacati di
collocamento, in ragione delle diverse
specializzazioni per tipologia di clienti o per aree
territoriali
Ciò avviene tipicamente per le operazioni di
collocamento internazionale
Il coordinamento dei diversi sindacati è affidato
al global coordinator che assume anche il ruolo
di lead manager
I sindacati o consorzi di
collocamento
A seconda dell’ampiezza della garanzia di
collocamento, i sindacati si distinguono in:
Sindacati di puro collocamento

Sindacati di collocamento e garanzia

Sindacati di assunzione a fermo


I sindacati o consorzi di
collocamento
I sindacati di puro collocamento non prevedono
alcuna garanzia e l’impegno degli intermediari
che ne fanno parte si sostanzia nel promuovere
con la massima diligenza la distribuzione dei
titoli
Generalmente all’interno di tali sindacati gli
intermediari assumono tre ruoli differenti: quello
del capofila, quello dei manager e quello dei
collocatori
I sindacati o consorzi di
collocamento
Al termine dell’operazione di collocamento il
sindacato accredita la somma raccolta al netto
del gross spread
Tale somma viene depositata su un conto
detenuto da una banca agente che provvede alla
gestione dei titoli collocati
Per tale attività l’impresa emittente corrisponde
alla banca agente una agency fee
I sindacati o consorzi di
collocamento
I sindacati di collocamento e garanzia oltre al
servizio di promozione e raccolta delle adesioni
assicurano anche l’accollo dell’invenduto al
prezzo di offerta
Tale accollo può avvenire per responsabilità
individuale o solidale
Nel primo caso vengono attribuiti a ciascun
membro del sindacato una quantità di titoli da
collocare e, pertanto, si farà carico dell’accollo
per la sola parte di sua competenza invenduta
I sindacati o consorzi di
collocamento
Nel caso di responsabilità solidale l’intera
quantità invenduta viene redistribuita tra un
numero ristretto di membri del sindacato definiti
underwrinting group o purchase group in caso di
offerta di titoli già esistenti
Nei sindacati di collocamento a garanzia al ruolo
di capofila, manager e collocatori si aggiunge
quello di sottoscrittori o acquirenti (underwriter)
I sindacati o consorzi di
collocamento
Nei sindacati di assunzione a fermo la garanzia di
collocamento integrale viene realizzata mediante
la sottoscrizione o l’acquisizione di tutti i titoli da
parte del sindacato e non in via residuale come
avviene nel caso del sindacato di collocamento e
garanzia
In tale circostanza l’emittente è certo
dell’ammontare dei titoli collocati e del relativo
prezzo preventivamente stabilito con il sindacato
I sindacati o consorzi di
collocamento
Le modalità di ripartizione del gross spread tra i
componenti il sindacato sono oggetto del patto di
sindacato
Tali commissioni sono generalmente classificate:
Management fee (spettante a capofila e
manager)
Selling concession (spettante ai collocatori)
Underwriting fee accordata ai sottoscrittori o
acquirenti
I sindacati o consorzi di
collocamento

In caso di collocamento garantito la selling


concession rappresenta il 50% del gross spread il
restante 50% equamente ripartito tra
management e underwriting fee
Qualora il collocamento sia non garantito
l’incidenza della selling concession sale al 65%
del gross spread
La definizione del prezzo di
offerta (pricing)
La definizione del prezzo di offerta rappresenta
una fase di particolare importanza per
l’emittente, tale da richiedere un impegnativo
compito del lead manager
Un prezzo di offerta troppo basso, può generare
un rendimento del titolo troppo elevato con
eccessive richieste di sottoscrizione o acquisto, di
conseguenza, un onere della raccolta eccessivo
per l’impresa emittente
La definizione del prezzo di
offerta (pricing)

Un prezzo troppo alto, viceversa, riduce il


rendimento del titolo con effetto negativo sulla
domanda di sottoscrizione o acquisto, tale da
compromettere l’obiettivo dell’impresa per
esiguità dei fondi raccolti ovvero da costringere i
collocatori a sottoscrivere l’invenduto o a
rinunciare ad una parte delle selling concession
La definizione del prezzo di
offerta (pricing)
La difficoltà del pricing dipende dalla natura
dello strumento finanziario da collocare, risulta
generalmente maggiore per i titoli azionari,
soprattutto, nei casi di prima offerta di
sottoscrizione o vendita pubblica, finalizzata alla
quotazione (IPO – Initial Pubblic Offering)
In tale circostanza, la diffidenza degli investitori
verso emittenti sconosciuti e l’assenza di prezzi di
scambio ufficiali del titolo, rendono le valutazioni
soggette al rischio di smentita dal mercato
La definizione del prezzo di
offerta (pricing)
Per ovviare a tale rischio, i capofila ricorrono al
book building, una tecnica d’asta imperfetta,
consistente in una serie di incontri, denominata
road show, tra il top management dell’impresa
emittente e gli investitori istituzionali, durante i
quali vengono presentati l’attività svolta, i
risultati economico-finanziari ottenuti e quelli
previsionali
Al termine della presentazione vengono
prospettati alcuni prezzi di collocamento
La definizione del prezzo di
offerta (pricing)
Per ciascun prezzo proposto viene richiesto agli
investitori il quantitativo di azioni che sarebbero
disposti a sottoscrivere o ad acquistare
I capofila (lead manager) in base ai risultati della
citata rilevazione stilano alcune ipotesi di prezzo,
con maggiore attendibilità e precisione
Spesso viene proposta un forchetta di prezzi
valida per l’intera durata del collocamento
attendendo che sia il mercato a definire quello
definitivo pagato dagli investitori
Il collocamento

Definito il prezzo di collocamento e il momento


in cui esso deve essere effettuato si apre la fase
di collocamento vero e proprio, durante la quale
gli interessati possono far pervenire la loro
adesione al selling group mediante la
sottoscrizione di un modulo di adesione,
predisposto dall’offerente
Il collocamento
Tale modulo, contiene gli estremi dell’operazione
e l’avvertenza della possibilità di ottenere
gratuitamente copia del prospetto informativo,
di cui all’art.34-quinquies del regolamento
CONSOB n.11971

Il periodo di collocamento, generalmente, non


supera i 15 giorni, al termine dei quali possono
verificarsi due situazioni
Il collocamento

Il numero delle adesioni è superiore a quello dei


titoli offerti (oversubscription), i capofila
procedono al riparto, in genere, mediante
estrazione a sorte
Il numero è inferiore alla domanda
(undersubscription), il sindacato procede
all’accollo dei titoli in eccesso in caso di
“collocamento e garanzia”, viceversa in assenza
di garanzia, procede ad informare l’emittente
dell’ammontare dei titoli distribuiti
Il collocamento

Con il completamento della fase di collocamento


termina la missione del consorzio che, pertanto,
si scioglie

Ai capofila, viceversa, viene spesso chiesto di


intervenire nei mesi successivi il collocamento,
nella qualità di market maker, al fine di favorire
la liquidità del titolo sul mercato secondario e
stabilizzarne il prezzo
Il collocamento

Il requisito della liquidità del titolo sui mercati


risulta sostanziale, in quanto aumenta
l’appetibilità dello stesso e riduce la
remunerazione attesa dagli investitori per
sottoscriverlo o acquistarlo
Scongiurando in tal modo effetti negativi sia
sull’emittente che, in caso di illiquidità del titolo,
si troverebbe ad dover fronteggiare pressioni al
ribasso sui corsi dello stesso sia per il sindacato,
sospettato di aver collocato a prezzi troppo alti
Lezione
“I servizi di cartolarizzazione e
di gestione collettiva del
risparmio”
Obiettivi

Comprendere le regole che disciplinano i


servizi di cartolarizzazione dei crediti e quelli
di gestione collettiva del risparmio
La cartolarizzazione
La tecnica della cartolarizzazione consiste nella
cessione di un gruppo (pool) di crediti da parte
dell’originario titolare degli stessi ad un altro
soggetto giuridico specializzato, il quale provvede
a “trasformarli” in titoli di debito negoziabili (cd.
ABS – Asset Backed Security), provvedendo in tal
modo alla provvista di liquidità necessaria a
pagare il cedente
Provvista che sarà rimborsata ai sottoscrittori dei
titoli di debito con l’incasso dei crediti sottostanti
La cartolarizzazione
I soggetti coinvolti in un operazione di
cartolarizzazione, pertanto, sono:
La società cedente, originario titolare delle
attività cedute, definito anche originator. La
natura dell’originator può essere la più varia
(industriale, finanziaria, pubblica o privata).
La società cessionaria, soggetto giuridico alla
quale vengono cedute le attività da parte del
cedente, assume la forma della società veicolo
(SPV – Special Purpose Veicle)
La cartolarizzazione
Investitori, pubblico potenziale sottoscrittore
dei titoli (ABS) emessi dalla società cessionaria
(SPV)
L’oggetto della cartolarizzazione può essere
rappresentato da qualsiasi attività capace di
generare flussi di cassa prevedibili
Di norma, vengono cartolarizzati mutui, crediti
commerciali, al consumo, originati da
operazioni di leasing, di natura fiscale e
previdenziale
La cartolarizzazione
Le attività oggetto di cartolarizzazione devono
possedere particolari caratteristiche in termini di
durata, modalità di rimborso e condizioni
economiche, tali da renderli valutabili come unico
aggregato, nel contempo la composizione deve
assicurare la diversificazione del portafoglio, al fine
di ridurre il rischio per i sottoscrittori degli ABS
La selezione delle attività da trasferire assume,
pertanto, rilievo sostanziale per il successo della
cartolarizzazione
La cartolarizzazione
Le operazioni di cartolarizzazione rappresentano
per il cedente (originator) una fonte di
finanziamento alternativo all’indebitamento e ai
mezzi propri, mediante il trasferimento oneroso di
attività alla società veicolo, la quale a sua volta
finanzierà l’acquisto mediante l’emissione di titoli
di debito (ABS) destinati ad investitori
Riduzione dell’attivo e contestuale acquisizione di
nuove risorse liquide consentono all’originator di
investire in attività ritenute più remunerative
La cartolarizzazione
Alle motivazioni di finanziamento e di gestione
dinamica dell’attivo spesso si aggiunge quella di
trasferire parte del rischio connesso ai crediti
posseduti su un altro soggetto
Con la cartolarizzazione il rischio di insolvenza
del debitore ceduto si traferisce sul cessionario
In caso di originator di origine bancaria, la
cartolarizzazione può aver ad oggetto i “crediti in
sofferenza” con il trasferimento del rischio sulla
SPV
La cartolarizzazione
Le operazioni con finalità di trasferimento del
rischio di credito trovano i loro limiti nella
necessità di rendere “appetibili” gli ABS che
altrimenti rischiano di non essere sottoscritti
ovvero essere sottoscritti a condizioni
eccessivamente onerose per l’emittente (SPV)
L’originator, inoltre, è esso stesso sottoscrittore di
parte degli ABS o destinatario degli stessi nella
forma di garanzia, pertanto, una eccessiva
rischiosità si ripercuoterebbe sullo stesso
orginator
La cartolarizzazione
Nella prassi alle operazioni di cartolarizzazione
partecipano una pluralità di soggetti oltre quelli
già esaminati che intervengono in diversi fasi:
advisor, con competenze specifiche che agisce
solitamente nella fase di selezione degli attivi da
trasferire, solitamente società di consulenza, studi
professionali, banche di affari
arranger, intermediario incaricato di strutturare
l’operazione di cartolarizzazione, generalmente
grandi banche d’affari
La cartolarizzazione
credit enhancer, colui che presta garanzie e a
sostegno della capacità di rimborso degli ABS, può
essere lo stesso originator ovvero soggetti terzi
agenzia di rating, che assegna un giudizio
sintetico (rating) di merito alla qualità
dell’emissione degli ABS
banca d’investimento, a cui è affidato il
collocamento degli ABS tra gli investitori, attività
che può essere svolta in sindacato, con la banca
capofila e altre partecipanti
I servizi di gestione del
risparmio
La “gestione di portafoglio” consiste
nell’investimento e gestione di disponibilità
finanziarie in una combinazione di attività che
risponda al profilo del titolare dei fondi
Le attività costituite da titoli, crediti, beni
immobili hanno profili di rischio e rendimenti
attesi differenti, pertanto, una corretta gestione è
quella che combina tali differenti peculiarità al
fine di ottenere un portafoglio che soddisfi
maggiormente le preferenze dell’investitore
I servizi di gestione del
risparmio
Gli obiettivi di investimento possono essere
differenti, a titolo esemplificativo, si riportano:
cautelarsi dall’eventualità di una spesa
imprevista futura;
accumulare denaro per effettuare l’acquisto di
un immobile senza dover far ricorso (o abbattendo
l’entità del ricorso) ad un mutuo
distribuire equamente la disponibilità di spesa
nel corso della propria vita
crearsi una capacità di spesa futura
I servizi di gestione del
risparmio
La “costruzione” di un portafoglio di attività, si
compone delle seguenti fasi:
definizione delle quantità e dei pesi di ciascuna
categoria di attività (asset class)
individuazione degli strumenti che devono
comporre ciascuna categoria di attività (cherry
picking)
scelta dei momenti più opportuni per effettuare
gli investimenti (market timing)
I servizi di gestione del
risparmio
esecuzione dell’acquisto o, se utile, della vendita
degli asset (esecuzione)
adeguamento periodico della composizione del
portafoglio in base all’evoluzione dei mercati ed
agli eventuali mutamenti del profilo
dell’investitore
I servizi di gestione del
risparmio
La definizione di asset class non è univoca ma
ciascun gestore tende a classificare le classi di
attività in base ad elementi differenti: per area
geografica o per settore merceologico
dell’esistente
Quelli più comuni sono la liquidità e strumenti
assimilati, le obbligazioni, le azioni, gli immobili e
le valute, le risorse naturali, i beni di lusso
I servizi di gestione del
risparmio
In ragione della capitalizzazione degli emittenti,
i titoli azionari sono solitamente suddivisi in:
• Large Cap, quando si riferiscono ad aziende
ad ampia capitalizzazione, intesa quale valore
medio di mercato delle azioni per il numero
complessivo delle azioni stesse
• Mid Cap, quando sono titoli di aziende di
media capitalizzazione
• Small Cap, quando afferiscono ad aziende di
bassa capitalizzazione
I servizi di gestione del
risparmio
I titoli obbligazionari sono, viceversa,
generalmente suddivisi in ragione del tipo di
emittente, per durata e per merito di credito
del soggetto emittente

La gestione del portafoglio può essere


effettuata direttamente dal titolare dei fondi
ovvero può essere delegata a professionisti
della gestione quali gli intermediari finanziari
I servizi di gestione del
risparmio
Le motivazioni di delegare la gestione dei
propri risparmi a professionisti, intermediari
finanziari, afferiscono ad una maggiore cultura
finanziari di quest’ultimi, alla necessità di
ampliare le opportunità di investimento, alla
impossibilità di dedicare il tempo necessario a
tale attività
La gestione del risparmio da parte degli
intermediari finanziari può essere individuale o
collettiva
La gestione individuale del
risparmio
Le gestione individuale viene effettuata
dall’intermediario su mandato del singolo
titolare delle disponibilità finanziarie, in nome
proprio e per conto dello stesso, e consente al
gestore una maggiore personalizzazione delle
attività, nel senso di una migliore
corrispondenza del portafoglio al profilo
dell’investitore
La gestione individuale del
risparmio
La gestione individuale viene avviata
dall’investitore mediante la stipula di un
contratto scritto con il gestore abilitato, il quale
può prevedere una serie di clausole che
impartiscono particolari istruzioni sulle
caratteristiche delle operazioni e degli
strumenti ammessi
I diritti di voto derivanti dai titoli posseduti in
portafoglio spettano, comunque, al cliente
La gestione individuale e
collettiva del risparmio
Il gestore opera in nome e per conto del cliente
che, pertanto, rimane il destinatario degli esiti
della gestione oltre che l’intestatario del
patrimonio gestito
I compensi spettanti al gestore dei patrimoni
individuali, sono costituiti dalle seguenti
commissioni:
Commissione di entrata
Commissioni di gestione, di incentivo e di
intermediazione
La gestione individuale e
collettiva del risparmio
La gestione collettiva, viceversa, consiste nella
gestione “in monte”, ossia in modo indiviso,
delle disponibilità finanziare di più investitori
Tale gestione consente, a differenza di quella
individuale, di adottare tecniche di
diversificazione dei portafogli con l’intento di
ottenere una diversificazione del rischio come
effetto di una combinazione di titoli aventi
rendimenti non perfettamente correlati
La gestione individuale e
collettiva del risparmio
La definizione di fondo comune d’investimento
è data dal TUF quale patrimonio autonomo di
pertinenza di una pluralità di investitori, gestito
“in monte”, e raccolto mediane una o più
emissioni di quote
I fondi sono istituiti dalle SGR che ne
disciplinano il regolamento che, a norma,
dell’art.39 del TUF deve indicare:
la denominazione e la durata
La tipologia di beni nella quale investire
La gestione individuale e
collettiva del risparmio
Gli intermediari coinvolti nel funzionamento
del fondo

Il regolamento è soggetto all’approvazione della


Banca d’Italia, che rende possibile il
collocamento delle quote del fondo, necessario
per il procacciamento della liquidità da investire
Il collocamento può essere effettuato
esclusivamente dalle SGR ed intermediari
finanziari
La gestione individuale e
collettiva del risparmio
Il valore di collocamento della quota viene
effettuato dalla SGR solo in occasione del
collocamento iniziale, in quelli eventualmente
successivi il valore della quota viene
determinato mediante il rapporto tra il valore
complessivo del patrimonio inventariato ed il
numero delle quote già in circolazione
La gestione del fondo viene effettuata dalla
SGR che l’ha costituito o altra SGR a cui è stata
affidata
La gestione individuale e
collettiva del risparmio
La SGR provvede ad effettuare gli investimenti
nella tipologia di investimenti previsti dal
regolamento
La SGR opera per conto terzi ma in nome
proprio e provvede, nell’interesse dei
sottoscrittori all’esercizio dei diritti di voto
afferenti gli strumenti finanziari in gestione
I partecipanti al fondo non hanno nessuna
possibilità di impartire istruzioni alla SGR
La gestione individuale e
collettiva del risparmio
Il Fondo costituisce un patrimonio autonomo
dai sottoscrittori delle quote, “sottratto” anche
ai creditori della SGR
Gli investitori posso incidere sulla gestione dei
beni solo limitatamente mediante la richiesta di
rimborso della quota, il cui valore è calcolato
seguendo i medesimi criteri della valorizzazione
in sede di emissione. Il guadagno per il
sottoscrittore è dato dalla differenza tra i prezzi
di acquisto e di rimborso (vendita) della quota
La gestione individuale e
collettiva del risparmio
Il Fondo si definisce “aperto” quando la
possibilità di rimborso della quota può avvenire
in qualsiasi momento della durata del fondo
Nei fondi “aperti” anche l’emissione viene
solitamente effettuata senza soluzione di
continuità e non soltanto al collocamento
iniziale
Tali possibilità date al sottoscrittore, tuttavia,
incide notevolmente sulla variabilità del
patrimonio del fondo (OICR a capitale variabile)
La gestione individuale e
collettiva del risparmio
Il Fondo si definisce “chiuso” quando la
possibilità di rimborso della quota è solo alla
scadenza del fondo ovvero a date stabilite dal
regolamento, allo stesso modo l’emissione
delle quote viene realizzata soltanto al
collocamento iniziale ovvero, dove presenti,
alle scadenze di rimborso prestabilite
Ciò rende il patrimonio del fondo decisamente
più stabile (OICR a capitale fisso)
La gestione individuale e
collettiva del risparmio
La Banca depositaria è la banca dove vengono
depositati le disponibilità liquide e gli strumenti
finanziari del fondo
Svolge altresì una funzione di controllo della
legittimità delle operazioni di emissione e
rimborso delle quote, compresa la correttezza
del calcolo del valore delle stesse, verifica la
compliance delle operazioni svolte dall’SGR sotto
il profilo normativo e del regolamento,
assumendo un ruolo di garanzia per l’investitore
Lezione
“I Fondi immobiliari chiusi di
diritto italiano”
Obiettivi

Analizzare le principali caratteristiche dei


Fondi Immobiliari di diritto Italiano ed il loro
funzionamento
I Fondi immobiliari di diritto
italiano
Appartengono alla famiglia dei fondi comuni
d’investimento i fondi immobiliari di diritto
italiano e come tali rappresentano un patrimonio
indiviso, gestito “in monte” da una Società di
Gestione del Risparmio (SGR)

In Italia i Fondi immobiliari sono stati introdotti


dalla L. 86/1994 ma fino al 2003 non hanno
riscontrato il favore degli investitori
I Fondi immobiliari di diritto
italiano
Con L.410/2001, i relativi decreti e circolari
ministeriali e s.m.i., sono stati introdotti una
regolamentazione più flessibile ed un regime
fiscale favorevole che hanno contribuito ad un
repentino sviluppo dei fondi immobiliari
Di recente, tuttavia, il decreto legge 31 maggio
2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla
L.122/2010 e s.m.i. (d.l. n.70/2011) hanno
nuovamente ristretto il campo di applicazione del
favor fiscale (ritenuta del 20% sui proventi)
I Fondi immobiliari di diritto
italiano
Il trattamento fiscale che ha incentivato lo
sviluppo dei fondi immobiliari è stato, infatti,
circoscritto esclusivamente ai soggetti portatori di
interessi diffusi, cd. Investitori istituzionali, ed ai
partecipanti che detengono una quota nel fondo
inferiore al 5%; riservando, negli altri casi di
partecipanti residenti, la tassazione “per
trasparenza”, cioè la concorrenza dei proventi alla
formazione del reddito complessivo
indipendentemente dalla loro percezione, in
proporzione alla quota detenuta
I Fondi immobiliari di diritto
italiano
La peculiarità del fondo immobiliare è costituito
dalla natura delle attività in cui investe:
Beni immobili
Diritti reali immobiliari
Partecipazioni in società non quotate che
svolgono attività di costruzione, valorizzazione,
acquisto, alienazione e gestione di immobili
I Fondi immobiliari di diritto
italiano
L’illiquidità tipica degli asset che compongono il
patrimonio del fondo immobiliare ha spinto il
legislatore a rendere obbligatoria, per tale
categoria, la forma di fondi “chiusi” (D.M.
228/1999)

Oltre alla natura dell’investimento e alla forma


“di fondi chiusi”, di seguito si rappresentano le
altre caratteristiche specifiche di tali fondi
I Fondi immobiliari di diritto
italiano
L’operatività è caratterizzata dalle attività di
valutazione e selezione delle opportunità
d’investimento, la loro acquisizione, successiva
gestione e loro realizzo;
I proventi del fondo sono costituiti dai canoni
di locazione percepiti sugli immobili di
proprietà nonché dai capital gain realizzati
all’atto delle cessioni delle proprietà
immobiliari
I Fondi immobiliari di diritto
italiano
La raccolta di quote può avvenire mediante una
o più emissioni di quote;
Il fondo non può essere investito, direttamente
o indirettamente, per un ammontare superiore al
10% delle proprie attività in società immobiliari
che prevedano l’attività di costruzioni
La tassazione prevista sui proventi del fondo e
sul capital gain è pari al 20%, sempre che si tratti
di portatori di interessi diffusi o che non superino
la quota del 5%
I Fondi immobiliari di diritto
italiano
I fondi non speculativi possono ricorrere alla
leva finanziaria per un valore non superiore al
60% del valore degli immobili, dei diritti reali
immobiliari e delle partecipazioni in società
immobiliari e del 20% del valore degli altri beni
Viceversa, non vi è limite di ricorso al capitale
di debito nel caso di fondi speculativi, gestiti da
SGR speculative, se non quello da regolamento
come approvato dalla Banca d’Italia
I Fondi immobiliari di diritto
italiano
Quotazione obbligatoria su un mercato
regolamentato, qualora la sottoscrizione delle
quote sia inferiore a 25.000 euro
La ratio risiede nella finalità di agevolare il
trasferimento delle quote per gli investitori non
istituzionali nonostante la forma “chiusa” del
fondo
In caso di obbligo di quotazione in Borsa, lo
stesso deve essere assolto entro 24 mesi dalla
chiusura del collocamento delle quote
I Fondi immobiliari di diritto
italiano
Ne deriva che i fondi quotati hanno due tipi di
valore:
Il NAV (Net Asset Value), costituito dal valore
degli asset individuato da valutazione apposita
degli esperti indipendenti, al netto del debito
Il Valore di quotazione, ovvero il prezzo a cui
vengono scambiate le azioni per il totale delle
azioni medesime
I Fondi immobiliari di diritto
italiano
La differenza tra i due valori NAV e Valore di
quotazione genera lo “sconto” o il “premio” sul
NAV
“Sconto sul NAV” quando il valore di quotazione è
inferiore al NAV, “premio sul NAV” nel caso
opposto
Il mercato italiano dei fondi quotati è da sempre
caratterizzato da uno sconto sul NAV che oscilla
tra il 20% ed il 30%
Le peculiarità dei Fondi
immobiliari chiusi italiani
Rispetto ai fondi comuni d’investimento oltre
alla gestione professionale degli investimenti
ed alle economie di scala
i fondi immobiliari consentono agli investitori
di accedere agli investimenti di natura
immobiliare con minori rischi e maggiore
diversificazione di quanto otterrebbero
mediante l’acquisto diretto
Le peculiarità dei Fondi
immobiliari chiusi italiani
I fondi immobiliari consentono:
un investimento minimo notevolmente
inferiore rispetto all’investimento diretto in
immobili
un alto grado di liquidabilità in caso di
quotazione di borsa
costi di gestione inferiori rispetto
all’investimento diretto per effetto delle
economie di scala
Le peculiarità dei Fondi
immobiliari chiusi italiani
di finanziare il mercato immobiliare,
immettendo risorse provenienti da un numero
considerevole di investitori
I principali vantaggi ascrivibili all’investimento in
quote di fondi immobiliari sono:
collegamento del rendimento finanziario a
quello del mercato immobiliare, caratterizzato,
per sua natura, da cicli più lunghi, volatilità più
bassa e minore rischio patrimoniale
Le peculiarità dei Fondi
immobiliari chiusi italiani
prospettive di crescita del valore delle quote e
del reddito, non verificabile in caso di
investimenti in titoli obbligazionari e con un
grado di rischio decisamente minore rispetto a
investimenti in titoli azionari
diversificazione del rischio per effetto di una
gestione di portafoglio di attività immobiliari
molteplici e di natura differente
Le peculiarità dei Fondi
immobiliari chiusi italiani
Per quanto attiene al rischio diversificabile, gli
investimenti dei fondi immobiliari sono
caratterizzati da tre tipologie di rischio

Rischio di mercato:
• andamento sfavorevole del mercato
immobiliare o del mercato finanziario
• destinazione d’uso diversificata degli immobili
Le peculiarità dei Fondi
immobiliari chiusi italiani
Rischio di credito:
• capacità dei conduttori degli immobili di
pagare i canoni
• capacità dell’emittente di far fronte al capitale
e agli interessi
Rischio di liquidabilità:
• collegato alla scarsa trasparenza del mercato
immobiliare
Classificazione dei fondi
immobiliari
Una classificazione dei fondi immobiliari può
essere effettuata utilizzando i seguenti quattro
livelli tassonomici
Modalità di costituzione: distinguendo due
tipologie di fondi “ordinari” (o “Blind Pool”) e
“ad apporto” (o “a conferimento”)
Destinatari delle quote: distinguendo anche in
questo caso due macro categorie di fondi
“Retail” e fondi riservati.
Classificazione dei fondi
immobiliari
Soggetto gestore: la gestione può essere
effettuata esclusivamente da una SGR la quale
può essere Ordinaria o Speculativa, comunque,
approvata da Banca d’Italia
Stile di gestione: distinguendo sotto
quest’aspetto i cosiddetti fondi Core, Core Plus,
Value Added e Opportunistic
Classificazione dei fondi
immobiliari
Con riferimento alla modalità di costituzione, la
stessa potrà avvenire mediante:
la raccolta diretta di denaro presso i
sottoscrittori, i fondi sono definiti Fondi Ordinari
o Blind Pool, la SGR provvederà prima alla
raccolta dei fondi e successivamente al loro
investimento nell’acquisizione di immobili, diritti
reali immobiliari e partecipazioni in società
immobiliari
Classificazione dei fondi
immobiliari
Dall’approvazione del regolamento ci sono 18
mesi per la sottoscrizione di un numero minimo
di quote
il conferimento diretto, da parte di soggetti,
definiti apportanti, di immobili, diritti reali e
partecipazioni immobiliari i quali ricevono in
cambio le quote del fondo in misura
proporzionale al valore degli asset apportati; tali
fondi si definiscono Fondi ad Apporto o a
Conferimento
Classificazione dei fondi
immobiliari
raccolta diretta di denaro e conferimento
diretto di immobili, diritti reali e partecipazioni
immobiliari; tali fondi si definiscono Fondi Misti
ed hanno le caratteristiche sia dei fondi ordinari
che di quelli ad apporto

Con riferimento ai destinatari delle quote, i fondi,


ordinari o ad apporto, possono essere collocati
sul mercato retail ovvero su quelli istituzionali
Classificazione dei fondi
immobiliari
I fondi retail sono destinati al piccolo risparmio
e, pertanto, disciplinati da una normativa tesa a
tutelare maggiormente gli investitori (come nel
caso dell’obbligatorietà della quotazione sui
mercati regolamentati, qualora le quote siano
inferiori a 25.000euro)
I fondi Riservati, viceversa, sono destinati ad
investitori istituzionali o qualificati, cioè soggetti
con elevata professionalità nel campo degli
investimenti
Classificazione dei fondi
immobiliari
Tale caratteristica dei destinatari consente una
minore tutela normativa rispetto ai piccoli
risparmiatori
Le quote dei fondi Riservati non possono essere
scambiate a soggetti diversi da quelli previsti dal
regolamento
I fondi con quote di ammontare superiore ai
250.000euro assumono la natura di Fondi
Riservati, indipendentemente dalla tipologia dei
soggetti sottoscrittori
Classificazione dei fondi
immobiliari
Tra i Fondi Riservati si annoverano i fondi
ordinari e i fondi speculativi, i quali ultimi non
sono assoggettati al limite di indebitamento del
60% dell’attivo costituito da immobili e relativi
diritti reali
I Fondi speculativi devono avere un valore
nominale delle quote superiori a 500.000euro
con un limite all’emissione di 20 quote
Classificazione dei fondi
immobiliari
Con riferimento alla tipologia del soggetto gestore,
lo stesso può essere costituito unicamente da
Società di Gestione del Risparmio (SGR) ma la
distinzione può riguardare la natura di
quest’ultime, le quali possono essere SGR
Ordinarie o Speculative
Nel caso di SGR Speculative, possono gestire sia
Fondi Ordinari che Fondi Speculativi
Classificazione dei fondi
immobiliari
Con riferimento agli stili di gestione, ovvero alla
tipologia d’investimento ed al relativo rischio, i
fondi possono essere classificati in:
Fondi Core, che investono in immobili già locati,
con contratti a medio lungo termine, a basso
profilo di rischio anche perché con basso ricorso
alla leva finanziaria
Fondi Core Plus, caratterizzati da medesima
categoria di investimento ma con una parte di
immobili sfitti e contenuto ricorso al debito
Classificazione dei fondi
immobiliari
Fondi Value Added, che investono in immobili
vuoti che necessitano di interventi di
riqualificazione/ristrutturazione, con contratti
di locazione di breve durata e moderato ricorso
alla leva finanziaria
Fondi Opportunistic, caratterizzati da
investimenti ad alto rischio, quali operazioni di
sviluppo, trading, frazionamento e consistente
ricorso al debito
Lezione
“Le Società di Gestione del
Risparmio, le SICAV e le SIIQ”
Obiettivi

Analizzare le caratteristiche organizzative e


gestionali delle Società di Gestione del
Risparmio
Cenni sulle Società d’Investimento a Capitale
Variabile e sulle Società d’Investimento
Immobiliare Quotate
Le Società di Gestione del
Risparmio - SGR
Le SGR (Società di Gestione del Risparmio) sono
società per azioni autorizzate alla raccolta del
capitale e alla gestione dello stesso attraverso un
adeguata struttura di governance, quale garanzia
dell’investitore di un elevato grado di
professionalità del Gestore
Le SGR, ai sensi degli artt. 18 e 33 del TUF,
possono offrire una ampia gamma di servizi:
Promuovere e gestire propri fondi comuni
d’investimento (mobiliari o immobiliari)
Le Società di Gestione del
Risparmio - SGR
Gestire patrimoni di Sicav o di Fondi comuni
istituiti da altre SGR;
Istituire e gestire Fondi pensione
Prestare servizi di gestione individuale
Esercitare per delega l’attività di gestione del
portafogli di imprese d’investimento
Offrire servizi di consulenza
Commercializzare quote o azioni di OICR,
proprie e di terzi
Le Società di Gestione del
Risparmio - SGR
Con particolare riferimento all’attività di gestione
dei fondi, le SGR sono responsabili dell’attività di
gestione e hanno la facoltà di conferire deleghe
specifiche per l’attuazione delle scelte
d’investimento
L’obiettivo delle SGR, nell’interesse dei
sottoscrittori, è quello di incrementare nel
tempo il valore dei fondi, attraverso una gestione
attiva degli stessi, con orizzonti temporali
commisurati alla tipologia di investimento
Le Società di Gestione del
Risparmio - SGR
La governance delle SGR rappresenta la garanzia
degli investitori dei fondi da esse gestiti,
pertanto, la struttura organizzativa assume ruolo
significativo per le SGR

Al Consiglio di Amministrazione della SGR


competono, in generale, le scelte d’indirizzo
strategico, le caratteristiche dei fondi da istituire
e l’attività di asset management
Le Società di Gestione del
Risparmio - SGR
La responsabilità dell’attività di asset
management viene usualmente attribuita ad un
consigliere delegato, definito appunto asset
manager, al quale sono riconducibili le attività
strategiche di individuazione e selezione degli
investimenti, le attività gestionali di
pianificazione, coordinamento e controllo dei
processi operativi
Le Società di Gestione del
Risparmio - SGR
Al controllo interno sono attribuite le attività di
verifica dell’idoneità delle procedure e degli
standard interni, del rispetto degli stessi e
dell’osservanza delle disposizioni derivanti dal
Codice interno di comportamento
La funzione di controllo interno, affidata
generalmente ad unità interna della SGR, gode di
una posizione di assoluta indipendenza e
autonomia dalle strutture operative e riferisce
direttamente al Consiglio di Amministrazione
Le Società di Gestione del
Risparmio - SGR
Il comitato investimenti è costituito da membri
indipendenti dotati di esperienza specifica, ad
esempio nel caso di gestione di Fondi immobiliari,
si tratta di esperti in ambito immobiliare
Il comitato ha il compito di vagliare le proposte
d’investimento, le presenta al Consiglio
d’Amministrazione accompagnate da un proprio
parere sulle stesse
Le Società di Gestione del
Risparmio - SGR
La gestione operativa dei fondi, è affidata alla
figura del Fund manager che, nel ruolo di
operation manager, risponde direttamente al
CdA e per esso al Consigliere delegato
Nel caso di gestione di fondi immobiliari chiusi,
il fund manager assolve, direttamente o grazie
alla collaborazione di terzi, il ruolo di interfaccia
tra la SGR e i fornitori dei servizi immobiliari
Più in generale, con tutti gli stakeholder coinvolti
nelle operazioni a carico del fondo
Le Società di Gestione del
Risparmio - SGR
Per fondi di dimensioni medie (50-100 mln di
raccolta) il Fund manager può gestire anche più
di un fondo contemporaneamente
La funzione Amministrazione e controllo si
occupa di tutte le funzioni amministrative
strettamente legate alla gestione dei fondi e,
pertanto, relative alla tenuta della contabilità
generale, e del valore di tutti gli asset in
portafoglio, nel caso di gestione di Fondi
immobiliare anche del calcolo del NAV
Le Società di Gestione del
Risparmio - SGR
La funzione di Risk management ha competenze
specifiche, con l’obiettivo di monitorare le
differenti variabili di rischio degli investimenti
Nelle caso di gestione di fondi immobiliari chiusi
di diritto italiano agli organi e alle funzioni della
SGR si affiancano alcuni organi/funzioni tipici:
Il comitato consultivo, composto da almeno tre
rappresentanti eletti dall’assemblea dei
sottoscrittori e da rappresentanti della SGR
Le Società di Gestione del
Risparmio - SGR
ll comitato consultivo, esprime pareri vincolanti
per il CdA della SGR, in merito a i seguenti
argomenti:
operazioni in conflitto d’interesse
operazioni di compravendita per ammontare
superiore al 10% del totale dell’attivo del fondo
operazioni di compravendita per importi
maggiori a 5 milioni
approvazione del business plan a vita intera
Le Società di Gestione del
Risparmio - SGR
ll comitato consultivo, inoltre, esprime pareri non
vincolanti per il CdA, in caso di:
Proposte di finanziamento
Modifiche del regolamento dei fondi

Gli Esperti indipendenti vengono nominati


direttamente dal CdA e possono essere sia
società di consulenza sia professionisti
Le Società di Gestione del
Risparmio - SGR
Nella gestione di fondi immobiliari, gli esperti
indipendenti svolgono la funzione di valutazione
degli immobili sia in fase di conferimento che in
quella di cessione, con riferimento alla congruità
dell’operazione
Si occupano altresì della redazione della
valutazione periodica e di tutte le perizie e stime
necessarie alla valutazione delle performance
periodiche del fondo
Le Società di Gestione del
Risparmio - SGR
L’Assemblea dei sottoscrittori (o partecipanti)
rappresenta i titolari delle quote del fondo ed è
chiamata a decidere su tematiche di particolare
interesse quali:
la modifica delle politiche di gestione
la sostituzione della Società di gestione
La liquidazione anticipata
E’ convocata direttamente dal CdA dell’SGR ma
può essere convocata direttamente da almeno il
10% dei titolari delle quote dei fondi
Le Società di Gestione del
Risparmio - SGR
Nella gestione del patrimonio immobiliare dei
fondi immobiliari, le SGR si avvalgono dell’organo
di property management, direttamente nominato
dal CdA, con competenze e compiti gestionali,
amministrativi e tecnici
Tale funzione può essere svolta direttamente
dalla SGR o affidata a terzi
Le Società di Gestione del
Risparmio - SGR
Il global advisor, svolge una funzione di supporto
alla SGR nell’attività di asset management,
assolvendo ai seguenti compiti principali:
Assistenza nella definizione delle politiche di
investimento, scelte di valorizzazione e
disinvestimento
Individuazione di progetti interessanti
Realizzazione di studi e analisi di mercato
Proposte di disinvestimento
La struttura patrimoniale e
reddituale della SGR
La struttura patrimoniale e reddituale della SGR è
funzione della gamma di servizi dalla stessa
erogati
Nell’attivo patrimoniale, le risorse finanziare in
gestione rappresentano il principale fattore
produttivo ma non l’unico
Per operare le SGR necessitano di informazioni,
personale e tecnologia
La struttura patrimoniale e
reddituale della SGR
Stato patrimoniale riclassificato di una
SGR
ATTIVO PASSIVO

Titoli di proprietà Debiti verso banche e altri


intermediari finanziari

Liquidità

Immobilizzazioni materiali e Capitale proprio


immateriali
La struttura patrimoniale e
reddituale della SGR
Sotto il profilo reddituale, le commissioni attive
rappresentano la prima fonte di ricavo, sono il
corrispettivo della gestione dei portafogli, della
performance ottenute e dei fondi gestiti dalla
SGR
Tra le voci di costo figurano in prevalenza le
commissioni passive, che rappresentano gli oneri
del canale distributivo, in genere le banche, alle
quale viene retrocessa una parte delle
commissioni attive a carico dei fondi gestiti
La struttura patrimoniale e
reddituale della SGR
La differenza tra commissioni attive e passive
determina il margine lordo, destinato a coprire i
costi operativi della struttura aziendale

Il costo del personale rappresenta la parte più


consistente dei costi operativi, a causa della
necessità di avere personale esperto, la cui
remunerazione e costi di aggiornamento e
formazione sono piuttosto elevati
La struttura patrimoniale e
reddituale della SGR

Oltre al margine operativo contribuisce all’intero


margine di gestione, il risultato della gestione
finanziaria quale risultato netto tra i proventi o
perdite dalla movimentazione del portafoglio
titoli di proprietà e, periodicamente, i dividendi e
interessi cedolari
La struttura patrimoniale e
reddituale della SGR
Conto economico riclassificato di una
SGR
(+) Commissioni Attive
(-) Commissioni Passive
(=) Margine lordo
(-) Costi operativi
(=) (1) Margine operativo
(+) Interessi attivi
(+/-) Profitti/Perdite da operazioni finanziarie
(-) Interessi passivi
(=) (2) Margine della gestione finanziaria
(=) (1+2) Risultato lordo della gestione
Le SICAV e le SIIQ
Le SICAV (Società di Investimento a Capitale
Variabile) sono società per azioni aventi ad
oggetto la gestione collettiva del risparmio
A differenza dei fondi, la raccolta del risparmio
avviene attraverso l’emissione di azioni proprie
Pertanto, i sottoscrittori sono soci e come tali
esercitano il diritto di voto e possono, quindi,
incidere sulle scelte gestionali (il partecipante a
un fondo comune non ha questo potere)
Le SICAV e le SIIQ

Il funzionamento delle SICAV è molto simile a


quello dei fondi comuni di investimento “aperti”,
infatti, sottoscrizioni e rimborsi sono possibili in
qualsiasi momento (per questo anche le SICAV
sono dette OICR a capitale variabile)
Le SICAV e le SIIQ

Le Società di Investimento Immobiliare Quotate


- SIIQ sono società per azioni quotate in Borsa
che investono in immobili destinati
esclusivamente alla locazione che presentano le
caratteristiche individuate dalla legge 296/2006
(legge “finanziaria” 2007), dal D.M. “attuativo”
174/2007 e dal “provvedimento” del Direttore
dell’Agenzia delle Entrate del 28/11/2007, che
hanno optato per il regime fiscale agevolato
Le SICAV e le SIIQ
La citata normativa ha stabilito, infatti, i seguenti
requisiti delle SIIQ:
costituite in forma di S.p.A.
residenti ai fini fiscali nel territorio dello Stato
azioni negoziate in mercati regolamentati degli
stati membri dell'Unione Europea e degli stati
aderenti all'Accordo sullo spazio economico
europeo
gli azionisti di controllo non possono avere una
quota superiore al 51%
Le SICAV e le SIIQ

il 35% delle quote deve essere posseduto da


singoli azionisti che non detengano più dell'1%
ciascuno
l'80% dell'attivo deve essere investito in
immobili da locazione
l'80% dei proventi deve derivare dalla
locazione
la società deve distribuire ogni anno almeno
l'85% degli utili ottenuti dalla gestione
Le SICAV e le SIIQ

La caratteristica principale delle SIIQ riguarda la


possibilità di adozione di un sistema di
tassazione agevolata, in cui l’utile viene
assoggettato ad imposizione, in capo ai soci,
solo al momento della distribuzione e non al
momento della sua produzione in capo alla
società che lo ha generato
Le SICAV e le SIIQ

L’accesso al regime speciale implica per la SIIQ


il realizzo a valore normale (fair value) degli
immobili nonché dei diritti reali su immobili
destinati alla locazione
Eventuali plusvalenze sono assoggettate ad
imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito
delle società e dell’imposta regionale
sull’attività produttiva, nella misura del 20%
(c.d. imposta di ingresso)
I servizi di consulenza in
materia di investimenti
Per consulenza in materia di investimenti si
intende la prestazione di raccomandazioni
personalizzate a un cliente, dietro sua richiesta o
per iniziativa del prestatore del servizio, riguardo
a una o più operazioni relative ad un
determinato strumento finanziario
La raccomandazione è personalizzata quando è
presentata come adatta per il cliente o è basata
sulle caratteristiche del cliente
I servizi di consulenza in
materia di investimenti
Non lo è se viene diffusa al pubblico mediante
canali di comunicazione di massa (giornali, tv,
etc.), ovvero quando è riferita ad un generico
tipo di strumento (es. azioni, obbligazioni, etc.)
Possono prestare tale servizio, previa
autorizzazione, le imprese di investimento, le
banche, le SGR, e le persone fisiche dotate di
requisiti di professionalità, onorabilità,
indipendenza e solidità patrimoniale iscritte in
un apposito albo dei consulenti finanziari
I servizi di consulenza in
materia di investimenti
Solitamente tale servizio è offerto
dall’intermediario che eroga il servizio di
esecuzione ordini o di ricezione e trasmissione
ordini per ampliare la sua offerta
Generalmente non è richiesta una commissione
specifica ma viene inglobata all’interno delle
commissioni applicate per i servizi tradizionali
Il consulente è tenuto ad informare il cliente
qualora si delinei una ipotesi di conflitto
d’interesse con strumenti finanziari consigliati
Lezione
“Le imprese d’investimento, le
attività di merchant banking e
corporate finance”
Obiettivi

Analizzare la disciplina dei servizi di


investimento
Individuare gli intermediari abilitati

Analizzare le attività di marchant banking e


corporate finance
L’intervento delle banche
nell’intermediazione mobiliare
Le banche italiane hanno operato per molti anni
in un contesto poco competitivo che rendeva
difficile l’accesso al mercato italiano di banche
internazionali o l’istituzione di nuove banche
private, per i seguenti motivi:
il carattere pubblico delle banche
la presenza di barriere normative all’entrata
la forbice dei tassi molto ampia
L’intervento delle banche
nell’intermediazione mobiliare
In tale contesto, anche le banche meno efficienti
erano in grado di generare elevati profitti
L’intervento delle banche nell’intermediazione
mobiliare è avvenuto a partire dagli anni ’80 a
seguito di un significativo mutamento del mercato
di riferimento imputabile essenzialmente alla
trasformazione del quadro normativo, al processo
di unificazione monetaria e al cambiamento della
domanda dei risparmiatori
L’intervento delle banche
nell’intermediazione mobiliare
Il recepimento di direttive comunitarie finalizzate
a creare un mercato comune, ha modificato
profondamente il sistema bancario comportando
la liberalizzazione dell’attività bancaria, la
deregolamentazione del settore, la
trasformazione delle banche in istituti privati,
l’ampliamento delle attività esercitabili dalle
banche (equiparazione delle banche alle SIM
nell’attività di intermediazione mobiliare)
L’intervento delle banche
nell’intermediazione mobiliare

Allo stesso modo, la domanda dei risparmiatori


italiani è mutata significativamente
Negli anni ‘70 e ’80, infatti, il risparmio era
allocato quasi unicamente in Titoli di Stato a
breve scadenza (BOT), per effetto, in prevalenza,
degli elevati tassi di interesse che tali strumenti
riconoscevano
L’intervento delle banche
nell’intermediazione mobiliare
La riduzione dei tassi, dovuta, da un lato, alle
politiche comunitarie che tendevano a far
convergere i tassi italiani con quelli europei,
dall’altro, alla riduzione della spesa pubblica, ha
modificato le preferenze dei risparmiatori che si
sono orientati verso altri strumenti finanziari
caratterizzati da rendimenti superiori
(obbligazioni, azioni, etc.)
L’intervento delle banche
nell’intermediazione mobiliare

La conseguenza di tali cambiamenti è stata la


riduzione della redditività derivante dall’attività
tradizionale delle banche (riduzione del margine
di interesse) che ha indotto le stesse a dover
ricercare nuovi profitti, ampliando l’attività
legata ai servizi e a ristrutturazioni organizzative
finalizzate a ridurre i costi
Le imprese di investimento

Le imprese di investimento possono svolgere


professionalmente tutti i servizi di investimento
ex art. 1, comma 5 del TUF (negoziazione per
conto terzi e per conto proprio, ricezione e
trasmissione di ordini, gestioni di sistemi
multilaterali di negoziazione, collocamento e
underwriting, gestione individuale di portafogli e
consulenza in materia di investimento)
Le imprese di investimento
Sono imprese di investimento le Società di
Intermediazione Mobiliare (SIM), le imprese di
investimento comunitarie e le imprese di
investimento extracomunitarie
Tale classificazione dipende dal luogo in cui si
trovano la sede legale e la direzione generale (le
SIM in Italia, per le imprese di investimento
comunitarie in uno degli stati membri, per le
imprese di investimento extracomunitarie in uno
degli stati non appartenenti all’Unione Europea)
Le imprese di investimento
Le SIM “di servizio” sono le SIM che prestano
attività per conto terzi (brokeraggio, puro
collocamento, gestione individuale di portafogli)
Non assumono posizioni in proprio, pertanto, lo
stato patrimoniale è caratterizzato dalla
prevalenza, nell’attivo, della liquidità generata
dall’incasso delle commissioni (che viene
utilizzata per coprire i costi operativi) e alle
immobilizzazioni materiali necessarie al loro
funzionamento (es. attrezzature informatiche)
Le imprese di investimento

Il passivo è costituito principalmente da mezzi


propri (scarso ricorso all’indebitamento)
Parte della liquidità viene investita a breve
termine e produce ricavi da interessi
Sono esposte prevalentemente al rischio
operativo (mancata copertura dei costi fissi
necessari al funzionamento aziendale)
Le imprese di investimento

Stato patrimoniale riclassificato di una SIM di servizio

ATTIVO PASSIVO

Liquidità
MP (Mezzi Propri)

Immobilizzazioni materiali
Le imprese di investimento

Conto economico riclassificato di una SIM di servizio

(+) Interessi Attivi su liquidità


(+) Commissioni nette
(=) Margine di intermediazione
(-) Costi operativi
(=) Risultato della gestione
Le imprese di investimento
Le SIM che svolgono attività di dealing o
underwriting assumono, invece, posizioni in
proprio
Pertanto, l’attivo dello stato patrimoniale è
caratterizzato dalla prevalenza di titoli di
proprietà (che generano ricavi da dividendi e da
interessi cedolari)
La maggior parte di questi titoli è rappresentata
da azioni in quanto offrono elevati profitti
Le imprese di investimento
Per questi motivi sono esposte a rischi di prezzo
legati alle oscillazioni dei prezzi dei titoli in
giacenza
Qualora i titoli siano di emittenti esteri, si
aggiungono anche i rischi di cambio
Le SIM cercano di ridurre tali rischi diversificando
e bilanciando la componente azionaria con
investimenti in obbligazioni, titoli di stato e
derivati di copertura
Le imprese di investimento
Generalmente vi è un ampio ricorso
all’indebitamento

I risultati delle operazioni di negoziazione


confluiscono nel conto economico nella voce
“Profitti/perdite da operazioni finanziarie” (tale
voce comprende anche i risultati derivanti dai
processi di valutazione)
Le imprese di investimento

Stato patrimoniale riclassificato di una


SIM dealer o underwriter

ATTIVO PASSIVO

Titoli di proprietà Debiti verso banche e altri


intermediari finanziari

Liquidità

Immobilizzazioni materiali e MP (Mezzi Propri)


immateriali
Le imprese di investimento

Conto economico riclassificato di una


SIM dealer o underwriter

(+) Interessi Attivi su titoli e su liquidità


(+) Dividendi
(+/-) Profitti/Perdite da operazioni finanziarie
(-) Interessi passivi
(=) Margine di intermediazione
(-) Costi operativi
(=) Risultato della gestione
Le attività di merchant banking
Alla tipica attività di intermediazione creditizia e
di erogazione dei servizi di investimento, le
banche possono aggiungere ulteriori servizi
innovativi alla clientela, volti a soddisfare
esigenze finanziarie più complesse
Tali servizi sono ascrivibili a due aree d’affari:
marchant banking e corporate finance
Tale attività sono comunemente riferite a
intermediari definiti, a livello internazionale:
banche d’affari (o d’investimento)
Le attività di merchant banking
Nell’attività di marchant banking l’intermediario
bancario eroga finanza nella forma del capitale di
rischio (equity), mediante la sottoscrizione di una
partecipazione azionaria dell’impresa target
In tal modo, all'intermediario si propone come
partner con l’obiettivo di contribuire alla
valorizzazione dell’impresa partecipata, al fine di
realizzare elevati capital gain al momento del
disinvestimento (exit), generalmente dopo 4-5
anni
Le attività di merchant banking
Tale attività viene definita di private equity
quando l’apporto dell’intermediario non è solo
finanziario ma è finalizzato, soprattutto, ad
incrementare le competenze tecnico-manageriali,
e la rete di contatti e relazioni con i principali
stakeholder aziendali
Finalità dell’intermediario è quello di apportare
un capitale significativo ma di minoranza
nell’impresa target
Le attività di merchant banking

L’intermediario, infatti, non ha come obiettivo


quello di conseguire il controllo dell’azienda per
disporre delle leve operative, quanto quello di
istaurare una rapporto fortemente sinergico con
gli azionisti di maggioranza e con il management,
svolgendo una funzione educativa e stimolando
cambiamenti profondi, ove necessari, sulla
cultura e organizzazione aziendale
Le attività di merchant banking
A seconda dello stadio del ciclo di vita
dell’impresa target, le esigenze strategiche e
finanziarie assumono configurazioni differenti
In tal senso, il supporto finanziario assumerà
differenti denominazioni:
Seed capital, riguarda l’intervento nella fase
ancora dell’idea di business
Start-up financing, gli interventi volti a finanziare
le primissime fasi d’avvio dell’impresa, dove è
maggiore un contributo manageriale
Le attività di merchant banking

Expansion financing, qualora si tratti di interventi


volti a supportare la crescita e lo sviluppo di
imprese già esistenti
Replacement capital, si riferisce a interventi volti
a sostituire parte dell’azionariato che non è più
coinvolto nell’attività aziendale, tipico esempio
sono i passaggi generazionali con disinteresse
delle nuove generazioni di titolari
Le attività di merchant banking
L’attività di marchant banking svolta dalle banche
può seguire modelli d’interventi diversi
Intervento diretto, la banca entra direttamente
nella sottoscrizione del capitale dell’impresa
target
Intervento indiretto, mediante la sottoscrizione
da parte della banca di quote di un fondo
comune di investimento che procede a sua
volta ad acquisire il capitale di minoranza
dell’impresa target
Le attività di corporate finance
L’attività di corporate finance consistono in un
insieme di servizi di ottimizzazione delle scelte
finanziarie delle imprese clienti
Si tratta di attività ad alto contenuto
consulenziale, dominante rispetto a quello
finanziario, che possono essere ricondotte a due
sostanziali aree di business, definite di M&A
(Merger & Acquisition) e Capital restructuring
(turneround)
Le attività di corporate finance
L’attività di M&A (Merger & Acquisition) consiste
in una serie di servizi specializzati volti a
supportare l’impresa cliente in particolari
operazioni straordinarie, foriere di modifiche di
assetti proprietari, organizzativi e di governance
Oltre alle tipiche operazioni di acquisizione e
fusioni le attività ricomprese nell’M&A sono
anche:
joint venture (accordi di collaborazione tra
imprese)
Le attività di corporate finance
spin-off (creazione di impresa autonoma
derivante dallo scorporo di impresa
preesistente)
Break-up (separazione di un’azienda in più
entità autonome)

Le attività di M&A possono essere classificate in:


Ricerca e selezione dei partner industriali o
finanziari
Le attività di corporate finance
Due diligence dell’impresa target, con
particolare riferimento al business, alla struttura
organizzativa, alle strategie commerciali, ai dati
economico-finanziari, gli aspetti fiscali e legali,
ai rischi potenziali
Valutazione del capitale economico dell’impresa
target
Analisi di fattibilità economico-finanziaria
dell’operazione
Le attività di corporate finance
Assistenza nella definizione delle condizioni
contrattuali e durante la negoziazioni
Assistenza nella chiusura dell’operazione
(closing)

Le attività di Capital restructuring (turneround) è


finalizzata ad interventi di ristrutturazione di
imprese in crisi di liquidità o economica
Quando gli interventi non sono di natura
giudiziaria, si sostanziano in accordi stragiudiziali
Le attività di corporate finance
Gli accordi stragiudiziali che vedono il
coinvolgimento delle banche d’investimento nella
qualità di advisor possono essere raggruppati in
due categorie:
Debt restructuring, quando l’intervento ha ad
oggetto le passività dell’impresa e come obiettivo
la rinegoziazione delle fonti di finanziamento
Asset restructuring, nel caso di interventi sulle
attività, quale la cessione di investimenti non
strategici, con la finalità di produrre liquidità
Lezione
“La regolamentazione nel
sistema finanziario”
Obiettivi

Individuare le motivazioni dei controlli


pubblici nel sistema finanziario
Analizzare gli obiettivi della regolamentazione
e della vigilanza
Illustrare le principali fonti normative,
europee e nazionali, della regolamentazione
Le ragioni del controllo
pubblico

La regolamentazione del sistema finanziario


rientra tra gli interventi pubblici in economia
finalizzati a garantire:
stabilità
equità nella distribuzione delle risorse
efficienza nell’impiego delle risorse
Le ragioni del controllo
pubblico
La presenza di imperfezioni nel funzionamento
dei mercati (c.d. market failures) rappresenta la
ragione del controllo e della vigilanza sul sistema
finanziario, che hanno il fine di correggere tali
imperfezioni
A lungo si è dibattuto sulla necessità
dell’intervento pubblico nel sistema finanziario
anche se ora non vi sono più dubbi sulla
necessità della regolamentazione
Le ragioni del controllo
pubblico
I sostenitori del c.d. free banking, infatti,
ritengono che, almeno nel lungo periodo, il
mercato è capace di ristabilire l’equilibrio (senza
dover sostenere i costi diretti e indiretti di un
sistema di controlli). L’esperienza ha però
dimostrato che le imperfezioni del mercato,
seppur temporanee, possono avere conseguenze
destabilizzanti con gravi ricadute anche
sull’economia reale (es. la recente crisi
finanziaria originata dai mutui subprime)
Le ragioni del controllo
pubblico
Una delle imperfezioni che andrebbero corrette è
l’asimmetria informativa a danno del datore di
risorse che si genera nei contratti finanziari,
caratterizzati da un elevato grado di aleatorietà
(trasferimento di ricchezza immediato a fronte di
una prestazione futura incerta)
La regolamentazione può, in questo caso,
ampliare le informazioni disponibili e disciplinare
il comportamento dei debitori e degli
intermediari
Le ragioni del controllo
pubblico
Inoltre, la regolamentazione intende tutelare i
piccoli investitori che sono contraenti deboli
Di particolare importanza, sono i controlli
esercitati sulle banche in quanto queste
assumono un ruolo centrale nel sistema dei
pagamenti
Le passività delle banche (depositi bancari) sono,
infatti, accettate come mezzi di pagamento e
rappresentano una quota rilevante dell’offerta
complessiva di moneta
Le ragioni del controllo
pubblico
Pertanto, la crisi di una banca può avere effetti
negativi sull’intero sistema finanziario e
conseguenze sull’economia reale
La circolazione della moneta bancaria si fonda,
infatti, sul convincimento che le banche siano
sempre in grado di rispettare i propri impegni,
quindi, l’insolvenza delle stesse può generare
oltre ai danni ai singoli investitori e alle altre
banche per “contagio”, un crollo di fiducia che
può provocare la cd. “corsa agli sportelli”
Gli obiettivi dei controlli
pubblici
I controlli pubblici sul sistema finanziario
possono essere così sintetizzati:
gestione della politica monetaria
regolamentazione e vigilanza
La gestione della politica monetaria consiste nel
controllo della quantità della moneta in
circolazione e del livello dei tassi di interesse per
garantire obiettivi di politica economica quali ad
esempio la stabilità dei prezzi
Gli obiettivi dei controlli
pubblici
La regolamentazione e la vigilanza consistono,
invece, nell’insieme di regole e controlli sul
sistema finanziario
la regolamentazione è il complesso delle norme
che disciplinano l’attività degli intermediari
finanziari e il funzionamento dei mercati
la vigilanza è l’attività di controllo, effettuata
dalle Autorità di vigilanza, sulla corretta
applicazione delle norme suddette
Gli obiettivi dei controlli
pubblici
Gli obiettivi della regolamentazione e della
vigilanza sul sistema finanziario sono:
stabilità
efficienza
trasparenza e correttezza dei comportamenti
Gli obiettivi dei controlli
pubblici
Per quanto attiene alla stabilità:
con riferimento ai singoli intermediari,
l’obiettivo consiste nel raggiungimento
dell’equilibrio di gestione con particolare
attenzione al mantenimento di condizioni di
liquidità e solvibilità e al contenimento dei rischi
e quindi, a prevenire situazioni di crisi dei singoli
intermediari che potrebbero anche contagiare
l’intero sistema
Gli obiettivi dei controlli
pubblici
con riferimento al sistema finanziario nel suo
insieme, l’obiettivo consiste nel prevenire
situazioni anomale che possano generare crisi
sistemiche, con particolare attenzione a rischi
diffusi e tra loro correlati
La vigilanza ha il compito d’intervenire in caso di
crisi sistemica per limitare gli effetti negativi
della stessa, anche in termini di conseguenze
sull’economia reale
Gli obiettivi dei controlli
pubblici
Per quanto attiene all’efficienza, distinguiamo:
efficienza allocativa che è la capacità di
impiegare le risorse finanziarie nei progetti di
investimento migliori sotto il profilo della
combinazione rischio-rendimento
efficienza tecnico-operativa che è la capacità
gestionale di combinare i fattori produttivi al
fine di minimizzare il costo
dell’intermediazione finanziaria
Gli obiettivi dei controlli
pubblici
L’efficienza solitamente migliora con la
concorrenza, infatti, una maggiore competizione
tra gli operatori rappresenta uno stimolo a
migliorare i propri risultati sia selezionando
accuratamente le attività in cui investire sia
contenendo i costi operativi
Nel contempo, però, un ambiente
particolarmente competitivo può generare la
crisi di alcuni intermediari e compromettere la
stabilità dell’intero sistema
Gli obiettivi dei controlli
pubblici
L’esistenza di barriere all’entrata come le
autorizzazioni, l’imposizione di vincoli di
specializzazione etc., riducono la competizione e
consentono margini di profitto anche ad
intermediari meno efficienti
L’assenza di concorrenza può rendere il settore
più stabile ma con conseguenze negative
sull’efficienza degli operatori, e quindi, sulla
corretta destinazione delle risorse finanziarie e
sull’onerosità dei servizi offerti alla clientela
Gli obiettivi dei controlli
pubblici

L’obiettivo della trasparenza e correttezza dei


comportamenti degli operatori finanziari,
riconducibile all’obiettivo generale dell’equità,
assume notevole importanza se si pensa al
problema delle asimmetrie informative e alla
tutela dei piccoli risparmiatori
Gli obiettivi dei controlli
pubblici
La trasparenza consiste nella completezza delle
informazioni fornite a tutti gli investitori:
con riferimento ai singoli intermediari, è riferito
al rapporto cliente-intermediario (es. completezza
e chiarezza delle clausole contrattuali)
con riferimento al sistema nel suo complesso,
alla capacità dei prezzi degli strumenti finanziari
di riflettere tutte le informazioni disponibili
(efficienza informativa), aiutando gli operatori
nelle loro scelte di investimento
Gli obiettivi dei controlli
pubblici
La necessità di tutelare i piccoli investitori e la
forte componente fiduciaria presente nelle
transazioni finanziarie, impongono inoltre il
rispetto di regole comportamentali tese a
limitare comportamenti scorretti (ad es. insider
trading) e i conflitti d’interessi

Gli obiettivi descritti possono assumere una


rilevanza diversa a seconda del tipo di
intermediazione
Gli obiettivi dei controlli
pubblici
Nell’intermediazione creditizia è indispensabile
favorire il rispetto dell’obiettivo della stabilità,
garantire cioè il mantenimento di condizioni di
solvibilità e liquidità in modo che le banche
possano rispettare sempre i propri impegni di
pagamento
Nell’intermediazione mobiliare, invece, è
particolarmente tutelato l’obiettivo della
trasparenza e correttezza dei comportamenti
Le principali fonti normative

Il principale intervento pubblico per raggiungere


gli obiettivi di stabilità, efficienza e trasparenza
consiste nell’esercizio del potere legislativo
(comunitario e nazionale)

L’intervento del Legislatore comunitario, in un


primo momento, si è focalizzato sui settori più
tradizionali: bancario e assicurativo
Le principali fonti normative
Nel settore bancario la prima e la seconda
Direttiva CEE (1977/80 e 1989/646) hanno
introdotto la definizione di ente creditizio,
evidenziato il carattere imprenditoriale
dell’attività bancaria, condizionato
l’autorizzazione a dotazioni minime di capitale,
introdotto il modello di banca universale (tutti i
settori dell’intermediazione finanziaria tranne la
gestione collettiva del risparmio e le
assicurazioni, sottoposte a riserva)
Le principali fonti normative
Tali disposizioni sono state recepite in Italia con
l’adozione del Testo Unico Bancario (che ha
superato i principi di specializzazione
funzionale e temporale previsti dalla Legge
Bancaria del 1936)
Successivamente ci sono stati nuovi interventi
comunitari finalizzati ad armonizzare la
legislazione in merito ad es. all’antiriciclaggio,
agli schemi di rappresentazione contabile etc.
Le principali fonti normative
In particolare, due Direttive del 2006 (2006/48 e
2006/49) aventi ad oggetto le condizioni di
accesso all’attività bancaria e i requisiti minimi di
capitale
Tali Direttive hanno recepito l’Accordo sul
Capitale (Basilea 2)
In seguito alla crisi finanziaria globale si è
avvertita l’esigenza di una nuova modifica
dell’adeguatezza patrimoniale (Basilea 3) ad oggi
non ancora adottata
Le principali fonti normative
Con riferimento al settore assicurativo
individuiamo tre principali interventi:
Direttive 1992/249 per il ramo danni e 1992/96
per il ramo vita: hanno introdotto nel settore
assicurativo il principio del mutuo
riconoscimento e dell’home country control
Direttive 2002/13 per il ramo danni e 2002/12
per il ramo vita: disciplinano i requisiti minimi di
patrimonializzazione (Solvency 1)
Le principali fonti normative
Direttiva 2004/39: ha modificato le Direttive
del 2002 in materia di requisiti minimi di
patrimonializzazione (Solvency 2)

Per quanto attiene, invece, all’intermediazione


mobiliare il principale intervento comunitario è
stata la c.d. Direttiva Eurosim 1993/22
(Investment Services Directive) che ha esteso il
principio di mutuo riconoscimento e
armonizzazione alle imprese di investimento
Le principali fonti normative

Tale Direttiva è stata recepita in Italia con il D.lgs


415/1996, poi confluito nel TUF ed è stata poi
significativamente modificata dalla Direttiva
2004/39 (MIFID Market In Financial Instruments
Directive) che prevede una massima
armonizzazione limitando la possibilità di
deroghe da parte dei singoli Paesi membri
Le principali fonti normative
La MIFID è stata adottata con il metodo
Lamfalussy, nell’ambito del Piano d’Azione per i
Servizi Finanziari (Financial Services Action Plan)
approvato dalla Commissione Europea nel 1999,
per accelerare e semplificare il processo
normativo comunitario
Il metodo Lamfalussy ha contribuito al
miglioramento della regolamentazione in ambito
comunitario secondo l’approccio della better
regulation
Le principali fonti normative
Il metodo è così articolato:
Elaborazione dei principi quadro
Emanazione delle misure di dettaglio
Emanazione di raccomandazioni e
interpretazioni
Coinvolgimento di comitati di esperti (comitati
regolamentari e di vigilanza) in rappresentanza
dei diversi Stati membri
Le principali fonti normative
I comitati regolamentari hanno il compito di
affiancare la Commissione Europea per
velocizzare ed efficientare il processo
legislativo
I comitati di vigilanza hanno il compito di fornire
consulenza tecnica per l’attuazione delle norme
oltre a linee guida e raccomandazioni
interpretative
Le principali fonti normative
Per quanto attiene alla normativa nazionale, i
principali interventi legislativi sono:
TUB (D.lgs 385/1993), che disciplina l’attività di
intermediazione creditizia esercitata dalle
banche e dagli intermediari creditizi non bancari

TUF (D.lgs. 58/1998), che disciplina l’attività di


intermediazione mobiliare
Le principali fonti normative
CAP (D.lgs 209/2005), il Codice delle
Assicurazioni Private che disciplina l’attività
assicurativa (ramo vita e ramo danni)

D.lgs 252/2005, che disciplina le forme di


previdenza complementare
Le principali fonti normative

Sebbene le principali modifiche intervenute


nella normativa nazionale siano state originate
dalla legislazione comunitaria non mancano casi
di modifiche apportate dal Legislatore nazionale
come ad es. il caso della Legge sul Risparmio
(L.262/2005) emanata in seguito ai numerosi
scandali finanziari (Cirio, Parmalat, etc.)
Lezione
“Modelli teorici e Autorità di
vigilanza”
Obiettivi

Analizzare i modelli teorici di vigilanza

Analizzare e classificare le Autorità di Vigilanza


I paradigmi di vigilanza

La funzione di vigilanza è comunemente affidata


ad appositi organismi indipendenti detti
Autorità di vigilanza
La loro istituzione e la relativa regolamentazione
è competenza della normativa primaria (Legge)
Tali organismi godono di indipendenza rispetto al
potere politico, nel senso che il Governo non può
impartire loro alcuna istruzione
I paradigmi di vigilanza
L’indipendenza rende gli organismi di vigilanza
autorevoli ma nel contempo pienamente
responsabili del loro operato
Le Autorità di vigilanza devono essere dotate di
adeguate risorse soprattutto in termini di
competenze
Oltre all’attività di vigilanza tali organismi sono
spesso chiamati ad emanare una normativa
secondaria in relazione alle materie di propria
responsabilità
I paradigmi di vigilanza
A livello teorico sono diversi i modelli di vigilanza
ciascuno con i propri vantaggi e svantaggi
Quello più tradizionale, anche sotto l’aspetto
cronologico, è l’approccio della vigilanza
istituzionale (o “per soggetti”, “per mercati” o
“sezionale”)
Tale modello prevede Autorità distinte in ragione
della tipica tripartizione del sistema finanziario,
con ad oggetto rispettivamente gli intermediari
bancari, mobiliari e assicurativi
I paradigmi di vigilanza

L’efficacia di tale modello risiede nella chiara


suddivisione dei compiti di ciascuna Autorità che
agevola anche l’attività di controllo, dovuta ad un
monitoraggio continuo dell’attività svolta dai
soggetti vigilati, chiaramente identificati in
ragione della loro natura
Tale approccio evita duplicazioni nei controlli e
consente forti economie di specializzazione,
riducendo i costi di vigilanza
I paradigmi di vigilanza
Tale efficacia è, viceversa, compromessa quando
il limite di demarcazione tra i tre settori
dell’intermediazione finanziaria non è netto
In questo caso, l’approccio tradizionale può
portare a regolamentazioni difformi per
medesime attività solo perché erogate da
soggetti con natura differente
Questa situazione può produrre la distorsione
della concorrenza e incentivare l’arbitraggio
regolamentare
I paradigmi di vigilanza
Affinché le attività vengano regolamentate in
maniera uniforme, indipendentemente dalla
natura dei soggetti che le esercitano, il modello
di riferimento è quello della vigilanza per attività
Tale modello prevede una distinta Autorità per
ciascuna attività finanziaria
Criticità di tale modello è quella di una possibile
eccessiva frammentazione dei controlli, con il
rischio di perdere una visione complessiva sul
soggetto che eroga le singole attività
I paradigmi di vigilanza
Ulteriore modello è quello di vigilanza per
finalità, il quale prevede una distinta Autorità
per il perseguimento di specifici obiettivi di
stabilità, trasparenza, efficienza e correttezza
In tal modo, ciascun obiettivo viene controllato
trasversalmente, consentendo delle economie di
costo e una specializzazione delle Autorità
Limite di tale approccio è legato all’attribuzione
delle competenze a ciascuna Autorità
I paradigmi di vigilanza
Si può verificare che un certo controllo possa
riguardare più obiettivi specifici con una
probabile sovrapposizione di Autorità
competenti e conseguenti diseconomie di costo
oltre che funzionali
Ovvero può verificarsi che alcuni controlli non
vegano inquadrati nella sfera di competenza di
nessuna Autorità, con conseguente vuoto di
vigilanza
I paradigmi di vigilanza
Il modello di vigilanza accentrata, infine,
prevede un’unica Autorità per tutti i soggetti e
per tutte le attività finanziarie
Tale Autorità può essere diversa dalla banca
centrale che rimane comunque competente per
la politica monetaria
Questo modello consente di ottenere delle
economie di scala e di scopo nonché di ridurre
sensibilmente la normativa secondaria in campo
finanziario
I paradigmi di vigilanza
Anche la visione unitaria dell’intermediario
risulta garantita da parte dell’Autorità che,
proprio in quanto unica, è fortemente
responsabilizzata
Il limite di tale modello è rappresentato dal
rischio legato alla complessità organizzativa che
può provocare strutture rigide e burocratiche
Con riferimento ai controlli per differenti
obiettivi di vigilanza, i pareri sull’efficacia di tale
modello sono discordanti
I paradigmi di vigilanza
In ultimo, va citato un ulteriore modello teorico
di vigilanza per funzioni che prevede una distinta
Autorità per ciascuna funzione svolta dal sistema
finanziario
Tuttavia, tale modello ha incontrato il problema
pratico di tradurre alcune delle funzioni del
sistema finanziario in attività da sottoporre a
vigilanza, tanto che tale approccio non risulta
applicato nella realtà
I paradigmi di vigilanza
Nei principali Paesi europei sono stati adottati i
seguenti modelli di vigilanza
vigilanza unica: nel Regno Unito la FSA
(Financial Services Autority) opera come Autorità
di vigilanza unica dal 2001; in Danimarca e Svezia
tale modello è stato adottato fin dagli anni ’80;
in Austria, Belgio, Germania e Irlanda è invece di
recente adozione; in Finlandia e Lussemburgo,
infine, l’accentramento ha riguardato il settore
bancario e mobiliare e non quello assicurativo
I paradigmi di vigilanza
vigilanza istituzionale: la Grecia adotta tale
modello con tre Autorità distinte, la Spagna e il
Portogallo seguono un sistema siffatto anche se
con alcuni elementi di vigilanza per obiettivo
vigilanza per finalità: i Paesi Bassi
(Lussemburgo) adottano un modello di vigilanza
per finalità puro
vigilanza ibrido: l’Italia e la Francia adottano
un modello che associa le caratteristiche del
modello per finalità a quello istituzionale
I paradigmi di vigilanza
Nel decennio 1998-2008, molti paesi hanno
proceduto ad una riforma dei propri assetti di
vigilanza, soprattutto, in Europa
La recente crisi finanziaria mondiale ha stimolato
ulteriori riforme di tali assetti a livello sia di
Unione Europea sia dei singoli Stati
In tal senso, è l’attività di riforma attualmente in
atto nel Regno Unito che intende istituire due
Autorità, macro e microprudenziale, ed un Istituto
a tutela dei soggetti nel mercato finanziario
Le Autorità di vigilanza in Italia

In Italia il modello di vigilanza adottato è di tipo


misto, nel senso che al prevalente connotato di
vigilanza per finalità sussistono elementi di
vigilanza istituzionale (o per soggetti)
Solo per il comparto degli intermediari mobiliari,
il modello di vigilanza per finalità è pienamente
realizzato e la ripartizione delle competenze tra le
Autorità è stabilita dall’art.5 del TUF, commi 1-4
Le Autorità di vigilanza in Italia

In particolare, i controlli sulla stabilità sono


effettuati dalla Banca d’Italia
Quelli sulla correttezza e trasparenza sono, invece,
affidati alla CONSOB (COmmissione Nazionale per
la SOcietà e la Borsa), mentre il controllo della
sussistenza di adeguate condizioni di concorrenza
è di competenza della AGCM (Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato), più
comunemente conosciuta come Antitrust
Le Autorità di vigilanza in Italia
Per quanto attiene al sistema di vigilanza del
settore bancario, solo i recenti interventi normativi
hanno ridotto la centralità degli intermediari
creditizi a discapito del modello per finalità
Attualmente i controlli di stabilità sono affidati alla
Banca d’Italia come pure quelli di correttezza e
trasparenza degli intermediari creditizi
Medesimi controlli di correttezza e trasparenza
sono invece affidati alla CONSOB per quanto
attiene all’emissione di prodotti finanziari
Le Autorità di vigilanza in Italia
Tale previsione è stata recentemente introdotta
dalla “Legge sul Risparmio” entrata in vigore nel
2006, in precedenza le Banche erano esonerate
dall’applicazione delle norme di trasparenza e
correttezza previste dal TUF nell’emissione di
prodotti finanziari
La “Legge sul Risparmio” ha altresì eliminato
un’ulteriore distorsione del modello di vigilanza
istituzionale legata all’affidamento dei controlli
sulla concorrenza alla Banca d’Italia
Le Autorità di vigilanza in Italia

Per effetto della citata Legge sul Risparmio, che


ha attribuito i controlli in materia di concorrenza
alla AGCM, il modello di vigilanza ha assunto
maggiormente i connotati del modello per finalità
Tuttavia, la Banca d’Italia continua a mantenere
accentrate un serie di competenze che
influenzano l’attività dell’AGCM
Le Autorità di vigilanza in Italia

Per il comparto assicurativo, il modello di vigilanza


privilegia l’approccio per soggetti, in quanto sono
attributi all’IVASS (Istituto per la Vigilanza sulle
Assicurazioni) i controlli di trasparenza e
correttezza dei comportamenti delle imprese, degli
intermediari e degli altri operatori del settore,
avendo riguardo alla stabilità, all'efficienza, alla
competitività ed al buon funzionamento del
sistema nonché alla tutela degli assicurati,
all'informazione ed alla protezione dei consumatori
Le Autorità di vigilanza in Italia
L’IVASS, è stato recentemente istituito con la
legge 135/2012 (di conversione del D.L. 95/12) e
succede in tutte le funzioni, competenze e poteri
precedentemente in capo all’ISVAP (Istituto di
Vigilanza sulle Assicurazioni Private)
Il modello di vigilanza per soggetti è altresì
utilizzata in materia di fondi pensione, in quanto i
controlli di stabilità, trasparenza e correttezza
sono affidati alla COVIP (Commissione di Vigilanza
sui fondi Pensione)
Le Autorità di vigilanza in Italia

Considerato che la gestione dei fondi pensioni


può essere affidata alternativamente a banche,
SIM, SGR e Compagnie di assicurazione, ne
consegue che sarebbe stato più consono un
modello per attività e non uno per soggetti che, di
fatto, duplica le competenze con conseguenti
diseconomie
La Banca d’Italia, CONSOB,
AGCM e IVASS
La Banca d’Italia è stata istituita nel 1893, le
principali funzioni attualmente svolte:
concorre alle decisioni di politica monetaria, in
quanto parte del Sistema Europeo delle Banche
Centrali (SEBC) e cura l’attuazione di tali decisioni
a livello nazionale, in qualità di banca centrale,
attraverso operazioni di mercato aperto e la
gestione della riserva obbligatoria
La Banca d’Italia, CONSOB,
AGCM e IVASS
vigila sulla sana e prudente gestione degli
intermediari, con particolare attenzione alla
stabilità e all’efficienza del sistema finanziario,
emana normativa secondaria (istruzioni di
vigilanza) rivolta ai soggetti vigilati
supervisiona, in collaborazione con la CONSOB,
i mercati finanziari, ad es. vigila sul mercato dei
depositi interbancari (gestito da e-MID Spa) e sul
mercato all’ingrosso dei titoli di Stato (gestito da
MTS Spa)
La Banca d’Italia, CONSOB,
AGCM e IVASS
partecipa alla definizione e all’attuazione di
interventi sul mercato dei cambi, nonché alla
gestione delle riserve in valuta in conformità alle
norme fissate dall’Eurosistema
emette banconote in euro, in base a quanto
stabilito dall’Eurosistema, curandone la
circolazione e avversando la contraffazione
La Banca d’Italia, CONSOB,
AGCM e IVASS
In qualità di banca nazionale, espleta alcune
funzioni per conto del Ministero dell’Economia e
delle Finanze, come il collocamento dei titoli del
debito pubblico tramite meccanismo d’asta
gestisce le operazioni di incasso e pagamento
delle Amministrazioni statali (servizio di
tesoreria centrale e provinciale)
La Banca d’Italia, CONSOB,
AGCM e IVASS
La CONSOB (COmmissione Nazionale per la
SOcietà e la Borsa) è stata istituita nel 1974,
sostituendosi alle Camere di Commercio in
materia di organizzazione e funzionamento delle
Borse e ammissione dei titoli a quotazione
Le principali funzioni attualmente espletate:
Vigila sulla trasparenza e correttezza degli
intermediari nella prestazione dei servizi
d’investimento e gestione collettiva del
risparmio
La Banca d’Italia, CONSOB,
AGCM e IVASS
Vigila sulle società di gestione dei mercati,
autorizzandone alcune condizioni oggettive
come la compliance alla normativa comunitaria
Vigila sul rispetto degli obblighi informativi da
parte dei soggetti che emettono strumenti
finanziari collocati presso il pubblico e autorizza
la pubblicazione dei prospetti informativi
Assicura l’ordinato svolgimento delle
negoziazioni, verifica eventuali anomalie (es. i
casi di abuso di informazioni privilegiate)
La Banca d’Italia, CONSOB,
AGCM e IVASS
L’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato), più nota come Antitrust, è stata
istituita nel 1990, con la funzione di assicurare
l’accesso ai mercati e la concorrenza nella tutela
della libertà d’impresa e dei consumatori
Le principali funzioni attualmente espletate:
Vigila su intese restrittive della concorrenza
Vigila su abusi di posizione dominante
Vigila su operazioni di concentrazione lesive
della concorrenza
La Banca d’Italia, CONSOB,
AGCM e IVASS

L’IVASS (Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni) è


stato istituito con la L.135/2012, dal 1 gennaio 2013
succede in tutte le funzioni, competenze e poteri
precedentemente in capo all’ISVAP, in particolare:
Autorizza le imprese all’esercizio dell’attività, tenendo
l’Albo delle imprese e gruppi assicurativi
Effettua controlli sulla gestione delle compagnie
Assicura la trasparenza tra imprese e assicurati
Emana normativa secondaria di settore
Lezione
“Gli strumenti di vigilanza e la
disciplina sull’adeguatezza
patrimoniale degli intermediari
finanziari (Basilea 1 e 2)”
Obiettivi

Analizzare la tassonomia degli strumenti di


vigilanza
Analizzare anche in termini evolutivi la
disciplina sull’adeguatezza patrimoniale degli
intermediari finanziari, contenuta nelle
recenti versioni dell’Accordo sul Capitale
(Basilea 2)
Gli strumenti di vigilanza

Gli strumenti a disposizione delle Autorità di


vigilanza per il perseguimento degli obiettivi di
stabilità, efficienza, trasparenza e correttezza dei
comportamenti sono comunemente classificabili
in quattro categorie
vigilanza strutturale
vigilanza prudenziale
vigilanza informativa
vigilanza ispettiva
Gli strumenti di vigilanza

La vigilanza strutturale è finalizzata ad incidere su


i connotati strutturali del comparto, quali il
numero degli operatori, la distribuzione delle
quote di mercato, i prodotti offerti, ecc.
Il fondamento teorico di tale approccio è legato
alla relazione SCP:
Struttura (del mercato) →Condotta (degli
intermediari) → Performance (degli stessi e del
mercato)
Gli strumenti di vigilanza
Un elevato livello di concentrazione dell’offerta
(struttura) può generare comportamenti collusivi
o conflittuali con conseguente scarsa attenzione
all’efficienza (condotta) con effetti pregiudizievoli
per la clientela, in termini di prezzi elevati o
scarsa qualità dei servizi offerti (performance)
Pertanto, l’intensità della concorrenza spiega la
ricerca di performance sempre migliori con
conseguente maggiore soddisfazione della
clientela
Gli strumenti di vigilanza

Nel contempo, però, l’intensità della concorrenza,


funzionale ai fini dell’efficienza, non favorisce la
stabilità, a causa dell’eccessiva selezione degli
operatori che può accentuare le situazioni di crisi
I principali strumenti di tale categoria riguardano
attivazione di barriere all’ingresso del mercato,
costituite ad esempio dal rilascio di
autorizzazioni a contenuto più o meno
discrezionale
Gli strumenti di vigilanza

limiti posti al tipo o gamma delle attività che


ogni categoria di intermediari (ogni singolo
intermediario) può svolgere
controlli sull’assetto proprietario e
organizzativo degli intermediari (operazioni di
fusione, incorporazione, passaggio di controllo,
ecc.)
interventi amministrativi sulle quantità e sui
prezzi dei prodotti e servizio offerti degli
intermediari
Gli strumenti di vigilanza

La vigilanza prudenziale è finalizzata a ridurre i


rischi assunti dagli intermediari allo scopo dei
mantenere condizioni di solvibilità e liquidità
Le Autorità di vigilanza si limitano a dettare le
“regole del gioco” oggettive definite ex ante
Tra gli strumenti di tale tipo di vigilanza assumono
rilevanza centrale i requisiti del capitale che
impongono livelli minimi di patrimonio in
funzione della rischiosità degli impieghi assunti
Gli strumenti di vigilanza
Assolvono a tale tipologia di vigilanza le
disposizioni di Basilea, come pure la Direttiva
Solvency 2 per le imprese di assicurazione
Rappresentano controlli del tipo prudenziali
altresì i limiti alla concentrazione dei rischi, alla
trasformazione delle scadenza e alle
partecipazioni detenibili nonché i requisiti di
professionalità e onorabilità richiesti a coloro che
svolgono funzioni di amministrazione, direzione e
controllo di intermediari finanziari
Gli strumenti di vigilanza

La vigilanza informativa è costituita dall’insieme


dei “controlli informativi” diretti ad aumentare la
trasparenza nei confronti del mercato nonché il
flusso di informazioni verso le stesse Autorità
Le informazioni richieste afferiscono a diversi
aspetti quali la condizione economica,
patrimoniale e finanziaria, l’assetto organizzativo
e proprietario, ecc. e hanno carattere periodico o
“episodico” quando l’Autorità ne ravvede la
necessità
Gli strumenti di vigilanza
Quando si parla di controlli di trasparenza e
correttezza (cd. fair play regulation), la “vigilanza
informativa” si riferisce a tutti gli strumenti volti
a sanare la strutturale condizione di asimmetria
informativa degli scambi finanziari
Per trasparenza si fa riferimento alla chiarezza e
completezza delle informazioni fornite agli
investitori, i controlli di correttezza afferiscono
viceversa alla verifica del rispetto delle norme di
comportamento da parte degli intermediari
Gli strumenti di vigilanza
La vigilanza ispettiva consiste nel controllo
effettuato mediante verifiche condotte
dall’Autorità direttamente presso l’intermediario
per valutare quegli aspetti difficilmente
comprensibili mediante il solo flusso documentale
In tal senso, rappresenta il completamento
naturale della vigilanza informativa
Le ispezione possono avere carattere periodico
ovvero avviate sulla base di necessità emerse dalle
informazioni rese dall’intermediario o da terzi
Gli strumenti di vigilanza

Gli strumenti di vigilanza protettiva, infine, sono


quegli strumenti utili a prevenire la crisi degli
intermediari finanziari (ex ante) ovvero di quelli
finalizzati a limitarne le conseguenze (ex post)
La finalità di tali strumenti è quella di evitare che
la situazione di crisi di una banca o intermediario
finanziario generi effetti sull’intero sistema
finanziario (provocando il cd. “effetto domino”)
Gli strumenti di vigilanza
In caso di situazioni di vigilanza protettiva ex ante,
i sistemi di early warning consistono in flussi
informativi tra Autorità e intermediario volti a
cogliere tempestivamente i segnali di possibile
crisi, al fine di apportare correttivi per scongiurare
la definitiva crisi dell’intermediario
I principali interventi di early warning consistono
in due interventi specifici: il Credito di Ultima
Istanza (CUI) e l’Amministrazione Controllata
Gli strumenti di vigilanza
Il Credito di Ultima Istanza (CUI) è un
finanziamento erogato dalla Banca d’Italia per
impedire che la condizione di illiquidità di una
Banca si trasformi in insolvenza
Con l’immissione di denaro fresco si tenta di
risolvere il momentaneo squilibrio tra flussi in
entrata e quelli in uscita, garantendo l’operatività
e, soprattutto, scongiurando il fenomeno della cd.
“corsa agli sportelli” e conseguente “effetto
domino” sull’intero sistema finanziario
Gli strumenti di vigilanza

L’amministrazione controllata, viceversa, consiste


nella sostituzione dei precedenti organi
decisionali ed esecutivi dell’intermediario con i
commissari straordinari, ai quali è affidato il
compito di accertare la situazione
dell’intermediario, rimuovere le
irregolarità/criticità e adottare qualsiasi
provvedimento utile nell’interesse dei creditori
Gli strumenti di vigilanza
Gli interventi di vigilanza protettiva ex post
afferiscono, viceversa, a fasi di crisi oramai
conclamata dell’intermediario
Tra gli strumenti protettivi ex post troviamo la
liquidazione coatta amministrativa nonché i
sistemi di assicurazione dei depositi
Nel primo caso, si tratta di una procedura di
dismissione degli attivi e contestuale rimborso
dei creditori
Gli strumenti di vigilanza

Nel secondo caso, invece, si tratta degli interventi


di assicurazione dei crediti che in caso di
insolvenza della banca prevedono il rimborso dei
cd. “risparmiatori inconsapevoli”
Anche per gli interventi ex post la vigilanza
protettiva tende ad evitare il verificarsi del cd.
“effetto domino”
Adeguatezza patrimoniale delle
Banche (da Basilea 1 a 2)
La prassi delle Autorità di vigilanza ha fatto
registrare una progressiva riduzione del ricorso a
strumenti di vigilanza strutturale a vantaggio di
quelli di natura prudenziale
A livello internazionale il modello prudenziale è
riferito a tutte le tipologie di intermediari, in
linea con la tendenza al superamento dei
paradigmi di vigilanza istituzionale (o “per
soggetti”) puri, in atto nella gran parte dei
sistemi finanziari
Adeguatezza patrimoniale delle
Banche (da Basilea 1 a 2)
Nell’ambito della vigilanza prudenziale il capitale
degli intermediari costituisce un elemento per
garantire la stabilità e solidità degli stessi nonché
dell’intero sistema finanziario
Sul finire degli anni ‘80 del secolo scorso, le
Autorità di vigilanza internazionali riunite nel
Comitato di Basilea sottoscrissero un accordo di
convergenza sul calcolo dei requisiti patrimoniali
minimi in funzione del rischio di credito per i
gruppi bancari operanti a livello internazionale
Adeguatezza patrimoniale delle
Banche (da Basilea 1 a 2)
Tale accordo, comunemente definito Basilea 1, è
stato recepito nella regolamentazione nazionale
di oltre 100 paesi e nella Comunità Europea
attraverso apposite Direttive
In pratica, veniva stabilito un livello minimo di
patrimonio di vigilanza espresso in percentuale
(8%) della sommatoria delle esposizioni
finanziarie ponderate per il rischio di ciascuna di
esse (rischio specifico) e tenuto conto del rischio
di mercato (rischio sistematico)
Adeguatezza patrimoniale delle
Banche (da Basilea 1 a 2)
A partire dalla seconda metà degli anni ’90,
Basilea 1 ha manifestato le proprie carenze con
particolare riferimento all’evoluzione delle
tecniche finanziarie
Il Comitato di Basilea ha, pertanto, condotto una
sostanziale attività di revisione dell’accordo che, a
seguito di diverse consultazioni pubbliche
dell’intera comunità internazionale, ha portato
alla pubblicazione del nuovo accordo nel 2004,
aggiornato nel 2006, denominato Basilea 2
Adeguatezza patrimoniale delle
Banche (da Basilea 1 a 2)
In Basilea 2 è mutata la cornice di valutazione
dell’adeguatezza patrimoniale, evolvendosi da una
struttura “monopilastro” (requisiti patrimoniali
minimi) ad una basata su tre pilastri
Il primo pilastro contiene la definizione dei
requisiti patrimoniali minimi in relazione ai rischi
di credito, di mercato e operativo
Adeguatezza patrimoniale delle
Banche (da Basilea 1 a 2)
Il secondo pilastro riguarda la valutazione
dell’intermediario finanziario sull’adeguatezza
patrimoniale minima di cui al primo pilastro, in
funzione delle tipicità operative dello stesso
nonché la revisione di tale valutazione da parte
dell’Autorità di vigilanza
Il terzo pilastro stabilisce le informazioni, attuali e
previsionali, che l’intermediario deve dare al
mercato con riferimento ai rischi assunti e al
patrimonio di vigilanza
Primo pilastro di Basilea 2:
Requisito Patrimoniale Minimo
Il primo pilastro rappresenta una revisione del
requisito patrimoniale previsto da Basilea 1
Rispetto al precedente accordo, viene introdotto il
rischio operativo, in aggiunta a quelli di credito e
di mercato, nella determinazione del
denominatore del Requisito Patrimoniale Minimo
(RPM)
vengono, altresì, stabilite la metodologie da
utilizzare per determinare la ponderazione delle
attività per il rischio di credito
Primo pilastro di Basilea 2:
Requisito Patrimoniale Minimo
Per rischio operativo, si intende la probabilità del
verificarsi di perdite causate da disfunzioni
dell’intermediario a livello di procedure,
organizzazione e sistemi interni ovvero da eventi
esogeni, incluso il rischio giuridico ed esclusi
quello strategico e reputazionale
Le metodologie introdotte per la determinazione
della ponderazione delle attività in ragione del
rischio di credito sono la metodologia
standardizzata e quella su rating interni
Primo pilastro di Basilea 2:
Requisito Patrimoniale Minimo
La metodologia standardizzata (Standard
Approach) viene adottata dagli intermediari
finanziari che adottano sistemi di risk
management poco sofisticati dal punto di vista
delle stime delle perdite ai fini di vigilanza
In tali circostanze, le ponderazioni sono basate,
ove esistenti, su valutazioni esterne della qualità
creditizia; rating esterni forniti dalle istituzioni di
valutazione esterna del merito di credito (ad es.
Moody's, S&P, Fitch IBCA).
Primo pilastro di Basilea 2:
Requisito Patrimoniale Minimo
Le ponderazioni consentono di ridurre gli
accantonamenti di capitale per gli impieghi verso
le aziende con rating molto buoni, mentre per gli
impieghi verso aziende con rating medi o senza
rating, la ponderazione sarà neutrale (100%)
in caso di rating peggiori o di esposizione
scaduta, verso azienda in stato di insolvenza, il
peso sarà superiore all’unità e pari a 150%,
richiedendo all’intermediario un aumento del
valore del patrimonio da detenere
Primo pilastro di Basilea 2:
Requisito Patrimoniale Minimo
Es. di ponderazioni di rischio Pi nella metodologia standardizzata
Da Da Da
Rating AAA A+ BBB+ < BB- Senza
S&P a a a rating
AA- A- BB

Imprese
private 20% 50% 100% 150% 100%

Considerata la bassissima diffusione in Italia dei


rating esterni, questo approccio non produce
particolari benefici alle banche
Primo pilastro di Basilea 2:
Requisito Patrimoniale Minimo
Gli intermediari finanziari dotati di strumenti di
gestione del rischio più sofisticato possono
adottare la metodologia basata su rating interni
(IRB - Internal Rating Based approach)
Tale metodologia consente di stimare il peso del
rischio di credito per ciascuna esposizione sulla
base di dati interni dell’intermediario, relativi alle
perdite effettivamente sostenute
Tale metodologia prevede due approcci: di base e
avanzato
Primo pilastro di Basilea 2:
Requisito Patrimoniale Minimo
Gli intermediari finanziari sono autorizzati
dall’Autorità di vigilanza a stimare i valori attesi
delle variabili chiave che determinano le perdite:
Probabilità di inadempienza - PD (Probability
Default); Perdita in caso di inadempienza - LGD
(Loss Given Default); Esposizione in caso di
inadempienza - EAD (Esposition Amount Default);
Durata residua dell’esposizione – M (Maturity)
Primo pilastro di Basilea 2:
Requisito Patrimoniale Minimo
Nell’approccio di base la stima è riferita alla sola
PD mentre per le altre si utilizzano stime
regolamentari fornite dalla stessa Autorità di
vigilanza
Le stime dei parametri di rischio sono inserite in
una funzione regolamentare stabilita dal Comitato
di Basilea che determina l’assorbimento
patrimoniale (krc)
Primo pilastro di Basilea 2:
Requisito Patrimoniale Minimo
Per quanto attiene alla stima del rischio operativo,
introdotto da Basilea 2, ai fini del
dimensionamento del Requisito Patrimoniale
minimo (RPRO) le metodologie di misurazione
previste sono:
Metodo di base
Metodo standardizzato
Metodi avanzati di misurazione
Lezione

“IL RISPARMIO”
Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


Ci si propone di far acquisire ai partecipanti la conoscenza dei concetti
generali collegati al risparmio nonché di identificare e descrivere
l’approccio teorico a pratico della propensione al risparmio, del ruolo
degli investitori istituzionali e della Banca d’Italia e delle modalità di
incentivazione del risparmio a lungo termine
Contenuti
• Premessa: risparmio e ricchezza delle famiglie italiane
• La propensione al risparmio
• La ricchezza delle famiglie e il ruolo degli investitori istituzionali
• L’incentivazione del risparmio a lungo termine
• L’analisi della Banca d’Italia
Premessa:
Risparmio e ricchezza delle famiglie italiane

Negli ultimi anni, a causa della grave crisi economica, il livello di


risparmio delle famiglie non ha potuto tornare a crescere

In Italia, dove il ruolo degli investitori istituzionali è ancora troppo


limitato, si avverte l’esigenza di una politica economica in grado di
incentivare il risparmio in generale, quello previdenziale in
particolare, nonché le forme d’investimento di lungo termine, anche
attraverso appositi interventi normativi che ne favoriscano lo sviluppo
La propensione al risparmio 1

• Dal dopoguerra - e fino alla metà degli anni ’90 - il tasso di


risparmio delle famiglie italiane è stato particolarmente elevato, tra
il 20% e il 30% del reddito disponibile
• Il risparmio privato ha garantito per un lungo periodo il
finanziamento interno dei crescenti disavanzi del settore pubblico. A
partire dal 1995, tuttavia, nel giro di pochi anni, l’incidenza del
risparmio sul reddito disponibile delle famiglie è diminuita fino a
raggiungere valori compresi tra il 15% e il 17%
• Sul finire del 2008, dopo un periodo di relativa stabilità, durato
quasi un decennio, con il progressivo peggioramento della crisi
economica, il tasso di risparmio delle famiglie ha subito un’ulteriore
flessione, proseguita fino alla metà del 2011, passando dal 15% al
12%
La propensione al risparmio 2

• L’ulteriore calo registrato tra la fine del 2008 e la metà del 2011
sembrerebbe determinato più da fattori congiunturali che non
strutturali, e in particolare dall’andamento avverso del reddito
disponibile, combinato con una relativa rigidità dei consumi

• In risposta alla crisi, le famiglie hanno reagito cercando di


preservare i livelli di consumo precedenti, riducendoli in maniera
meno che proporzionale rispetto alle flessioni del reddito (primi sei
trimestri) e aumentandoli maggiormente in presenza di recuperi del
potere di acquisto
La propensione al risparmio 3

• Allo stato attuale risulta difficile prevedere se il tasso di risparmio


delle famiglie italiane - la cui riduzione è figlia della congiuntura
economica - tornerà a crescere oppure si manterrà attorno agli attuali
livelli, trasformandosi in un fattore strutturale della nostra economia

• Tutto ciò, evidentemente, rappresenta una duplice sfida per il


presente del settore della gestione: meno risparmio e, in particolare,
meno risparmio finanziario

• Doppia sfida cui ne va aggiunta una terza, rappresentata dalla


composizione non ottimale della ricchezza reale e finanziaria delle
famiglie
Rapporto PIL-Risparmio
Il grafico (Fonte Banca d’Italia) confronta con dati annuali l’evoluzione della quota del
PIL destinata ai risparmi lordi in Italia e nell’Unione Europea
La ricchezza delle famiglie e il ruolo
degli investitori istituzionali 1

• Tuttavia, i valori elevati registrati fino alla metà degli anni ’90
hanno permesso l’accumulo di un consistente stock di ricchezza, le
cui dimensioni sono ancora oggi di prim’ordine, nel contesto delle
maggiori economie mondiali
• In base all’indagine annuale della Banca d’Italia, nel 2010 la
ricchezza delle famiglie italiane risulta pari a 8 volte il reddito
disponibile, valore che pone l’Italia nella parte alta della graduatoria
dei Paesi europei
• Il peso particolarmente elevato delle attività reali - e tra queste delle
abitazioni - viene spesso considerato un elemento di sicurezza,
perlomeno percepita
La ricchezza delle famiglie e il ruolo
degli investitori istituzionali 2

• Sulla base dei dati più recenti disponibili per il 2012, le attività
finanziarie detenute dalle famiglie italiane ammontano a circa 3.600
miliardi di euro e risultano composte, per poco meno del 40%,
da investimenti diretti, ripartiti equamente tra obbligazioni o
azioni

• L’investimento in obbligazioni, in particolare, rappresenta una


caratteristica distintiva del portafoglio delle famiglie italiane: il suo
peso, particolarmente elevato, non ha uguali nelle altre economie
sviluppate
La ricchezza delle famiglie e il ruolo
degli investitori istituzionali 3
• L’investimento azionario, invece, vede la costante prevalenza delle
attività non quotate. Si tratta del patrimonio delle imprese a controllo
familiare, generalmente di dimensioni medio/piccole, che formano la
parte più importante del fitto tessuto produttivo italiano. L’incidenza
delle azioni quotate è risultata sempre particolarmente bassa
• Prevalente natura banco-centrica del modello di finanziamento della
nostra economia; conseguente modesto sviluppo della borsa valori
• Gli investimenti indiretti effettuati per il tramite degli investitori
istituzionali (fondi pensione, imprese di assicurazione e fondi comuni)
rappresentano complessivamente il 25% del portafoglio finanziario
delle famiglie. In Francia, Germania, Regno Unito o USA questo
indicatore si attesta stabilmente tra il 40% e il 50%
La ricchezza delle famiglie e il ruolo
degli investitori istituzionali 4

• Nel corso degli ultimi quindici anni la partecipazione delle


famiglie italiane a prodotti di investimento di lungo termine a
carattere previdenziale o assicurativo è cresciuta molto
lentamente
• In questo contesto, lo scarso sviluppo degli strumenti di
previdenza complementare, e più in generale degli investitori
istituzionali, rappresenta un elemento di seria preoccupazione e una
reale minaccia al futuro benessere dei lavoratori di oggi, purtroppo
ancora troppo sottovalutata
• I fondi comuni si sono caratterizzati per una dinamica più accentuata
L’incentivazione del risparmio
a lungo termine

Opportunità di un trattamento privilegiato al risparmio previdenziale e


più in generale alle forme d’investimento di lungo termine

Due sono due gli interventi prioritari che vengono suggeriti:


1. rafforzamento e razionalizzazione del quadro disciplinare della
previdenza complementare

2. istituzione di uno specifico regime fiscale di favore per


l’investimento del risparmio a lungo termine
L’analisi della Banca d’Italia 1

La diffusione del risparmio

• Molte famiglie non riescono a risparmiare. La percentuale di


nuclei con reddito inferiore ai consumi (risparmio negativo) è
aumentata di quasi 3 punti tra il 2008 e il 2010, fino a raggiungere il
22 per cento

• Particolarmente consistente è stato l’aumento, dal 31 al 43 per cento,


registrato per le famiglie che non detengono attività finanziarie e
sono, pertanto, più esposte alle oscillazioni del reddito

Nel 2010 hanno risparmiato circa quattro italiani su dieci


L’analisi della Banca d’Italia 2
La ricchezza: la concentrazione della ricchezza finanziaria e reale

• La concentrazione della ricchezza ha ripreso a crescere, in


conseguenza degli effetti della crisi

• Tra le componenti della ricchezza netta, la ricchezza finanziaria


presenta un grado di concentrazione maggiore rispetto a quella
immobiliare
L’analisi della Banca d’Italia 3

La composizione del portafoglio


• Poco più della metà della ricchezza finanziaria è detenuta in forma
liquida, depositata in banca o presso un ufficio postale: nel 2010 il
peso dei depositi nel portafoglio delle famiglie era pari al 54%

• La percentuale di attività rischiose, quali fondi comuni, azioni e attività


estere, posseduta dalle famiglie è pari alla metà (23%). I titoli pubblici
rappresentavano, nel 2010, appena l’11% della ricchezza, in netta
diminuzione rispetto a quanto rilevato all’inizio degli anni novanta

• Nel 1991 le famiglie che non possedevano alcuna attività finanziaria erano
il 13%, nel 2010 tale quota era scesa all’8%. E’ stabile la percentuale di
famiglie (27%) che investe in attività finanziarie diverse dai depositi
L’analisi della Banca d’Italia 4

Il rapporto tra ricchezza e reddito

• Si conferma l’elevato ammontare della ricchezza netta


posseduta dalle famiglie italiane: la media ponderata del rapporto
tra ricchezza netta e reddito, calcolata come rapporto tra la somma
della ricchezza netta e la somma dei redditi, era pari nel 2010 a 8,2,
un valore di poco superiore a quello delle due precedenti rilevazioni

• Il rapporto tra ricchezza netta e reddito è prossimo allo zero per


le famiglie che abitano in un immobile in affitto, confermando
che queste possiedono anche scarse attività finanziarie
Principali strumenti finanziari:
incidenza sul PIL in Italia
L’analisi della Banca d’Italia 5

Conclusioni 1
• A fronte di una generale riduzione del risparmio e dell’interruzione
della crescita della ricchezza netta, alcune famiglie hanno risentito
della crisi più di altre. Per i nuclei a basso reddito, per quelli giovani
e per gli affittuari, quasi tutti gli indicatori hanno registrato un
peggioramento

• Ancor prima del dispiegarsi degli effetti della crisi, il risparmio delle
famiglie italiane era in calo. La propensione al risparmio delle
famiglie è ulteriormente diminuita dopo il 2008 ed è aumentata la
quota di famiglie con reddito insufficiente a coprire i consumi, in
particolare per le famiglie a basso reddito: la metà dei nuclei
appartenenti a questa classe ha entrate insufficienti a coprire i
consumi
L’analisi della Banca d’Italia 6

Conclusioni 2
• La presente analisi pone in luce la vulnerabilità di una quota
rilevante di famiglie giovani e di locatari. I dati macroeconomici più
recenti indicano una ulteriore riduzione del reddito e un
peggioramento del tasso di risparmio, prefigurando quindi un
successivo inasprimento delle condizioni finanziarie delle famiglie
più vulnerabili in assenza di opportune misure di sostegno o di una
ripresa del ciclo economico
Parole chiave della lezione

• RISPARMIO E RICCHEZZA DELLE FAMIGLIE


• PROPENSIONE AL RISPARMIO
• TIPOLOGIE DIVERSIFICATE DI RISPARMIO
• SPEREQUAZIONI ECONOMICHE E SOCIALI
• RISPARMIO NEGATIVO
Lezione
“CAPITALE DI RISCHIO:
VENTURE CAPITAL
E PRIVATE EQUITY”
Obiettivi e contenuti della lezione
Obiettivi specifici da raggiungere
La lezione si propone di far acquisire ai partecipanti un soddisfacente grado di
conoscenza dei principali concetti di capitale di rischio, con particolare riferimento al
venture capital ed al private equity, nonché di identificare e descrivere gli obiettivi e
le strategie dell’investitore istituzionale, del trade-off tra investitore e imprenditore e,
infine, al processo di due diligence con le conseguenti forme tecniche di intervento

Contenuti
• Premessa: l’investimento nel capitale di rischio
• Gli obiettivi dell’investitore istituzionale
• Il trade-off tra l’investitore e l’impresa
• Le differenze rispetto ad un finanziamento tradizionale
• L’analisi della situazione dell’impresa
• A chi rivolgersi per ottenere il capitale di rischio
• Presentarsi ad un investitore istituzionale
• Il processo di due diligence e le forme tecniche di intervento
Premessa:
l’investimento nel capitale di rischio
“Investimento istituzionale nel capitale di rischio” ovvero l’apporto di
risorse finanziarie da parte di operatori specializzati, sotto forma di
partecipazione al capitale azionario o di sottoscrizione di titoli
obbligazionari convertibili in azioni, per un arco temporale medio-
lungo, in aziende dotate di un progetto e di un potenziale di sviluppo

L’attività di investimento istituzionale nel capitale di rischio viene


generalmente definita con i termini anglosassoni venture capital e
private equity. Pur essendo spesso utilizzati come sinonimi, il venture
capital vero e proprio si riferisce al finanziamento dell’avvio di nuove
imprese, mentre il private equity comprende le operazioni di
investimento realizzate in fasi del ciclo di vita delle aziende successive
a quella iniziale
Gli obiettivi dell’investitore istituzionale 1

• L’obiettivo dell’investitore istituzionale è quello di realizzare, nel medio


termine, un importante guadagno di capitale (capital gain), attraverso la
cessione della partecipazione acquisita. Per guadagno di capitale si intende
l’incremento di valore della partecipazione maturato dal momento dell’assunzione
della partecipazione a quello della cessione e monetizzazione della stessa

• In generale, il buon esito dell’intervento è determinato dalla capacità


dell’investitore di contribuire a creare valore all’interno dell’impresa,
generando, così, nella maggior parte dei casi, ricchezza anche per l’intero tessuto
economico e imprenditoriale del Paese

• L’investitore istituzionale nel capitale di rischio è, per definizione, un socio


temporaneo, seppur di medio-lungo termine, che, come tale, dovrà prima o poi
cedere la partecipazione acquisita per realizzare il proprio obiettivo

• L’investitore istituzionale concentra la sua attenzione sui


progetti caratterizzati da un elevato potenziale di sviluppo
Gli obiettivi dell’investitore istituzionale 2

L’investitore, in particolare, tenderà a privilegiare:


• imprese con un valido progetto di sviluppo e con prospettive di crescita,
sia dimensionale che reddituale

• imprese guidate da un imprenditore valido, che si dimostri


determinato, ambizioso e corretto nella realizzazione del progetto di
sviluppo

• imprese con un buon management, formato da persone con consolidata


esperienza e con conoscenza specifica del settore

• imprese per le quali sia possibile prevedere, in prospettiva, una modalità


di disinvestimento, che consenta di facilitare il realizzo del capital gain
Il trade-off tra l’investitore e l’impresa 1

Cosa chiede l’investitore all’impresa:


• partecipare alle scelte strategiche dell’azienda
• piena autonomia nella gestione operativa quotidiana dell’azienda
• disponibilità ad un colloquio leale, aperto e costruttivo, ed una totale trasparenza

Cosa offre l’investitore all’impresa:


• stretto rapporto di collaborazione con l’imprenditore
• il capitale, competenze professionali strategiche, finanziarie, di marketing, di
organizzazione, manageriali, una rete di contatti utili

Sarà necessario, anche se gradualmente, realizzare:


• la netta separazione tra il patrimonio familiare e quello aziendale;
la revisione del bilancio; l’introduzione di sistemi di budgeting e di
controllo di gestione; la predisposizione di relazioni periodiche
sulla performance dell’impresa
Il trade-off tra l’investitore e l’impresa 2

Oltre agli apporti più strettamente finanziari, ecco alcuni specifici


vantaggi che possono essere ottenuti grazie alla partecipazione al
capitale di un investitore istituzionale:
• collaborazione nel tracciare una strategia di sviluppo
• maggiore funzionalità della compagine sociale
• gestione più professionale e manageriale, contributo alla
realizzazione di una migliore o più professionale
regolamentazione dei rapporti impresa-famiglia
• miglioramento dell’immagine dell’impresa nei confronti delle
banche e del mercato finanziario
• maggior capacità di attrarre management capace ed esperto
Il trade-off tra l’investitore e l’impresa 3

Recenti ricerche:
• il capitale di rischio riveste un ruolo importante nel processo di crescita e sviluppo
delle imprese finanziate
• in media, tali imprese hanno accresciuto in un anno le vendite del 35%; i profitti
lordi del 25%; gli investimenti in ricerca e sviluppo dell’8,6%; le esportazioni del
30%
• tali imprese creano più occupazione, presentando un tasso medio annuo di crescita
del 15%, maggiore di oltre sette volte rispetto alle altre imprese del campione

Requisiti indispensabili per attrarre l’attenzione dell’investitore:


• credibilità del proponente l’iniziativa
• know how maturato nel settore
• capacità di leadership
• trasparenza relazionale
Le differenze rispetto ad un
finanziamento tradizionale
Capitale di rischio Capitale di debito

 Non prevede scadenze di rimborso  Prevede precise scadenze di rimborso


ed il disinvestimento avviene di a prescindere dall’andamento
norma con cessione al mercato o a dell’impresa; finanziamento a breve
terzi, senza gravare l’impresa revocabile a vista

 Fonte flessibile di capitali, utile per  Fonte rigida di finanziamento, la cui


finanziare processi di crescita possibilità di accesso è vincolata alla
presenza di garanzie e alla generazione
di cash flow

 La remunerazione del capitale  Il debito richiede il pagamento


dipende dalla crescita di valore regolare di interessi a prescindere
dell’impresa e dal suo successo dall’andamento dell’azienda
L’analisi della situazione dell’impresa

• L’imprenditore dovrebbe eseguire un esame approfondito della situazione


aziendale, chiedendosi se è opportuno l’intervento di un investitore esterno e per
quale motivo

• Se l’impresa è nelle prime fasi della sua vita, probabilmente si porrà il semplice
problema di integrare i capitali iniziali per consentirne il decollo

• Se l’impresa è già esistente, una questione preliminare di grande rilevanza è


rappresentata dalla verifica del corretto impiego delle risorse interne. Spesso,
infatti, situazioni di tensione finanziaria che, apparentemente, generano l’esigenza
di nuovi capitali, nascono da un’errata gestione delle fonti finanziarie interne

I nuovi capitali devono servire allo sviluppo e non al risanamento


di squilibri aziendali, che debbono essere corretti con altri
strumenti
A chi rivolgersi per ottenere capitale di rischio 1

• Un imprenditore può trovare numerosi investitori pronti a finanziare il suo progetto


imprenditoriale. È bene che l’imprenditore si sforzi di individuare l’alternativa più
adatta al suo caso, informandosi sulle caratteristiche e sulle preferenze in tema di
investimento di ciascun operatore in modo da aumentare le probabilità di riuscita
della trattativa

• Le principali aree di specializzazione degli investitori sono le


seguenti: Settore industriale, Area geografica, Tipologia di
operazione, Dimensione dell’investimento, Acquisizione di quote
di maggioranza o minoranza

• L’imprenditore può attingere, in via preliminare, tali informazioni, dall’elenco degli


associati A.I.F.I. (principale associazione professionale italiana del settore)
A chi rivolgersi per ottenere capitale di rischio 2

Le società di Venture Capital e Private Equity


Le principali categorie degli investitori presenti in Italia:
• operatori di emanazione bancaria; fondi chiusi italiani; fondi chiusi ed altri
operatori internazionali; finanziarie di partecipazione di emanazione privata o
industriale; operatori di emanazione pubblica

• Ognuna di queste categorie presenta delle caratteristiche particolari, soprattutto in


termini di tipologie di investimenti preferenziali e atteggiamento nei confronti
dell’impresa partecipata

• Il fondo chiuso è uno strumento finanziario che raccoglie capitali presso


investitori istituzionali (quali imprese, fondazioni, compagnie assicurative, fondi
pensione) e presso privati, per investirli in imprese non quotate ad alto
potenziale di sviluppo

• Il fondo viene definito “chiuso” perché non è concesso ai sottoscrittori delle quote
di riscattare queste in qualsiasi momento, ma solo ad una scadenza predefinita
A chi rivolgersi per ottenere capitale di rischio 3

I business angels
• Una categoria particolare di investitori, da tempo presente in altri
paesi e da qualche tempo anche in Italia, è rappresentata dai
cosiddetti business angels, cioè imprenditori, ex titolari di impresa o
ex manager che dispongono di mezzi finanziari (solitamente
limitati), di una buona rete di conoscenze e di una solida capacità
gestionale da impiegare in piccole e medie imprese

• Tali investitori sono per lo più interessati al finanziamento di start


up tecnologici, che coinvolgano un ammontare medio di risorse non
superiore ai 250 mila euro
Presentarsi ad un investitore istituzionale 1

Ad un investitore istituzionale ci si presenta con un business plan


Il business plan è il piano con il quale il progetto viene sviluppato. È quindi
necessario dedicare cure ed attenzione all’elaborazione di questo documento che
rappresenta il biglietto di presentazione dell’imprenditore, dell’impresa e del progetto

Il business plan deve porsi i seguenti obiettivi:


• descrivere qual è la visione strategica e l’obiettivo imprenditoriale unificante (ad
esempio: diventare i maggiori produttori in Europa)
• identificare la missione aziendale, cioè i singoli obiettivi da raggiungere per
realizzare la visione strategica e i mezzi da utilizzare
• descrivere la situazione attuale, offrendo anche una sintesi dei dati economico-
finanziari storici, relativi agli ultimi tre anni, e prospettici, mediante l’utilizzo di
rendiconti finanziari, conti economici, stati patrimoniali e indici di analisi
finanziaria
Presentarsi ad un investitore istituzionale 2

La realizzazione di un business plan, da sottoporre a investitori


istituzionali nel capitale di rischio, necessita di una particolare
attenzione perché:
• sulla base delle informazioni contenute nel business plan,
l’interlocutore deciderà se andare a fondo nell’esame del progetto o
se scartarlo

• coloro che andranno a discutere il business plan si troveranno di


fronte ad attenti e preparati interlocutori, che cercheranno di
individuare i punti di debolezza o le eventuali incoerenze presenti
nel documento
Il processo di due diligence
e le forme tecniche di intervento 1
«Due diligence», ovvero quell’insieme di attività, svolte dall’investitore, necessarie per
giungere ad una valutazione finale, analizzare lo stato attuale dell’azienda e le sue
potenzialità future

La due diligence è solitamente focalizzata sui seguenti aspetti principali:


• Due diligence di mercato
• Due diligence finanziaria
• Due diligence legale
• Due diligence fiscale
• Due diligence ambientale

Esaurita la due diligence le fasi successive saranno:


• La conclusione della trattativa
• I patti parasociali
• L’esecuzione del contratto
Il processo di due diligence
e le forme tecniche di intervento 2
Le forme tecniche di intervento: i principali strumenti di finanziamento

• Equity: definito anche “capitale di rischio”, rappresenta il capitale proprio


dell’azienda, versato, generalmente, attraverso la sottoscrizione di titoli azionari.
La sua remunerazione dipende, pertanto, dalla redditività e dal successo
dell’iniziativa, sia in termini di utile prodotto e distribuito agli azionisti tramite
dividendi, sia in termini di aumento di valore delle azioni

• Prestito obbligazionario convertibile: capitale di debito raccolto attraverso


l’emissione di particolari obbligazioni, convertibili, entro determinati lassi di
tempo e in base a rapporti di cambio prefissati, in azioni della stessa società
emittente o di altre società. Le obbligazioni convertibili, pertanto, offrono al loro
sottoscrittore la facoltà di rimanere creditore della società emittente (quindi di
conservare lo status di obbligazionista), e di ricevere i proventi attraverso il
pagamento degli interessi, assumendo, solo in un secondo momento, lo status di
azionista attraverso la conversione in azioni delle obbligazioni
Parole chiave della lezione

• CAPITALE DI RISCHIO

• IDEA IMPRENDITORIALE INNOVATIVA

• CAPITAL GAIN

• BUSINESS PLAN

• DUE DILIGENCE
Lezione
“GESTIONE DEL PORTAFOGLIO
FINANZIARIO”
Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


I partecipanti che avranno approfondito la lezione saranno in grado di conoscere e
identificare i principali concetti connessi alla gestione del portafoglio finanziario,
nonché di identificare e descrivere la gestione attiva e passiva, le caratteristiche del
servizio, la nozione di gestione individuale ed il relativo contratto e la disciplina del
rapporto di gestione

Contenuti
• Gli obiettivi e la formazione del portafoglio
• La gestione attiva; La gestione passiva
• Il rendimento della gestione attiva dei gestori professionali
• Il rendimento della gestione attiva degli investitori al dettaglio
• Il comportamento degli investitori italiani
• Servizio su base individuale di gestione di portafogli di investimento
• La gestione di portafogli di investimento: le caratteristiche del servizio
• Il servizio di gestione individuale di portafoglio finanziario
Premessa

In finanza, un portafoglio è un insieme di attività finanziarie,


appartenenti a persone fisiche o giuridiche, in seguito ad un
investimento

L'investimento in un portafoglio di titoli risulta essere meno rischioso


dell'allocazione di un capitale su un'unica tipologia di titoli (solo azioni
o solo obbligazioni) se opportunamente diversificati

La creazione di un portafoglio si spiega con l'esigenza per l'investitore


di operare una diversificazione dei propri investimenti, così da ridurre
il più possibile il rischio di subire perdite provenienti da un singolo
titolo
Gli obiettivi e la formazione del portafoglio 1

Le fluttuazioni del patrimonio, attribuibili alle variazioni del valore di mercato,


dipendono dalla suddivisione del patrimonio stesso
Vanno fatte due considerazioni:

1. L’ammontare del patrimonio a fine anno non è certo. Se il patrimonio è


investito in titoli obbligazionari di lungo periodo, titoli azionari o altri titoli
rischiosi, il reddito e/o il valore di mercato di fine periodo non sono noti con
certezza. Il patrimonio di fine anno quindi è una variabile incerta, che tuttavia è
possibile controllare: si può restringerla investendo in titoli finanziari meno
rischiosi, o aumentarla investendo in titoli particolarmente rischiosi

2. E' necessario programmare l'investimento in maniera attenta, guardando


non solo alla fine dell'anno in corso, ma anche degli anni successivi, tenendo
conto della dinamica prevedibile dei redditi da lavoro e delle esigenze di consumo,
incluse sia le spese abituali per la vita quotidiana sia le spese episodiche legate al
fruire del ciclo vitale
Gli obiettivi e la formazione del portafoglio 2

• La scelta finanziaria è uno strumento in mano all'investitore per programmare la


propria vita, non una scommessa fatta per diventare ricchi in fretta

• Il rendimento di un portafoglio finanziario può essere influenzato, oltre che


dall'andamento dei singoli titoli o strumenti finanziari che lo compongono, anche
dallo stile di gestione adottato dal gestore professionista ovvero dall'investitore
«fai-da-te»: è possibile infatti distinguere tra gestione attiva e gestione passiva

• Si dimostra che, nel breve e medio periodo, l'attività di un operatore specializzato


può, attraverso la variazione dell'asset allocation, apportare valore aggiunto alla
gestione, influenzandone la performance

• Al contrario, appare evidente come, anche a causa di frequenti pregiudizi, il


rendimento di un portafoglio gestito in modo autonomo dal singolo investitore
possa soffrire di una gestione poco accorta e incostante nel tempo
La gestione attiva

La gestione attiva è una strategia di investimento con la quale il gestore prende una
molteplicità di decisioni di investimento nel tempo, finalizzate a ottenere una
performance superiore a quella di un indice di riferimento, detto benchmark. Il
concetto alla base di questa strategia è il seguente: il gestore espone il portafoglio a
un rischio superiore a quello del benchmark; se il maggior rischio genera un
maggiore rendimento, la strategia ha successo. I principali strumenti a disposizione del
gestore per mettere in atto tale strategia sono:
- asset allocation: variare nel tempo l'esposizione del portafoglio ai diversi mercati di
riferimento, al fine di sfruttare le tendenze positive di alcuni di questi, abbandonando
quelli che manifestano tendenze negative
- stock picking: selezionare le attività finanziarie in modo da creare un portafoglio in
cui prevalgono le attività sottostimate dal mercato (quindi con un maggiore potenziale
di crescita) rispetto a quelle sovrastimate
- market timing: aumentare o diminuire l'esposizione del portafoglio ai diversi mercati
di riferimento, sulla base di previsioni sull'andamento futuro dei prezzi
La gestione passiva

La gestione passiva si fonda su due elementi fondamentali della teoria della finanza:
- l'ipotesi di mercato efficiente, secondo la quale il prezzo di mercato di equilibrio
riflette pienamente e perfettamente l'informazione disponibile e, perciò, secondo
l'interpretazione più diffusa, è impossibile "battere il mercato", cioè realizzare una
performance migliore di quella del mercato nel suo complesso
- il problema agente/principale, che insorge dalla asimmetria informativa e dal divario
di competenze, che non permette all'investitore (principale) di monitorare
adeguatamente l'attività del gestore a cui affida il proprio patrimonio (agente)

• Uno dei principali vantaggi della gestione passiva è legato al minor numero di
operazioni di compravendita che permette di minimizzare i costi delle commissioni
richieste ai sottoscrittori di attività finanziarie eseguito dal gestore nell'unità di
tempo
• Un secondo vantaggio è legato al fatto che la minore frequenza delle
compravendite permette, in alcuni casi e in alcuni regimi fiscali, di rinviare la
tassazione dei guadagni in conto capitale
Il rendimento della gestione attiva dei
gestori professionali

• Sembra accertato che la gestione attiva del portafoglio, si


effettui, con coerenza, grazie alla scelta di fondo di
diversificazione del portafoglio: la cosiddetta asset
allocation

• In termini generali, l'attività del gestore influisce sulla


performance nel breve e medio termine: nel lungo e nel
lunghissimo periodo, la qualità della gestione attiva
sembra avere meno impatto sulla performance, sulla quale
tenderebbe a prevalere l'influenza delle grandi decisioni
strategiche di diversificazione
Il rendimento della gestione attiva
degli investitori al dettaglio

• Sino alla metà degli anni novanta si sapeva molto poco relativamente al
rendimento della gestione attiva da parte degli investitori al dettaglio

• Barber e Odean sono i ricercatori più attivi nell'analisi di queste banche dati

• Essi hanno trovato che i titoli che in genere vengono venduti dagli individui hanno
una variazione futura dei prezzi (per un periodo sino a due anni dopo l'operazione)
più ampia dei titoli che vengono acquistati: su un orizzonte biennale il
differenziale di rendimento tra titoli venduti e titoli acquistati è leggermente
superiore a 3,5%

• Inoltre gli studi rivelano la tendenza degli investitori a detenere titoli in perdita
eccessivamente a lungo, quasi come se il mantenimento in portafoglio
rappresentasse il rifiuto della disponibilità a riconoscere l'errore effettuato
nell'acquistare un titolo il cui prezzo è poi sceso
Il comportamento degli investitori USA a
confronto con quelli italiani 1
Da apposite indagini risulta l'esistenza di comportamenti irrazionali da parte degli
investitori (individuali, non istituzionali). Nel caso degli Stati Uniti ad esempio si è
mostrato che gli investitori:
- detengono troppo a lungo i titoli in perdita
- effettuano troppe movimentazioni di portafoglio

- privilegiano in maniera sistematica i titoli azionari che avranno performance


poco brillanti nel futuro

- sono influenzati dal canale di contrattazione

- nel caso di scelta di fondi comuni di investimento, gli investitori sono molto
(negativamente) influenzati dalla presenza di commissioni di ingresso ma
relativamente insensibili al livello delle commissioni di gestione

- diversificano in maniera insufficiente il portafoglio dal punto di vista


internazionale
Il comportamento degli investitori USA a
confronto con quelli italiani 2

Anche in Italia gli investitori sembrano essere afflitti da simili problemi


di irrazionalità. Ad esempio, i possessori italiani di titoli azionari
spesso detengono un portafoglio composto da pochissimi titoli; ma
soprattutto emergono vari problemi legati alla scarsa informazione ed
alla scarsa conoscenza dei mercati finanziari

Un'analisi relativamente recente, ad esempio, mostra che gli italiani si


informano pochissimo sui temi finanziari

Su 100 italiani intervistati, 66 non sanno quanto tempo dedicano ogni


settimana all'informazione finanziaria, e ben metà del restante 33
dedica meno di mezz'ora alla settimana a questo tema
Servizio su base individuale di gestione di
portafogli di investimento 1
• La gestione su base individuale di portafogli di investimento è un
servizio di investimento che può essere svolto da una banca, una
SGR, una società di intermediazione mobiliare (SIM) o un’impresa
di investimento estera autorizzata (intermediario gestore)
• L’investitore conferisce il proprio patrimonio all’intermediario,
delegandolo a effettuare decisioni di investimento mediante
operazioni di acquisto e vendita di azioni, obbligazioni, quote di
OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) o altri strumenti
finanziari
• A differenza dei fondi comuni e delle SICAV (Società di investimento a
Capitale Variabile), il patrimonio di ogni singolo cliente non confluisce
in un patrimonio collettivo e la gestione del portafoglio viene
effettuata separatamente per ogni cliente
Servizio su base individuale di gestione di
portafogli di investimento 2

• Le decisioni di investimento sono assunte discrezionalmente dal


gestore, sulla base di obiettivi e all’interno di limiti (ad esempio una
percentuale massima del patrimonio investito in azioni) definiti nel
contratto con il cliente. I risultati positivi o negativi degli
investimenti effettuati dal gestore ricadono direttamente sul
patrimonio dell’investitore. Tale patrimonio, al termine del
mandato conferito all’intermediario, può essere di valore inferiore a
quello originariamente investito. L’intermediario ha l’obbligo di
informare periodicamente il cliente del rendimento ottenuto e degli
strumenti finanziari inclusi nella gestione patrimoniale
La gestione di portafogli di investimento: le
caratteristiche del servizio 1

• Il servizio di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto


terzi è quel servizio offerto dai soggetti abilitati che si realizza gestendo il
patrimonio mobiliare del cliente attraverso l’investimento in strumenti finanziari.
La differenza fondamentale tra la gestione individuale con la gestione collettiva
del risparmio consiste nel fatto che la prima è gestita separatamente e
nell’interesse del singolo cliente e ha come punti chiave la personalizzazione e la
qualità del servizio

• Si possono distinguere due forme di gestioni patrimoniali:


1. la Gestione Patrimoniale Mobiliare (Gpm), in cui il patrimonio del cliente è
investito principalmente in strumenti finanziari come azioni, obbligazioni e
derivati
2. la Gestione Patrimoniale in Fondi (Gpf), in cui il patrimonio è investito in quote
di fondi comuni e Sicav
La gestione di portafogli di investimento: le
caratteristiche del servizio 2
• Il rapporto che si instaura tra cliente e intermediario è sostanzialmente un
mandato fiduciario, nel quale il cliente consegna del denaro all’intermediario per
la costruzione di un portafoglio di investimento, secondo determinate direttive
di rischio-rendimento impartite dal cliente, che l’intermediario può seguire però
con un certo grado di discrezionalità

• Per tali motivi, nella prestazione del servizio, gli intermediari devono attenersi
scrupolosamente a determinate norme e regole, che, tenendo conto della
specificità del servizio, sono preposte alla salvaguardia dell’investitore

• Il contratto, da redigersi obbligatoriamente in forma scritta, deve indicare, in


primo luogo, le caratteristiche della gestione, intendendo con questa espressione le
categorie di strumenti finanziari nelle quali può essere investito il patrimonio
gestito e gli eventuali limiti, la tipologia delle operazioni che l’intermediario può
effettuare sui suddetti strumenti finanziari, ecc.
La gestione di portafogli di investimento: le
caratteristiche del servizio 3
Il contratto, inoltre, deve:
• individuare espressamente le operazioni che l’intermediario
non può compiere senza la preventiva autorizzazione
dell’investitore

• indicare se gli strumenti finanziari derivati possono essere


utilizzati per finalità diverse da quella di copertura dei rischi
connessi alle posizioni detenute in gestione

• specificare che l’investitore può recedere in qualsiasi momento


dal contratto ovvero disporre, in tutto o in parte, il trasferimento o
il ritiro dei propri valori, senza che a esso sia addebitata alcuna
penalità
Parole chiave della lezione

• PORTAFOGLIO

• DIVERSIFICAZIONE DEGLI INVESTIMENTI

• INCERTEZZA DEL VALORE DEL


PATRIMONIO

• RAPPORTO DI GESTIONE

• GESTIONE INDIVIDUALE
Lezione

“FINANZA STRUTTURATA”
Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


Al termine della lezione i partecipanti saranno in grado di conoscere e
identificare i principali concetti relativi alla finanza strutturata, nonché
di comprendere e descrivere i complessi rischi identificativi e
gestionali; saranno altresì in grado di valutare i rating di valutazione e
i particolari profili di rischio
Contenuti
• La finanza strutturata
• La complessità della finanza strutturata
• I rating dei prodotti strutturati
• I rischi della finanza strutturata
• Le ABS-Asset Backed Securities e la cartolarizzazione
Premessa 1

Finanza strutturata ovvero quelle forme di finanziamento non standardizzate, che


sono stabilite tenendo conto delle esigenze specifiche di particolari clienti. Detta
anche structured finance, ha la sua attività principale, oltre che l’ovvia
personalizzazione, nell'autofinanziamento

L’attività di finanza strutturata è focalizzata soprattutto verso:


• operazioni di “acquisition financing”, cioè la concessione di fondi per finanziare
l’acquisizione di partecipazioni e rami d’azienda
• operazioni di “buy out”, per cui si presuppone la possibilità d’utilizzo della leva
finanziaria (uso del debito per acquisto/riacquisto di azioni)
• organizzazione di “finanziamenti in pool”, cioè da un gruppo di banche
• organizzazione e partecipazione a operazioni di “project financing”, che
prevedono l’impiego di capitali privati per finanziare – totalmente o in parte – la
realizzazione di opere pubbliche
Premessa 2

Dal punto di vista finanziaria il project financing è una semplice


operazione di anticipazione del denaro necessario alla realizzazione di
un’opera

Istituti di credito specializzati, una volta individuata l’opera da


realizzare, emettono titoli obbligazionari, bond e li collocano nel
mercato, infilandoli nei fondi di investimento che a loro volta banche,
assicurazioni, fondi pensione e risparmiatori vari compreranno,
allettati dalla promessa di buoni rendimenti

Il rischio per gli intermediatori finanziari è zero. Tale pratica ha assunto


importanza crescente come mezzo per il trasferimento del rischio
creditizio e il volume delle emissioni è aumentato rapidamente negli
ultimi anni
Premessa 3

Dunque, con il trasferimento del rischio, gli strumenti finanziari


strutturati possono essere impiegati per ripartire il rischio medesimo -
in tranche - fra le istituzioni finanziarie o i vari settori

Come vedremo di seguito, mediante il frazionamento in tranche, essi


operano anche una trasformazione del rischio, generando esposizioni
verso segmenti diversi della distribuzione delle perdite nel sottostante
pool di attività

A causa di tale segmentazione e delle strutture contrattuali necessarie


per realizzarla, il loro profilo di rischio-rendimento può essere
particolarmente difficile da valutare
La finanza strutturata 1

• Gli strumenti finanziari strutturati possono essere definiti in base a


tre distinte caratteristiche: 1) messa in pool di attività; 2)
dissociazione del rischio creditizio del pool di attività dal rischio
creditizio del titolare delle stesse (originator), solitamente
mediante il trasferimento delle attività sottostanti a una società
autonoma di breve durata costituita ad hoc (società veicolo); 3)
frazionamento in tranche delle passività emesse a fronte del pool
di attività

• Mentre le prime due caratteristiche sono presenti anche nelle operazioni di


cartolarizzazione classiche (slide 13), la terza è distintiva dei prodotti
finanziari strutturati. Un aspetto fondamentale del frazionamento in
tranche è la possibilità di creare una o più classi di titoli con rating più
elevato di quello medio del sottostante pool di attività, ovvero di generare
titoli dotati di rating partendo da un pool di attività che ne sono prive
La finanza strutturata 2

• Laddove sussista un problema di selezione avversa e/o di


segmentazione del mercato la suddivisione in tranche può
apportare valore addizionale. Quando l’istituzione originante
dispone di maggiori informazioni sui flussi finanziari potenziali
generati dal pool di attività rispetto agli investitori esterni, oppure
quando un gruppo di investitori ha più informazioni o migliori
strumenti per valutare le attività rispetto ad altri, può essere
conveniente emettere una tranche senior, isolata almeno in parte
dal rischio di insolvenza e destinata agli investitori meno informati,
e una tranche junior, collocata presso gli investitori più informati o
trattenuta dall’istituzione originante
• Di fatto, gran parte della struttura contrattuale consiste nello specificare in
maniera esauriente i diritti e doveri del gestore, dei detentori dei titoli e
delle altre parti coinvolte nell’operazione
La complessità della finanza strutturata 1

Premessa
• Cosa sono i CDO - «Collateralized Debt Obligations". Si tratta di prestiti
obbligazionari creati - usando la tecnica della cartolarizzazione - impacchettando
una serie di bond o di derivati. I CDO sono emessi in varie tranche (con rating e
rischiosità a scalare) da speciali società-veicolo: il loro rimborso e le loro cedole
sono garantite dal portafoglio sottostante di obbligazioni o di prestiti o di derivati

• I rischi dei CDO - L'investimento in CDO comporta vari rischi (e ovviamente


pari rendimenti). C'è il rischio che il portafoglio sottostante posto in garanzia vada
in default, almeno in parte

• Questione delicata derivante dal ruolo attivo spesso svolto dalle agenzie di
rating, aventi a oggetto prodotti finanziari di particolare complessità; il conflitto
può nascere dalla duplicità delle funzioni che l’agenzia può svolgere: da un lato
valuta un determinato prodotto (se non direttamente l’emittente), dall’altro può
essere anche advisor nella realizzazione di un’operazione certamente rating
driven: ovvero, esprime indirettamente un’autovalutazione del proprio operato
La complessità della finanza strutturata 2

Dunque, i CDO sono delle obbligazioni correlate al debito. Nello specifico si


prendono tutti i debiti buoni e cattivi delle società, si fa un pacchetto chiamato CDO e
lo si vende a qualche investitore, con il marchio «prodotto strutturato». Secondo
alcuni, i CDO sono il secondo stadio della malattia finanziaria, dopo i mutui sub
prime. Infatti lo scoppio dei mutui ha creato una situazione di tensione che, unita al
rallentamento dell’economia, ha fatto sì che questi debiti impacchettati non fossero
più sicuri come prima, svalutando così i portafogli di azioni

La situazione delle banche:


• Diffuse insolvenze per i mutui
• Svalutazioni dei CDO in cassa

A questo punto entrano in gioco le varie società di credito specializzate


nell'assicurazione dei CDO e di altri prodotti contro la possibilità di default
I rating dei prodotti strutturati

• Date le complessità descritte, fin dai suoi inizi, il settore della finanza
strutturata si è ampiamente avvalso dei rating

• Gli emittenti di prodotti strutturati erano interessati a ottenere rating graduati in


modo analogo a quelli delle obbligazioni, al fine di agevolare il collocamento dei
loro strumenti presso gli investitori

• Le agenzie di rating, stante il loro tradizionale ruolo di “controllori delegati” della


rischiosità degli strumenti di debito, hanno naturalmente assunto un ruolo
preminente nell’offerta di questi servizi, la cui importanza è stata senza dubbio
accentuata dalla complessità dei prodotti in questione

• La valutazione delle operazioni di finanza strutturata rappresenta oggi il


segmento più importante e in più rapida crescita delle tre principali agenzie
di rating, nonché una fonte primaria di reddito. Ciò ha destato timori ad
esempio riguardo ai potenziali conflitti di interessi che sorgono allorché il
servizio è prestato su incarico dell’emittente
I rischi della finanza strutturata

Analisi del rischio di insolvenza nel pool sottostante

• I rating, in quanto indicatori del rischio di insolvenza insito in uno strumento


debitorio, si basano su stime della perdita attesa (Expected Loss, EL) o della
probabilità di insolvenza (Probability of Default, PD). Per una tranche di finanza
strutturata tali stime dipendono in modo cruciale dalla dimensione (“spessore”) e
dalla posizione della tranche medesima nella distribuzione delle perdite del pool di
attività sottostante

I tre principali parametri su cui si basa ogni metodo per l’assegnazione di rating a
un’operazione di finanza strutturata sono:
• la probabilità di insolvenza dei singoli obbligati compresi nel pool
• i tassi di recupero
• le correlazioni (temporali) fra le insolvenze degli obbligati
Le ABS-Asset Backed Securities
e la cartolarizzazione 1

• Gli Asset Backed Securities (o ABS) sono strumenti finanziari,


emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione, del tutto simili
alle normali obbligazioni; come queste, infatti, pagano al detentore
una serie di cedole a scadenze prefissate per un ammontare
determinato sulla base di tassi di interesse fissi o variabili. Gli ABS
sono basati su grandi portafogli di attività omogenee, come partite
da incassare per carte di credito e finanziamenti per l’acquisto di
autoveicoli. Essi si oppongono alle CDO, facenti anch’esse parte
dell’universo degli ABS, ma emesse a fronte di pool ridotti di
attività più eterogenee, come obbligazioni acquistate sul mercato
secondario, nonché attività “atipiche”, come tranche di altri ABS e
CDO
Le ABS-Asset Backed Securities
e la cartolarizzazione 2
Prima di evidenziare le principali differenze tra obbligazioni e ABS è opportuno
descrivere la struttura di un’operazione di cartolarizzazione

In sintesi, un’azienda che ha in portafoglio crediti di natura pecuniaria cede gli stessi
ad un’altra società appositamente costituita (SPV - Special Purpose Vehicle; società
cessionaria abilitata ad emettere i titoli in cui sono incorporati i crediti ceduti). Il
veicolo, a sua volta, emetterà delle obbligazioni con lo scopo di collocarle presso gli
investitori finali al fine di ripagare l’acquisto dei crediti stessi. I crediti ceduti, infine,
sono costituiti a garanzia del pagamento delle obbligazioni emesse

In sintesi, il procedimento di creazione di un ABS - noto anche come


securitisation - è l’atto con cui una società scorpora dal suo bilancio
una serie di crediti, li “impacchetta” adeguatamente e li cede sul
mercato, assieme ai flussi finanziari che essi generano, per il tramite
della SPV, con l’obiettivo di generare liquidità
Le ABS-Asset Backed Securities
e la cartolarizzazione 3
I crediti, infatti, costituiscono patrimonio separato in capo alla SPV,
società che deve avere come oggetto esclusivo la realizzazione di una
o più operazioni di cartolarizzazione. Le somme successivamente
incassate, a fronte degli stessi, sono destinate in via esclusiva al
pagamento dei diritti incorporati nelle obbligazioni e al pagamento dei
costi dell’operazione di cartolarizzazione
Proprio per lo stretto legame di cui sopra, vi sono tuttavia degli
elementi di rischio. In particolare, il rimborso delle ABS potrebbe
venire meno, in tutto od in parte, nel momento in cui si verificasse il
mancato incasso dei crediti a sostegno dell’operazione
Proprio per limitare tale rischio, solitamente l’ammontare dei crediti
ceduti e posti in garanzia è spesso superiore al valore nominale delle
obbligazioni emesse
Le ABS-Asset Backed Securities
e la cartolarizzazione 4
Le ABS-Asset Backed Securities
e la cartolarizzazione 5
• Il caso della cartolarizzazione dei mutui è il più frequente (solitamente in questo
caso si parla di MBS: Mortgage Backed Securities), ma vengono inseriti in ABS
anche altre forme di attivi: crediti per acquisto di automobili, ipoteche, crediti
bancari, crediti al consumo, leasing, flussi di pagamenti di carte di credito e
crediti commerciali e, perfino (con ABS specializzati), crediti in sofferenza

• Le ABS sono abbastanza “nuove” per il mercato italiano, mentre in Danimarca ed


in Germania erano già largamente diffuse fin dal diciannovesimo secolo
• Borsa Italiana ha imposto una serie di requisiti minimi che le ABS devono avere
perché siano ammesse a quotazione. Tra i principali si ricordano:
• 1. Outstanding residuo: il valore nominale residuo delle ABS deve essere almeno
pari a 50 mln di euro
• 2. Un’adeguata diffusione presso il pubblico o presso gli investitori professionali
atta a garantire il regolare funzionamento del mercato
• 3. Rating minimo: è richiesto il rango di investment grade, cioè un giudizio
compreso tra la "AAA" e la "BBB-" da parte delle principali agenzie di rating
Parole chiave della lezione

• FINANZIAMENTO NON STANDARDIZZATO

• PERSONALIZZAZIONE DEL FINANZIAMENTO

• AUTOFINANZIAMENTO

• PROJECT FINANCING

• CARTOLARIZZAZIONE
Lezione

“L’INTERMEDIAZIONE
ASSICURATIVA E I FONDI
PENSIONE”
Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


Gli studenti saranno in grado di conoscere e identificare i principali concetti
dell’intermediazione assicurativa, con particolare riferimento alla vigilanza
prudenziale e le complesse modalità di sicurezza e garanzia per i risparmiatori e gli
assicurati; gli studenti saranno infine in possesso di adeguate conoscenze sui principi
e meccanismi di funzionamento della previdenza complementare e dei fondi pensione

Contenuti
• Impresa di assicurazione
• Vigilanza prudenziale: la sana e prudente gestione; Riserve tecniche; Margine di
solvibilità; Ripartizione dei rischi; Procedure di controllo interno e di gestione dei
rischi; Assetti proprietari e gruppo assicurativo
• Trasparenza delle operazioni e protezione dell’assicurato; La normativa che
disciplina l'attività di intermediazione assicurativa
• I fondi pensione; I tre pilastri della previdenza; Chi vigila sulle forme
pensionistiche complementari
Impresa di Assicurazione: Generalità 1

• L’assicurazione rappresenta una modalità, che permette di


fronteggiare i bisogni economici conseguenti al manifestarsi di un
evento. Con l’assicurazione l’individuo, previo versamento di un
importo (premio), ottiene quei mezzi da un altro soggetto allorché si
verifichi l’evento

Le assicurazioni si distinguono in:


• assicurazioni danni, relative ai rischi attinenti ai beni (es: rischi
incendio, furto), ai soggetti (malattia, infortuni) e al patrimonio
(responsabilità civile)
• assicurazioni vita, relative ai rischi attinenti esclusivamente la vita
umana (rischi di morte e sopravvivenza)
Impresa di Assicurazione: Generalità 2

• Le imprese di assicurazione rientrano tra gli intermediari finanziari


in quanto esse investono i premi ricevuti (al fine di far fronte ai
risarcimenti futuri) in attività finanziarie e non verso attività reali

Tuttavia vi sono almeno due differenze con gli intermediari tipici


1. Un elemento distintivo del contratto assicurativo consiste
nell’aleatorietà della prestazione nei confronti dei singoli
assicurati; la corresponsione o meno del risarcimento dipende
cioè dal manifestarsi o no del rischio, l’importo del risarcimento
dipende dall’entità del danno subito

2. Il destinatario del risarcimento può essere anche una persona


diversa dal contraente che ha pagato il premio
Impresa di assicurazione

Attività assicurativa
• L’attività assicurativa può essere esercitata soltanto da imprese
costituite nelle forme stabilite dalla legge (S.p.A., cooperative e
mutue assicuratrici le cui quote siano rappresentate da azioni), il cui
oggetto sociale sia limitato all’esercizio di operazioni «rami vita» e
«rami danni»
• Le imprese di assicurazione sono quindi imprese specializzate e la
specializzazione comporta anche il divieto di cumulare l’esercizio
delle assicurazioni contro i danni e delle assicurazioni sulla vita
• L’esercizio dell’attività assicurativa è assoggettato ad un penetrante
controllo pubblico, che inizia con l’autorizzazione all’esercizio e si
conclude con la cancellazione della società dal registro delle
imprese. La disciplina di vigilanza è ora di origine comunitaria
Vigilanza prudenziale 1

La sana e prudente gestione

• Lo scopo principale della disciplina comunitaria di vigilanza è la


garanzia di una sana e prudente gestione delle imprese di
assicurazione. Una gestione, cioè, che garantisca la solvibilità
dell’impresa mediante il rispetto delle tecniche assicurative, una
efficiente gestione del patrimonio ed adeguate procedure di controllo
interno e di gestione dei rischi

• A garanzia della solvibilità, la società, per ottenere l’autorizzazione


all’esercizio dell’attività assicurativa, deve essere dotata di un
capitale sociale non inferiore agli importi stabiliti dalla normativa di
vigilanza, a seconda dei rami che intende esercitare e costituito
esclusivamente in danaro
Vigilanza prudenziale 2

Riserve tecniche
• Condizione primaria per garantire la solvibilità dell’impresa è il rispetto di
appropriate tecniche assicurative, che consentano di trasformare l’alea relativa al
rischio assunto con ciascuno dei contratti di assicurazione in esercizio di attività
non aleatoria. A questo scopo, l’assicuratore deve calcolare il premio, che deve
essere corrisposto dai singoli contraenti/assicurati, in base alla stima della
probabilità di verifica dei rischi assicurati in modo da poter disporre di una
massa di premi sufficienti a far fronte agli impegni assunti con la massa dei
contratti stipulati e ai relativi costi di gestione (compensazione/neutralizzazione
dei rischi). I premi riscossi devono essere accantonati in apposite riserve (riserve
tecniche)

• Le riserve tecniche sono costituite essenzialmente con i premi


riscossi. Il calcolo delle riserve deve però essere effettuato in
base alle obbligazioni assunte, non in base ai premi riscossi
Vigilanza prudenziale 3

Margine di solvibilità
• L’esposizione debitoria dell’impresa rappresentata dalle riserve
tecniche è determinata, come i premi, sulla base di dati previsionali.
Di qui l’esigenza che l’impresa sia dotata non solo di un capitale
sociale non inferiore agli importi stabiliti dalla legge, a seconda dei
rami esercitati, ma anche di un margine attivo proporzionale al
volume di affari, che consenta di fare fronte ad eventuali andamenti
sfavorevoli dei rischi assunti (margine di solvibilità)

• Il margine di solvibilità è rappresentato dal patrimonio netto, al


netto degli elementi immateriali, e non deve essere inferiore alla
misura stabilita dalla normativa di vigilanza. Sotto il profilo
patrimoniale, il margine di solvibilità assorbe la garanzia costituita
dal capitale sociale, che concorre alla costituzione del margine
Vigilanza prudenziale 4

Ripartizione dei rischi


• Una terza regola fondamentale per garantire l’equilibrio patrimoniale dell’impresa
è costituita dall’adozione di una adeguata ripartizione dei rischi assunti.
Risultati attendibili possono quindi realizzarsi soltanto mediante un’adeguata
ripartizione dei rischi assunti tra una pluralità di imprese

• Una prima ripartizione si realizza mediante l’assunzione in comune con altre


imprese di assicurazione e per quota di singoli rischi (coassicurazione); tuttavia,
per garantire l’equilibrio della gestione assicurativa, è comunque indispensabile
ricorrere alla riassicurazione, che consiste nel trasferimento di una parte dei rischi
assunti ad un’altra impresa di assicurazione o ad una impresa di riassicurazione

• Il riassicuratore, a sua volta, ripartisce i rischi riassicurati trasferendone una parte


ad un altro riassicuratore (cd. retrocessioni), e così via in una catena
tendenzialmente indefinita e tanto più articolata quanto più grave è il rischio
assunto dal primo assicuratore
Vigilanza prudenziale 5

Assetti proprietari e gruppo assicurativo

• L’assunzione di partecipazioni da parte di imprese di assicurazione e


l’assunzione di partecipazioni in imprese di assicurazione sono
assoggettate a limitazioni e controlli e, dall’altro lato, la legge
attribuisce all’Isvap (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di
interesse collettivo) particolari poteri di vigilanza in presenza di gruppi di
società dei quali facciano parte imprese di assicurazione (cd.
vigilanza supplementare sul gruppo assicurativo)

• Sono previste tre forme di vigilanza supplementare: informativa


anche di tipo ispettivo; sulle operazioni infragruppo rilevanti e
verifica della solvibilità corretta
Trasparenza delle operazioni e protezione
dell’assicurato

• Il codice assicurazioni affianca alla vigilanza prudenziale la


vigilanza sulla trasparenza e la correttezza dei comportamenti delle
imprese, degli intermediari e degli altri operatori del settore
assicurativo nei confronti dei contraenti, degli assicurati e degli altri
aventi diritto a prestazioni assicurative

• Prioritariamente, le imprese e gli intermediari devono acquisire dai


contraenti le informazioni necessarie a valutare le esigenze
assicurative o previdenziali ed operare in modo che questi siano
sempre adeguatamente informati
La normativa che disciplina l'attività di
intermediazione assicurativa

• La disciplina dell'attività di intermediazione assicurativa è stata


completamente riformata in seguito all'emanazione, da parte del Consiglio
dei Ministri, del Codice delle Assicurazioni Private, nel cui ambito è stata
data attuazione ad una direttiva comunitaria del 2002

• Regolamentazione organica e sistematica di attività assicurativa; prevede


innanzi tutto la costituzione di un Registro Unico degli Intermediari
assicurativi e riassicurativi (RUI) nel quale far confluire le diverse figure
professionali e societarie coinvolte nella distribuzione dei prodotti
assicurativi, nonché regole comportamentali cui le imprese assicurative e
gli intermediari devono conformarsi

• Le disposizioni attuative del Codice delle Assicurazioni Private sono


contenute nel Regolamento ISVAP del 2006
I fondi pensione 1

• Il fondo pensione è un organismo di investimento collettivo del risparmio.


• Con i fondi pensione avviata la razionalizzazione del sistema pensionistico
italiano, di matrice esclusivamente pubblica, sulla scorta dell'esperienza
dei più maturi sistemi pensionistici privati di provenienza anglosassone
• In Italia, operano due categorie di fondi pensione:

• I fondi pensione chiusi sono istituiti in virtù di un accordo


collettivo o aziendale o di categoria ovvero di un accordo tra
lavoratori autonomi o tra liberi professionisti, promossi dalle
rispettive associazioni di categoria
• I fondi pensione aperti possono essere costituiti da enti gestori di
previdenza obbligatoria, compagnie di assicurazione e società di
gestione del risparmio, SIM, banche o imprese di investimento
comunitarie
I fondi pensione 2

• L'investimento in un fondo pensione è con orizzonte temporale di


lungo periodo: chi aderisce al programma di un fondo pensione
riceverà le prestazioni ad esso collegate alla scadenza del periodo di
accumulazione e comunque non prima della decorrenza del termine
di permanenza minima obbligatorio

• Per i sottoscrittori di fondi pensione chiusi, iscritti al fondo da almeno 8 anni, è


prevista la possibilità di ritirare anticipatamente parte o l'intero importo versato in
alcuni casi specifici, e cioè quando il titolare della posizione contributiva
complementare si trovi nell'oggettiva necessità di disporre di mezzi finanziari per
sostenere spese socialmente rilevanti

• Il patrimonio del fondo pensione è depositato presso una banca depositaria, cui
spetta il compito di accertare la conformità degli investimenti rispetto alla legge;
l'esattezza nelle modalità di emissione, calcolo e rimborso delle quote
Fondi pensione
I tre pilastri della previdenza

• La pensione obbligatoria (cioè derivante dal pagamento dei contributi obbligatori


per legge) costituisce il primo pilastro della previdenza

• I lavoratori possono scegliere di destinare una parte del proprio risparmio alla
costruzione di una rendita aggiuntiva, versando contributi alle forme
pensionistiche complementari. Le forme pensionistiche complementari si
distinguono in due categorie: i fondi pensione e i piani pensionistici individuali
(PIP), entrambi sottoposti alla vigilanza della COVIP (Commissione di Vigilanza sui
fondi Pensione)

• I fondi pensione costituiscono il secondo pilastro della previdenza e sono


istituiti da banche, assicurazioni, SGR e SIM; possono essere chiusi o aperti

• I PIP (Piani Individuali Pensionistici) costituiscono il terzo pilastro della


previdenza e si realizzano mediante polizze assicurative
Il primo pilastro della previdenza

La pensione obbligatoria (cioè derivante dal pagamento dei


contributi obbligatori per legge) costituisce il primo pilastro della
previdenza.

Le condizioni essenziali per avere diritto alla pensione sono:


• aver compiuto una determinata età
• aver versato contributi previdenziali per un periodo minimo
• smettere di lavorare (solo per i lavoratori dipendenti)

Il metodo di calcolo della pensione può essere “retributivo”, cioè


basato sulla retribuzione percepita, o “contributivo”, cioè basato sui
contributi versati, a seconda del momento in cui si è cominciato a
lavorare
Il secondo e il terzo pilastro
della previdenza
Il secondo pilastro della previdenza
• I fondi pensione (aperti o chiusi) sono istituiti da banche, assicurazioni, (SGR) e
(SIM)
• Ai fondi aperti può iscriversi chiunque
• Ai fondi chiusi, invece, possono iscriversi solo i lavoratori che appartengono a
un determinato gruppo (dipendenti di un’azienda o di un gruppo di aziende;
lavoratori appartenenti a una categoria, a un comparto o a un raggruppamento
territoriale).
• Sono detti negoziali i fondi costituiti sulla base di un accordo tra datore di lavoro
e sindacati o associazioni di categoria (contratti collettivi nazionali, accordi o
regolamenti aziendali, accordi fra lavoratori autonomi o liberi professionisti);
regionali quelli costituiti con legge regionale, ai quali possono aderire solo
coloro che risiedono o lavorano nella Regione
Il terzo pilastro della previdenza
• I PIP (Piano Individuale Pensionistico) si realizzano mediante polizze
assicurative, con contratti sulla vita a scopo previdenziale
Chi vigila sulle forme pensionistiche
complementari

• Il sistema della previdenza complementare si fonda su un insieme di


regole finalizzate alla tutela del risparmio previdenziale. Per
assicurarne il buon funzionamento il legislatore ha istituito una
specifica Autorità di vigilanza: la COVIP, composta da un
Presidente e quattro Commissari, tutti nominati dal Consiglio dei
Ministri su proposta del Ministro del lavoro e del Ministro
dell’economia e delle finanze. I suoi componenti rimangono in
carica quattro anni e possono essere confermati una sola volta
Parole chiave della lezione

• EVENTO NEGATIVO

• ASSICURAZIONE DANNI

• ASSICURAZIONE VITA

• PREVIDENZA COMPLEMENTARE

• I TRE PILASTRI DELLA PREVIDENZA


Lezione

“LA CRISI ECONOMICA


2008-2014 I”
Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


Al termine della lezione, i partecipanti saranno in possesso di discrete conoscenze e
capaci di identificare i principali eventi e concetti sulla crisi economica 2008-2014,
nonché di descrivere i fenomeni che l’hanno caratterizzata, sulla base delle
principali caratteristiche economiche, finanziarie e sociali, a partire dalla
liberalizzazione dei mercati finanziari fino alle misure che sono state adottate in
Europa per frenare ed invertire le tendenze più negative

Contenuti
• Cause della crisi; La fine del dollar standard e la liberalizzazione dei mercati
finanziari; La scintilla dei subprime; Andamento storico del mercato petrolifero
• Impennata dei prezzi delle materie prime industriali
• Aumento dei prezzi dei prodotti di prima necessità
• Crisi dei subprime negli Stati Uniti; Crollo delle borse e crisi di fiducia
• Piani di salvataggio nel resto d’Europa
Premessa

• La crisi economica del 2008-2014, spesso indicata come grande


recessione, ha preso avvio in tutto il mondo in seguito ad una crisi
del mercato immobiliare manifestatasi negli Stati
Uniti nel 2007, con lo scoppio di una grande bolla immobiliare (crisi
dei subprime) e una susseguente pesante crisi finanziaria

• Alla crisi finanziaria scoppiata nell'agosto del 2007 sono seguite una
recessione, iniziata nel secondo trimestre del 2008 e una grave crisi
industriale (seguita al fallimento di Lehman Brothers, il 15
settembre, per la crisi dei subprime) scoppiata nell'autunno dello
stesso anno - di proporzioni più ampie che nella crisi del 1929 - con
una forte contrazione della produzione e degli ordinativi
Premessa 2

• L'anno 2009 ha poi visto una crisi economica generalizzata, pesanti recessioni e
vertiginosi crolli di PIL in numerosi paesi del mondo e in special modo nel mondo
occidentale. Terminata la recessione nel terzo trimestre 2009, tra la fine dello stesso
anno e il 2010 si è verificata una parziale ripresa economica

• Tra il 2010 e il 2011 si è conosciuto l'allargamento della crisi ai debiti sovrani e


alle finanze pubbliche di molti paesi (in larga misura gravati dalle spese affrontate
nel sostegno ai sistemi bancari), soprattutto ai paesi dell'eurozona (impossibilitati a
operare manovre sul tasso di cambio o ad attuare politiche di credito espansive e di
monetizzazione), che in alcuni casi hanno evitato l'insolvenza sovrana (Portogallo,
Irlanda, Grecia), grazie all'erogazione di ingenti prestiti (da parte di FMI e UE),
denominati "piani di salvataggio", volti a scongiurare possibili default, a prezzo
però di politiche di bilancio fortemente restrittive sui conti pubblici (austerità) con
freno a consumi e produzione e alimentazione della spirale recessiva
Premessa 3

• ██ Paesi ufficialmente in recessione (due trimestri consecutivi di crescita negativa)


• ██ Paesi in recessione da un trimestre
• ██ Paesi con rallentamento economico di oltre l'1,0%
• ██ Paesi con rallentamento economico di oltre lo 0,5%
• ██ Paesi con rallentamento economico di oltre lo 0,1%
• ██ Paesi in crescita
• ██ Senza dati
• (Tra il 2007 e il 2009, stime di dicembre 2008 del Fondo Monetario Internazionale)
Cause della crisi 1

A partire dalla metà degli anni settanta la deregolamentazione finanziaria, la


creazione di nuovi strumenti finanziari, i progressi tecnologici nel campo
dell'informatica, l'aumento della frequenza dei flussi finanziari e della
liquidità nell'economia internazionale (a partire dallo sganciamento
dall'oro del dollaro nel 1971 e dall'aumento della massa monetaria in seguito al rialzo
del prezzo del petrolio), accanto all'aumento del costo del petrolio, hanno prodotto un
rafforzamento del ruolo della finanza internazionale all'interno del sistema
economico, con perno nelle maggiori piazze borsistiche globali tanto che, ad oggi, il
peso economico dei prodotti finanziari risulta superiore in larga misura a quello
della produzione mondiale di beni e servizi

La costituzione di fondi sovrani (strumenti finanziari a controllo pubblico che


dispongono di enormi liquidità), tra cui hedge fund e private equity, attraverso
l'impiego delle riserve accumulate dai paesi esportatori di petrolio e da alcuni paesi
asiatici grazie ai surplus commerciali, ha determinato la creazione di rilevante
liquidità finanziaria utilizzata per scopi speculativi
Cause della crisi 2

Grazie alle politiche delle banche centrali, a partire da quelle adottate dalla FED, che
favorirono il basso costo del denaro, venne incentivata una più facile erogazione
del credito alle famiglie, spinte a indebitarsi in misura crescente per alimentare
i consumi, e agli speculatori (banche d'investimento, imprese e fondi finanziari),
portati a effettuare investimenti sui mercati finanziari

Anche i grossi istituti finanziari, le banche di investimento in particolare, presero a


indebitarsi a breve termine per realizzare operazioni speculative. Tutto ciò era favorito,
soprattutto con riguardo alle più massicce attività di compravendita azionaria, dalla
creazione di "sistemi bancari ombra" (sistemi di intermediazione creditizia costituiti da
entità ed attività operanti al di fuori del normale sistema bancario), messi in opera dalle
stesse banche, che sfruttavano spazi di contrattazione non regolamentati e specializzati
nella raccolta e nell'investimento di prodotti e sotto-prodotti finanziari strutturati,
oltreché derivati finanziari
La fine del dollar standard e la
liberalizzazione dei mercati finanziari 1
• Tra il 1971 e il 1973, gli Stati Uniti abbandonarono il regime di convertibilità
del dollaro in oro, adottando un sistema fondato sull'inconvertibilità del dollaro

• Gli Stati Uniti decisero quindi di lasciar fluttuare liberamente la moneta secondo
la legge della domanda e dell'offerta, operando una serie di svalutazioni
monetarie fino al 1973. Ciò favorì un aumento improvviso e repentino della
circolazione monetaria, che fu tra le cause, accanto al rialzo dei prezzi del greggio,
del forte irrobustimento dei fenomeni inflattivi

• L'aumento dell'inflazione durante gli anni settanta, determinato da shock di


natura geopolitica legata a squilibri nell'area mediorientale e dai conseguenti rialzi
dei prezzi delle commodities (del petrolio in particolare), dalle rivendicazioni
operaie (la cui pressione induceva gli industriali ad agire sul rialzo dei prezzi dei
beni) e poi dalla recessione del 1975, l'emergere di teorie a supporto della
liberazione da vincoli e posizioni di monopolio (specie statale) dell'economia,
condusse alla ribalta le teorie di matrice liberoscambista
La fine del dollar standard e la
liberalizzazione dei mercati finanziari 2
• Negli Stati Uniti il processo di deregolamentazione determinò anche la
separazione del sistema bancario tra attività bancaria commerciale e
d'investimento, legittimando la nascita di grandi big finanziari come Merrill
Lynch, Lehman Brothers, Goldman Sachs e Morgan Stanley, favorendo negli anni
successivi la deregolamentazione del trading dei derivati e dei Credit Default
Swap (CDS)

• Su aprì una fase "post-industriale" in cui gli investimenti di natura finanziaria,


oltre ad apparire spesso preferibili rispetto a quelli produttivi, acquisivano
importanza crescente. Gli Stati-nazione tradizionali inoltre, apparendo spesso
vulnerabili di fronte alla rapidità, alla natura e alla dimensione dei movimenti
finanziari vedevano indebolire le loro capacità di controllo e regolazione del
mercato finanziario dominato dalle grandi imprese, non riuscendo a tutelare
adeguatamente neppure la posizione, spesso debole anch'essa, degli stessi
soggetti risparmiatori e lavoratori
La scintilla dei subprime

• Accanto ai CDS, il cui valore raggiunse la cifra dei 60.000 miliardi di dollari
nel 2008, cresceva anche l'esposizione al credito delle banche, delle imprese, e
delle stesse famiglie (ai fini del consumo), favorita dai tassi d'interesse ridotti e
dalla facilità nella concessione dei prestiti. Il ricorso alla sottoscrizione dei mutui
a basse garanzie (subprime), sottoscritti anche da persone agiate che confidavano
in consistenti guadagni, si fece sempre più frequente, venendo concessi dalle
banche spesso con la consapevolezza di non poter essere rimborsati: il trading
dei subprime crebbe dal valore di 145 miliardi nel 2001 ai 635 miliardi del 2005

• Nel 2006, come effetto immediato, il numero dei pignoramenti e delle


insolvenze si moltiplica, soprattutto per quanto riguarda gli acquirenti
di subprime, colpiti in particolare dall'aumento improvviso delle rate dei fidi.
La bolla immobiliare a quel punto esplose facendo precipitare il prezzo delle
case e innescando un'ondata di vendite che mandarono in rovina
numerosissimi soggetti tra risparmiatori e istituti di credito, provocando un
blocco del sistema finanziario americano
Andamento storico del mercato petrolifero

• Gli shock petroliferi del 1973 (Guerra del Kippur) e del 1979 (Rivoluzione
iraniana) - con improvvise difficoltà di approvvigionamento energetico -,
conseguenze di consistenti abbassamenti dell’offerta e della capacità operativa
dell’OPEC, crearono forti turbolenze nel mercato petrolifero e una impennata
inflazionistica generalizzata, che colpì soprattutto i paesi dell'Europa
occidentale e il Giappone

• L’aumento conseguente delle quotazioni del greggio causò una marcata flessione
della domanda mondiale, specialmente nei paesi OCSE, inducendo alcuni paesi
esterni all’OPEC ad accrescere l’offerta di petrolio. Ciò indebolì il controllo
dell’Organizzazione, favorendo un progressivo calo delle quotazioni

• La stasi economica nei principali paesi avanzati e l'avvio della crisi finanziaria
nel biennio 2007-2008, con la successiva drastica contrazione dell’attività
economica mondiale (2009), provocarono il rallentamento della domanda di
greggio nelle economie emergenti e il consequenziale crollo dei prezzi petroliferi
Impennata dei prezzi delle materie
prime industriali
• La decadenza economica degli anni 2000 si è cominciata a manifestare a partire
dall'incremento dei prezzi delle materie prime, alimentari e industriali

• Nel 2000 il costo del greggio (che esercita un ulteriore impatto influenzando i
prezzi di altre fonti energetiche, soprattutto il gas naturale e il carbone) subì un
aumento del 45%

• La zona euro, fortemente dipendente dalle importazioni di petrolio in percentuale


vicina al 100%, ha risentito non solo a livello produttivo, ma anche sui prezzi al
consumo, con conseguenze non indifferenti in termini di PIL, consumi privati,
investimenti e esportazioni

• I prezzi delle materie prime sono cresciuti vertiginosamente negli ultimi anni, per
poi arretrare in misura marcata a partire da metà 2008 allorché, in conseguenza
della crisi finanziaria, sono state riviste al ribasso le aspettative sulla crescita
futura della domanda. Nel gennaio 2008, il prezzo del petrolio superò i 100 dollari
al barile per la prima volta nella sua storia, continuando a salire nei mesi
successivi, fino ad arrivare ai 147 dollari a barile, in rialzo del 470%
Aumento dei prezzi dei prodotti di prima
necessità
• Dal 2008 l'incremento dei prezzi delle commodity, in particolare il rialzo del
prezzo del petrolio grezzo e di alcuni cereali, si è fatto sentire a tal punto da
cominciare a creare serie conseguenze economiche e frenare gradualmente
l'attività economica, minacciando il terzo mondo con l'aumento del rischio
della fame, producendo stagflazione e ponendo ostacoli al commercio globale (a
causa dell'aumento dei costi di trasporto, cresciuti parallelamente all'aumento del
costo del greggio). Tutto ciò causò ripercussioni dirette sul fenomeno
della globalizzazione, accanto a un'ondata generalizzata di ribassi nelle borse di
tutti i continenti

• Nel 2007, inoltre, di fronte alle prime avvisaglie della crisi dei subprime, e poi in
misura più ampia con l'esplosione della crisi, una enorme massa di liquidità
finanziaria è stata diretta all'investimento nel settore dei beni
rifugio (oro, petrolio, materie prime, prodotti alimentari), contribuendo, assieme a
fenomeni di natura climatica, come la siccità in Russia, all'aumento dei prezzi dei
prodotti di prima necessità per milioni di persone, condotte sotto la soglia di
povertà
Crisi dei subprime negli Stati Uniti 1

• La crisi imprevista dei mutui subprime, mutui a basse garanzie (perché


sottoscritti da contraenti con reddito inadeguato o con passato di insolvenze
o fallimenti) concessi dalle banche d'investimento americane (istituti che
concedevano finanziamenti chiedendo tassi d’interesse variabili e crescenti
nel tempo ottenendo una compensazione del rischio con il rendimento dei
prestiti), inizia a manifestarsi nel 2006 per scoppiare nel 2008. La crisi
raggiunse il punto di non ritorno quando i risparmiatori americani
cominciarono a non ripagare più i mutui dando avvio a un massiccio
aumento dei pignoramenti (1,7 milioni di case coinvolte nel solo 2007)

• All'origine di questo fenomeno la vertiginosa crescita del mercato immobiliare


americano (picco 2004-2006), con il forte aumento dei prezzi delle abitazioni e
la successiva espansione degli investimenti nel settore. Tale "bolla" speculativa
si espanse di pari passo col costante apprezzamento delle case
Crisi dei subprime negli Stati Uniti 2

• L'esplosione della bolla dei mutui fu amplificata dal fatto che le banche
statunitensi, al fine di ridurre l'esposizione rispetto a questi prodotti finanziari
altamente rischiosi, vendevano a terzi i mutui stessi attraverso diversi strumenti
finanziari, parcellizzandoli e riassemblandoli con altri prodotti (CDO, CMO,
CLO, ABS). In questo modo le banche scaricavano su altri soggetti
(inizialmente investitori istituzionali, ma poi anche banche e risparmiatori) i
rischi corsi concedendo tali finanziamenti. La cartolarizzazione dei mutui
subprime (ovvero la creazione di titoli garantiti dai mutui ipotecari), sempre più
diffusa, moltiplicava spesso i rendimenti in quanto chiedeva un ulteriore
rendimento ai soggetti a cui si rivendevano i derivati dei mutui secondari

• La forte svalutazione di questi strumenti innescò difficoltà gravissime in alcuni


fra i più grandi istituti di credito americani ed europei, come la britannica
Northern Rock (quinto istituto di credito inglese), e grossi istituti finanziari (la
svizzera UBS, la belga Fortis, la franco-belga Dexia e l’italiana Unicredit
Crollo delle borse e crisi di fiducia 1

• Il rapido crollo del mercato immobiliare fu reso più devastante dal graduale rialzo
del tasso di sconto operato dalla FED negli anni dell'esplosione della crisi dei
mutui. Gli Stati Uniti, l'economia più grande del mondo, entrati in una grave crisi
creditizia e ipotecaria, patirono anche lo svilimento del valore del dollaro molto
basso rispetto all'euro e ad altre valute

• Il peggioramento delle borse, segnato dalle fortissime vendite sul mercato


bancario, fu immediato. A causarlo la radicale crisi di fiducia dei depositanti e
degli azionisti verso le banche, con ondate di vere e proprie vendite da panico
(panic selling) in alcuni giorni che riportarono alla memoria crolli storici del
mercato come quelli del martedì nero 29 ottobre 1929

• La crisi dei mutui in pochi mesi colpì anche l'economia reale provocando
recessione, caduta degli investimenti e dei redditi e crollo dei consumi
Crollo delle borse e crisi di fiducia 2
Intervento del Tesoro americano sul sistema bancario e finanziario

• L'aggravarsi della crisi spinse il governo americano a intervenire, con un


corposo piano di salvataggio approvato dal Congresso degli Stati Uniti,
venendo in soccorso dei grandi istituti di credito e delle banche americane
ridotte al rischio di fallimento

• Il piano prevedeva un programma di interventi statali in più fasi nel cuore


dell'economia Usa, ponendo fine al modello economico della deregulation
reganiana

• Il piano di intervento, che all'inizio prevedeva una soglia nominale massima non
superiore ai 700 miliardi di dollari, complessivamente ammontò a 7.700 miliardi
di dollari. Tale quantitativo di liquidità venne immesso sul mercato bancario a tassi
vicino alla zero dalla Federal Reserve, a sostegno delle banche non solo americane,
ma anche europee (come Royal Bank of Scotland e UBS) durante il biennio di crisi
2007-2009
Crollo delle borse e crisi di fiducia 3
La bancarotta di Lehman Brothers

• Il fallimento di Lehman Brothers fu il più grande della storia degli Stati Uniti e
fece precipitare nel panico le borse mondiali con effetti devastanti sull'intero
sistema economico-finanziario mondiale. Prima che Lehman Brothers annunciasse
bancarotta la Federal Reserve e il governo americano avevano cercato di pattuire
l'acquisizione della banca d'affari da parte di Barclays o di Bank of America, che
tuttavia avevano opposto il loro rifiuto al tentativo di fusione

• La logica del too big to fail in questa circostanza non venne rispettata

• Le agenzie di rating, nonostante la condizione di serio dissesto dell'istituto,


mantennero rating più che discreti sul titolo Lehman Brothers fino al giorno della
bancarotta ("A" Standard & Poor's, "A2" Moody's, A+ Fitch)

• Come conseguenza immediata del fallimento, in una sola giornata le borse mondiali
videro cancellati 1.200 miliardi di dollari di capitalizzazione (quasi 900 miliardi di
euro), oltre l’intera capitalizzazione della sola borsa di Milano, mentre le perdite
europee complessive si attestarono a 125 miliardi
Parole chiave della lezione

• GRANDE BOLLA IMMOBILIARE (CRISI DEI


SUBPRIME)

• RECESSIONE

• DEBITI SOVRANI

• FINANZIARIZZAZIONE DELL’ECONOMIA

• INDEBITAMENTO DELLE FAMIGLIE


Lezione

“LA CRISI ECONOMICA


2008-2014 II”
Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


I partecipanti alla lezione saranno in grado di conoscere e identificare i principali
avvenimenti e concetti economici e sociali collegati alla crisi iniziata nel 2007/2008 -
e tuttora in corso - nonché di identificare e descrivere i meccanismi generali e
specifici che sono stati alla base delle misure economiche drastiche che sono state
adottate in USA, in Europa ed in Italia

Contenuti
• Effetti della crisi finanziaria nel mondo; Conseguenze nel mondo
• Le conseguenze sociali della crisi; Crisi dei debiti sovrani; Crisi greca
• Piano di salvataggio greco ed europeo
• Crisi del debito italiano
• Tagli di rating e intervento della BCE a sostegno del sistema bancario
• Piani di acquisto eccezionali da parte delle banche centrali
• Meccanismo europeo di stabilità
Effetti della crisi finanziaria nel mondo

Nella prima metà del 2008 si assistette a un rallentamento deciso delle principali
economie mondiali e all'aumento repentino dell'inflazione, che sarebbe stata spinta
dall'aumento dei prezzi delle commodity, anche se altri studi affermano che i prezzi più
elevati delle materie prime non avrebbero generato ripercussioni consistenti
sull’inflazione. La parte finale dell'anno vide il manifestarsi di una pesante recessione,
seguita all'aggravarsi, dopo l'estate, della crisi finanziaria e creditizia. Sintomo della
grave situazione di crisi l'abbassamento in picchiata dei prezzi delle materie prime e
del greggio, che scese fino a toccare i 40 dollari al barile

Il fallimento di Lehman Brothers (prestigiosa banca d’affari USA) e l'aggravarsi della


crisi finanziaria e economica, spinse le principali banche centrali, tra cui la BCE e la
FED (dopo aver in estate scelto di non operare ribassi dei tassi d'interesse per
contrastare l'alta inflazione) a intervenire riducendo i tassi di sconto e immettendo
grosse dosi di liquidità a sostegno del sistema bancario al fine di evitare una crisi del
credito, come non era mai stato fatto dai tempi del dopoguerra
Crescita del prezzo del petrolio tra il 1987 e il 2011
Conseguenze nel mondo 1

• La bolla immobiliare americana ed il successivo fallimento di Lehman


Brothers provocarono ripercussioni economiche a livello mondiale. La
produzione industriale in Europa, a partire dall'autunno del 2008, calò
bruscamente, per ridursi ulteriormente l'anno successivo con una pesante
recessione che colpì l'intero mondo occidentale

• Le economie emergenti (Cina, India, Brasile) accusarono solo lievi o poco


consistenti flessioni del PIL
• L'economia cinese vide ridotta la crescita dal 13 al 9% con una riduzione
dell'export, mentre i consumi privati mantennero un buon livello
• Anche l'Europa orientale, che pure aveva sperimentati tassi di crescita sostenuti,
conobbe grosse difficoltà legate soprattutto alla frenata della domanda della
Germania, maggior partner delle economie della zona. Particolarmente colpiti
furono i paesi dell'area baltica
• La Russia mantenne invece un dinamismo costante con uno sviluppo complessivo
nel 2008 del 5,6%, venendo penalizzata soprattutto nella seconda parte dell'anno
dalla caduta del prezzo del petrolio e dalla svalutazione del rublo
Conseguenze nel mondo 2

• Il Pil degli Stati Uniti sul finire dell'anno, nel quarto trimestre, si contrasse del
6,3% , mentre la produzione industriale si ridusse complessivamente nel 2008 del
2,2% e la disoccupazione passò dal 4,9 al 7,2. Segnali ugualmente negativi si
ebbero per i prezzi al consumo e quelli del mercato immobiliare, che raggiunse
livelli minimi mai raggiunti

• Nel periodo ottobre-dicembre il Pil del Giappone, sebbene la sua economia fosse
meno esposta rispetto alle turbolenze del settore finanziario, si ridusse del 3,2%; a
fine anno il saldo della bilancia dei pagamenti fu negativo per la prima volta
dal 1996

• Anche il Regno Unito, ugualmente esposto alla crisi del settore immobiliare e
bancario come gli Stati Uniti, risentì di un forte rallentamento dell'economia con
una crescita nel 2008 dello 0,7% rispetto al 3% dell'anno precedente. La Bank of
England nel tentativo di contenere l'inflazione diminuì per ben 5 volte nel 2008 i
tassi di riferimento (dal 5,5 al 2%)
Le conseguenze sociali della crisi

• La rete di protezione sociale sviluppata dopo la crisi del 1929 - principale


discriminante in termini di ripercussioni sociali - negli stati più avanzati ha
segnato la differenza di incidenze della grande fase di contrazione dell'economia
nel mondo occidentale sulla condizione dei redditi delle famiglie

• L'impatto di breve periodo, tenuto conto della caduta dell’attività produttiva,


sarebbe stato complessivamente contenuto

• Ciò nonostante, soprattutto nelle famiglie con figli (ove il


capofamiglia ha meno di 40 anni e soprattutto tra i 40 e i 64 anni),
la condizione di povertà si sarebbe aggravata; i redditi lordi dei
lavoratori autonomi sono calati repentinamente, mentre i redditi dei
pensionati e quelli dei lavoratori dipendenti avrebbero continuato
lungo i rispettivi trend pre-crisi, cioè comunque con lenta ma
costante diminuzione di potere d'acquisto reale
Crisi dei debiti sovrani

• La crisi economica apparve ulteriormente aggravata dalla crisi dei


debiti pubblici di alcuni stati europei (Grecia, Irlanda, Spagna,
Portogallo, Italia, Cipro, Slovenia), i cui piani di salvataggio
finanziario furono volti a scongiurare il rischio di insolvenza
sovrana (default), con effetti che si rilevarono tuttavia
ulteriormente recessivi per l'economia reale. Questi piani furono
subordinati all'accettazione di misure di politica di
bilancio restrittive sui conti pubblici (austerity) basate su riduzioni
di spesa pubblica e aumenti delle imposte
Crisi greca

• A ottobre 2009 il nuovo governo a guida socialista di George


Papandreou rese noto che il deficit di bilancio nel 2009 avrebbe
raggiunto il 12,7% del Pil: più del triplo di quanto previsto
dall'amministrazione precedente. Il governo Karamanlis aveva
nascosto un buco di bilancio nei conti di Atene sconosciuto alle
autorità europee. Gli effetti di tale annuncio, avvenuto in
concomitanza con la crisi del settore immobiliare a Dubai e l’avvio
della discussione su una futura exit strategy da parte della BCE, si
concretizzarono nel declassamento dell'affidabilità finanziaria
della Grecia sul suo debito da parte delle maggiori agenzie di
rating, suscitando forti preoccupazioni circa la possibilità
di default della Grecia
Crisi greca

• Papandreou promise un rientro del deficit greco al 3% del Pil (entro


i parametri di Maastricht) in quattro anni. Tuttavia la scoperta di
un debito pubblico superiore al 120% del Pil, con un deficit intorno
al 13%, un'economia sommersa pari a un quarto del PIL mise in
discussione le rassicurazioni del governo greco
Piano di salvataggio greco ed europeo

• Il 2 maggio 2010 venne varato un finanziamento da 110 miliardi di


euro, in cambio di forti interventi di austerità da parte del governo
greco, appoggiato dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario
Internazionale
• Dopo un venerdì terribile, l'8 maggio, i
vertici ECOFIN annunciarono il lunedì successivo la creazione di
un fondo europeo da circa 750 miliardi di euro per il sostegno
dell’Eurozona. Il piano prevedeva, per la prima volta nella storia
dell'Europa, prestiti bilaterali dagli stati della zona euro per 440
miliardi, 60 di fondi del bilancio Ue e fino a 250 miliardi di
contributi prestati dal FMI (pari a un terzo del totale), nonché la
possibilità di intervento della BCE, in grado agire sul mercato
secondario dei titoli di stato acquistando obbligazioni pubbliche
Crisi del debito italiano

• Crisi del debito italiano scatenata da tre ragioni combinate: 1) l'alto livello del
debito pubblico, in rapporto al PIL; 2) la scarsa o assente crescita economica, con
il prodotto interno lordo aumentato in termini reali solo del 4% nel decennio 2000-
2010; 3) la scarsa credibilità dei governi, e del sistema politico, spesso apparso
privo di decisione o tardivo nell'affrontare le emergenze del paese agli occhi degli
osservatori internazionali e degli investitori

• L'indebitamento estero del settore privato (soprattutto verso i paesi centro-europei,


cresciuto con l'adesione all'UEM), l'impossibilità di ricorrere
alla svalutazione della moneta (proibita dagli accordi di Maastricht) per stimolare
la competitività delle esportazioni, il forte deficit della bilancia commerciale, cui
va aggiunto il dato dell'enorme quantità di debito pubblico pregresso (aumentato
inoltre tra 2008 e 2011 del 7%), indussero molti investitori, soprattutto esteri, a
nutrire sfiducia verso la capacità dell'Italia di essere solvibile, provocando un
deflusso di investimenti e un ritiro improvviso dei capitali (con conseguente
impennata dei tassi di interesse sui titoli di stato)
Dati della crisi comparati

Percentuali di deficit/surplus (blu), debito (verde) e Pil (arancio) di Irlanda, Portogallo, Spagna, Grecia e
Italia, confrontati con quelli di UE, Eurozona, Regno Unito e Germania [dati 2009]
Situazione del debito pubblico UE
Debito pubblico, 2010 e 2011
(debito lordo consolidato delle amministrazioni pubbliche, % del Pil) - Fonte: Eurostat
Tagli di rating e intervento della BCE a
sostegno del sistema bancario 1
• Nella notte del 20 settembre 2011 l'agenzia internazionale di rating
Standard & Poor's annunciò, a sorpresa, la decisione di tagliare il
voto di affidabilità sul debito pubblico italiano, con prospettive
future negative, a motivo della "limita capacità di risposta dello
stato" rispetto alla crisi corrente

• A fine novembre lo spread continuò a crescere, giungendo alla


soglia dei 495 punti, con il titolo triennale che sfiorò. Sotto le
pressioni di Piazza Affari in caduta e dei rendimenti dei titoli
italiani in costante ascesa, il premier Silvio Berlusconi, infine, nella
serata del 12 novembre, rassegnò le proprie dimissioni
dall'esecutivo. Il neo senatore Mario Monti accettò l'incarico di
formare un nuovo governo, composto esclusivamente di tecnici
Tagli di rating e intervento della BCE a
sostegno del sistema bancario 2

• Il 13 gennaio 2012 Standard's & Poor's declassò ulteriormente il rating italiano


portandolo da A a BBB+, collocandolo nella posizione medio-bassa della scala di
giudizio relativa alla solvibilità. Lo stesso giorno la medesima agenzia sottrae di
un punto il rating di livello massimo della Francia e dell'Austria (portandoli ad
AA+), decurtando ulteriormente anche quelli
di Portogallo (BB), Malta, Slovacchia e Slovenia. L'agenzia emise la decisione
motivandola con la condizione di persistente instabilità nella zona euro

• All'inizio del 2012, dopo la manovra di 20 miliardi di euro attuata dal governo
Monti allo scopo di consolidare le finanze dello stato, si assisteva a un
miglioramento dell’opinione dei mercati, che vide calare in modo consistente i
costi dell’indebitamento italiano in una serie di aste del debito sovrano con buone
sottoscrizioni. Lo spread, risalito tra dicembre e gennaio, andò incontro a una
progressiva riduzione fino al mese di marzo, contestualmente all'attenuarsi del
timore su un possibile default greco
Piani di acquisto eccezionali da parte delle banche centrali
Piani di sostegno ai debiti europei e agli istituti di credito

• Il 16 agosto 2011, di fronte al precipitare della situazione, la BCE


annunciò l'attuazione di un intervento massiccio sul mercato
obbligazionario, ricorrendo all'acquisto dei titoli europei più
esposti alle vendite e alla speculazione. L'intervento della Bce
(Securities Markets Programme), costituì un mutamento importante
del ruolo dell'istituzione responsabile della politica monetaria
dell'eurozona, rispetto alla precedente convinzione che dovesse
essere demandata principalmente ai governi nazionali la
responsabilità del contenimento degli squilibri interni.
• Nel successivo 2012 le operazioni di quantitative
easing (operazione volta ad aumentare la quantità di moneta in
circolazione attraverso l’acquisto di titoli) da parte delle banche
centrali si intensificarono, non solo per iniziativa della BCE
Meccanismo europeo di stabilità

• Nel giugno 2012 il Consiglio Europeo deliberò di implementare


l'utilizzo del MES-Meccanismo Europeo di Stabilità come copertura
dai rischi di rifinanziamento degli stati e di fare del MES un
meccanismo di preservazione dall'aumento incontrollato dei
rendimenti dei titoli pubblici, attribuendo agli stessi la funzione di
intervenire acquistando per conto della BCE titoli di debito pubblico
sul mercato secondario, a condizione che il paese richiedente
sottoscrivesse un documento di intesa e si impegnasse a rispettare
severe condizioni
Parole chiave della lezione

• ABBASSAMENTO DEL COSTO DELLE


MATERIE PRIME

• RIDUZIONE DEL TASSO DI SCONTO

• CRISI DEL DEBITO ITALIANO

• BOLLA IMMOBILIARE AMERICANA

• PIANO DI SALVATAGGIO PER L’EUROZONA


Lezione

“AGENZIE DI RATING”
Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


Al termine della lezione i partecipanti saranno in grado di conoscere e
identificare i principali concetti collegati alle modalità di
funzionamento delle agenzie di rating/valutazione nonché di
identificare e descrivere i limiti entro i quali esse operano; i
partecipanti avranno inoltre appreso i meccanismi del rating, con
particolare riferimento a quello delle banche ed al rischio dei loro
prodotti
Contenuti
• Premessa introduttiva; Le maggiori agenzie di rating
• Comparabilità di scale di rating diverse; Guida al rating
• Rating delle banche e rischio dei loro prodotti di conto
Premessa

Le agenzie di rating (o di valutazione) più conosciute ed influenti sono Moody’s,


Standard & Poor’s e Fitch Ratings, tutte nate all’inizio del ‘900, con l’obiettivo di
affrontare il problema dell’asimmetria informativa presente sul mercato
finanziario ed agevolando così le decisioni di investimento

Negli ultimi anni sono stati sollevati dubbi sull’operatività e obiettività di queste
agenzie, su vicende come Enron, Parmalat o Lehman Brothers, o dai problemi causati
alle finanze pubbliche ed all’economia degli Stati i cui debiti pubblici sono stati
declassati

Inoltre rischio di aggiotaggio a causa delle informazioni di cui sono in possesso e


dell’utilizzo che ne possono fare

Data la delicatezza del loro ruolo, le agenzie di rating sono soggette a vigilanza. La
normativa europea prevede che la vigilanza delle agenzie di rating spetti alle autorità
competenti dello Stato membro di origine (in Italia la Consob)
La maggiori Agenzie di rating:
Moody’s

• Moody’s Corporation è stata fondata a New York nel 1909 da John


Moody. Da quando lo stesso John Moody ideò, più di un secolo fa, il
primo sistema di valutazione dell’affidabilità creditizia delle
obbligazioni emesse dalle imprese ferroviarie degli Stati Uniti, il
sistema di rating di Moody’s è andato evolvendosi in risposta al
crescere della complessità e dell’ampiezza dei mercati finanziari
mondiali. Si tratta della maggiore agenzia di rating al mondo, con una
quota di mercato del 40% (contro il 39% di Standard & Poor’s)
Moody’s: Rating di lungo termine

RATING DESCRIZIONE
MOODY’
S
Da Aaa Debito di qualità più alta, con rischio creditizio minimo
a A3 Debito di qualità medio-alta e soggetto a basso rischio creditizio
Da Baa1 Debito soggetto a rischio creditizio moderato. È considerato
debito di livello medio e potrebbe possedere un grado di
speculazione creditizia
a B3 Debito speculativo e soggetto ad elevato rischio creditizio
Da Caa1 Debito di bassa levatura e soggetto ad alto rischio creditizio
a C Debito con il livello inferiore di obbligazioni, è in genere in
default, con bassa prospettiva di recupero del capitale e degli
Moody’s: Rating di breve termine

RATING DESCRIZIONE
MOODY’S

P-1 L'emittente valutato Prime-1 ha capacità superiore di ripagare il debito


obbligazionario di breve termine

P-2 L'emittente valutato Prime-2 ha una forte capacità di ripagare il debito


obbligazionario di breve termine

P-3 L'emittente valutato Prime-3 ha una capacità accettabile di ripagare il


debito obbligazionario di breve termine

NP L'emittente valutato Not Prime non cade in nessuna delle categorie di


valutazione Prime
Moody’s
Rating «Solidità Finanziaria» banche

RATING DESCRIZIONE
MOODY’S
A La banca possiede una solidità finanziaria intrinseca superiore, con
un'operatività prevedibile e stabile
B La banca possiede un'elevata solidità finanziaria, con un livello di
operatività prevedibile e stabile
C La banca possiede un'adeguata solidità finanziaria, con un livello di
operatività meno prevedibile e meno stabile
D La banca dimostra di avere una solidità finanziaria modesta,
necessitando potenzialmente di supporto esterno
E La banca dimostra di avere una solidità finanziaria molto modesta, con
un livello di operatività molto imprevedibile e instabile
Standard & Poor’s: Rating di lungo termine

RATING DESCRIZIONE
STANDAR
D&
POOR’S
Da AAA Eccellenti capacità di onorare le obbligazioni assunte
a A- Buone capacità di rispettare gli obblighi finanziari, ma in
qualche modo sono maggiormente suscettibili ai
cambiamenti delle circostanze e delle condizioni
economiche, rispetto agli obbligati con un rating migliore
Da BBB+ Adeguate capacità di rispettare gli obblighi finanziari.
Tuttavia, condizioni economiche avverse o cambiamenti
delle circostanze sono più facilmente associabili ad una
minore capacità di adempire agli obblighi finanziari assunti
Standard & Poor’s

Standard & Poor’s Corporation (S&P) è un’agenzia di rating


americana fondata nel 1941. Esprime ogni anno 870.000 giudizi
analizzando complessivamente un debito pari a 35.000 miliardi di
dollari, più del doppio del Pil degli Stati Uniti (la sua quota del mercato
delle valutazioni è pari al 39%, contro il 40% di Moody’s e il 16% di
Fitch). Standard & Poor’s classifica la capacità di credito usando scale
standardizzate di valutazione diverse in funzione dell’orizzonte
temporale rispetto al quale la capacità viene valutata
Standard & Poor’s: Rating di breve termine

RATING DESCRIZIONE
STANDA
RD &
POOR’S
Da A-1 La capacità dell'emittente di far fronte ai propri impegni
finanziari è forte
C Attualmente vulnerabile al non pagamento a causa di
condizioni finanziarie ed economiche per il debitore di far
fronte ai propri impegni finanziari
a D L'impresa è in default
Fitch Ratings

Fitch Ratings è un’agenzia internazionale di rating fondata nel 1913 a


New York da John Knowles Fitch. Ha due quartieri generali, uno a
New York e uno a Londra. È la più piccola delle tre grandi agenzie di
rating, con una quota di mercato del 16%. Anche Fitch classifica la
capacità di credito usando scale standardizzate di valutazione diverse in
funzione dell’orizzonte temporale rispetto al quale la capacità viene
valutata
Fitch Ratings: Rating di lungo termine

RATING DESCRIZIONE
FITCH

Da AAA Valutazione che denota il più basso rischio creditizio.


Viene assegnata solo in caso di capacità estremamente
elevata di far fronte a agli impegni finanziari e indica
che la probabilità di ripagamento del debito è quasi per
nulla influenzata da avvenimenti e condizioni esterne
CCC Valutazione che indica possibilità di rischio di default
C Valutazione che indica un rischio di default imminente
a D Valutazione che indica un emittente che ha dichiarato
bancarotta, amministrazione controllata o qualsiasi altra
forma di liquidazione giudiziale
Fitch Ratings: Rating di breve termine

RATING DESCRIZIONE
FITCH

Da F1+ Valutazione che indica la più elevata capacità di intrinseca


di rispettare le scadenze di pagamento del debito; il segno
"+" denota una capacità eccezionale di far fronte agli
impegni finanziari
F1 Valutazione che indica la più elevata capacità di intrinseca
di rispettare le scadenze di pagamento del debito
C Valutazione che denota una concreta possibilità di default
a D Valutazione che indica un ampio default di un emittente o di
un'obbligazione
Comparabilità di scale di rating diverse

• Distinzione tra rating di breve e lungo periodo: nell’ambito degli investimenti


finanziari, il primo copre un orizzonte temporale inferiore all’anno, mentre quello
di lungo periodo si riferisce a un orizzonte temporale superiore ad un anno

• Nonostante i rating di breve e lungo periodo siano anche concettualmente diversi,


esiste comunque un collegamento tra i due, che coniuga il fabbisogno intrinseco di
liquidità di breve termine con la valutazione del profilo creditizio di lungo termine
e che rende improbabile che le due scale si contraddicano per un determinato
emittente

• In corrispondenza di uno stesso orizzonte temporale possono poi essere emessi


rating diversi, e su scale diverse, da parte di agenzie diverse. Esiste però in
generale un collegamento fra i rating emessi da agenzie diverse: a meno che una
delle agenzie non sbagli valutazione, i loro valori dovrebbero essere abbastanza
allineati per cui, in generale, è possibile definire delle corrispondenze fra le scale
delle diverse agenzie di rating
Guida al rating 1

• Il rating è un giudizio di sintesi sul grado di affidabilità dell’impresa utilizzato per


valutare il grado di rischio di titoli finanziari

• Esso sintetizza il merito creditizio dell’emittente, ed indica se l’obbligazione


(o un altro strumento finanziario di debito), verrà ripagata secondo i termini
contrattuali. Esprimendo un giudizio sul merito creditizio, in sostanza
esprime un giudizio sul rischio dell’emittente stesso

• È una valutazione su una scala predeterminata, generalmente espressa in lettere


e/o simboli, emessa da apposite agenzie, che valuta la solvibilità di un ente e la
sua capacità di ripagare il debito

• Al diminuire del rating aumenta il premio per il rischio richiesto e l’emittente


deve quindi pagare uno spread maggiore – differenziale maggiore - rispetto al
tasso che sarebbe richiesto in assenza di rischio
Guida al rating 2

• Le agenzie di rating possono emettere valutazioni autonomamente, senza bisogno


di mandato da parte dell’ente valutato, e solitamente lo fanno per gli Stati sovrani
e per le aziende di maggiore dimensione: l’emissione del rating aumenta il
prestigio dell’agenzia, che non può permettersi di non analizzare determinati enti
emittenti debito

• Le aziende di dimensione minore, invece, se vogliono essere analizzate devono


fare richiesta esplicita ad una delle agenzie di rating; lo fanno nei casi in cui
devono rivolgersi al mercato per finanziarsi oppure nel caso in cui il rating viene
considerato molto importante dai propri stakeholder

• Ottenuto l’incarico, l’analista dell’agenzia comincia ad studiare le informazioni


pubbliche dell’ente analizzato, studia i fondamentali economici e finanziari, ed
incontra i manager per raccogliere le informazioni a lui necessarie. Terminato
questo lavoro, entra in gioco un comitato dell’agenzia, ovvero un organo
collegiale, che valuta il materiale raccolto ed esprime un giudizio sintetico sotto
forma di rating
Rating delle banche e rischio dei loro
prodotti di conto 1

• È piuttosto difficile valutare il rischio di un’impresa in generale, e di una banca in


particolare. Per farlo si dovrebbero analizzare tutte le informazioni pubbliche
disponibili, ma non si tratta di un lavoro facile, e di sicuro non alla portata dei
piccoli risparmiatori. Si tratta tra l’altro proprio del lavoro che svolgono
le agenzie di rating, per cui, nonostante i dubbi che sono stati sollevati sulla
qualità dei giudizi emessi da queste società, le loro valutazioni sono comunque
i migliori giudizi su cui i piccoli risparmiatori possano far affidamento per
valutare il rischio di credito delle banche

• Quindi, ove disponibile, il rating è sicuramente un elemento da prendere in


considerazione se si voglia valutare il rischio di una banca. Problemi cominciano
a nascere se la particolare banca cui si è interessati non sia soggetta a rating: in
quei casi per valutare il rischio di credito della banca si può far affidamento solo
alla lettura di bilanci e di notizie che la possano riguardare
Rating delle banche e rischio dei loro
prodotti di conto 2

La banca non avrebbe interesse ad essere valutata o a rendere pubblica


la propria valutazione, in due casi diametralmente opposti:
1. se ha una buona situazione della liquidità e quindi non ha
particolare interesse ad accedere al mercato del credito (situazione
rassicurante per il risparmiatore)
2. se si trova in cattive acque e la comunicazione del suo rating
potrebbe addirittura rendere più difficile l’accesso al credito
(situazione allarmante per il risparmiatore)
Parole chiave della lezione

• RATING O VALUTAZIONE

• VALUTAZIONE DEL MERITO CREDITIZIO

• ASIMMETRIA INFORMATIVA

• AGGIOTAGGIO

• RATING DELLE BANCHE


Lezione
“CENTRALE RISCHI”
Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


Al termine della lezione i partecipanti saranno in grado di conoscere e identificare i
principali meccanismi di funzionamento della Centrale Rischi, le sue modalità di
funzionamento e saranno altresì in grado di identificare e descrivere le modalità degli
accertamenti ispettivi, i limiti di censimento dei rischi e le modalità di utilizzo della
Centrale Rischi da parte delle Banche

Contenuti
• Obiettivi della Centrale Rischi
• Responsabilità degli intermediari
• Accertamenti ispettivi
• Come funziona la Centrale Rischi
• Le categorie di censimento dei rischi e i limiti
• L’utilizzo della Centrale Rischi da parte delle Banche
Premessa

La Centrale dei Rischi è un sistema informativo, voluto da Banca


d’Italia, per rappresentare l’indebitamento della clientela di banche e
intermediari finanziari; un enorme contenitore di informazioni e dati,
costantemente aggiornati

La Centrale dei Rischi, consente:


• al sistema creditizio e finanziario, il miglioramento dei livelli di
concorrenza, efficienza e stabilità
• ai singoli intermediari, un più efficiente impiego delle risorse e una
migliore qualità dei portafogli
• alla clientela meritevole, un più agevole accesso al credito in termini
di quantità e costo dei servizi
Obiettivi della Centrale Rischi

• Negli anni la Centrale dei Rischi è diventata un fondamentale e


imprescindibile strumento di valutazione del rischio degli
affidamenti capace di riflettere la maggior parte dei fattori che si
devono monitorare di un’impresa quando la si deve affidare (o
riaffidare) o revocarle il fido

• Le banche, utilizzando i dati della Centrale dei Rischi, possono


migliorare la qualità del portafoglio crediti, impiegando così in
modo più efficiente le loro risorse. I benefici, per la clientela
meritevole, sono rappresentati da un più agevole accesso al credito
Responsabilità degli intermediari

• Gli intermediari sono tenuti a comunicare, ogni mese, alla Banca d’Italia i rapporti
di credito e/o di garanzia con la propria clientela. Nel corso del mese, gli
intermediari comunicano tempestivamente alla Centrale dei Rischi le
informazioni:
• sul passaggio a sofferenza, l’estinzione della sofferenza e sulla
ristrutturazione di una o più linee di credito, che hanno interessato la propria
clientela
• la regolarizzazione dei ritardi di pagamento relativi ai singoli finanziamenti
a scadenza e il rientro degli sconfinamenti persistenti da più di 90 giorni
riguardanti finanziamenti revolving

• Gli intermediari segnalano l’intera posizione nei confronti del singolo cliente se, a
fine mese, è pari o superiore a 30 mila euro. I crediti in sofferenza e i passaggi a
perdita di sofferenze vanno, comunque, segnalati a prescindere dall’importo
Centrale Rischi secondo
la Banca d’Italia

• Al servizio centralizzato dei rischi partecipano le banche e gli


intermediari finanziari i quali esercitano in via esclusiva o
prevalente l'attività di finanziamento. Gli intermediari partecipanti
sono tenuti a segnalare mensilmente alla Banca d'Italia la posizione
debitoria di cui risulta titolare ciascun cliente quando la stessa superi
prefissati limiti d'importo (euro 30.000 da gennaio 2009) o sia a
«sofferenza»

• La Banca d'Italia gestisce in proprio il servizio centralizzato dei


rischi. I soggetti interessati hanno diritto a conoscere le informazioni
registrate a loro nome nelle anagrafi della Centrale dei rischi,
richiedendole direttamente al soggetto finanziatore o alle filiali della
Banca d'Italia
Accertamenti ispettivi

• Le ispezioni concernenti il servizio centralizzato dei rischi vengono


condotte, di norma, in concomitanza con quelle generali di
vigilanza e sono volte alla verifica dell’attendibilità del sistema
informativo, dell’efficacia dei controlli interni e dell’affidabilità
delle segnalazioni

• La violazione delle disposizioni concernenti il servizio di


centralizzazione dei rischi emanate dal CICR-Comitato
Interministeriale per il Credito e il Risparmio e dalla Banca d’Italia
può comportare l’irrogazione delle sanzioni amministrative
pecuniarie secondo la normativa del T.U.F. (Testo Unico della Finanza)
Diritto alla conoscenza della propria
Centrale dei Rischi

I dati della Centrale dei Rischi sono riservati rispetto ai terzi

Pertanto ogni soggetto ha diritto di avere conoscenza della


propria Centrale dei Rischi, per cui non trova alcuna
giustificazione l’eventuale rifiuto apposto dall’intermediario
finanziario, alla consegna delle risultanze della Centrale dei
Rischi del soggetto che la richiede
Come funziona la Centrale Rischi

Ogni intermediario è tenuto a comunicare mensilmente la posizione di


rischio di ciascun cliente

La Centrale dei Rischi fornisce agli intermediari partecipanti un flusso


di ritorno riportante tra l’altro:
– I dati anagrafici e la posizione globale di rischio verso il sistema
creditizio di ciascun cliente segnalato, determinata sommando
tutte le segnalazioni inoltrate a suo nome dagli intermediari
– Il numero delle richieste di prima informazione pervenute negli
ultimi sei mesi e non seguite da segnalazione di rischi, motivate
dall’avvio di un’istruttoria propedeutica all’instaurazione di un
rapporto creditizio
Le categorie di censimento dei rischi
e le classi di dati
• Le posizioni di rischio sono comunicate alla Centrale dei Rischi, secondo uno
schema che prevede cinque sezioni quali:
• Crediti per cassa - Rischi autoliquidanti, a scadenza (mutui), a revoca (c/c),
finanziamenti a procedura concorsuale, sofferenze
• Crediti di firma - Accettazioni, impegni di pagamento, avalli, fidejussioni, altre
garanzie rilasciate dagli intermediari
• Garanzie ricevute - Garanzie reali e personali rilasciate agli intermediari dalla
propria clientela
• Derivati finanziari - Swaps, Opzioni
• Sezione informativa - Operazioni effettuate per conto terzi, operazioni in pool,
crediti scaduti, sofferenze

• Ogni categoria di censimento è a sua volta suddivisa in otto classi di dati:


• 1. Accordato; 2. Accordato operativo; 3. Utilizzato; 4. Saldo medio; 5. Valore
garanzia; 6. Importo garantito; 7. Valore intrinseco; 8. Altri importi
Limiti di censimento

Gli intermediari sono tenuti a segnalare l'intera esposizione nei confronti del singolo
cliente se, alla data cui si riferisce la rilevazione, ricorre almeno una delle seguenti
condizioni:
- la somma dell'accordato ovvero quella dell'utilizzato del totale dei crediti per
cassa e di firma è d'importo pari o superiore a 30.000 €
- il valore delle garanzie ricevute complessivamente dall'intermediario è
d'importo pari o superiore a 30.000 €
- il valore intrinseco delle operazioni in derivati finanziari è pari o superiore a
30.000 €;
- la posizione del cliente è in sofferenza
- l'importo delle operazioni effettuate per conto di terzi è pari o superiore a
30.000 €
- il valore nominale dei crediti acquisiti per operazioni di factoring, sconto di
portafoglio pro soluto e cessione di credito è pari o superiore a 30.000 €
- sono stati passati a perdita crediti in sofferenza di qualunque importo
L’utilizzo della Centrale Rischi
da parte delle banche 1
Gli Istituti di credito utilizzano le informazioni provenienti dalla Centrale dei Rischi,
in diverse fasi del ciclo di vita del credito quali:
• Valutazione del merito di credito della clientela
• Analisi dell’evoluzione della qualità del credito
• Costruzione di sistemi previsionali per la valutazione del merito di credito

In generale le analisi effettuate dagli Istituti di credito sulle informazioni provenienti


dalla Centrale dei Rischi riguardano:
• Composizione qualitativa e quantitativa del debito bancario
• Comportamento di utilizzo delle fonti di finanziamento
• Caratteristiche delle garanzie prestate
• Assetto delle relazioni inter societarie
L’utilizzo della Centrale Rischi
da parte delle banche 2
Un esempio-In fase di avvio dell’istruttoria le informazioni utilizzate potrebbero
essere:
• Presenza di segnalazioni di sofferenza
• Presenza di sconfinamenti ricorrenti sulle linee di credito, ed in particolare sulle
operazioni a medio-lungo termine (non si pagano delle rate) o sulle operazioni a
scadenza (non si onorano i tempi di rimborso)
• Presenza di garanzie reali diverse da ipoteca (verificare la natura dell’operazione)
• Presenza di operazioni in derivati che evidenziano perdite significative
• Presenza di Monte Fidi dichiarato dal cliente diverso da quanto riscontrato nella
Centrale Rischi. sia come importi, che come numero di istituti relazionanti

Successivamente gli Istituti procedono a raffrontare la Centrale Rischi con i dati di


bilancio:
• Coerenza fra il Monte Fidi accordato e l’utilizzato
• Coerenza fra le linee di credito utilizzate e l’attività del cliente, ecc.
Una buona gestione della
Centrale Rischi 1

Per le imprese che vogliono accedere al credito, è pertanto necessario


presentarsi con una Centrale Rischi “in ordine”
Per ottenere questo risultato può essere utile seguire i seguenti consigli:
• Controllare i saldi banche

• Richiedere e controllare la propria Centrale Rischi

• Richiedere affidamenti adeguati alle proprie esigenze

• Effettuare un’attenta pianificazione finanziaria


Una buona gestione della
Centrale Rischi 2
• Evitare gli sconfinamenti

• Evitare lo scaduto persistente (past due) - Tecnicamente sono i


crediti scaduti in via continuativa da oltre 90/180 gg. E’ importante
relazionarsi con la banca (soprattutto quando si hanno incassi dalla
P.A.), per negoziare il numero di giorni, raggiunti i quali, il credito si
considera scaduto con conseguente segnalazione

• Evitare i crediti scaduti impagati (insoluti) - Gli insoluti


confluiscono infatti nei rischi a revoca, e potenzialmente possono
generare uno sconfinamento in questa categoria, oltre a
caratterizzare in maniera negativa il rapporto andamentale
Una buona gestione della
Centrale Rischi 3

• E’ evidente che una buona gestione della Centrale Rischi passa


necessariamente attraverso una corretta pianificazione economico e
finanziaria, e una scelta delle ottimali forme di finanziamento in
funzione degli specifici utilizzi

• Una misurazione ex-ante dei rischi finanziari in cui l’impresa può


incorrere, e una definizione del relativo margine di sicurezza, può
quindi contribuire affinché la “fotografia scattata” dalla Centrale
Rischi ogni fine mese, fornisca una rappresentazione della posizione
dell’azienda verso il sistema bancario, che non sia di ostacolo
all’erogazione di nuovo credito
Parole chiave della lezione

• INFORMAZIONI BANCARIE

• VALUTAZIONE DEL RISCHIO

• SEGNALAZIONI SULLA CLIENTELA

• SCONFINAMENTI SUI FIDI

• CORRETTA PIANIFICAZIONE ECONOMICO-


FINANZIARIA
Lezione

“CORPORATE GOVERNANCE”
Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


I partecipanti alla lezione saranno in grado di conoscere e identificare i
principali concetti legati al governo delle società e saranno altresì
capaci di collegare il problema del controllo della società con quello
della razionalità e dell’efficienza gestionale, sapendo distinguere ruoli e
compiti degli azionisti rispetto a quelli dei manager
Contenuti
• Introduzione e principi generali della corporate governance
• Teoria degli azionisti
• L’importanza della corporate governance per l’economia d’impresa
• L’attuale dibattito sulla corporate governance
• La corporate governance secondo la borsa italiana
Introduzione

La corporate governance definisce “il modo in cui le imprese sono


governate e controllate” ovvero il complesso di regole destinate a
migliorare l’attività di governo e di controllo dell’impresa e accrescerne
la performance

Tutto nasce dal fenomeno della separazione della proprietà dal potere di controllo
dell’impresa, a causa della frammentazione della struttura proprietaria tra un
elevato numero di risparmiatori, che non hanno alcun potere di gestione sulla
società, e l’affermarsi di una classe di manager professionisti, che assume le
decisioni più importanti per la vita economica dell’impresa

Si viene a configurare uno scenario dove il possesso di azioni determina il godimento di


diritti partecipativi o di diritti economici, mentre il controllo (gestione) è attribuito al
management. Dunque, il management può essere azionista o può non esserlo
Principio di separazione:
modello dualistico e modello monistico

Il modello societario italiano attuale prevede la separazione tra un organo di gestione


(C.d.A. o Amministratore unico) e un organo di controllo (collegio sindacale). La
gestione dell’impresa spetta in via esclusiva agli amministratori (art.2380 bis c.c.), il
cui potere può essere limitato dallo statuto o dall’atto di nomina o delega

Esistono due sistemi di gestione:


1. Quello dualistico che prevede la presenza di un consiglio di gestione e di un
consiglio di sorveglianza. La gestione spetta in via esclusiva al consiglio di
gestione, che è costituito da almeno due componenti anche non soci, ed è
nominato dal consiglio di sorveglianza

2. Quello monistico prevede un modello di amministrazione affidato


esclusivamente ad un consiglio di amministrazione
Teoria degli azionisti 1

Secondo la «teoria degli azionisti» il diritto di governo economico deve essere


attribuito ai conferenti di capitale di rischio e l’impresa deve porsi l’obiettivo di
massimizzare il ritorno per gli azionisti. In base a questa impostazione l’attribuzione
dei diritti di controllo agli azionisti sarebbe supportata da due diverse motivazioni:
A. I conferenti di capitale di rischio sono l’unica categoria di stakeholder che a
differenza delle altre, è remunerata in via residuale
B. Gli investitori, e in particolare gli azionisti, sono più facilmente soggetti a
espropriazione da parte del management

• Gli azionisti, in quanto percettori del rendimento residuale dell’impresa, hanno


infatti un forte incentivo a migliorare l’efficienza aziendale perché ogni
incremento dei ricavi, o ogni riduzione dei costi si traduce in un aumento della
loro remunerazione
Il diritto di controllo e quello di ottenere una remunerazione in via residuale
sono quindi imprescindibilmente collegati
Teoria degli azionisti 2
Critiche alla teoria degli azionisti

Gli studi in materia economico-aziendale conducono ad affermare che:


• Un alto livello di frammentazione del capitale tende a far diminuire la propensione
al controllo da parte della proprietà
• All’aumentare delle dimensioni aziendali si manifesta spesso un aumento del
grado di frazionamento della struttura azionaria

• Ma le critiche di fondo alla citata teoria riguardano:


– L’inefficienza del mercato può incentivare i manager a
manipolare il prezzo di mercato alimentando un clima di
asimmetria informativa
– I piani di incentivazione vincolati alla creazione di valore
azionario possono favorire comportamenti opportunistici del
vertice aziendale
Teoria degli azionisti 3

La relazione fra azionisti e membri del consiglio di amministrazione è configurabile


come un tipico rapporto di agenzia in cui gli azionisti delegano ai consiglieri (agenti)
la realizzazione di un insieme di attività

Nella teoria dell’agenzia un soggetto (l’agente) agisce per, a favore di o come


rappresentante di un secondo soggetto (il principale)
Il principale dipende in una certa misura dal comportamento dell’agente. Il
Principale delega un’attività all’agente e stabilisce le regole che sovraintendono la
relazione comprese le modalità di distribuzione delle ricompense tra le parti. L’agente
realizza l’attività che gli viene delegata dal principale

La relazione di agenzia diventa problematica in presenza di due condizioni:


incertezza e asimmetria informativa, ovvero quando:
– l’azione dell’agente non è direttamente osservabile dal principale (asimmetria
informativa)
– il risultato dell’azione dell’agente è condizionato da eventi al di fuori del suo
controllo (incertezza)
L’importanza della corporate governance per
l’economia d’impresa 1

L’adozione di efficaci modelli di corporate governance comporta, tra l’altro, la


possibilità:
- per un determinato “Sistema-Paese”, di attrarre investimenti esteri tali da
incrementare il livello occupazionale, lo sviluppo tecnologico ed il benessere
economico dell’intero territorio

- per le imprese nazionali, di poter acquisire capitali all’estero e finanziare


investimenti per lo sviluppo, nonché di partecipare a network internazionali che
garantiscono l’accesso a più vaste opportunità e a risorse di varia natura

- per la collettività dello stesso territorio, di poter fare affidamento su istituzioni


capaci di promuovere il benessere e lo sviluppo economico sulla base di regole di
equità e di garantire tutele adeguate a quei soggetti che, per evidenti motivi (quali,
ad esempio, la presenza di asimmetrie informative e/o di squilibri nei rapporti di
potere), si trovano in posizioni di relativa debolezza rispetto alle controparti
negoziali
L’importanza della corporate governance per
l’economia d’impresa 2

Il tema della corporate governance riveste una posizione di centralità, con particolare
riferimento a:
- la conformazione degli assetti proprietari e di governo dell’impresa, la ripartizione
dei poteri e delle responsabilità di governo e di controllo fra i vari organi, la natura
delle relazioni tra la proprietà e l’organo di governo ed i conseguenti riflessi sulla
condotta e sulle performance d’impresa

- le modalità con cui hanno luogo i processi decisionali che conducono alla
formulazione degli indirizzi strategici e degli obiettivi d’impresa e come tali
processi vengano influenzati dai diversi attori in grado di esercitare pressioni di
governo

- le modalità di composizione dei vari interessi nell’ambito del processo di


ripartizione della ricchezza generata dall’impresa
L’attuale dibattito sulla
corporate governance 1
• La corporate governance stimola discussioni di carattere filosofico-idealistico -
focalizzate sullo stato di salute del sistema capitalistico e dell’economia di
mercato, sul ruolo dell’impresa e sulla natura dei rapporti che questa instaura con
la società, perlopiù mirate a delineare e a proporre interventi correttivi di talune
distorsioni di quello che, in termini assai generici, può essere definito il “regolare”
corso della dinamica economica

• In stretta connessione con questa visione, non si manca di sottolineare il ruolo


d’impulso esercitato dalla proprietà dell’impresa, riconoscendo in essa l’attore
determinante, nel cui prioritario interesse l’impresa deve operare

• Altri invece, pur non disconoscendo i suddetti ruoli, si soffermano maggiormente


su alcune significative distorsioni che producono rilevanti effetti negativi sulla
società e sui cittadini, effetti che vengono messi in stretta correlazione sia con il
crescente potere delle organizzazioni imprenditoriali sia con la concezione che
vede l’assoluta preminenza degli interessi della proprietà, a scapito di quelli di
altri soggetti
L’attuale dibattito sulla
corporate governance 2
Si aggiungano le esperienze concrete degli ultimi 30 anni:
1) Dai comportamenti illeciti ed immorali di una parte delle classi dirigenti è
scaturita una progressiva delegittimazione del ruolo dell’impresa come
istituzione ed un consistente deterioramento, presso la pubblica opinione,
dell’immagine di professionalità e di integrità del management

2) Responsabilità degli scandali anche del mondo accademico e alle teorie che questo
ha contribuito a diffondere, in specie attraverso l’insegnamento nelle business school

3) Certe prassi, idee ed assunti ispirati a princìpi “neo-liberisti” caricati


ideologicamente e volutamente moral-free, ossia svincolati da ben definiti contenuti
morali

Tra i vari strumenti e meccanismi messi in discussione si segnalano, in via


esemplificativa:
- i piani e l’assegnazione di stock option all’alta direzione e al management aziendale
- l’inasprimento dei sistemi di controllo, esterni e interni all’impresa, ecc.
L’attuale dibattito sulla
corporate governance 3
Restano aperti alcuni quesiti di fondo:
• In nome di quale principio un’impresa deve essere governata e chi è
legittimato a dettare tale principio? Quale ideologia è alla base di tali
principi?
• Quali sono gli interessi che l’impresa deve prioritariamente
soddisfare?
• Si può individuare ed affermare una finalità intrinseca della
corporate governance?

E’ certo che il modello di corporate governance risente della specifica


evoluzione sociale, economica e culturale di un determinato contesto,
influenzando il comportamento degli attori economici che in esso si
trovano ad operare
L’attuale dibattito sulla
corporate governance 4
• A livello internazionale sta crescendo l’esigenza di una maggiore
armonizzazione dei modelli di governance sviluppatesi in diversi
contesti
• Negli ultimi anni il verificarsi di numerosi e diversi scandali
finanziari ha contribuito ad una profonda revisione della normati va
in materia di mercati finanziari e in tema di governance
• Negli Stati Uniti dopo il caso ENRON si è passati dalla competenza
normativa rimessa ai singoli stati a quella federale e governativa di
tipo centrale
• In Europa invece si è avuto il passaggio dalla tecnica normativa per
Direttive a quella per raccomandazione e soprattutto lo sviluppo
della normativa di carattere autodisciplinare
L’attuale dibattito sulla
corporate governance 5
Tesi economiche (Hansmann – Kraakmann)
• I responsabili della gestione sono chiamati a perseguire gli interessi degli azionisti
• Pertanto, maggiore è il benessere degli azionisti, maggiore è il valore di mercato
delle loro imprese

Tesi politiche o della path dependency (Bebchuck-Roe)


• Diversificazione di modelli a livello di sistema paese
• Ciascun modello è radicato sul suo substrato storico‐culturale‐sociale e politico da
cui ha tratto origine

Tesi del primato del diritto (La Porte-Lopez De Silanes-Vishny)


• Un sistema ibrido rappresentato da un modello che presenta i tratti generali del
modello angloamericano con qualche attenuazione, apportata per via normativa o
autoregolamentare, che lo renda sufficientemente flessibile e adottabile per finalità
diverse rispetto a quelle della sola massimizzazione del valore azionario
L’attuale dibattito sulla
corporate governance 5
Segnali di convergenza verso un sistema di tipo angloamericano “moderato”

Fattori di convergenza:

a) Fattori economico sociali legati alla ricaduta su benessere e le economie di eventi


traumatici come scandali, frodi e bancarotte societarie avvenute negli ultimi anni. Ciò
ha portato i paesi europei, e tra questi e l’Italia, a voler adottare le soluzioni rigorose
adottate negli USA ed in Italia con la riforma del risparmio

b) Il processo di globalizzazione ha favorito la migrazione spontanea verso mercati


finanziari angloamericani che, per dimensioni, trasparenza e dinamismo, garantiscono
all’attività economica un agevole accesso a nuove risorse

c) Lo sforzo armonizzatore compiuto da organizzazioni sovranazionali (OCSE,


Comitato Basilea) nella creazione di convergenza verso complessi di regole uniformi,
dai principi generali di corporate governance, agli standard contabili, ai criteri di
individuazione e misurazione dei rischi aziendali
L’attuale dibattito sulla
corporate governance 6

Opera armonizzatrice del legislatore europeo

• Il Piano d’azione sui servizi finanziari, articolato in 43 Misure volte a favorire


l’integrazione dei mercati finanziari (all’ingrosso, retail, vigilanza e
armonizzazione fiscale) attraverso la definizione di un quadro giuridico comune

• Direttiva sui servizi di investimento

• Direttiva sull’insider trading e manipolazione di mercato (market abuse)

• Direttiva sull’armonizzazione degli obblighi di trasparenza degli emittenti quotati

• Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio sul applicazione degli


standard contabili internazionali (IAS/IFRS)

• Aggiornamento della Ottava Direttiva sul diritto delle società (che affronta il tema
di revisione dei conti)
La corporate governance secondo la
Borsa italiana
Borsa Italiana S.p.A. rammenta:

Al fine di garantire il buon funzionamento del mercato e una corretta


informativa societaria, i Consigli di Amministrazione delle società
emittenti azioni quotate danno informativa, con cadenza annuale, sul
proprio sistema di corporate governance e sull’adesione al Codice di
Autodisciplina delle Società Quotate promosso dal Comitato per la
Corporate Governance. I Consigli di Amministrazione delle società
che non hanno applicato le raccomandazioni del Codice, o le abbiano
applicate solo in parte, danno inoltre informazioni delle motivazioni
che le hanno indotte a tale decisione. Tale informativa è fornita
mediante un’apposita relazione messa a disposizione del mercato
insieme alla documentazione prevista per l’assemblea di bilancio
Parole chiave della lezione

• GOVERNO DELL’IMPRESA
• RIPARTIZIONE DEI POTERI
• SISTEMA DI CONTROLLO INTERNO
• DELEGA AGLI AMMINISTRATORI
• CONTESTO STORICO, CULTURALE E
SOCIALE
Lezione
“I GIPS
GLOBAL INVESTMENT
PERFORMANCE STANDARD”
Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


Al termine della lezione i partecipanti avranno acquisite le conoscenze necessarie per
comprendere i concetti principali relativi allo standard mondiale in materia di
qualificazione delle performance degli strumenti finanziari, i cosiddetti GIPS-Global
Investment Performance Standards, nonché di identificare e descrivere le loro
caratteristiche tecniche, dal punto di vista comportamentale e formali, che gli
investitori istituzionali devono adottare

Contenuti
• Principi generali
• Caratteristiche dei GIPS
• Adozione di uno Standard globale
• I GIPS in Italia
• L’utilità dei GIPS per gli Investitori Istituzionali
• Gli Standard Italiani di Presentazione delle Performance degli Investimenti (IPPS)
Principi generali 1

I GIPS-Global Investment Performance Standard, costituiscono uno


standard finalizzato alla trasparenza e alla standardizzazione
nell’esposizione dei risultati e consentono agli investitori istituzionali
di valutare in maniera completa e secondo criteri chiari le diverse
gestioni. I GIPS consentono infatti di ricostruire le performance di
gestione, al lordo delle commissioni, e di confrontare serie storiche
di rendimenti omogenee
Principi generali 2

I GIPS – Standard Globali di Presentazione delle Performance si


traducono così in una presentazione delle performance degli
investimenti chiara ed accettabile e che:
• riporti in maniera prontamente confrontabile i risultati delle varie
società di gestione, indipendentemente dalla loro ubicazione
geografica
• faciliti il dialogo tra i gestori e i loro futuri clienti, per i quali è di
grande importanza capire come siano stati raggiunti determinati
risultati e come vengano decise le future strategie di investimento
Attualmente 25 nazioni in Nord America, Europa, Africa e regioni dell’Asia-
Pacifico hanno adottato gli standard GIPS e promuovono l’adozione degli
standard di calcolo e presentazione delle performance presso le società di
gestione
Principi generali 3
Principi generali 4

Come richiedere la conformità agli standard GIPS?


Gli standard GIPS impongono agli enti gestori di mettere tutti i
portafogli effettivamente gestiti, soggetti a commissione e
discrezionali, in compositi definiti a seconda di una strategia comune
e/o di un obiettivo di investimento: gli enti gestori devono evidenziare
un periodo almeno quinquennale di performance degli investimenti
oppure il periodo decorrente dalla costituzione dell’ente gestore
medesimo o del composito in oggetto
Dopo aver presentato la serie quinquennale, l’ente gestore deve
presentare con cadenza annua le sue performance aggiuntive, almeno
fino alla costituzione di una serie di dieci anni
Principi generali 5

Quali sono gli standard GIPS?


I GIPS sono suddivisi in nove capitoli che corrispondono agli elementi
essenziali per presentare le informazioni relative alla performance: 1)
elementi fondamentali della conformità, 2) dati di input, 3)
metodologie di calcolo, 4) costruzione dei compositi, 5) informativa, 6)
presentazione e relative illustrazioni, 7) attività immobiliare, 8) private
equity, 9) conti wrap fee (gestiti separatamente)

Le norme riguardanti ciascuna sezione sono divise tra obblighi, indicati


all’inizio di ogni paragrafo, e raccomandazioni

Per dichiarare la propria conformità agli standard GIPS, gli enti gestori
devono soddisfare tutti gli obblighi
Principi generali 6
Principi generali 7
Caratteristiche dei GIPS 1

• Per richiedere la conformità agli Standard GIPS l’EG* deve aderire ai requisiti
presenti negli Standard GIPS

• Gli Standard GIPS impongono agli EG di includere tutti i portafogli


effettivamente gestiti, soggetti a commissioni e a discrezionali, in compositi
definiti da un comune mandato, obiettivo o strategia

• Gli EG devono presentare un minimo di 5 anni di performance annue degli


investimenti conformi ai GIPS. Se l’EG o il composito hanno meno di 5 anni,
devono essere presentati i dati dall’inizio dell’attività dell’EG o dalla costituzione
del composito

* EG - Ente/società di gestione o sua consociata definita in conformità con gli standard


GIPS, cioè soggetto operativo distinto che ha un’autonomia decisionale nei processi
d’investimento
Caratteristiche dei GIPS 2

• Dopo aver presentato la serie quinquennale, gli EG devono


presentare dati aggiuntivi almeno fino alla costituzione di una serie
decennale

• Gli EG devono prendere tutte le misure necessarie per essere sicuri


di aver soddisfatto tutti gli OBBLIGHI dei GIPS prima che il
Comitato GIPS emetta una dichiarazione di conformità. Inoltre
sono fortemente incoraggiati ad eseguire periodicamente delle
verifiche interne di conformità e dei controlli adeguati per l’intero
processo relativo alla valutazione delle performance degli
investimenti per garantire la validità della dichiarazione di
conformità
Caratteristiche dei GIPS 3

Di conseguenza, le principali caratteristiche degli Standard GIPS sono:

• Completezza: tutti i portafogli effettivamente gestiti devono essere classificati in


raggruppamenti omogenei (compositi) sulla base della comunanza delle strategie
e/o degli obiettivi di investimento; in questo modo il gestore è tenuto a presentare
le performance per tutto l’insieme delle attività gestite

• Integrità dei dati: i GIPS prevedono una serie di requisiti minimi che mirano a
garantire l’integrità dei dati di input utilizzati per i calcoli; una volta
implementato, il processo di calcolo delle performance GIPS entra a far parte
delle politiche e procedure aziendali del gestore, con una conseguente stabilità di
applicazione nel tempo

• Rappresentatività: la metodologia di calcolo delle performance scelta dai GIPS


deve essere quella che consente un confronto delle performance realizzate da
diversi fondi, fra di loro o con il rendimento di un benchmark, che non sia
influenzato dalla dinamica della raccolta netta e, più in generale, di tutti i flussi di
cassa che sono indipendenti dalle scelte di gestione
Caratteristiche dei GIPS 4

• Arco temporale: il gestore è tenuto a presentare una serie almeno quinquennale (o


dalla sua data di costituzione, se inferiore) di performance, aggiungendo poi nuove
serie annue fino alla costituzione di una serie decennale, allo scopo di permettere al
lettore una valutazione di più ampio respiro sull’attività del gestore stesso

• Benchmark: ai fini di una piena confrontabilità della performance del gestore con
il mercato di riferimento, i GIPS richiedono di affiancare alla performance del
composito quella di un benchmark rappresentativo delle strategie e/o degli obiettivi
di investimento del composito stesso

• Verificabilità: i GIPS prevedono che il gestore che si dichiara conforme agli


Standard si sottoponga a verifica da parte di un soggetto terzo indipendente; la
verifica, che ha come oggetto la conformità con i GIPS dei processi e delle
procedure aziendali di costituzione dei compositi e di calcolo e presentazione delle
performance, fornisce credibilità alla dichiarazione di conformità avanzata dal
gestore nei confronti dei destinatari delle presentazioni
Adozione di uno Standard globale

• L’IPC* sostiene che gli standard GIPS debbano essere adottati come standard
nazionali nei paesi ancora privi di uno standard di performance degli investimenti

• Gli Standard GIPS possono essere tradotti in diverse lingue, ma nel caso di
divergenza tra le varie versioni sarà valida la versione inglese

• La presenza di un’organizzazione locale sponsorizzatrice degli standard di


valutazione degli investimenti è importante per la loro effettiva applicazione e per
il costante funzionamento in ciascun paese

• Si ritiene che la caratteristica di autoregolamentazione dei GIPS consente agli


organi di vigilanza di esercitare meglio la loro responsabilità di garanti della
corretta divulgazione dei dati ai mercati finanziari e al loro interno, in realtà essa
agevola il compito di trasparenza nei confronti degli investitori ma non le attività
delle autorità di vigilanza

* IPC-Investment Performance Council, svolge le funzioni di comitato internazionale


responsabile degli Standard ed è composto da 36 membri di 15 paesi
I GIPS in Italia

• Per quanto riguarda la tassazione dei fondi aperti la maggior parte dei paesi, ad
eccezione dell’Italia, non prevede la tassazione dei risultati di gestione in capo al
fondo ma rimanda calcolo e prelievo fiscale al momento della dichiarazione
individuale dei redditi. Questa differenza influenza i meccanismi di
determinazione della quota netta e quindi delle misure di performance su di essa
calcolate. E’ quindi necessario trovare un metodo che permetta di “lordizzare” le
quote nette dei fondi italiani, cioè che permetta di depurare degli effetti fiscali le
performance dei fondi aperti italiani

• I fondi italiani sono soggetti a una ritenuta d’imposta (prima del 12,5% e poi del
20%), calcolata sulla differenza tra valore iniziale e valore finale degli
investimenti effettuati nel corso dell’anno. La tassazione è imputata giornalmente
sulla quota del fondo e viene accantonata a riserva fino al regolamento previsto
nell’anno successivo. La quota risulta pertanto al netto del prelievo fiscale
L’utilità dei GIPS per gli
Investitori Istituzionali

• I destinatari naturali delle presentazioni sono gli Investitori Istituzionali. La


trasparenza nella presentazione delle performance è infatti un elemento
fondamentale nell’operare una scelta del gestore più adeguato ai propri obiettivi
di investimento ed al proprio profilo di rischio. La possibilità di poter raffrontare
presentazioni GIPS omogenee provenienti da differenti gestori permette infatti
all’Investitore Istituzionale di valutare le differenti capacità ed i differenti stili di
gestione

• La presentazione GIPS comprende una dichiarazione di conformità, con la quale


il gestore dichiara di aver adottato politiche e procedure di calcolo e
presentazione delle performance aderenti a tutti i requisiti previsti dai GIPS, la
lista dei compositi creati del gestore e le relative schede di performance, oltre
all’eventuale relazione di conformità emessa da un verificatore indipendente
Gli Standard Italiani di Presentazione delle
Performance degli Investimenti (IPPS) 1

I GIPS sono suddivisi in cinque capitoli che corrispondono agli elementi essenziali
per presentare le informazioni relative alla performance:
1. Dati di input. La coerenza di questi dati è fondamentale per una effettiva
conformità con gli standard e per una presentazione delle performance
2. Metodi di calcolo. Per poter paragonare le presentazioni delle performance dei vari
enti gestori è necessario uniformare le metodologie di calcolo dei rendimenti
3. Costruzione dei compositi. Un composito è il raggruppamento di un certo numero
di portafogli accomunati da un particolare obiettivo o da una particolare strategia di
investimento. Il rendimento del composito è la media ponderata per le attività delle
performance dei singoli portafogli che compongono il composito medesimo
4. Informativa. L’informativa permette agli enti gestori di elaborare i dati forniti
nella presentazione e di dare all’utente finale gli elementi necessari per comprendere
i risultati della performance collocandoli nel giusto contesto
5. Presentazione dei risultati e relative illustrazioni
Gli Standard Italiani di Presentazione delle
Performance degli Investimenti (IPPS) 2

• Obblighi e raccomandazioni aggiuntive che gli enti gestori devono seguire per
presentare performance conformi agli IPPS:

• Lordizzazione delle performance. Considerata la specificità della legislazione


fiscale italiana, l’IIPC ha sviluppato un format aggiuntivo, nel quale sono
previsti obblighi e raccomandazioni che gli enti gestori sono tenuti a seguire,
qualora intendano presentare performance di compositi contenenti portafogli
lordizzati

• In ogni capitolo, i GIPS sono suddivisi in obblighi, che sono riportati all’inizio di
ogni capitolo, e in raccomandazioni. Gli obblighi sono quegli standard che gli
enti gestori sono tenuti a rispettare per essere dichiarati conformi. Gli enti gestori
sono invitati ad adottare e ad applicare anche le raccomandazioni al fine di poter
essere pienamente in linea con lo spirito e l’intento dei GIPS
Parole chiave della lezione

• GIPS

• TRASPARENZA PERFORMANCE PRODOTTE DAI


GESTORI

• ACCURATEZZA, COMPLETEZZA E TRASPARENZA


DELL'INFORMAZIONE NEI CONFRONTI DEI
RISPARMIATORI

• IPPS - STANDARD ITALIANI DI PRESENTAZIONE


DELLE PERFORMANCE DEGLI INVESTIMENTI

• INFORMAZIONI OBBLIGATORIE
Lezione

“LE TUTELE PER I


RISPARMIATORI -
CONSOB”
Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


Al termine della lezione i partecipanti saranno in grado di conoscere e
identificare i principali concetti relativi alle tutele per i risparmiatori,
nel momento in cui essi si apprestano a rivolgersi al mercato dei servizi
di investimento, nonché di identificare e descrivere i modelli di
comportamento degli intermediari che erogano i suddetti servizi anche
in comparazione con quanto avviene in Europa
Contenuti
• Cos’è un servizio di investimento
• Chi può prestare servizi di investimento
• I servizi di investimento in Europa
• Le regole della tutela
Cos’è un servizio di investimento 1

Il servizio di investimento si riferisce all’assistenza erogata, all’attività


di un intermediario come la banca, alla quale ci si rivolge per
acquistare un’azione, un’obbligazione o un qualsiasi altro titolo

Gli intermediari
Sono i soggetti che possono prestare i servizi di investimento a seguito di una specifica
autorizzazione rilasciata, a seconda dei casi, dalla Consob, dalla Banca d’Italia o dalle
equivalenti autorità della Comunità europea. Gli intermediari possono essere:
SIM-Società di Intermediazione Mobiliare (sono le imprese di
investimento italiane); banche italiane; SGR-Società di Gestione del
Risparmio italiane; intermediari finanziari iscritti nell'elenco previsto
dall'art. 107 del Testo unico bancario tenuto dalla Banca d'Italia; banche
di Paesi comunitari; imprese di investimento di Paesi comunitari;
imprese di investimento extra-comunitarie; banche extra-comunitarie
Cos’è un servizio di investimento 2

I servizi di investimento sono dunque attività, prestate da


determinati soggetti, attraverso le quali si possono impiegare, sotto
varie forme, i propri risparmi in attività finanziarie

I servizi e le attività di investimento, puntualmente individuati dalla


legge (TUF), sono:
a) esecuzione di ordini per conto dei clienti
b) negoziazione per conto proprio
c) gestione di sistemi multilaterali di negoziazione
d) ricezione e trasmissione di ordini
e) sottoscrizione e/o collocamento con o senza assunzione a fermo
ovvero assunzione di garanzia nei confronti dell’emittente
f) gestione di portafogli; g) consulenza in materia di investimenti
Cos’è un servizio di investimento 3
Tutti i servizi di investimento riguardano strumenti finanziari, ovvero azioni,
obbligazioni, titoli di Stato, quote di fondi, contratti e strumenti derivati ecc.

L’esecuzione di ordini per conto dei clienti è il servizio con cui l’intermediario, su
richiesta del cliente, acquista o vende i titoli nelle varie sedi di negoziazione

Per negoziazione per conto proprio si intende l’attività con cui l’intermediario, su
richiesta del cliente, gli vende strumenti finanziari di sua proprietà ovvero li acquista
direttamente dal cliente stesso (comunemente, si dice che l’intermediario opera in
“contropartita diretta”)

La gestione di sistemi multilaterali di negoziazione consiste nella gestione di sistemi


in cui, in base a regole predeterminate, si incontrano proposte di acquisto e vendita di
titoli e si concludono contratti. Un sistema di negoziazione è quindi una sorta di
mercato aperto ad una pluralità di operatori

La ricezione e trasmissione di ordini è il servizio con cui l’intermediario, ricevuto un


ordine di acquisto o vendita dal cliente, invece di eseguirlo egli stesso, lo trasmette ad
altro intermediario per la sua esecuzione
Cos’è un servizio di investimento 4

Offerta al pubblico di strumenti finanziari

Sono operazioni con cui si sollecita il pubblico ad investire; consistono nell'offerta


pubblica di vendita o sottoscrizione di strumenti finanziari (azioni, obbligazioni,
quote di fondi ecc.) e di ogni altra forma di investimento finanziario. L'offerta è
normalmente rivolta agli investitori per il tramite di un intermediario abilitato al
servizio di sottoscrizione e/o collocamento

Con la gestione di portafogli il cliente incarica l’intermediario di gestirgli in tutto o in


parte il proprio patrimonio in strumenti finanziari. Spetta all’intermediario decidere
come e quando acquistare o vendere titoli. Con la consulenza in materia di
investimenti l’intermediario fornisce consigli o raccomandazioni relative ad una o più
operazioni concernenti un determinato strumento finanziario

Caratteristica del servizio è che il consiglio o la raccomandazione siano


personalizzati, ossia presentati come adatti al cliente o basati sulle caratteristiche del
cliente stesso
Chi può prestare servizi di investimento 1

I servizi di investimento non possono essere prestati da chiunque, ma solo da


soggetti dotati di una specifica autorizzazione rilasciata, a seconda dei casi, dalla
Consob o dalla Banca d’Italia. L’autorizzazione può essere rilasciata a:
- Società di Intermediazione Mobiliare (SIM) italiane: possono essere autorizzate dalla
Consob ad offrire tutti i servizi di investimento
- banche italiane: autorizzate dalla Banca d’Italia
- Società di Gestione del Risparmio (SGR): possono essere autorizzate dalla Banca
d'Italia all'esercizio dell'attività di gestione di portafogli, dell’attività di consulenza e di
commercializzazione di fondi comuni o SICAV
- intermediari finanziari: possono essere autorizzati alla negoziazione per conto
proprio e all’esecuzione degli ordini dei clienti, nonché al servizio di sottoscrizione o
collocamento
- imprese di investimento extracomunitarie: possono essere autorizzate dalla Consob
ad offrire in Italia tutti i servizi di investimento
- banche extra-comunitarie: possono essere autorizzate dalla Banca d'Italia ad offrire
in Italia tutti i servizi di investimento
Chi può prestare servizi di investimento 2

• Le SGR - Società di gestione del risparmio sono, insieme alle SICAV, gli unici
soggetti che possono svolgere l'attività di gestione collettiva del risparmio (cioè
gestire fondi comuni di investimento). Sono, anzi, società specializzate nell’attività
di gestione, in quanto, oltre alla gestione collettiva e alle relative attività connesse
e strumentali, possono svolgere solo l'attività di gestione individuale e prestare il
servizio di consulenza in materia di investimenti

• Per operare devono essere autorizzate dalla Banca d'Italia (sentita la Consob), la
quale rilascerà l'autorizzazione solo in presenza dei requisiti previsti per legge. Fra
questi, si sottolinea l'ammontare del capitale sopra un certo valore, il fatto che gli
amministratori, i sindaci ed il direttore generale abbiano determinati requisiti di
onorabilità e professionalità e che gli azionisti abbiano i requisiti di onorabilità

• Devono operare con diligenza, correttezza e trasparenza nell'interesse dei


partecipanti ai fondi; organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di
conflitti di interesse; adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei
partecipanti ai fondi
I servizi di investimento in Europa

• Nell’UE le imprese di investimento e le banche possono svolgere liberamente


la propria attività in tutti gli altri Paesi della Comunità europea. A questo fine
occorre che le regole che governano i servizi di investimento siano le stesse in
ogni Paese. Per questo motivo, sono le stesse norme comunitarie (direttive e
regolamenti) che disciplinano nel dettaglio la materia
• Le normative nazionali, che recepiscono negli ordinamenti dei singoli Paesi le
previsioni comunitarie, si limitano, in sostanza, a riprodurre ed eventualmente
dettagliare le norme comunitarie: vi sono infatti forti vincoli a che il legislatore
nazionale possa inserire regole e previsioni diverse (anche se più tutelanti per i
risparmiatori)

• L’impresa di investimento o la banca può operare in altri Paesi sia direttamente, in


libera prestazione di servizi, dal proprio Paese di origine (tipicamente attraverso
strumenti di comunicazione a distanza, quali internet), sia stabilendo nel Paese in
cui vuole offrire i propri servizi una succursale
Le regole della tutela 1

• L’importanza del risparmio ha portato a definire regole, strumenti e presidi per


tutelare gli investitori nella prestazione di servizi di investimento. Gli
intermediari sono così tenuti a rispettare principî e regole di condotta, il cui
fine è quello di assicurare la correttezza del loro comportamento e di consentire
al cliente scelte di investimento informate, consapevoli e rispondenti alle
proprie esigenze. Il Testo unico della finanza impone ai soggetti abilitati di
rispettare alcuni principî generali, e cioè di comportarsi con diligenza, correttezza
e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti

• Comportarsi con diligenza vuol dire agire in maniera professionalmente adeguata.


In altri termini, conoscere e fare bene il proprio mestiere

• Si è corretti se ci si comporta con lealtà, senza secondi fini (oltre quello


dell’interesse del cliente) e rispettando tutte le prescrizioni

• La trasparenza, come concetto, è legata all’informazione. Si sostanzia nel rendere


al cliente tutte le informazioni necessarie sul servizio prestato. Tutti questi
principî hanno un unico obiettivo: l’interesse del cliente
Le regole della tutela 2

L’INFORMAZIONE
Conoscere per investire: è la regola fondamentale. Se non si conosce,
è meglio non investire: il corollario. Per la corretta informazione
dell’investitore sono previsti regole, strumenti e presidi che
presuppongono specifici obblighi per gli intermediari. Le informazioni
devono essere fornite sia prima di investire che dopo
Prima di investire
- i metodi di comunicazione tra cliente e impresa
- le modalità di rendicontazione dell’attività svolta
- le modalità con cui l’intermediario garantisce la tutela delle somme o dei titoli dei
clienti eventualmente detenuti
- il sistema di indennizzo o di garanzia dei depositi dei clienti
- una descrizione anche sintetica della politica seguita in materia di conflitti di
interessi
Le regole della tutela 3

Informazioni sugli strumenti finanziari


L’intermediario deve descrivere al cliente le caratteristiche ed i rischi del tipo di
strumento finanziario che si acquisterà con il servizio di investimento. Quanto ai
rischi, devono essere evidenziati, se pertinenti al tipo di strumento finanziario di volta
in volta trattato, i seguenti elementi:
• il rischio di perdita totale
• la possibilità di oscillazioni del prezzo dello strumento finanziario ed eventuali
limiti alla sua liquidabilità
• la possibilità che dall’investimento derivino impegni, obbligazioni, passività
potenziali che si aggiungono al costo di acquisizione del titolo. In altri termini:
oltre a perdere quanto investito, potremmo essere chiamati a dover versare altro
denaro

Informazioni sui costi - L’intermediario non può dar luogo all’investimento se prima
non ha informato il cliente dei costi del servizio offerto. In particolare, deve indicare:
• il prezzo totale e i singoli elementi che compongono il costo totale, ecc.
Le regole della tutela 4

Le Informazioni dopo aver investito

• Investire i propri risparmi non si esaurisce nel momento della scelta e


dell’acquisto. Nel tempo possono cambiare le caratteristiche del prodotto scelto (si
pensi ad un’obbligazione il cui emittente non sia più così solido) e possono
cambiare le nostre esigenze

• Anche in questo caso l’informazione gioca un ruolo fondamentale: dobbiamo


seguire i nostri investimenti e acquisire il maggior numero di notizie. A questo
fine, oltre alle notizie sulla stampa e sugli altri mezzi di comunicazione di massa,
dobbiamo attentamente leggere la documentazione che normalmente il nostro
intermediario ci invia

• In generale, e per tutti i servizi, l’intermediario deve inviare ai clienti la


rendicontazione dell’attività prestata, comprensiva anche dei costi per il cliente
Le regole della tutela 5

IL CONTRATTO
Tutti i servizi di investimento, ad eccezione della consulenza in
materia di investimenti, devono essere prestati sulla base di un
contratto scritto. Ciò per due ragioni:
- si vuole enfatizzare l’importanza dell’atto e attrarre l’attenzione di
chi lo sta compiendo richiedendogli di firmare un foglio
- si vogliono fissare in un documento i contenuti dell’accordo fra le
parti, anche per poterli facilmente dimostrare in futuro

Il contratto deve contenere i seguenti elementi: caratteristiche del servizio e delle


prestazioni dovute; validità, modifica e rinnovo del contratto; modalità con le quali il
cliente può impartire ordini e istruzioni; frequenza e contenuto della
rendicontazione, ecc.
Le regole della tutela 6

ADEGUATEZZA, APPROPRIATEZZA E MERA ESECUZIONE 1


• L’investimento deve essere “su misura” e l’intermediario o promotore finanziario,
ha il dovere di valutare se il prodotto che ci propone, o che gli chiediamo, fa al
caso nostro
• L’assistenza fornita dall’intermediario ha diverse gradazioni, a seconda del
servizio prestato, fino ad annullarsi per la mera esecuzione di ordini

Adeguatezza
L’intermediario può valutare se un investimento è adeguato per il potenziale cliente
solo se lo conosce bene dal punto di vista finanziario. Dovrà quindi chiederci
informazioni relative a:
- conoscenza ed esperienza in materia di investimenti
- situazione finanziaria
- obiettivi di investimento
Le regole della tutela 7

Appropriatezza
• Per valutare l’appropriatezza l’intermediario deve chiedere al cliente informazioni
riguardanti, esclusivamente, la sua conoscenza ed esperienza circa il tipo di
strumento o servizio proposto o richiesto
• Un prodotto è appropriato se il cliente ha conoscenze ed esperienza sufficienti per
comprendere i rischi connessi al prodotto stesso

Mera esecuzione di ordini


La mera esecuzione di ordini è una modalità di svolgimento dei servizi di esecuzione
di ordini e di ricezione e trasmissione di ordini. Questa modalità può essere adottata
solamente se i servizi si riferiscono a:
- azioni quotate in un mercato regolamentato
- strumenti del mercato monetario
- obbligazioni e altri titoli di debito
- fondi di investimento
Le regole della tutela 8

I CONFLITTI DI INTERESSI

• Si ha conflitto di interessi quando l’intermediario nel prestare un servizio di


investimento ha un interesse proprio, o è portatore di interessi di terzi, in
contrasto con quello del cliente

• Ovviamente, i conflitti di interessi non devono danneggiare i clienti. A questo


fine, gli intermediari devono rispettare delle regole

• In primo luogo, devono individuare tutte le situazioni al loro interno che possono
generare conflitti di interessi. Individuati i conflitti, gli intermediari devono
gestirli, con misure organizzative tali da impedire che incidano negativamente
sugli interessi dei clienti

• Se la situazione di conflitto è tale da non poter essere realisticamente


neutralizzata attraverso le misure organizzative, l’intermediario deve informare il
cliente, in modo chiaro e su supporto duraturo, della natura e delle fonti del
conflitto
Esercitazione

• Consultare la Dispensa relativa a questa


lezione per lo svolgimento di una esercitazione
sul rendimento delle azioni e sui costi di
commissione
Parole chiave della lezione

• SERVIZIO DI INVESTIMENTO

• CONSULENZA IN MATERIA DI INVESTIMENTO

• INFORMAZIONI PRIMA DI INVESTIRE

• INFORMAZIONI DOPO AVER INVESTITO

• SEGUIRE SEMPRE I PROPRI INVESTIMENTI


Lezione

“INVESTIRE I PROPRI RISPARMI


CONSOB”
Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


Al termine della lezione i partecipanti saranno avranno acquisto una soddisfacente
preparazione in materia di consigli per il risparmio e consoceranno o inoltre i
principali concetti sui rischi da evitare e sulle buone pratiche da seguire, a partire
dal principio fondamentale secondo il quale può è alto il rischio più di guadagna e
viceversa.

Contenuti
• Perché investire
• Investire i propri risparmi: cosa fare e cosa non fare
– Riflettere sulle proprie esigenze e preferenze in materia di investimenti;
Assumere informazioni su prodotti e servizi; Verificare che l’intermediario
utilizzato sia autorizzato e instaurare un rapporto positivo; Se non si
comprende, non investire; A potenziali alti rendimenti corrispondono alti
rischi; Diffidare delle proposte improbabili; Utilizzare mezzi di pagamento
previsti e sicuri; Seguire i propri investimenti nel tempo; Cautela
nell’utilizzo di Internet
Perché investire
Data l’importanza rilevante del risparmio occorre dedicare la dovuta attenzione
all’investimento, la stessa attenzione che invece si dedica ad acquisti di minore
importanza, come quello di un’autovettura

Esempio:
• si definiscono le proprie esigenze e preferenze, in termini di prestazioni, comodità,
economicità d’uso
• si definisce il limite di spesa
• si assumono informazioni sulle marche e sui modelli presenti sul mercato per
valutare quale risponda meglio alle proprie esigenze;
• scelto il modello, si visitano più concessionari ufficiali alla ricerca della migliore
offerta, ecc……………………

Ecco. Questo è il percorso giusto e razionale per chi intende impegnare una certa cifra
in un bene di una certa importanza. A maggior ragione un percorso analogo deve
essere seguito da chi si accinge ad investire cifre spesso maggiori e destinate a
soddisfare bisogni ben più importanti di quello di spostarci da un posto all’altro
Investire i propri risparmi:
cosa fare e cosa non fare 1
Alcune regole semplici e di immediata applicazione, prima di
effettuare un investimento
1. Riflettere sulle proprie esigenze e sulle preferenze in materia di
investimenti
2. Assumere informazioni su prodotti e servizi
3. Verificare che l’intermediario utilizzato sia autorizzato e instaurare un
rapporto positivo
4. Se non si comprende, non investire
5. A potenziali alti rendimenti corrispondono alti rischi
6. Diffidare delle proposte improbabili
7. Utilizzare mezzi di pagamento previsti e sicuri
8. Seguire i propri investimenti nel tempo
Investire i propri risparmi:
cosa fare e cosa non fare 2
Riflettere sulle proprie esigenze e preferenze in materia di investimenti
• Un’attenta definizione degli obiettivi ci consente di stabilire quando avremo
bisogno del denaro investito e il livello dei rendimenti attesi, ovviamente in
relazione al rischio che siamo disposti ad assumerci
• Dagli obiettivi personali dipendono, quindi, l'orizzonte temporale, la propensione
al rischio e le aspettative di rendimento. Questi elementi definiscono il profilo
finanziario dell'investitore
• L'orizzonte temporale è il periodo di tempo per il quale intendiamo rinunciare
alle nostre disponibilità finanziarie per investirle

• Se l'orizzonte temporale è il breve periodo su punta su invstimenti a basso


rischio

• In un’ottica di lungo periodo è possibile, ammesso che la nostra propensione al


rischio lo consenta, accettare rischi maggiori per conseguire maggiori
guadagni: il lungo orizzonte temporale rende infatti possibile compensare
eventuali perdite dovute ad andamenti negativi dei mercati
Investire i propri risparmi:
cosa fare e cosa non fare 3
Assumere informazioni su prodotti e servizi

• Per investire in prodotti finanziari, specie se complessi, è bene


essere informati. Le informazioni in materia finanziaria si assumono
come per qualsiasi altra materia: leggendo giornali, riviste, libri,
ascoltando trasmissioni radio e televisive, parlando con persone più
esperte di noi e navigando su internet. Anche il sito Consob è una
ricca fonte di dati e notizie. Siccome, però, in questa materia
l’informazione è particolarmente importante, è previsto che
all’investitore debbano essere obbligatoriamente consegnati dei
documenti come, ad esempio, il prospetto informativo o gli stessi
contratti da firmare
Investire i propri risparmi:
cosa fare e cosa non fare 4
Verificare che l’intermediario utilizzato sia autorizzato e instaurare con lui un
rapporto positivo

• Gli intermediari (banche, imprese di investimento ecc.) devono essere autorizzati


a norma di legge, e questo costituisce un'importante tutela per i risparmiatori.
L'autorizzazione, infatti, viene rilasciata solo in presenza dei requisiti richiesti e
gli intermediari autorizzati sono costantemente vigilati

Servizi o attività di investimento


a) Negoziazione per conto proprio; b) esecuzione di ordini per conto dei clienti; c)
sottoscrizione e/o collocamento con assunzione di garanzia nei confronti
dell'emittente; c-bis) collocamento senza assunzione a fermo né assunzione di
garanzia nei confronti dell'emittente; d) gestione di portafogli; e) ricezione e
trasmissione di ordini; f) consulenza in materia di investimenti; g) gestione di sistemi
multilaterali di negoziazione
Investire i propri risparmi:
cosa fare e cosa non fare 5
Gli intermediari abilitati ad offrire servizi o attività d'investimento sono 1:

- società di intermediazione mobiliare (SIM): sono le imprese di investimento italiane


e possono essere autorizzate dalla Consob ad offrire tutti i servizi di investimento

- banche italiane: possono essere autorizzate dalla Banca d'Italia ad offrire tutti i
servizi di investimento

- società di gestione del risparmio italiane: possono essere autorizzate dalla Banca
d'Italia all'esercizio dell'attività di gestione individuale di patrimoni, dell’attività di
consulenza e di commercializzazione di fondi comuni di investimento

- intermediari finanziari iscritti nell'elenco previsto dall'art. 107 del Testo Unico
bancario e tenuto dalla Banca d'Italia: possono essere autorizzati alla negoziazione
per conto proprio ed all’esecuzione degli ordini dei clienti (limitatamente agli
strumenti finanziari derivati), nonché al servizio di sottoscrizione o collocamento

- banche di Paesi comunitari: possono offrire i servizi per i quali sono state
autorizzate dall'autorità di vigilanza del Paese d'origine
Investire i propri risparmi:
cosa fare e cosa non fare 6
Gli intermediari abilitati ad offrire servizi o attività d'investimento sono 2:
- imprese di investimento extracomunitarie: possono essere autorizzate dalla Consob
ad offrire tutti i servizi di investimento

- banche extra-comunitarie: possono essere autorizzate dalla Banca d'Italia ad offrire


tutti i servizi di investimento

- agenti di cambio iscritti nel ruolo unico nazionale tenuto dal Ministero dell’economia
e delle finanze

A volte la promozione ed il collocamento di servizi di investimento o prodotti


finanziari viene svolta "fuori sede" e quindi anche presso il domicilio del
risparmiatore. Il nostro ordinamento ha ritenuto che in questi casi il risparmiatore deve
essere particolarmente tutelato, prevedendo che:
Il risparmiatore abbia 7 giorni di tempo dalla sottoscrizione per esercitare la facoltà
di ripensamento (detta anche di recesso) e recedere dal contratto senza spese. Questa
facoltà si applica solamente al collocamento di strumenti finanziari e al servizio di
gestione individuale di portafogli
Investire i propri risparmi:
cosa fare e cosa non fare 7

Se non si comprende, meglio non investire

Se, nonostante la lettura dei documenti disponibili e le informazioni assunte, non si


comprendono la natura, le caratteristiche e i rischi di un investimento, è meglio
non investire. Soprattutto se si tratta di prodotti particolarmente complessi. Esistono
sul mercato molti prodotti caratterizzati da una struttura complessa, spesso con
denominazioni fantasiose e con profili di rischio/rendimento difficili da comprendere

Occorre riuscire ad essere consapevoli:


- della natura e delle caratteristiche del prodotto
- di quali condizioni dovranno verificarsi e della relativa probabilità, per trarre
dall’investimento effetti positivi o negativi
- dello scenario peggiore per noi e di quali conseguenze, in termini di mancato
guadagno o perdita di capitale, dovremmo sopportare al suo avverarsi
Investire i propri risparmi:
cosa fare e cosa non fare 8
A potenziali alti rendimenti corrispondono alti rischi 1
• Nessuno dà nulla per nulla
• E’ una regola ferrea: la maggiore possibilità di guadagno la si paga con il
maggior rischio da sopportare, in quanto il guadagno si può tradurre in una
perdita altrettanto rilevante nel caso di andamento avverso del mercato di
riferimento

Esistono dei prodotti oggettivamente più rischiosi di altri. E' bene quindi:
• considerare con estrema attenzione l'acquisto di titoli non quotati su mercati
regolamentati: per questi titoli è difficile verificare il prezzo di mercato e potrebbe
essere non facile e penalizzante la loro vendita
• verificare, almeno per le società italiane, se gli strumenti finanziari che si intende
acquistare sono richiamati sulle pagine economiche dei principali quotidiani
• valutare sempre molto attentamente l'acquisto di strumenti derivati (future, swap,
contratti a termine, opzioni, obbligazioni strutturate e covered warrant
Investire i propri risparmi:
cosa fare e cosa non fare 9
A potenziali alti rendimenti corrispondono alti rischi 2
Strumenti derivati
Il termine “derivati” indica la caratteristica fondamentale di questi prodotti: il
loro valore deriva dall’andamento del valore di una attività ovvero dal
verificarsi nel futuro di un evento osservabile oggettivamente

L’attività, ovvero l’evento, che possono essere di qualsiasi natura o genere,


costituiscono il “sottostante” del prodotto derivato. La relazione – determinabile
attraverso funzioni matematiche – che lega il valore del derivato al sottostante
costituisce il risultato finanziario del derivato, anche detto “pay-off”. I prodotti
derivati sono utilizzati, principalmente, per tre finalità:
- ridurre il rischio finanziario di un portafoglio preesistente (finalità di copertura)
- assumere esposizioni al rischio al fine di conseguire un profitto (finalità speculativa)
- conseguire un profitto privo di rischio attraverso transazioni combinate sul derivato
e sul sottostante tali da cogliere eventuali differenze di valorizzazione (finalità di
arbitraggio)
Investire i propri risparmi:
cosa fare e cosa non fare 10
Diffidare delle proposte improbabili

• Occorre diffidare di proposte di investimento che assicurano un rendimento


molto alto e non in linea con quelli di mercato o "a rischio zero". Alla
promessa di alti rendimenti corrispondono di regola rischi molto elevati o, in
alcuni casi, addirittura tentativi di truffa

• Occorre rimanere alla larga dalle "catene di sant’Antonio", cioè da quelle proposte
che promettono guadagni legati alla successiva adesione di altri soggetti, che
spesso devono essere convinti dallo stesso investitore ad aderire. Queste
"operazioni", infatti, non possono assicurare nessun tipo di rendimento, essendo di
norma alimentate esclusivamente dalla continuità delle adesioni. In altre parole,
nel momento in cui le nuove adesioni non sono più sufficienti a pagare gli
"interessi" ai precedenti sottoscrittori, le iniziative sono destinate al fallimento
Investire i propri risparmi:
cosa fare e cosa non fare 11
Utilizzare mezzi di pagamento previsti e sicuri

• Il controvalore dell'investimento deve essere consegnato utilizzando


esclusivamente i mezzi di pagamento previsti dal contratto. Nel caso
si venga contattati da un promotore finanziario, poi, non bisogna
mai effettuare versamenti di denaro in contante, né con assegni privi
di intestazione oppure intestati al promotore; bisogna utilizzare
sempre, invece, assegni bancari o circolari, intestati (o girati) a nome
dell'intermediario per il quale il promotore opera ovvero del
soggetto i cui servizi o prodotti sono offerti e muniti della clausola
“non trasferibile”
Investire i propri risparmi:
cosa fare e cosa non fare 12
Seguire i propri investimenti nel tempo

• Investire i propri risparmi non si esaurisce nel momento della scelta


e dell’acquisto. Nel tempo possono cambiare le caratteristiche del
prodotto scelto (si pensi ad un’obbligazione il cui emittente non sia
più così solido) e possono cambiare le nostre esigenze

• Anche in questo caso l’informazione gioca un ruolo


fondamentale: dobbiamo seguire i nostri investimenti e acquisire il
maggior numero di notizie. A questo fine, oltre alle notizie sulla
stampa e sugli altri mezzi di comunicazione di massa, dobbiamo
attentamente leggere la documentazione che normalmente il nostro
intermediario ci invia
Investire i propri risparmi:
cosa fare e cosa non fare 13
Cautela nell’utilizzo di Internet: 1

• Con la rete internet si sono moltiplicate le possibilità di contatto fra le persone, e


quindi anche di pubblicizzare, proporre e concludere investimenti attraverso siti
web o e-mail

• Disporre operazioni dal proprio computer è comodo e veloce, senza essere poi
particolarmente complicato. Occorre utilizzare però qualche cautela per stare al
riparo da brutte sorprese

• Innanzi tutto, il codice utente e la password e altri dati relativi al nostro rapporto
non devono essere, mai, dati ad altre persone, neanche a quelle in cui riteniamo di
poter riporre la massima fiducia: sarebbe come consegnare un libretto di assegni
già firmati. Attenzione, inoltre, a non comunicarli inconsapevolmente, magari
rispondendo a e-mail che sembrano provenire dalla nostra banca o rispondendo a
telefonate
Investire i propri risparmi:
cosa fare e cosa non fare 14
Cautela nell’utilizzo di Internet: 2

Il fatto che un’operazione venga conclusa via internet non esclude che l’intermediario
rispetti le regole cui è tenuto. Lo farà con modalità diverse che, nella maggior parte
dei casi, consisteranno in messaggi a video e e-mail

Se riceviamo una proposta via e-mail, o se vogliamo aderire ad un’offerta su un sito


internet, è bene fare qualche verifica in più:
• controllare che il soggetto che propone l'investimento sia chiaramente
identificabile
• verificare che gli indirizzi forniti (telefono, fax e sede del soggetto) corrispondano
effettivamente a quelli del soggetto, avvalendosi magari dei servizi "elenco
abbonati telefonici"
• verificare sempre direttamente presso l'autorità di vigilanza che il soggetto sia
abilitato
• "scaricare", stampare e leggere con attenzione la documentazione contenuta
nel sito e conservarla
Parole chiave della lezione

• ASSUMERE INFORMAZIONI SU PRODOTTI


E SERVIZI
• OBIETTIVI PERSONALI DEL RISPARMIO

• RENDIMENTO ATTESO

• GRADO DI RISCHIO

• MAGGIORE RISCHIO MAGGIORE


RENDIMENTO
Lezione

“SPECULAZIONE IN BORSA”
Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


Ci si propone di far acquisire ai partecipanti adeguate conoscenze sul fenomeno della
speculazione in borsa e opportune informazioni sulle principali strategie e tattiche
speculative, con i tecnicismi e le pratiche più diffuse; i partecipanti saranno altresì
messi in grado di conoscere le due principali metodologie operative degli
speculatori, sapendole collegare ai principi economici generali

Contenuti
• Speculazione: generalità
• Speculazione rialzista e ribassista nella Borsa valori
Speculazione allo scoperto; speculazione su strumenti derivati; la
speculazione fuori dalla Borsa valori
• Le metodologie operative degli speculatori: analisi fondamentale e analisi
tecnica
La legge della domanda e dell’offerta
Speculazione: generalità 1

• La speculazione in finanza è l'attività di un certo individuo


(operatore finanziario) che entra sul mercato nel momento presente
effettuando un qualche tipo di investimento e presumendo degli
sviluppi ad alto rischio il cui esito, positivo o negativo, dipenderà dal
verificarsi o meno di eventi su cui egli ha formulato le sue
aspettative iniziali. Se l'evento aleatorio si manifesterà in linea con le
aspettative, l'operazione speculativa avrà esito positivo, cioè
produrrà un profitto, nel caso contrario si avrà una perdita
• Nel senso comune del termine, per «speculazione» si intende
invece una qualunque operazione intesa a ottenere un vantaggio
o utile sfruttando senza scrupoli situazioni favorevoli, spesso a
danno di altri soggetti o dell'interesse generale
Speculazione: generalità 2

Origine del termine

• Il termine speculazione nasce dalla voce latina specula (vedetta),


da specere (osservare, scrutare), ovvero colui che compiva l'attività
di guardia dei legionari. Da qui deriva il senso etimologico di
"guardare lontano" e "guardare in profondità con attenzione", e così
in senso traslato "guardare nel futuro" o "prevedere il futuro". Già
la voce in tardo latino speculatio, speculationis indica l'attività di
indagine filosofica
Speculazione: generalità 3

Speculazione in economia: caratteristiche dell'attività

• La differenza con molte altre attività di investimento, anch'esse


basate sul concetto di valore atteso, è che nell'attività speculativa il
valore atteso non si fonda su stime statistiche robuste, o quantomeno
significative, ma deriva da una attività previsiva puramente
soggettiva. Si rifà a questa accezione il senso del termine usato in
ambito filosofico di "produrre conseguenze da una asserzione priva
di solida base", che nella finanza equivale a produrre previsioni
senza una solida base statistica. Ciò espone l'operatore speculativo a
grandi rischi, i quali possono essere remunerati da altrettanto grossi
guadagni, ma che possono anche portare al rapido fallimento del
progetto speculativo e dell'azienda stessa
Speculazione: generalità 4

La posizione della teoria economica

• Varie sono le definizioni di speculazione date dalle diverse correnti di pensiero


economico. Nell'ambito dell'economia capitalistica due sono fondamentali: quella
keynesiana e quella neoclassica

• Per l'attestazione del termine inglese «speculation», si può risalire ad Adam Smith
(1776)

• Secondo John Maynard Keynes la speculazione era l'arte di capire cosa gli altri
operatori di mercato avessero pensato riguardo al futuro: a questo proposito è
famosa la metafora del concorso di bellezza. Per indovinare quale bella ragazza
vincerà un concorso di bellezza il nostro parere conta poco perciò è inutile cercare
di capire quale sia la donna più bella. Per indovinare la vincente dobbiamo invece
cercare di capire come voterà la maggioranza dei giurati. La stessa cosa vale per il
mercato azionario:
bisogna indovinare come agirà la maggioranza degli operatori
Speculazione: generalità 5

• I pensatori della scuola neoclassica invece intendono la speculazione come


l'attività di un operatore che si assume dei rischi per i quali richiede una adeguata
remunerazione. Secondo questa scuola di pensiero lo speculatore è un elemento
fondamentale del mercato poiché assicura liquidità e concorre alla formazione di
un prezzo efficiente

• Secondo Ludwig von Mises, appartenente alla scuola austriaca, ogni attore
economico è uno speculatore, in quanto l'azione umana è sempre diretta verso il
futuro che è di per sé sconosciuto e quindi incerta. Il modo distintivo di pensare
dello speculatore sta nella capacità di comprendere i vari fattori che
determineranno il corso degli eventi futuri. Ogni genere di investimento è quindi
una forma di speculazione. I pensatori della scuola neoclassica invece intendono
la speculazione come l'attività di un operatore che si assume dei rischi per i quali
richiede una adeguata remunerazione. Secondo questa scuola di pensiero lo
speculatore è un elemento fondamentale del mercato poiché assicura liquidità e
concorre alla formazione di un prezzo efficiente
Speculazione rialzista e ribassista nella
Borsa valori 1

• La speculazione può essere al rialzo, in cui si compra subito un bene per


rivenderlo in futuro ad un prezzo maggiore, oppure al ribasso, vendendo subito
un bene il cui prezzo si ritiene diminuirà in futuro. Bisogna inoltre tenere conto
della relazione inversa che si crea fra il valore del titolo ed il tasso d'interesse

• Di norma, la speculazione rialzista viene semplicemente attuata acquistando e


accumulando un bene per rivenderlo in futuro quando il prezzo aumenterà. La
speculazione ribassista invece può essere attuata ritardando l'acquisto di un bene ad un
momento futuro, prevedendo che il prezzo diminuisca, oppure vendendo un titolo che
impegna il venditore a consegnare una determinata quantità del bene in futuro,
prevedendo di acquistarlo in un secondo momento dal mercato, quando il prezzo è
diminuito

• In particolare la compravendita di strumenti finanziari allo scoperto è una forma di


speculazione finanziaria che è resa possibile dall'esistenza di un periodo di alcuni giorni
che intercorre dal momento dell'operazione a quello della sua liquidazione con lo scambio
dei titoli e del controvalore in moneta
Speculazione rialzista e ribassista nella
Borsa valori 2

• La differenza pratica tra uno speculatore al rialzo ed uno al ribasso è che


speculando al rialzo sul prezzo di un bene, lo speculatore rischia una quantità
limitata di capitale (quello speso per acquistare il bene da rivendere più tardi),
mentre uno speculatore al ribasso rischia una quantità indeterminata di capitale
(quello che dovrà spendere per acquistare il bene in futuro per assolvere al
contratto). Di converso, lo speculatore al rialzo può guadagnare una quantità
indeterminata di denaro in futuro rivendendo il bene su cui sta speculando,
mentre lo speculatore al ribasso può, al massimo, guadagnare il prezzo a cui si è
impegnato di vendere il bene in futuro (nel caso il prezzo del bene sia zero in
futuro)
Speculazione rialzista e ribassista nella
Borsa valori 3
Speculazione allo scoperto
• Combinando con una speculazione al rialzo o al ribasso dei prezzi, lo speculatore
può anche agire allo scoperto. In questo caso l'investitore, detto in gergo
scopertista, può vendere degli strumenti finanziari che ancora non possiede,
scommettendo su un abbassamento del loro prezzo in modo da acquistarli prima
della scadenza del pagamento. In questo modo, guadagna sulla differenza fra il
prezzo di vendita e quello inferiore di acquisto

• Una compravendita allo scoperto offre margini di guadagno più elevati quando
viene effettuata con degli strumenti finanziari che hanno una forte volatilità,
ovvero che possono variare il loro prezzo in modo consistente anche in pochi
giorni di tempo. Gli strumenti derivati rientrano in questa categoria

• Per arginare il fenomeno delle vendite allo scoperto, le autorità di


regolamentazione possono imporre un breve periodo per la liquidazione delle
operazioni
Speculazione rialzista e ribassista nella
Borsa valori 4

Speculazione su strumenti derivati


• La speculazione su strumenti derivati si realizza in prevalenza comprando o
vendendo questi strumenti senza essere in possesso del relativo sottostante, cioè
agendo allo scoperto. L'agire allo scoperto consente, a parità di rischio, di
moltiplicare i rendimenti e la leva finanziaria attraverso l'uso della
«marginazione»

• L'interesse dell'investitore non è quello di avere a disposizione a una certa data e


prezzo una quantità di valuta straniera o di materie prime, ma lucrare dalla
compravendita del derivato

Fra le possibili regolamentazioni per ridurre la speculazione su derivati, in


particolare di materie prime o generi alimentari, possono essere adottate le seguenti:
• ridurre la durata massima degli strumenti finanziari; a ogni compravendita del
derivato è probabile un aumento del prezzo del derivato e del titolo sottostante
• vietare i fondi che investono in derivati con questi sottostanti
Speculazione rialzista e ribassista nella
Borsa valori 5
La speculazione fuori dalla Borsa valori
• Anche al di fuori dell'ambito della Borsa valori, rimane costante il
principio della speculazione: l'assunzione di posizioni (non solo
finanziarie, ma anche in altri beni) in base ad aspettative
sull'andamento futuro di una o più variabili aleatorie
• È quindi difficile racchiudere la speculazione nel ristretto ambito
della speculazione finanziaria e borsistica, poiché molte attività
economiche si fondano su valori attesi di difficile quantificazione e
molte imprese prendono decisioni strategiche sulla base di
aspettative più o meno coerenti riguardo al futuro. Un esempio fra i
tanti possibili è quello della speculazione edilizia, l'acquisizione e
la successiva vendita di beni immobili con il fine specifico di
ottenere un surplus tra il costo di acquisto ed il prezzo di vendita
Le metodologie operative degli speculatori:
analisi fondamentale e analisi tecnica 1
La speculazione di borsa può essere basata su due approcci:
1. L’analisi fondamentale, è di tipo microeconomico (settoriale, aziendale, etc.) o di
tipo macroeconomico (politica economica, monetaria, dei redditi, etc.). L’analisi
fondamentale è finalizzata alla “previsione”, piuttosto che alla “imitazione” del
comportamento della massa degli operatori. Si tratta di individuare il “vero” valore
di una azione, di una obbligazione, o la situazione degli stock di cereali disponibili, e
di acquistare o vendere a seconda che il “vero” valore sia minore o maggiore di
quello di mercato. Ciò equivale alla previsione di un apprezzamento o un
deprezzamento dell’azione o dell’obbligazione. Questo approccio presuppone due
elementi:
A) il mercato non è efficiente perché i prezzi non corrispondono al valore “effettivo”
dell’azione o dell’obbligazione
B) l’intelligenza dei fatti economici di chi redige la valutazione dell’azione o
dell’obbligazione è superiore a quella media del mercato

Approccio precluso al piccolo investitore e possibile solo alle “mani forti” del
mercato (i grandi operatori finanziari come le banche di investimento straniere)
Le metodologie operative degli speculatori:
analisi fondamentale e analisi tecnica 2

2. L’analisi tecnica, comprende diverse metodologie (grafiche, algoritmiche, cicliche,


“mistiche” o non convenzionali), che hanno per comune denominatore il presupposto
che il comportamento sociologico degli operatori finanziari sia perlopiù di tipo
“imitativo”. tuttavia, esistono anche nell’analisi tecnica delle modalità di previsione
(in larga parte non convenzionali)

Nella microeconomia dei mercati competitivi vale l’assunto che in un settore non può
esistere un “extra-profitto” (cioè un profitto esagerato, che ecceda di molto i costi di
produzione) perché altri operatori economici si inserirebbero in quel settore
aumentando l’offerta di beni e quindi calmierando i prezzi

Nella speculazione di borsa il comportamento “imitativo” è causato dal fatto che


esistono alcuni operatori finanziari che dispongono di informazioni riservate,
oppure che dispongono delle stesse informazioni degli altri ma riescono ad
analizzarle meglio. Si parte dunque anche nell’analisi tecnica dal presupposto che i
mercati non sono efficienti
La legge della domanda e dell’offerta 1

• Regola prioritaria e fondamentale: i prezzi di borsa sono dati dall’incontro di


domanda e di offerta. Se la domanda supera l’offerta i prezzi salgono. Se
viceversa i prezzi scendono vuole dire che l’offerta prevale sulla domanda

• Il prezzo dunque è il termometro del mercato. Considerando il prezzo è possibile


sapere in quale rapporto stanno domanda ed offerta

• Ma siccome l’informazione sul mercato non è immediatamente disponibile a tutti


gli operatori (a causa della asimmetria informativa tra mani forti e mani deboli),
qualcuno sul mercato saprà prima di altri che un nuovo evento economico ha
modificato il valore di un obbligazione o di una azione (un prossimo incremento
del tasso di sconto, una crisi aziendale alle porte, etc.). Di solito chi sa prima
degli altri qualcosa sui mercati finanziari dispone anche di mezzi finanziari
cospicui (gli servono per pagare gli analisti e le fonti di informazione). Queste
mani forti si troveranno ad esempio nella situazione di dover comprare delle
azioni con volumi sostenuti quando la maggior parte degli operatori non vede
alcuna ragione per farlo
La legge della domanda e dell’offerta 2

• Si esamini il caso di un mercato stanco, senza idee, in attesa di qualche novità. La


novità c’è, ma solo alcuni operatori, molto “ricchi”, la conoscono. E’ una notizia
rialzista

• Questi operatori iniziano a comprare con grossi volumi. Quale sarà il


comportamento degli altri operatori, soprattutto di quelli piccoli ? Questi non
sono a conoscenza della novità, ma vedono sugli schermi dei loro computer che il
prezzo sta schizzando al rialzo. Chi è così pazzo da comprare una azione che non
ha motivo di salire? E soprattutto chi è così pazzo e ricco insieme da comportarsi
in una maniera apparentemente così irragionevole ? Può un pazzo essere a lungo
ricco ?
La legge della domanda e dell’offerta 3

• Ecco allora che in questo momento la massa degli operatori adotterà ciecamente
un comportamento “imitativo” e si metterà in coda al movimento dei prezzi
cercando di sfruttare il suo moto d’inerzia. Il processo di disseminazione
dell’informazione avverrà in maniera inversamente proporzionale al grado di
sofisticazione finanziaria degli operatori: prima comprano gli “insiders” (cioè
chi è coinvolto direttamente nelle vicende economiche che riguardano una
azienda o una obbligazione), poi la blasonata banca di investimento
straniera, poi la Sim italiana, poi la banca locale, ed infine il signor Rossi che
l’ha letto sul giornale

• C’è dunque il rischio di “comprare i massimi e vendere i minimi”. La logica


comune vorrebbe il contrario: compra al minimo e vendi al massimo. Ma in un
trend discendente (minimi e massimi decrescenti) ogni giorno siamo al minimo:
come fare dunque a sapere quale sarà la volta buona dell’inversione di tendenza?
Una risposta univoca non esiste…………
Parole chiave della lezione

• SPECULAZIONE

• SPECULAZIONE RIALZISTA E RIBASSISTA

• SPECULAZIONE ALLO SCOPERTO

• SPECULAZIONE BASATA SULLA PREVISIONE

• SPECULAZIONE BASATA SULL’IMITAZIONE


Lezione

“IL MICROCREDITO”
Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


Al termine della lezione i partecipanti saranno in possesso di buone
conoscenze e capacità di interpretazione del fenomeno del
Microcredito, a partire dalla sua nascita e fino all’evoluzione attuale,
senza escludere i meccanismi di funzionamento che lo governano, a
livello normativo nazionale e internazionale e a livello della società
civile, per l’impatto che determina e sui miglioramenti economici ed
etici che genera
Contenuti
• Microcredito: generalità; Microcredito moderno; Principi economici;
Impieghi di gruppo; Prestiti alle donne; L’Italia ed il Microcredito; Peer to
peer (prestiti tra privati) e prestiti sul web; L’impatto del Microcredito; Il
Microcredito secondo la normativa italiana
Microcredito: generalità

Il microcredito è uno strumento di sviluppo economico che permette


l'accesso ai servizi finanziari alle persone in condizioni di povertà ed
emarginazione. Viene definito come "credito di piccolo ammontare
finalizzato all’avvio di un’attività imprenditoriale o per far fronte
a spese d’emergenza, nei confronti di soggetti vulnerabili dal
punto di vista sociale ed economico, che generalmente sono esclusi
dal settore finanziario formale”

Nei paesi in via di sviluppo milioni di famiglie vivono con i proventi delle loro
piccole imprese agricole e delle cooperative nell'ambito di quella che è stata definita
economia informale. La difficoltà di accedere al prestito bancario a causa
dell'inadeguatezza o della mancanza di garanzie reali e delle micro dimensioni
imprenditoriali, ritenute troppo piccole dalle banche tradizionali, non consente a
queste attività produttive di avviarsi e svilupparsi libere dall'usura
Storia: gli inizi

• Idee relative al microcredito possono essere trovate in vari momenti della storia
moderna

• Swift ha ispirato il prestito dei fondi irlandesi nel 18° e 19° secolo

• A metà del 19° secolo, l’anarchico individualista Lysander Spooner ha scritto a


proposito dei numerosi piccoli prestiti utilizzati per le attività imprenditoriali delle
persone meno agiate come un modo per alleviare la povertà

• Allo stesso tempo, ma in modo indipendente da Spooner, Friedrich Wilhelm


Raiffeisen fondò le prime banche di credito cooperativo per sostenere gli
agricoltori della Germania rurale

• Nel 1950, Akhtar Hameed Khan iniziò a distribuire credito a gruppi-orientati nel
Pakistan orientale. Khan utilizzò il modello di Comilla, in cui il credito viene
distribuito attraverso iniziative su base comunitaria. Il progetto fallì a causa del
coinvolgimento eccessivo del governo pakistano, e delle gerarchie create
all'interno delle comunità
Microcredito moderno

• Il Microcredito moderno è indissolubilmente legato alla figura


prestigiosa del Premio Nobel Muhammad Yunus, fondatore della
Grameen Bank, generalmente considerata il primo istituto di
microcredito moderno
• Le origini del microcredito, nella sua attuale applicazione, possono essere
collegate a diverse organizzazioni fondate in Bangladesh, in particolare alla
Grameen Bank

• La Grameen Bank, fondata da Muhammad Yunus nel 1983, è considerata il


primo istituto di microcredito moderno: Yunus ha iniziato il progetto in una
piccola, città chiamata Jobra , utilizzando il proprio denaro per fornire piccoli
prestiti a bassi tassi d’interesse per i poveri delle campagne. La Grameen Bank è
stata seguita da organizzazioni, coma la BRAC nel 1972 e l'ASA nel 1978. Anche
se la Grameen Bank è stata costituita inizialmente come organizzazione no-profit,
dipendente da sussidi governativi, in seguito divenne una persona giuridica e, nel
2002, venne ribattezzata come Grameen II
Principi economici

• Il microcredito si basa su un unico insieme di principi che sono facilmente


distinguibili dalle tendenze dei più vasti mercati creditizi. Le organizzazioni di
microcredito sono state inizialmente create come alternativa ai "prestiti-squali",
noti per poter approfittare dei clienti. Infatti, molti istituti di microcredito hanno
iniziato come organizzazioni non-profit e hanno operato con i fondi statali o con i
finanziamenti privati. Dal 1980, tuttavia l'approccio ai "sistemi finanziari",
influenzato dal neoliberismo e diffuso dall’Istituto di Sviluppo Internazionale
dell'Università di Harvard, divenne l'ideologia dominante tra le organizzazioni di
microcredito

• Ironia della sorte, molte organizzazioni di microcredito ora funzionano come delle
banche indipendenti. Ciò li ha portati a pagare tassi di interesse più elevati sui
prestiti e ponendo maggiore enfasi sui programmi di risparmio. L’applicazione del
microcredito nell’economia neoliberista ha generato molti dibattiti tra gli studiosi
e i professionisti dello sviluppo, anche a causa di talune esperienze non esaltanti
che ha coinvolto una organizzazione come quello messicana
Impieghi di gruppo

• Anche se i prestiti ai gruppi sono stati a lungo una parte fondamentale del
microcredito, esso è nato inizialmente con il principio dei prestiti ai privati

• Grameen Bank e altre istituzioni di microcredito si sono concentrate


inizialmente sui prestiti individuali. In effetti, Muhammad Yunus ha propagato
l'idea che ogni persona ha il potenziale per diventare un imprenditore

• L' utilizzo dell’erogazione di prestiti di gruppo è stata incentivata da economie di


scala, in quanto i costi connessi ai prestiti e ai tassi di rimborso sono
significativamente più bassi quando il credito viene distribuito ai gruppi piuttosto
che singoli individui. Il rimborso di un componente di un gruppo dipende dal
successo di rimborso di un altro membro, trasferendo così la responsabilità di
rimborso dagli istituti di microcredito ai destinatari dei prestiti
Prestiti alle donne

I prestiti alle donne sono diventati un principio importante nel microcredito, con
banche e ONG come BancoSol , WWB e Pro Mujer dedicate esclusivamente alle
donne. Pro Mujer ha creato una nuova strategia per combinare il microcredito con i
servizi sanitari, in quanto la salute dei loro clienti è fondamentale per il successo del
microcredito

Anche se Grameen Bank, inizialmente ha cercato di dare a uomini e


donne a parità di tassi, le donne attualmente compongono il
novantacinque per cento dei clienti della banca. Le donne continuano a
costituire settantacinque per cento di tutti i beneficiari di microcredito
in tutto il mondo. Il prestito esclusivo per le donne ha avuto inizio nel
1980, quando la Grameen Bank ha trovato che le donne hanno tassi di
rimborso più elevati, e tendono ad accettare prestiti più piccoli rispetto
agli uomini
L’Italia e il Microcredito 1

• È stato istituito nel 2006 il Comitato nazionale italiano


permanente per il microcredito

• Nel maggio del 2011 il Governo ha trasformato il Comitato


nell'Ente Nazionale per il Microcredito (ENM) con l'obiettivo di
sradicare la povertà e di supportare la lotta all’esclusione sociale in
Italia e, in ambito internazionale, nei paesi in via di sviluppo e nelle
economie in transizione, di coordinare con compiti di promozione,
indirizzo, agevolazione, valutazione e monitoraggio degli «strumenti
microfinanziari» promossi dall’Unione Europea, nonché delle
«attività microfinanziarie» realizzate a valere su fondi dell’Unione
Europea
L’Italia e il Microcredito 2

• Secondo la disciplina legislativa del microcredito, i finanziamenti consistono in


un prestito di limitato importo con obbligo di restituzione, concesso in assenza
di particolari garanzie a soggetti svantaggiati o in difficoltà economica, mirato
al finanziamento di microimprese, alla creazione di occupazione
(autoimpiego), al sostegno socio-assistenziale nonché agli studi, supportato da
peculiari azioni di accoglienza, ascolto e accompagnamento

• Le categorie a cui può essere concesso il microcredito sono due:


1. Persone fisiche, società di persone, S.r.l. ex art. 2436 C.C., associazioni e
società cooperative, per l’avvio o l’esercizio di attività di lavoro autonomo o di
microimpresa. L’importo massimo erogabile, salvo eccezioni, è di 25.000 euro
e non sono richieste garanzie reali. Sono previsti servizi ausiliari di assistenza e
monitoraggio
2. Persone fisiche in condizioni di particolare vulnerabilità economica e sociale,
per un importo massimo di 10.000 euro e non sono richieste garanzie reali
L’Italia e il Microcredito 3

• Nel primo triennio osservato (2010-2012) sono stati erogati 7.167 microprestiti,
per un ammontare complessivo di oltre 63 milioni di euro. Il monitoraggio ha
rivolto particolare attenzione alle aree più svantaggiate d’Italia e alle Regioni a
"obiettivo convergenza" (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) con un Prodotto
interno lordo pro capite inferiore al 75% della media europea

• Il D.L. 2011, cd. «Salvaitalia» è intervenuto in materia di Fondo di garanzia a


favore delle piccole e medie imprese destinato alla microimprenditorialità,
prevedendo che la garanzia diretta e la controgaranzia possano essere
concesse a valere sulle disponibilità del citato Fondo di garanzia fino all’80%
dell’ammontare delle operazioni finanziarie a favore di piccole e medie
imprese e consorzi ubicati in tutto il territorio nazionale, purché rientranti nei
limiti previsti dalla vigente normativa comunitaria
Esempi 1

• Mumbai, sede della Banca Nazionale per l'agricoltura e lo sviluppo


rurale dell'India, presta fondi alle banche che forniscono
microcredito

• Grameen Bank in Bangladesh è il più antico e probabilmente


più noto istituto di microfinanza nel mondo

• In India, la Banca nazionale per l'agricoltura e lo sviluppo rurale (NABARD)


finanzia più di 500 banche che prestano fondi ai gruppi di auto-aiuto (SHGs, i
Self-help group). SHG comprendono fino a venti membri, la maggioranza dei
quali sono donne delle caste più povere delle tribù. I membri risparmiano piccole
somme di denaro, appena un paio di rupie al mese, in un fondo del gruppo. I
membri possono prendere in prestito denaro dal fondo del gruppo per una varietà
di scopi che vanno dalle emergenze familiari alle rette scolastiche
Esempi 2

• Programmi simili si stanno evolvendo in Africa e Sud-Est asiatico con l'aiuto di


organizzazioni come IFAD, Opportunity International, Catholic Relief Services
• Grameen Bank ha lanciato le sue operazioni negli Stati Uniti a New York
nell'aprile 2008.

• Bank of America ha annunciato l'intenzione di assegnare più di 3,7 milioni dollari


in sovvenzioni a organizzazioni non profit da utilizzare per sostenere programmi
di microcredito

• ACCION USA, la filiale degli Stati Uniti più nota come ACCION International ,
ha fornito $ 117 milioni nel microcredito dal 1991, con un tasso di rimborso
superiore al 90 %.

• Uno studio di ricerca del modello Grameen mostra che gli individui poveri sono
debitori più sicuri perché danno più valore al rapporto con la banca. Anche così,
gli sforzi per replicare stile Grameen prestiti di solidarietà nei paesi sviluppati
sono in genere non riuscite
Peer to peer (prestiti tra privati) e prestiti
sul web
• I principi del microcredito sono stati applicati anche nell'affrontare diverse
questioni non legate alla povertà

• Molte organizzazioni basate su Internet hanno sviluppato piattaforme che


facilitano una forma modificata di prestito peer-to-peer in cui un prestito non
viene realizzato sotto forma di un unico prestito diretto, ma come l'aggregazione
di un certo numero di piccoli prestiti, spesso ad un tasso di interesse trascurabile.
Ci sono diversi modi con cui il pubblico può partecipare per alleviare la povertà
utilizzando piattaforme web

• Un altro microlender-based è WWW.United Prosperità che utilizza una variante


del modello microprestiti solito; con United Prosperità micro il creditore fornisce
una garanzia a una banca locale che poi presta il doppio di tale importo per il
micro. United Prosperità sostiene che questo fornisce una maggiore leva
finanziaria e permette al micro-imprenditore di sviluppare una storia di credito con
la banca locale per i prestiti futuri
L'impatto del microcredito

• I sostenitori affermano che il Microcredito riduce la povertà attraverso una


maggiore occupazione e redditi più alti. Questo dovrebbe portare ad una migliore
alimentazione e una migliore educazione ai figli dei mutuatari

• Alcuni sostengono che il microcredito responsabilizza le donne. Negli Stati Uniti


e in Canada, si sostiene che il microcredito aiuta i destinatari a diplomarsi in
programmi di welfare

• I critici dicono che il microcredito non aumenta il reddito, ma spinge le famiglie


povere in una trappola del debito, in alcuni casi può anche portare al suicidio.
Essi aggiungono che il denaro dei prestiti è spesso usato per i beni di consumo
durevoli o semidurevoli, invece di essere utilizzati per investimenti produttivi,
che non riesce a dare potere alle donne, e che non ha migliorato la salute o
l'istruzione
Miglioramenti e contraddizioni

• Molti studiosi e professionisti suggeriscono un pacchetto integrato di servizi che


forniscono crediti. L'accesso al credito è combinato con servizi di risparmio,
servizi di prestito non produttivi, assicurazioni, lo sviluppo delle imprese
(formazione orientata alla produzione e gestione, supporto marketing) e servizi
sociali connessi (servizi di alfabetizzazione e sanitari, sensibilizzazione sociale)

• Alcuni sostengono che gli imprenditori più esperti che stanno ottenendo prestiti
dovrebbero essere qualificati per i prestiti più grandi per garantire il successo del
programma. Una delle principali sfide del microcredito è fornire piccoli prestiti a
un costo abbordabile. Il tasso di interesse e la tassa media globale è stimato al
37%, con tassi che raggiungono addirittura il 70% in alcuni mercati

• La ragione principale per l'alto costo dei prestiti di microcredito è il costo elevato
di operazioni di microfinanza tradizionali relative alla dimensione del prestito

• Gli alti costi dei prestiti di microcredito tradizionali limitano la


loro efficacia come strumento di lotta alla povertà
Il Microcredito secondo la normativa
italiana
• Per effetto del D.Lgs. 141/2010 i soggetti che vorranno esercitare l'attività di
microcredito dovranno iscriversi in un apposito elenco tenuto da un organismo di
diritto privato, istituito in forma di associazione e vigilato da Banca d'Italia.
L’organismo per i microcredito sarà istituito in un secondo momento. Ai fini
dell’iscrizione nell’albo degli intermediari e nell’elenco degli operatori del
microcredito, le forme giuridiche richieste agli enti sono quelle di società per
azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata e cooperativa per
azioni a responsabilità limitata.

• I finanziamenti concessi per l'avvio o l'esercizio di attività di lavoro autonomo o


di microimpresa hanno le seguenti caratteristiche: sono di ammontare non
superiore a euro 25.000, non assistiti da garanzie reali; sono finalizzati all'avvio o
allo sviluppo di iniziative imprenditoriali o all'inserimento nel mercato del lavoro;
sono accompagnati dalla prestazione di servizi ausiliari di assistenza e
monitoraggio dei soggetti finanziati
Parole chiave della lezione

• PICCOLO PRESTITO

• PERSONE IN CONDIZIONI DI POVERTA’ E DI


EMARGINAZIONE

• PAESI IN VIA DI SVILUPPO

• MUHAMMAD YUNUS

• ALTI TASSI DI INTERESSE


Lezione

“WARREN BUFFET:
LA FILOSOFIA DI
INVESTIMENTO IN BORSA”
Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


Ci si propone di far acquisire ai partecipanti alla lezione la conoscenza dei principali
concetti e metodologie operative adottate dal grande stratega della finanza americana
e mondiale, Warren Buffet, per guadagnare investendo in borsa, anche attraverso
l’apprendimento della filosofia di investimento, basata essenzialmente sulla
conoscenza perfetta del settore, dell’azienda e degli indicatori di redditività

Contenuti
La strategia di Warren Buffet: investire partendo dal settore; Investire in un’azienda:
la filosofia; Valutare un’azione: monitorarla e venderla; Consigli pratici per gli
investitori - Le indicazioni per guadagnare in Borsa; La filosofia di investimento di
Warren Buffet; Scegliere le azioni usando il ROE; Prevedere le performance; La
lettera di Warren Buffet ai suoi azionisti; Correttezza e onestà di Warren Buffett: una
lezione per l’America e anche per gli altri; Le 7 regole d’oro di Warren Buffet
La strategia di Warren Buffet:
investire partendo dal settore

Warren Buffet: uno degli investitori più conosciuti al mondo, definito una leggenda
vivente nel mondo della borsa

Attraverso la sua società di holding, la Berkshire Hathaway, Buffett ha costruito un


archivio che tiene traccia degli investimenti fatti

La sua esperienza si focalizza sull'importanza delle potenzialità di crescita e di


gestione di un'azienda

Buffett non ha mai scritto un libro sul suo approccio all'investimento, sebbene questo
possa essere carpito da altri suoi scritti e dai rapporti annuali della Berkshire
Hathaway. I suoi sostenitori tuttavia hanno cercato di mettere insieme con chiarezza
le regole per uno stile d'investimento alla Warren Buffett e si contano ormai a decine
le pubblicazioni che lo riguardano
Investire in un’azienda: la filosofia 1

• Warren Buffett è fermamente convinto che un investimento


riuscito, in campo azionario, sia semplicemente collegato
al successo del core business dell'azienda; il suo valore viene prima
di tutto dalla capacità della società di generare utili a un tasso
sempre crescente ogni anno. Buffett, in realtà, considera le azioni
come obbligazioni a utile variabile e i loro dividendi equivalgono
agli utili della società
• Se l'azienda è buona gli utili saranno più prevedibili e cresceranno in modo
consistente. Questo, a sua volta, conferisce più valore all'azione rispetto a
un titolo di stato che è notoriamente privo di rischi e ha un rendimento
fisso

• Nessuna limitazione al numero di azioni da acquistare, ma l'analisi


richiede che la società esista da un periodo di tempo considerevole
Investire in un’azienda: la filosofia 2

Buffet preferisce società che sono in settori facili da capire e


analizzare, e che hanno la capacità di adeguare i prezzi all'inflazione

Altri fattori:
• un forte trend in ascesa per gli utili
• un indebitamento prudenziale
• un rendimento del capitale netto abbastanza alto
• un alto livello di utili non distribuiti
• un basso livello di spesa necessario per mantenere le operazioni
correnti
• uso proficuo degli utili non distribuiti
Valutare un’azione: monitorarla e venderla

Buffett non favorisce una grande diversificazione, dato che è difficile analizzare e
capire a sufficienza un numero elevato di società. Inoltre non diversifica il portafoglio
basandosi sulla scelta dei settori. Invece il metodo di Buffett per controllare il rischio
all'interno del portafoglio prevede alcuni punti fondamentali:
• essere sicuri che l'investimento è stato fatto in società in espansione
• capire accuratamente e analizzare la natura delle società
• essere sicuri di pagare un prezzo ragionevole per le azioni

Buffett è anche un investitore a lungo termine, e alcune delle società che ha


scelto sono rimaste nel portafoglio per oltre 20 anni

• Mentre la sua guida, Benjamin Graham, favorisce una vendita quando il prezzo
dell'azione raggiunge il suo valore intrinseco, Buffett continua a mantenerla fino a
quando le potenzialità di crescita della società saranno migliori rispetto a
investimenti alternativi
Consigli pratici per gli investitori.
Le indicazioni per guadagnare in Borsa 1

“Comprare a buon prezzo, un buon business, con fondamentali eccellenti e un


abile ed onesto management
Poi si dovrà solo monitorare che queste qualità vengano preservate”

• Ma come si fa a capire quale è un buon business e a valutare se il prezzo è buono?


Buffett approfondisce il concetto e afferma che per essere un investitore di
successo non hai bisogno di capire le teorie moderne di portafoglio, le opzioni o i
mercati emergenti: “Nel nostro modo di vedere, chi studia la materia degli
investimenti finanziari ha bisogno solo di due competenze vere: Come Valutare
un Business e Come pensare riguardo ai Prezzi di Mercato”

• Per quanto riguarda la prima competenza, nel pensiero di Buffett un buon business
è facilmente comprensibile, e possiede la virtuale certezza che i guadagni saranno
sempre più alti tra cinque, dieci o venti anni rispetto ad oggi. Le aziende con
queste caratteristiche sono poche sul mercato e, quando se ne individuano, non
bisogna lasciarle scappare
Consigli pratici per gli investitori.
Le indicazioni per guadagnare in Borsa 2

• Per essere sicuri di valutare bene un’azienda, questa dovrebbe essere entro il
proprio “circolo di competenza”, e cioè dovrebbe essere facilmente comprensibile
sulla base delle conoscenze possedute. Per Buffett “”la grandezza di questo
circolo non è importante, ciò che importa è conoscerne bene i confini” per evitare
illusioni di competenza
• Per questo motivo Buffett ha sempre evitato le azioni tecnologiche, pur
apprezzando i miglioramenti e le innovazioni che questo settore porta

• Per chi invece vuole farsi il proprio portafoglio titoli, sarà comunque meglio che,
oltre a seguire le regole di buon senso di Buffett, consideri una soluzione mista:
una parte del proprio patrimonio con titoli ben selezionati, e una parte in
fase di crescita, magari acquistati con piani di investimento programmati. Il
tutto in percentuali variabili a seconda della propria propensione al rischio e alle
proprie capacità di affrontare il difficile mondo della borsa
La filosofia di investimento
di Warren Buffet 1
• Assicurarsi, anzitutto, che la prospettiva dell’azienda sia basata
su un incremento degli utili in futuro

• Una volta determinato che le prospettive siano di un aumento degli


utili in futuro, oppure, di una sostenibilità del livello attuale (se si è
acquistato ad un prezzo particolarmente favorevole) entra in gioco
la “one-dollar for one-dollar premise” di Buffett, e cioè la
creazione di almeno un dollaro di capitalizzazione di borsa per ogni
dollaro di utile trattenuto dall’azienda. Questa regola è
importantissima nella valutazione di un investimento azionario,
perché solamente una parte degli utili generati annualmente viene
distribuito agli azionisti sotto forma di dividendi o di riacquisto di
azioni proprie
La filosofia di investimento
di Warren Buffet 2

• Secondo Buffett, il manager capace e “shareholder oriented”, deve trattenere


gli utili quando ha la possibilità di allocare le risorse in modo che il
rendimento sia superiore alla media degli investimenti monetari a reddito
fisso alternativi. In questo modo si avrà creazione di valore, che sarà prima o
poi riconosciuta dal mercato. Quindi anche se l’investitore non ha avuto il
ritorno immediato sotto forma di dividendo, lo avrà sotto forma di aumento
del valore delle proprie azioni

• Al contrario, il manager razionale che capisce di non poter reinvestire gli utili in
modo migliore rispetto agli investimenti monetari alternativi, deve distribuire il
denaro agli azionisti, lasciandoli liberi di reinvestire dove ritengono più
opportuno. Per fare questo ci sono due modi possibili: aumentare il dividendo o
ricomprare azioni proprie
Scegliere le azioni usando il ROE

• "Il test principale della performance economica dei manager di una società
consiste nel raggiungimento di un elevato rendimento del capitale investito e
non nel raggiungimento di una grande crescita nell'utile per azione" (dal
rapporto annuale del 1979 della Berkshire Hathaway)

• La strategia di Buffet non è affatto segreta. Chi ha studiato le sue modalità di


investimento ha rilevato che la componente chiave dell'analisi di Warren Buffett
è il Return On Equity (il rendimento dei mezzi propri), il ROE, = Risultato
netto / Capitale proprio; esso esprime la redditività complessiva dei mezzi
propri, vale a dire quanti euro di utile netto l’impresa ha saputo realizzare per
100 euro di capitale

• Il rendimento dei mezzi propri ha un ruolo fondamentale quando si analizzano le


società e si vuole osservare nella giusta luce il prezzo dell'azione e le valutazioni
dell'azienda
Prevedere le performance

• Buffett tende a sottolineare molto spesso che c'è una qualche correlazione tra
l'andamento del (ROE) di una società e il trend degli utili futuri. Se i ROE
annuali stanno crescendo, anche gli utili dovrebbero aumentare. Se invece il
trend del ROE è stabile, è molto probabile che anche il trend degli utili sia
costante e più prevedibile

• Concentrando l'attenzione sul ROE, un risparmiatore può fare delle previsioni


sugli utili futuri. Se si è in grado di stimare la crescita del ROE futuro di una
società, allora si riuscirà a stimare la crescita dei mezzi propri da un anno all'altro

• Il portafoglio di Warren Buffett di azioni mostrano la sua preferenza


per ROE elevati e consistenti. La Coca-Cola e la Gillette, per
esempio, registrano ogni anno ROE che oscillano tra il 30 e il 50%,
un record senza uguali per società che esistono ormai da decenni.
Quasi tutte le altre società quotate di cui Buffett possiede dei
"pacchetti azionari", hanno dei ROE che partono da almeno il 15%
La lettera di Warren Buffet ai suoi azionisti

• La lettera di Warren Buffett ai suoi azionisti è un esempio di comunicazione


trasparente, da imitare. Un esempio di coerenza unica tra la capacità di
amministrare, gestire e comunicare, tutto all'insegna del rispetto per gli
azionisti di minoranza e per i loro risparmi…….

• «……Il risultato del 2003 in termini di valore di libro è stato deludente: la


performance è stata del 21% di incremento contro un 28,7% dell’indice S&P,
dividendi inclusi. Ma gli azionisti di lungo periodo non possono proprio
lamentarsi: dal 1965, anno in cui Buffett ha acquistato la Berkshire, l’incremento
medio del valore, aggiornato al 2003, è stato del 22,2% annualizzato, contro
una media di periodo del 10,4% dell’indice S&P …………………..»

• Una extra-performance veramente impressionante


Correttezza e onestà di Warren Buffet:
una lezione per l’America e anche per gli altri

• Le parole di Warren Buffett ci descrivono un mondo possibile, la


dimostrazione che si può diventare uno degli uomini più ricchi del pianeta
insieme, e non a scapito dei propri azionisti...

• ………la nostra attitudine è la partnership. ………..pensiamo ai nostri azionisti


come proprietari-partner, e a noi stessi come gestori-partner. Noi non vediamo
la compagnia in sé come la proprietaria finale dei nostri business, ma
piuttosto vediamo la compagnia come il condotto attraverso il quale i nostri
azionisti possiedono i business.”

• ……..speriamo che voi non pensiate a voi stessi semplicemente come possessori
di un pezzo di carta, il cui prezzo oscilla ogni giorno, e che è candidato alla
vendita quando qualche evento politico od economico vi fa diventare nervosi.
Noi speriamo piuttosto che Voi vi consideriate come proprietari in parte di un
business nel quale rimarrete per un tempo indefinito, come se voi possedeste una
fattoria o un appartamento in associazione con membri della vostra famiglia…..
Correttezza e onestà di Warren Buffet:
una lezione per l’America e anche per gli altri

• “Charlie (il suo socio principale) e la sua famiglia hanno il 90% o più della loro
totale ricchezza investita in azioni Berkshire; mia moglie Susie e io abbiamo il
99%.”

• “Charlie e io ci troviamo perfettamente tranquilli di questa situazione di uova-in-


un-solo-cesto perché la Berkshire possiede una grande vastità di business
veramente straordinari. Charlie e io non possiamo promettervi dei risultati. Ma
noi possiamo garantirvi che le Vostre fortune finanziarie saranno le stesse delle
nostre per qualunque periodo di tempo Voi decidiate di eleggerci ad essere Vostri
partner. “

• Noi rinunceremo a interessanti opportunità piuttosto che aumentare la leva


debitoria nel nostro bilancio. Questo conservatorismo ha penalizzato i nostri
risultati, ma è il solo comportamento che ci lascia tranquilli (il contrario di
Parmalat ), considerando le obbligazioni fiduciarie che abbiamo verso i nostri
assicurati, verso chi ci ha prestato i soldi e verso i nostri azionisti che hanno
affidato grandi porzioni del loro patrimonio alla nostra cura
Le 7 regole d’oro di Warren Buffet

1. I manager devono gestire razionalmente i soldi degli azionisti

2. L’impresa deve aumentare nel tempo i guadagni dei suoi azionisti


3. Al momento dell’acquisto, la quotazione deve essere almeno il 25%
inferiore al valore intrinseco
4. I manager devono essere in grado di convertire le vendite in profitti

5. L’impresa deve evitare l’eccesso di debiti

6. L’impresa deve «performare» in maniera consistente

7. I manager devono veramente aumentare il valore per gli azionisti


Parole chiave della lezione

• VALUTARE BENE L’AZIENDA


• PUNTARE SUL CORE BUSINESS
DELL’AZIENDA
• FORTE TREND IN ASCESA PER GLI UTILI
• INDEBITAMENTO PRUDENZIALE

• ALTO LIVELLO DI UTILI NON DISTRIBUITI


Lezione

“ORIGINI STORICHE
DELLA FINANZA”
Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


Al termine della lezione i partecipanti avranno acquisito una discreta
conoscenza storica della finanza italiana e conseguentemente europea,
passando attraverso l’evoluzione di costume ed economica che ha
caratterizzato l’uso della moneta, la nascita della categoria dei
banchieri e degli assicuratori e le peripezie ma anche il prestigio
ottenuto in Europa, nei secoli addietro, dai lombardi e dai genovesi, in
particolare

Contenuti
• Premessa: la finanza nasce in Italia; La moneta; I banchieri; Le
assicurazioni; I lombardi e l’abominevole guadagno
Premessa: la finanza nasce in Italia 1

La finanza è nata in Italia: le obbligazioni erano scritte in genovese, i


banchieri internazionali parlavano toscano, gli assicuratori veneziano, le
monete più solide erano il ducato veneziano, il fiorino emesso dalla
zecca di Firenze e il genovino. Era il tempo in cui gli italiani
insegnavano al resto del mondo come accedere al credito senza
incorrere nei fulmini ecclesiastici sull'usura, come consolidare il debito
pubblico, come far fruttare i risparmi e come evitare di farsi rovinare da
un naufragio
Un tempo in cui gli italiani – chiamati indistintamente lombardi e considerati usurai –
incorrevano nelle ire dei re e nell'indignazione dei popoli. Era la fine del Medioevo e
l'inizio dell'Età moderna, quando i banchieri per lasciare ai posteri un buon ricordo di
sé finanziavano i più illustri artisti della loro epoca: gli Scrovegni chiamano Giotto a
Padova, come faranno vent'anni più tardi i Bardi e i Peruzzi nella fiorentina basilica di
Santa Croce, e i Medici trasformano Firenze uno dei più importanti scrigni d'arte
dell'umanità intera
Premessa: la finanza nasce in Italia 2

L'Italia ha dato alla finanza moderna quasi tutti gli strumenti di


cui ancora oggi ci serviamo: l'assegno, la girata, la cambiale, la
lettera di cambio, lo scoperto, le obbligazioni, l’assicurazione, la
riassicurazione e, passando per la @ di internet, la partita doppia,
codificata da Luca Pacioli nel suo Summa de aritmetica del 1494
Un altro matematico, Fibonacci, nel 1202, fa conoscere all’Europa lo zero e la
numerazione araba. La partita doppia figura, peraltro, già in un documento genovese
del 1340 e rappresenta per l’economia quello che il sistema copernicano significa in
astronomia

Genova, Lucca, Siena, Firenze, Venezia e poi ancora Genova sono queste le tappe
dell'evoluzione bancaria. Non per nulla le banche più antiche del mondo sono il
Monte dei Paschi di Siena (fondato nel 1472) e la banca Carige che affonda le
sue radici nel Monte di pietà di Genova aperto nel 1483
La moneta 1

• Sul finire dell’era repubblicana romana e durante tutto l’Impero il sesterzio era la
moneta più diffusa in Europa e in Asia. Durante la Repubblica il sesterzio era una
moneta d'argento, e veniva coniata sporadicamente. Con la riforma monetaria di
Augusto il sesterzio divenne una moneta di grandi dimensioni

• Con la fine dell’Impero la moneta scompare; nel medioevo non se ne sente il


bisogno, per procurarsi beni si usa il baratto anche se i grandi mercanti
internazionali usano il mancuso (o dinar) arabo o l’iperbero (o nomisma o
bisante) bizantino che hanno una circolazione scarsa di numero ma molto estesa
nello spazio.

• Questa situazione dura fino a quando appaiono nel tessuto sociale europeo
commercianti e artigiani per i quali il baratto risulta assolutamente inefficace. Così
Carlo Magno tra il 781 e il 794 decide di coniare una moneta che inizia a circolare
nel suo vastissimo impero; nasce cosi il denaro; con una libbra di argento si
coniavano 240 denari e la gente cominciò a chiamare lira, appunto da libbra, i 240
denari
La moneta 2
• Agli albori dell’anno mille l’Italia settentrionale è l’area economica più sviluppata
d’Europa e le zecche di Milano, Pavia, Verona e Lucca forniscono i denari
necessari a far girare l’economia europea

• Ma con il passare degli anni gli stati post carolingi consentono alle proprie zecche
di introdurre nel denaro quantità sempre minori di argento cosicché il denaro
lentamente si svaluta e i vari stati scoprono il principio della svalutazione
competitiva, che in Europa durerà fino alla nascita dell’euro

• Tra il X e il XII secolo nasce in Italia la borghesia; sono gli anni in cui Amalfi,
Pisa, Genova, Firenze e Venezia si impongono come empori internazionali. Il
denaro carolingio non risponde alle esigenze dei nuovi commerci e ciascuna città
comincia a battere moneta propria. Inizia Genova con un proprio denaro nel 1138,
nel 1184 Venezia fa battere alla zecca di Verona un proprio conio e
successivamente Firenze apre una propria zecca per produrre moneta
La moneta 3

• Nel 1252 Genova conia una moneta d’oro, il genovino, qualche


mese dopo Firenze conia il fiorino; entrambe le monete pesano tre
grammi e mezzo e hanno un titolo di 950 millesimi. Termina, così, il
periodo del monometallismo monetario inaugurato da Carlo Magno
quattro secoli prima. Nel 1284 anche Venezia avvia la coniazione
aurea con il ducato che conquista la fiducia dei mercanti d’Europa e
specialmente del medio oriente e dell’Asia e la manterrà inalterata
per secoli. L’intervallo di tempo che va dalla fine dell’Impero
romano fino all’era napoleonica è coperto tra l’una e l’altra,
principalmente, da due sole monete d’oro, prima dal bisante dei
bizantini e poi dal ducato dei veneziani. Nel 1544 il ducato prende il
nome di zecchino con una purezza di 997 millesimi (da cui
l’espressione di oro zecchino)
I banchieri 1

• L’attività bancaria moderna vede la luce tra Lucca, Siena, Roma e Genova
all’inizio del XII secolo; nel trecento e quattrocento prevale Firenze, mentre
nel cinquecento e seicento la palma torna a Genova. Nel XVI secolo la finanza
esce dall’Italia e si trasferisce progressivamente a Bruges, Anversa, Amsterdam e
Londra. Un personaggio fondamentale per la nascita della finanza è il
cambiavalute; nelle città italiane circolano monete dei vari stati con
concentrazioni di metalli preziosi variabili da moneta a moneta e solo i
cambiavalute conoscono i loro rapporti di cambio

• E’ oggetto di disputa tra specialisti se nasca prima il banchiere o il cambiavalute,


fatto sta che, nel 1150, Genova appalta “il diritto di cambiare moneta, per
ventinove anni, a un consorzio di banchieri locali”; è il primo documento
conosciuto che parli di banche e banchieri. Gran parte delle transazioni tra
banchieri e mercanti avviene sulla parola e il nome di banchiere è sinonimo di
onestà e affidabilità; banchiere è la persona cui si dà creditum da cui l’accezione
moderna di credito
I banchieri 2

• Una famosa famiglia di banchieri senesi fu quella dei Chigi. I documenti la


presentano nel XIII secolo in Siena, dove la famiglia, che era di banchieri,
acquistò nobiltà nel 1377 e tenne pubblici uffici. Nel XV secolo, la famiglia si
divise nei due rami di Mariano e di Benedetto. Mariano (1439-1504) fu un
banchiere famoso; Sigismondo (1479-1525), suo figlio, genero di Pandolfo
Petrucci e persona autorevole a Siena, adornò il palazzo con i dipinti del Sodoma
ed eresse la principesca Villa delle Volte. Ma più famoso fu un altro dei figlio di
Mariano, Agostino il Magnifico, nato circa il 1465, morto a Roma nel 1520

• Orlando Bonsignori è stato un banchiere che occupa fra i banchieri del duecento
e non solo senesi, una posizione apicale, sia per l'enorme patrimonio finanziario
costruito ed investito, sia per le valenze politiche che la sua attività aveva
sviluppato; la sua banca diventa la banca dei papi ed è spesso confrontata allo
IOR di oggi. Orlando è un banchiere a tutto tondo e la sua banca, la Gran Tavola,
può essere considerata l'antesignana della banca universale
I banchieri 3

• L’influenza dei banchieri lucchesi avviene con la famiglia Rapondi. Essa, già
dalla fine del tredicesimo secolo aveva relazioni commerciali con le Fiandre, rese
più frequenti e proficue quando la Società dei Rapondi, vendendo i manufatti
serici di Lucca e acquistando gioielli, oreficerie, codici e opere d'arte fiamminga,
poté esercitare anche il cambio e il prestito ed assumere uffici finanziari, appalti e
forniture per i duchi di Borgogna, e per le corti di Parigi e d'Avignone

• In campo bancario Genova non sta ferma e vede rifulgere l’astro del piacentino
Guglielmo Leccacorvo; il suo banco, da un documento del 1244, è il primo che
possa definirsi moderno (per esempio consente scoperti di conto), ma la sua
fortuna derivò dall’essersi legato alla famiglia dei Fieschi, onnipotente a Genova,
e quando Sinibaldo Fieschi diventa papa col nome di Innocenzo IV i rapporti si
fecero ancora più stretti. Il banco Leccacorvo fallisce nel 1259 dopo la morte di
Guglielmo. Alcuni storici affermano che alla morte di Guglielmo si scatenò il
panico e i clienti corsero alla Banca, ancora solida, per ritirare i propri
risparmi. Il panico tra i creditori sarà una delle cause principali del
fallimento di molte banche di quei tempi
I banchieri 4

• I più grandi banchieri del trecento non furono, però, né lucchesi né genovesi
ma bensì senesi. Le più importanti famiglie di Siena, i Salimbeni, i Tolomei, i
Piccolomini sono tutte famiglie di banchieri, anche se la più importante fu quella
dei Bonsignori che erano, però, di modeste origini. A Siena non accade quello che
successe a Lucca e anche dopo il fallimento dei Bonsignori la città continuerà a
calcare la scena bancaria seppure non più da protagonista. Il Monte dei Paschi
nasce nel 1472 come banca della Repubblica e nel 1624 il granduca di Toscana
concede, a garanzia dei depositi, le rendite dei pascoli demaniali della Maremma,
detti “paschi” da cui il nome attuale dell’Istituto

• Arriva poi il turno di Firenze con i Peruzzi e i Bardi, e, a livello


inferiore, con gli Acciaiuoli, i Pucci, i Frescobaldi, i Guadagni nel
trecento e i Medici nel quattrocento
I banchieri 5

• Gli Acciaiuoli furono originari di Brescia; il patriarca Gugliarello per sfuggire alle
faide politiche, che si trasferì verso il 1160 a Firenze. Nel 1282 fondarono una
compagnia commerciale che divenne molto ricca e potente e fu alla base della
fortuna di famiglia. La compagnia ebbe sedi in tutta Europa e prestò denaro a
importanti figure dell'epoca. Divennero infatti nel corso del XIV secolo banchieri
degli Angioini del Regno di Napoli e del Pontefice

• Gli Strozzi. Fu soprattutto l'attività bancaria di altissima importanza che permise


alla famiglia di costruire una solida base economica dalla quale poi derivarono gli
incarichi e gli onori, i titoli nobiliari e il mecenatismo. Il Banco Strozzi, tra i
principale della città già dal primo Quattrocento, prestava denaro a papi e re ed
aveva filiali in tutta Europa: Francia, Spagna, Fiandre, oltre a un banco nelle
principali corti italiane: Roma, Napoli, Ferrara, Venezia, eccetera. Almeno fino al
Quattrocento gli Strozzi erano di gran lunga la famiglia più ricca di Firenze
I banchieri 6

• I Medici. Giovanni di Bicci de' Medici, a servizio dello zio, Giovanni di Bicci de'
Medici, imparò il mestiere di banchiere, diventando presto il responsabile della
filiale a Roma.. Dal 1494, anche la filiale di Milano cessò di esistere. Le filiali
videro la loro fine nel 1494, quando Savonarola e il papa iniziarono ad agire
contro i Medici. Al momento del fallimento il Banco Medici era ancora la più
grande banca d'Europa, con almeno sette filiali e cinquanta agenti, un
numero stupefacente per l'epoca. L’inizio della crisi del Banco si può far risalire
a Cosimo che passò la maggior parte del suo tempo dedicato alla politica, grazie
alla quale riuscì a trasformare la Repubblica in Signoria, della quale Cosimo fu
Signore. L’erede Lorenzo investì nel Banco il patrimonio del fratello Piero.
Lorenzo, diventato , "il Magnifico" non si occupò affatto del Banco. Egli
concentrò il patrimonio della banca nel patrocinio di artisti e letterati
Le assicurazioni

Benedetto Cotrugli, suddito veneziano, fu mercante e l'autore del primo trattato


commerciale che la storia ricordi. Nei suoi scritti, tra gli altri, il Cotrugli si dilunga
sulle varie pratiche volte ad assicurare i mercanti dalla perdita delle proprie mercanzie
per rapine, affondamento di nave, assalto di pirati e altro

Infatti darsi da fare con le polizze assicurative, frazionarle o rivenderne il rischio era
una faccenda molto diffusa a Venezia, a quei tempi la capitale europea delle
assicurazioni. Sul finire del XVI secolo si sottoscrivevano ogni anno polizze per 3,6
milioni di ducati e assumendo con un tasso medio dei premi attorno al 6-8 per cento si
ricava che il valore dei premi era tra 215 e 290.000 ducati.

Ma non furono i veneziani a inventare l’assicurazione perché le prime testimonianze


scritte di questa pratica, come contratti di assicurazione marittima, si trovano a
Genova

Sul finire del seicento l’ombelico del mondo assicurativo si sposta a Londra;
assicuratori e assicurati si riuniscono in Lombard Street presso il bar di un certo
Edward Lloyd
I lombardi e l’abominevole guadagno 1

• I banchieri che prestano piccole somme a persone comuni vengono additati al


pubblico disprezzo per l’abominevole guadagno. Eppure questi piccoli prestatori
invadono l’Europa concorrendo in modo considerevole al suo sviluppo e creando
le basi del capitalismo moderno. Questi prestatori si differenziano dalle grandi
banche perché utilizzano capitali propri e non maneggiano depositi di terzi.
Alcuni di questi prestatori, pur non raggiungendo i vertici delle grandi famiglie di
banchieri, conquistano posizioni di rilievo ed elevati patrimoni personali. Gli
unici, ma non trascurabili rischi per loro sono l'insolvenza dei creditori e le
prevaricazioni degli stati

• La presenza di mercanti e prestatori italiani a nord delle Alpi risale almeno agli
inizi del Duecento, spinta da una congiuntura economica europea favorevole agli
spostamenti e allo sviluppo di nuove forme di credito. In particolare i prestatori,
indicati sovente con il generico nome di lombardi (a nord delle Alpi gli italiani
erano dispregiativamente chiamati lombardi), si contraddistinguevano per la
facilità di movimento
I lombardi e l’abominevole guadagno 2

• Dai documenti conservati in archivi stranieri, sappiamo, che alla base degli
stanziamenti dei prestadenaro vi erano quasi sempre le necessità finanziarie delle
autorità locali, urbane o principesche, alle quali essi dovevano versare un diritto
di borghesia o un censo annuo per poter esercitare la loro professione. In cambio
ricevevano un permesso, limitato nel tempo ma che di solito era rinnovato senza
particolari difficoltà, con cui si accordava loro l’esercizio del prestito dietro precise
condizioni; in tal modo il lombardo e la sua famiglia acquisivano determinati
privilegi, soprattutto di tipo fiscale, e si mettevano sotto la protezione dell’autorità

• Tuttavia le licenze per le attività dei banchi potevano essere improvvisamente


seguite da inquisizioni, sequestri, chiusura delle tavole ed espulsioni dovute ai
motivi più disparati: ossia incameramento dei beni, crisi politiche, guerre, pressioni
di gruppi sociali rivali
I lombardi e l’abominevole guadagno 3

• Da un punto di vista economico, possiamo in generale parlare di


un'integrazione dei lombardi attraverso una capacità di adeguamento
alle esigenze locali e di godimento dei relativi vantaggi. In alcune
realtà regionali i lombardi avevano incontrato una società
relativamente aperta, che accoglieva nei ranghi della sua élite
cittadina coloro che - pur forestieri - erano forniti di mezzi finanziari
• Ma, un vero radicamento oltralpe è stato abbastanza raro. Nel caso
dei centri urbani la discriminante principale fra inserimento e
radicamento dei lombardi va individuata in particolare
nell'affidamento di cariche cittadine. Infatti, qui le autorità pur
comprendendo il tornaconto dell'attività di credito da essi svolta,
non permettevano una loro penetrazione nei punti chiave
dell'organizzazione comunale
I lombardi e l’abominevole guadagno 4

• Appare in tal modo evidente una distinta via all'integrazione e alla carriera
politico-amministrativa: benché provenissero quasi sempre da casati che in patria
giocavano un ruolo importante, in città politicamente autonome era stato molto
difficile per i presta denaro ottenere un posto nelle maglie della gestione del
potere
• Diversamente, in regioni e città sottoposte a un'autorità di tipo regio, ducale,
comitale o vescovile erano stati molti coloro che avevano avuto la possibilità di
un'ascesa politica. L'autorità principesca o comitale, infatti, si basava sulle
capacità dei lombardi e sulla loro disponibilità monetaria per far fronte alla
pressante necessità di denaro, spesso ricambiando proprio con l'affidamento di
uffici pubblici

• Alcune famiglie erano così riuscite a far parte di una certa élite economica
internazionale, anche se ciò non significava automaticamente essere riconosciuti
come appartenenti ad essa dall’élite locale. Per diverse città è ormai accertato
che i lombardi non erano stati affatto relegati in quartieri periferici
Parole chiave della lezione

• FINANZIERI ITALIANI

• DENARO

• BANCHE E ASSICURAZIONI

• I LOMBARDI E L’USURA

• ABOMINEVOLE GUADAGNO
Lezione

“STORIA DELLA BORSA VALORI”


Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


Ci si ripromette di far acquisire ai partecipanti una buona conoscenza
della storia della Borsa valori italiana, la sua evoluzione storica e
normativa; si è impegnati altresì a far acquisire alcuni elementi
conoscitivi delle principali borse europee e mondiali

Contenuti
• Premessa
• La nascita della Borsa valori
• La Borsa italiana
• Evoluzione normativa e situazione attuale
• Altre importanti borse nel mondo
Premessa

La borsa è il mercato regolamentato dove si realizzano i contratti


di compravendita finanziaria, cioè il mercato organizzato per la
negoziazione e lo scambio degli strumenti finanziari (azioni,
obbligazioni e derivati) ad un determinato prezzo, che scaturisce
dall'incontro effettivo tra domanda ed offerta

Qui si descrivono brevemente le fasi storiche che hanno portato la


borsa valori verso la situazione attuale. Dalla nascita ad oggi, infatti,
sono state moltissime le modifiche apportate alla struttura e ai
regolamenti delle varie borse valori del mondo
La nascita della Borsa valori

• Storicamente, la prima vera e propria compravendita di titoli è avvenuta intorno


al 1500 nella città fiamminga di Bruges: i mercanti si davano appuntamento tra i
canali per vendere o acquistare titoli rappresentativi di un credito o di merce in
viaggio da paesi lontani e che non poteva materialmente essere oggetto di scambio
o di acquisto. Questa sorta di mercato organizzato avveniva principalmente in una
piazza, e più precisamente le contrattazioni si effettuavano in un palazzo sulla cui
facciata erano scolpite tre borse, stemma di famiglia dei Van De Bourse, da cui
deriva il nome attuale "borsa"

• La prima borsa valori fu istituita nel 1531 ad Anversa e il suo nome trae origine
dal palazzo di Bruges. Da allora le borse nel mondo si moltiplicarono: il 17
Maggio 1792 nasce il mercato azionario più importante del mondo: il NYSE (New
York Stock Exchange), il quale nacque grazie ad un prestito di otto milioni di
dollari contratto per finanziare la guerra di indipendenza contro la Gran Bretagna

• Molte altre città seguirono l'esempio americano, tra cui anche Milano che istituì,
con decreto napoleonico, la sua Borsa il 16 Gennaio del 1808
La Borsa italiana 1

• La prima Borsa Valori Italiana fu istituita a Venezia nei primi mesi del 1600

• In Italia, fino alla fine del 1996, hanno operato 10 Borse, in dieci città: Milano,
Torino, Roma, Genova, Venezia, Trieste, Bologna, Firenze, Napoli e Palermo. La
Borsa più importante è sempre stata quella di Milano nella quale si concentrava il
90% circa di tutto il mercato mobiliare italiano. Le borse italiane e quelle francesi
furono istituite e controllate dalle autorità pubbliche. Nella maggior parte degli
altri Paesi europei le borse furono invece istituite da istituzioni economiche
private

• Tra le dieci borse esistenti in Italia, quella di Milano era di gran lunga la più
importante; in essa sia il comparto obbligazionario sia quello azionario hanno
sempre presentato, infatti, un numero di titoli quotati ampiamente superiore a
quello dei titoli iscritti al listino delle altre piazze. Solamente per i titoli di stato
non vi erano grandi differenze, e questo perché la loro quotazione avveniva di
diritto sul mercato mobiliare
La Borsa italiana 2

• La prima sede, milanese, fu molto modesta, racchiusa in tre stanze al pianterreno


del Monte di Pietà. La sistemazione presso il Monte di Pietà si rilevò ben presto
molto scomoda e fu necessario chiedere alle autorità la facoltà di portare la Borsa
e la Camera di Commercio in un edificio in piazza dei Tribunali. Interventi di
adattamento della grande sala della Borsa furono intrapresi, ma ben presto le
autorità locali maturarono l'idea di far sorgere una sede più ampia e più idonea,
progettata secondo le esigenze dell'attività borsistica. L'architetto Luigi Broggi, fu
incaricato di elaborare un progetto organico. Una società acquistò il terreno nei
pressi di Piazza Cordusio e costruì a proprie spese la sede della Borsa, la quale a
sua volta si impegnò a pagare l'affitto per i successivi venti anni. La nuova sede fu
inaugurata con grande solennità alla presenza del Re, l'8 Ottobre 1901 in Piazza
Cordusio
La Borsa italiana 3

• Con la legge del 7 giugno 1974, istitutiva della Consob (Commissione


Nazionale per le Società e la Borsa), e con successive disposizioni, che sono
state apportate numerose innovazioni all'istituto borsistico e al suo funzionamento
a garanzia di una maggiore efficienza, trasparenza e garanzia nelle contrattazioni.

• Così, fino al 1991 le quotazioni in borsa avvenivano esclusivamente tramite la


contrattazione alle grida in particolari recinti (corbeilles) nelle quali avevano
luogo tutte le operazioni relative all'accertamento dei prezzi ufficiali e alla
redazione dei listini. I prezzi erano costantemente trasmessi ad un funzionario
della Camera di Commercio che si trovava al centro del recinto, il quale era
incaricato di raccogliere le notifiche. A fine giornata il comitato direttivo degli
agenti di cambio definiva il listino ufficiale da pubblicizzare nelle forme
prescritte. Il listino conteneva solo i prezzi definiti, quelli cioè per i quali l'offerta
aveva incontrato la domanda
La Borsa italiana 4

• A causa delle inefficienze di questo tipo di mercato si cercò, fin dagli anni Ottanta,
di porre rimedio attraverso il perfezionamento del sistema introducendo
apparecchiature computerizzate sempre più avanzate: era il primo passo verso la
borsa telematica. Si sentiva l'esigenza di introdurre nuove procedure elettroniche
anche per assicurare il puntuale svolgimento degli adempimenti successivi alla
conclusione delle contrattazioni

• Le borse valori di tutto il mondo si erano evolute in questo modo e sempre più si
cercò di adeguare i mercati alle nuove invenzioni della tecnologia informatica fino
a raggiungere il moderno sistema di contrattazione che è la borsa telematica. Essa
non è più un luogo fisico dove gli agenti gridano o sono seduti davanti al
computer l'uno al fianco dell'altro, bensì consiste in un grande sistema elettronico
che elabora gli ordini di vendita o di acquisto pervenuti da ogni parte del mondo
attraverso la rete. Ogni Paese ha una borsa telematica: gli Stati Uniti hanno la
borsa di New York; l'Italia ha la borsa di Milano
La Borsa italiana 5

• Dal 18 aprile del 1994 il mercato borsistico italiano "alle grida" non esiste più.
L'ormai generalizzato ricorso alle nuove tecnologie telematiche ha portato nel
mercato mobiliare un cambiamento radicale non soltanto delle procedure ma anche
dei luoghi della comunicazione: se un tempo la Borsa, con le sue strutture fisiche, i
suoi recinti e la concentrazione degli operatori, rappresentava anche tangibilmente
il mercato quale centro delle negoziazioni, oggi sono i mercati telematici a
consentire l'incrocio di domanda e offerta nel parterre virtuale delle reti.
L'introduzione del sistema di negoziazione elettronica ha inizialmente interessato
una prima rosa ristretta di titoli con caratteristiche di bassa liquidità e ridotto
volume di ordini. Il successo riscontrato nei primi mesi di operatività ha consentito
di estendere per tappe successive la negoziazione telematica
La Borsa italiana 6

• Il ricorso all'information technology si è diffuso poi nelle più svariate forme di


negoziazione. Lo sviluppo del Sistema telematico semplificato per la negoziazione
dei titoli a reddito fisso ha dato luogo alla realizzazione del Mot, il Mercato
Telematico delle Obbligazioni e dei titoli di Stato.

• E’ nato poi direttamente telematico l'Idem, il Mercato italiano dei derivati, cioè il
circuito sul quale, dal Novembre del '94, hanno avuto inizio le negoziazioni del
contratto future Fib30 sull'indice di Borsa Mib30.

• Dunque ormai da tempo tutti i mercati, compresi quello all'ingrosso dei titoli di
Stato (Mts) e quello dei relativi derivati (Mif e Mto), dispongono di un circuito
telematico di negoziazione; tra le più recenti applicazioni "in rete" vanno infine
ricordate la "telematizzazione" del mercato dei premi e la quotazione dei Bot sul
circuito Mot, destinato anche a ospitare le negoziazioni dei "mercati di valori
mobiliari non quotati in Borsa e non negoziati sul ristretto", meglio noti come
«mercati locali»
La Borsa italiana 7

• Parallelamente all'introduzione del sistema di


contrattazione telematica si è attuata la riforma delle
procedure di compensazione e garanzia,
contestualmente all'adozione, anch'essa avviata
progressivamente, del meccanismo della liquidazione a
contante delle transazioni in valori mobiliari
Evoluzione normativa e situazione attuale 1

• Fino al 1991 la Borsa Valori è stato un mercato organizzato,


regolamentato e pubblico, in cui le regole operative erano fissate
dalla legge e dagli organi di controllo; da quell'anno scattarono le
direttive della Comunità Europea sull'intermediazione mobiliare e i
servizi di investimento, ponendo le premesse per la
"privatizzazione" dei mercati finanziari
• Il 7 febbraio 1997 il Consiglio di Borsa ha costituito una società,
denominata BORSA ITALIANA S.p.A., il cui azionariato è
composto da Banche, SIM, associazioni di emittenti ed altri attori
del mercato, e contemporaneamente sono state chiuse le preesistenti
Borse valori sul territorio nazionale italiano e tutti gli scambi sono
stati concentrati presso la sede di Milano, diventata Borsa valori
italiana
Evoluzione normativa e situazione attuale 2

• A partire dal 1° gennaio 1998 la Borsa Italiana S.p.A. è divenuta una società
di gestione dei mercati operativa a tutti gli effetti
• Attualmente la Borsa Italiana S.p.A. gestisce i mercati mobiliari italiani. In
particolare, svolge le seguenti funzioni:
- Definizione dell'organizzazione e del funzionamento dei mercati, delle
modalità di accesso degli intermediari, nonché attività di vigilanza e di
gestione delle situazioni di crisi
- Definizione della disciplina dei requisiti per l'ammissione a quotazione,
della sospensione degli operatori e degli strumenti finanziari e revoca
della stessa
- Gestione delle procedure e dei rapporti con gli emittenti per i contratti di
quotazione
- Definizione dei profili organizzativi e stesura del codice di comportamento
dei soggetti operanti sui mercati
Evoluzione normativa e situazione attuale 3

• Fino al 1991 l'attività di negoziazione è stata esercitata esclusivamente dagli


agenti di cambio, anno in cui sono state istituite le Società di Intermediazione
Immobiliare (SIM)

Oggi, in base al Regolamento dei mercati organizzati e gestiti dalla Borsa Italiana
S.p.A. possono partecipare alle negoziazioni nei mercati organizzati e gestiti dalla
Borsa italiana:
• gli agenti di cambio
• le banche nazionali, comunitarie ed extracomunitarie autorizzate
allo svolgimento dell'attività di negoziazione per conto proprio e/o
di terzi ai sensi del Testo Unico della finanza
• le imprese di investimento nazionali, comunitarie ed
extracomunitarie autorizzate allo svolgimento dell'attività di
negoziazione per conto proprio e/o per conto di terzi ai sensi del
Testo Unico della Finanza
Evoluzione normativa e situazione attuale 4

• Alla Borsa Valori e al Mercato Ristretto sono negoziate le Azioni Ordinarie,


Azioni Privilegiate, Azioni di Risparmio, Obbligazioni convertibili, Diritti di
Opzione e Warrant

• Sul mercato Idem sono scambiati i Futures, Opzione sull'indice Mib30,


Fib30, Opzioni sui singoli titoli

• Sul Mot sono negoziati i Titoli di Stato (Bot, Cct, Btp, Ctz, Cte, Cto),
Obbligazioni emesse da società private

• In Italia il sistema accentrato della gestione dei titoli è gestito dalla Monte Titoli
Spa e dalla Banca d'Italia, il Monte Titoli è competente, in particolare, per quanto
riguarda la gestione accentrata dei titoli azionari e di quelli obbligazionari emessi
da società private. Alla Banca d'Italia compete invece la gestione centralizzata
dei titoli di stato
Altre importanti borse nel mondo 1

• New York. È la più grande piazza finanziaria del mondo. Le due maggiori borse
valori, il New York Stock Exchange (NYSE) e il Nasdaq, che da anni si
contendono la supremazia, hanno una capitalizzazione complessiva circa 30 volte
superiore a quella raggiunta dal mercato azionario italiano. Il Nasdaq - il
mercato dei cosiddetti titoli tecnologici - ha debuttato nel 1971 ed è, fin dalla
nascita, un mercato telematico. La caratteristica principale del mercato
statunitense è di essere fortemente internazionalizzato. Nel listino del NYSE
sono quotate circa 500 società straniere (di cui 11 italiane). Caratteristica che
si ritrova al Nasdaq (dove sono scambiati i titoli delle nuove società) e all'Amex,
la terza Borsa statunitense

• Tokyo. È la maggiore delle otto borse valori giapponesi. Come negli Usa, anche
alla Borsa di Tokyo è previsto che le contrattazioni in titoli stranieri assumano la
forma di certificati sostitutivi, i Depositary receipts (Dr). I più importanti indici
della Borsa nipponica sono gli indici Nikkei e Topix
Altre importanti borse nel mondo 2

• Londra. Dopo New York lo Stock Exchange londinese è il più


internazionalizzato al mondo con la presenza di 516 compagnie
estere quotate. Il più importante indice azionario della Borsa di
Londra è l'Ftse100, che misura le variazioni fatte registrare dai 100
titoli guida del mercato principale

• Francoforte. L'unione monetaria europea ha promosso la Borsa


tedesca come piazza finanziaria di primaria importanza su scala
continentale. Il principale indice della Borsa tedesca è il Dax, un
paniere che include le principali 30 azioni del listino
Parole chiave della lezione

• BORSA COME MERCATO

• SCAMBIO DI STRUMENTI FINANZIARI

• QUOTAZIONE IN BORSA

• REGOLAMENTAZIONE DEGLI SCAMBI

• BORSE INTERNAZIONALI
Lezione

“MEDIOBANCA”
Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


Al termine della lezione i partecipanti possiederanno sufficienti
conoscenze della storia di Mediobanca, della sua evoluzione in
coincidenza con lo sviluppo economico e sociale del paese e sapranno
identificare i principali concetti collegati ai principi di funzionamento
della più importante Banca d’affari italiana e avranno infine appresso
il rilievo fondamentale che ha avuto il suo fondatore, Enrico Cuccia,
nella storia del sistema bancario ed economico italiano
Contenuti
• Mediobanca: storia ed evoluzione
• Enrico Cuccia
• Il Piano strategico 2014-2016
Mediobanca
le origini

• Mediobanca è un istituto di credito italiano fondato nel 1946 per iniziativa di


Raffaele Mattioli e di Enrico Cuccia (che ne fu il Direttore Generale dalla
fondazione al 1982). Oggi è presente sui mercati internazionali con le sedi di
Parigi, Madrid, Francoforte, Londra, Mosca, New York e Istanbul

• Mediobanca fu costituita nel 1946 per soddisfare le esigenze a media scadenza


delle imprese produttrici. Si voleva stabilire un rapporto diretto tra il
mercato del risparmio e il fabbisogno finanziario per il riassetto produttivo
delle imprese, reduci dalle devastazioni della Seconda guerra mondiale

• Accanto alla concessione di crediti consolidati, a fronte di una raccolta costituita


da certificati di deposito e libretti vincolati, Mediobanca ha sviluppato sin
dall'inizio un’attività di intermediazione consistente nel
collocamento sui mercati finanziari di obbligazioni e azioni
emesse da imprese italiane
Mediobanca
la crescita

• Enrico Cuccia ha guidato come direttore generale l'istituto per molti anni,
anche come amministratore delegato e infine presidente onorario, giungendo
a far identificare la sua persona con l'impresa stessa

• A metà anni cinquanta del Novecento furono stretti accordi con importanti partner
esteri (Gruppo Lazard, Berliner Handels Gesellschaft, Lehman Brothers, Sofin)
che le consentirono di giocare sulla scena internazionale. Nel 1956 la banca fu
quotata in Borsa

• Mediobanca è intervenuta sin dalle origini in settori collaterali a quello creditizio,


quali le gestioni fiduciarie (1948 con la Spafid), la promozione del commercio
internazionale, il credito al consumo (nel 1960 attraverso la Compass che era stata
costituita dieci anni prima per sviluppare nuove iniziative con soci industriali), la
revisione contabile (1961 con la Reconta che fu la prima società italiana di
revisione), il leasing (1970 con la Selma). Le professionalità dimostrate dalla
banca sotto la guida di Enrico Cuccia le hanno consentito di guadagnare presto
una posizione di guida nel settore dell’invesiment banking in Italia
Mediobanca
il sindacato di blocco 1

• L’attività di collocamento di titoli di società italiane sul mercato


nazionale e all’estero ha favorito l’assunzione di piccoli
pacchetti azionari che nel corso del tempo sono stati
incrementati reimpiegando parte degli utili e venendo a
costituire il principale investimento reale a presidio del
patrimonio

• I più importanti riguardarono le Assicurazioni Generali, la


Montedison, la Snia Viscosa, la Pirelli e la Fiat. I successivi acquisti,
a più riprese, di azioni Generali hanno portato la banca ad esserne il
maggiore azionista. Ugualmente importanti le numerose operazioni
con Montedison, Fiat, Snia Viscosa e l'Italcementi
Mediobanca
il sindacato di blocco 2
• Enrico Cuccia tenne l’istituto al di fuori delle influenze politiche che
invece nel corso del tempo presero ad interessare l’Iri, ente pubblico
che controllava le tre banche d’interesse nazionale sue socie di
maggioranza. Nel 1982 iniziò un periodo di forti frizioni con l’Iri
(Presidenza Romano Prodi) che impose alle sue banche di non
rinnovare il mandato a Cuccia. Questi tuttavia, pur dimettendosi
dalla direzione generale, mantenne la carica di consigliere di
amministrazione su designazione del socio Lazard
• Nel 1988, grazie all’intervento di Antonio Maccanico, che assunse la
presidenza nel 1987, le posizioni contrastanti furono ricomposte e
venne realizzata la privatizzazione della banca attraverso la
costituzione di un sindacato di blocco con partecipazione paritetica
di gruppi bancari (inizialmente le tre Bin fondatrici) e gruppi privati
Mediobanca
il conflitto di interessi

• La mission di Mediobanca fu messa in crisi con l'emanazione della


nuova legge bancaria nel 1993, che abolì l’obbligo della
specializzazione consentendo agli istituti di credito ordinario di
entrare nel mercato del medio/lungo termine; ciò generò una serie
di problemi tra Mediobanca e i propri soci bancari che cessarono di
essere il canale quasi esclusivo di collocamento dei depositi
vincolati e delle obbligazioni: «le banche commerciali furono
autorizzate a operare nel credito a medio termine»
• A partire da quel momento il conflitto di interessi fra le banche
azioniste e Mediobanca, che era emerso solo in via sporadica ed
eccezionale, diventò un problema quotidiano: Mediobanca divenne
il concorrente dei suoi azionisti bancari nelle operazioni per
certi aspetti più importanti sia come possibile profittabilità sia
come evidenza pubblica
Mediobanca
privatizzazioni, riassetto di uomini e partecipazioni

• Negli anni Novanta Mediobanca fu tra i principali operatori del programma


italiano di privatizzazione delle grandi imprese pubbliche; le maggiori operazioni
riguardarono Telecom Italia, Enel, Banca di Roma e Banca Nazionale del Lavoro

• La morte di Enrico Cuccia, nel giugno 2000, fece acuire le tensioni con i soci
bancari a causa dei conflitti d’interesse, della competizione sugli stessi mercati e
dell’ostilità della banca centrale verso la direzione di Mediobanca. Nell’aprile
2003 Vincenzo Maranghi accettò di dimettersi a patto che venisse conservata
l’autonomia della banca

• Ciò avvenne promuovendo ai vertici operativi due suoi stretti collaboratori,


Alberto Nagel e Renato Pagliaro. Essi svilupparono più intensamente le
operazioni di mercato (collocamenti, M&A, negoziazione di strumenti
finanziari), riducendo il peso delle partecipazioni storiche. Realizzarono anche la
penetrazione sulle principali piazze estere, dove fu stabilita una presenza
attraverso team professionali di origine locale
Mediobanca
CheBanca!

• Nel 2008 con l’avviamento di CheBanca! l’operatività nel


segmento bancario retail è stata ampliata realizzando un
modello di distribuzione multicanale (internet, call center,
filiali) capace di assicurare importanti flussi di raccolta. Se gli
anni immediatamente successivi alle dimissioni di Maranghi
comportarono la nomina di una presidenza esterna, gli eventi
successivi hanno ristabilito tutte le condizioni che garantiscono
l’autonomia dell’istituto

• Al 4 febbraio 2011 Mediobanca risultava essere la terza banca


italiana nella classifica delle 15 banche più capitalizzate quotate
sulla borsa italiana. È componente dell'indice FTSE MIB e dello
Standard Ethics Italian Banks Index
Mediobanca
Past president, azionisti e partecipazioni 1
I past President: Eugenio Rosasco (1946-1958), Adolfo Tino (1958-1977), Innocenzo
Monti (1978-1979), Fausto Calabria (1979-1985), Antonio Monti (1985 - 1987),
Antonio Maccanico (1987-1988), Francesco Cìngano (1988-2003), Gabriele Galateri di
Genola (2003-2007), Cesare Geronzi (2007-2010), Renato Pagliaro (2010- in carica)

All'atto della fondazione nel 1946 gli azionisti erano: Banca Commerciale Italiana 35%,
Credito Italiano 35%, Banco di Roma 30%

Nel 1958: Banca Commerciale Italiana 24%, Credito Italiano 24%, Banco di Roma
20%, Piccoli azionisti 28%, Privati 4%

Nel 1982: Banca Commerciale Italiana 9%, Credito Italiano 9%, Banco di Roma 7%,
Piccoli azionisti 50%, Privati 25% (Assicurazioni Generali, Fondiaria, Olivetti, Fiat, La
France, Pirelli, Italmobiliare, R.A.S., S.A.I.) ciascuno con una quota del 2% nel 1982; il
restante 7% ad altri gruppi di minoranza
Mediobanca
Past president, azionisti e partecipazioni 2

Nel 1982 le principali partecipazioni di Mediobanca erano: Montedison


18%, Caffaro 16%, Gemina 12,66%, Pirelli 12%, SNIA Viscosa 11%,
Fondiaria 10%, Falck 5,4%, Assicurazioni Generali 5%, SME 4%, Fiat
3%, Olivetti 2%

Nel 2010 le principali partecipazioni erano: Assicurazioni Generali


(13,24%), RCS MediaGroup (14,36%), Telco (11,62%), holding che
controlla Telecom Italia, Pirelli & C. (3,954%), Unicredit (1,767%)
Mediobanca
l’attività attuale 1

Il core business di Mediobanca è rappresentato dalle attività


bancarie che costituiscono per l’85% dei ricavi totali del Gruppo e
per il 60% dell’utile netto. Grazie anche alla nascita di CheBanca! la
differenziazione delle attività bancarie tra Corporate e Retail è
rispettivamente di 50%:35% relativamente ai ricavi e 65%: 35%
relativamente agli impieghi. Le fonti di raccolta dell’Istituto sono in
fase di ampliamento e al 21 settembre 2010 il segmento retail
contribuisce per il 18% alla raccolta totale. A fianco delle attività
bancarie Mediobanca gestisce un portfolio che vede partecipazioni
in società di primaria importanza nei campi delle assicurazioni,
dell’editoria e delle telecomunicazioni
Mediobanca
l’attività attuale 2

La società è attiva, direttamente e tramite società controllate, nei seguenti ambiti:

• nei servizi finanziari per le imprese alle quali dà un servizio di consulenza e


supporto finanziario; questa attività è svolta grazie alle divisioni Corporate
Finance, Finanziamenti e Finanza Strutturata, Mercati Finanziari, Area Mid-
Corporate, Portafoglio titoli

• nei servizi finanziari per le famiglie tramite la controllata Compass SpA che si
occupa direttamente di credito al consumo e dei prestiti personali. Tramite le
controllate al 100% da Compass SpA, Mediobanca si occupa anche di
finanziamenti ipotecari alle famiglie (Micos Banca SpA), gestione del ciclo crediti
(Creditech SpA) e gestione dei crediti in contenzioso (Cofactor SpA). Tramite
SelmaBipiemme Leasing Spa (controllata al 60% da Compass e al 40% dal
gruppo BPM), Palladio Leasing SpA e Teleleasing Spa (controllate da
SelmaBipiemme Leasing) Mediobanca è attiva anche nel settore del leasing
Mediobanca
l’attività attuale 3

• nel private banking, tramite Banca Esperia (48.5%) e Compagnie Monégasque


de Banque (100%). La prima è attiva in 11 città italiane ed è nata in partnership
con il gruppo Mediolanum

• nel settore delle amministrazioni fiduciarie, con Spafid - Società per


Amministrazioni Fiduciarie SpA - che possiede, tra l'altro, per il 21,09% di
Finceramica SpA controllante del gruppo Marazzi

• nel private equity e nel venture capital, con i fondi promossi da Mediobanca
Athena Private Equity, MB Venture Capital Fund I, Alice Lab, Prudentia. Inoltre
partecipa ai fondi Clessidra Capital Partners e Euroqube

• nel 2008 entra nel mercato retail con CheBanca!, avente un modello multicanale
basato su internet, call center e nuove filiali fisse nelle principali città italiane.
L'offerta di investimento di CheBanca! prevede la possibilità di riscuotere gli
interessi in anticipo, senza dover aspettare la fine dell'anno. Tuttavia il denaro sui
cui sono stati versati anticipatamente gli interessi viene vincolato, a scelta, per 3,
6 o 12 mesi, offrendo in cambio tassi di interesse lordi molto elevati
Mediobanca
sedi estere

Dal 2006 Mediobanca ha iniziato un processo di internazionalizzazione con


l’obiettivo di ampliare la base di mercato, diversificare i rischi di controparte e
assistere i propri clienti anche nelle operazioni all’estero. Nel Corporate
Investment Banking Mediobanca è presente in Europa continentale con le sedi di
Parigi (2004), Francoforte (2007) e Madrid (2008). In questi paesi la strategia
dell’Istituto è quella di fornire attività di Corporate Finance attraverso una vasta
gamma di servizi di corporate e leveraged finance, corporate lending, debt capital
market e equity capital market. L’ufficio di Londra è invece composto da team
specializzati nelle soluzioni per la clientela: Credit, Rates, FX, Alternatives and
Equity Derivatives, Corporate Lending and Leveradged Finance, Equity research,
Advisory. Oltre alla funzione di piattaforma equity e derivati la sede di Londra è
strategica per intensificare i rapporti con fondi hedge e private equity. La sedi di New
York è attiva nel brokeraggio e nell’attività di rappresentanza. A completare il quadro
gli uffici di rappresentanza a Mosca e in Lussemburgo”. Dall’estate 2013
Mediobanca è presente anche in Turchia con la controllata Mediobanca Advisory.
Mediobanca
principali azionisti

• La società è controllata da un patto di sindacato che garantisce la stabilità della


base azionaria, a capo del quale c'è Angelo Casò. All'interno del patto, che
controlla il 30,05% delle azioni, gli azionisti sono divisi in 3 gruppi:
• il gruppo A dei soci bancari: Unicredit, Mediolanum, Commerzbank, Sal
Oppenheim (Deutsche Bank)

• il gruppo B dei soci industriali tra i quali Pirelli, Ferrero, Fondiaria Sai,
Assicurazioni Generali, Dorint (Della Valle), Mais Spa (Isabella Seragnoli), BiH
(Ennio Doris), Edizione S.r.l. (Benetton)

• il gruppo C dei soci internazionali: Financière du Perguet (Vincent Bolloré),


Groupama (gruppo assicurativo francese), Santusa Holding (Emilio Botín,
presidente del Santander)
Mediobanca
organi amministrativi

Dal giugno 2007 al settembre 2008 Mediobanca è stata uno dei pochi
esempi italiani di banche che ha utilizzato la cosiddetta governance
duale. Dal settembre 2008 Mediobanca ritornò al sistema tradizionale
con delle differenze rispetto al modello originario: all'interno del
Consiglio di Amministrazione e, in maggioranza, del Comitato
Esecutivo sono presenti come membri di diritto i dirigenti del Gruppo
Mediobanca (attualmente Renato Pagliaro; Francesco Saverio Vinci;
Alberto Nagel; Maurizio Cereda; Massimo Di Carlo) che hanno lo
scopo di garantire autonomia e unità di indirizzo della gestione, inoltre
anche l'Amministratore Delegato è scelto dal Consiglio di
Amministrazione tra questi soggetti
Enrico Cuccia 1
«Le azioni si pesano non si contano»

La nascita di Mediobanca
Fino dal 1944, Enrico Cuccia seguì la vicenda di Mediobanca, quando Mattioli
propose un "ente specializzato per i cosiddetti finanziamenti a medio termine" (in
sostanza, un modo per superare la legge bancaria del 1936). In un convegno tenutosi
nel 1986 Enrico Cuccia descrisse con precisione le difficoltà incontrate nella
realizzazione del progetto, che aveva richiesto oltre 18 mesi di laboriose trattative, sia
per trovare dei partner che accettassero di entrare nel capitale del nuovo istituto sia
per superare le obiezioni di chi, come il governatore della Banca d'Italia Luigi
Einaudi, temeva che dietro questo progetto vi fosse di fatto il ritorno della Comit alla
struttura della banca mista: ecco perché Cuccia organizzò il lavoro dell'istituto che gli
venne affidato da un lato senza fare a meno delle Bin azioniste, ma dall'altro lato
tenendo le medesime largamente all'oscuro delle decisioni che la banca stava per
prendere, apprendendole generalmente a cose fatte
Enrico Cuccia 2
«Le azioni si pesano non si contano»

La gestione di Mediobanca
• Nell'aprile 1946, Cuccia divenne il direttore generale della nuova società
Mediobanca, posseduta da Credito Italiano, Comit e Banco di Roma. Nel 1949
diviene anche amministratore delegato

• Mediobanca divenne in breve tempo il centro del mondo finanziario e politico


italiano. Il caso più importante, tra le numerose grandi transazioni economico-
finanziarie gestite da Cuccia e da Mediobanca, fu sicuramente la scalata alla
Montedison di Giorgio Valerio da parte dell'ENI di Eugenio Cefis

• L'istituto costituì il perno di un sistema di alleanze, che attraverso partecipazioni


incrociate e patti parasociali garantiva stabilità degli assetti proprietari dei maggiori
gruppi industriali. Mediobanca accrebbe anche la gamma delle sue partecipazioni
azionarie, che diventarono veri certificati di garanzia per le imprese partecipate

• Enrico Cuccia è morto il 23 giugno del 2000, a 93 anni


Parole chiave della lezione

• ESIGENZE A MEDIA SCADENZA DELLE IMPRESE


PRODUTTRICI
• COLLOCAMENTO SUI MERCATI FINANZIARI DI
OBBLIGAZIONI E AZIONI EMESSE DA IMPRESE
ITALIANE
• BLOCCO DI SINDACATO
• PARTECIPAZIONI STRATEGICHE
• ENRICO CUCCIA
Lezione
“I CONFIDI”
Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


Ci si propone di trasferire ai partecipanti adeguata conoscenza dei
Confidi e dei meccanismi principali di funzionamento, con particolare
riferimento alla fase costitutiva e formale, a quella ordinatoria ed alle
attività nonché alla normativa in vigore
Contenuti
• Premessa
• Qualificazione dell’attività
• Requisiti per l’iscrizione
• Adempimenti e obblighi
• Attività dei Confidi
• Normativa
Premessa 1

I Confidi, consorzi e cooperative di garanzia collettiva dei fidi, sono nati con lo scopo
di agevolare l’accesso al credito delle imprese socie, attraverso la costituzione di
appositi fondi destinati a offrire una “rete di protezione” sui crediti concessi dalle
banche. L’intervento si sostanzia nella concessione di garanzie, reali o personali, a
copertura parziale dei prestiti concessi dalle banche

La normativa nazionale prevede tre tipologie di Confidi:


1. Confidi vigilati, che operano in qualità d’intermediari finanziari vigilati
2. Confidi non vigilati, che operano esclusivamente con la concessione di garanzie
sui fidi
3. Banche di garanzia

• Il costo del servizio dipende da diversi fattori, come ad esempio dal tipo di
garanzia richiesto, dalla rischiosità e dai servizi annessi
Premessa 2

Il Confidi può offrire altri servizi aggiuntivi, quali:


• consulenze finanziarie e finanziamenti di piccolo importo (nel caso dei Confidi
intermediari vigilati)

• consulenza e assistenza finanziaria per aiutare le PMI a orientarsi nelle dinamiche


di mercato, metterle a conoscenza delle opportunità di credito, delle agevolazioni
attive (es. bandi europei, nazionali o regionali), massimizzare la redditività
dell’impresa e abbattimento costi finanziari e offrire loro assistenza nella
compilazione della domanda di contributo

• servizio di check-up aziendale, operando una serie di analisi e proiezioni per la


valutazione del merito creditizio delle aziende

• riclassificazione dei bilanci e realizzazione di analisi dei dati fiscali, dei flussi e
per indici

• rapporti con l’analisi di bilancio e valutazione dei trend storici


Premessa 3

I Confidi che presentano determinati requisiti patrimoniali e operativi sono tenuti a


iscriversi all’Albo Speciale degli intermediari finanziari vigilati, previsto dal Testo
Unico Bancario. I Confidi vigilati, oltre alla concessione di garanzie, possono
svolgere attività quali:
- Gestione di fondi pubblici di agevolazione, laddove i Confidi siano chiamati a
esprimere valutazioni di merito sui destinatari
- sottoscrizione di convenzioni con le banche assegnatarie di fondi pubblici di
garanzia
- prestazione di garanzie nei confronti dell’amministrazione finanziaria

Inoltre, questi Confidi possono attivare alcune funzioni che caratterizzano più
specificamente l’azione di una banca quali:
- la concessione di prestiti ai propri soci;
- l’accesso a basi informative, quali la Centrale Rischi, oggi inaccessibili;
- l’assistenza alle imprese per accedere al mercato dei capitali
Premessa 4

Il modello di Banche di garanzia prevede la possibilità per i Confidi di trasformarsi in


Banche di garanzia (secondo il modello della BCC-Banca di Credito Cooperativo).
Infatti, l’esercizio dell’attività bancaria sotto forma di società cooperativa a
responsabilità limitata è consentita anche ai soggetti che, da proprio statuto,
esercitano prevalentemente l’attività di garanzia collettiva dei fidi a favore dei propri
soci

Alle Banche di garanzia, dunque, si applicano le norme previste per le BCC in


materia di: attività esercitabili; operatività in derivati; partecipazioni detenibili;
deleghe in materia di erogazione del credito; destinazione degli utili

Possono essere soci delle banche di garanzia PMI e imprese artigiane e agricole, oltre
a imprese di maggiori dimensioni (con fatturato superiore a 50 milioni di euro ma
rientranti comunque nella definizione di PMI) che però non possono rappresentare
più di un sesto dei soci
Premessa 5

Un altro strumento molto importante è il Fondo Centrale di Garanzia


per le PMI che opera a favore delle PMI attraverso 3 tipologie di
garanzia:
• Garanzia diretta: è la garanzia prestata dal Fondo direttamente a
favore dei soggetti finanziatori
• Controgaranzia: è la garanzia prestata dal Fondo a favore dei
Confidi e degli Altri fondi di garanzia
• Co-garanzia: è la garanzia prestata dal Fondo direttamente a favore
dei soggetti finanziatori e congiuntamente ai Confidi, agli Altri
fondi di garanzia ovvero da fondi di garanzia istituiti nell’ambito
dell’Unione Europea o da essa cofinanziati
Qualificazione dell’attività 1

• I Confidi possono svolgere esclusivamente l'attività di garanzia collettiva dei fidi


che consiste nella "prestazione mutualistica e imprenditoriale di garanzie" volta a
favorire l'accesso delle piccole e medie imprese associate al credito di banche e
degli altri soggetti operanti nel settore finanziario

• A tali operatori è pertanto precluso l'esercizio di prestazioni di garanzie diverse da


quelle indicate e, in particolare, nei confronti del pubblico nonché l'esercizio delle
altre attività riservate agli intermediari finanziari

• I Confidi devono avere una compagine sociale costituita da piccole e medie


imprese industriali, commerciali, turistiche e di servizi, da imprese artigiane e
agricole, come definite dalla disciplina comunitaria

• L’operatività dei Consorzi di garanzia collettiva non è sottoposta al regime di


vigilanza prudenziale della Banca d'Italia
Qualificazione dell’attività 2

I Confidi che hanno un volume di attività finanziaria pari o superiore a 75 milioni di


euro, sono tenuti ad iscriversi nell'elenco speciale ex art. 107 TUB: a questi è
consentito esercitare, in via non prevalente, attività diverse da quella di garanzia
collettiva dei fidi. In particolare, tali intermediari - sottoposti ad un regime di
vigilanza prudenziale equivalente a quello delle banche - possono svolgere, oltre
all'operatività tipica e prevalentemente nei confronti delle imprese consorziate o
socie, le seguenti attività:
a) prestazione di garanzie a favore dell'amministrazione finanziaria dello Stato, al
fine dell'esecuzione dei rimborsi di imposte alle imprese consorziate o socie

b) gestione, di fondi pubblici di agevolazione

c) stipula di contratti con le banche assegnatarie di fondi pubblici di garanzia o socie,


al fine di facilitarne la fruizione
Requisiti per l’iscrizione

I requisiti per l'iscrizione sono:


• natura giuridica, consorzi con attività esterna, società cooperative, società
consortili per azioni, a responsabilità limitata o cooperative
• oggetto sociale che prevede esclusivamente lo svolgimento dell'attività di rilascio
di garanzie collettive nei confronti delle piccole e medie imprese associate
• fondo consortile o capitale sociale, pari almeno a € 100.000, fermo restando per
le S.p.A. consortili l'ammontare minimo previsto dal Codice Civile (attualmente, €
120.000)
• quota di partecipazione di ciascuna impresa non inferiore a € 250, né superiore
al 20% del capitale sociale o fondo consortile
• compagine sociale costituita da piccole e medie imprese industriali,
commerciali, turistiche e di servizi, da imprese artigiane e agricole

• La legge sui Confidi prevede che il patrimonio netto non deve essere inferiore a €
250.000. Dell'ammontare minimo del patrimonio netto almeno un quinto deve
essere costituito da apporti dei consorziati o da avanzi di gestione
Adempimenti e obblighi 1

Il mantenimento dell’esercizio delle attività di mission deve risultare da


espressa previsione statutaria:
• attività di prestazione di garanzie collettive per favorire la
concessione di finanziamenti da parte di aziende e istituti di credito,
di società di locazione finanziaria, di società di cessione di crediti di
imprese e di enti parabancari alle piccole e medie imprese associate

• attività, in quanto connesse e complementari a quelle di cui al


capoverso precedente, di informazione, di consulenza e di assistenza
alle imprese consorziate per il reperimento e il migliore utilizzo
delle fonti finanziarie, nonché le prestazioni di servizi per il
miglioramento della gestione finanziaria delle stesse imprese
Adempimenti e obblighi 2

Ulteriori adempimenti fondamentali sono i seguenti:


• Comunicazione delle variazioni dei dati e delle informazioni

• Verifica del patrimonio netto e comunicazione alla Banca d'Italia

• Accertamento delle perdite e relativi provvedimenti

• Rispetto della normativa antiriciclaggio e delle disposizioni sulla


trasparenza

• Iscrizione nell'elenco speciale (di cui alla slide 9)


Attività dei Confidi 1

Alle aziende i Confidi offrono:


• ampliamento delle capacità di credito (prevenzione dei fenomeni di usura)
• riduzione del costo del denaro
• trasparenza e certezza delle condizioni
• consulenza finanziaria e di orientamento

• I confidi e le banche
Le banche delineano i modelli di rating basandosi su moduli statistici e andamentali;
i Confidi mirano a fornire un parametro qualitativo, basandosi sulla conoscenza
dell'impresa. I Confidi tentano di valutare le prospettive di sviluppo territoriali e di
settore e ottenere una serie di informazioni sull'azienda e sulla sua reputazione. I
Confidi svolgono, quindi, una funzione di ponte tra le imprese e gli intermediari
bancari. Per gli intermediari bancari i vantaggi possono essere:
• miglioramento della valutazione del merito creditizio dell'impresa
• riduzione del rischio finanziario
• reperimento di clientela selezionata
Attività dei Confidi 2

• Dal 1º gennaio 2008, data di entrata in vigore del


Nuovo Accordo sul Capitale, «Basilea II», il ruolo
svolto dai Confidi è diventato cruciale per
assicurare una corretta classificazione dei clienti in
base al grado di rischiosità e quindi del merito
creditizio
Attività dei Confidi 3
Le garanzie del Confidi

• Garanzia a prima richiesta: Il Confidi risponde delle obbligazioni assunte


(garanzie rilasciate) con il suo patrimonio, e con i Fondi di Garanzia; al verificarsi
del default dell'azienda, il Confidi viene escusso a semplice richiesta della Banca
garantita

• Garanzia Sussidiaria: Il concetto della garanzia mutualistica si è evoluto negli


anni. Il Confidi facilita l'accesso al credito attraverso i Fondi Consortili, costituiti
sia attraverso risorse pubbliche sia attraverso i contributi degli imprenditori
associati. Con i Fondi Consortili il Confidi, in virtù di specifiche convenzioni,
istituisce presso gli intermediari bancari dei fondi di garanzia dedicati, che
fungono da leva per la erogazione di credito, secondo un moltiplicatore
riconosciuto in base alla rischiosità del Confidi stesso

• Co-garanzia, contro-garanzia, Confidi baricentro - Il Confidi può condividere il


rischio con altri Confidi di primo livello, o con altri enti, attraverso la co-garanzia,
o garantire la propria esposizione con la contro-garanzia (o meglio garanzia di
secondo livello), analogamente con quanto accade nel settore assciurativo
Attività dei Confidi 4
Presenza dei Confidi sul territorio

I Confidi sono principalmente diffusi in Italia; in Europa e in altri paesi il fenomeno


è principalmente rappresentato dalle società di garanzia reciproca

In Italia, i Confidi effettivamente operativi sono circa 500

La distribuzione dei Confidi è variegata e proporzionale alla presenza delle imprese,


oltre a essere legata ai diversi assetti regionali, alle politiche associative e ai rapporti
socio-politici del territorio. Il processo di aggregazione e fusione dei Confidi ha
ridimensionato il numero dei consorzi di garanzia collettiva in base alle nuove
normative sui requisiti patrimoniali

Nel Nord i Confidi sono raggruppati in organismi soprattutto unitari, regionali o


provinciali; nel Mezzogiorno, invece, si registra la presenza di organismi
prevalentemente autonomi. Nell'Italia centrale, e in particolar modo nel Lazio, la
situazione è ancora in evoluzione: esistono circa cento Confidi, iscritti nell'apposito
elenco degli intermediari finanziari; di questi diversi hanno dato luogo a fusioni con
strutture minori
Normativa

• TUB-Testo Unico Bancario - art. 112 del d. lgs. 385 del 1993 - Istruzioni di
Vigilanza per gli Intermediari Finanziari iscritti nell'«Elenco Speciale» che si
devono iscrivere all'art 107 TUB

• Circolare n. 216 del 5 agosto 1996 – 9º aggiornamento del 28 febbraio 2008 -


della Banca d'Italia

• Art. 106 co. 1 del D. Lgs. del 1º settembre 1993, n. 385 e successive modifiche
prevede che i confidi in possesso di particolari requisiti patrimoniali e
professionale devono essere iscritti in un apposito elenco tenuto presso la Banca
d'Italia

• Legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Finanziaria 2008), pubblicata sulla Gazzetta


Ufficiale n. 300 del 28 dicembre 2007

• Leggi emanate dalle Regioni


Parole chiave della lezione

• GARANZIA

• RETE DELLE ASSOCIAZIONI

• FUNZIONE DI PONTE TRA IMPRESE E


INTERMEDIARI

• CONFIDI DI PRIMO LIVELLO E DI SECONDO


LIVELLO

• VIGILANZA BANCA D’ITALIA


Lezione

“GLI INCENTIVI FINANZIARI


ALLE PICCOLE E MEDIE
IMPRESE”
Dal progetto di ricerca
Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


Al termine della lezione i partecipanti saranno in grado di conoscere e identificare i
principali concetti esistenti in materia di incentivi finanziari alle piccole e medie
imprese, a cominciare della caratterizzazione che ne ha dato l’Unione Europea in
termini dimensionali nonché di identificare e descrivere il contesto generale
europeo, gli obiettivi del nuovo programma di ricerca e innovazione; i partecipanti
saranno infine capaci di collegare il contesto generale suddetto con il quadro
valutativo e le principali agevolazioni esistenti

Contenuti
• Piccole e medie imprese (PMI): definizione UE
• Contesto generale europeo
• Obiettivi della proposta del nuovo programma di innovazione
• Gestione del programma; Il quadro valutativo dell’Unione dell’innovazione
• Principali tipologie di agevolazioni
Piccole e medie imprese (PMI):
definizione UE 1
• La definizione di PMI, contenuta nella Raccomandazione della Commissione
Europea, è rilevante per l'applicazione di molte norme europee, non solo relative
agli aiuti di Stato

• Per la definizione di PMI l’unione Europea ha introdotto nuovi parametri


dimensionali (occupati, fatturato e attivo di bilancio)

• La Commissione UE ha adottato la nuova Raccomandazione 1422 del 6 maggio


2003 concernente la "Definizione di micro, piccola e media impresa",. La
Raccomandazione è entrata in vigore dal 1° gennaio 2005

• La Raccomandazione, definisce "impresa" qualsiasi entità che eserciti attività


economica, indipendentemente dalla forma giuridica che assume l'impresa stessa,
ivi incluse quindi le ditte individuali, quelle a carattere familiare operanti
nell'artigianato o in altre attività, le società di persone e le associazioni che
svolgono regolarmente attività economica
Piccole e medie imprese (PMI):
definizione UE 2

• La Raccomandazione, inoltre, introduce formalmente una nuova


categoria dimensionale - la "microimpresa" - e modifica i parametri
dimensionali finanziari di PMI (attivo di bilancio e fatturato),
lasciando inalterato il numero degli occupati

• I valori del fatturato e del totale di bilancio sono stati aumentati per
tener conto della crescita della produttività delle imprese e della
modifica dell'indice dei prezzi al consumo nel periodo 1994-2000,
nonché dei tetti del totale di bilancio annuo in base alle variazioni
statistiche osservate nel rapporto tra tale valore ed il valore del
fatturato delle imprese.
Piccole e medie imprese (PMI):
definizione UE 3

Dimensione imprese Raccomandazione UE 1996 Raccomandazione UE 2003


Medie 1. < 250 dipendenti 1. < 250 dipendenti
2. < 40 MEURO di fatturato, 2. < 50 MEURO di fatturato,
oppure oppure
< 27 MEURO di totale bilancio < 43 MEURO di totale bilancio
Piccole 1. < 50 dipendenti 1. < 50 dipendenti
2. < 7 MEURO di fatturato, 2. < 10 MEURO di fatturato,

oppure oppure
< 5 MEURO di totale bilancio < 10 MEURO di totale bilancio

Micro 1. < 10 dipendenti 1. < 10 dipendenti


2. < 2 MEURO di fatturato,

oppure
< 2 MEURO di totale bilancio
Contesto generale europeo 1

• Le imprese dell'Unione affrontano la sfida della competitività su scala


mondiale. Sono tuttavia ostacolate da carenze del mercato che
compromettono la loro capacità di competere con le loro controparti in altre
zone del mondo. Di conseguenza, le PMI dell'UE hanno una produttività del
lavoro e delle risorse inferiore e crescono più lentamente delle loro
controparti negli Stati Uniti, ad esempio, e hanno maggiori difficoltà ad
adattarsi a condizioni quadro in evoluzione rispetto alle imprese più grandi
in Europa. Le difficoltà delle PMI si sono aggravate a seguito della recente
crisi economica e finanziaria e degli aumenti del prezzo dei prodotti di base e
delle risorse

• Oltre ad assicurare il buon funzionamento del mercato unico, l'UE svolge un


ruolo nel migliorare il contesto imprenditoriale per garantire imprese dell'UE forti
e diversificate e PMI in grado di competere su scala mondiale, e al contempo per
andare verso un'economia efficiente in termini di risorse e a ridotte emissioni di
carbonio
Contesto generale europeo 2

L’Unione Europea intende contribuire a colmare le principali carenze del mercato


che frenano la crescita delle imprese, in particolare delle PMI. In materia di
competitività e di imprenditorialità, le principali sfide per le imprese dell'Unione
sono:
– difficoltà di accesso ai finanziamenti da parte delle PMI che faticano a dimostrare
la loro capacità finanziaria e ad avere accesso al capitale di rischio
– scarso spirito imprenditoriale, solo il 45% dei cittadini europei vorrebbe
esercitare un'attività autonoma contro il 55% ad esempio dei cittadini statunitensi
– un contesto imprenditoriale che non favorisce le nuove imprese e la crescita,
caratterizzato da frammentazione normativa persistente e da oneri amministrativi
eccessivi
– una capacità limitata di adattarsi ad un'economia a ridotte emissioni di carbonio,
in grado di resistere ai cambiamenti climatici e a basso uso di energia e di risorse a
causa di mezzi finanziari scarsi
– una capacità limitata delle PMI di espandersi verso i mercati esteri, sia nel
mercato unico che al di là di esso
Obiettivi della proposta del nuovo
programma di innovazione 1
Il programma di innovazione per le PMI intende perseguire i seguenti obiettivi
generali:

• rafforzare la competitività e la sostenibilità delle imprese dell'Unione, anche nel


settore del turismo
• promuovere una cultura imprenditoriale e la creazione e la crescita delle PMI

Le attività finanziate dal programma saranno tese a:


• migliorare le condizioni quadro per assicurare la competitività e la sostenibilità
delle imprese dell'Unione anche nel settore del turismo, sostenendo la coerenza
nell'attuazione nonché un'elaborazione consapevole delle politiche a livello
dell'Unione. Il contesto economico e normativo può migliorare attraverso l'analisi
comparativa, lo scambio di migliori pratiche e iniziative settoriali. Si elaborerà la
politica per le PMI e si promuoverà la competitività delle PMI in linea con gli
obiettivi dello Small Business Act (SBA) e della strategia Europa 2020
Obiettivi della proposta del nuovo
programma di innovazione 2
• Promuovere l'imprenditorialità anche tra gruppi di destinatari specifici: le
attività comprenderanno la semplificazione delle procedure amministrative e lo
sviluppo di abilità e atteggiamenti imprenditoriali, soprattutto tra i nuovi
imprenditori, i giovani e le donne e la promozione delle seconde opportunità per
gli imprenditori

• Migliorare l'accesso delle PMI ai finanziamenti sotto forma di capitale proprio


e di debito: strumenti finanziari per la crescita, comprese nuove piattaforme in
materia di capitale proprio e debito per offrire uno strumento di capitale proprio e
garanzie sui prestiti, consentiranno alle PMI di accedere più facilmente ai
finanziamenti

• Migliorare l'accesso ai mercati nell'Unione e su scala mondiale: si forniranno


servizi di sostegno alle imprese orientati alla crescita attraverso la rete Enterprise
Europe per agevolare l'espansione nel mercato unico e al di là di esso. Il presente
programma offrirà anche sostegno commerciale alle PMI nei mercati oltre i
confini dell'Unione
Il quadro valutativo dell’Unione
dell’innovazione 1

• Persiste lo scarto tra le prestazioni in materia d'innovazione dell'UE e quelle


dei suoi principali concorrenti internazionali: gli USA e il Giappone. Sebbene
l'andamento nella maggior parte degli Stati membri UE sia promettente,
nonostante la crisi economica, i progressi non sono abbastanza rapidi. Mentre
l'Unione mantiene un chiaro vantaggio sulle economie emergenti di India e
Russia, il Brasile continua ad avanzare e la Cina la sta velocemente
raggiungendo. All'interno dell'UE la Svezia ha ottenuto i migliori risultati,
seguita da Danimarca, Finlandia e Germania. Subito dopo si attestano,
nell'ordine, Regno Unito, Belgio, Austria, Irlanda, Lussemburgo, Francia, Cipro,
Slovenia ed Estonia. Queste sono alcune delle conclusioni del Quadro valutativo
dell'Unione dell'innovazione del 2010 (l’ultimo pubblicato). Tale quadro è alla
sua prima edizione nell'ambito dell'iniziativa Unione dell'innovazione; esso
sostituisce il Quadro europeo di valutazione dell'innovazione
Il quadro valutativo dell’Unione
dell’innovazione 2
Il quadro valutativo del 2010 si basa su 25 indicatori relativi a ricerca e
innovazione e considera i 27 Stati membri dell'UE, la Croazia, la Serbia, la Turchia,
l'Islanda, l'ex Repubblica jugoslava di Macedonia, la Norvegia e la Svizzera. Gli
indicatori sono raggruppati in tre principali categorie:
- "Elementi abilitanti", ovvero gli elementi fondamentali che rendono possibile
l'innovazione (risorse umane, finanziamenti e aiuti, sistemi di ricerca aperti, di
eccellenza e attrattivi)
- "Attività delle imprese" che mostrano in che modo le imprese europee sono
innovative (investimenti, collaborazioni e attività imprenditoriali, patrimonio
intellettuale)
- "Risultati" che mostrano come ciò si traduce in benefici per l'intera economia
(innovatori, effetti economici)

Un confronto tra gli indicatori di UE-27, USA e Giappone evidenzia che l'Unione
non riesce a colmare il divario nelle prestazioni in materia d'innovazione che la
separa dai suoi principali concorrenti
Il quadro valutativo dell’Unione
dell’innovazione 3

• Si riduce leggermente lo scarto, ancora notevole, riguardante il numero di persone


che portano a termine gli studi di istruzione terziaria, con una crescita
relativamente elevata nell'UE
• L'UE-27 ottiene invece risultati migliori rispetto agli USA nell'ambito della spesa
pubblica per R&S e delle esportazioni di servizi ad elevata intensità di
conoscenze
• Negli ultimi cinque anni la maggiore crescita degli indicatori di innovazione
dell'UE-27 si è registrata nei sistemi di ricerca aperti, di eccellenza e attrattivi
(co-pubblicazioni scientifiche internazionali, pubblicazioni ad alto impatto,
dottorandi extraeuropei) e nel patrimonio intellettuale (deposito di marchi UE,
brevetti PCT e disegni e modelli dell'UE)
• Complessivamente l'UE-27 rimane in posizione più avanzata rispetto a India e
Russia, mentre sta perdendo il proprio vantaggio sul Brasile e soprattutto sulla
Cina, il cui deficit in termini di prestazioni si sta rapidamente assottigliando (vedi
figura 1)
Il quadro valutativo dell’Unione
dell’Innovazione 4

Il quadro valutativo suddivide gli Stati membri nei seguenti quattro


gruppi di paesi (si veda figura 2):
• Leader dell'innovazione: Danimarca, Finlandia, Germania e Svezia
• Paesi che tengono il passo: Austria, Belgio, Cipro, Estonia,
Francia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Slovenia e Regno
Unito
• Innovatori moderati: i risultati di Croazia, Repubblica ceca,
Grecia, Ungheria, Italia, Malta, Polonia, Portogallo, Slovacchia e
Spagna sono inferiori alla media dell'UE-27
• Paesi in ritardo: i risultati di Bulgaria, Lettonia, Lituania e Romani
Il quadro valutativo dell’Unione
dell’innovazione 5
Figura 1: Risultati dell'innovazione degli stati membri dell'UE
Il quadro valutativo dell’Unione
dell’innovazione 6
Il profilo dell’Italia 1
Il quadro valutativo dell’Unione
dell’innovazione 7
Il profilo dell’Italia 2
Principali tipologie di agevolazione 1

• Contributo in conto capitale - si tratta di un contributo a “fondo perduto”,


calcolato in percentuale delle spese ammissibili, per il quale non è prevista alcuna
restituzione di capitale o pagamento di interessi. Generalmente, non sono
necessarie garanzie ad eccezione dei casi in cui è prevista l’erogazione di un
anticipo

• Contributo in conto gestione - questa tipologia di agevolazione viene concessa


per contribuire alle spese di gestione (personale, viaggi, locazioni immobiliari,
ecc.) che i beneficiari devono sostenere a fronte di un determinato progetto

• Contributo in conto interessi - Viene concesso a fronte della stipula di un


finanziamento a medio e lungo termine. Il contributo viene erogato direttamente
all’istituto finanziatore, il quale se ne serve per abbassare il tasso di interesse
applicato al finanziamento dell’impresa beneficiaria. Non vengono richieste
particolari garanzie dall’ente agevolatore perché viene considerato sufficiente
l’esito positivo dell’istruttoria effettuata dall’istituto finanziatore
Principali tipologie di agevolazione 2

• Mutuo agevolato - si tratta di un contributo in conto interessi dove la stipula del


finanziamento e la concessione dell’agevolazione avvengono
contemporaneamente. Il finanziamento viene concesso esclusivamente a
condizioni agevolate

• Concessione di garanzia - attraverso l’istituzione di particolari fondi si


concedono garanzie a sostegno, totale o parziale, di finanziamenti a medio lungo
termine richiesti dai beneficiari a fronte di programmi di investimento. La
garanzia concessa può essere di natura integrativa (interviene per rimborsare la
perdita presunta dell’ente finanziatore, indipendentemente dalla conclusione delle
procedure esecutive e dall’escussione dei beni) o sussidiaria (interviene a
conclusione delle procedure esecutive e per la parte di sua competenza)

• Bonus fiscale - si tratta di un contributo in conto capitale a tutti gli effetti


(compreso l’aspetto fiscale) che viene erogato sotto forma di detrazione
dall’importo spettante dall’ammontare delle varie imposte che l’azienda deve
pagare sul proprio conto fiscale
Parole chiave della Lezione

• PICCOLE E MEDIE IMPRESE

• COMPETITIVITA’

• INCENTIVI FINANZIARI

• RICERCA E INNOVAZIONE

• CONFRONTO CON L’EUROPA E CON IL


RESTO DEL MONDO
Lezione

“GLI AIUTI DI STATO NELLA


NORMATIVA EUROPEA”
Dal progetto di ricerca
Obiettivi e contenuti della lezione

Obiettivi specifici da raggiungere


Ci si propone, al termine della lezione, di far acquisire ai partecipanti adeguate
conoscenze e i principali concetti in materia di aiuti di stato nel contesto della
normativa europea, nonché di identificare e descrivere le linee guida sugli
aiuti di stato nell’ambito della nuova programmazione comunitaria 2014-2020,
assicurando ai partecipanti una capacità di analisi e di verifica di coerenza dei
finanziamenti di stato a sostegno delle diverse linee di sviluppo previste

Contenuti
• I principi generali
• Premessa: Le linee guida sugli aiuti di Stato a finalità regionale 2014-2020
• Nozione di impresa e di attività economica
• Risorse statali
• Vantaggio – La nozione di vantaggio in generale
I principi generali 1

Per aiuti di Stato si intendono tutti i finanziamenti a favore di imprese o


produzioni, sia provenienti direttamente dallo Stato, inteso in senso ampio
(amministrazioni centrali, regionali, locali, ecc), sia da altri soggetti quali le
imprese pubbliche

Le norme in materia di aiuti di Stato si applicano in genere solo se il beneficiario di


un aiuto è “un’impresa”

I presupposti che devono essere presenti affinché l'intervento costituisca un aiuto di


Stato sono i seguenti quattro:
1. origine statale dell'aiuto (aiuto concesso dallo Stato ovvero mediante risorse
statali)
2. esistenza di un vantaggio a favore di talune imprese o produzioni
3. esistenza di un impatto sulla concorrenza
4. idoneità ad incidere sugli scambi tra gli Stati membri
I principi generali 2

• La normativa prevede il principio dell'incompatibilità degli aiuti di


Stato con il mercato comune. Il principio è dunque quello del
divieto, ma esistono anche alcune deroghe a questo principio
• Gli aiuti sono sottoposti al controllo della Commissione, che li
autorizza solamente quando rientrano in una delle deroghe previste
dal trattato. Per l'applicazione della maggior parte delle deroghe la
Commissione gode di un ampio potere discrezionale
• È dunque solamente in deroga al citato principio che gli aiuti
possono essere autorizzati. Il Trattato CE prevede un obbligo di
notifica preliminare (allo stadio di progetto) alla Commissione di
tutti i nuovi aiuti o le modifiche di aiuti esistenti. Un aiuto concesso
senza autorizzazione della Commissione europea è automaticamente
«illegittimo»
I principi generali 3

• Gli aiuti sono generalmente ritenuti compatibili dalla Commissione


qualora perseguano un obiettivo di comune interesse (es. la tutela
ambientale, la formazione, la lotta alla disoccupazione, l'incremento
delle attività di ricerca, sviluppo e innovazione, la promozione del
capitale di rischio, gli investimenti delle piccole e medie imprese o,
in talune regioni, delle grandi imprese, ecc.)

• In genere, l'aiuto deve essere volto a correggere un fallimento del


mercato
I principi generali 4

Sono considerati aiuti di Stato solo le misure che rispondono ai seguenti quattro
requisiti:
1. deve trattarsi di misure che comportano un trasferimento di risorse statali

2. l'aiuto deve conferire un vantaggio economico che l'impresa non avrebbe


ottenuto nel corso normale della sua attività

3. l'aiuto di Stato deve essere selettivo e incidere pertanto sull'equilibrio esistente tra
un'impresa e i suoi concorrenti

4. l'aiuto deve avere un effetto potenziale sulla concorrenza e sugli scambi tra
Stati membri. A tal fine è sufficiente poter dimostrare che il beneficiario esercita
un'attività economica e che opera su un mercato in cui esistono scambi
commerciali tra Stati membri. La natura del beneficiario non è rilevante in tale
contesto. La Commissione ritiene ad esempio che gli aiuti di esigua entità (aiuti de
minimis) non abbiano alcun potenziale effetto sulla concorrenza e sugli scambi tra
Stati membri e che pertanto non rientrino nel campo di applicazione della
normativa vigente
I principi generali 5

Per citare alcuni esempi, fermo restando che devono ricorrere sempre i suddetti
quattro requisiti perché si configuri un aiuto di stato, sono stati dalla
giurisprudenza considerati aiuti di stato:
- le esenzioni e gli incentivi fiscali settoriali;
- i rimborsi e/o le riduzioni degli oneri sociali;
- le tariffe agevolate;
- i sussidi agli investimenti;
- i prestiti agevolati e le garanzie statali;
- le cessioni di beni (mobili o immobili) o servizi statali a titolo gratuito e/o a
prezzo ridotto;
- i conferimenti di capitale da parte dello Stato o di un ente pubblico
nelle imprese;
- i sussidi all’export
Premessa: le linee guida sugli aiuti di Stato a
finalità regionale 2014-2020 - 1

• Il 19 giugno (2014), la Commissione europea ha adottato le linee guida sugli aiuti


di Stato a finalità regionale per il periodo 2014-2020, al fine di sostenere lo
sviluppo delle regioni dell’UE più svantaggiate

• Le linee guida rientrano in una più ampia strategia per la modernizzazione del
controllo degli aiuti di Stato, che mira a promuovere la crescita nel mercato
interno, incoraggiando le misure di aiuto più efficaci

• Le linee guida stabiliscono le regole in base alle quali gli Stati membri possono
concedere aiuti di Stato alle imprese per sostenere gli investimenti in nuovi
impianti di produzione nelle regioni più svantaggiate d´Europa o per estendere o
ammodernare le strutture esistenti

• Lo scopo ultimo degli aiuti di Stato regionali è quello di sostenere lo sviluppo


economico e occupazionale
Premessa: le linee guida sugli aiuti di Stato
a finalità regionale 2014-2020 - 2
Le caratteristiche principali delle nuove linee guida sono:
• La quota complessiva di regioni, in cui può essere concesso un aiuto
regionale, aumenterà dal livello attuale del 46,1% al 47,2% della
popolazione dell´UE
• Gli aiuti di grandi dimensioni saranno oggetto di valutazione
approfondita circa il loro effetto di incentivazione, l’aspetto della
proporzionalità, il contributo allo sviluppo e gli effetti sulla
concorrenza regionale
• Gli aiuti alle grandi imprese in queste aree (anche per imprese già
presenti nel territorio) saranno consentiti solo per investimenti che
portino nuove attività economiche, per gli investimenti iniziali, per
la diversificazione delle strutture già esistenti che creino nuovi
prodotti o un’innovazione nei processi
Premessa: le linee guida sugli aiuti di Stato
a finalità regionale 2014-2020 - 3

• Nelle regioni più povere (regioni al di sotto del 75% della


media del PIL dell´UE) gli aiuti continueranno a essere
concessi per tutti gli altri tipi di investimenti effettuati dalle
grandi imprese

• I massimi livelli di aiuto (cd. "intensità di aiuto") rimangono


invariati per le regioni meno sviluppate. Per le altre regioni,
l’intensità è leggermente ridotta di 5 punti percentuali per
evitare gare di sovvenzioni fra gli Stati membri in tempi di
ristrettezze di bilancio
Nozione di impresa e di attività economica 1

• Le norme in materia di aiuti di Stato si applicano in genere solo se il


beneficiario di un aiuto è “un’impresa”. Questo principio generale ha tre
importanti conseguenze

1. Lo status dell’entità in questione ai sensi del diritto nazionale è ininfluente.


L’unico criterio pertinente al riguardo è se esercita un’attività economica

2. L’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato, in quanto tali, non


dipende dal fatto che l’entità venga costituita per conseguire degli utili. Anche
associazioni senza scopo di lucro possono offrire beni e servizi su un mercato. In
caso contrario, i soggetti che non perseguono scopi di lucro esulano dal
controllo sugli aiuti di Stato

3. Un’entità viene classificata come impresa sempre in relazione a un’attività


specifica. Un’entità che svolge attività a carattere sia economico che non
economico è considerata un’impresa solo per quanto riguarda le prime
Nozione di impresa e di attività economica 2

• Ai fini dell’applicazione della normativa sugli aiuti di Stato, due entità con
personalità giuridica distinta possono essere considerate un’unità economica. Tale
unità economica è quindi considerata l’impresa interessata. A tale riguardo, la
Corte di giustizia prende in considerazione l’esistenza di una quota di controllo e
di altri legami funzionali, economici e organici

• Per chiarire la distinzione tra attività economiche e non economiche, la Corte di


giustizia ha costantemente affermato che qualsiasi attività consistente
nell’offrire beni e servizi in un mercato costituisce attività economica

• La questione se esista o meno un mercato per determinati beni e servizi può


dipendere dal modo in cui tali servizi sono organizzati nello Stato membro
interessato e può quindi variare da uno Stato membro all’altro. Inoltre, la
classificazione di una determinata attività può cambiare nel tempo, in funzione di
scelte politiche o di sviluppi economici: quella che oggi non è una attività
economica può diventarlo in futuro, e viceversa
Nozione di impresa e di attività economica 3

La normativa non si applica se lo Stato agisce “esercitando il potere


d’imperio ”o nella sua “veste di pubblica autorità”. Si può considerare
che un’entità agisca esercitando il potere d’imperio qualora l’attività in
questione sia un compito che rientra nelle funzioni essenziali dello
Stato o sia ad esse connessa per la sua natura, per il suo oggetto e per le
norme cui essa è soggetta. Esempi sono le attività connesse a:
(a) le forze armate o le forze di pubblica sicurezza
(b) la sicurezza e il controllo della navigazione aerea
(c) la sicurezza e il controllo del traffico marittimo
(d) la sorveglianza antinquinamento
(e) l’organizzazione, il finanziamento e l’esecuzione delle sentenze di
reclusione
(f) la raccolta di dati da utilizzare a fini pubblici
Risorse statali 1

Principi generali
• Solo i vantaggi concessi direttamente o indirettamente mediante risorse statali
possono costituire aiuti di Stato

• Le risorse statali comprendono tutte le risorse che provengono dal settore


pubblico, comprese le risorse di enti parastatali. Il fatto che un’istituzione del
settore pubblico sia autonoma è irrilevante. I fondi erogati dalla Banca centrale di
uno Stato membro a specifici istituti di credito rientrano in genere nell’ambito di
applicazione delle norme sugli aiuti di Stato

• Anche le risorse delle imprese pubbliche costituiscono risorse statali, in quanto lo


Stato è in grado di orientare l’utilizzazione di tali risorse. Ai fini della normativa
sugli aiuti di Stato, possono essere pertinenti anche i trasferimenti all’interno di
un gruppo pubblico, ad esempio se le risorse sono trasferite dalla società madre
alla sua controllata
Risorse statali 2

• Una misura adottata da una pubblica autorità e che favorisce


determinate imprese o determinati prodotti non perde il suo
carattere di vantaggio gratuito per il fatto di venire in tutto o in
parte finanziata da contributi imposti dalla stessa autorità alle
imprese considerate

• Il trasferimento di risorse statali può assumere numerose forme


quali sovvenzioni dirette, prestiti, garanzie, investimenti diretti nel
capitale di imprese nonché prestazioni in natura. Anche un impegno
fermo e concreto per rendere disponibili risorse statali in un
momento successivo è considerato un trasferimento di risorse
statali.
Risorse statali 3

Influenza dominante sulle risorse


• L’origine delle risorse non è rilevante purché, prima che queste siano trasferite,
direttamente o indirettamente, ai beneficiari, esse siano sotto il controllo pubblico
e dunque a disposizione delle autorità nazionali, anche se le risorse non diventano
proprietà della pubblica autorità

• Di conseguenza, le sovvenzioni finanziate mediante tributi parafiscali o contributi


obbligatori imposti dallo Stato e gestite e ripartite conformemente alle disposizioni
della pubblica norma comportano un trasferimento di risorse statali, anche se non
sono gestite dalle autorità pubbliche

• Le risorse provenienti dall’Unione (ad esempio dai Fondi strutturali) o dalle


istituzioni finanziarie internazionali, quali il FMI o la BERS, devono essere
considerate anch’esse come risorse statali se le autorità nazionali hanno un potere
discrezionale quanto all’utilizzo di tali risorse. Tali risorse non costituiscono
risorse statali se invece sono concesse direttamente dall’Unione o dalle istituzioni
finanziarie internazionali senza alcun potere discrezionale delle autorità nazionali
Risorse statali 4

Partecipazione dello Stato nella ridistribuzione tra entità private

• Qualsiasi regolamentazione che comporta una ridistribuzione


finanziaria da un’entità privata ad un’altra senza un intervento
ulteriore dello Stato non comporta un trasferimento di risorse statali
se le risorse passano direttamente da un’entità privata all’altra senza
intermediazione di un ente pubblico o privato incaricato dallo Stato
di gestire il trasferimento
Vantaggio
La nozione di vantaggio in generale 1
Principi generali
• Secondo la normativa vigente, un vantaggio è un beneficio economico che
un’impresa non avrebbe ricevuto in condizioni normali di mercato, ossia in
assenza di intervento dello Stato

• Non sono considerati rilevanti né la causa né lo scopo dell’intervento dello Stato


ma solo gli effetti della misura sull’impresa. Qualora la situazione finanziaria
di un’impresa migliori grazie all’intervento dello Stato, è presente un
vantaggio. Questo può essere valutato facendo un raffronto tra la situazione
finanziaria dell’impresa in seguito alla misura e tale situazione in assenza della
misura

• Anche la forma precisa della misura è irrilevante per stabilire se questa


conferisce un vantaggio economico all’impresa. Per la nozione di aiuto di Stato
non è solo rilevante la concessione di vantaggi economici positivi ma anche
qualsiasi intervento che allevi gli oneri che normalmente gravano sul
bilancio di un’impresa
Vantaggio
La nozione di vantaggio in generale 2
Vantaggio indiretto

• Un vantaggio può essere conferito a imprese diverse da quelle alle quali le risorse
statali sono direttamente trasferite (vantaggio indiretto). Una misura può anche
costituire un vantaggio diretto per l’impresa beneficiaria e un vantaggio indiretto
per altre imprese, ad esempio, quelle che operano su livelli successivi di attività.
Il beneficiario diretto della misura può essere un’impresa o un’entità (persona
fisica o giuridica) non impegnata in alcuna attività economica

• Questi vantaggi indiretti dovrebbero essere distinti dai semplici effetti economici
secondari inerenti a quasi tutte le misure di aiuto di Stato (ad esempio, l’aumento
della produzione). A tale scopo, i prevedibili effetti della misura devono essere
valutati in una prospettiva ex ante. Si verifica un vantaggio indiretto se la misura
è concepita in modo da trasferire i suoi effetti secondari a imprese o gruppi di
imprese identificabili. Ciò avviene, per esempio, se l’aiuto diretto è, di fatto o di
diritto, subordinato all’acquisto di beni o servizi prodotti esclusivamente da
talune imprese (ad esempio solo quelle stabilite in determinate zone)
Parole chiave della lezione

• CONCORRENZA

• MERCATO

• IMPRESA

• STATO

• VANTAGGIO
FINANZIAMENTI IMMOBILIARI
STRUTTURATI
AGENDA
A – Presentazione

B – Tipologie di Finanziamento Immobiliari

C – Fasi in cui si articola un finanziamento immobiliare


strutturato

D – Istruttoria legale e tecnica

E – Garanzie

F - Covenant
FINANZIAMENTI IMMOBILIARI DELLE
BANCHE
1. finanziamenti immobiliari concessi a
persone fisiche destinati:
a) all’acquisto di immobili per abitazione; b) a rifinanziare
con un nuovo prestito l’acquisto di abitazioni; c) a fornire
liquidità destinata a sostenere una spesa o un programma
di costi (es. ristrutturazione dell’abitazione); d) a consentire
al mutuatario di surrogare una nuova banca nei diritti di
credito che un altro istituto di credito vantava nei confronti
dello stesso mutuatario in forza di un contratto di
finanziamento;
FINANZIAMENTI IMMOBILIARI DELLE
BANCHE
2. finanziamenti immobiliari concessi a
imprenditori (persone giuridiche, imprese
familiari, persone fisiche che esercitano una attività
imprenditoriale) destinati a sostenere il fabbisogno
finanziario dell’impresa;
3. finanziamenti immobiliari strutturati concessi a
persone giuridiche (in particolare, società veicolo
neo-costituite, S.G.R. per conto di Fondi Immobiliari,
S.I.I.Q. - Società di Investimento Immobiliare Quotate)
finalizzati: a) a sostenere il pagamento del prezzo di un
immobile o di un portafoglio immobiliare locato o da
locare a terzi soggetti; b) a sostenere il pagamento dei
costi di costruzione di immobili da locare a terzi
soggetti.
FINANZIAMENTI IMMOBILIARI DELLE
BANCHE
1.I finanziamenti immobiliari relativi
all’abitazione sono proposti da tutte le banche
che si rivolgo al mercato cosiddetto “retail”; vengono
offerti “allo sportello” o addirittura “via internet” data
la facilità di standardizzare l’istruttoria tecnica-legale
ed economica dell’operazione.
2. I finanziamenti immobiliari destinati a imprenditori
sono concessi, generalmente, da quelle banche che
svolgono anche una attività di finanziamento
corporate ovvero che hanno all’interno del gruppo
bancario di riferimento una banca o divisione che
opera in questo settore.
FINANZIAMENTI IMMOBILIARI DELLE
BANCHE

3. I finanziamenti immobiliari strutturati richiedono


un elevato grado di specializzazione nel settore
immobiliare dei soggetti coinvolti nell’istruttoria
della pratica di finanziamento (tecnici, economisti e
legali specializzati nel settore immobiliare
FINANZIAMENTI IMMOBILIARI DELLE
BANCHE
La differenza tra le prime due categorie di
finanziamenti e la terza è sostanziale:

• nei finanziamenti immobiliari c.d. «retail» e


«corporate», l’istruttoria economica della banca è
concentrata sulla capacità del soggetto (persona fisica o
giuridica) di produrre un reddito sufficiente per pagare,
tra l’altro, anche le rate del finanziamento. L’immobile è
solo una garanzia che la banca potrà escutere per
estinguere il finanziamento in caso di insolvenza del
mutuatario;
FINANZIAMENTI IMMOBILIARI DELLE
BANCHE

• nel finanziamento immobiliare strutturato l’istruttoria


della banca è focalizzata sull’immobile e sulla sua
capacità, immediata e/o prospettica, di rimborsare il
finanziamento attraverso il reddito generato dai
contratti di locazione o dalla vendita volontaria. Le
persone fisiche o giuridiche coinvolte nell’operazione,
sono valutate dalla banca principalmente per la loro
capacità di ricavare questo reddito attraverso la
gestione e/o la valorizzazione dell’immobile.
FINANZIAMENTI IMMOBILIARI
STRUTTURATO
• Nei finanziamenti immobiliari strutturati, la
banca finanzia un progetto immobiliare sulla
base del flusso di cassa generato, o che potrà essere
generato, dal progetto immobiliare stesso.

• Il flusso di cassa generato dal progetto immobiliare – e


derivante generalmente dai canoni di locazione relativi
agli immobili finanziati, oppure dai proventi della vendita
degli stessi, anche in via frazionata – costituisce la fonte
primaria sia per il servizio del debito, sia per la
remunerazione, in via residuale, del capitale proprio
investito dai soci.
FINANZIAMENTI IMMOBILIARI
STRUTTURATO

• L’istruttoria compiuta dalla banca per la concessione


del finanziamento ha per oggetto la valutazione
dell’equilibrio economico-finanziario dello
specifico progetto immobiliare che, preferibilmente,
dovrà essere indipendente, sia sotto il profilo giuridico
che sotto quello economico, dalle altre iniziative del
soggetto economico di riferimento che lo realizza.
FINANZIAMENTI IMMOBILIARI
STRUTTURATO

Sotto il profilo delle DESTINAZIONI, i


finanziamenti immobiliari strutturati
possono essere utilizzati per sostenere (in tutto o in parte):
· i COSTI DI COSTRUZIONE degli immobili oggetto del
finanziamento;
· i COSTI DI ACQUISTO degli immobili oggetto del
finanziamento.
FINANZIAMENTI IMMOBILIARI
STRUTTURATO
Sotto il profilo delle TIPOLOGIE IMMOBILIARI,
i finanziamenti immobiliari strutturati possono
supportare tutti quei progetti che, in linea di principio,
siano in grado di generare flussi di cassa positivi
(da locazione e/o vendita), e pertanto:
· Uffici – Centri direzionali
· Centri commerciali – Parchi commerciali – Factory outlet
· Centri di intrattenimento – Multiplex – Parchi tematici
· Centri logisitci
· Hotel
· Case di cura – Residenze sanitarie assistite (RSA)
· Immobili residenziali
FINANZIAMENTI IMMOBILIARI
STRUTTURATO
Sotto il profilo delle GARANZIE DI RIVALSA, i
finanziamenti immobiliari strutturati
possono essere:

 ·LIMITED RECOURSE: quando sono previste garanzie


di rivalsa (fideiussioni, lettere di patronage) sui promotori
dell’iniziativa o su terzi, al verificarsi di condizioni
predeterminate contrattualmente;
 ·NON RECOURSE: quando non è prevista alcuna
garanzia di rivalsa sui promotori dell’iniziativa o su terzi.
COSTRUZIONE DELL’OPERAZIONE

1. analisi delle esigenze finanziarie del cliente


2. analisi di fattibilità del progetto immobiliare
- analisi dei costi e dei ricavi
- analisi dei flussi reddituali
- studio di mercato / catchment area
- stima del valore dell’immobile
3. analisi di solvibilità dei soggetti
- sviluppatore
- costruttore
- acquirente
- conduttore
COSTRUZIONE DELL’OPERAZIONE
4. analisi del rischio Istruttoria tecnica
Istruttoria legale/AML
5. individuazione delle garanzie:
- security package
- covenants economico - reddituali - finanziari
- debt service coverage ratio
- rapporti di valore (loan to value ratio)
6. rating/RaRoRc e condizioni economiche
7. definizione del timing dell’operazione
8. T.S. - delibera / lettera di delibera
9. prosecuzione istruttoria tecnico/legale
10. stipula contratto di finanziamento
11. erogazione / rilascio somma
12. monitoraggio costante
ISTRUTTORIA LEGALE DEL MUTUO
L’istruttoria legale ha come obiettivi essenziali tre
requisiti oggettivi:

 accertamento della piena proprietà dell’immobile


ipotecando da parte di chi offrirà la garanzia;
 accertamento sulla libertà da trascrizioni, iscrizioni
ipotecarie e privilegi, nonché da ogni altra formalità
risultante dai pubblici registri immobiliari comunque
pregiudizievole della garanzia ipotecaria;
 accertamento dei poteri di firma per mutuatari,
datore di ipoteca ed altri garanti.
ISTRUTTORIA TECNICA

Stimare immobili da costituire in garanzia

Determinarne il valore di mercato e il valore


cauzionale
ISTRUTTORIA TECNICA
Valore di mercato
Indica il più probabile prezzo di trasferimento
(compravendita) del bene immobiliare. E’ determinato nel
presupposto dei seguenti assunti:

 libera determinazione delle parti alla conclusione del


contratto, senza condizionamenti coercitivi della volontà;
 una ragionevole conoscenza da parte di entrambi i
contraenti dei possibili usi e delle caratteristiche della
proprietà, nonché delle condizioni esistenti sul libero
mercato;
 l’ipotesi che la proprietà sia offerta sul libero mercato
per un periodo corrispondente a quello ragionevolmente
sufficiente per reperire un compratore.
ISTRUTTORIA TECNICA
Valore cauzionale

Indica la frazione di valore di un bene immobiliare che


esprime l’importo massimo finanziabile tenendo conto
della sua commerciabilità futura, degli aspetti di
sostenibilità a lungo termine, delle condizioni normali
di mercato, dell’uso corrente e dei possibili usi
appropriati alternativi.
LE GARANZIE
La banca deve avere la possibilità di garantire
effettivamente il proprio credito e di monitorare
l’andamento dell’operazione immobiliare sottostante e dei
suoi promotori, anche attraverso «covenant» contrattuali e
anche ai fini di valutare il rischio di credito per rispettare
la Convenzione di Basilea, sino alla scadenza del
finanziamento, potendo così intervenire, in ogni momento,
per scongiurare il verificarsi di un evento che possa
diminuire o pregiudicare la capacità dell’immobile di
generare i flussi di cassa necessari e sufficienti al rimborso
del debito, o per limitarne gli effetti negativi.
LE GARANZIE
Security package ideale:

• ipoteca di primo grado


• cessione in garanzia, pegno o mandato all’incasso dei
crediti derivanti dai contratti di locazione e/o affitto di
ramo d’azienda
• cessione in garanzia dei crediti derivanti dalle polizze
assicurative
• mandato irrevocabile a vendere e/o locare l’immobile
• pegno delle quote o azioni della società
• garanzie prestate da terzi
• garanzie infragruppo
LE GARANZIE

1- L’ipoteca (legale, giudiziale o volontaria) è un


diritto reale di garanzia che attribuisce al creditore il
diritto di espropriare il bene vincolato, anche nei
confronti del terzo acquirente, a garanzia del suo credito e di
essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dalla
vendita. L’ipoteca può avere per oggetto i beni del debitore o
di un terzo e si costituisce, previo contratto di concessione
(ipoteca volontaria), mediante iscrizione nell’Ufficio del
Registro Immobiliare del luogo in cui si trova l’immobile.
L’iscrizione dell’ipoteca deve indicare la somma ed il credito
per cui essa è eseguita.
LE GARANZIE

Caratteristiche fondamentali del diritto di


ipoteca:
• specialità: l'ipoteca deve essere iscritta solo su beni
esattamente individuati;
• indivisibilità : in forza di questa caratteristica il
vincolo ipotecario sussiste su tutti e ciascuno dei Beni
ipotecati a garanzia del medesimo credito, ovvero su
qualsiasi frazione in cui il Bene ipotecato sia o possa
essere ripartito.
• determinatezza: il credito garantito dal bene ipotecato
deve essere determinato del suo ammontare, cioè
liquido ed espresso in una somma di denaro.
LE GARANZIE
 2- La cessione in garanzia, il mandato
all’incasso ed il pegno dei crediti derivanti dai
contratti di locazione/affitto di ramo d’azienda
garantiscono, con diverso grado di efficacia, che il flusso di
cassa generato dagli immobili sia destinato direttamente
alla banca per ripagare il finanziamento.

• Con la CESSIONE IN GARANZIA del credito la banca


diviene titolare del credito verso il debitore ceduto (il
conduttore), il quale potrà liberarsi solo ed unicamente
pagando nelle mani della banca cessionaria.
LE GARANZIE

• Principali elementi della cessione in garanzia: (i)


consenso dei contraenti banca e creditore cedente; (ii)
notifica al debitore ceduto e sua accettazione con data
certa; (iii) efficacia di fronte ai terzi; (iv) le cessioni di
durata superiore ai tre anni vanno trascritte pressi i
pubblici RR.II.; (v) l’incasso del credito ceduto è
indipendente dalla scadenza del debito garantito; (vi) si
risolve con la totale estinzione del debito garantito.
LE GARANZIE
• Con il PEGNO del credito la banca, pur non
divenendo titolare del credito, acquisisce
tuttavia un diritto di prelazione sullo stesso e,
in caso di inadempimento del soggetto
finanziato, può soddisfarsi utilizzando i
proventi del credito ricevuto in pegno. Con il
MANDATO ALL’INCASSO del credito la
banca (mandataria) è legittimata alla
riscossione del credito, la cui titolarità resta
tuttavia in capo al mutuatario (mandante).
COVENANT CONTRATTUALI
Il covenant (o impegno contrattuale) riconosce
alla banca il diritto di rinegoziare o di risolvere il
contratto al verificarsi di eventi espressamente previsti nel
contratto stesso. Si possono avere:

• NEGATIVE COVENANT: quando il soggetto finanziato


si impegna a non porre in essere comportamenti o ad
evitare situazioni che potrebbero pregiudicare i diritti
della banca o, comunque, accrescere il rischio di default
del finanziamento, riconoscendo alla banca il diritto di
rinegoziare le condizioni del finanziamento o di revocare il
credito, qualora le condizioni previste da tali clausole
siano violate;
COVENANT CONTRATTUALI
• POSITIVE COVENANT: quando il soggetto
finanziato si impegna a porre in essere
comportamenti che consentano alla banca di monitorare
nel tempo il finanziamento.
• Il rispetto o il mancato rispetto dei covenant può
comportare:
(a) effetti modificativi (migliorativi o peggiorativi) sulle
condizioni economiche del finanziamento per
compensare, in più o in meno, il rischio di credito
dell’operazione); (b) effetti risolutivi quando il
mutare delle condizioni giudicate fondamentali in sede
di concessione del finanziamento costringono la banca
a chiedere il rimborso anticipato del prestito
(cosiddetto “event of default”).
COVENANT DI BILANCIO E CONTRATTUALI
Nei COVENANT DI BILANCIO, la clausola si
basa sulle principali grandezze
economico-finanziarie della società finanziata e/o dei suoi
sponsor e/o degli
eventuali garanti desumibili dai bilanci d’esercizio di tali
soggetti, definendo dei “paletti” entro cui tali soggetti
potranno muoversi, affinché la loro struttura
patrimoniale, finanziaria e reddituale si mantenga
compatibile con l’importo dei debiti assunti e tale da
assicurare la permanenza dell’equilibrio economico
finanziario del progetto immobiliare finanziato.
COVENANT DI BILANCIO E CONTRATTUALI
Esempi di covenant di bilancio sono quelli che
prevedono l’impegno a mantenere, per tutta la
durata del finanziamento, dei livelli minimi o massimi di
alcune voci di bilancio o di loro rapporti (mezzi propri,
indebitamento, liquidità, fatturato, canoni di locazione,
proventi delle vendite, oneri finanziari).
• I COVENANT FINANZIARI sono più strettamente
correlati all’operazione
• immobiliare oggetto del finanziamento. Quelli
maggiormente utilizzati sono i
• seguenti: Loan To Value (LTV); · Loan To Cost (LTC);
Interest Cover Ratio (ICR); Debt Service Cover
Ratio (DSCR); (Rental) Yield on Debt (YoD).
BIBLIOGRAFIA SUL FINANZIAMENTO
IMMOBILIARE

Morri G., Mazza A. , “Finanziamento


Immobiliare”, Milano, Egea, 2010
Morri G., Mazza A. «Property Finance – An
International Approach», London, Wiley 2014

Antonio Mazza
antonio.mazza@aareal-bank.com
www.aareal-bank.com
www.morri-mazza.it
“BANCA E SISTEMA BANCARIO, SOTTO IL
PROFILO GIURIDICO”

PROF. COSTANTINO FORMICA


Università Telematica Pegaso Banca e sistema bancario,
sotto il profilo giuridico

Indice

1 LE PRINCIPALI PROBLEMATICHE DEGLI ORDINAMENTI BANCARI VIGENTI ---------------------- 3


2 L'ORDINAMENTO BANCARIO ITALIANO --------------------------------------------------------------------------- 9
3 IL DIRITTO COMUNITARIO E L'ORDINAMENTO DEL CREDITO ----------------------------------------- 22
4 PAROLE CHIAVE DELLA LEZIONE ---------------------------------------------------------------------------------- 26
SITOGRAFIA ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 27

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1 Le principali problematiche degli ordinamenti


bancari vigenti
Per sistema bancario deve intendersi, sotto il profilo giuridico, l'insieme delle norme che

disciplinano l'attività definita dal diritto positivo come bancaria, mentre per banca il centro

d'imputazione di tale attività. L'ordinamento italiano configura come 'attività bancaria' quella in cui

il soggetto attivo assume posizione debitoria nelle operazioni di raccolta del risparmio tra il

pubblico e posizione creditoria nell'attività, funzionalmente connessa, di erogazione della liquidità.

Più estesa e sistematica è invece la nozione contemplata in alcuni evoluti ordinamenti stranieri,

quali il francese o il tedesco. Già la legge francese del 1941 definiva per banche le imprese che

ricevono dal pubblico fondi, in forma di depositi o in qualunque altro modo, da impiegarsi in

operazioni di sconto, di credito o finanziarie. Maggiore estensione, mediante la descrizione

sistematica dei vari intermediari con riferimento tipologico all'attività, è presente nella normativa

del 1984, costituita da un insieme di disposizioni comuni e da una disciplina separata per la

soluzione dei problemi connessi alle diverse attività contemplate. Anche l'ordinamento tedesco

preferisce descrivere, per tipologie differenziate, i modi di esercizio dell'impresa bancaria,

estendendo la nozione in esame, nella legge del 1961, finanche alle ipotesi di operazioni su titoli o

operazioni di garanzia. Il comune denominatore delle definizioni positive, o meglio il nucleo più

rigorosamente regolato, è comunque costituito dall'attività di raccolta del risparmio tra il pubblico

attraverso istituti giuridici ricollegabili al mutuo o al deposito irregolare e nella correlativa

concessione del credito.

Da tale osservazione appare evidente che il fine degli ordinamenti bancari coincide con la

tutela di un sistema che, per intrinseche peculiarità dell'attività esercitata, presenta particolari

problemi di solvibilità e liquidità dei soggetti operanti e al contempo garantisce il perseguimento di

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un interesse generale meritevole di protezione giuridica. Attraverso l'attività bancaria si perviene

infatti alla concentrazione di liquidità altrimenti dispersa nel patrimonio dei singoli depositanti e

all'ottimale allocazione della stessa tra le imprese, nel tentativo di assicurare la massima produttività

alla moneta e l'eliminazione parziale di tesaurizzazioni improduttive.

La crisi dell'attività o il suo venir meno determinerebbero, soprattutto laddove non fossero

sviluppate altre forme di intermediazione finanziaria, crisi nell'intera economia, comportando

periodi di stretta creditizia insostenibili per un settore industriale sviluppatosi prevalentemente

attraverso l'indebitamento bancario. È perciò superfluo sottolineare che il più sofisticato sistema

bancario si sviluppa col capitalismo, ancorché le banche abbiano costituito l'ossatura di più antichi e

meno complessi regimi economici. La tutela del sistema si risolve dunque nel tentativo di garantire

preventivamente solvibilità e stabilità agli enti creditizi, raggiungendo soltanto in via secondaria la

tutela indiretta dei singoli depositanti.

Vi è tuttavia una ragione ulteriore, sempre connessa all'attività, che giustifica la specialità

della disciplina. Le banche, attraverso i depositi a vista su cui possono essere emessi assegni

bancari, creano liquidità e dunque, indirettamente, influenzano grandezze macroeconomiche

rilevanti. Soprattutto dopo gli insegnamenti keynesiani, con una maggiore coscienza delle

connessioni esistenti tra politica economica e politica monetaria, i sistemi bancari sono stati

utilizzati come regolatori dell'intero sistema economico attraverso strumenti d'intervento (come le

variazioni sulla percentuale di riserva obbligatoria) che permettono un controllo immediato sul

volume della massa monetaria in circolazione.

Con queste premesse comuni e analogia di intenti, i vari ordinamenti hanno sviluppato strumenti

operativi di controllo incidenti sull'intero settore bancario. Comune è dunque la previsione di un

istituto di emissione avente la funzione primaria di 'banca delle banche', ovvero di prestatore di

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liquidità di ultima istanza ai singoli componenti del sistema e, in casi particolari, allo stesso Tesoro

dello Stato. Così la banca centrale assume sovente anche il compito di utilizzare gli strumenti

tecnici di cui dispone per la realizzazione delle linee di politica monetaria precedentemente

predisposte dagli organi governativi competenti. Viene poi generalmente istituito un organo

amministrativo, con funzioni precipue di sorveglianza sul sistema, a cui spettano poteri ispettivi, di

informazione e anche di determinazione delle modalità delle operazioni dei singoli enti creditizi.

Considerata inoltre la connessione funzionale tra sorveglianza e attuazione della politica monetaria

e la duplicità di scopi dei singoli strumenti adottati, vi è spesso coincidenza tra l'istituto di

emissione e il comitato di sorveglianza, salva la creazione di norme di coordinamento per il caso di

una scissione organica.

Sotto il profilo strettamente giuridico è allora facile rilevare come l'intero sistema del credito abbia

dato origine a un ordinamento giuridico settoriale, nel cui ambito gli operatori sono sottoposti alla

direzione di un pubblico potere che detta norme interne particolari, alle quali gli operatori stessi

debbono conformarsi. All'individuazione delle regole di accesso, di attività e di espulsione da tale

ordinamento settoriale deve perciò far riferimento qualsivoglia ricerca sul sistema bancario.

All'interno di schemi comunque simili le differenze di fondo degli ordinamenti creditizi nascono

dalla maggiore fiducia riposta nei meccanismi di mercato e nel regime di concorrenza rispetto a

visioni più strettamente garantistiche con ampie, e a volte ingiustificate, possibilità di controllo

discrezionale sull'attività dei singoli operatori per mezzo dell'organo di vigilanza.

Da una parte dunque la fiducia in sistemi apertamente concorrenziali, a cui sembrano, ad esempio,

ispirate le linee politiche dell’Unione Europea, si fonda sulla ricerca di una più efficiente

allocazione delle risorse e sulla necessità dell'automatica esclusione dal mercato delle imprese

inefficienti; dall'altra, l'impostazione più garantista tende a giustificarsi in base all'elevata instabilità

dell'intero sistema e alla mutevolezza delle forme di intervento necessarie per l'attuazione della

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politica monetaria. Più in particolare, le maggiori differenze tra gli ordinamenti bancari provengono

dalle diverse prospettive e soluzioni relative ai problemi connessi al principio di specializzazione

delle imprese bancarie, al rapporto banca-industria e alla crisi dell'impresa. In ordine alla questione

della specializzazione si è più volte posta in discussione la necessità di norme che assicurino la

coincidenza nelle scadenze creditorie e debitorie e dunque si è sovente criticata la stessa

separazione tra banche di credito ordinario e istituti a medio-lungo termine. Invero sono le

operazioni di raccolta a vista o a breve termine che comportano i maggiori problemi, sia

relativamente alla solvibilità e stabilità dell'ente creditizio sia in ordine alla possibile espansione

della massa monetaria. La distinzione normativa che si ispira al principio della separazione

funzionale dell'attività creditizia, derivata dall'esperienza della grande depressione economica del

1929, appare quindi del tutto giustificata. Del resto tale distinzione viene proposta in molteplici

evoluti ordinamenti (ad esempio quelli statunitense e francese) e non sembra, viceversa, che la

scelta meno limpida della cosiddetta banca universale, proposta dal sistema bancario tedesco, abbia

comportato benefici al sistema economico, dimostrandosi al contrario generatrice di rilevanti

fenomeni di instabilità.

È tuttavia nella vocazione espansionistica del sistema bancario a essere protagonista dell'intera

gamma dei mercati finanziari che si annida la tentazione maggiore, spesso dichiarata ma altre volte

sapientemente dissimulata, di spingersi verso tale soluzione, all'accoglimento della quale si oppone

la più grave delle lacune dell'ordinamento settoriale: la mancanza di una rigorosa disciplina del

conflitto di interessi nell'attività delle banche. Sempre in rapporto al problema della

specializzazione è opportuno considerare inoltre la diversificazione normativa in relazione alla

natura giuridica degli enti e, in particolare, sembra necessario prevedere, per la categoria degli enti

creditizi pubblici, l'emanazione di regole precise che impongano comportamenti maggiormente

rispettosi del principio di economicità e di parità di trattamento con le imprese private.

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La questione dei rapporti banca-industria desta infine perplessità e genera rilevanti diversità di

soluzioni. La partecipazione dell'industria, come azionista di controllo, negli enti creditizi determina

l'insorgenza di situazioni di conflitto di interessi nella concessione dei crediti; analogo e speculare

problema si pone nel caso di partecipazioni rilevanti delle banche nelle imprese industriali. Tali

conflitti conducono, presumibilmente, a un impiego della liquidità raccolta a tassi del tutto

indipendenti dal rischio dell'investimento, a danno del risparmiatore e dell'efficiente allocazione

delle risorse. In relazione a tale problema l'ordinamento italiano ha stabilito limitazioni per la sola

ipotesi di acquisto di partecipazioni azionarie da parte delle banche, mentre - a differenza di quanto

avviene nell'ordinamento tedesco - dovrebbe essere altresì limitata la possibilità di partecipazione

dell'industria nel sistema bancario: così avviene negli Stati Uniti, in cui l'indipendenza dell'ente

creditizio viene tutelata imponendo ai soggetti che controllano le banche una limitazione alla

partecipazione in settori extrabancari, e in Olanda, dove è posto un divieto al diritto di voto quando

possa venir meno la correttezza della gestione, o in Francia, dove si impongono limitazioni ex ante

all'acquisto delle suddette partecipazioni. Da ultimo, relativamente alla normativa sulla crisi degli

enti creditizi, la tendenza in atto negli ordinamenti occidentali - sull'esperienza del fondo

assicurativo obbligatorio istituito negli Stati Uniti - è rinvenibile nella predisposizione di procedure

finalizzate a scaricare gli effetti negativi connessi alla crisi stessa sull'insieme dei componenti del

sistema bancario, che soli dovrebbero sopportare il rischio derivante dall'attività esercitata,

eliminando dunque quegli interventi i cui riflessi possano incidere direttamente sull'intera

collettività.

Quanto più si andranno risolvendo, attraverso questa via, i problemi derivanti dall'insolvenza dei

singoli enti, tutelando in prima istanza i risparmiatori, tanto maggiormente potranno essere aboliti

vincoli e controlli amministrativi; quanto maggiore invece sarà la partecipazione nella crisi da parte

dell'organo di vigilanza, tanto più quest'ultimo sarà giustificato nella predisposizione di vincoli

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amministrativi preventivi. La normativa di crisi determina e giustifica dunque le scelte di base

dell'ordinamento bancario. In sintesi, l'evoluzione del sistema dovrebbe indirizzarsi verso una

maggiore limitazione della discrezionalità dei provvedimenti amministrativi delle banche centrali,

ispirati invero a un'antiquata e ormai inutile filosofia protezionistica. Appare inoltre quanto mai

opportuna la predisposizione di una rigorosa disciplina sul conflitto di interessi: essa non può che

costituire il nodo cruciale di ogni ordinamento creditizio, soprattutto qualora alla banca si voglia

attribuire l'ambigua natura di operatore polifunzionale.

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2 L'ordinamento bancario italiano


a) Le fonti

L'ordinamento bancario italiano attuale è frutto di una profonda evoluzione. Esso si è

fondato, storicamente, sulle disposizioni della legge n. 141 del 7 marzo 1938 (la cosiddetta legge

bancaria)1. Essa aveva, innanzitutto, deferito la sorveglianza e il controllo sul sistema creditizio

all'autorità amministrativa di vigilanza, a cui erano state ulteriormente attribuite ampie funzioni

discrezionali, esercitabili entro i limiti imposti dalla legge e dalle specifiche direttive impartite dagli

organi politici competenti. In secondo luogo, si era creato, attraverso tale normativa, un principio di

specializzazione tra imprese bancarie, consistente nella sostanziale distinzione tra enti che

raccolgono risparmio a vista o a breve termine ed enti che potevano operare soltanto sul medio-

lungo termine, con la predisposizione di norme più rigide e vincolanti per l'intera attività dei primi.

Una carenza sostanziale della legge bancaria consisteva invece nella mancata identificazione

dei fini verso il cui perseguimento doveva essere svolta l'attività degli organi amministrativi di

controllo. Il problema era stato risolto dall'intervento della Costituzione repubblicana, tramite il

disposto dell'art. 47, per il quale compito della Repubblica, in ambito creditizio, è incoraggiare e

tutelare il risparmio in tutte le sue forme, nonché disciplinare e controllare l'esercizio del credito.

Appare allora evidente che il controllo amministrativo sull'attività bancaria può essere giustificato

soltanto qualora tenda a garantire la solvibilità e la stabilità degli enti creditizi.

L'ulteriore evoluzione del sistema è andata attuandosi attraverso molteplici disposizioni, integrative

dello storico impianto della legge bancaria, che vengono qui di seguito sinteticamente riportate. Il

1
Per l’evoluzione normativa successiva vedi: http://www.bankpedia.org/index.php/it/99-italian/e/20049-evoluzione-
del-testo-unico-delle-leggi-in-materia-bancaria-e-creditizia-fino-al-2005-enciclopedia

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d.l. n. 691 del 1947 istituiva il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR), a cui

era stata attribuita l'alta vigilanza in materia creditizia e valutaria, conferendo nel contempo la

funzione di sorveglianza sull'intero sistema alla Banca d'Italia, presieduta dal governatore. Il d.l. n.

544 del 1948 poneva invece limiti alla possibilità di anticipazioni straordinarie da parte della Banca

d'Italia al ministro del Tesoro, richiedendo per esse, in via preventiva, l'autorizzazione del

Parlamento. Il d.l. n. 331 del 1945 attribuiva, per il sistema valutario, il monopolio del controllo e

dell'attività all'Ufficio Italiano Cambi e assoggetta quest'ultimo alla congiunta vigilanza del ministro

del Tesoro e della Banca d'Italia.

L'evoluzione del sistema diventò maggiormente incisiva alla fine degli anni settanta per il

maturare di forme di intermediazione finanziaria non tradizionali e concorrenziali rispetto allo

stesso sistema bancario. Tale fenomeno ha reso inutile il perseguimento di una linea politica tesa a

mantenere basso il livello di concorrenzialità tra gli stessi enti creditizi e ha fatto sorgere, al

contrario, l'esigenza di garantire una maggiore efficienza abbandonando vincoli garantistici

ingiustificati. Nel senso dell'aumento dell'efficienza, dell'abbandono della discrezionalità nelle

funzioni amministrative e del rifiuto di una politica protezionistica sono altresì andate le direttive

comunitarie, in specie la direttiva n. 780 del 1977. In questa direzione si è spinto pure il d.p.r. n. 350

del 1985, che ha decisamente limitato la discrezionalità della Banca d'Italia nella concessione di

autorizzazioni.

In tema di trasparenza e di informazione sull'attività bancaria rilevano le norme di cui alle leggi n.

281 del 1985 e n. 144 del 1986 che dispongono, rispettivamente, l'obbligo di identificazione dei

soci delle imprese creditizie per la verifica delle eventuali connessioni banca-industria e il potere,

per la Banca d'Italia, di ottenere informazioni anche direttamente dalle società partecipate dalle

singole banche.

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b) Il TUB – Testo Unico Bancario

La sostanziale novità normativa relativa al sistema bancario è intervenuta nel 1993, con

l’emanazione del TUB (Testo Unico Bancario) ovvero il Testo unico delle leggi in materia

bancaria e creditizia, che raccoglie le norme relative al settore del credito. Emanato, in attuazione

della direttiva 1989/646/CE, con il Decreto legislativo 385/1993, in vigore dal 1° gennaio 1994, ha

sostituito la legge bancaria del 1936 e disciplina l’attività delle banche e della vigilanza su di esse. Il

TUB costituisce un corpo organico di disposizioni volte a coordinare e, in qualche caso, a

disciplinare, innovativamente, sia l’esercizio di attività finanziarie sia gli intermediari deputati allo

svolgimento delle stesse. Ne fanno inoltre parte norme sulle autorità creditizie, i poteri di vigilanza,

i gruppi bancari, la trasparenza delle condizioni contrattuali e sul credito al consumo. Sono invece

escluse le leggi concernenti l’intermediazione mobiliare e la tutela della concorrenza. Il TUB ha

riformato in maniera radicale il sistema bancario italiano, che fino al 1992 considerava le banche

come una pubblica istituzione operante in regime di separatezza temporale, settoriale e istituzionale

dell’attività bancaria. Con il nuovo testo legislativo, le banche possono essere formate solo come

società per azioni o cooperative e hanno poteri più ampi di azione e di creazione di nuovi mercati,

anche esteri. Il TUB consta di 162 articoli suddivisi in 9 titoli. Il titolo I è dedicato agli organi di

vertice del sistema creditizio, CIRC (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio),

ministero dell’Economia e delle Finanze e Banca d’Italia. Il titolo II definisce le caratteristiche

dell’attività bancaria. Il titolo III raccoglie le norme relative all’attività di vigilanza che la Banca

d’Italia deve svolgere sulle singole banche. Il titolo IV contiene quelle relative all’amministrazione

straordinaria della banca nei momenti di crisi. Il titolo V specifica i requisiti che devono avere i

soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo. Il V bis regolamenta la

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moneta elettronica. Il titolo VI la trasparenza nelle operazioni nei servizi bancari e finanziari. Il VII

disciplina l’emissione di strumenti finanziari. Il titolo VIII individua le sanzioni amministrative e

penali. Il IX contiene le disposizioni transitorie che regolano il passaggio dal vecchio al nuovo

ordinamento. Una delle novità del TUB è il concetto di banca universale, che ha natura

imprenditoriale e può esercitare congiuntamente la raccolta del risparmio presso il pubblico e

l’esercizio del credito. La maggiore autonomia delle banche ha determinato un’accresciuta

autonomia dei poteri di vigilanza che consente di monitorare l’attività bancaria attraverso lo

strumento della vigilanza prudenziale. Dalla sua emanazione il TUB ha subito una serie di

modifiche per adeguarlo all’evoluzione normativa, nazionale e comunitaria.

c) L'attività e la vigilanza

È stato detto che il compito principale dell'ordinamento bancario consiste nella prevenzione

della crisi degli enti creditizi, assicurandone la solvibilità e la stabilità. Le norme che tendono ad

assolvere il compito anzidetto possono essere distinte in tre nuclei differenziati. Una prima

categoria è posta a garanzia del regolare svolgimento dell'attività bancaria, indipendentemente dalla

differenziazione delle forme di raccolta, e trova dunque applicazione generale per qualsiasi ente

creditizio. Una seconda, invece, pone limiti sull'attività in relazione alla diversità dei rischi connessi

alle possibili modalità di raccolta, con applicazione differenziata per gli enti creditizi maggiormente

soggetti a instabilità. Il terzo nucleo riguarda gli obblighi di informazione posti a carico dei

partecipanti del sistema bancario nei confronti della Banca d'Italia e i connessi poteri di

quest'ultima.

Norme comuni ad aziende e istituti di credito. - Nel primo gruppo di norme viene prevista una

particolare disciplina per l'inizio dell'attività. Il precetto contenuto nell'art. 28 della legge bancaria

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ha recepito, sotto questo profilo, il regime previsto dalla previgente disciplina del 1928, lasciando

ampia discrezionalità nell'emissione del provvedimento autorizzatorio all'organo amministrativo di

vigilanza, entro i soli limiti discendenti dalle direttive del CICR. Una filosofia fortemente

protezionistica degli organi politici ha condotto alla sostanziale chiusura del sistema, al fine di

garantire la diminuzione del grado di concorrenza e dei rischi a questa connessi.

Tuttavia il costituirsi di nuove forme di intermediazione finanziaria antagoniste del sistema bancario

e, soprattutto, la politica della concorrenza della CEE hanno comportato una modifica sostanziale

della situazione approdata nell'emanazione del d.p.r. n. 350 del 1985, riflesso, peraltro, della

precedente direttiva comunitaria, n. 780 del 1977. L'autorizzazione all'inizio dell'attività diviene

così, in base all'art. 1 del testo normativo citato, atto dovuto in tutti i casi in cui l'organo di vigilanza

riscontri i requisiti oggettivi individuati dalla legge (capitale, qualificazione dei soggetti che

amministrano o dirigono l'attività dell'ente, programma d'attività).

L'art. 28 della legge bancaria prevede poi un analogo regime autorizzativo per l'istituzione di sedi,

filiali, succursali, agenzie e dipendenze (i cosiddetti sportelli bancari), distaccate, a livello

organizzativo, dalla sede legale dell'ente creditizio e mancanti di autonoma personalità giuridica.

Anche la politica sugli sportelli è stata permeata fino agli anni settanta da una filosofia tesa a

un'articolazione territoriale di bassa concentrazione, con riserva di zone protette per le casse rurali e

le casse di risparmio. Dopo gli anni settanta, le delibere del CICR hanno però modificato la

situazione, ma solo parzialmente, garantendo in misura più adeguata l'efficienza del sistema

attraverso un maggiore grado di concorrenzialità.

Tuttavia il d.p.r. n. 350 del 1985 non ha esplicitamente risolto il problema della

discrezionalità, avendo preso in considerazione unicamente l'autorizzazione all'inizio delle

operazioni. Permane quindi un mancato adeguamento, sotto questo profilo, alla direttiva

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comunitaria: l'autorizzazione all'apertura di nuovi sportelli, anche automatici, rimane ancora oggi

fortemente discrezionale.

Norme relative alle sole aziende di credito. - Le norme applicabili in modo esclusivo all'attività

delle aziende di credito discendono dagli artt. 32, 33 e 35 della legge bancaria, disposizioni che

pongono i maggiori vincoli all'attività d'impresa e attribuiscono al contempo agli organi politici e

amministrativi un forte potere discrezionale nella specificazione delle regole di condotta.

In relazione al rapporto di provvista si è già osservato che le aziende di credito hanno l'ulteriore

possibilità, rispetto agli istituti, di raccogliere liquidità a vista o a breve termine. Ciò non dovrebbe

comunque comportare alcun vincolo per operazioni di raccolta oltre il breve termine, mancando per

una simile limitazione qualsiasi ragione di carattere sostanziale. Le autorità competenti hanno

invece espressamente affermato che la raccolta sul medio-lungo termine rimane operazione

esclusiva degli istituti e che, come tale, può essere svolta dalle aziende di credito solo

eccezionalmente e nelle sole forme espressamente autorizzate e previste.

I vincoli sulle modalità degli impieghi hanno invece un contenuto assai più rigido; essi si

propongono di stabilire una coincidenza tra attività e passività, di evitare la concentrazione dei

rischi e di garantire, più in generale, la solvibilità delle aziende.

Viene innanzitutto disposto che le forme di erogazione del credito oltre il breve termine

siano attuate nei modi espressamente stabiliti dalla Banca d'Italia e che, in caso contrario, occorre

richiedere la preventiva autorizzazione alla stessa, ai sensi dell'art. 33 della legge bancaria, salva

l'ipotesi in cui il credito erogato in forme non previste risulti inferiore a una determinata percentuale

della massa fiduciaria. Per gli investimenti immobiliari il limite massimo è costituito dal patrimonio

aziendale. Le partecipazioni azionarie sono state oggetto di una particolare valutazione poiché la

connessione delle banche con imprese extrabancarie potrebbe comportare, nel caso di dissesto di

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queste ultime, la crisi dell'intero sistema. È concessa in generale, pur con le opportune limitazioni,

la partecipazione delle aziende in altre aziende o istituti di credito e viene altresì ammessa quella in

società che gestiscono servizi collaterali o strumentali all'attività bancaria.

Le aziende di credito possono diventare socie di società finanziarie soltanto qualora queste

ultime agiscano, nell'acquisto di azioni, in base a criteri di redditività, con un frazionamento del

rischio di portafoglio complessivo, senza mai assumere, neppure di fatto, il controllo delle imprese

partecipate. È comunque esclusa la partecipazione diretta delle aziende di credito nel capitale delle

imprese industriali. Altri termini concernono la riserva obbligatoria (pari oggi al 23,5% della

provvista, da versare in contanti all'istituto di emissione, oppure da utilizzare nell'acquisto di titoli

di Stato) e l'ulteriore vincolo di portafoglio, secondo cui una parte determinata della provvista dovrà

necessariamente essere detenuta in titoli indicati dall'autorità di vigilanza, in base al disposto

dell'art. 32 della legge bancaria. Attraverso la riserva obbligatoria e il vincolo di portafoglio

possono essere raggiunti sia obiettivi di stabilità dell'azienda di credito che funzioni politiche di

selezione creditizia e di controllo della massa monetaria esistente. Ma i due istituti sono da tempo

oggetto di critiche severe e sono invero ritenuti freni alla capacità concorrenziale del sistema

bancario.

Ai sensi dell'art. 35 della legge bancaria, la Banca d'Italia può inoltre, su direttiva del CICR,

determinare i limiti massimi dei fidi concedibili e i massimali sugli impieghi al fine di evitare la

concentrazione dei rischi così come può imporre rigidi vincoli sui tassi attivi e passivi delle

operazioni bancarie. Tuttavia le autorità creditizie hanno oggi soppresso ogni vincolo su tassi e

massimali, preferendo lasciare la loro determinazione alle regole del mercato.

Norme relative ai soli istituti di credito. - Gli istituti di credito, non essendo soggetti alle

disposizioni di cui agli artt. 32, 33 e 35 della legge bancaria, hanno maggiore libertà d'azione e

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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vengono per contro vincolati e disciplinati, nell'esercizio dell'impresa, prevalentemente dalle

proprie norme statutarie. Le poche limitazioni generali esistenti riguardano, in particolare, l'attività

di raccolta che risulta esercitabile quantitativamente entro limiti rapportati al patrimonio netto

dell'istituto e soltanto tramite operazioni sul medio-lungo termine. Ulteriori restrizioni riguardano

gli impieghi e gli affidamenti, per il problema connesso alla concentrazione dei rischi. Inoltre i beni

immobili e le partecipazioni azionarie detenibili devono risultare dalle norme statutarie dei singoli

istituti di credito e non possono superare, complessivamente, il patrimonio netto di detti soggetti.

e) L'organizzazione politica

È stato precedentemente osservato che una disciplina speciale per l'attività bancaria si

giustifica sulla base del rilievo che dallo svolgimento della stessa discende il perseguimento

indiretto di un interesse generale, e dell'ulteriore considerazione che, operando su questa, gli organi

politico-amministrativi possono attuare gli indirizzi di politica monetaria. Ciò ha portato alla

nascita, in ogni ordinamento, di due diverse strutture: l'una, di connotazione politica, con compiti di

sorveglianza e controllo sull'intero sistema creditizio; l'altra, tecnico-amministrativa, per

l'attuazione delle direttive e degli indirizzi generali indicati dagli organi di governo o esplicitati

nella stessa legge. Nell'ordinamento italiano tali strutture sono costituite dal Comitato

Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR), dal ministro dell’Economia e delle Finanze,

dalla Banca d'Italia e dal governatore della stessa. Il CICR. - Il CICR è stato istituito con d.p.r. n.

691 del 1947 ed è oggi costituito dal ministro dell’Economia e delle Finanze, che lo presiede e ne

esplica i poteri di convocazione e proposta delle deliberazioni, nonché dall'insieme dei cosiddetti

ministri economici. Le decisioni dell'organo a livello formale si manifestano attraverso due distinte

categorie di atti: i decreti del ministro del dell’Economia e delle Finanze, con cui si formalizzano le

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deliberazioni del Comitato, e le direttive alla Banca d'Italia in materia creditizia, che la stessa deve

tradurre in istruzioni rivolte alle imprese bancarie.

Le funzioni del Comitato vengono definite dal d.p.r. n. 691 del 1947 e consistono nell'alta vigilanza

sul sistema creditizio e valutario, con esclusione del controllo sull'intero settore monetario, sul quale

incide invece maggiormente il ministro dell’Economia e delle Finanze. Si è vivamente discusso a

proposito della natura amministrativa o politica del Comitato in relazione ai modi e alle finalità

perseguibili nell'attuazione delle relative funzioni. A tale proposito è bene ricordare che la

Costituzione determina esplicitamente, e in maniera tassativa, gli organi di governo, non

ricomprendendo tra essi alcuna forma di comitato di ministri: da questa considerazione dovrebbe

discendere, su un piano puramente formale, la natura strettamente amministrativa del Comitato

Interministeriale, mentre rimane possibile l'imputazione di una responsabilità politica soltanto a

ogni singolo ministro membro del Comitato stesso. Il ministro dell’Economia e delle Finanze

svolge compiti di particolare rilievo all'interno del CICR, connessi, come abbiamo già osservato,

all'ufficio di presidenza. Inoltre, ai sensi della legge bancaria e delle normative speciali

dell'ordinamento creditizio, gli vengono attribuite alcune funzioni in piena autonomia. Esse

consistono principalmente nella nomina di una parte consistente dei titolari delle banche pubbliche,

nell'approvazione degli statuti degli istituti di credito di diritto pubblico, delle casse o delle banche

d'interesse nazionale e, infine, nella possibilità di prendere, in situazioni d'urgenza, tutti i

provvedimenti normalmente attribuiti allo stesso Comitato Interministeriale. Tuttavia i compiti di

maggior rilievo assegnati istituzionalmente al ministro dell’Economia e delle Finanze concernono

l'attuazione della politica monetaria, attraverso cui è data la possibilità di incidere notevolmente

sulla quantità di moneta in circolazione e, più in generale, sull'intero settore economico. Funzioni

primarie, sotto questo profilo, riguardano i poteri di decidere l'emissione dei titoli pubblici e la

fissazione del loro tasso di interesse (capace di influenzare la direzione generale degli investimenti),

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nonché la determinazione, su parere della Banca d'Italia, del tasso ufficiale di sconto, attraverso il

quale si interviene direttamente sui rapporti creditizi tra le imprese bancarie e l'istituto di emissione.

La Banca d'Italia. - Alla Banca d'Italia, dapprima costituitasi in forma di società per azioni e come

tale soggetto di diritto privato, è stata attribuita natura di ente pubblico per esplicito riconoscimento

legislativo ai sensi degli artt. 5 e 20 della legge bancaria. La partecipazione al capitale è

rappresentata da quote nominative, sottoscrivibili unicamente da casse di risparmio (che attualmente

detengono la maggioranza del capitale), istituti di credito di diritto pubblico, banche d'interesse

nazionale, nonché istituti di previdenza e d'assicurazione.

Gli organi sociali sono costituiti dall'Assemblea generale del Consiglio Superiore, dal

Comitato del Consiglio e infine dal Direttorio, presieduto dal governatore. La nomina e la revoca

dei componenti degli organi esecutivi della Banca, compreso il governatore, avvengono tramite una

preventiva deliberazione del Consiglio Superiore, approvata con decreto presidenziale su proposta

del presidente del Consiglio dei ministri di concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze;

le operazioni concernenti le cariche si effettuano dunque solo se c'è l'assenso tanto del Consiglio

della Banca d'Italia quanto degli organi politici suddetti. La competenza funzionale per la tutela e la

vigilanza in materia creditizia e valutaria, per quanto imputabile alla Banca d'Italia nel suo insieme,

viene attribuita in via esclusiva all'ufficio del governatore, con impossibilità di intromissione del

Consiglio Superiore nelle decisioni relative, mentre solo per le funzioni relative al settore monetario

vi è collaborazione tra tutti gli organi sociali della Banca d'Italia, nelle forme e nei modi

statutariamente contemplati.

Da un punto di vista generale le attribuzioni della Banca d'Italia possono essere divise in tre gruppi

distinti e precisamente: il controllo e la vigilanza sul settore creditizio, l'erogazione di liquidità

verso aziende e istituti di credito nonché verso il ministro dell’Economia e delle Finanze, il

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controllo e la vigilanza sul sistema valutario. Con riferimento al settore creditizio, la Banca d'Italia

interviene attraverso provvedimenti amministrativi direttamente vincolanti e obbligatori o per le

singole imprese bancarie (si pensi all'autorizzazione all'inizio delle operazioni) o per la generalità

degli enti creditizi (si pensi ad esempio alle direttive in materia di vincoli di portafoglio). Il potere

di emettere provvedimenti amministrativi in alcuni casi viene assegnato direttamente dalla legge

alla Banca d'Italia, in piena autonomia nella determinazione del contenuto; altre volte invece

l'attività svolta può dirsi meramente esecutiva, in quanto la Banca deve unicamente formalizzare,

mediante istruzioni, le direttive impartite dal CICR senza modificarle.

Un particolare problema consiste allora nel verificare le limitazioni alla discrezionalità della

banca centrale nell'emanazione di tali provvedimenti. Un primo vincolo a tale discrezionalità

discende dall'art. 47 della Costituzione, dal quale si desume che l'attività dell'organo di vigilanza

non può che essere finalizzata, in materia creditizia, alla tutela della stabilità e solvibilità del

sistema, proiettata verso la generale difesa del risparmio. Un secondo limite deriva dalle eventuali

direttive del CICR, che tuttavia non costituiscono un vincolo di carattere propriamente giuridico,

permettendo dunque alla Banca d'Italia, sul piano operativo, una notevole libertà d'azione priva di

autonoma sanzione.

È bene però ricordare che rimane aperta la possibilità di opposizione a un eventuale provvedimento

discrezionale della Banca d'Italia contrastante con gli indirizzi indicati dalle direttive ministeriali. In

base all'art. 19 della legge bancaria, infatti, le imprese interessate da detti provvedimenti possono

proporre reclamo al CICR affinché effettui una valutazione di merito, anche se a posteriori. Dalle

osservazioni svolte riguardo ai poteri in ambito creditizio della Banca d'Italia emerge l'esistenza di

un'eccessiva discrezionalità nello svolgimento delle funzioni a questa riservate, derivante da una

esasperata elasticità del dettato legislativo e da una debole connessione, sul piano giuridico, tra

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provvedimenti della banca centrale e direttive del Comitato Interministeriale.

Inoltre nella prassi la Banca d'Italia, pur non essendo politicamente rappresentativa, ha svolto il

ruolo di ideatore della politica monetaria più generale, atteggiamento che diventa tanto più

discutibile quanto più elevato è il grado di autonomia della stessa Banca rispetto agli organi politici.

Si rende dunque opportuna, come tendenza evolutiva, una maggiore coordinazione con le strutture

politiche attraverso l'attribuzione a queste ultime del potere di influire in modo più vincolante su

quella parte dell'attività della Banca d'Italia che ha la capacità di influenzare la politica monetaria.

In alternativa, se si vuole conservare l'ampia autonomia funzionale, è necessaria una maggiore

determinazione dei vincoli all'attività, restringendo entro limiti precisi l'ambito di discrezionalità

dell'organo.

Sotto il profilo dell'erogazione di liquidità, l'azione della Banca d'Italia viene svolta nei confronti di

aziende, di istituti di credito e anche del ministero dell’Economia e delle Finanze, prevalentemente

per mezzo di negozi giuridici di diritto privato che consistono in operazioni di sconto, anticipazioni

su titoli, o prestiti, anche sotto forma di mutuo. L'azione della Banca d'Italia è, relativamente a tali

operazioni, assolutamente libera e discrezionale, salva l'obbligatoria applicazione del tasso ufficiale

di sconto predeterminato dal ministro dell’Economia e delle Finanze e la necessaria osservanza del

vincolo di bilancio. La funzione monetaria si esplica in modo particolare nei confronti del ministero

dell’Economia e delle Finanze, in rapporto al quale l'istituto di emissione assume il compito

precipuo di prestatore di liquidità di ultima istanza per i bisogni dello Stato. Per assolvere tale

compito il ministero dell’Economia e delle Finanze, intrattiene con la Banca d'Italia un conto

corrente sul quale può essere addebitata una somma non superiore a una determinata percentuale

rispetto all'ammontare delle spese correnti e di quelle in conto capitale risultanti dal bilancio

d'esercizio di previsione dello Stato. Ulteriori anticipazioni straordinarie, solo in casi di eccezionale

urgenza, dovranno invece essere preventivamente autorizzate dagli organi politici predeterminati

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dalla legge (Parlamento). La concessione di credito al ministero dell’Economia e delle Finanze può

tuttavia avvenire, in piena libertà d'azione, salvo i limiti generali sopra accennati, attraverso

l'acquisto di titoli di Stato da parte dello stesso istituto di emissione.

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3 Il diritto comunitario e l'ordinamento del credito


Le norme del Trattato di Roma, istitutivo della Comunità Economica Europea (oggi Unione

Europea), nonché le direttive di integrazione dello stesso hanno influenzato notevolmente

l'evoluzione degli ordinamenti bancari degli Stati membri. In un primo periodo la filosofia

comunitaria, con poca attenzione al problema della stabilità degli intermediari finanziari, si ispirò

rigidamente all'idea della salvaguardia di un'effettiva concorrenza a livello europeo anche nel

settore del credito. Tale filosofia emerge già nel disposto dell'art. 3 del Trattato di Roma nel quale si

sancisce l'eliminazione degli ostacoli, esistenti fra gli Stati membri, relativi alla circolazione delle

persone, dei servizi e dei capitali: un impegno specifico da attuarsi entro il 1992, secondo quanto

previsto dall'Atto Unico Europeo. Nello stesso senso è indirizzato il disposto dell'art. 52 del

Trattato, nel quale si tutela la libertà di stabilimento e la cui lettura, sotto il profilo dell'attività

bancaria, deve essere coordinata con l'art. 61, che pone un collegamento funzionale tra la libera

circolazione dei servizi delle banche e la liberalizzazione progressiva della circolazione dei capitali.

Ma le norme che maggiormente tutelano l'efficienza del sistema derivano dalle disposizioni

di cui agli artt. 85 e 86, dalle quali scaturisce un divieto generale relativo alle pratiche distorsive

della concorrenza, tramite la repressione delle intese e degli abusi di posizione dominante. In realtà,

sotto questo profilo, è stata più volte affermata l'applicabilità all'attività bancaria dell'art. 90 del

Trattato, secondo cui le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale

sarebbero sottoposte alle regole di concorrenza nei soli limiti in cui l'applicazione di tali norme non

osti all'adempimento della specifica missione loro affidata dalla legge. Tuttavia la giurisprudenza

della Corte di Giustizia, non ritenendo che l'attività bancaria possa essere considerata di interesse

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generale, l'ha sottoposta - senza alcuna esenzione - al disposto di cui agli artt. 85 e 86, attuando in

modo estremamente rigoroso la tutela dell'efficienza del sistema più che della sua stabilità.

Questa primitiva filosofia, rigidamente concorrenziale, è andata attenuandosi soprattutto

dopo le vicende relative alle crisi bancarie che intorno agli anni settanta colpirono rilevanti aziende

di credito tedesche e italiane. Nacque allora l'esigenza di trovare un opportuno punto di equilibrio

tra efficienza e stabilità nel settore del credito e, nel contempo, di reprimere l'accentuato livello di

discrezionalità nell'emanazione dei provvedimenti, riservato in vari Stati agli organi settoriali di

vigilanza. Frutto di questa più evoluta concezione è innanzitutto la direttiva comunitaria n. 780 del

1977, relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative,

riguardanti l'accesso all'attività degli enti creditizi e il suo esercizio, che è stata recepita

nell'ordinamento italiano dal d.p.r. n. 350 del 27 giugno 1985. Un primo obiettivo di tale

provvedimento, sulle orme di quella primitiva salvaguardia della concorrenza, è consistito

nell'eliminazione della discrezionalità nell'eventuale rilascio dell'autorizzazione all'inizio delle

operazioni bancarie.

Tuttavia, poiché al momento dell'emanazione della direttiva la maggior parte degli Stati membri

non contemplava alcun obbligo di preventiva autorizzazione per l'esercizio dell'attività bancaria,

appare ovvio che la direttiva stessa sia anche ispirata all'idea della necessità di un controllo

preventivo sull'attività e dunque indirizzata esplicitamente alla tutela della stabilità del sistema. Tale

lettura risulta ancora più evidente ove si consideri che il provvedimento non incide sull'apertura di

nuovi sportelli, anche automatici, sui quali dunque gli organi di vigilanza nazionali possono ancora

utilizzare la propria discrezionalità. Inoltre viene lasciata aperta l'ulteriore possibilità della

valutazione delle condizioni generali del mercato, in funzione della concessione dell'autorizzazione

medesima.

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A un'analoga filosofia di tutela della stabilità del settore creditizio sembra ispirata anche la direttiva

comunitaria del 13 giugno 1983 che, in seguito alle vicende del Banco Ambrosiano e sulle tracce

del nuovo testo del Concordato di Basilea, impone alle competenti autorità amministrative il

controllo del bilancio delle banche sotto forma di bilancio consolidato. Si può dunque affermare che

il diritto bancario comunitario, sorto sull'idea della necessità di una rigida tutela della concorrenza

nel settore del credito, ha sempre maggiormente sentito l'opportunità di risolvere il congiunto

problema della stabilità e della solvibilità degli enti creditizi. Il tentativo di trovare un adeguato

punto di equilibrio tra efficienza e stabilità sembra esplicito nelle ultime direttive degli organi

comunitari in materia bancaria: nella ricerca di tale equilibrio si intravvede l'intero sviluppo della

disciplina.

La crisi finanziaria internazionale, iniziata nel 2007, ha determinato la necessità di

armonizzare in tutta l'Unione europea, e soprattutto nella zona euro, la regolamentazione delle

attività bancarie e la vigilanza su tali attività. Si è provveduto alla creazione di due nuove

istituzioni, elementi portanti della cosiddetta Unione bancaria. Il primo elemento portante è il

Meccanismo di vigilanza unico (MVU), che assegna alla Banca centrale europea la vigilanza

bancaria diretta, al fine di garantire che le maggiori banche europee siano soggette a una vigilanza

indipendente sulla base di norme comuni. Il secondo è il Meccanismo di risoluzione unico (MRU),

cui spetta la predisposizione di misure qualora si verifichi lo scenario meno favorevole, ossia il

dissesto di una banca, per garantire che la situazione possa essere gestita in modo ordinato, a un

costo minimo per i contribuenti. La volontà di evitare che i contribuenti sostengano il costo di

future risoluzioni bancarie ha portato a una modifica delle norme di riferimento, ossia le

disposizioni della direttiva sul risanamento e la risoluzione degli enti creditizi (BRRD), in base alla

quale le risoluzioni devono essere sostanzialmente finanziate dagli azionisti e dai creditori degli enti

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creditizi. Il secondo è il Meccanismo di risoluzione unico (MRU), cui spetta la predisposizione di

misure qualora si verifichi lo scenario meno favorevole, ossia il dissesto di una banca, per garantire

che la situazione possa essere gestita in modo ordinato, a un costo minimo per i contribuenti. La

volontà di evitare che i contribuenti sostengano il costo di future risoluzioni bancarie ha portato a

una modifica delle norme di riferimento, ossia le disposizioni della direttiva sul risanamento e la

risoluzione degli enti creditizi (BRRD), in base alla quale le risoluzioni devono essere

sostanzialmente finanziate dagli azionisti e dai creditori degli enti creditizi. La Base giuridica:

Articolo 114 e articolo 127, paragrafo 6, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

(TFUE). Gli obiettivi: L'Unione bancaria è l'indispensabile complemento dell'Unione economica e

monetaria (UEM) e del mercato interno; essa armonizza a livello dell'Unione europea le

competenze in materia di vigilanza, risoluzione e finanziamento e impone alle banche della zona

euro di conformarsi alle medesime norme. In particolare, tali norme assicurano che le banche

assumano rischi calcolati e paghino il prezzo degli eventuali errori commessi facendo fronte alle

proprie perdite e al rischio di chiusura, minimizzando nel contempo il costo per i contribuenti

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4 Parole chiave della lezione


 IL TUB-TESTO UNICO BANCARIO

 VIGILANZA BANCARIA

 ORGANIZZAZIONE POLITICA

 ORDINAMENTO DEL CREDITO NELL’UE

 UNIONE BANCARIA

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Sitografia

 Guido Rossi

 http://www.treccani.it/enciclopedia/banca-e-sistema

bancario_(Enciclopedia_delle_scienze_sociali)/ - Diritto

 http://www.bankpedia.org/index.php/it/99-italian/e/20049-evoluzione-del-testo-unico-

delle-leggi-in-materia-bancaria-e-creditizia-fino-al-2005-enciclopedia

 www.wikipedia.org

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“BANCA E SISTEMA BANCARIO, SOTTO IL
PROFILO ECONOMICO”

PROF. COSTANTINO FORMICA


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Indice

1 CENNI STORICI --------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3


2 NOZIONE DI BANCA -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 7
3 LA CIRCOLAZIONE DEGLI STRUMENTI DI PAGAMENTO --------------------------------------------------- 8
4 GLI ACCORDI DI COMPENSAZIONE --------------------------------------------------------------------------------- 10
5 LA STABILITÀ DEL SISTEMA BANCARIO ------------------------------------------------------------------------- 12
6 IL MIX DEGLI ATTIVI E DEI PASSIVI BANCARI. LE OPERAZIONI BANCARIE TIPICHE --------- 14
7 GLI ATTIVI TRASFERIBILI ---------------------------------------------------------------------------------------------- 20
8 LA VIGILANZA SUL SISTEMA BANCARIO ------------------------------------------------------------------------- 23
8.1. COSA FA LA BANCA D’ITALIA ----------------------------------------------------------------------------------------------23
8.2. AUTORITÀ BANCARIA EUROPEA --------------------------------------------------------------------------------------------25
8.3. COSTRUZIONE DELL’UNIONE BANCARIA ----------------------------------------------------------------------------------27
9 PAROLE CHIAVE DELLA LEZIONE ---------------------------------------------------------------------------------- 28
SITOGRAFIA ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 29

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1 Cenni storici
Un sistema bancario è organizzato istituzionalmente se la legge disciplina in modo specifico

l'attività creditizia. Infatti le esperienze di autoregolamentazione dell'attività bancaria non sono

rassicuranti per la stabilità e l'efficienza dei sistemi. L'intervento del legislatore è necessario

soprattutto per due motivi: 1) i debiti delle banche servono - allorché circolano per effetto

dell'emissione di assegni o di ordini di bonifico e di trasferimento di fondi - come mezzo per

regolare gli scambi, ossia come moneta; 2) proprio a cagione della funzione monetaria dei debiti

bancari, il sistema creditizio è importante e insostituibile organo di trasmissione della politica

monetaria dello Stato. Gli ordinamenti legislativi che disciplinano l'attività creditizia si articolano in

divieti, obblighi e limitazioni. Tutti e tre questi tipi di vincoli sono stati suggeriti dall'esperienza,

ossia dall'aver osservato il rischio insito in talune operazioni. I divieti concernono l'impossibilità di

operare in merci e in beni particolari, ma anche la ricercata separazione fra credito monetario e

credito mobiliare, fra credito ordinario e credito speciale. La discussione sulla specializzazione

dell'attività bancaria e l'organizzazione del sistema in banche universali è, peraltro, sempre aperta.

Gli obblighi riguardano la scelta vincolata di taluni attivi. L'esempio più tipico è rappresentato dalla

riserva bancaria obbligatoria (in Italia proporzionata all'ammontare dei depositi al netto dei fondi

patrimoniali). Altri obblighi concernono l'acquisto di titoli del debito pubblico o di altri emittenti

pubblici o para pubblici. Le limitazioni si riferiscono alle proporzioni minime o massime (soglie)

dei valori attivi e passivi (ratios patrimoniali). Sovente il valore base di riferimento è il patrimonio

di diretta pertinenza.

La normativa italiana che disciplina l'attività bancaria si compendia nella cosiddetta legge

bancaria (r.d.l. n. 375 del 12 marzo 1936, convertito nella legge n. 141 del 7 marzo 1938 e

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successive modificazioni)1. Il principio ispiratore di tale normativa è la distinzione fra le aziende di

credito, esercenti il credito ordinario, o commerciale, o a breve termine, e gli istituti speciali,

prevalentemente operanti nel medio e lungo termine. Le aziende di credito sono autorizzate alla

raccolta di depositi monetari, rimborsabili a vista o dopo brevissimo preavviso, ovvero vincolati per

scadenze non superiori, fino al 1988, ai 18 mesi. A partire dal 1988 è stata autorizzata la raccolta,

entro certi confini, di depositi vincolati fino a 5 anni, operata mediante l'emissione di speciali titoli

di credito (certificati di deposito). I prestiti concessi dalle aziende di credito, se a scadenza fissa,

non hanno maturazione oltre i 18 mesi. È tuttavia prevalente la concessione di aperture di credito a

scadenza indeterminata, con durata fino alla revoca. A partire dal 1972 è stata concessa alle aziende

di credito una limitata operatività a medio termine. L'adesione dell'Italia al mercato unico europeo,

in cui predomina la banca di tipo universale, secondo il modello già prevalente nella Germania

Occidentale, dovrebbe ampliare i confini dell'operatività delle aziende di credito oltre il breve

termine. In ogni sistema bancario si riscontra una specializzazione funzionale delle aziende di

credito, che si distinguono in banche commerciali, banche popolari cooperative, casse di risparmio

e, nell'esperienza europea, casse rurali e artigiane. Il nostro legislatore del 1936 trovò in Italia una

struttura più complessa, derivante anche dall'unificazione degli istituti di emissione. Il Banco di

Napoli e il Banco di Sicilia furono qualificati istituti di credito di diritto pubblico, insieme con

l'Istituto Bancario San Paolo di Torino, il Monte dei Paschi di Siena, la Banca Nazionale del Lavoro

e il Banco di Sardegna.

I salvataggi bancari degli anni venti e dell'inizio degli anni trenta determinarono, poi, la categoria

delle banche di interesse nazionale (Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano e Banco di Roma)

con il trasferimento del pacchetto di assoluta maggioranza all'IRI. Benché costituite nella forma di

1
Per l’evoluzione normativa successiva vedi: http://www.bankpedia.org/index.php/it/99-italian/e/20049-evoluzione-
del-testo-unico-delle-leggi-in-materia-bancaria-e-creditizia-fino-al-2005-enciclopedia

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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società per azioni, le tre banche di interesse nazionale sono distinte, nell'ordinamento, dalle altre

società per azioni, qualificate come aziende ordinarie di credito.

Per alcune caratteristiche funzionali e istituzionali si distingue poi fra banche popolari

cooperative, casse di risparmio e casse rurali e artigiane. Il soggetto giuridico pubblico (istituti di

credito di diritto pubblico, casse di risparmio, banche di interesse nazionale) ovvero la forma

cooperativa (banche popolari e casse rurali) fanno sì che il sistema italiano sia prevalentemente

immutabile nella struttura. Soltanto le aziende ordinarie di credito possono essere acquistate da

qualsiasi banca di un'altra categoria: negli altri casi i mutamenti possono avvenire solo all'interno

della medesima categoria.

Questa situazione di relativo immobilismo strutturale può modificarsi solo trasformando in società

per azioni le banche controllate dalla mano pubblica.

Gli istituti speciali di credito esercitano l'attività nel campo del medio e lungo termine in

settori specialistici come l'edilizia e le costruzioni, l'agricoltura, la pesca, l'industria

cinematografica, ecc. Essi non raccolgono depositi dalla clientela, ma emettono obbligazioni o si

indebitano su conti aperti da aziende di credito, che non di rado hanno significative partecipazioni

in questi istituti. L'attività di credito mobiliare, concernente soprattutto il mercato primario delle

nuove emissioni, fa largo riferimento alle aziende di credito, che però hanno importanti limitazioni

quanto alla detenzione di partecipazioni azionarie in enti non bancari o con operatività non

funzionali con quella bancaria. Il controllo dell'attività creditizia fa capo alla Vigilanza presso la

banca centrale. Secondo orientamenti recenti, che si ricollegano alle esperienze di altri paesi

europei, la vigilanza si articola in modo prudenziale, proporzionando il patrimonio netto ai rischi

delle varie classi di attivi. Il sistema si differenzierebbe così al suo interno, pur rimanendo unitario,

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in rapporto al diverso grado di patrimonializzazione di ogni singola azienda di credito. La vigilanza

di tipo prudenziale è coerente con la banca di tipo universale.

La coesione del sistema bancario dipende, da un lato, dall'interesse al controllo del sistema

dei pagamenti, favorendo al massimo la funzione monetaria dei debiti bancari, come vedremo anche

in seguito; dall'altro, dipende da una normativa che sia oggettivamente uguale per tutte le

componenti del sistema medesimo. La normativa italiana contiene però alcune condizioni

vantaggiose per il movimento cooperativistico (banche popolari e casse rurali) e per le casse di

risparmio. I sistemi bancari riescono ad accrescere il loro peso nel sistema dei pagamenti se possono

garantire il buon fine dei depositi, e a questo scopo sussistono accordi volontari di solidarietà per

l'assicurazione dei depositi e la tutela dei depositanti. In Italia è stato all'uopo costituito, nel 1987, il

fondo interbancario di tutela dei depositi. L'espansione territoriale delle banche non di rado non è

libera: in tal caso le autorità agiscono sulla struttura del sistema. Gli orientamenti più recenti sono,

però, per la libertà di insediamento delle banche, anche per favorire la concorrenza nell'ambito del

sistema. Essendo un organo di trasmissione della politica monetaria, il sistema bancario dovrebbe

essere stabile e perciò ci si chiede se la concorrenza non possa nuocere alla stabilità. L'esperienza

dimostra che la concorrenza, saviamente contenuta entro una cornice di norme di vigilanza

prudenziale, stimola la ricerca dell'efficienza e della produttività, il che è coerente con il fine della

stabilità.

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2 Nozione di banca
Secondo una definizione, ormai classica ma puntuale, la banca è quell'azienda i cui debiti

sono usati per estinguere obbligazioni monetarie di dare, e cioè sono usati come moneta. Solo i

debiti degli istituti di emissione, rappresentati dalla circolazione di biglietti a corso legale, sono

moneta a potere liberatorio in senso proprio; i debiti delle altre banche sono però comunemente

accettati in pagamento e giudicati del tutto assimilabili al contante, ossia ai biglietti. Gli

intermediari creditizi e finanziari i cui debiti non possono estinguere obbligazioni, come mezzi

normali di pagamento, non possono, a rigore, essere classificati come banche.

L'intervento della banca nel regolamento degli scambi commerciali, riguardanti sia merci sia

titoli di credito, e in generale nell'estinzione di qualsivoglia obbligazione monetaria di dare,

costituisce una funzione fondamentale di un'azienda di credito moderna. Nel sistema dei pagamenti

le banche hanno un ruolo centrale. La condizione che è a fondamento della funzione monetaria dei

debiti bancari è la pronta convertibilità dei medesimi in moneta a corso legale. In un sistema di

relazioni commerciali e finanziarie internazionali, con libera circolazione dei capitali, la pronta

convertibilità deve essere in più specie monetarie. La banca è quindi anche definita come l'azienda

disposta a pagare i propri debiti nella specie monetaria gradita dal cliente.

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3 La circolazione degli strumenti di pagamento


Uno strumento di pagamento è comunemente accettato se ha ampia e vasta circolazione. Ciò

è certo assicurato ai biglietti a corso legale, emessi dall'istituto di emissione, che è anche, negli

ordinamenti moderni, la banca centrale o banca delle banche. Il potere liberatorio dei biglietti è la

condizione necessaria e sufficiente per l'ampiezza e la vastità della loro circolazione, ma non può

essere così per i debiti di una singola banca. La funzione monetaria di tali debiti potrebbe perciò

essere di per sé immiserita, giacché essi avrebbero circolazione solo, o quasi, fra i clienti della

banca data.

Siccome non si può pensare di risolvere il problema avendo un solo istituto di emissione, o

banca centrale, e una sola banca, con debiti prontamente convertibili in biglietti, diventa necessaria

l'intesa fra banche volta a promuovere la circolazione e la negoziazione dei debiti di ognuna.

L'esplicarsi della funzione monetaria dei debiti bancari è la prima sollecitazione al costituirsi delle

banche in sistema.

Uno strumento di pagamento si concreta in un titolo che contiene o la promessa dell'emittente di

pagare o l'ordine dell'emittente a un trassato di pagare. Il biglietto di banca annota una specifica

promessa: "pagabile a vista al portatore". Di fatto, nel mondo moderno essa non è suscettibile di

essere mantenuta, giacché i biglietti circolano a corso forzoso e quindi non possono essere

convertiti in moneta merce, tipicamente in oro, secondo la promessa scritta sul loro recto.

I debiti delle banche non di emissione circolano, invece, quasi sempre perché viene emesso

un ordine di pagare sulle banche medesime. La forma tipica di tale ordine si estrinseca nello chèque

o assegno bancario, o anche nella disposizione di bonifico, ossia di trasferire una data disponibilità

da un titolare a un altro beneficiario, cliente o no della banca trassata. Talora l'ordine si concreta

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mediante l'emissione, da parte della banca, di una promessa di pagamento, nella forma dell'assegno

circolare. Tuttavia, assegni bancari e giroconti per bonifici sono di gran lunga i mezzi di

circolazione più comuni dei debiti bancari.

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4 Gli accordi di compensazione


Si è detto che le banche hanno un diretto interesse a che i loro debiti, posti in circolazione

nei modi sopra indicati, possano circolare al di fuori della propria specifica clientela: il beneficiario

di una disposizione di pagamento su una banca (assegno bancario o ordine di bonifico) può essere

cliente di un'altra banca e perciò giudica di primaria importanza la negoziabilità, presso la propria

banca, del titolo di credito ottenuto. In altre parole, e limitando l'esemplificazione agli assegni

bancari, è importante che il beneficiario originario, o l'ultimo giratario, di tali titoli possa negoziarli

per il cambio in altra specie monetaria, e ciò avviene per norma nella forma di versamento su un

proprio conto, presso un qualsiasi sportello bancario, della banca trassata o no. Ciò in virtù di quelle

intese fra banche che sono a fondamento di un sistema bancario.

Dunque, la banca A riceverà ogni giorno, in versamento sui propri conti, assegni tratti sulle

banche B, C,...N; la banca B assegni tratti sulle banche A, C,...N; la banca C assegni tratti sulle

banche A, B,...N; e così via. Il pagamento finale di tali titoli di credito può essere fatto solo dalla

banca trassata. Le banche che hanno negoziato assegni emessi su altre aziende di credito dovranno

perciò farli pervenire a quelle. Ogni giorno, o anche due o più volte in un giorno, si dà perciò luogo

alla compensazione: la banca A dà alle banche B, C,...N gli assegni emessi su di esse, ricevuti in

versamento (o per il cambio) da propri clienti, e viceversa riceve dalle banche B, C,...N gli assegni

emessi su di essa e versati o negoziati presso quelle. Ovviamente la compensazione non è, se non in

rarissimi casi, a pareggio. Il saldo di compensazione vedrà debitrice (o creditrice) una banca nei

confronti di un'altra, o di altre, e dovrebbe per norma essere regolato in contanti, con un ordine di

bonifico sull'istituto di emissione. La compensazione è anche accentrata: si parla, infatti, di accordi

di stanza di compensazione.

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Già da quanto è stato fin qui detto in via esemplificativa, appare evidente che le banche

aderenti agli accordi di stanza di compensazione debbono disporre o di contanti o di saldi

disponibili presso l'istituto di emissione. In caso contrario il saldo di compensazione è regolato fuori

stanza, mediante addebitamento e accreditamento su conti bancari reciproci, detti conti interbancari

o intercreditizi. La compensazione, fondamento dell'ampia circolazione dei debiti bancari, è pure

alla base dell'affermarsi del sistema bancario. La proiezione territoriale operativa di ogni banca è,

sia pure con vario grado, delimitata. Essa non coincide con l'ambito dei flussi dei pagamenti e delle

riscossioni della clientela di quella medesima zona territoriale. Ciò è appunto all'origine di intese di

stanza di compensazione e del formarsi di accordi di conti interbancari. Se però dalle intese

ricordate emergessero posizioni sistematicamente creditorie (o debitorie) di alcune banche, si

avrebbe l'indicazione di una struttura del sistema creditizio che rifletterebbe squilibri territoriali

dell'economia reale o politiche monetarie troppo influenti sulla dinamica delle quantità economiche

tipiche delle aziende di credito.

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5 La stabilità del sistema bancario


Una professione ha sempre vari modi per avvalorare la propria immagine e credibilità: può

prevedere regole di comportamento, che presuppongano possibilità di controlli, sanzioni in caso di

inosservanza e solidarietà nei confronti dei terzi per i danni derivanti dall'inadeguatezza o dal non

rispetto delle regole stesse. Tutto ciò è solo in parte applicabile nell'ambito di una comunità

bancaria. Ne deriva che la stabilità di un sistema dipende: a) dall'osservanza delle regole imposte; b)

dall'intervento della pubblica amministrazione nell'ipotesi di danni ai terzi ricollegabili

all'inadeguatezza delle regole, al non puntuale controllo della loro applicazione, alla particolare

gravità di fatti e circostanze occorsi; c) dalla solidarietà nell'ambito del sistema quando i danni non

possano ricondursi ai motivi sub b).

Le norme di buona gestione presuppongono dettami di tipo prudenziale in ordine alla liquidità

(impegno di pagare i debiti nella specie monetaria gradita dal beneficiario) e alla solvibilità

(permanenza di condizioni di equilibrio economico e patrimoniale). L'esperienza internazionale non

ha per ora saputo indicare norme prudenziali di gestione diverse dai divieti di compiere talune

operazioni, dagli obblighi di eseguirne altre, dalla specificazione di limitazioni o soglie per talune

operazioni in rapporto ad altre, per cui si definiscono rapporti (ratios) fra grandezze patrimoniali,

che spesso trovano un altro riferimento nell'adeguatezza dei capitali propri della data banca.

I divieti debbono essere uguali per ogni banca e non derogabili; lo stesso dicasi per gli obblighi e

per le limitazioni. Negli aspetti in esame i sistemi bancari dovrebbero essere a ordinamento stabile,

almeno relativamente.

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Debbono essere vietate le operazioni particolarmente aleatorie, in rapporto alle abilità

professionali, che per norma si riscontrano presso una banca, e alle strutture finanziarie e

patrimoniali che poggiano sulla funzione monetaria dei debiti bancari.

Gli obblighi dovrebbero essere intesi ad assicurare migliori condizioni di equilibrio

patrimoniale delle gestioni bancarie, ma non di rado sono imposti per esigenze del bilancio pubblico

e della politica monetaria. Le limitazioni e in generale i ratios minimi e massimi di bilancio

dovrebbero derivare da consolidate esperienze di buone regole di gestione.

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6 Il mix degli attivi e dei passivi bancari. Le


operazioni bancarie tipiche
Le gestioni bancarie trovano il loro fondamento nel fine di assicurare la massima funzione

monetaria ai debiti. Un titolo di credito ha funzione monetaria: 1) se è a vista; 2) se è infruttifero

quando circola; 3) se ha un sicuro, o altamente probabile, buon fine. Gli stessi biglietti emessi dalla

banca centrale mancano del terzo requisito, rispetto alla promessa che su di essi si legge. Sono

convertibili in altre valute, anch'esse però non convertibili in moneta merce.

L'accettazione della carta moneta nel regolamento degli scambi e la non convertibilità di

questa in moneta merce (oro) accrescono la competitività della moneta scritturale (assegni bancari e

giroconti) rispetto ai biglietti. Se la banca dà un'immagine di buona gestione, dunque, aumenta la

funzione monetaria dei propri debiti a vista, ossia utilizzabili a richiesta su disposizione del titolare.

La caratteristica prima dell'indebitamento bancario è, pertanto, che esso è a vista e che i debiti

possono essere fatti circolare mediante ordini di pagamento a vista. I debiti di tale specie si

denominano depositi e si classificano come depositi moneta, nel senso che il depositante richiede

per essi una spiccata funzione monetaria.

Si è a lungo dibattuto se la raccolta bancaria a vista sia condizionante per la scelta degli

attivi bancari, e si è affermato spesso che essi dovrebbero essere a scadenza brevissima, o riducibili

in moneta in tempo breve senza alee di perdita per la sorte capitale. Impostato il dibattito in termini

semplicistici, ne conseguono deduzioni altrettanto semplicistiche.

Invero, i depositi moneta sono raccolti in modo il più possibile frazionato, e la loro relativa

stabilità di consistenza come genere è una condizione caratteristica della gestione di una banca

moderna. La duration di una massa di depositi a vista è indeterminata, ma di fatto lunga, e perciò

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non vi sarebbe un problema di liquidità per una scelta di attivi anche di scadenza non breve.

L'esperienza dimostra, tuttavia, che al rischio di trasformazione delle scadenze (raccolta di fondi a

vista e collocamento a tempo) si congiunge un'alea del prezzo. I depositi moneta, se fruttiferi, hanno

una remunerazione che è per definizione variabile secondo le contingenze del mercato monetario.

Se sono infruttiferi, come può avvenire in paesi con una notevole stabilità monetaria, hanno pur

sempre un mutevole costo di amministrazione in proporzione al loro grado di movimento (intreccio

versamenti/prelevamenti).

Ne consegue, quindi, che l'acquisizione di attivi a rendimento fermo fino alla naturale scadenza

(ossia fino all'autoliquidazione) è aleatoria in funzione sia della variabilità dei saggi a breve o

brevissimo termine, sia della variabilità dei costi operativi. La traslazione di questi due rischi

impone di scegliere attivi che, giovandosi della variabilità del rendimento, possano compensare

disarmonie di tasso o di valore di trasferimento prima della scadenza.

Quanto più la moneta è instabile, tanto più possono essere rischiose attività che

presuppongono un rendimento fermo fino alla scadenza. Gli attivi bancari tendono allora a essere

formalmente più corti, a meno che la raccolta non avvenga con depositi tempo (conti vincolati e

certificati di deposito), che possono attenuare le alee di saggio e di trasformazione delle scadenze.

Le banche, infatti, non possono rinunciare all'acquisizione anche di attivi di durata non corta e,

comunque sia, a rendimento predeterminato e immutabile, se durevoli fino alla naturale

autoliquidazione. Alle precedenti considerazioni va aggiunto che simili attivi sono talora imposti

dalle autorità monetarie, in ordine alla disciplina dell'attività creditizia.

Sono obblighi tipici di investimento le riserve di liquidità in contanti e il vincolo di

portafoglio. Le cosiddette riserve di liquidità sono nella sostanza un investimento immobilizzato e a

rendimento prefissato, che nei sistemi bancari ordinati non è inferiore alla remunerazione media

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normale dei depositi moneta. Se non scende la consistenza dei depositi, le riserve obbligatorie sono

immobilizzate; se invece l'ammontare globale dei depositi scende, queste riserve possono essere

utilizzate solo nella medesima proporzione in cui stanno rispetto ai depositi. In altre parole, il ratio

di dette riserve rispetto ai depositi tende a rimanere costante, ferma la disciplina al riguardo. Il

vincolo di portafoglio rappresenta un investimento obbligatorio in titoli: pubblici, parapubblici, o

emessi da enti particolari. Nei sistemi ordinati il vincolo di portafoglio si proporziona ai depositi

tempo, rispetto ai quali si giustifica meno la disciplina delle riserve di liquidità. Nell'esperienza

italiana le riserve obbligatorie sono costituite in contanti, sotto forma di deposito vincolato presso la

banca centrale. Ne deriva che le banche, per adempiere gli obblighi di riserva, debbono ottenere

contanti o dai versamenti della clientela o da altre banche e intermediari - che trasferiscono a esse

contanti o saldi disponibili presso la banca centrale - o infine cedendo titoli di credito alla stessa

banca centrale (risconto e operazioni di tesoreria latu sensu). La crescita dei passivi bancari si

riconnette al moltiplicatore creditizio, alla politica monetaria e alla circolazione della moneta di

base, e alla propensione delle aziende non di credito a collocare mezzi in depositi tempo. Questi tre

punti meritano un commento specifico.

a) Il moltiplicatore creditizio

È noto il principio loans make deposits (i prestiti creano i depositi), che fu compendiato

nell'altra espressione: creazione del credito ex nihilo. La dimostrazione del principio è molto

semplice. Tizio deposita presso una banca 100 unità di contanti; la banca in virtù di tale

disponibilità apre una linea di credito a Caio per 90 unità. Caio utilizza il fido traendo sulla banca

un assegno di cui è beneficiario Sempronio. Se Sempronio non chiederà di tradurre l'assegno in

contanti, lo verserà in conto presso la banca. A questo punto la banca avrà un debito verso Tizio di

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100 e verso Sempronio di 90; un credito verso Caio di 90; disponibilità in cassa di 100. Il processo

può continuare con un altro prestito a Mevio, che tirerà un assegno a favore di Quinto, che lo

verserà su un proprio conto presso la banca. E così via. La creazione del credito ex nihilo poggia

sulla concessione di prestiti i quali, utilizzati mediante emissione di titoli di credito (moneta

scritturale), determinano successivi versamenti in un conto di deposito. L'uso dei fidi non in

contanti e la negoziazione della moneta scritturale per il versamento sono il fondamento del

principio loans make deposits, ossia del moltiplicatore creditizio. Tale moltiplicatore trova la prima

origine in un deposito in contanti, successivamente nell'uso dei prestiti mediante moneta scritturale

e, quindi, nell'uso della medesima nel regolamento degli scambi, sicché i beneficiari dei pagamenti

sono indotti a versarne presso una banca il controvalore. Il meccanismo descritto darebbe al sistema

bancario un potere notevole di espandere le grandezze negoziate, quanto più cresca l'uso della

moneta scritturale nel regolamento degli scambi e quanto meglio funzionino gli accordi di

compensazione e il sistema dei conti interbancari. Il potere sui mezzi di pagamento toglierebbe

spazio alla politica delle autorità monetarie e quindi, per evitare o attenuare una tale conseguenza, è

stata introdotta la disciplina della riserva obbligatoria in contanti. Il perno del moltiplicatore

creditizio diviene così la moneta di base in circolazione, ossia quei valori che servono per la

costituzione delle riserve bancarie: tipicamente i contanti. I contanti sono indispensabili negli

scambi al minuto e per i pagamenti nei confronti dell'amministrazione pubblica e para pubblica. La

fonte dei contanti per le banche sono perciò le famiglie e in genere le aziende di consumo, mentre le

imprese, aziende di produzione, usano prevalentemente la moneta scritturale.

b) Il vincolo di bilancio del sistema bancario

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La banca centrale pone in circolazione la moneta di base principalmente per tre vie:

acquistando valuta estera; concedendo credito al Tesoro; concedendo credito alle altre banche. Di

queste tre vie, la seconda è la più importante: il flusso di contanti verso il sistema economico trova

il primo fondamento nella spesa pubblica; il flusso netto, nella spesa pubblica in disavanzo. Con la

disciplina delle riserve bancarie, una quota della base monetaria creata per il Tesoro ritorna alla

banca centrale. Si può scrivere la seguente uguaglianza:

Mb + Pb + Ib = Fc + D + Cb

ossia la moneta di base in circolazione (Mb) più i prestiti bancari (Pb) erogati al sistema

economico più i necessari investimenti (Ib) delle banche in immobili, impianti e macchinari è

sempre uguale al fondo di cassa (Fc), ossia alla moneta di base detenuta dalle aziende non di

credito, più i depositi bancari (D), sia moneta sia a tempo, più il capitale proprio delle banche (Cb).

La relazione è valida a livello del sistema bancario, considerato nell'insieme. La differenza fra la

moneta di base e il fondo di cassa delle aziende non di credito (Mb-Fc) è uguale alle riserve

bancarie, libere e obbligatorie (Rb). Poiché la disciplina dell'attività creditizia impone un rapporto

fra le riserve bancarie e i depositi, si desume che le autorità, controllando la creazione di moneta di

base e la misura delle riserve bancarie, fissano il tetto alla crescita dei depositi.

L'iniziativa delle banche sta nell'espandere l'uso della moneta scritturale, ossia nel

sistematico intervento nel sistema dei pagamenti. L'ovvio presupposto è la propensione

all'indebitamento delle imprese, e anche delle aziende di consumo, sicché se aumenta un membro di

sinistra dell'uguaglianza aumenta pure uno di destra (Pb e D). La riduzione del fondo di cassa delle

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aziende non di credito in vantaggio dei depositi è poi la via per espandere le grandezze bancarie e

per assolvere, senza tensioni di tesoreria, gli obblighi di riserva. Negli Stati moderni l'aumento della

circolazione della moneta di base è una circostanza frequente, che consente flussi di contanti verso

il sistema bancario, adeguati alla crescita dello stesso. Lo spostamento delle preferenze dei

depositanti verso altre attività finanziarie, per esempio l'acquisto di valori mobiliari e cioè il

passaggio da depositi a titoli, sta a indicare una diversa politica di indebitamento delle imprese e

della pubblica amministrazione: anziché presso le banche presso le aziende non di credito o, come

anche si dice, nei confronti del mercato anziché degli intermediari. L'indice di intermediazione

bancaria è nella capacità delle banche di accrescere la somma dei valori (Pb+Ib); la

disintermediazione si misura nella minore crescita delle grandezze predette rispetto ad altre

grandezze finanziarie. Il valore del moltiplicatore creditizio è l'indicatore del grado di

intermediazione finanziaria del sistema bancario. Tale valore, a parità di altre circostanze, è minore

quanto più sia severa la disciplina delle riserve bancarie e quanto più i valori mobiliari trovino

classamento finale presso le aziende di consumo.

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7 Gli attivi trasferibili


L'equilibrio di gestione di una banca non può poggiare solo sull'autoliquidazione degli attivi.

L'indebitamento degli affidati è quasi sempre breve come specie ma durevole come genere e molte

forme tecniche di prestito non consentono il trasferimento per cessione del credito. Ne consegue

che, se una banca dovesse operare fondandosi sull'autoliquidazione degli attivi, esalterebbe le alee

di scadenza e di prezzo (saggio di interesse) e dunque limiterebbe il processo di trasformazione

delle scadenze, oppure sarebbe spinta ad accrescere la raccolta a tempo, pur non divenendo una

banca universale. È quindi giovevole all'attività bancaria la possibilità di trasferire attivi prima della

naturale scadenza. Affinché ciò possa avvenire occorrono due condizioni: gli attivi debbono essere

rappresentati da titoli di credito e questi debbono fruire di un mercato secondario. La tradizione

indica due tipi di titoli: quelli rappresentativi di crediti mercantili e quelli di debito della pubblica

amministrazione o di grandi imprese. Per ambedue questi tipi di valori il mercato secondario è

sovente assicurato, e nel passato quasi sempre, dalla banca centrale e dalle altre banche.

I sistemi bancari si costituiscono, dunque, non solo per agevolare la circolazione dei debiti bancari,

esaltandone la funzione monetaria, ma anche per rendere trasferibili taluni attivi bancari. La

mobilitazione dei crediti di regolamento delle imprese è una funzione bancaria assai antica e

rappresenta un'altra via di interposizione nel sistema dei pagamenti e di controllo dei flussi inerenti.

La cambiale è stata per lungo tempo lo strumento del credito mercantile, ossia lo strumento per

ottenere il pagamento differito degli scambi commerciali, attribuendo al creditore un titolo di

credito esecutivo - letterale, autonomo e astratto - capace di agevolare l'eventuale recupero coattivo

del credito. Essendo un titolo di credito all'ordine, circolante per mezzo di girata, la cambiale

acquisita da una banca con l'operazione di sconto può essere ancora negoziata mediante risconto

(nuovo sconto).

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Il risconto del portafoglio di crediti mercantili mobilitati da una data banca è per norma

operato da un'altra azienda di credito, che pure è solita mobilitare crediti mercantili di imprese,

ovvero ha il compito istituzionale di governare la liquidità e la stabilità del sistema bancario.

Il risconto è certo un'operazione tipica della banca centrale, in quanto banca delle banche,

ma non solo di essa: come le altre operazioni di tesoreria, ossia di trasferimento di attivi prima della

scadenza, può essere promosso o da esigenze di liquidità, dunque di equilibrio monetario di

gestione, o dalla reputata convenienza di modificare il mix degli attivi per mutare le alee di

scadenza e di prezzo. Esso è possibile se si dispone di un titolo di credito trasferibile. Il minore uso

delle cambiali nel regolamento degli scambi commerciali ha ridotto il peso del ritrasferimento dei

titoli rappresentativi dei crediti inerenti. Il diminuito ricorso al risconto del portafoglio non riduce,

tuttavia, l'esigenza di disporre di attivi trasferibili. Fino a oggi tali attivi sono stati rappresentati

soprattutto da valori mobiliari pubblici, con riferimento ai quali la banca centrale assicura, per via

diretta o mediata, un discreto mercato secondario, la possibilità di operazioni di pronto contro

termine (la cosiddetta pensione di titoli), la concessione di credito di anticipazione.

Nel prossimo futuro dovrebbero tornare ad avere rilievo anche i valori mobiliari emessi dalle

imprese, in virtù del diffondersi del processo di securitization (mobiliarizzazione) nella finanza

delle aziende di produzione. Una finanza rivolta al mercato si avvale dell'emissione di titoli di

credito che possono trovare classamento presso aziende non di credito e presso banche. Si tratta di

valori a breve scadenza, come le commercial papers, di obbligazioni di varia specie, di azioni delle

varie categorie, di cui le banche sono i naturali canali di collocamento: agiscono sul mercato

primario di quei titoli, ne assicurano in parte il classamento e debbono poi operare come dealers, e

pare come market makers, sul mercato secondario per assicurarne la commerciabilità e trasferibilità.

Non è possibile pensare che il mercato secondario di questi valori abbia come operatore la banca

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centrale. Se questi titoli non possono alimentare scambi di borsa, il loro mercato secondario sarà un

mercato trasparente ed efficiente, ma di banca, o meglio di sistema bancario. E ciò è vero pure

nell'ipotesi che l'ordinamento preveda grandi banche universali.

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8 La vigilanza sul sistema bancario

8.1. Cosa fa la Banca d’Italia

La Costituzione all'art. 47 sancisce che: “Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte

le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito.”

Da una parte il risparmio, dall'altra il credito, cioè il finanziamento a chi voglia avviare o

far crescere le sue attività, soprattutto le aziende ma anche i professionisti e i cittadini.

A collegare risparmio e credito sono le banche e gli intermediari finanziari. Imprese che operano

in autonomia, ma all'interno di un quadro di regole e controlli per un mercato efficiente, stabile e

trasparente, che contribuisca alla salute dell'economia.

La legge affida il compito di emanare queste regole e di controllare la loro applicazione alla

Banca d'Italia, che collabora con altre autorità pubbliche, quali il Ministro dell'Economia e delle

Finanze, il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio, la Consob, l'Ivass, l'Antitrust e

la Covip.

Tutto questo in armonia con le disposizioni comunitarie e in collaborazione con le autorità di

vigilanza europee.

La Banca d'Italia controlla che gli intermediari bancari e finanziari siano gestiti in modo

sano e prudente. Sano, cioè che svolgano la loro attività d'impresa nel pieno rispetto delle regole.

Prudente, cioè che per fare profitti non mettano a rischio la propria esistenza e il denaro loro

affidato. Indirizza inoltre la propria azione di vigilanza per favorire la stabilità complessiva,

l'efficienza e la competitività del sistema finanziario. Tutela infine la trasparenza e la correttezza

delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari per rendere sempre migliori i rapporti con la
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clientela.

Per questo:

 emana la normativa tecnica e controlla che venga applicata

 verifica la sana e prudente gestione degli intermediari attraverso l'esame di documentazione

e ispezioni presso i loro uffici

 sanziona i comportamenti scorretti e poco trasparenti nei confronti della clientela.

La Banca d'Italia, inoltre, promuove iniziative per lo sviluppo della cultura finanziaria a

favore dei cittadini per renderli più consapevoli delle loro scelte finanziarie.

Ruolo degli intermediari

Banche e intermediari finanziari svolgono la loro attività di impresa all'interno del sistema

di regole stabilite dalle leggi e dalla Banca d'Italia.

Devono quindi adottare misure di tipo patrimoniale, organizzativo e gestionale per evitare

eccessive esposizioni ai rischi e instaurare con il cliente una relazione fatta di comportamenti

corretti e trasparenti, offrendo prodotti e servizi adeguati a soddisfare le sue esigenze.

La collaborazione da parte dei clienti

Alla riduzione dei rischi contribuisce anche un cliente consapevole dei suoi diritti,

avveduto e informato sui profili di rischio e di costo dei servizi cui accede.

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Le segnalazioni che i clienti fanno alla Banca d'Italia (esposti) e alle altre autorità di

comportamenti anomali e scorretti da parte degli intermediari contribuiscono al miglior

funzionamento del sistema finanziario.

La Banca d'Italia stabilisce le regole sulla correttezza e la trasparenza degli intermediari e ne

controlla l'applicazione, ma non può risolvere le controversie tra intermediari e clienti. Per ottenere

una decisione su una controversia i clienti devono rivolgersi alla magistratura o a sistemi alternativi

quali l'Arbitro Bancario Finanziario , che in molti casi permettono di raggiungere il risultato in

tempi più brevi e a costi contenuti.

Per i procedimenti amministrativi che coinvolgono gli intermediari, la Banca d'Italia applica

la legge 241/1990. Ciò significa che ogni procedimento ha il suo responsabile, che ogni

provvedimento indica le motivazioni che hanno determinato la decisione e che gli interessati hanno

accesso agli atti che li riguardano.

8.2. Autorità bancaria europea

L'Autorità bancaria europea (European Banking Authority, in inglese), maggiormente

conosciuta come EBA, è un organismo dell'Unione europea che dal 1 gennaio 2011 ha il compito di

sorvegliare il mercato bancario europeo. Ad essa partecipano tutte le autorità di vigilanza bancaria

dell'Unione europea. L'Autorità sostituisce il Committee of European Banking Supervisors (CEBS)

e ha sede a Londra.

Durante la Crisi economica del 2008-2010 alcune istituzioni finanziarie europee si sono

trovate in difficoltà e hanno messo a rischio l'intera stabilità finanziaria dell'Unione europea. Nel

2008 Il Presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, istituisce un gruppo

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indipendente di esperti guidato da Jacques de Larosière, che nel febbraio del 2009 presenta un

rapporto alla Commissione europea con alcune raccomandazioni per rafforzare la sorveglianza sul

sistema finanziario europeo. Le raccomandazione del Rapporto del gruppo Larosière vengono

accolte dagli organi comunitari. Il Consiglio dell'Unione europea nella riunione del 18 e 19 luglio

2009 approva la creazione di un Comitato europeo per il rischio sistemico per il monitoraggio della

stabilità finanziaria a livello europeo. Contestualmente il Consiglio approva anche l'istituzione di tre

nuove autorità europee all'interno di un nuovo Sistema europeo di vigilanza finanziaria (SEVIF) (in

inglese, European System of Financial Supervisors):

 L'Autorità bancaria europea (in inglese, European Banking Authority – EBA) per la

vigilanza del mercato bancario;

 L'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (European

Insurance and Occupational Pensions Authority - EIOPA) per la sorveglianza del mercato

assicurativo;

 L'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (European Securities and Markets

Authority - ESMA) per la sorveglianza del mercato dei valori mobiliari.

L'obiettivo dell'Autorità è proteggere l'interesse pubblico contribuendo alla stabilità e

all'efficacia a breve, medio e lungo termine del sistema finanziario, a beneficio dell'economia

dell'Unione, dei suoi cittadini e delle sue imprese. L'Autorità opera nel settore di attività delle

banche, dei conglomerati finanziari, delle imprese di investimento, degli istituti di pagamento e

degli istituti di moneta elettronica. L'Autorità contribuisce a:

 migliorare il funzionamento del mercato interno in particolare attraverso una

regolamentazione efficace e uniforme;

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 garantire l'integrità, la trasparenza, l'efficienza e il regolare funzionamento dei mercati

finanziari;

 rafforzare il coordinamento internazionale in materia di vigilanza bancaria;

 impedire l'arbitraggio regolamentare e promuovere pari condizioni di concorrenza;

 assicurare che i rischi siano adeguatamente regolamentati e monitorati

 aumentare la protezione dei consumatori.

8.3. Costruzione dell’unione bancaria

Meccanismo di vigilanza unico: elemento costitutivo essenziale dell’unione bancaria

L’istituzione del Meccanismo di vigilanza unico (MVU) nell’autunno 2014 rappresenterà

una pietra miliare nella realizzazione dell’unione bancaria in Europa. L’unione bancaria è uno dei

quattro elementi costitutivi di un’autentica Unione economica e monetaria.

Obiettivo dell’unione bancaria è dare vita a un quadro finanziario integrato per

salvaguardare la stabilità finanziaria e ridurre al minimo il costo dei fallimenti delle banche. Le sue

componenti saranno il Meccanismo di vigilanza unico e i nuovi quadri integrati di garanzia dei

depositi e di risoluzione delle crisi degli enti creditizi.

L’unione bancaria si baserà su un corpus unico di norme per i servizi finanziari, esaustivo e

dettagliato. La competenza di sviluppare ulteriormente questo corpus e di tenere sotto osservazione

la sua applicazione è affidata all’Autorità bancaria europea (ABE).

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9 Parole chiave della lezione


 EVOLUZIONE NORMATIVA BANCARIA

 IL PRINCIPIO DELLA BANCA

 STABILITA’ DEL SISTEMA BANCARIO

 IL MOLTIPLICATORE CREDITIZIO

 VIGILANZA NAZIONALE ED EUROPEA

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Sitografia
 Tancredi Bianchi – 1991- http://www.treccani.it/enciclopedia/banca-e-sistema

bancario_(Enciclopedia_delle_scienze_sociali)/ - Economia

 http://www.bankpedia.org/index.php/it/99-italian/e/20049-evoluzione-del-testo-unico-delle-

leggi-in-materia-bancaria-e-creditizia-fino-al-2005-enciclopedia

 http://www.dirittiglobali.it/2014/05/11/danno-denaro-creato-dalle-

banche/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=danno-denaro-creato-dalle-

banche

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“GLI STRUMENTI DI MITIGAZIONE DEL
RISCHIO”

PROF. COSTANTINO FORMICA


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Indice

1 BASILEA 1, BASILEA 2, BASILEA 3 ------------------------------------------------------------------------------------- 3


2 GLI STRUMENTI DI MITIGAZIONE DEL RISCHIO --------------------------------------------------------------- 7
3 LE GARANZIE REALI (FINANCIAL COLLATERAL) – CONDIZIONI DI AMMISSIBILITÀ ---------- 11
4 LE GARANZIE PERSONALI (PHYSICAL COLLATERAL) -------------------------------------------------------- 19
5 I DERIVATI SU CREDITI -------------------------------------------------------------------------------------------------- 23
6 CONCLUSIONI --------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 32
7 PAROLE CHIAVE DELLA LEZIONE ---------------------------------------------------------------------------------- 33
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 34
SITOGRAFIA ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 35

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1 Basilea 1, Basilea 2, Basilea 3


Uno dei capisaldi dell’Accordo denominato Basilea 1, sottoscritto nel 1988, era che le

banche dovevano detenere mezzi patrimoniali in misura pari all’8% dell’importo dei propri attivi

patrimoniali. Il valori di questi ultimi utilizzato per il calcolo non doveva essere il valore nominale

bensì un valore che tenesse conto anche del grado di rischio del singolo impiego. A questo riguardo

si utilizzavano dei coefficienti di ponderazione. Il fattore di ponderazione prendeva in

considerazione:

• la valutazione di affidabilità del soggetto finanziato

• la eventuale presenza di strumenti di mitigazione del rischio in presenza di garanzie

Per effetto del fattore di ponderazione ciascun finanziamento assume nella formula un peso

maggiore o minore in funzione della stima del rischio effettuata

Il sistema di ponderazione, che misurava il Rischio di Credito, si basava esclusivamente su

cinque coefficienti, in relazione alla tipologia di debitori:

- 0% per gli impieghi verso governi centrali, banche centrali e Unione Europea

- 20% per gli impieghi verso enti pubblici, banche e imprese di investimento

- 50% per i crediti ipotecari e le operazioni di leasing su immobili

- 100% per gli impieghi verso il settore privato

- 200% per le partecipazioni in imprese non finanziarie con risultati di bilancio negativi

negli ultimi due esercizi

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La logica di Basilea 1 fu, quindi, quella di legare il rischio insito nel portafoglio attività delle

banche con la rispettiva dotazione patrimoniale. In conseguenza di Basilea 1, quindi, le banche ad

ogni incremento dell'attivo dovevano aumentare il capitale di vigilanza, proporzionalmente ai

coefficienti di ponderazione relativi alla tipologia dei nuovi debitori

Erano evidenti i limiti di Basilea 1, ovvero:

• Si prescinde dalla diversa solvibilità delle imprese. Ciò penalizza i prestiti alle imprese più

affidabili

• Non si considerano i diversi gradi di rischio connessi alle singole forme contrattuali dei

prestiti (quelli a breve durata e assistiti da garanzia sono meno rischiosi)

Tenendo conto di tali limiti è stato predisposto il nuovo accordo BASILEA 2 (2004)

Il patrimonio di vigilanza è sempre calcolato in ragione dell’8% dell’attivo ponderato per il

rischio di credito. Tuttavia, rispetto a prima (con Basilea 1), i coefficienti di ponderazione non sono

più fissi e predeterminati (nell’approccio dei rating interni) ma sono quantificati caso per caso sulla

base di diverse variabili, alcune relative all’impresa e sintetizzate nel rating attribuito alla stessa,

altre riferite alla forma tecnica del prestito e a eventuali garanzie collaterali

Erogazione del credito più selettiva e meritocratica

• Una migliore conoscenza delle imprese permetterà inoltre di migliorare l’offerta,

focalizzandola su specifici bisogni identificati in modo puntuale

• Si permetterà di affinare i giudizi sui rischi assunti, sul pricing, sul fabbisogno di capitale

proprio, sulla misurazione della performance e sulla creazione di valore.

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Dunque, l’Accordo di Basilea 2 è stato emanato per fronteggiare i limiti insiti nell’Accordo

di Basilea 1. La formula alla base dell’accordo di Basilea 2 è rimasta formalmente invariata rispetto

a Basilea 1. Le banche continuano ad avere l’obbligo di accantonare un capitale di vigilanza pari ad

almeno l’8% delle proprie attività ponderate per il rischio. Il rischio degli impieghi bancari, però,

viene suddiviso in rischio di credito, rischio di mercato, rischio operativo. Ciò che cambia è

l’introduzione della nuova metodologia di valutazione del Rischio di Credito, e quindi della

determinazione dei coefficienti di ponderazione dei singoli investimenti. Basilea 2, infatti, prevede

l’abbandono dei coefficienti fissi in funzione della tipologia di debitore (0%, 20%, 50%, 100%, e

200%), e l’introduzione di opportuni modelli di rating, per l’attribuzione a ciascun debitore (Stati,

banche, e privati, indipendentemente) di un coefficiente di ponderazione specifico in relazione alla

solvibilità ed all’affidabilità finanziaria del soggetto finanziato.

Basilea 3 è un insieme di nuove regole relative alla vigilanza bancaria, pubblicato in risposta

alla recente crisi finanziaria 2007-2011. Le nuove regole, che sono state oggetto di un’ampia

consultazione con l’industria bancaria, sono entrate in vigore all’inizio del 2013. È stato tuttavia

previsto un lungo periodo transitorio fino al 1.1.2019 così da favorire un graduale adeguamento

delle strategie operative delle banche ed evitare ricadute sulla ripresa economica. L’obiettivo che si

persegue con questa riforma è di prevenire l’eccessiva assunzione di rischi da parte degli operatori,

rendere il sistema finanziario più solido, stabilire un terreno di gioco davvero uniforme. Le misure

riguardano unicamente gli intermediari finanziari e sono di seguito sintetizzate:

 Introduzione di standard minimi di liquidità

 La definizione di capitale regolamentare unitamente alla fissazione di più elevati requisiti

patrimoniali

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 Migliore copertura dei rischi di mercato e di controparte

 Contenimento del livello di leva finanziaria

 ecc

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2 Gli strumenti di mitigazione del rischio


L’Accordo di Basilea 2 (2004) ribadisce il ruolo di una serie di strumenti di mitigazione del

rischio già affermato da Basilea 1 (1988), ma ne riconosce una gamma più ampia di quella

contemplata nel passato. Tre sono le categorie previste:

1. garanzie reali;

2. garanzie personali;

3. derivati su credito.

Ad esse occorre affiancare la possibilità per le banche di procedere compensazioni di

bilancio. L’Accordo ne disciplina in maniera specifica i requisiti oggettivi e soggettivi di

ammissibilità e la loro presenza permette, a seconda dei casi e a determinate condizioni, di:

- incidere sul tasso di interesse praticato sui finanziamenti, poiché possono contribuire a

migliorare la LGD (Loss Given Default, cioè la percentuale di perdita in caso di insolvenza, misura

la probabile quota del finanziamento concesso al cliente insolvente che la banca riuscirà a

recuperare effettivamente una volta terminate le procedure di contenzioso avviate nei confronti del

cliente), insomma la percentuale di perdita complessiva sul prestito concesso che la banca si attende

di subire in caso di insolvenza del cliente;

- migliorare il rating, nel caso in cui siano concesse da un soggetto pubblico o da una

banca che disponga di un rating migliore di quello del cliente oppure da imprese con rating uguale

almeno ad A ovvero con PD (Probability of default –Probabilità di insolvenza) corrispondente a tale

rating.

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Pertanto le garanzie sono utili per ottenere credito a condizioni migliori. Tuttavia sarebbe

opportuno e preferibile privilegiare un rafforzamento dell’impresa stessa agendo sugli aspetti

qualitativi, quantitativi ed andamentali, migliorando così il proprio merito creditizio.

La presenza di garanzie incide nel rapporto vincoli patrimoniali/rischio e di conseguenza nel

rapporto banca/impresa.

L’Accordo prevede infatti che ciascuna banca accantoni capitale in proporzione ai prestiti

concessi, al fine di garantire un patrimonio sufficiente a fronteggiare efficacemente situazioni di

insolvenza.

Una ponderazione di rischio pari a 0% comporta assenza di rischio per la banca, la quale non

procederà all’accantonamento di capitale. Una ponderazione di rischio pari a 100% o superiore,

significa un maggior rischio e pertanto una maggiore quota di capitale da accantonare; di

conseguenza l’aumento di costo per la banca si traduce in un maggior costo del denaro per il cliente.

La ponderazione di rischio varia, in maniera anche consistente, a seconda del sistema di

valutazione (Standard o IRB) adottato dalla banca e, nell’ambito di questo, del metodo di

ponderazione prescelto (semplificato o integrale).

La disciplina relativa al trattamento degli strumenti di mitigazione del rischio prevede

innanzitutto alcune regole di carattere generale:

d) un credito garantito (ovvero la quota parte garantita di un credito in caso di garanzia

parziale) non può avere una ponderazione di rischio più sfavorevole dello stesso credito in

assenza di garanzie.

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Ciò appare ovvio e ci si aspetterebbe che un tale effetto non rischi mai di verificarsi, ma le

regole previste da Basilea 2 sono così articolate e complesse che non si possono escludere casi

eccezionali.

Un esempio è costituito, nel metodo standard, da un finanziamento garantito da ipoteca su

beni residenziali a favore di una azienda con un rating pari ad AA – o superiore. Infatti il

finanziamento garantito da ipoteca su beni immobili residenziali ha di norma una ponderazione di

rischio pari al 35%, mentre i crediti a favore di aziende in possesso di un rating uguale o superiore

ad AA- vengono trattati con una ponderazione di rischio pari al 20%. Nel caso si verificasse una

tale evenienza, quindi, sulla base di questa prima regola, il finanziamento garantito da ipoteca su

immobili residenziali sarebbe trattato alla stessa stregua di un finanziamento non garantito, pertanto,

si applicherà un coefficiente di ponderazione del 20%, in luogo del 35% come sarebbe

ordinariamente previsto;

b) divieto di doppio computo: un credito non può beneficiare contemporaneamente di un

doppio riconoscimento di attenuazione del rischio a fini prudenziali;

c) non sono di regola ammessi rating riferiti alla sola esposizione in linea capitale, ma anche

comprensivi di interessi e costi accessori;

d) quando ad una banca, in accordo con i principi generali di Basilea 2, è lasciata la facoltà

di optare tra diverse alternative (ad esempio tra metodo semplificato e metodo integrale), la banca

deve operare una scelta definitiva, non potendo variarla in funzione dei singoli casi al fine di

derivarne ogni volta la situazione per se più favorevole (“cherry picking”);

e) quando l’Autorità di Vigilanza, in accordo con quanto previsto da Basilea 2, ha la facoltà

di consentire un tasso di ponderazione più favorevole di quello ordinariamente previsto dalla norma

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(per esempio, decidere, per le garanzie rilasciate da enti pubblici o banche di un determinato paese

estero, di allineare il rating a quello del governo dello stesso paese), tale decisione deve essere

portata a conoscenza dell’intero sistema bancario ed estesa a tutte le banche, le quali dunque, in

ossequio all’obiettivo di tutela della libera concorrenza, beneficeranno tutte della medesima

facilitazione;

f) la presenza di diverse forme di garanzia a tutela di una stessa esposizione, così come la

eventuale presenza di una quota non garantita, comporta la scomposizione della esposizione stessa

in diversi finanziamenti, ognuno garantito dal proprio specifico strumento oppure non garantito. Si

calcolerà pertanto un distinto coefficiente di ponderazione per ciascuno di essi. Cioè, se per esempio

un finanziamento di 100 è garantito da denaro per 40 e da ipoteca di primo grado per 50, tale

finanziamento viene trattato come la somma di un finanziamento di 40 garantito da denaro, uno di

50 garantito da ipoteca di primo grado e uno di 10 non garantito.

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3 Le garanzie reali (financial collateral) –


Condizioni di ammissibilità
L’accordo di Basilea 2 fissa una serie di condizioni per la ammissibilità delle garanzie reali

nel calcolo dei requisiti di capitale della banca.

1. Certezza giuridica: tutti i documenti relativi alla garanzia devono essere di indiscussa

validità dal punto di vista giuridico, pienamente vincolanti per tutte le parti e legalmente opponibili

in ogni giurisdizione;

2. Dotazione, da parte della banca, di adeguati sistemi e strumenti che siano in grado di

assicurare: il mantenimento nel tempo della validità legale e della opponibilità delle garanzie, la

attivazione tempestiva delle azioni di recupero ed il loro corretto e puntuale seguito;

3. Netta ed oggettiva separazione dei beni in garanzia da quelli del patrimonio del

depositario, nel caso in cui le garanzie siano conservate presso un terzo depositario;

4. Bassa correlazione con l’esposizione sottostante, vale a dire non devono sussistere

elementi di dipendenza tra la evoluzione della capacità di restituzione da parte del debitore

originario ed il valore del bene posto a garanzia (per esempio non sono ammessi alla funzione di

garanzia reale titoli di partecipazione o di credito emessi a carico dallo stesso debitore principale);

5. Assenza di disallineamenti, vale a dire la durata residua della garanzia deve essere

allineata con la scadenza del debito garantito. Sono ammesse eccezioni nell’ambito di alcune

specifiche condizioni e comunque solo per garanzie di durata residua superiore ad un anno. Per

poter essere riconosciute garanzie con scadenza inferiore all’anno, questa deve coincidere con

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l’esposizione sottostante. In ogni caso non sono riconosciute garanzie con disallineamenti di

scadenza nel metodo semplificato o quando la loro scadenza residua è pari o inferiore a 3 mesi;

6. Solidi processi di gestione del rischio: è opportuno che vengano assunte adeguate misure

per prevenire e, ove possibile assicurare con polizze, i rischi connessi sia alla possibile perdita della

garanzia (distruzione, deterioramento strutturale, furto ecc.), sia alle possibili imputazioni per danni

a terzi con riferimento ai beni avuti in garanzia;

7. Privilegio di primo grado sulla garanzia. Tuttavia garanzie di grado superiore al primo

sono ammesse nella misura in cui esse conservino chiaramente una capacità di copertura del rischio

dopo la escussione della prima garanzia, tenuto conto di tutti gli oneri finanziari connessi al ritardo

di incasso ed i costi diretti ed accessori, incluse le spese figurative dovute alla procedura di

escussione.

Metodi di calcolo dell’incidenza delle garanzie reali sui requisiti di capitale

La tipologia di garanzie ammesse ed il tipo di trattamento ai fini della riduzione dei requisiti

minimi di capitale dipende anche dalla opzione scelta dalle banche.

Le banche infatti che hanno optato per il sistema di valutazione standard possono scegliere

tra due possibili metodi di calcolo: il metodo semplificato ed il metodo integrale.

Le banche che hanno optato per il sistema di valutazione IRB base o IRB avanzato devono

obbligatoriamente adottare il metodo integrale.

Il metodo semplificato prevede che lo strumento posto a garanzia parziale o totale

dell’esposizione sottostante abbia una propria ponderazione di rischio, specificamente dipendente

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dalla tipologia e dalle caratteristiche della garanzia stessa. Ciò comporta che la ponderazione di

rischio applicabile alla garanzia reale si sostituisca, per l’ammontare corrispondente, a quella del

soggetto garantito. La ponderazione di rischio sarà soggetta ad una soglia minima del 20%, eccetto

negli specifici casi di cui agli artt. 182-185 dell’Accordo Basilea 2, che riceveranno una

ponderazione da 0% a 10%. Alla eventuale parte restante, vale a dire alla quota di credito non

assistita da garanzie, sarà assegnata una ponderazione appropriata al soggetto garantito.

Nell’ambito del metodo semplificato un garanzia reale viene riconosciuta se prestata per

almeno tutta la durata dell’esposizione e rivalutata ai prezzi di mercato almeno semestralmente. Il

metodo integrale, invece, prevede che l’ammontare dell’esposizione venga ridotto nella misura

corrispondente al valore attribuito alla garanzia.

Ciò comporta che sulla parte di prestito coperta da garanzia reale non venga applicato alcun

requisito patrimoniale per la banca, che vi associa quindi una ponderazione di rischio pari a 0%.

Tale metodo si basa su di un sistema di calcolo più complesso. Infatti, il valore sia

dell’esposizione che della garanzia devono essere corretti per volatilità, eccetto il caso in cui

entrambi siano rappresentati da contanti. La correzione viene effettuata tenendo conto del tipo di

strumento e di transazione, della frequenza delle rivalutazioni ai prezzi correnti di mercato e

dell’adeguamento delle garanzie. Inoltre, se l’esposizione e la garanzia reale sono denominate in

valute diverse, il valore della garanzia deve essere ulteriormente corretto al ribasso al fine di tenere

conto delle eventuali future oscillazione dei tassi di cambio.

Pertanto, il valore dell’esposizione corretto per volatilità sarà superiore a quello

dell’esposizione originaria e il valore della garanzia corretto per volatilità ed eventualmente per

oscillazioni di cambio sarà inferiore a quello della garanzia.

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La correzione dei valori viene effettuata attraverso l’impiego di scarti prudenziali calcolati

sulla base di parametri indicati dal Comitato di Basilea (scarti prudenziali standard) oppure di

parametri stimati internamente dalla banca stessa (scarti stimati), previa autorizzazione

dell’Autorità di Vigilanza che verifica il possesso di determinati criteri quantitativi e qualitativi

circa la capacità di stimare la volatilità.

La banca quindi non applica alcun requisito patrimoniale sulla parte di prestito coperta da

garanzia reale, ma calcola il rischio solo sulla eventuale differenza positiva tra il valore corretto

dell’esposizione e il valore corretto della garanzia.

In altre parole, se la stima della perdita per la banca in caso di inadempienza (default) del

debitore principale è, ad esempio, pari al 20% del finanziamento concesso (perché l’80% è coperto

da garanzia e pertanto sarà recuperato attraverso la escussione della stessa), ai fini del calcolo dei

requisiti di capitale l’80% integralmente coperto dalla garanzia viene del tutto ignorato, mentre il

residuo 20% viene trattato alla stregua di finanziamento non garantito, con ponderazione dipendente

dal soggetto garantito.

Garanzie reali ammesse

L’Accordo Basilea 2 amplia, rispetto al passato, le tipologie di garanzia riconosciute,

consentendo con ciò una maggior coerenza con la prassi operativa delle banche in fatto di gestione

del rischio.

La gamma delle garanzie ammesse dipende, tra l’altro, anche dal sistema di valutazione del

rischio optato dalla banca:

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- Standard;

- IRB base, che ammette alcune forme di garanzia non considerate nel sistema standard;

- IRB avanzato, che ammette alcune forme di garanzia non considerate nel sistema standard

e in cui sono previste forme di calcolo più sofisticate di quelle statuite per il sistema IRB base.

Come già evidenziato, le banche che hanno optato per il sistema di valutazione standard possono

scegliere tra due possibili metodi di calcolo: il metodo semplificato ed il metodo integrale. Le

banche che hanno optato per il sistema di valutazione IRB base o IRB avanzato devono

obbligatoriamente adottare il metodo integrale.

Nell’ambito sia del sistema Standard che nel sistema IRB base o avanzato sono ammesse le

seguenti garanzie, distinte a secondo del metodo semplificato e integrale:

Nel metodo semplificato sono riconosciuti:

- depositi in denaro presso la banca che concede il credito;

- oro;

- obbligazioni con rating pari almeno a BB- o emessi da stati o da enti pubblici che sono

trattati dall’Autorità di Vigilanza alla stregua dei mutuatari sovrani;

- obbligazioni di banche, enti di intermediazione mobiliari o imprese (corporate security)

con rating pari ad almeno BBB-;

- azioni quotate negli indici principali.

Nel metodo integrale sono riconosciuti:

- gli strumenti di cui sopra;

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- azioni quotate o obbligazioni convertibili non comprese nei principali indici purché quotate

in mercati ufficiali;

- quote di fondi comuni che comprendono i precedenti titoli azionari.

Limitatamente alle banche che usano il metodo IRB (base o avanzato) sono ammessi a

garanzia anche i crediti commerciali acquistati (purchased receivables), determinati immobili

commerciali e residenziali, nonché altre garanzie reali, a condizione che soddisfino i requisiti

minimi stabiliti dall’Accordo.

Ponderazione delle garanzie reali

Il trattamento delle operazioni, quando assistite da pegno su strumenti finanziari (operazioni

che costituiscono la maggioranza di questa categoria), dipendono dalla valuta e dal tipo di emittente

con una casistica prevista dall’Accordo molto articolata.

Vediamo solo qualche esempio.

Il pegno in denaro o titoli emessi dalla stessa banca finanziatrice e nella sua stessa valuta di

conto hanno una ponderazione nulla 0%.

Quando trattasi di titoli obbligazionari o con caratteristiche corrispondenti, la ponderazione

è sottoposta a una soglia minima del 20%, con la eccezione dei titoli emessi da governi dei paesi di

primario rating e dalle istituzioni finanziarie internazionali (es. Banca Mondiale e FMI), che godono

di una ponderazione dello 0%.

Nel caso delle operazioni PcT (pronti contro termine), si ha ponderazione dello 0% anche se

la controparte non è un governo o una istituzione di cui sopra ma è un operatore primario del

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mercato di cui all’art. 171 dell’Accordo (soggetti sovrani, banche centrali, banche e società di

intermediazione ecc), a patto che siano soddisfatte le condizioni minime:

- che la esposizione reale e la garanzia siano denominate nella stessa valuta;

- che la operazione PcT sia di tipo “overnight”;

- che l’adeguamento degli scarti sul valore della garanzia sia giornaliero o, in caso contrario,

che il tempo tra l’ultima valutazione e la escussione del credito non superi i 4 giorni;

- che l’operazione sia coperta da adeguata documentazione contrattuale che dia diritto ad

effettuare l’escussione della garanzia ed il conseguente sequestro immediato dei titoli qualora si

verifichino situazioni a rischio.

Per quanto riguarda le ipoteche su immobili residenziali e commerciali, esse vengono

esplicitamente previste quale strumento di garanzia solo nell’ambito del sistema di valutazione IRB

(base e avanzato) per il quale è obbligatorio pertanto l’applicazione del metodo di ponderazione

“integrale”.

Tuttavia è opinione corrente che nel metodo standard, pur non figurando la garanzia

ipotecaria tra quelle ammissibili, trattasi di una esclusione solo apparente: le operazioni garantite da

ipoteca infatti sono disciplinate come categoria di operazione a sé stante, la cui ponderazione di

rischio già incorpora la valutazione della garanzia. Di conseguenza anche le banche che usano il

metodo standard possono ammetterle, ma perdono la facoltà di scelta fra metodo semplificato ed

integrale.

L’Accordo inoltre associa agli immobili non residenziali un’alta volatilità. Infatti i prestiti

ipotecari su immobili residenziali hanno una ponderazione di rischio del 35% mentre i prestiti

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ipotecari su immobili non residenziali hanno una ponderazione del 100% (cioè pari a quella di

prestiti non garantiti). Tuttavia le Autorità di Vigilanza locali possono decidere di ridurre

quest’ultima ponderazione fino alla soglia minima del 50%, nel rispetto di alcune condizioni

accessorie.

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4 Le garanzie personali (physical collateral)


L’accordo di Basilea 2 disciplina le garanzie personali unitamente ai derivati su credito. Si

applicano infatti analoghi principi generali di trattamento nonché le medesime condizioni di

ammissibilità. Tuttavia, ai requisiti soggettivi ed oggettivi minimi comuni sono previsti dei requisiti

operativi aggiuntivi specifici.

Condizioni di ammissibilità

Le garanzie personali sono ammesse esclusivamente se rispettano requisiti oggettivi (minimi

ed operativi) e soggettivi.

REQUISITI OGGETTIVI (validi sia nel metodo standard che IRB):

Requisiti Minimi

La garanzia deve essere:

a) diretta: la garanzia deve rappresentare un impegno diretto assunto contrattualmente dal

garante;

b) esplicita: la garanzia deve essere legata all’esposizione, o al gruppo di operazioni, verso

cui il garante assume l’impegno in modo specifico, esplicito, chiaro ed incontrovertibile. Ciò

esclude la ammissibilità, per esempio, di “fideiussioni omnibus”;

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c) irrevocabile: non sono ammesse clausole nel contratto a favore del garante che gli

consentano la revoca della garanzia o un eventuale aumento del costo effettivo a seguito del

deterioramento della qualità creditizia dell’esposizione garantita (ad es. la scadenza concordata non

può essere ridotta unilateralmente a posteriori dal garante);

d) incondizionata: il soddisfacimento della obbligazione assunta a garanzia non può essere

soggetta a condizioni che possano impedire al garante di essere obbligato a pagare tempestivamente

nel caso in cui il debitore originale sia inadempiente; solo nel metodo IRB avanzato possono essere

riconosciute, a determinate condizioni, garanzie condizionate.

Requisiti operativi

La garanzia deve essere:

a) esente da obbligo di preventiva escussione del debitore principale, affinché la banca

possa rivalersi tempestivamente sul garante senza dover previamente intraprendere azioni legali;

b) documentata specificatamente;

c) estesa alla totalità degli obblighi di pagamento a carico del debitore principale, cioè deve

coprire non solo il debito nozionale, ma anche interessi e costi accessori. Nel caso sia stabilito

diversamente, l’esposizione viene scomposta nella parte relativa al capitale nominale, da

considerarsi garantita, e nella parte relativa ad interessi ed oneri legali, vari ed accessori, da

considerarsi non garantita.

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REQUISITI SOGGETTIVI (differenziati tra metodo Standard e IRB)

Sono ritenute ammissibile le garanzie prestate dai seguenti soggetti:

1) soggetti sovrani (Stati nazionali, Banca dei Regolamenti Internazionali, Fondo Monetario

Internazionale, Banca Centrale Europea, Comunità Europea, Banche Mondiali di Sviluppo), enti

pubblici, banche, società di intermediazione mobiliare con ponderazione di rischio inferiore al

soggetto garantito (metodo Standard, metodi IRB base e avanzato);

2) imprese con rating esterno pari almeno ad A- (metodo standard) ovvero con Probabilità di

insolvenza (PD) corrispondente a tale rating (metodo IRB base e avanzato);

3) non sono poste restrizioni al tipo di garanti idonei, pertanto il garante potrebbe avere

anche una valutazione di rating inferiore a quello dell’obbligato principale, purché rientrante in

specifici criteri, chiaramente definiti dalla banca stessa, e tali da assicurare una corretta valutazione

della capacità del garante di adempiere all’impegno assunto (metodo IRB avanzato).

Metodi di calcolo dell’incidenza delle garanzie personali sui requisiti di capitale

Il calcolo della ponderazione del rischio si basa sul principio di sostituzione, vale a dire alla

quota protetta dell’esposizione è attribuita la ponderazione del garante, mentre la quota non coperta

mantiene la ponderazione della controparte stessa.

Se un prestito è assistito da garanzia personale di un terzo e se sono rispettate le condizioni

di ammissibilità di cui al precedente paragrafo, il rating del garante si sostituisce al rating del

soggetto garantito. Le conseguenze sono:

1. il garante deve essere un soggetto dotato di rating e ciò esclude le persone fisiche;

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2. il garante deve possedere un rating minimo, non inferiore (eccetto il caso sub 3 “requisiti

soggettivi”) a quello della controparte, altrimenti l’operazione conserva la stessa ponderazione del

prestito non garantito.

La presenza di garanzie personali idonee consente nei sistemi Standard e IRB (base o

avanzato) un aggiustamento della probabilità di insolvenza (PD), incidendo pertanto sul rating,

mentre nel sistema IRB avanzato con stime interne di LGD (presunta perdita in caso di insolvenza

dell’obbligato), anche un aggiustamento della LGD stessa.

Garanzie personali ammesse

Sono ammesse tutte le forme tipiche di garanzia, che possono variare leggermente a seconda

dell’ordinamento giuridico interessato: per l’Italia sono naturalmente comprese fideiussione e

avallo.

Tuttavia occorre sottolineare che, mentre oggi una parte dei prestiti bancari è prevista la

fideiussione dell’imprenditore o di altre persone fisiche che si assumono solidalmente la

responsabilità di garante, con i parametri imposti da Basilea 2 la fideiussione manterrà le proprie

peculiarità, ma non avrà influsso sulla quantità di patrimonio assorbito dai prestiti da essa garantiti.

Ciò appare evidente se si considera che il calcolo della ponderazione del rischio si basa sul principio

di sostituzione, ma se il garante è una persona fisica, essa non è un soggetto dotato di rating e,

pertanto, non può aver luogo la sostituzione del suo giudizio a quello del soggetto garantito per

migliorarne il profilo di rischio e, di conseguenza, le condizioni di accesso al credito.

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5 I derivati su crediti
Gli strumenti finanziari derivati sono contratti il cui valore e i cui diritti derivano dalle

dinamiche dei prezzi di altre attività che sono sottostanti il contratto stesso.

Il termine” derivati” discende dalla caratteristica fondamentale di questi prodotti: il loro

valore deriva dall’andamento del prezzo di una attività ovvero dal verificarsi nel futuro di un evento

osservabile oggettivamente. L’attività o l’evento, che possono essere di qualsiasi natura o genere

(beni di natura reale, ad esempio oro, caffè, etc., oppure strumenti finanziari tipici come azioni

obbligazioni etc.), sono definiti “sottostante” del prodotto derivato. I prodotti derivati sono

utilizzati, principalmente, per tre finalità:

- finalità speculativa: per conseguire, con operazioni ad alto profilo di rischio, elevati profitti

connessi ad investimenti relativamente modesti;

- finalità di arbitraggio: per conseguire un profitto privo di rischio attraverso transazioni

combinate sul derivato e sul sottostante tali da cogliere eventuali differenze di valorizzazione;

- finalità di copertura (detta anche di hedging): per ridurre il rischio finanziario di un

portafoglio preesistente.

La finalità di copertura, che è l’unica rilevante ai fini di Basilea 2, può essere assicurata

attraverso modalità diverse: con contratto a termine, con una opzione put, con un contratto swap.

Tuttavia si anticipa che, ai fini dei vincoli di capitale, l’Accordo ammette solo il contratto

swap, ed in particolare le fattispecie di “credit default swap” e “total return swap”. Gli altri

derivati su credito, con finalità di copertura, possono servire solo a ridurre o ad eliminare lo scarto

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che deve essere calcolato sul valore della garanzia, ai fini del calcolo della LGD (perdita in caso di

inadempienza).

Diversi sono infatti gli effetti prodotti da: il contratto a termine, la put option e il contratto

swap.

 Con un contratto a termine la banca può garantirsi dall’eventuale deprezzamento dei titoli avuti

in garanzia, vendendo a termine i titoli stessi, con scadenza coincidente a quella della

operazione garantita. Alla scadenza dell’operazione la banca avrà comunque la certezza della

copertura, sia che i titoli si siano apprezzati sia che essi si siano deprezzati. La controparte del

contratto a termine si accolla il rischio del caso che i titoli si deprezzino e beneficia invece del

guadagno nel caso che i titoli si apprezzino.

 Con l’acquisto di una opzione put (put option) la banca acquisisce il diritto di vendere i titoli

avuti in garanzia ad un prezzo predeterminato, conseguendo sia il beneficio dell’eventuale

aumento del prezzo degli stessi (perché in questo caso si asterrà dalla vendita), sia la copertura

della garanzia qualora i titoli si deprezzino. Il venditore dell’opzione put, e quindi della

copertura, si assume il rischio contro il pagamento di un compenso (fee), che costituisce il suo

guadagno nel caso in cui i titoli non si deprezzino. Tale compenso è tanto più alto quanto più

probabile viene considerato il rischio di un deprezzamento. Nella pratica, avendo fini di sola

copertura dal deprezzamento, il compenso di una opzione put risulta eccessivamente oneroso e

si preferisce il contratto a termine.

 Con un contratto swap la banca acquisisce direttamente la garanzia del finanziamento concesso

poiché trattasi di contratto che copre il rischio dell’eventuale inadempienza del debitore

principale. La traduzione letterale di swap, cioè scambio, identifica la sostanza del contratto:

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due parti si accordano per scambiare tra di loro flussi di pagamenti a date certe. I pagamenti

possono essere espressi nella stessa valuta o in valute differenti ed il loro ammontare è

determinato in relazione ad un sottostante. Gli swap sono contratti OTC (over-the-counter) e,

quindi, non negoziati su mercati regolamentati.

Il sottostante può essere di vario tipo e influenza notevolmente le caratteristiche del

contratto, che può assumere, nella prassi, svariate forme.

I contratti swap sono generalmente costituiti in modo tale che, al momento della stipula, le

prestazioni previste sono equivalenti. In altri termini, è reso nullo il valore iniziale del contratto,

così da non generare alcun flusso di cassa iniziale che dovrebbe altrimenti compensare la parte

gravata dalla obbligazione di maggior valore. La variazione nel tempo del valore delle prestazioni

scambiate genera il profilo di rischio/rendimento: la parte che è tenuta ad una prestazione il cui

valore si è deprezzato rispetto al valore iniziale (e, quindi, rispetto alla controprestazione) maturerà

un guadagno e viceversa.

Anche gli swap possono essere sfruttati in funzione delle esigenze, di copertura, di

speculazione o di arbitraggio, a seconda delle finalità che l’operatore si pone.

Le principali tipologie di contratti swap osservati sui mercati finanziari sono: interest rate

swap, currency swap, asset swap, credit default swap, total return swap, equità swap, zero-coupon

swap, domestic currency swap, forward swap, differential swap.

Come premesso, due sono i contratti riconosciuti ai fini di Basilea 2:

1. I “credit defauft swap”(CDS) sono contratti in cui un soggetto (protection buyer), a fronte di

pagamenti periodici effettuati a favore della controparte (protection seller), si protegge dal

rischio di credito associato ad un determinato sottostante (reference asset), che può essere

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costituito da una specifica emissione obbligazionaria, dal rischio collegato ad un emittente o

da un intero portafoglio di strumenti finanziari. I rischi coperti dal CDS sono connessi ad

alcuni eventi (credit event) indicati nel contratto (tipico il default dell’emittente

l’obbligazione), al cui verificarsi si realizzano dei flussi di pagamento fra le parti. Il

regolamento di tali flussi, concretamente, può avvenire secondo due modalità:

- il protection seller corrisponde alla controparte il valore contrattualmente definito dello

strumento finanziario oggetto del CDS, al netto del valore residuo di mercato dello stesso (valore di

recupero o recovery value), e il protection buyer cessa il versamento dei pagamenti periodici (cash

settlement);

- il protection seller corrisponde alla controparte il valore contrattualmente definito dello

strumento finanziario oggetto del CDS e il protection buyer, oltre a cessare il versamento dei

pagamenti periodici, consegna il reference asset (physical delivery). Nella prassi, il protection buyer

ha la facoltà di scegliere il reference asset da consegnare tra un paniere di attività individuate

nell’ambito del contratto e, in tal caso, sfrutterà questa facoltà scegliendo quello per lui più

conveniente. La funzione tipica del contratto è quindi una copertura dei rischi molto vicina a quella

assicurativa.

Nella definizione di un contratto di credit default swap vanno specificati i seguenti elementi:

- il capitale nazionale, rispetto a cui vengono calcolati i pagamenti a carico del protection

buyer, generalmente corrispondente al valore nominale del reference asset;

- l’importo di ciascuno di tali pagamenti, pari al il risultato del prodotto di un tasso fisso

(CDS rate) per il capitale nazionale;

- la periodicità dei pagamenti;

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- la scadenza del contratto;

- gli eventi relativi al reference asset identificabili come credit events (per esempio:

insolvenza, declassamento da parte di un’agenzia di rating, ecc.).

Nel caso in cui il CDS abbia come sottostante una specifica emissione obbligazionaria, la

scadenza del contratto tende a coincidere con la vita residua dell’obbligazione e, naturalmente,

l’importo di ciascuno dei pagamenti effettuati dal protection buyer è strettamente legato alla

rischiosità del sottostante.

Per questa ragione la evoluzione dei prezzi dei contratti CDS può anche svolgere una

funzione indicativa della valutazione della rischiosità dell’attività che ne forma oggetto.

2. I “total return swap” (TRS) sono contratti in cui il protection buyer cede al protection seller

l’intero profilo di rischio/rendimento del sottostante (reference asset), a fronte di un flusso

determinato di pagamenti periodici. I pagamenti periodici, in genere, sono calcolati sulla

base di un tasso variabile maggiorato di uno spread (TRS spread). L’obiettivo del TRS è la

stessa dei credit default swap, cioè coprire il rischio connesso ad un titolo, ma sono diverse

le modalità per conseguirlo. Con il TRS il detentore del titolo, ad esempio un’obbligazione,

non corrisponde un pagamento periodico in cambio della protezione, come per il credit

default swap, ma corrisponde l’intero rendimento del proprio titolo (cedole e aumenti in

conto capitale) in cambio di pagamenti periodici, definiti al momento della stipulazione del

contratto, e della compensazione di eventuali perdite in conto capitale sul sottostante, ivi

compresa la perdita estrema in caso di inadempienza. In questo senso il possessore del titolo,

cioè il protection buyer, è anche chiamato total return seller, mentre il protection seller è

anche denominato total return buyer. Nei TRS, al verificarsi dell’evento di default, si

prevedono le solite due possibili modalità operative:


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- cash settlement: il protection seller corrisponde alla controparte il controvalore della

perdita realizzata, c.d. loss given default, pari alla differenza fra valore nominale del titolo e valore

residuo di mercato dopo il default;

- physical delivery: il protection buyer consegna il titolo oggetto del TRS al protection seller

il quale gli corrisponde il valore nominale, ovvero quello contrattualmente definito, del titolo stesso.

Gli elementi contenuti in un contratto di total return swap sono simili ai casi precedenti:

- il capitale nazionale rispetto a cui vengono calcolati i pagamenti a carico del protection

seller, generalmente corrispondente al valore nominale del reference asset;

- l’importo di ciascuno dei suddetti pagamenti, pari al risultato del prodotto di un tasso

variabile accresciuto di uno spread per il capitale nazionale;

- la periodicità di tali pagamenti;

- la scadenza del contratto medesimo.

Condizioni di ammissibilità

Ai derivati su crediti si applicano le medesime condizioni di ammissibilità previste per le

garanzie personali. Tuttavia, ai requisiti soggettivi ed oggettivi minimi comuni sono previsti dei

requisiti operativi aggiuntivi specifici.

REQUISITI OGGETTIVI

Requisiti minimi (validi sia nel metodo Standard che IRB) – si rimanda a quanto illustrato

nell’ambito delle garanzie personali -. I derivati di credito devono essere:

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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a) diretti

b) espliciti;

c) irrevocabili;

d) incondizionati.

Requisiti operativi:

- il contratto derivato deve assicurare la copertura di un insieme minimo predefinito di

eventi relativi al credito (credit events), tra cui: il mancato pagamento della obbligazione

sottostante, il fallimento dell’obbligato, la ristrutturazione della obbligazione;

- il contratto derivato non deve estinguersi prima del termine necessario a coprire la

eventuale inadempienza;

- la eventuale possibilità di regolamento del solo differenziale (cash settlement) è

riconosciuta solo in presenza di robuste procedure di valutazione del valore del sottostante e di

immediato aggiustamento della posizione complessiva dopo il regolamento;

- se il regolamento è previsto alla consegna (on delivery), non devono essere presenti limiti

di alcun genere alle possibilità di trasferimento dell’obbligazione sottostante (underlying

obligation);

- sono richiesti criteri qualitativi minimi in caso di disallineamento (mismatch) tra

underlying asset e reference obligation (ossia l’obbligazione impiegata per determinare il valore di

regolamento per contante), a tutela della costante copertura del valore del finanziamento garantito.

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REQUISITI SOGGETTIVI (differenziati tra metodo Standard e IRB)

Sono ritenuti ammissibili i derivati di credito i cui garanti/fornitori (seller) sono:

- soggetti sovrani (Stati nazionali, Banca dei Regolamenti Internazionali, Fondo Monetario

Internazionale, Banca Centrale Europea, Comunità Europea, Banche Mondiali di Sviluppo), enti

pubblici, banche, società di intermediazione mobiliare con ponderazione di rischio inferiore al

soggetto garantito (metodo Standard, metodi IRB base e avanzato);

- imprese con rating esterno pari almeno ad A- (metodo standard) ovvero con Probabilità di

insolvenza (PD) corrispondente a tale rating (metodo IRB base e avanzato);

- non sono poste restrizioni al tipo di garanti idonei, pertanto il garante potrebbe avere anche

una valutazione di rating inferiore a quello dell’obbligato principale, purché rientrante in specifici

criteri, chiaramente definiti dalla banca stessa e tali da assicurare una corretta valutazione della

capacità del garante di adempiere all’impegno assunto (metodo IRB avanzato).

Tipologie di derivati su credito ammessi

Come già anticipato, ai fini di Basilea 2 assumono rilievo soltanto i derivati idonei ad

eliminare il rischio creditizio. L’unica tipologia di derivato su credito riconosciuta dall’Accordo è il

contratto swap, il solo che fornisce una copertura piena, ed in particolare sono ammesse due

specifiche fattispecie: “credit default swap” e “total return swap”.

Gli altri derivati su credito, con finalità di copertura, possono servire solo a ridurre o ad

eliminare lo scarto che deve essere calcolato sul valore della garanzia, ai fini del calcolo della LGD

(perdita in caso di inadempienza).

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Metodi di calcolo dell’incidenza dei derivati su credito sui requisiti di capitale

Come per le garanzie personali, il calcolo della ponderazione del rischio si basa sul principio

di sostituzione, vale a dire alla parte di finanziamento protetta con un contratto derivato è assegnata

la ponderazione di rischio del fornitore della protezione, mentre la quota non coperta viene

considerata alla stregua di un finanziamento non garantito, vale a dire ad essa è assegnata la

ponderazione del debitore principale.

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Università Telematica Pegaso Gli strumenti di mitigazione del rischio

6 Conclusioni
La presenza di garanzie è in grado di incidere significativamente nel rapporto vincoli

patrimoniali/rischio e di conseguenza nel rapporto banca/impresa. Esse infatti sono utili per ottenere

credito a condizioni migliori.

Tuttavia, sarebbe opportuno e preferibile privilegiare un rafforzamento dell’impresa stessa

agendo sugli aspetti qualitativi, quantitativi ed andamentali, migliorando così il proprio merito

creditizio.

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7 Parole chiave della lezione


 MITIGAZIONE DEL RISCHIO

 GARANZIE REALI

 GARANZIE PERSONALI

 COEFFICIENTI DI PONDERAZIONE

 DERIVATI SU CREDITI

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Università Telematica Pegaso Gli strumenti di mitigazione del rischio

Bibliografia
 Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Macerata - Gli strumenti di

mitigazione del rischio

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Università Telematica Pegaso Gli strumenti di mitigazione del rischio

Sitografia
 http://www.irdcec.it/node/71

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“GESTIONE DEL PORTAFOGLIO
FINANZIARIO”

PROF. COSTANTINO FORMICA


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Indice

1 PREMESSA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 GLI OBIETTIVI E LA FORMAZIONE DEL PORTAFOGLIO ---------------------------------------------------- 4
3 LA GESTIONE ATTIVA ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 6
4 LA GESTIONE PASSIVA ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
5 IL RENDIMENTO DELLA GESTIONE ATTIVA DEI GESTORI PROFESSIONALI ----------------------- 10
6 IL RENDIMENTO DELLA GESTIONE ATTIVA DEGLI INVESTITORI AL DETTAGLIO -------------- 12
7 IL COMPORTAMENTO DEGLI INVESTITORI ITALIANI ------------------------------------------------------ 14
8 SERVIZIO SU BASE INDIVIDUALE DI GESTIONE DI PORTAFOGLI DI INVESTIMENTO ---------- 16
9 LA GESTIONE DI PORTAFOGLI DI INVESTIMENTO: LE CARATTERISTICHE DEL SERVIZIO - 18
10 IL SERVIZIO DI GESTIONE INDIVIDUALE DI PORTAFOGLIO FINANZIARIO ------------------------ 22
10.1. LA NOZIONE DI GESTIONE INDIVIDUALE TRA IL SISTEMA COMUNITARIO ED IL DIRITTO NAZIONALE------------22
10.2. LA GESTIONE INDIVIDUALE E LE ALTRE ATTIVITÀ DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA ---------------------------25
10.3. L’ATTIVITÀ DI GESTIONE INDIVIDUALE ED IL RELATIVO CONTRATTO -----------------------------------------------26
10.4. LA DISCIPLINA DEL RAPPORTO DI GESTIONE -----------------------------------------------------------------------------29
11 PAROLE CHIAVE DELLA LEZIONE ---------------------------------------------------------------------------------- 34

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1 Premessa
In finanza, un portafoglio (in inglese portfolio) è un insieme di attività finanziarie,

appartenenti a persone fisiche o giuridiche, in seguito ad un investimento. L'investimento in un

portafoglio di titoli risulta essere meno rischioso dell'allocazione di un capitale su un'unica tipologia

di titoli (solo azioni o solo obbligazioni) se opportunamente diversificati, nel senso che tra le attività

finanziarie vi deve essere una correlazione negativa. Sebbene la statistica avesse già scoperto da

tempo la relativa legge, i principali studi in campo finanziario si devono ai Premi Nobel Harry

Markowitz, Merton Miller e William Sharpe (1990). La creazione di un portafoglio si spiega con

l'esigenza per l'investitore di operare una diversificazione dei propri investimenti, così da ridurre il

più possibile il rischio di subire perdite a causa della perdita di un singolo titolo. La denominazione

portafoglio si deve all'estensione del significato originario della parola, che indica un contenitore di

banconote e documenti personali, a imitazione del vocabolo inglese.

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2 Gli obiettivi e la formazione del portafoglio


In una situazione normale il patrimonio dell'investitore cresce grazie al reddito da lavoro e

decresce a causa delle spese di consumo; inoltre, fluttua a causa del reddito finanziario (reddito da

capitale) che viene conseguito in un certo periodo di tempo. Le fluttuazioni del patrimonio,

attribuibili ai redditi da capitale e alle variazioni del valore di mercato, dipendono dalla

suddivisione del patrimonio stesso. Devono essere fatte due considerazioni importanti a riguardo,

cruciali per capire la relazione tra le scelte finanziarie e il patrimonio.

La prima è che l’ammontare del patrimonio a fine anno non è certo. Se il patrimonio è

investito in titoli obbligazionari di lungo periodo, titoli azionari o altri titoli rischiosi, il reddito e/o il

valore di mercato di fine periodo non sono noti con certezza. Il patrimonio di fine anno quindi è una

variabile incerta, che tuttavia è possibile controllare: si può restringerla investendo in titoli

finanziari meno rischiosi, o aumentarla investendo in titoli particolarmente rischiosi. Perché un

individuo razionale può scegliere di aumentare l'incertezza sul valore del patrimonio di fine

periodo? Perché le scelte più rischiose sono anche quelle che in genere consentono un maggior

rendimento atteso. Un patrimonio investito in titoli più rischiosi, a parità di condizioni, è quindi

anche un patrimonio che tende a salire a un tasso più veloce. Naturalmente per l'investitore è

importante sapere quale è la relazione tra rischio e rendimento atteso per i vari titoli compresi in

portafoglio.

Ma la seconda considerazione importante è che l'investitore non può accontentarsi di questa

semplice “guida” per effettuare le proprie scelte. E' necessario programmare l'investimento in

maniera attenta, guardando non solo alla fine dell'anno in corso, ma anche degli anni successivi,

tenendo conto della dinamica prevedibile dei redditi da lavoro e delle esigenze di consumo, incluse

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sia le spese abituali per la vita quotidiana sia le spese episodiche legate al fruire del ciclo vitale (ad

esempio l'acquisto dell'abitazione, le spese per l'istruzione propria e dei figli, l'acquisto di un

autoveicolo). La scelta finanziaria deve allora essere inserita in un contesto simile e la decisione

sulla rischiosità del portafoglio e sul suo rendimento atteso deve essere presa tenendo presente le

esigenze del futuro più e meno prossimo. La scelta finanziaria è uno strumento in mano

all'investitore per programmare la propria vita, non una scommessa fatta per diventare ricchi in

fretta. Il rendimento di un portafoglio finanziario può essere influenzato, oltre che dall'andamento

dei singoli titoli o strumenti finanziari che lo compongono, anche dallo stile di gestione adottato dal

gestore professionista ovvero dall'investitore fai-da-te: è possibile infatti distinguere tra gestione

attiva e gestione passiva. L'evidenza scientifica dimostra come nel breve e medio periodo l'attività

di un operatore specializzato possa, attraverso la variazione dell'asset allocation e ripetute

operazioni di stock picking e market timing, apportare valore aggiunto alla gestione, influenzandone

la performance; al contrario, appare evidente come, anche a causa di frequenti bias1

comportamentali, il rendimento di un portafoglio gestito in modo autonomo dal singolo investitore

possa soffrire di una gestione poco accorta e incostante nel tempo.

1
(pron. 'baiəs) in psicologia cognitiva indica un giudizio (o un pregiudizio), non necessariamente corrispondente
all'evidenza, sviluppato sulla base dell'interpretazione delle informazioni in possesso, anche se non logicamente o
semanticamente connesse tra loro, che porta dunque ad un errore di valutazione o mancanza di oggettività di giudizio

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3 La gestione attiva
La gestione attiva è una strategia di investimento con la quale il gestore prende una

molteplicità di decisioni di investimento nel tempo, finalizzate a ottenere una performance superiore

a quella di un indice di riferimento, detto benchmark. Il concetto alla base di questa strategia è il

seguente: il gestore espone il portafoglio a un rischio superiore a quello del benchmark; se il

maggior rischio genera un maggiore rendimento, la strategia ha successo. Ma quanto spesso tale

strategia ha successo? A questa domanda non è possibile dare una risposta univoca: dipende

dalla capacità del gestore e dalle condizioni dei mercati in cui opera. È però possibile trarre

interessanti conclusioni con un'analisi storica dei rendimenti delle gestioni attive, sia da parte

di gestori professionali, sia da parte di investitori singoli.

I principali strumenti a disposizione del gestore per mettere in atto tale strategia sono:

- asset allocation: variare nel tempo l'esposizione del portafoglio ai diversi mercati di riferimento, al

fine di sfruttare - idealmente - le tendenze positive di alcuni di questi, abbandonando quelli che

manifestano tendenze negative;

- stock picking: selezionare le attività finanziarie in modo da creare un portafoglio in cui

prevalgono le attività sottostimate dal mercato (quindi con un maggiore potenziale di crescita)

rispetto a quelle sovrastimate;

- market timing: aumentare o diminuire l'esposizione del portafoglio ai diversi mercati di

riferimento sulla base di previsioni sull'andamento futuro dei prezzi.

Le decisioni di investimento, peraltro, sono vincolate dal fatto che, individuando un indice

di riferimento, e data la natura di delega del contratto di gestione, si individua implicitamente un

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profilo rischio/rendimento dal quale il gestore non si può discostare eccessivamente.

Appare in tutta evidenza come tale strategia si fondi:

- sull'ipotesi implicita che i mercati finanziari non siano efficienti, ovvero non incorporino

nel prezzo tutte le informazioni disponibili in ogni istante;

- sulla conseguente convinzione che capacità, esperienza, intuito e tecnologie possano

permettere al gestore di prendere le decisioni più efficaci in termini di rendimento.

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4 La gestione passiva
La gestione passiva è una strategia di investimento con la quale il gestore di un portafoglio

(spesso, ma non necessariamente, un fondo comune di investimento, un fondo pensione o un altro

organismo collettivo di risparmio) minimizza le proprie decisioni di portafoglio al fine di

minimizzare i costi di transazione e l'imposizione fiscale sui guadagni in conto capitale.

Nell'ambito di questa strategia, è comune ricorrere al metodo di replicare l'andamento di un indice

di mercato (detto benchmark) o di una composizione di indici di mercato. Tale approccio è più

comune nella gestione dei portafogli azionari, attraverso la creazione dei cosiddetti fondi indice, che

replicano l'andamento di un indice azionario.

Il concetto di gestione passiva si fonda su due elementi fondamentali della teoria della

finanza:

- l'ipotesi di mercato efficiente, secondo la quale il prezzo di mercato di equilibrio riflette

pienamente e perfettamente l'informazione disponibile e, perciò, secondo l'interpretazione più

diffusa, è impossibile "battere il mercato", cioè realizzare una performance migliore di quella del

mercato nel suo complesso;

- il problema agente/principale, che insorge dalla asimmetria informativa e dal divario di

competenze, che non permette all'investitore (principale) di monitorare adeguatamente l'attività del

gestore a cui affida il proprio patrimonio (agente).

Un portafoglio che replica l'andamento di un indice viene realizzato acquistando attività

finanziarie nella stessa proporzione dell'indice scelto. Questo pone un importante vincolo

all'efficacia di questa strategia: dato che le attività finanziarie non sono infinitamente divisibili, per

replicare la composizione dell'indice è necessario disporre di un patrimonio assai elevato, per

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evitare che la diversa granularità delle attività finanziarie imponga una replica non perfetta del

portafoglio, generando uno scostamento dalla performance dell'indice considerato.

Uno dei principali vantaggi della gestione passiva è legato al minor numero di operazioni di

compravendita di attività finanziarie eseguito dal gestore nell'unità di tempo. Questo riduce i costi

di transazione e, nel caso di fondi comuni, fondi pensione e altri organismi collettivi di risparmio,

permette di minimizzare le commissioni richieste ai sottoscrittori. In conseguenza, a parità di

rendimento della gestione, la minore entità delle commissioni permette di avere una performance

netta superiore.

Un secondo vantaggio è legato al fatto che la minore frequenza delle compravendite

permette, in alcuni casi e in alcuni regimi fiscali, di rinviare la tassazione dei guadagni in conto

capitale, che vengono rilevati nel momento in cui le attività finanziarie sono cedute, come

differenza fra il prezzo di acquisto e quello di vendita.

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5 Il rendimento della gestione attiva dei gestori


professionali
Nella scelta tra gestione attiva e gestione passiva del portafoglio, il dato empirico è

fondamentale per la valutazione della performance e il confronto. Ma proprio sui dati - o, meglio,

sulla loro interpretazione - da almeno quindici anni si è acceso un dibattito che coinvolge

accademici, professionisti della finanza e stampa specializzata.

Due studi, condotti da Brinson, Hood e Beebower sembrerebbero dimostrare che i due

elementi fondanti della gestione attiva di portafoglio, la selezione delle attività finanziarie e il

market timing, abbiano un'influenza limitata sulla performance della gestione. La maggior parte di

essa, infatti, sarebbe da attribuire alla scelta di fondo di diversificazione del portafoglio fra le

diverse classi di attività: la cosiddetta asset allocation.

D'altra parte, non ci si deve illudere che sia possibile determinare razionalmente e

correttamente l'asset allocation di un portafoglio e lasciare che la selezione dei singoli titoli e del

momento delle singole transazioni sia affidata al caso, o a chicchessia.

In termini generali, l'attività del gestore influisce sulla performance nel breve e medio

termine: nel lungo e nel lunghissimo periodo, la qualità della gestione attiva sembra avere meno

impatto sulla performance, sulla quale tenderebbe a prevalere l'influenza delle grandi decisioni

strategiche di diversificazione.

Questa considerazione sembra essere confermata da uno studio condotto da SEI

Investments, una grande società finanziaria americana, sui dati di performance relativi ai fondi

comuni d'investimento americani in tutto il corso degli anni '90. Da questa ricerca emerge che i

gestori migliori non sono gli stessi in diversi periodi: solo poco più della metà dei gestori classificati

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nel primo quartile nel periodo 1994-1996 (cioè quelli che hanno ottenuto una performance che li ha

collocati nel primo quarto della graduatoria) sono rimasti fra i migliori nel periodo successivo

(1997-1999). Analogamente, poco meno della metà dei gestori peggiori (quarto quartile) nel

periodo 1994-1996 si è collocata nelle posizioni di testa della graduatoria nel periodo successivo.

D'altra parte, questi dati e queste ricerche sono stati contestati da più parti e, allo stato

attuale del dibattito, non è possibile prendere una posizione non equivoca a favore o contro la

gestione attiva, in termini di qualità della performance generata

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6 Il rendimento della gestione attiva degli


investitori al dettaglio
Sino alla metà degli anni novanta si sapeva molto poco relativamente al rendimento della

gestione attiva da parte degli investitori al dettaglio, contrariamente a quanto accadeva per i fondi

comuni di investimento, uno dei comparti più studiati nell'intera finanza empirica.

Molti risultati sono però stati sviluppati negli ultimi anni, soprattutto grazie alla possibilità di

utilizzare ampie banche dati, riguardanti le operazioni effettuate da migliaia di individui. Le banche

dati sono state rese disponibili da alcuni discount broker statunitensi.

Barber e Odean sono i ricercatori più attivi nell'analisi di queste banche dati. Essi cercano di

interpretare le operazioni di investimento svolte dagli individui alla luce dei bias comportamentali

individuati dalle analisi di finanza comportamentale, facendo particolare riferimento alla tendenza

degli individui ad essere troppo fiduciosi in se stessi. In alcune analisi, Barber e Odean analizzano

la relazione tra la quantità di turnover (vale a dire la frequenza degli acquisti e delle vendite di titoli

azionari in un certo periodo di tempo) e il rendimento conseguito dall'investitore. Trovano che i

rendimenti al lordo dei costi di transazione sono indipendenti dal turnover, ma che i rendimenti al

netto dei costi di transazione hanno una forte relazione inversa con il turnover. Un'interpretazione

possibile è che gli individui inclusi nel campione (di oltre 66mila soggetti) non hanno una

particolare capacità di selezione dei titoli e non tendono perciò a guadagnare di più facendo molte

transazioni. Al contrario, l'aumento dei costi di transazione associati al maggior turnover non viene

compensato da più elevati rendimenti medi, lasciando quindi una relazione inversa tra transazioni e

rendimenti. In altre analisi Barber e Odean trovano che i titoli che in genere vengono venduti dagli

individui hanno una variazione futura dei prezzi (per un periodo sino a due anni dopo l'operazione)

più ampia dei titoli che vengono acquistati: su un orizzonte biennale il differenziale di rendimento

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tra titoli venduti e titoli acquistati è leggermente superiore a 3,5%. Inoltre gli studi rivelano la

tendenza degli investitori a detenere titoli in perdita eccessivamente a lungo, quasi come se il

mantenimento in portafoglio rappresentasse il rifiuto della disponibilità a riconoscere l'errore

effettuato nell'acquistare un titolo il cui prezzo è poi sceso.

Anche nel campo dell'accumulazione della ricchezza previdenziale si riscontrano alcune

tendenze preoccupanti. Benartzi ad esempio mostra che circa un terzo dei contributi ai piani

pensionistici aziendali negli Stati Uniti sono investiti in titoli della stessa azienda presso cui si

lavora, un comportamento che contrasta con elementari principi di diversificazione del portafoglio.

Si riscontra inoltre una forte tendenza da parte degli individui nel seguire le indicazioni dell'impresa

che offre il piano pensionistico, sia per quanto riguarda l'ammontare annuale di contribuzione sia

per quanto riguarda l'investimento in varie classi di attività finanziarie.

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7 Il comportamento degli investitori italiani


Sino a pochi anni fa poco era noto in merito al comportamento dei singoli investitori, ma

dalla metà degli anni novanta sono state effettuate varie analisi sul comportamento dei piccoli

investitori statunitensi, soprattutto per merito di studiosi come Barber ed Odean, che hanno potuto

utilizzare un dataset concesso da un discount broker in merito alle scelte effettuate dai singoli

clienti.

Nel caso dell'Italia varie evidenze sono state portate a partire dalla fine degli anni novanta

per merito di vari studi, tra i quali possiamo ricordare quelli contenuti nel Rapporto annuale sul

risparmio del Centro Einaudi e della ex BNL.

I risultati sono uniformi nell'indicare l'esistenza di comportamenti irrazionali da parte degli

investitori (individuali, non istituzionali). Nel caso degli Stati Uniti ad esempio si è mostrato che gli

investitori:

- detengono troppo a lungo i titoli in perdita, probabilmente essendo restii ad ammettere gli errori

compiuti nella scelta ed ignorando le caratteristiche dei titoli per studiare le prospettive future dei

prezzi;

- effettuano troppe movimentazioni di portafoglio: è possibile individuare un ampio differenziale tra

il rendimento conseguito da chi movimenta tanto il portafoglio e quello di chi movimenta poco il

portafoglio a favore di questi ultimi;

- privilegiano in maniera sistematica i titoli azionari che avranno performance poco brillanti

nel futuro a discapito dei titoli che invece tenderanno a salire;

- sono influenzati dal canale di contrattazione (passare dalla contrattazione "tradizionale" a

quella su Internet aumenta la frequenza delle transazioni);

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- nel caso di scelta di fondi comuni di investimento, gli investitori sono molto

(negativamente) influenzati dalla presenza di commissioni di ingresso ma relativamente insensibili

al livello delle commissioni di gestione. Inoltre tendono ad acquistare e a vendere fondi comuni che

hanno conseguito rendimenti positivi nel passato, detenendo troppo a lungo in portafoglio i fondi

comuni che hanno ottenuto rendimenti negativi;

- diversificano in maniera insufficiente il portafoglio dal punto di vista internazionale,

privilegiano addirittura i titoli emessi da aziende localizzate vicino al luogo di residenza.

Anche in Italia gli investitori sembrano essere afflitti da simili problemi di irrazionalità. Ad

esempio, i possessori italiani di titoli azionari spesso detengono un portafoglio composto da

pochissimi titoli; ma soprattutto emergono vari problemi legati alla scarsa informazione ed alla

scarsa conoscenza dei mercati finanziari. Un'analisi relativamente nota eseguita nel Rapporto del

Centro Einaudi e BNL ad esempio mostra che gli italiani si informano pochissimo sui temi

finanziari. Su 100 italiani intervistati, 66 non sanno quanto tempo dedicano ogni settimana

all'informazione finanziaria, e ben metà del restante 33 dedica meno di mezz'ora alla settimana a

questo tema.

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8 Servizio su base individuale di gestione di


portafogli di investimento
La gestione su base individuale di portafogli di investimento è un servizio di investimento

che può essere svolto da una banca, una SGR, una società di intermediazione mobiliare (SIM) o

un’impresa di investimento estera autorizzata (intermediario gestore).

L’investitore conferisce il proprio patrimonio all’intermediario, delegandolo a effettuare

decisioni di investimento mediante operazioni di acquisto e vendita di azioni, obbligazioni, quote di

OICR (organismi di investimento collettivo del risparmio) o altri strumenti finanziari.

A differenza dei fondi comuni e delle SICAV, il patrimonio di ogni singolo cliente non

confluisce in un patrimonio collettivo e la gestione del portafoglio viene effettuata separatamente

per ogni cliente. Il patrimonio dell’investitore è separato a tutti gli effetti da quello degli altri clienti

del gestore e da quello del gestore medesimo; non può, in particolare, essere utilizzato in nessun

caso a favore dei creditori dell’intermediario che cura l’investimento.

Le decisioni di investimento sono assunte discrezionalmente dal gestore, sulla base di

obiettivi e all’interno di limiti (ad esempio una percentuale massima del patrimonio investito in

azioni) definiti nel contratto con il cliente. I risultati positivi o negativi degli investimenti effettuati

dal gestore ricadono direttamente sul patrimonio dell’investitore. Tale patrimonio, al termine del

mandato conferito all’intermediario, può essere di valore inferiore a quello originariamente

investito. L’intermediario ha l’obbligo di informare periodicamente il cliente del rendimento

ottenuto e degli strumenti finanziari inclusi nella gestione patrimoniale.

Le principali tipologie di gestioni patrimoniali sono la Gestione Patrimoniale Mobiliare

(GPM), in cui il patrimonio viene investito principalmente in azioni, obbligazioni e strumenti

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finanziari derivati e la Gestione Patrimoniale in Fondi (GPF), dove il patrimonio è investito

prevalentemente in quote di fondi comuni di investimento e di SICAV.

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9 La gestione di portafogli di investimento: le


caratteristiche del servizio
Uno dei principali servizi di investimento è il servizio di gestione di portafogli, inteso come

servizio di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi, da non

confondersi con il servizio di gestione collettiva del risparmio, ossia la gestione dei fondi comuni di

investimento.

Il servizio di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi è quel

servizio offerto dai soggetti abilitati che si realizza gestendo il patrimonio mobiliare del cliente

attraverso l’investimento in strumenti finanziari. La differenza fondamentale tra la gestione

individuale con la gestione collettiva del risparmio consiste nel fatto che la prima non è gestita in

monte ma è gestita separatamente e nell’interesse del singolo cliente e ha come punti chiave la

personalizzazione e la qualità del servizio.

Si possono distinguere due forme di gestioni patrimoniali: la Gestione Patrimoniale

Mobiliare (Gpm), in cui il patrimonio del cliente è investito principalmente in strumenti finanziari

come azioni, obbligazioni e derivati, e la Gestione Patrimoniale in Fondi (Gpf), in cui il patrimonio

è investito in quote di fondi comuni e Sicav.

Il rapporto che si instaura tra cliente e intermediario è sostanzialmente un mandato

fiduciario, nel quale il cliente consegna del denaro all’intermediario per la costruzione di un

portafoglio di investimento, secondo determinate direttive di rischio-rendimento impartite dal

cliente, che l’intermediario può seguire però con un certo grado di discrezionalità.

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Per tali motivi, nella prestazione del servizio, gli intermediari devono attenersi

scrupolosamente a determinate norme e regole, che, tenendo conto della specificità del servizio,

sono preposte alla salvaguardia dell’investitore.

I principi base sono stabiliti dall’articolo 24 del Testo unico della finanza, che si aggiungono

a quelli previsti dall’articolo 30 per i servizi di investimento in generale, mentre la Consob, con

regolamento 11522 del 1998, ha disciplinato i singoli aspetti della materia. Il contratto, da redigersi

obbligatoriamente in forma scritta, deve indicare, in primo luogo, le caratteristiche della gestione,

intendendo con questa espressione le categorie di strumenti finanziari nelle quali può essere

investito il patrimonio gestito e gli eventuali limiti, la tipologia delle operazioni che l’intermediario

può effettuare sui suddetti strumenti finanziari, la misura massima della leva finanziaria che

l’intermediario, se autorizzato, può utilizzare in relazione alle caratteristiche della gestione

prescelta, indicando il limite massimo di perdite al raggiungimento delle quali l’intermediario è

tenuto a riportare la leva finanziaria a un valore pari a uno, e il parametro oggettivo di riferimento al

quale confrontare il rendimento della gestione.

Per categorie di strumenti finanziari si intendono: i titoli di debito, i titoli rappresentativi del

capitale di rischio, o comunque convertibili in capitale di rischio, le quote o le azioni di organismi

di investimento collettivo, gli strumenti finanziari derivati e i titoli strutturati.

All’interno di ogni categoria, gli strumenti finanziari si differenziano in funzione della valuta di

denominazione, della negoziazione in mercati regolamentati, delle aree geografiche di riferimento,

delle categorie di emittenti (emittenti sovrani, Enti Sopranazionali, emittenti societari) e dei settori

industriali. Inoltre, si differenziano in funzione di alcuni parametri specifici alle singole categorie:

la durata media finanziaria (duration) e il merito creditizio dell’emittente (rating) per i titoli

di debito; il grado di capitalizzazione dell’emittente per i titoli rappresentativi del capitale di rischio;

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la conformità alle disposizioni dettate dalla normativa comunitaria e la volatilità per le quote o le

azioni emesse da organismi di investimento collettivo; il risultato finanziario a scadenza (pay-off)

per gli strumenti finanziari derivati non utilizzati per finalità di copertura e per i titoli strutturati.

Le operazioni ammesse sugli strumenti finanziari sono le compravendite a pronti, le

compravendite a termine, le vendite allo scoperto, le compravendite a premio, le operazioni di

prestito titoli e di riporto e i pronti contro termine.

Chiariti questi concetti, poniamo l’accento sulla leva finanziaria e sui parametri oggettivi di

riferimento. Per leva finanziaria si intende il rapporto fra il controvalore di mercato delle posizioni

nette in strumenti finanziari e il controvalore del patrimonio affidato in gestione calcolato secondo

certi criteri. Qualora la leva finanziaria utilizzata superi l’unità, l’intermediario può contrarre

obbligazioni per conto dell’investitore che lo impegnano oltre il patrimonio gestito.

I parametri oggettivi di riferimento sono degli indicatori finanziari, elaborati da soggetti terzi e di

comune utilizzo, che l’intermediario deve indicare all’investitore, coerenti con i rischi connessi al

tipo di gestione e al quale commisurare i risultati della gestione stessa.

Continuando ora a parlare degli aspetti contenutistici, oltre agli aspetti relativi alle caratteristiche

della gestione appena visti, il contratto, inoltre, deve: individuare espressamente le operazioni che

l’intermediario non può compiere senza la preventiva autorizzazione dell’investitore (ove non siano

previste restrizioni tale circostanza deve essere espressamente indicata); indicare se gli strumenti

finanziari derivati possono essere utilizzati per finalità diverse da quella di copertura dei rischi

connessi alle posizioni detenute in gestione; indicare se l’intermediario è autorizzato a delegare a

terzi l’esecuzione dell’incarico ricevuto, specificando, nel caso in cui la delega non riguardi l’intero

portafoglio, gli strumenti finanziari, i settori o i mercati di investimento con riferimento ai quali

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l’autorizzazione viene rilasciata e, in ogni caso, gli eventuali limiti e condizioni dell’autorizzazione;

specificare che l’investitore può recedere in qualsiasi momento dal contratto ovvero disporre, in

tutto o in parte, il trasferimento o il ritiro dei propri valori, senza che a esso sia addebitata alcuna

penalità.

Terminati gli aspetti relativi al contratto, si riprendano quelli relativi al servizio di gestione

più in generale. Oltre alla forma scritta del contratto, il servizio di investimento prevede la

possibilità da parte del cliente di impartire istruzioni vincolanti in ordine alle operazioni da

compiere, il divieto per l’impresa di investimento, la società di gestione del risparmio o la banca,

salvo specifica istruzione scritta, di contrarre obbligazioni per conto del cliente che lo impegnino

oltre il patrimonio gestito e la possibilità di conferire la rappresentanza all’intermediario, per

l’esercizio dei diritti di voto inerente agli strumenti finanziari in gestione, con procura da rilasciarsi

per iscritto e per singola assemblea nel rispetto dei limiti e delle modalità previsti.

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10 Il servizio di gestione individuale di portafoglio


finanziario
Tra i servizi di investimento disciplinati dal D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, Testo unico

dell’intermediazione finanziaria (di seguito il t.u.f.) è compresa l’attività di “gestione su base

individuale di portafogli di investimento per conto terzi”. Si tratta di un’ attività che si differenzia

dagli altri servizi elencati dall’ art. 1, 5° comma t.u.f., soprattutto in considerazione del

trasferimento formale del potere decisionale dall’investitore all’intermediario e, quindi, per la

discrezionalità di cui gode l’intermediario nell’esecuzione dell’incarico.[1] Del resto, gli indizi della

peculiarità di tale servizio emergono con evidenza già dalla previsione di una specifica disciplina

dettata appositamente dal legislatore del 1998 (art. 24 t.u.f.).

Il testo normativo, tuttavia, non fornisce alcuna formula definitoria dell’attività in parola,

limitandosi ad offrire una mera indicazione evocativa di una determinata realtà economica ed

operativa. La nozione di gestione individuale, pertanto, può essere ricavata solo dallo studio delle

norme del testo unico finanziario, talvolta dalle disposizioni regolamentari delle autorità di

vigilanza e altra volta ancora dalle prassi di mercato.

10.1. La nozione di gestione individuale tra il sistema comunitario


ed il diritto nazionale

La gestione individuale consiste nell’incarico affidato da un cliente all’intermediario di

adottare, entro margini di discrezionalità più o meno ampi, decisioni di investimento, mediante

operazioni su strumenti finanziari finalizzate alla valorizzazione del patrimonio gestito ed i cui

risultati positivi o negativi ricadono direttamente sul patrimonio del cliente[2].

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Il termine “portafoglio”, che trascorre nel lessico legislativo dal vocabolario degli

economisti, trova corrispondenze nella direttiva comunitaria n. 93/22/CEE, relativa ai servizi di

investimento in valori mobiliari (cd. ISD), nel testo italiano, inglese (portfolio of investiment) e

francese (portefeuille). Il legislatore italiano, già dal d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415 (cd. Decreto

Eurosim), ha preferito adeguarsi alla scelta terminologica della direttiva, accogliendo la nozione di

portafoglio, meno “compromettente” da un punto di vista dogmatico di quella di patrimonio

presente nella previgente legge del 2 gennaio 1991, n. 1 (cd. Legge sulle SIM), giacché non allude

ad una categoria civilistica, ma semplicemente alla “composizione strutturale di un investimento”.

Autorevole dottrina[3], infatti, definisce il “portafogli” come insieme di valori fungibili, quali sono il

denaro e gli strumenti finanziari, rispetto ai quali coesistono “un vincolo di indisponibilità del

valore del coacervo e una libertà di alienazione delle specie ivi presenti”.

Occorre, peraltro, sottolineare alcune differenze tra il sistema comunitario e quello del testo

unico in ordine alla nozione del servizio di investimento in esame. La gestione individuale, infatti, è

qualificata dalla ISD come discrezionale e avente ad oggetto portafogli di investimento che

includono uno o più strumenti finanziari. La stessa definizione è riportata dall’attuale direttiva n.

2004/39/CE relativa ai mercati degli strumenti finanziari (nota anche come Mifid o ISD2): ai sensi

dell’art. 4, paragrafo 1, n. 9) della suddetta direttiva la “gestione del portafoglio” è definita come

“gestione, su base discrezionale ed individualizzata, di portafogli di investimento nell’ambito di un

mandato conferito dai clienti, qualora tali portafogli includano uno o più strumenti finanziari”.

Ad un’attenta analisi della nozione su riportata, da un lato, sembrano assoggettate alla

disciplina comunitaria le sole gestioni discrezionali e non quelle esercitate con il preventivo assenso

dell’investitore; dall’altro, si ammette la possibilità di gestioni di portafogli misti, che comprendono

(“includono”) strumenti finanziari, ma anche altri beni. Nella disciplina italiana, invece, formano

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oggetto di riserva di attività tutte le gestioni individuali, più o meno discrezionali, mentre è dubbia

l’ammissibilità di gestioni di portafogli misti.

La questione sulla suddetta difformità è stata rimessa in via pregiudiziale[4] alla Corte di

Giustizia delle Comunità Europee.

Nella relativa pronuncia[5], il giudice comunitario ha evidenziato gli elementi distintivi del

rapporto di gestione: l’esistenza di un mandato, l’investimento in valori mobiliari, la possibilità per

l’impresa di investimento di svolgere scelte discrezionali, nel rispetto delle linee strategiche scelte

dall’investitore. Nulla osta a che il legislatore nazionale adotti una definizione più ampia del

servizio in questione.

Sul punto è intervenuta anche la Consob, precisando che l’attività di gestione patrimoniale

individuale si connota principalmente per la finalità di valorizzazione di un determinato patrimonio,

perseguita mediante il compimento di una serie di atti unitariamente volti al conseguimento di un

risultato utile dell’attività di investimento e disinvestimento in valori mobiliari[6].

Anche la dottrina[7] ha individuato gli elementi caratterizzanti della gestione individuale di

portafogli nella destinazione a terzi del servizio, nella finalità di valorizzazione del patrimonio,

nell’attribuzione all’intermediario di uno spazio di discrezionalità, nella natura dei beni oggetto del

servizio e nella personalizzazione di quest’ultimo.

Pur nella laconicità delle definizioni normative, risulta chiaro che la gestione consiste in

un’attività di investimento e disinvestimento, volta a valorizzare il capitale investito, che si realizza

attraverso scelte più o meno discrezionali del gestore, laddove l’ampiezza della discrezionalità

dipenda dalle linee strategiche scelte dal cliente[8].

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10.2. La gestione individuale e le altre attività di intermediazione


finanziaria

La dottrina[9] è solita individuare lo specifico del servizio di gestione individuale

analizzando le caratteristiche che lo distinguono dalle altre attività di intermediazione finanziaria, in

particolare dalla gestione collettiva del risparmio.

Nonostante la presenza di fattispecie di confine, le gestioni individuali si distinguono da

quelle collettive, o “in monte”, per il carattere potenzialmente personalizzato della gestione. Questa

viene svolta nell’interesse del singolo cliente che ha conferito l’incarico, sia pure con la

standardizzazione derivante dal ricorso a “linee” di gestione predeterminate, e non

indifferenziatamente, nell’interesse della collettività degli investitori, come negli organismi di

investimento collettivo del risparmio su base contrattuale (fondo comune di investimento) o

societaria (SICAV). Indice della distinzione in parola è il potere di impartire istruzioni vincolanti,

spettante al cliente nelle gestioni individuali e che incide necessariamente sull’individuazione degli

obblighi del gestore e sulle relative responsabilità. È opportuno, peraltro, sottolineare la presenza di

indici normativi (il modello del “gestore unico” introdotto dal testo unico finanziario[10]) e della

prassi (il diffondersi di “gestioni patrimoniali in fondi” ed i “fondi di fondi”), tali da legittimare

l’ipotesi di un graduale processo di omologazione tra la gestione individuale e la gestione in monte

e l’ideale convergenza verso un’unica figura di gestore[11].

Ai fini di una corretta individuazione del servizio in esame, è opportuno individuare, inoltre,

una concettuale distinzione tra l’attività di gestione individuale e la negoziazione per conto terzi: la

prima si distingue dalla negoziazione per l’attribuzione all’intermediario di elementi di

discrezionalità[12] nella scelta delle operazioni da porre in essere, tali che, in mancanza di un apporto

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decisionale dell’intermediario stesso, l’operazione da porre in essere non sarebbe neppure

individuabile[13].

L’attività di gestione si differenzia anche dalla consulenza in materia di investimenti

finanziari, poiché l’obbligo di gestire comprende sia quello di effettuare discrezionalmente

valutazioni professionali circa le opportunità di investimento, sia quello di predisporre la possibilità

che dette valutazioni si traducano in operazioni. In sostanza, è previsto in capo al gestore anche un

potere-dovere dispositivo. Pertanto, si tratterà di un servizio di mera consulenza se la scelta di

tradurre in operatività i consigli rimane in capo al cliente[14].

10.3. L’attività di gestione individuale ed il relativo contratto

Le modalità di svolgimento dell’attività di gestione individuale hanno creato da sempre

rilevanti problemi nella elaborazione della disciplina del mercato finanziario, come testimoniato dal

sofferto iter normativo da cui è stata contrassegnata. Solo il testo unico finanziario ha posto

definitivamente in luce la vera natura del fenomeno gestorio, consistente nell’investimento a

carattere finanziario e nel corrispondente interesse del cliente alla redditività dell’investimento[15].

Nell’impostazione del d.lgs. 58/1998, il legislatore ha previsto, accanto alle regole generali

di comportamento dettate per tutti i servizi di investimento nell’art. 21 t.u.f., regole specifiche ed

ulteriori per l’attività di gestione di portafogli di investimento e per la disciplina del relativo

rapporto.

Le motivazioni di tale speciale disciplina sono di immediata evidenza. I poteri che si

conferiscono all’impresa di intermediazione con il relativo contratto e le prestazioni di servizio che

se ne ricevono presentano caratteri del tutto peculiari. Infatti, l’investitore consegna

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all’intermediario denaro (o denaro e valori), chiedendo una allocazione di risorse e una loro

successiva movimentazione; si tratta, dunque, di attività ampiamente discrezionali dell’impresa

“gestore”[16]. La scelta di una disciplina normativa più complessa, articolata e in ultima analisi, più

stringente, rispetto a quella prevista per gli altri servizi di investimento dovrebbe avere, pertanto,

l’obiettivo primario di tutelare la fiducia che il cliente ripone nell’intermediario, affinché

quest’ultimo utilizzi correttamente la discrezionalità conferitagli[17].

In particolare, l’art. 24, 1° comma t.u.f. contiene doveri di comportamento specifiche per il

contratto relativo alla prestazione del servizio di gestione di portafogli di investimento. Tali regole

risultano più elastiche della precedente disciplina, senza al contempo comportare una riduzione

della tutela offerta agli investitori; esse sono infatti a loro volta integrate dalla normativa secondaria

contenuta negli artt. 37 e ss. del regolamento Consob n. 11522/1998.

La lett. a) del medesimo art. 24, 1°comma t.u.f. prevede, inoltre, l’obbligo di forma scritta.

Anche se non indicato espressamente, deve ritenersi che tale forma sia richiesta ad substantiam,

argomentando dalla disposizione del 2°comma, che commina la nullità dei patti contrari alle

disposizioni dell’articolo in esame. L’obbligo di forma scritta va posto sullo stesso piano di quello

disposto in via generale per i contratti relativi ad altri servizi di investimento dall’art. 23, 1°comma.

Secondo autorevole dottrina[18], però, l’importanza della forma scritta nel servizio di gestione

individuale è testimoniata dalla specifica riproduzione di tale precetto, finalizzata a sancirne

l’inderogabilità in sede regolamentare anche in caso di contratto concluso con operatori qualificati

(art. 31, 1° comma regolamento Consob n. 11522/1998), a differenza dell’esonero consentito

dall’art. 23 per gli altri servizi di investimento, per ragioni tecniche o per la natura professionale dei

contraenti.

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Quanto al contenuto minimo del contratto di gestione, esso è fissato dalla normativa

secondaria, in particolare dall’art. 37 del regolamento Consob n. 11522/98). Le indicazioni richieste

sono finalizzate a delimitare la discrezionalità dell’intermediario ed a consentire al cliente di essere

edotto dei rischi che gravano sulla conservazione del patrimonio gestito.

In aggiunta a quanto fissato dall’art. 30 regolamento Consob n. 11522/98 per tutti i servizi di

investimento, il contratto di gestione deve indicare le “caratteristiche della gestione”; il potere del

cliente di impartire istruzioni vincolanti; le operazioni vietate senza preventiva autorizzazione del

cliente; la delega a terzi dell’attività di gestione; l’ammissibilità di operazioni speculative su

strumenti derivati. Si noti che le “caratteristiche della gestione” si sostanziano nella

predeterminazione di linee di gestione, con riferimento alle categorie di strumenti finanziari oggetto

di gestione, a loro volta suddivise in relazione alla divisa in cui sono espressi, al mercato in cui sono

negoziati; all’emittente, ove si tratti di un organismo di investimento collettivo, o in genere quando

si tratti di titoli di debito (art. 39); alla tipologia delle operazioni (compravendita a pronti e a

termine; vendite allo scoperto; compravendite a premio; operazioni di prestito titoli e di riporto;

pronti contro termine: art. 40); alla misura massima della leva finanziaria utilizzabile (art. 41); al

parametro oggettivo di riferimento per valutare il rendimento della gestione (art. 42).

Queste indicazioni, unitamente a quelle richieste in tema di conoscenza delle caratteristiche

del cliente e di realizzazione dei flussi informativi prima e durante lo svolgimento del rapporto (art.

28, 1° comma, lett. a) e 2° comma, regolamento Consob n. 11522/98), consentono di fissare il

carattere personalizzato della gestione[19].

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10.4. La disciplina del rapporto di gestione

Alcune disposizioni dell’art. 24, 1° comma t.u.f. sono rivolte, invece, alla disciplina del

rapporto di gestione, attraverso la definizione dei diritti e degli obblighi dei contraenti. In

particolare, sono contenute previsioni finalizzate a limitare, nell’interesse del cliente, il rischio del

compimento di operazioni di investimento in grado di incidere negativamente sul patrimonio

gestito.

In questa prospettiva rientra innanzitutto la regola di cui alla lett. b), secondo la quale il

cliente può impartire “istruzioni vincolanti in ordine alle operazioni da compiere”. Con

l’attribuzione del potere di impartire istruzioni si rende l’investitore consapevole di conservare il

potere di disposizione dei propri beni e si contribuisce a delimitare la discrezionalità del gestore.

L’individuazione delle operazioni che l’intermediario non può compiere senza la preventiva

autorizzazione dell’investitore deve essere effettuata nel contratto di gestione, così come in esso

deve essere indicata l’assenza di tali limitazioni (art. 37, 1° comma, lett. b) regolamento Consob n.

11522/98); rientra, infatti, nel potere di impartire istruzioni, in positivo, quello di indicare le

operazioni che il gestore deve sottoporre al preventivo assenso dell’investitore.

Nella stessa prospettiva della tutela dell’interesse del cliente attraverso il regolamento

contrattuale va inserita la regola della lett. c), con la quale si vieta alle imprese di investimento, alle

società di gestione del risparmio ed alle banche di contrarre obbligazioni per conto del cliente che lo

impegnino oltre il patrimonio gestito, salvo “specifica istruzione scritta” del cliente stesso. La

violazione di tale obbligo comporterà l’applicazione della disciplina della rappresentanza senza

poteri (art. 1398 c.c.), per cui il contratto con il terzo non sarà valido, mentre il gestore dovrà

risarcire il terzo nei limiti del cd. interesse contrattuale negativo. In ogni caso, ed in via esclusiva

nell’ipotesi di gestione in nome proprio, sarà configurabile nei rapporti interni la fattispecie

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dell’eccesso dai limiti del mandato (art. 1711 c.c.); con la conseguenza che l’operazione, in sé

valida, finirà per vincolare il gestore per la parte eccedente, salvo la ratifica del cliente.[20]

A rafforzare il divieto intervengono le previsioni regolamentari. Tra queste rientrano

l’obbligo di indicare nel contratto se gli strumenti finanziari derivati possano essere utilizzati per

“finalità diverse da quella di copertura dei rischi connessi alle posizioni detenute in gestione (cd.

hedging), in quanto l’uso con finalità speculative comporta il rischio di perdite superiori al valore

del patrimonio (art. 37, 1° comma, lett. d) regolamento Consob n. 11522/1998). Sullo stesso piano

si pone l’obbligo di autorizzare l’intermediario a fare uso della leva finanziaria in misura superiore

all’unità, con l’indicazione della misura relativa.

Nella disciplina del rapporto rientra, infine, la previsione della lett. d), relativa al diritto di

recesso dal contratto di gestione sia da parte del cliente che dell’intermediario. Al cliente è attribuito

il diritto di recedere dal contratto in ogni momento, anche in mancanza di giusta causa, nonostante

si tratti di contratti a tempo indeterminato (v anche art. 37, 1° comma, lett. e), regolamento Consob

n. 11522/98). Inoltre, risolvendosi una questione controversa, si stabilisce che al cliente non è

addebitata alcuna penalità, onde il carattere gratuito del recesso. In alternativa al recesso viene

previsto espressamente il diritto del cliente di trasferire o di ritirare in tutto o in parte le somma o i

valori mobiliari di cui è titolare. Ciò discende dalla disciplina introdotta dall’art. 21, 2° comma,

secondo cui la gestione, così come gli altri servizi di investimento, può essere svolta

dall’intermediario anche in nome proprio; pertanto, tale diritto non è più ricollegabile alla

preesistente titolarità in capo al risparmiatore del denaro e dei valori conferiti in gestione. È tuttavia

pacifico che il cliente recedente potrà giovarsi a tale fine del regime di separazione patrimoniale

previsto nell’art. 23. Il recesso ha efficacia immediata e sospende il compimento dell’intermediario

di operazioni sul patrimonio gestito, salvo gli atti necessari alla conservazione del patrimonio

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gestito e le operazioni non ancora eseguite, già disposte dall’investitore e da costui non revocate

(art. 37, 1° comma, lett. f) regolamento Consob n. 11522/1998).

La lett. d) fa salvo inoltre il diritto di recesso della banca, dell’impresa di investimento e

della società di gestione del risparmio, sulla base dell’art. 1727 c.c.; e dunque se il contratto di

gestione è a tempo determinato prevede un obbligo di risarcimento del danno al cliente in mancanza

di una giusta causa del recesso, mentre in caso di contratto a tempo indeterminato richiede un

congruo preavviso, salvo il risarcimento dei danni. Nell’ipotesi in cui, però, il cliente vada

configurato come consumatore, occorrerà rispettare le regole previste dall’art. 1469-bis, 4° comma

c.c., per i contratti aventi ad oggetto la prestazione di servizi finanziari, e quindi, nel caso di recesso

senza preavviso dal contratto di gestione a tempo determinato, sarà richiesta, affinché la relativa

clausola non rivesta carattere vessatorio, di un “giustificato motivo” e dell’immediata

comunicazione del recesso al cliente.[21]

[1]
Cfr., sul punto, SARTORI, F. Le regole di condotta degli intermediari finanziari, 2004, Milano, pagg. 98 e ss.

[2]
MIOLA, M. Commento all’art. 24, in Testo unico della Finanza, Commentario diretto da CAMPOBASSO, G. F.,

Torino, 2002, 213.

[3]
Cfr., sul punto, COSSU, M. La “gestione di portafogli di investimento” tra diritto dei contratti e diritto dei mercati

finanziari, Milano, 2002, 197 ss.

[4]
Cfr. TAR Toscana, sez. I, 11 luglio 2000, n. 6225, Giur. Comm., 2001, II, 62, con nota di MINERVINI, G., Gestione

di portafogli di investimento con preventivo assenso.

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[5]
Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, del 21 novembre 2002, C-365/2000, Testa c. Consob.

[6]
Comunicazione Consob, n. DAL/RM/95010385 del 5 dicembre 1995.

[7]
Cfr., anche per ulteriori riferimenti, SEPE, M., Il risparmio gestito, Bari, 2000, 121.

[8]
BASSO, M., Gestioni patrimoniali garantite, in Mondo bancario, 2003, 3, 70.

[9]
Cfr., inter ceteros, MIOLA, M. Commento all’art. 24, in Testo unico della Finanza, Commentario diretto da

CAMPOBASSO, G. F., Torino, 2002, 214; COSTI, R. Il mercato mobiliare, Torino, 2000; FALCONE - GRECO –

ROTONDO, La responsabilità nella prestazione dei servizi di investimento, 2004, Milano, 72 e ss.

[10]
Ai sensi dell’art. 33, 2° comma, lett. a), t.u.f. le società di gestione del risparmio possono prestare anche il servizio

di gestione individuale oltre quello di gestione collettiva.

[11]
Cfr., sul punto, VALENTINO, P. Intermediari e servizi di investimento, Milano, 2000, 287-

288.

[12]
Da intendere in riferimento al rapporto complessivo, e non alla singola operazione, considerato che nella gestione

individuale non è affatto escluso che il cliente dia istruzioni vincolanti al gestore, anzi è un tratto distintivo rispetto alla

gestione collettiva.

[13]
MACCARONE, M., La regolamentazione e i controlli dell’attività di gestione di patrimoni mobiliari, in Dir. banc.,

1989, 56.

[14]
Cfr. comunicazione Consob, n. BOR/RM/94005134 del 23 maggio 1994, Bollettino Consob, 1994, fasc. 5, 223. Sul

punto, anche De MARI, M., Orientamenti in tema di intermediari e promotori finanziari, in Foro it., 2002, I, 579.

[15]
MIOLA, M., Commento all’art. 24, in Testo unico della Finanza, Commentario diretto da CAMPOBASSO, G. F.,

Torino, 2002, 214.

[16]
BESSONE, M., I mercati mobiliari, cit., 154.

[17]
Cfr., sul punto, SARTORI, F. Le regole di condotta degli intermediari finanziari, 2004, Milano, pag. 106.

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[18]
Cfr., MIOLA, M. Commento all’art. 24, in Testo unico della Finanza, Commentario diretto da CAMPOBASSO, G.

F., Torino, 2002, 216.

[19]
Cfr., MIOLA, M. Commento all’art. 24, in Testo unico della Finanza, Commentario diretto da CAMPOBASSO, G.

F., Torino, 2002, 217.

[20]
Cfr., MIOLA, M. Commento all’art. 24, in Testo unico della Finanza, Commentario diretto da CAMPOBASSO, G.

F., Torino, 2002, 219.

[21]
MAZZINI, F. Regole prudenziali e obblighi di comportamento nella prestazione dei servizi di investimento, in

Intermediari finanziari, mercati e società quotate, a cura di PATRONI GRIFFI-SANDULLI-SANTORO, Torino, 1999,

178.

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11 Parole chiave della lezione


 PORTAFOGLIO

 DIVERSIFICAZIONE DEGLI INVESTIMENTI

 INCERTEZZA DEL VALORE DEL PATRIMONIO

 RAPPORTO DI GESTIONE

 GESTIONE INDIVIDUALE

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“LA POLITICA MONETARIA E IL
CONTROLLO DEL CREDITO”

PROF. COSTANTINO FORMICA


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il controllo del credito

Indice

1 OBIETTIVI DELLA POLITICA ECONOMICA ----------------------------------------------------------------------- 3


2 L’UNIONE MONETARIA EUROPEA E IL SISTEMA EUROPEO DELLE BANCHE CENTRALI ------- 5
3 LA POLITICA MONETARIA EUROPEA E I SUOI FONDAMENTI -------------------------------------------- 10
3.1. IL LEGAME TRA MONETA E INFLAZIONE ----------------------------------------------------------------------------------11
3.2. LA BASE MONETARIA E IL MOLTIPLICATORE DELLA MONETA ---------------------------------------------------------11
3.3. DEFINIZIONE E MISURAZIONE DELLA MONETA ---------------------------------------------------------------------------15
3.4. LA TRASMISSIONE A UNO O DUE STATI E LA SCELTA DELLA BCE-----------------------------------------------------17
4 GLI STRUMENTI DELLA POLITICA MONETARIA DELLA BCE -------------------------------------------- 20
4.1. LE OPERAZIONI DI MERCATO APERTO -------------------------------------------------------------------------------------20
4.2. LE OPERAZIONI SU INIZIATIVA DELLE CONTROPARTI -------------------------------------------------------------------21
4.3. LA RISERVA OBBLIGATORIA ------------------------------------------------------------------------------------------------21
5 PAROLE CHIAVE DELLA LEZIONE ---------------------------------------------------------------------------------- 23
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 24
SITOGRAFIA ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 25

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1 Obiettivi della politica economica


Le politiche monetarie e fiscali sono componenti indispensabili per la politica economica;

l’intreccio tra queste è così complesso che spesso risulta difficile stabilire se un’azione di politica

economica rientra nella sfera monetaria oppure in quella fiscale o viceversa.

Esistono certamente relazioni reciproche tra politica monetaria e politica economica che

possono così sintetizzarsi:

 È necessario assicurare equilibrio e coordinamento tra “politica monetaria”, “politica di

bilancio” e “politica dei redditi”, le quali, insieme, costituiscono il corpo principale della

moderna politica economica;

 Occorre che la politica economica agisca in un quadro strutturale – inteso e definito, per

esempio, in termini di grado di concorrenza nel mercato dei beni, dei servizi e del lavoro, ruolo

dello Stato, proprietà pubblica delle imprese – che rappresenta un fattore propedeutico al

conseguimento dei risultati sperati;

 È indispensabile adottare un orizzonte temporale di medio termine sia nell’impostare le azioni

di politica economica sia nel valutarne i risultati.

In questa chiave, si può definire la politica economica come insieme coordinato di

provvedimenti che, avvalendosi della politica monetaria, della politica di bilancio e della politica

dei redditi, intende perseguire obiettivi macroeconomici quali:

o Lo sviluppo del reddito;

o La crescita dell’occupazione;

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o La stabilità dei prezzi;

o L’equilibrio nella bilancia dei pagamenti.

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2 L’Unione Monetaria Europea e il Sistema


Europeo delle Banche Centrali
L’UEM (Unione Economica e Monetaria) è costituita dai Paesi dell’Unione Europea che

hanno adottato l’euro come moneta (Paesi dell’area euro); la sua nascita è l’atto finale di un

percorso che ha attraversato numerose tappe, la prima delle quali è iniziata nel 1961 con la

proposta da parte del Comitato per gli Stati Uniti dell’Europa di realizzare l’Unione Europea delle

Riserve Monetarie; l’ultima tappa risale al 1° gennaio 1999, quando l’euro diventa moneta unica

e la quotazione nel suo primo giorno di vita è di 1,16675 sul dollaro.

Poiché la realizzazione di un’Unione monetaria richiede che tutti i paesi aderenti abbiano

situazioni economico-finanziarie compatibili tra loro, al fine di non generare tensioni sulla futura

moneta con il Trattato di Maastricht (1992) si decise di prevedere quattro obblighi di convergenza:

 Stabilità dei prezzi. Il tasso di inflazione del singolo pese non doveva superare di oltre 1,5% la

media dei tre paesi aderenti a più bassa crescita dei prezzi;

 Situazione finanziaria pubblica sostenibile. Il rapporto deficit corrente/PIL doveva essere

inferiore al 3% e il rapporto stock di debito corrente/PIL inferiore al 60%;

 Stabilità del cambio. Non dovevano essersi verificati riallineamenti sulla parità centrale nello

SME (Sistema Monetario Europeo) nei due anni precedenti;

 Costo del denaro contenuto. Il tasso di interesse a lungo termine dei singoli Paesi nell’anno

precedente la richiesta di adesione non poteva superare di oltre il 2% la media dei tre paesi

membri dell’area monetaria con più basso tasso di interesse.

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L’attuazione della politica monetaria unica è affidata al SEBC (Sistema Europeo delle

Banche Centrali) (Figura 1) , previsto dall’art. 107 del Trattato istitutivo dell’Unione. Il SEBC è

un’organizzazione complessa, nata dall’esigenza di attuare una politica monetaria unica in più

Paesi, ognuno dei quali ancora dotato di autonomia politica ei fiscale, e costituita da:

 BCE (Banca Centrale Europea), alla quale sono conferiti i poteri decisionali in materia di

politica monetaria unica;

 BCN (Banche Centrali Nazionali) dei Paesi aderenti all’UME (Unione Monetaria Europea) con

compiti operativi nell’0attuazione della politica monetaria;

 Banche Centrali dei Paesi dell’UE non aderenti all’UME con un ruolo consultivo.

Il SEBC non ha autonomia giuridica ma è strutturato in modo da: accentrare la fase

decisionale nella BCE; decentrare la fase operativa alle BCN aderenti all’UME; dare un ruolo, sia

pure di natura consultiva e di raccordo, anche alle banche centrali dei Paesi non aderenti all’UME.

Altro organismo importante, non dotato di personalità giuridica, è l’Eurosistema, composto

dalla BCE e dalla sole BCN aderenti all’UME, organizzazione che sovrintende, delibera e attua la

politica monetaria europea: la necessità di generare questa nuova aggregazione nasce dalla non

coincidenza tra Paesi partecipanti all’UE e Paesi aderenti all’UME. Poiché vi partecipano anche le

banche centrali di Paesi che non adottano l’euro, il SEBC non può essere l’organizzazione alla

quale conferire la responsabilità della politica monetaria; da qui la necessità di un’aggregazione più

ristretta (l’Eurosistema, appunto) composta dalla BCE e dalle BCN dei Paesi che hanno adottato

l’euro. Nelle pubblicazioni della BCE (Relazione annuale e Bollettini mensile) i dati forniti sono

reattivi all’Eurosistema e risultanti dall’aggregazione dei dati della BCE e della BCN aderenti.

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La BCE, banca sovranazionale, dal 1° gennaio 1999 ha il compito di gestire la politica

monetaria europea e di assicurare il buon funzionamento del sistema dei pagamenti; tale seconda

funzione è propedeutica alla prima, in quanto solo se la liquidità può fluire rapidamente da un

Paese all’altro e con costi di transazione trascurabili, si porranno le basi perché esista un mercato

monetario unico e, quindi, un tasso di mercato interbancario unico nell’ambito dell’UME (Pittaluga,

2007): da questa necessità nasce l’istituzione del Sistema dei pagamenti transfrontalieri TARGET

(Trans-European Automated Real-Time Gross Settlment Express Transfer System).

La governance della BCE, il cui capitale è stato sottoscritto e versato dalla BCN per un

ammontare determinato dalla quota relativa dello Stato di appartenenza sul Prodotto Interno Lordo

e sulla popolazione dell’Unione, è incentrata su:

 Due organi decisionali con competenze su preparazione, conduzione e attuazione della politica

monetaria: il Consiglio Direttivo e il Comitato Esecutivo, entrambi presieduti dal Presidente

della BCE o, in assenza, dal Vice Presidente;

 Un organo consultivo e di raccordo rappresentato dal Consiglio Generale.

Il Consiglio Direttivo, formato dai sei membri del Comitato Esecutivo e dai Governatori

delle BCN dell’area euro ha la funzione di:

 Adottare le decisioni e gli indirizzi necessari ad assicurare l’assolvimento dei compiti affidati

all’Eurosistema;

 Formulare la politica monetaria dell’area euro.

Le BCN-Banche Centrali Nazionali svolgono tipicamente due ruoli:

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1. Quello nazionale affidato loro dal proprio Paese di origine (per esempio, alla Banca d’Itala è

affidata , tra gli altri, la vigilanza del sistema bancario);

2. Quello comunitario di braccio esecutivo nell’ambito dell’Eurosistema, e in base al quale le

BCN:

a. Ricevono al riserva obbligatoria e le eventuali riserve libere che le controparti hanno la

facoltà di mantenere presso l’Eurosistema;

b. Realizzano le operazioni dell’Eurosistema in applicazione delle decisioni adottate dal

Consiglio Direttivo della BCE che ne stabilisce modalità e condizioni; in particolare,

operazioni di mercato aperto (operazioni di rifinanziamento principale, operazioni di

rifinanziamento a più lungo termine, operazioni di fine-tuning1 e operazioni di tipo

strutturale);

c. Sono la controparte delle istituzioni finanziarie nelle operazioni di rifinanziamento

marginale e di deposito overnight;

d. Assistono inoltre la BCE nella raccolta delle statistiche dalle competenti autorità

nazionali; possono emettere banconote; possono imporre sanzioni.

1
Orientamento di politica economica («perfetta sintonia») di derivazione keynesiana, che consiste nel ritenere necessari
continui interventi delle autorità governative in risposta a fluttuazioni all’interno del sistema economico. Si tratta
essenzialmente di considerare come oggetto della politica monetaria e fiscale tutti i cambiamenti indesiderati di variabili
economiche quali il tasso di disoccupazione, il tasso di crescita dell’offerta di moneta e il livello dei prezzi. Le maggiori
critiche all’attuazione del f., mosse soprattutto da M. Friedman e dalla scuola monetarista negli anni 1960, sono state
essenzialmente basate sul fatto che continui interventi di stabilizzazione dell’economia in reazione a fluttuazioni di lieve
entità sono inutili e la stabilizzazione dell’economia deve invece essere affidata alle spontanee forze riequilibratrici del
sistema economico.

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Figura1 SEBC ed Eurosistema

Banca Centrale Europea


Eu
ro
sis
te
ma
Nationale Bank van Banca d’Italia
S
E Belgie
De Nederlandsche Bank
B
C Deutsche Bundesbank
Banco de Portugal

Banco de España
Suomen Pankki

Banque de France
Banca di Grecia

Central Bank of Ireland


Oesterreichische

Banque centrale du Nationalbank

Luxembourg

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3 La politica monetaria europea e i suoi fondamenti


La disposizione principale del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea in materia di

politica monetaria sancisce che l’obiettivo primario dell’Eurosistema è il mantenimento della

stabilità dei prezzi. Incentrando su tale obiettivo la politica monetaria della BCE, il Trattato riflette

il pensiero economico moderno per quanto concerne il ruolo, la portata e i limiti della politica

monetaria e stabilisce il fondamento per l’assetto istituzionale e organizzativo del sistema di banche

centrali nell’Unione economica e monetaria.

Vi sono valide ragioni per la definizione dell’obiettivo di preservare la stabilità dei prezzi.

Innanzitutto, come confermano decenni di esperienza pratica e numerosi studi economici, il

conseguimento di una stabilità durevole dei prezzi rappresenta il maggiore contributo che la politica

monetaria possa offrire al miglioramento delle prospettive economiche e all’innalzamento del

tenore di vita dei cittadini.

In secondo luogo, i fondamenti teorici e l’esperienza dimostrano che la politica monetaria

può incidere, in ultima istanza, esclusivamente sul livello dei prezzi, mentre non esercita alcuna

influenza durevole sulle variabili dell’economia reale, se non attraverso gli effetti positivi della

stabilità dei prezzi. Mantenere stabili i prezzi rappresenta, quindi, il solo obiettivo realizzabile per la

politica monetaria unica nel medio periodo.

L’Eurosistema deve operare in conformità del principio di un’economia di mercato aperta e

in libera concorrenza, favorendo un’efficiente allocazione delle risorse.

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3.1. Il legame tra moneta e inflazione

Partendo dall’equazione degli scambi di Fisher2, in base alla quale il valore totale delle

transazioni - dato dal numero di transazioni (T) per il prezzo medio di transazione (P) - è pari al

volume necessarie per coprirle, a sua volta dato dalla quantità di moneta in circolazione (M) per la

sua velocità di circolazione (V). In altri termini:

MxV = PxT

Data poi la difficoltà di misurare il numero di transazioni (T) alcuni studiosi3 hanno ritenuto

opportuno sostituire il numero di transazioni T con il reddito reale Y, nel presupposto che vi è

proporzionalità tra reddito reale e numero di transazioni, in quanto più sono i beni prodotti,

maggiori sono le transazioni generate. Pertanto l’equazione diventa:

MxV = PxY

dalla quale si ricava la funzione di domanda di moneta che evidenzia chiaramente come - a

parità di velocità di circolazione e di reddito reale – il livello dei prezzi varia in funzione della

quantità di moneta: M = k x P x V (dove k = 1/V).

3.2. La base monetaria e il moltiplicatore della moneta

La “base monetaria” è la quantità di moneta creata direttamente dalla banca centrale che

vien fatta coincidere con la sommatoria di moneta legale (banconote e monete metalliche) in

circolazione e di depositi liberi e obbligatori detenuti dalle banche presso la banca centrale; questo

2
http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_quantitativa_della_moneta
3
Marshall e gli economisti di Cambridge - www.treccani.it › Enciclopedia

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aggregato (al netto del patrimonio, dei fondi rischi e delle monete metalliche emesse dal Tesoro),

di fatto, costituisce il passivo della banca centrale. Insomma, la base monetaria rappresenta la

quantità di moneta che vien messa in circolazione (solo e soltanto ad opera della banca centrale) e

che vien detenuta sia dal pubblico, sotto forma di contante, sia dalle banche , sotto forma di

contante e di deposito presso la banca centrale.

Ovverossia, lo ”stato patrimoniale” della banca centrale, l’attivo e il passivo è costituito,

semplificando, dall’uguaglianza tra riserve ufficiali + finanziamenti a banche e Tesoro (l’attivo) e

moneta in circolazione + riserve bancario (il passivo).

Dunque, la “base monetaria” si genera (“creazione”) quando la banca centrale eroga credito

o effettua un pagamento alle proprie controparti, tipicamente, le banche, l’estero e il Tesoro (anche

se va ricordato che è fatto divieto alle BCN e alla BCE di finanziare direttamente gli Stati).

Seguiamo in dettaglio il meccanismo: se la banca centrale concede un prestito a una banca, allora

accende un credito e fornisce euro in contropartita e gli auro a disposizione del pubblico

aumentano: così si genera un aumento sia dell’attivo (in relazione al credito concesso) sia al

passivo (per la moneta emessa). Simmetricamente, quando una banca estingue un prestito ottenuto

dalla banca centrale, gli euro saranno sottratti la mercato e quindi la base monetaria diminuisce

(“distruzione”). In termini contabili, nello stato patrimoniale della banca centrale si riducono sia

l’attivo (riduzione dei crediti in essere) sia il passivo (riduzione della moneta in circolazione) ; di

fatto la banca centrale non ha all’attivo “euro in cassa” in quanto tutti gli euro incassati vanno a

ridurre la voce del passivo “euro emessi”. In sintesi, la banca centrale, quando immetto euro o con

cede credito incrementando il proprio attivo , “crea” base monetaria; quando ritira euro o vengono

estinti prestiti riducendo il proprio attivo, “distrugge” base monetaria.

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La base monetaria rappresenta dunque un aggregato direttamente gestito dalla banca

centrale, ma non l’intera moneta a disposizione del pubblico, in quanto le banche possono essere

loro stesse creatrici di moneta bancaria; pertanto l’offerta di moneta è rappresentata dal circolante

più i depositi bancari utilizzati per effettuare pagamenti. Questo consente di effettuare due

differenti definizioni analitiche:

moneta disponibile (M) = circolante (C) + depositi (D) [4]

base monetaria (BM) = circolante (C ) + riserve bancarie (R) [5]

Poiché le riserve bancarie possono essere detenute sotto forma di riserva libera (RL) o di

riserva obbligatoria presso la banca centrale (RO), l’equazione [5] può essere riscritta come segue:

BM = C + RL + RO [6]

Dividendo poi le equazioni [4] e [6] per i depositi D, si ottengono:

M/D = C/D + D/D [7]

BM/D = C/D + RL/D + RO/D [8]

Dove:

 C/D rappresenta la proporzione deal raccolta tra moneta legale e moneta bancaria, indicata con

p;

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 RL/D è il coefficiente di riserva libera che le banche detengono rispetto allo stock dei depositi

ottenuti, indicato con rl;

 RO/D rappresenta il coefficiente di riserva obbligatoria detenuto presso la banca centrale,

indicato con ro;

 RL/D + RO/D rappresenta il totale delle riserve, liberamente e a vario titolo detenute dalle

banche, indicato con b.

Operando le opportune sostituzioni si avrà:

M/D = p + 1 [7’]

BM/D = p + b [8’]

Dividendo l’equazione [7’] per l’equazione [8’] e successivamente risolvendo per M, si

ottiene: M/BM = (p + 1)/(p + b) e

M = BM x (p + 1)/(p + b) [9]

L’equazione [9] fa rilevare che la quantità di moneta è direttamente proporzionale alla base

monetaria, alla quale è legata dal rapporto (p + 1)/(p + b), correntemente definito moltiplicatore

monetario; pertanto è facile constatare che:

 L’offerta di moneta è un multiplo della base monetaria, per cui ogni aumento della moneta in

circolazione provoca un aumento proporzionale della moneta offerta;

 Quando minore è il rapporto riserve/depositi, tanto maggiore è il volume di prestiti effettuato

dalle banche e tanto maggiore la quantità di moneta bancaria;

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 Quanto minore è il rapporto circolante/depositi tanto minore è la quantità di base monetaria

rappresentata dal circolante e tanto maggiore quella rappresentata dalle riserve bancarie.

Si osserva, infine che:

 p, ossia la propensione del pubblico a detenere moneta legale rispetto ai depositi, dipende

dal livello dei tassi di interesse: più essi sono elevati, meno è conveniente detenere

contante;

 b, ossia la propensione a detenere riserve, dipende dal costo implicito nel detenere riserve

(rendimenti alternativi), dal vincolo di riserva obbligatoria imposto dalla banca centrale e

dai movimenti in entrata e uscita di moneta legale.

 Con riferimento all’Eurosistema , il moltiplicatore è stimabile in circa 21 volte la base

monetaria.

3.3. Definizione e misurazione della moneta

La moneta può essere definita come l’insieme delle attività che possono essere facilmente

impiegate per effettuare transazioni; di conseguenza, possono rientrare in questo aggregato:

 La moneta legale detta “contante” o “circolante”, quale strumento di massima liquidità;

 I depositi in c/c , che grazie all0utilizzo di assegni , bonifici e giroconti consentono di effettuare

i pagamento con immediatezza;

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 Gli altri strumenti che per scadenza, vita residua, mercato di negoziazione sono liquidabili

facilmente e senza costi per consentire l’effettuazione dei pagamenti, ossia i depositi a

risparmio liberi, , con preavviso o a scadenza breve, i tioli di mercato monetario, le operazioni

di pronti contro termine, le quote di fondi comuni monetari.

Di conseguenza, si possono identificare molteplici aggregati di moneta progressivamente

ordinati in funzione della loro capacità di consentire direttamente transazioni o di essere

immediatamente ed economicamente trasformabili in denaro o in depositi in c/c. In ambito UME

sono stati definiti, in funzione del carattere monetario delle attività incluse, i seguenti tre aggregati:

 M1, aggregato ristretto, costituito dalla moneta legale e dai depositi a vista immediatamente

convertibili in denaro (depositi a risparmio) o direttamente utilizzati per effettuare pagamenti

(depositi in c/c);

 M2, aggregato intermedio, costituito da M1 e dai depositi bancari - quelli con scadenza fissa

fino a due anni e quelli rimborsabili con preavviso fino a tre mesi – che, grazie al lor grado di

liquidità, possono essere convertiti in contante o in depositi a vista velocemente e con costi

minimi;

 M3, aggregato ampio, costituito, oltre che da M2, da quelli strumenti - pronti contro termine,

quote di fondo di investimento monetario, titoli di mercato monetario, obbligazioni con

scadenza fino a due anni – caratterizzati da elevato grado di liquidità e certezza del prezzo di

liquidazione.

Questi tre aggregati fanno riferimento solo alle attività, denominate in euro e in valuta,

detenute dai “residenti” dell’area euro presso le cosiddette IFM (Istituzioni Finanziarie Monetarie)

situate nell’area: le IFM sono costituite da banche centrali, banche, fondi comuni monetari, e altre

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istituzioni finanziarie residenti, la cui attività consiste nel ricevere depositi e/o strumenti altamente

sostituibili ai depositi da enti diversi dalle IFM e nel concedere crediti e/o effettuare investimenti

in titoli per conto proprio (BCE, 1999).

La politica monetaria ottimale è dunque il risultato della definizione del miglior equilibrio

tra gli aggregati (tra ristretto, intermedio e ampio), e deve corrispondere prioritariamente alle

seguenti caratteristiche: stabilmente correlato all’inflazione e quindi anticipatore delle variazioni

dei prezzi; rilevabile, misurabile e controllabile (nel senso di “gestibile”) dalle autorità monetarie.

L’esperienza dimostra che, in proposito:

 M3 di solito mostra maggiore stabilità e migliori proprietà anticipatorie di quelli ristretti (M1 e

M2);

 Circa la stabilità di relazione con i prezzi e la controllabilità, si è empiricamente riscontrato un

trade-off : gli aggregati ristretti M1 sono più controllabili ma hanno una relazione meno stabile

con i prezzi, mentre il contrario avviene con gli aggregati più ampi M3.

 Da qui la scelta della BCE di monitorare tutti e tre gli aggregati, ma di dare un peso maggiore

ad M3 che, pur essendo meno controllabile nel breve termine, presenta, rispetto a quelli

ristretti, caratteristiche migliori in termini di stabilità di relazione e di capacità anticipatoria

del trend dei prezzi.

3.4. La trasmissione a uno o due stati e la scelta della BCE

Il meccanismo di trasmissione, in generale, è il processo in base al quale le variazioni dei

tassi di interesse influenzano, attraverso vari canali, le scelte degli operatori di mercato, l’attività

economica e, in ultima istanza, il livello generale dei prezzi.

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Posto che obiettivo finale è quello del contenimento dell’inflazione, la strategia di politica

monetaria europea, le strategie operative ovvero il disegno di intervento su cui si basa il

meccanismo di trasmissione si articolano in base a due schemi di base.

 Schema a due stadi – Le autorità monetarie perseguono l’obiettivo del contenimento

dell’inflazione in due tappe: 1) conseguire un obiettivo intermedio di carattere monetario con

strumenti a diretta disposizione della banca centrale; 2) lasciare che l’obiettivo intermedio

eventualmente conseguito esplichi i suoi effetti. Per esempio si decide il rialzo dei tassi policy

(!), il quale provocherà una riduzione della massa monetaria; una volta conseguito tale

obiettivo intermedio , i meccanismi di mercato determineranno (2) un raffreddamento dei

prezzi per il calo nella domanda di beni reali.

 Nello schema a uno stadio, grazie a meccanismi di trasmissione automatica tra variabili

monetarie e variabili reali, la banca centrale influisce sull’ obiettivo inflattivo usando

direttamente strumenti monetari.

La BCE e le banche centrali in generale, solitamente utilizzano strategie denominate

“monetary targeting” e “inflation targeting”.

La strategia del “monetary targeting”, influenza l’inflazione e l’attività economica attraverso

il controllo di alcuni aggregati monetari. In base a questo approccio, l’offerta di moneta è l’obiettivo

intermedio, da conseguire operando sui tassi di interesse controllati dall’autorità monetaria;

pertanto, dato il valore desiderato della crescita dei prezzi (obiettivo finale) si determina il valore da

assegnare alla quantità di moneta (obiettivo intermedio). Questo comportamento non è risultato

ovunque vantaggioso. La strategia del “inflation targeting” rappresenta invece quel regime dove la

Banca Centrale si impegna esplicitamente a condurre la politica monetaria al fine di conseguire

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entro un certo intervallo di tempo, un target di inflazione prestabilito quantitativamente e

annunciato pubblicamente. Questo obiettivo impone alla Banca Centrale di intervenire quando si

registra una deviazione dei valori effettivi dal valore obiettivo prestabilito, ne consegue che tale

strategia aumenta notevolmente la trasparenza e dunque la credibilità delle Autorità. Il vantaggio

dell’inflation targeting consiste nel fatto che l’orientamento della Banca Centrale è delineato in

modo chiaro e visibile, esso si consolida direttamente all’obiettivo di stabilità dei prezzi, di contro,

lo svantaggio più evidente è rappresentato dal fatto che, il tasso di inflazione non è direttamente

influenzabile dalla stessa.

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4 Gli strumenti della politica monetaria della BCE


La BCE punta a conseguire due obiettivi stringenti ovvero:

 Influenzare i tassi di interesse di mercato e avviare il meccanismo di trasmissione;

 Segnalare il proprio orientamento agli operatori economici (banche, imprese, famiglie) i

cui comportamenti dovrebbero essere coerenti, inoltre:

 Assicurare l’ordinato funzionamento del mercato monetario;

 Aiutare le istituzioni creditizie a soddisfare il proprio fabbisogno di liquidità.

Per raggiungere questo obiettivi la BCE si avvale dei seguenti strumenti: le operazioni di

mercato aperto; le operazioni su iniziativa delle controparti; la riserva obbligatoria.

4.1. Le operazioni di mercato aperto

Le operazioni sul mercato aperto (open market operations) sono transazioni che la banca

centrale effettua in Borsa. Il termine è usato con riferimento alle sole banche centrali, che per

statuto non hanno profitti e, diversamente dagli altri operatori, agiscono non con finalità di lucro,

ma per sostenere la moneta nazionale. Mediante operazioni sul mercato aperto la banca centrale

acquista/vende titoli di Stato, immettendo o assorbendo moneta. I titoli di Stato vengono collocati in

un'asta (esterna alla Borsa), riservata a grandi investitori istituzionali che rivendono i titoli ai

risparmiatori e ad altri soggetti economici. In Borsa esiste un mercato secondario dei titoli, in cui i

titoli scambiati non sono degli emittenti, ma di acquirenti (piccoli risparmiatori e imprese, ma anche

banche che li rivendono alla clientela), che decidono di vendere. La compravendita dei titoli di

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Stato è il principale canale con il quale la Banca centrale assolve il suo compito statutario di

regolare la quantità di moneta. Comprando titoli, inietta moneta nel sistema; vendendoli, raccoglie

moneta riducendo la liquidità in circolazione. Le operazioni sul mercato aperto assicurano la

liquidità necessaria al sistema bancario, come è riportato nei testi di economia. Da notare che non è

affatto equivalente ad assicurare la liquidità al sistema economico (di cui quello bancario è solo un

sottosistema), ovvero a monetizzare il mercato. Le operazioni sul mercato aperto sono quindi il

modo in cui tecnicamente le banche centrali danno attuazione alla politica monetaria, a seguito di

una decisione di alzare/abbassare i tassi.

4.2. Le operazioni su iniziativa delle controparti

L’Eurosistema offre due operazioni attivabili su iniziativa delle controparti:

- le operazioni di rifinanziamento marginale;

- i depositi presso la banca centrale.

Entrambi gli strumenti hanno scadenza overnight e sono disponibili a richiesta delle

controparti; la Banca d’Italia gestisce tali operazioni nei confronti delle banche presenti sul

territorio nazionale.

4.3. La riserva obbligatoria

La BCE impone alle istituzioni creditizie di mantenere un deposito sui conti aperti presso le

BCN a titolo di riserva obbligatoria, remunerato al tasso delle operazioni di rifinanziamento

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principali dell’Eurosistema. La Banca d’Italia accerta l’importo della riserva dovuta da ciascuna

istituzione creditizia residente in Italia e applica il regime sanzionatorio previsto dalla BCE in caso

di inadempienza dell’obbligo.

L’aggregato soggetto agli obblighi di riserva comprende le seguenti passività delle banche:

depositi, titoli di debito, strumenti di raccolta a breve termine, . Sono escluse le passività nei

confronti della BCE e delle BCN. Si applica un’aliquota pari a zero alle passività con scadenza

superiore a due anni e ai pronti contro termine, pari al 2% alle rimanenti, con un’esenzione di

100.000 euro dalla riserva dovuta.

Gli strumenti di politica monetaria dell’Eurosistema

Fonte: Pubblicazione della BCE del febbraio 2005 intitolata “L’attuazione della politica

monetaria nell’area dell’Euro

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5 Parole chiave della lezione


 OBIETTIVI DELLA POLITICA ECONOMICA

 POLITICA MONETARIA

 UNIONE MONETARIA

 STABILITA’ DEI PREZZI

 STRUMENTI DI POLITICA MONETARIA

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Bibliografia
 L. Nadotti, C. Porzio, D. Previati – Economia degli intermediari finanziari, Milano,

McGraw-Hill, 2010

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Sitografia
 Marshall e gli economisti di Cambridge - www.treccani.it › Enciclopedia

 http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_quantitativa_della_moneta

 http://www.ecb.europa.eu/pub/pdf/other/escb_it_webit.pdf

 http://www.ecb.europa.eu/pub/pdf/other/escb_it_webit.pdf

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“LA DIRETTIVA MIFID”

PROF. COSTANTINO FORMICA


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Indice

1 PREMESSA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 L’ELIMINAZIONE DELL’OBBLIGO DI CONCENTRAZIONE NELLA DIRETTIVA MIFID – LA
RATIO DELL’OBBLIGO ----------------------------------------------------------------------------------------------------------- 4
3 DALLA ISD ALLA MIFID--------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
4 GLI OBIETTIVI DELLA MIFID------------------------------------------------------------------------------------------- 9
5 L’ORGANIZZAZIONE DEI MERCATI -------------------------------------------------------------------------------- 10
6 LE RELAZIONI CON LA CLIENTELA -------------------------------------------------------------------------------- 12
7 ADEGUATEZZA, APPROPRIATEZZA E MERA ESECUZIONE DEGLI ORDINI ------------------------- 13
8 CLIENTI PROFESSIONALI, CLIENTI AL DETTAGLIO E CONTROPARTI QUALIFICATE ---------- 15
9 I REQUISITI ORGANIZZATIVI DEGLI INTERMEDIARI ------------------------------------------------------- 18
10 IL RECEPIMENTO DELLA MIFID NELL’ORDINAMENTO ITALIANO ------------------------------------ 19
11 IL QUESTIONARIO MIFID ----------------------------------------------------------------------------------------------- 20
12 MIFID, LE NOVITÀ DELL'ACCORDO SULLE NUOVE REGOLE --------------------------------------------- 26
13 PAROLE CHIAVE DELLA LEZIONE ---------------------------------------------------------------------------------- 29
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 30
SITOGRAFIA ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 31

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1 Premessa
MiFID è l’acronimo inglese di Markets in Financial Instruments Directive – in italiano

"Direttiva sui Mercati degli Strumenti Finanziari" (Direttiva 2004/39/CE). Approvata dal

Parlamento Europeo nell’aprile del 2004, la MiFID sostituisce ed abroga la precedente Investment

Services Directive (Direttiva 93/22/CEE, cd. ISD), innovando radicalmente il quadro giuridico

comunitario in tema di offerta di servizi di investimento. Insieme alla Direttiva in materia di abusi

di mercato (cd. Market Abuse o MAD), alla Direttiva sui prospetti informativi e alla Direttiva

sull’armonizzazione degli obblighi di informativa degli enti quotati, la MiFID costituisce parte

integrante del Piano di Azione sui Servizi Finanziari adottato dalla Commissione Europea nel

maggio del 1999 (Financial Services Action Plan – FSAP).

In conformità con l’approccio proposto dal Comitato Lamfalussy, il sistema normativo

della MiFID si articola su tre livelli:

 il primo livello, rappresentato dalla citata Direttiva 2004/39/CE, che definisce i principi generali

della regolamentazione;

 il secondo livello, rappresentato dal Regolamento 1287/2006/CE (relativo alla disciplina dei

mercati e in particolare alle questioni della trasparenza pre e post-trade) e dalla Direttiva

2006/73/CE (che detta disposizioni in materia di condotta e organizzazione degli intermediari

che prestano servizi e attività di investimento);

 il terzo livello, corrispondente all’emanazione da parte del Committee of European Securities

Regulators (CESR) di linee guida dirette ad assicurare un’omogenea ricezione ed applicazione a

livello nazionale di tutti gli atti normativi adottati ai primi due livelli.

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2 L’eliminazione dell’obbligo di concentrazione


nella Direttiva Mifid – La ratio dell’obbligo
L’obbligo per gli intermediari di eseguire le negoziazioni dei valori mobiliari

esclusivamente nei mercati ufficiali in cui gli stessi sono quotati è stato introdotto nel nostro

ordinamento per la prima volta con la legge Sim (l.1/91).

In un mercato borsistico caratterizzato da cronici problemi di liquidità quale quello italiano,

l’obbligo di esecuzione delle negoziazioni su tale mercato avrebbe dovuto contribuire ad aumentare

il volume degli scambi, accrescendo la trasparenza di operazioni altrimenti concluse fuori borsa, e

quindi ignote al mercato, laddove invece la correttezza nella formazione dei prezzi dovrebbe venire

assicurata dall’incontro sul mercato di domanda e offerta.

L’obbligo di concentrazione rispondeva inoltre all’esigenza di tutela del contraente debole,

come indirettamente dimostrato dalla norma che prevedeva l’obbligo per l’intermediario di eseguire

le negoziazioni alle migliori condizioni possibili; tale condizione si considerava soddisfatta, per

presunzione, nel caso in cui la negoziazione fosse avvenuta nei mercati regolamentati.

Mentre l’ordinamento italiano muoveva verso la concentrazione delle negoziazioni, già nel

’93 l’orientamento comunitario, che trovava applicazione con la Direttiva 93/22/CE1, era indirizzato

invece sulla libertà di esecuzione delle negoziazioni al di fuori dei mercati regolamentati, lasciando

all’organo di controllo dei singoli Stati membri l’individuazione delle ipotesi in cui l’obbligo

trovava applicazione. La piena apertura concorrenziale dei mercati agli operatori esteri2 , e di

1
Direttiva 93/22/CE del 10 maggio 1993
2
La Direttiva 93/22/CE art. 14, aveva disposto che le banche e le Sim italiane, e specularmente gli operatori stranieri,
potessero operare in mercati europei secondo il principio dell’Home country control: “Gli Stati membri provvedono a
che qualsiasi servizio d'investimento nonché gli altri servizi elencati nella sezione C dell'allegato possano essere
prestati nei loro territori, conformemente agli articoli 17, 18 e 19, mediante la creazione di una succursale o mediante

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conseguenza la possibilità che il medesimo titolo venisse trattato su più mercati, aveva fatto venir

meno uno dei presupposti economici della regola della concentrazione degli scambi, la cui ratio è

che la significatività dei prezzi sia massima quando gli stessi sono formati dall’incrocio di tutta la

domanda e di tutta l’offerta. In sede comunitaria però, a sistemi giuridici come quello anglosassone,

ispirati al principio della libertà delle negoziazioni al di fuori di quei mercati, se ne

contrapponevano altri, come quello italiano, storicamente caratterizzato dall’obbligo di

concentrazione; in tal senso la Direttiva sembrava tentare una conciliazione tra due posizioni agli

antipodi, benché propendesse con evidenza per la libertà di negoziazione fuori borsa come risultava

dalla lettera dell’art.14 comma 3 e 43. Con l’entrata in vigore del decreto di recepimento della

suddetta direttiva (c.d. legge Eurosim4), la Consob5 ha reintrodotto in toto l’obbligo di

concentrazione: secondo l’Autorità rappresentava una strumento di garanzia di liquidità del mercato

e avrebbe contribuito a migliorare la qualità del processo di formazione dei prezzi, nonché a ridurre

i costi di transazione. L’obbligo trovava delle limitazioni nel caso in cui il cliente avesse

espressamente autorizzato ad operare fuori dal mercato regolamentato ovvero le negoziazioni svolte

al di fuori dei mercati consentissero di realizzare il miglior prezzo possibile per il cliente (c.d. best

execution). Per la soddisfazione di tale condizione la negoziazione fuori mercato doveva aver luogo

la prestazione di servizi, da un'impresa d'investimento autorizzata e controllata dalle autorità competenti di un altro
Stato membro, conformemente alla presente direttiva, purché tali servizi siano coperti dall'autorizzazione”.
3
Direttiva 93/22/CE art. 14 comma 3 e 4: 3.Uno Stato membro può richiedere che le transazioni relative ai servizi di
cui al paragrafo 1 siano eseguite su un mercato regolamentato se soddisfano globalmente i requisiti seguenti:
- l'investitore risiede abitualmente o è stabilito in detto Stato membro;
- l'impresa d'investimento esegue la transazione tramite uno stabilimento principale o una succursale situati nello Stato
membro in questione o nell'ambito della libera prestazione di servizi in tale Stato membro;
- la transazione verte su uno strumento negoziato su un mercato regolamentato di detto Stato membro. 4. Allorché uno
Stato membro applica il paragrafo 3, esso accorda agli investitori residenti abitualmente o stabiliti nel suo territorio il
diritto di derogare all'obbligo imposto a norma del paragrafo 3 e di fare effettuare al di fuori di un mercato
regolamentato le transazioni di cui al paragrafo 3. Gli Stati membri possono subordinare l'esercizio di tale diritto ad
un'autorizzazione esplicita, tenuto conto delle diverse esigenze degli investitori in materia di protezione, e segnatamente
delle capacità degli investitori professionali ed istituzionali di agire al meglio dei loro interessi. Tale autorizzazione
deve comunque essere accordata a condizioni che non compromettano la rapida esecuzione degli ordini dell'investitore.
4
D.lgs. 23 luglio 1996 n. 415
5
Reg. 10358/96, poi confermato dal regolamento n. 11768/98 attuativo del Tuf

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durante l’apertura dei mercati ufficiali: solo in tal modo è possibile identificare il prezzo di

quotazione di riferimento quale parametro del miglior prezzo.

La disciplina dell’obbligo di concentrazione è stata implicitamente superata nella prassi

dallo sviluppo di sistemi alternativi alla negoziazione sui mercati regolamentati (quali ad esempio i

Sistemi di Scambi Organizzati operanti anche in Italia) e dalla diffusione di strutture informatiche

per la negoziazione oltre la chiusura dei mercati. Da tempo la tendenza in atto si rinveniva nella

nascita e nello sviluppo dei cosiddetti Electronic Communication Networks (ECN) – ATS

(Alternative/Automated Trading Sistems), circuiti di negoziazione telematici di valori mobiliari,

alternativi ai mercati tradizionali. Questi sistemi sono nati in risposta ad una sempre maggiore

esigenza di liquidità del mercato di un facile accesso e di trasparenza; si caratterizzano in tal senso

per l’estensione di orari di contrattazione, per la trasmissione di ordini con limiti di prezzo, per la

presenza di market maker e per un meccanismo di funzionamento del mercato ad asta continua. La

diffusione del c.d. trading after hours in alcuni sistemi di scambi organizzati ha costituito la base

per la creazione, da parte di Borsa Italiana S.p.A., di due nuovi comparti, il Trading after hours

(TAH) per il mercato di borsa, ed il Trading After Hours Nuovo Mercato (TAHnm), per il Nuovo

Mercato, in cui è consentita la negoziazione oltre l’orario di apertura dei mercati ufficiali. La

Consob ha approvato tali modifiche senza con questo estendere l’obbligo di concentrazione ai nuovi

segmenti. Conseguentemente, dopo la chiusura dei mercati ufficiali, le negoziazioni potevano

avvenire sia sui comparti TAH e TAHnm, sia sul trading after hours di mercati non ufficiali, purché

si trattasse di sistemi di scambi organizzati, al fine cioè di garantire un certo livello di tutela degli

investitori.

La concorrenza tra borse non costituisce evidentemente una novità; la concentrazione delle

negoziazioni, in presenza di sistemi di scambi organizzati, riconosciuti e autorizzati, era già di fatto

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eliminata. Peraltro, gran parte degli stati che hanno da sempre imposto la concentrazione degli

ordini all’interno del mercato regolamentato, consentivano già la concorrenza tra borse e altri

metodi di negoziazione, per le operazioni effettuate da altri operatori anche fuori mercato.

Tale sistema garantiva però un notevole controllo sui prezzi di mercato che si formavano

ufficialmente nei mercati regolamentati, e che costituivano il principale riferimento per gli

investimenti operati da tutti gli intermediari finanziari, anche al di fuori degli stessi mercati

regolamentati.

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3 Dalla ISD alla MiFID


La differenza di approccio rispetto alla Direttiva ISD (vedi paragrafo 1) appare chiara.

Mentre la ISD mirava ad armonizzare soltanto "... i requisiti di autorizzazione iniziale e di esercizio

per le imprese di investimento, comprese le norme di comportamento ...", oltre ad "...alcune

condizioni riguardanti la gestione dei mercati regolamentati ...", la MiFID si propone di assicurare "

... il grado di armonizzazione necessario per poter offrire agli investitori un livello elevato di

protezione e consentire alle imprese di investimento di prestare servizi in tutta la Comunità ... sulla

base della vigilanza dello Stato membro di origine ..." (Direttiva 2004/39/CE, 1° e 2°

Considerando). In altri termini, se la ISD appariva ispirata a principi di "armonizzazione minima",

la MiFID e le relative misure di esecuzione segnano il passaggio ad un disciplina di armonizzazione

molto ampia, individuata come lo strumento per dar vita ad un mercato finanziario effettivamente

integrato ed unico. Anche quando l’intervento legislativo assume la forma della Direttiva, le norme

appaiono assai dettagliate: ciò limita fortemente la possibilità per gli Stati membri di introdurre, in

sede di recepimento, eventuali regole aggiuntive.

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4 Gli obiettivi della MiFID


Pur nella complessità e varietà degli argomenti affrontati, emergono nella MiFID e relativi

provvedimenti di attuazione alcuni obiettivi di fondo:

- stimolare la concorrenza, abolendo gli obblighi di concentrazione delle negoziazioni nei

mercati regolamentati e facilitando l’offerta cross border di servizi di investimento (libertà di

prestazione di servizi nei paesi membri, altrimenti nota come "passaporto unico");

- rafforzare l’integrità, l’efficienza e la trasparenza dei mercati, mediante la definizione di una

normativa dettagliata di esecuzione degli scambi;

- assicurare protezione agli investitori ed uniformare le regole di condotta nei rapporti tra gli

intermediari e la clientela;

-introdurre requisiti generali minimi uniformi di organizzazione e controllo degli

intermediari.

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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5 L’organizzazione dei mercati


Già nel novembre del 2002, in sede di prima proposta della nuova disciplina, la

Commissione europea segnalava che "... dall’epoca dell’adozione della ISD il mercato finanziario

dell’UE è diventato più complesso e il confine tra mercati e intermediari si è fatto meno preciso ...".

Ai sistemi tradizionali di negoziazione e raccolta ordini e ai mercati regolamentati si erano infatti

affiancati sistemi alternativi di esecuzione delle transazioni: i cosiddetti alternative trading

systems (ATS), noti nell’ordinamento italiano come Sistemi di Scambi Organizzati (SSO). Sulla

linea di confine tra intermediari e mercati è intervenuta la MiFID, con scelte ambiziose e fortemente

innovative. "E’ necessario - recita il 5° Considerando della Direttiva 2004/39/CE - stabilire un

regime organico che disciplini l’esecuzione delle operazioni su strumenti finanziari,

indipendentemente dai metodi di organizzazione utilizzati, in modo da garantire un’elevata qualità

dell’esecuzione ... nonché l’integrità e l’efficienza globale del sistema finanziario ... E’ necessario

prendere atto dell’emergere, a fianco dei mercati regolamentati, di una nuova generazione di

sistemi di negoziazione organizzati, che dovrebbero essere sottoposti ad obblighi per preservare il

funzionamento efficiente ed ordinato dei mercati finanziari".

Per raggiungere gli obiettivi indicati, l’azione del legislatore comunitario si è sviluppata

lungo diverse linee:

-l’eliminazione della facoltà, in precedenza attribuita agli Stati membri, di imporre obblighi di

concentrazione sui mercati regolamentati degli scambi di titoli quotati;

-l’apertura alla internalizzazione degli ordini, cioè alla negoziazione in casa da parte

dell’intermediario (cd. internalizzatore sistematico) in contropartita diretta con il cliente;

-l’inclusione della gestione di sistemi multilaterali di negoziazione (multilateral trading facilities, o

MTF) tra i servizi e le attività di investimento;

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-la previsione - a carico degli internalizzatori sistematici, dei gestori di sistemi multilaterali

di negoziazione e dei mercati regolamentati - di regole di trasparenza pre e post-trade, al fine di

evitare gli effetti negativi connessi alla frammentazione delle sedi di esecuzione.

Il venir meno degli obblighi di concentrazione degli scambi comporta che gli ordini di acquisto e

vendita di strumenti finanziari possano attualmente essere eseguiti utilizzando tre sedi diverse di

negoziazione (trading venue) in concorrenza tra loro: i mercati regolamentati, i sistemi multilaterali

di negoziazione e gli internalizzatori sistematici.

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6 Le relazioni con la clientela


La relazione tra intermediario e cliente è disciplinata dalla MiFID mediante:

-la definizione di un più complesso assetto delle regole di conoscenza del cliente e di valutazione

delle sue disposizioni, facendo leva sulle nozioni di "adeguatezza" (suitability), "appropriatezza"

(appropriateness) e "mera esecuzione degli ordini" (execution only);

-l’introduzione di una diversa classificazione della clientela, articolata nei due livelli generali dei

clienti al dettaglio e professionali e nella nuova categoria delle "controparti qualificate";

-l’obbligo per gli intermediari di dotarsi di una procedura in grado di instradare gli ordini verso la

sede di negoziazione che offre le condizioni migliori di esecuzione, "... tenuto conto del prezzo, dei

costi, della rapidità e della probabilità di esecuzione e di regolamento ..." (cd. best execution, art.

21, comma 1 della Direttiva 2004/39/CE);

- una stringente disciplina dei doveri di informazione da parte dell’intermediario nei

confronti della clientela;

- il divieto per le banche e le imprese di investimento di ricevere compensi, commissioni o

prestazioni non monetarie (inducement) in connessione con la fornitura di un servizio di

investimento, a meno che non ricorrano particolari condizioni;

- l’estensione della nozione di strumenti finanziari e l’ampliamento del novero dei servizi di

investimento, con inclusione tra questi ultimi della consulenza in materia di investimenti.

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7 Adeguatezza, appropriatezza e mera esecuzione


degli ordini
L’assistenza offerta dall’intermediario al cliente assume nell’impostazione della MiFID

graduazioni diverse in relazione alla natura del servizio prestato (cfr. l’articolo 19 della Direttiva

2004/39/CE e relative disposizioni di applicazione). Nel caso dei servizi più complessi e a maggior

valore aggiunto - cioè la gestione di portafoglio e la consulenza - sono richieste all’intermediario

una conoscenza approfondita del cliente e una valutazione di "adeguatezza" delle operazioni

consigliate o degli investimenti compiuti per suo conto. L’intermediario dovrà raccogliere

informazioni utili a valutare il grado di esperienza del cliente in materia di investimenti, la sua

situazione finanziaria e i suoi obiettivi. Di seguito, controllerà che il servizio proposto corrisponda

effettivamente agli obiettivi dichiarati dal cliente e non ponga a suo carico rischi che non è in grado

di comprendere o sopportare. Nel caso non ottenga le informazioni necessarie alla valutazione di

adeguatezza, dovrà astenersi dal prestare i servizi di consulenza e gestione. Per i servizi finanziari

diversi dalla consulenza e dalla gestione, l’intermediario è chiamato ad una valutazione di

"appropriatezza". Deve cioè giudicare se il cliente disponga di conoscenze ed esperienza sufficienti

a comprendere i rischi inerenti lo specifico prodotto o servizio proposto / richiesto, raccogliendo

informazioni circa gli strumenti finanziari con cui ha maggiore dimestichezza, la frequenza delle

operazioni realizzate nel passato, il livello di istruzione e la professione svolta. Nel caso in cui il

cliente decida di non fornire informazioni sufficienti ad effettuare la valutazione di appropriatezza,

l’intermediario lo avvertirà di non essere in grado di determinare se il servizio o prodotto richiesto è

conforme alle sue caratteristiche; potrà comunque procedere a fornirlo, una volta effettuato tale

avvertimento. Nel caso infine della "mera esecuzione di ordini", all’intermediario non corre

l’obbligo di valutare che l’operazione sia appropriata alle caratteristiche del cliente: non è pertanto

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tenuto a raccogliere alcuna informazione. La modalità della mera esecuzione di ordini può essere

applicata soltanto quando il servizio offerto abbia ad oggetto azioni quotate in un mercato

regolamentato, strumenti di mercato monetario, obbligazioni ed altri titoli di debito, fondi

armonizzati e altri strumenti finanziari non complessi.

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8 Clienti professionali, clienti al dettaglio e


controparti qualificate
I livelli di tutela offerti dalla MiFID appaiono articolati anche in relazione alla categoria di

appartenenza del cliente. E’ definito come "professionale" ai sensi della Direttiva 2004/39/CE il

cliente "... che possiede l’esperienza, le conoscenze e la competenza necessarie per prendere le

proprie decisioni in materia di investimenti e valutare correttamente i rischi che assume ...". Nella

categoria rientrano di diritto gli enti creditizi, le imprese di investimento, le compagnie di

assicurazione, gli OICR, le SGR, i fondi pensione, gli altri investitori istituzionali, i governi

nazionali e regionali, gli enti incaricati della gestione del debito pubblico, gli enti dedicati alla

cartolarizzazione degli attivi, le banche centrali e le istituzioni internazionali e sovranazionali

(Banca Mondiale, FMI, BCE, BEI, etc.). Possono essere classificati come clienti professionali

anche: a) le grandi imprese, al ricorrere di determinate condizioni 1; b) i clienti non rientranti nelle

tipologie in precedenza citate, a condizione che rivolgano esplicita richiesta all’impresa di

investimento (cd. "clienti professionali su richiesta") e che ricorrano i casi, le condizioni e le

procedure descritte nell’Allegato II, Sezione II, della Direttiva 2004/39/CE 2. Le "controparti

qualificate" si configurano nella MiFID come un sottoinsieme della categoria dei clienti

professionali 3. L’attribuzione dello status di controparte qualificata risulta rilevante solo con

riferimento alla prestazione di specifici servizi di investimento e dei relativi servizi accessori 4: la

negoziazione per conto proprio, l’esecuzione di ordini per conto dei clienti, la ricezione e

trasmissione di ordini. La categoria dei "clienti al dettaglio" comprende infine tutti i soggetti non

compresi tra i clienti professionali e le controparti qualificate; include inoltre tutti coloro che

richiedono di essere trattati come tali, in linea generale o per singole operazioni. La classificazione

come controparte qualificata o come cliente professionale non pregiudica infatti la possibilità per il

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cliente di godere di un trattamento più tutelante, in via generale o per singola operazione;

l’ottenimento del diverso status è soggetto al consenso dell’intermediario. E’ proprio il cliente al

dettaglio a godere del massimo livello di tutela previsto dalla MiFID. La Direttiva 2004/39/CE

specifica che, in tempo utile prima dell’erogazione del servizio, debbano essergli precisati tutti i

termini della prestazione, unitamente ad una serie di informazioni circa l’impresa di investimento e

i suoi servizi, la natura e i rischi dei prodotti finanziari, gli strumenti previsti a salvaguardia degli

strumenti o fondi della clientela, i costi e tutti gli oneri connessi alla prestazione. Al cliente

professionale dovranno invece essere fornite informazioni esclusivamente in relazione alla natura e

ai rischi dei prodotti o servizi offerti, alla salvaguardia degli strumenti finanziari e dei fondi della

clientela, all’esistenza e ai termini di eventuali diritti di garanzia o privilegi che l’impresa di

investimento detiene o potrebbe detenere sui suoi strumenti finanziari o fondi. Prima di erogare

servizi di consulenza e gestione patrimoniale, l’intermediario acquisirà dal cliente al dettaglio tutte

le informazioni utili a consentirgli di effettuare una valutazione di adeguatezza; nel caso in cui la

prestazione abbia ad oggetto servizi diversi dalla consulenza o dalla gestione, richiederà al cliente

informazioni in merito solo alle sue conoscenze ed esperienze circa lo specifico prodotto o servizio

proposto / richiesto (valutazione di appropriatezza). Quando la controparte è rappresentata da un

cliente professionale, vige nella MiFID la presunzione che quest’ultimo disponga del livello di

conoscenza ed esperienza necessario a comprendere i rischi inerenti i prodotti, le operazioni e i

servizi in relazione ai quali è classificato come cliente professionale; con riferimento a tali servizi,

la valutazione di appropriatezza potrà pertanto essere omessa. Qualora il servizio finanziario in

oggetto consista nella prestazione di consulenza in materia di investimenti, l’impresa di

investimento ha il diritto di presumere che il cliente professionale sia finanziariamente in grado di

sopportare qualsiasi rischio ad essa connesso e compatibile con i propri obiettivi di investimento: la

valutazione di adeguatezza risulterà pertanto semplificata rispetto a quella da effettuare nei

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confronti dei clienti al dettaglio. Alcune delle regole poste dal legislatore europeo a tutela dei clienti

al dettaglio e professionali non trovano applicazione ai rapporti con le controparti qualificate. In

particolare, quando prestino a tali controparti i servizi di negoziazione per conto proprio e per conto

di terzi e/o di ricezione e trasmissione di ordini, le imprese di investimento non sono tenute ad

osservare gli obblighi di cui agli articoli 19, 21 e 22 comma 1 della Direttiva 2004/39/CE - relativi

alle norme generali di comportamento da rispettare in sede di prestazione dei servizi; all’obbligo di

eseguire gli ordini alle condizioni più favorevoli; all’obbligo di applicare procedure che assicurino

un’esecuzione rapida ed efficiente degli ordini.

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9 I requisiti organizzativi degli intermediari


Come già si è accennato, tra gli obiettivi della MiFID rientra l’introduzione di standard

uniformi di organizzazione e controllo degli intermediari. La questione è affrontata dalla Direttiva

ricorrendo ad un approccio di tipo principle-based: il legislatore si limita cioè ad indicare obiettivi e

requisiti minimi, lasciando gli intermediari liberi di strutturare in modo autonomo i propri modelli

organizzativi e gestionali. L’assetto organizzativo e dei controlli deve peraltro risultare

proporzionato alla natura, alla dimensione e alla complessità dell’attività svolta dall’intermediario,

oltre che alla tipologia e alla gamma dei servizi prestati (cd. principio di proporzionalità). Le

disposizioni in materia di organizzazione e controllo degli intermediari sono dettate dall’articolo 13

della Direttiva 2004/39/CE e dettagliati nel Capo II della Direttiva 2006/73/CE. In estrema sintesi,

tali fonti definiscono gli obblighi degli intermediari in materia di requisiti generali di

organizzazione; di continuità dell’attività; di organizzazione amministrativa e contabile, compresa

l’istituzione della funzione di controllo di conformità alle norme; di gestione del rischio d’impresa;

di audit interno. Vengono inoltre tracciate le linee guida per le definizione di procedure, anche di

controllo interno, per una corretta e trasparente prestazione dei servizi; per il controllo di

conformità; per la percezione e corresponsione di incentivi; per il trattamento dei reclami; per le

operazioni personali. Si stabiliscono infine le condizioni per l’esternalizzazione di funzioni

operative essenziali o importanti e la mitigazione dei rischi connessi.

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10 Il recepimento della MiFID nell’ordinamento


italiano
Il processo di recepimento della MiFID nell’ordinamento giuridico italiano ha preso il via

con l’approvazione del Decreto Legislativo 17 settembre 2007, n°164, che ha apportato una serie di

rilevanti modifiche al Testo Unico della Finanza: il Decreto è entrato in vigore il 1° novembre 2007.

La trasposizione è proseguita in data 29 ottobre 2007 con l’introduzione da parte della Consob - a

seguito di consultazione con il mercato - delle pertinenti modifiche ai Regolamenti Intermediari

(n°16190) e Mercati (n°16191) e con la pubblicazione congiunta da parte di Consob e Banca

d’Italia del "Regolamento in materia di organizzazione e procedure degli intermediari che prestano

servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio" (cd. Regolamento congiunto). In

ossequio agli obiettivi di ridurre al minimo i rischi di frammentazione e garantire un’effettiva parità

di trattamento a tutte le imprese di investimento operanti nel mercato comunitario, le norme

nazionali di recepimento evidenziano deviazioni minime rispetto al dettato del legislatore europeo.

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11 Il Questionario MiFID
La direttiva comunitaria sui servizi di investimento MiFID, richiede che gli intermediari

valutino l’adeguatezza e l’appropriatezza del prodotto o servizio prestato ai clienti. Il tipo e la

quantità di informazioni è graduata e modulata sulla base del valore aggiunto che viene riconosciuto

al servizio di investimento che si intende attivare. Il Questionario MiFID assolve la funzione di

raccogliere e documentare le informazioni ottenute o fornite dal cliente all’impresa di investimento

e consentire a quest’ultima di assolvere al test di appropriatezza o di adeguatezza a seconda della

tipologia di servizio di investimento che il cliente intende attivare.

(a) Servizi di gestione patrimoniale o consulenza in materia di investimenti (servizi a

massimo valore aggiunto):

Il profilo del cliente deve essere a tutto tondo e riguardare le conoscenze ed esperienze in

materia di investimenti, la situazione finanziaria e gli obiettivi di investimento (test di adeguatezza)

(b) Servizi di collocamento, negoziazione per conto proprio, esecuzione di ordini per

conto dei clienti, ricezione e trasmissione di ordini (non in modalità di sola esecuzione):

L’intermediario è chiamato a verificare, sulla base delle informazioni fornite dal cliente

circa le proprie conoscenze ed esperienze in materia di investimenti, se dispone degli elementi

conoscitivi necessari a comprendere i rischi di un particolare servizio o strumento finanziario

proposto (test di appropriatezza).

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(c) Servizio di mera esecuzione degli ordini (execution only):

Gli intermediari sono esentati dall’obbligo di acquisizione dalla clientela delle informazioni

relative alla conoscenza ed esperienza in materia di investimenti. Tali servizi possono essere attivati

solo se l’attività si concentra sui cosiddetti “strumenti finanziari non complessi” (azioni,

obbligazioni, fondi armonizzati ecc.) e la prestazione è richiesta esplicitamente dal cliente.

Quali sono le sezioni del Questionario MiFID

La banca ai fini della raccolta delle informazioni del cliente utilizza il questionario per la

profilatura della clientela funzionale alla valutazione di adeguatezza multivariata. Il questionario si

compone di 18 domande suddivise in 4 distinte sezioni:

– Sezione A – Dati Anagrafici

– Sezione B – Esperienza Finanziaria e Conoscenze Possedute

– Sezione C – Situazione finanziaria

– Sezione D – Obiettivi di investimento e Propensione al rischio

Le sezioni del questionario sono tra loro indipendenti e hanno la stessa rilevanza, ad ognuna

di queste corrisponde un totale dei punteggi attribuiti alle risposte fornite dal cliente. Il punteggio

della singola sezione consente di individuare la tipologia di prodotto adeguata per il cliente, in

termini di conoscenza, complessità e rischiosità. Al fine di poter raccomandare uno specifico

prodotto finanziario si dovrà infine valutare il rischio concentrazione. Per la valutazione di

adeguatezza è necessaria la compilazione di tutte le sezioni del questionario.

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ADEGUATEZZA MULTIVARIATA

Non è prevista la valutazione di profili sintetici dei singoli investitori (Prudente, Equilibrato,

Dinamico, Aggressivo), ma la valutazione di adeguatezza scaturisce da un confronto di più variabili

afferenti, da un lato, alle caratteristiche del cliente e, dall’altro, a quelle del prodotto e non si limita

ad un mero raffronto di un indice sintetico di rischio del prodotto con il profilo di rischio, altrettanto

sintetico, assegnato al cliente.

Occorre, quindi, valutare separatamente le conseguenze delle diverse tipologie di rischio

determinate dall’eventuale assunzione della posizione da parte del cliente. Pertanto, la valutazione

di adeguatezza affronta in successione i diversi aspetti richiesti dalla normativa (“conoscenza ed

esperienza”, “situazione finanziaria e obiettivi di investimento”), ognuno dei quali rappresenta un

livello la cui verifica consente il passaggio a quello successivo. L’adeguatezza multivariata è quindi

un processo logico a step, nel quale la Banca valuta l’adeguatezza in relazione alle seguenti variabili

prese in ordine: CONOSCENZA STRUMENTI FINANZIARI, COMPLESSITA’ STRUMENTI

FINANZIARI, RISCHIO EMITTENTE, RISCHIO DI MERCATO, RISCHIO DI LIQUIDITA’,

RISCHIO DI CONCENTRAZIONE

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Si individuano 5 diversi livelli di conoscenza (e quindi di prodotti adeguati) in relazione alla

risposta fornita a specifica domanda sulla conoscenza degli strumenti finanziari. In particolare:

STRUMENTI del MERCATO MONETARIO

STRUMENTI del MERCATO MONETARIO, OBBLIGAZIONI NON STRUTTURATE

STRUMENTI del MERCATO MONETARIO, OBBLIGAZIONI NON

STRUTTURATE, FONDI/SICAV ARMONIZZATI

STRUMENTI del MERCATO MONETARIO, OBBLIGAZIONI NON

STRUTTURATE, FONDI/SICAV ARMONIZZATI, AZIONI, PRODOTTI ASSICURATIVI

STRUMENTI del MERCATO MONETARIO, OBBLIGAZIONI NON

STRUTTURATE, FONDI/SICAV ARMONIZZATI, AZIONI, PRODOTTI ASSICURATIVI,

FONDI/SICAV NON ARMONIZZATI, OBBLIGAZIONI STRUTTURATE, DERIVATI

APPROPRIATEZZA MULTIVARIATA

Qualora in adeguatezza multivariata, l’operazione risultasse inadeguata, perché non

conforme ad una delle 6 valutazioni di adeguatezza effettuate (conoscenza, complessità, rischio

emittente, rischio di mercato, rischio di liquidità, rischio di concentrazione), allora è possibile (non

però per operazioni in conflitto di interessi), uscire dalla valutazione di adeguatezza ed impostare

l’operazione in regime di appropriatezza. La valutazione di appropriatezza, ricalca sostanzialmente

in maniera speculare i primi due passaggi della valutazione di adeguatezza, cioè la conoscenza e la

complessità. Resta possibile dar luogo anche ad operazioni inappropriate.

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Cosa succede se l’investitore si rifiuta di rispondere

L’intermediario si trova nell’impossibilità di prestare i servizi di consulenza in materia di

investimenti o di gestioni di portafogli. Nel caso degli altri servizi di investimento l’intermediario

deve avvertire il cliente che la mancanza o l’insufficienza di informazioni non gli consente di

assolvere compiutamente al test di appropriatezza vanificando in tal modo una norma finalizzata a

tutelare l’investitore.

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12 MiFID, le novità dell'accordo sulle nuove regole


Il legislatore comunitario ha previsto un riesame periodico da parte della Commissione

Europea dei contenuti della MiFID e delle relative disposizioni di applicazione.

Sono sette i punti qualificanti dell'aggiornamento della direttiva Mifid II sui mercati degli strumenti

finanziari secondo l'accordo raggiunto (gennaio 2014) tra governi, Parlamento europeo e

Commissione. Tra le novità più rilevanti la possibilità di mettere freni alle negoziazioni

iperspeculative ad alta frequenza e alle speculazioni sui derivati su materie prime. Dopo una serie di

affinamenti su alcuni dettagli, la legislazione concordata dovrà passare al vaglio del Consiglio (un

passo a questo punto formale) ed entrerà in vigore due anni e mezzo dopo la pubblicazione. Alcuni

derivati sui mercati dell’elettricità e del gas saranno esentati dalle nuove regole Mifid perché'

rientrano in altri 'pezzi' di legislazione europea e ci saranno alcune esenzioni temporanee sul

passaggio alla stanza di compensazione per certi tipi di derivati su petrolio e carbone.

QUADRO GENERALE - MiFID II (cioè la direttiva aggiornata sui mercati degli strumenti

finanziari) introduce un quadro di regole e requisiti che assicureranno che le negoziazioni si

svolgano su piattaforme regolamentate. A questo obbligo sono sottoposte le negoziazioni di azioni.

Inoltre le società di investimento che eseguono per conto dei clienti ordini su azioni, certificati di

deposito, fondi indicizzati quotati, certificati e altri strumenti finanziari analoghi su base

multilaterale devono essere autorizzate come 'sistema di negoziazione multilaterale' (MTF ). Infine

viene istituita una nuova sede di negoziazione multilaterale, il 'sistema organizzato di negoziazione'

(OTF) per gli strumenti 'non equity' da negoziare su piattaforme multilaterali di negoziazione

organizzati. La neutralità degli operatori OTF è assicurata da restrizioni nell'uso del capitale proprio

e nella discrezionalità sulle strategie di esecuzione . L'obbligo di negoziazione delle azioni e dei

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derivati che sono ammissibili alla compensazione ai sensi del regolamento Infrastrutture mercati

europei (Emir) e sono sufficientemente liquidi. Ciò sposterà il 'trade' di tali strumenti su piattaforme

multilaterali e ben regolamentati secondo le indicazioni del G20.

TRASPARENZA - Per la prima volta si stabilisce un principio di trasparenza per gli

strumenti non rappresentativi di capitale come le obbligazioni e derivati. Per le azioni un

meccanismo tetto sui volumi limita l'uso di deroghe sui prezzi di riferimento e sui prezzi negoziati

(4% per 'venue cap' e 8% per 'global cap') insieme all'obbligo di miglioramento del prezzo a un

punto medio per i primi. Restano quelle di Mifid I e deroghe su larga scala e sulla gestione degli

ordini. Viene ampliato anche il regime di trasparenza pre e post-negoziazione includendo strumenti

non equity anche se le deroghe saranno possibili per i grandi ordini. La trasparenza post-

negoziazione è previsto per tutti gli strumenti finanziari con la possibilità di pubblicazione differita

o di "mascheramento" del volume. come appropriato . Le sedi di negoziazione dovranno rendere

noti i dati post e pre-negoziazione disponibili su base commerciale ragionevole.

SUPERVISIONE - Vengono rafforzati i poteri di vigilanza rafforzati ed è previsto un

regime armonizzato sui limiti delle posizioni in derivati su materie prime. Le autorita' competenti

(nazionali) potranno imporre limiti alle posizioni di persone ' secondo un metodo di calcolo stabilito

da Esma. E' previsto anche l'obbligo di segnalazione della posizione per categoria di operatori .

CONCORRENZA - Viene istituito un regime comunitario armonizzato per l'accesso non

discriminatorio alle sedi di negoziazione e alle controparti centrali. Piccole sedi di negoziazione e

controparti centrali di nuova costituzione potranno beneficiare di periodi transitori opzionali. Il

regime di accesso non discriminatorio si applica anche ai parametri di riferimento per negoziazione

e compensazione.

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ALTA FREQUENZA - Saranno stretti i controlli del trading algoritmico che ha

notevolmente aumentato la velocità del trading e può causare rischi sistemici. Chi opera con gli

algoritmi deve essere adeguatamente regolamentato e deve fornire la liquidità mettendo in opera

una di market-making.

Inoltre le società di investimento che forniscono un accesso elettronico diretto a una sede di

negoziazione dovranno disporre di sistemi e di controlli del rischio per evitare operazioni che

possono contribuire ad un mercato disordinato o ad abusi di mercato.

PROTEZIONE INVESTITORI - Si prevedono regole di condotta piu' stringenti e test

appropriati, informazioni piu' estese ai clienti. La consulenza indipendente deve essere chiaramente

distinto dal consiglio non indipendente e sono imposti limiti alle commissioni ricevute. Esma potrà

vietare o limitare la commercializzazione e la distribuzione di alcuni strumenti finanziari in

circostanze ben definite e poteri simili avrà l'Eba nel caso di depositi strutturati . Il nuovo quadro

regolamentare modifica la direttiva sull'intermediazione assicurativa per introdurre alcune regole

per prodotti di investimento basati sulle assicurazioni .

SANZIONI - L'uso di sanzioni penali viene definito in modo da garantire la cooperazione

tra le autorità e la trasparenza.

PAESI TERZI - Un regime armonizzato per concedere l'accesso ai mercati europei alle

società di paesi terzi si basa sulla valutazione dell'equivalenza delle varie giurisdizioni da parte

della Commissione. Il regime si applica solo alla prestazione transfrontaliera di servizi e attività di

investimento prestati a controparti professionali e ammissibili. Per un periodo transitorio di tre anni

e poi in attesa di decisioni di equivalenza da parte della Commissione, continueranno a essere

applicati i regimi nazionali di paesi terzi.

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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13 Parole chiave della lezione


 DIRETTIVA UE SUI SERVIZI DI INVESTIMENTO

 INCROCIO TRA DOMANDA E OFFERTA

 LIBERTA’ DI NEGOZIAZIONE

 SISTEMI ALTERNATIVI ALLA NEGOZIAZIONE SUI MERCATI REGOLAMENTATI

 ASSICURARE PROTEZIONE AGLI INVESTITORI

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Bibliografia
 Eleonora Faustini - novembre 2008 – LUISS - Dipartimento di Scienze giuridiche -

CERADI – Centro di ricerca per il diritto d’impresa

 Direttiva 93/22/CE del 10 maggio 1993

 D.lgs. 23 luglio 1996 n. 415

 Reg. 10358/96, poi confermato dal regolamento n. 11768/98 attuativo del Tuf

 Antonio Pollio Salimbeni - 15 Gennaio 2014 - Il Sole 24 Ore Radiocor – Bruxelles - Il

processo di valutazione e di revisione

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Sitografia
 http://www.assonebb.it/

 http://www.bankpedia.org/index.php/it/?option=com_content&view=article&id=21127

 http://www.advisoronline.it/guide/questionario-mifid.action

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“L' INTERMEDIARIO FINANZIARIO:
ATTIVITÀ E MODELLO ORGANIZZATIVO”

PROF. COSTANTINO FORMICA


Università Telematica Pegaso L' Intermediario finanziario:
attività e modello organizzativo

Indice

1 LE DISPOSIZIONI IN EVOLUZIONE DELL’ INTERMEDIARIO FINANZIARIO -------------------------- 3


1.1. GLI INTERMEDIARI FINANZIARI EX ART. 106 TUB E EX ART 107 TUB------------------------------------------------ 3
1.2. LA MIGRAZIONE ALL’ “ALBO UNICO” DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI -------------------------------------------- 4
2 L’ATTIVITÀ DELL’INTERMEDIARIO FINANZIARIO------------------------------------------------------------ 7
2.1. L’ATTIVITÀ CARATTERISTICA ----------------------------------------------------------------------------------------------- 7
2.2. LE ULTERIORI ATTIVITÀ ESERCITABILI ------------------------------------------------------------------------------------10
2.3. ATTIVITÀ CONNESSE E STRUMENTALI -------------------------------------------------------------------------------------14
3 IL MODELLO ORGANIZZATIVO DELL’INTERMEDIARIO FINANZIARIO ------------------------------ 16
3.1. PREMESSA ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------16
3.2. L’ACQUISIZIONE DI PARTECIPAZIONI QUALIFICATE DEL NUOVO SOGGETTO ----------------------------------------17
3.3. IL SISTEMA E GLI ORGANI DI GOVERNO DELL’INTERMEDIARIO FINANZIARIO ---------------------------------------19
3.4. GLI ESPONENTI AZIENDALI, REQUISITI DI ONORABILITÀ, PROFESSIONALITÀ E INDIPENDENZA ------------------20
3.5. IL CAPITALE MINIMO INIZIALE DELL’ INTERMEDIARIO FINANZIARIO ------------------------------------------------21
3.6. STRUTTURE ESTERNE – LA RETE DISTRIBUTIVA -------------------------------------------------------------------------21
3.7. IL PRESIDIO ANTIRICICLAGGIO, ORGANIZZAZIONE, PROCEDURE E CONTROLLI INTERNI ---------------------------25
3.8. L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVO-CONTABILE E IL SISTEMA INFORMATIVO ----------------------------------29
3.9. IL SISTEMA DI CONTROLLI INTERNI E LE FUNZIONI DI CONTROLLO (DEI RISCHI) ------------------------------------30
4 PAROLE CHIAVE DELLA LEZIONE ---------------------------------------------------------------------------------- 35
SITOGRAFIA ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 36

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1 Le disposizioni in evoluzione dell’ intermediario


finanziario

1.1. Gli intermediari finanziari ex art. 106 TUB e ex art 107 TUB

Gli attuali Intermediari Finanziari ex art. 106 TUB sono i soggetti iscritti “nell’elenco

generale”, che esercitano, sino al completo passaggio alla nuova normativa, nei confronti del

pubblico in via professionale l’attività di concessione di finanziamenti, di assunzione di

partecipazioni, di intermediazione in cambi, così come definite dal Decreto del Ministero

dell’Economia e delle Finanze del 17 Febbraio 2009, n. 29.

Il Decreto Legislativo 13 agosto 2010 n. 141, attuativo alla direttiva comunitaria n. 48/2008

ha sottoposto a una complessiva revisione la disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario

contenuta nel Titolo V TUB ed ha previsto l’istituzione di un albo degli intermediari finanziari. Gli

aspetti principali della riforma riguardano:

a. la previsione di un albo “unico” degli intermediari finanziari, con il superamento della

distinzione tra elenco generale ex art.106 TUB ed elenco speciale di cui all’art. 107 TUB;

b. il rafforzamento dell’impianto delle regole e dei poteri sugli intermediari finanziari iscritti

nell’albo unico attraverso controlli più stringenti sull’accesso del mercato e sull’assetto proprietario

degli intermediari;

c. la ridefinizione dell’ambito della riserva di attività degli intermediari finanziari limitata

alla concessione di finanziamenti.

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1.2. La migrazione all’ “Albo unico” degli Intermediari Finanziari

Gli intermediari iscritti nell’elenco generale ex art 106 TUB.

La norma transitoria (art.10 del D.lgs. 141/210) dispone che tutti i soggetti che svolgono

attività finanziaria (iscritti nell’elenco generale di cui all’articolo106 fatta esclusione per l’attività di

assunzioni in partecipazioni e di intermediazioni in cambi che chiedono comunque alla Banca

d’Italia la cancellazione dagli elenchi), “entro 9 mesi dall’entrata in vigore delle disposizioni

attuative, ovvero dalla costituzione degli organismi ove previsti, presentano istanza di

autorizzazione ai fini dell’iscrizione all’albo di cui all’articolo 106 TUB” ovvero istanza di

iscrizione nell’elenco di cui all’articolo 111 (microcredito).

Gli intermediari iscritti nell’elenco speciale ex art 107 TUB.

Lo stesso articolo dispone altresì che “4. Per assicurare un passaggio ordinato alla nuova

disciplina introdotta con il presente titolo III:

Omissis

a. entro tre mesi dall'entrata in vigore delle disposizioni attuative del presente Titolo III, gli

intermediari iscritti nell'elenco di cui all'articolo 107 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n.

385, vigente alla data del 4 settembre 2010 o inclusi nella vigilanza consolidata bancaria, che alla

data di entrata in vigore del presente decreto legislativo esercitano l'attività di concessione di

finanziamenti sotto qualsiasi forma, presentano istanza di autorizzazione ai fini dell'iscrizione

all'albo di cui all'articolo 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, come modificato

dal presente decreto. L'istanza è corredata della sola documentazione attestante il rispetto delle

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previsioni di cui all'articolo 107, comma 1, lettere c), d), e) ed f), del decreto legislativo 1°

settembre 1993, n. 385, come modificato dal presente decreto legislativo;

Disposizioni comuni

La norma transitoria (art.10 del D.lgs 141/210) dispone altresì che: “Gli intermediari

finanziari che, alla data di entrata in vigore delle norme risultino iscritti nell’elenco generale di cui

all’articolo106 o nell’elenco speciale di cui all’articolo 107 del Decreto legislativo 1° settembre

1993, n. 385, possano continuare a operare per un periodo di 12 mesi successivi al completamento

degli adempimenti richiesti per l’attuazione della riforma.”;

L’elemento caratterizzate della revisione della normativa è il passaggio dalla “verifica dei

requisiti per l’iscrizione” nel precedente elenco generale ex art 106 di un “soggetto controllato” da

Banca D’Italia all’implementazione di “processo autorizzativo" di un “soggetto vigilato”. Le

disposizioni di vigilanza confermano la scelta, già effettuata in sede di definizione della disciplina

prudenziale degli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale previsto dal previgente art.107

TUB.

L’iscrizione nel nuovo Albo degli Intermediari Finanziari (nel riscritto art. 106 TUB)

prevede quindi un processo autorizzativo dell’Organo di Vigilanza che si concluderà, con

l’autorizzazione all’iscrizione nel nuovo albo, riscontrato il rispetto della sana e prudente gestione

dell’intermediario ovvero, con un diniego. In effetti, l’Organo Autorizzativo (e di vigilanza) si

assicura che il nuovo intermediario finanziario sia rispettoso della sana e prudente gestione e del

rischio sistemico e nello stesso tempo rappresenti un’alternativa finanziaria per gli operatori

economici per i potenziali clienti.

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Per completezza di informazioni si evidenzia che decorsi i termini stabiliti, i soggetti che

non abbiano presentato istanza di autorizzazione, ovvero istanza, iscrizione o cancellazione

deliberano la liquidazione della società ovvero modificano il proprio oggetto sociale eliminando il

riferimento ad attività riservate ai sensi di legge.

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2 L’attività dell’intermediario finanziario

2.1. L’attività caratteristica

Il nuovo perimetro di operatività dell’intermediario finanziario è definito dall’art.106 del

T.U.B. “L’intermediario finanziario 106 TUB esercita almeno una delle seguenti attività finanziarie:

a. concessione dei finanziamenti nei confronti del pubblico, il cui contenuto unitamente alle

circostanze in cui ricorra l’esercizio nei confronti del pubblico sono disciplinati con il decreto del

Ministro dell’Economia e delle finanze;

b. riscossione dei crediti ceduti e servizi di cassa e di pagamento ai sensi dell’art.2, commi 3,

6 e 6-bis della legge 30 aprile 1999, n. 130 in materia di cartolarizzazione dei crediti (c.d.

servicing).

L’art 2 del decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze (attualmente in fine

consultazione) dispone che le “attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma sono

rappresentate da:

1. Per attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma si intende la

concessione di crediti, ivi compreso il rilascio di garanzie sostitutive del credito e di impegni di

firma. Tale attività comprende, tra l'altro, ogni tipo di finanziamento connesso con operazioni di:

a. locazione finanziaria;

b. acquisto di crediti a titolo oneroso;

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c. credito ai consumatori, così come definito dall'articolo 121, TUB;

d. credito ipotecario;

e. prestito su pegno;

f. rilascio di fideiussioni, avallo, apertura di credito documentaria, accettazione, girata,

impegno a concedere credito, nonché ogni altra forma di rilascio di garanzie e di impegni di firma.

2. Non costituisce attività di concessione di finanziamenti:

a. l'acquisto dei crediti di imposta sul valore aggiunto relativi a cessioni di beni e servizi nei

casi previsti dalla normativa vigente;

b. l'acquisto, a titolo definitivo, da banche o intermediari finanziari sottoposti alla vigilanza

della Banca d'Italia di crediti classificati in sofferenza. da patte di società titolari della licenza di

cui all'articolo 115 del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza a condizione che: i) la società

acquirente non abbia ricevuto finanziamenti da terzi per un ammontare superiore al patrimonio

netto; ii) il recupero del credito acquistato avvenga senza la stipula di nuovi contratti di

finanziamento con i debitori ceduti, la novazione di quelli in essere, la modifica delle condizioni

contrattuali. L’art 3 dello stesso decreto definisce l’esercizio nei confronti del pubblico dell'attività

di concessione di finanziamenti come

“L'attività di concessione di finanziamenti si considera esercitata nei confronti del pubblico

qualora sia svolta nei confronti di terzi con carattere di professionalità.

1. Non configurano operatività nei confronti del pubblico:

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a. tutte le attività esercitate esclusivamente nei confronti del gruppo di appartenenza ad

eccezione dell'attività di acquisto di crediti vantati nei confronti di terzi da intermediari finanziari

del gruppo medesimo;

b. l'acquisto di crediti vantati da terzi nei confronti di società del gruppo di appartenenza;

c. l'attività di rilascio di garanzie, di cui all'articolo 2, comma l, lettera t) del presente

decreto, quando il garante e l'obbligato garantito facciano patte del medesimo gruppo;

d. i finanziamenti concessi a soggetti appartenenti alla medesima filiera produttiva o

distributiva del bene o del servizio quando ricorrano le seguenti condizioni: (i) i destinatari del

finanziamento non siano consumatori ai sensi dell'articolo 121, TUB, né utilizzatori finali del bene

o servizio; (ii) il contratto di finanziamento sia collegato a un contratto per la fornitura o

somministrazione di beni o servizi, di natura continua ovvero di durata non inferiore a quella del

finanziamento concesso; (iii) le condizioni applicate s1ano più favorevoli di quelle di mercato e non

sia prevista la prestazione di garanzie reali;

e. I finanziamenti concessi da un datore di lavoro esclusivamente ai propri dipendenti o a

coloro che operano sulla base di rapporti che ne determinano l'inserimento nell'organizzazione del

datore di lavoro. anche in forma diversa dal rapporto di lavoro subordinato, al di fuori della

propria attività principale, senza interessi o a tassi annui effettivi globali inferiori a quelli

prevalenti sul mercato.”

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2.2. Le ulteriori attività esercitabili

L’art. 106, comma 2 del T.U.B. dispone che gli intermediari finanziari possono inoltre:

1. prestare servizi di pagamento, ai sensi dell’art. 114-novies, comma 4, TUB e quindi

iscritti nell’ulteriore relativo albo degli Istituti di Pagamento;

2. emettere moneta elettronica, ai sensi dell’art. 114-quinquies TUB quali iscritti nell’

ulteriore albo degli Istituti di Moneta Elettronica;

3. prestare servizi d’investimento, nei casi e alle condizioni previste dalla Banca d'Italia ai

sensi dell’art.18, comma 3, TUF;

4. eseguire le “altre attività”, a condizione che siano svolte in via subordinata rispetto alle

attività di concessione di finanziamenti.

A titolo esemplificativo (e quindi non esaustivo N.d.R.), tra tali attività rientrano:

la promozione e conclusione di contratti relativi alla concessione di finanziamenti sotto

qualsiasi forma e alla prestazione di servizi di pagamento (art.12 del D.lgs. n. 141 del 13 agosto

2010);

l’erogazione di finanziamenti agevolati e la gestione di fondi pubblici (cfr. art.110 TUB, che

estende l’applicazione dell’art.47 del medesimo testo unico agli intermediari finanziari);

la distribuzione di prodotti assicurativi previa iscrizione negli appositi registri (cfr. art.109,

d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209).

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La esplicita previsione delle “altre attività” giustifica l’esercizio di attività di “diversa

natura” rispetto a quella caratteristica di “concessione di finanziamenti” ma ne imprime la

subordinarietà (unitamente al preventivo invio a Bankitalia del programma di attività e della

relazione sulla struttura organizzativa, aggiornati).

Lo svolgimento, ancorché subordinato, di tali “altre attività” espone inoltre l’intermediario

finanziario a un rischio maggiore (operativo, legale, reputazionale etc.) che dovrà essere presidiato,

nel rispetto della sana e prudente gestione dell’intermediario medesimo.

Per quanto concerne l’autorizzazione a prestare servizi di pagamento e/o l’emissione di

moneta elettronica, l’Intermediario finanziario potrà essere autorizzato previa costituzione di un

patrimonio destinato che qualificherà l’Intermediario medesimo, “Ibrido finanziario” ove la società

gemmante rappresentata dall’Intermediario Finanziario 106 T.U.B. e per quanto concerne i servizi

di pagamento/emissione di moneta elettronica si farà riferimento al “patrimonio destinato”

costituito.

L’Ibrido finanziario IDP1

I servizi di pagamento che l’Intermediario Ibrido Finanziario IDP, potrà svolgere sono i

seguenti:

1
Il decreto legislativo n. 11 del 2010 ha istituito la figura degli istituti di pagamento (IDP), soggetti autorizzati dalla
Banca d’Italia alla prestazione dei servizi di pagamento e iscritti in un apposito albo. Tali intermediari sono
classificabili in tre categorie:
a) IDP costituiti in forma societaria (c.d. IDP “puri”);
b) IDP che operano come patrimoni destinati costituiti da intermediari finanziari ex art. 107 TUB (c.d. IDP
“ibridi finanziari”);
c) IDP che operano come patrimoni destinati costituiti da soggetti non finanziari (c.d. IDP “ibridi non finanziari”).

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1. servizi che permettono di depositare il contante su un conto di pagamento e tutte le

operazioni richieste per la gestione di un conto di pagamento;

2. servizi che permettono prelievi in contante da un conto di pagamento nonché tutte le

operazioni richieste per la gestione di un conto di pagamento;

3. esecuzione di ordini di pagamento, incluso il trasferimento di fondi, su un conto di

pagamento presso il prestatore di servizi di pagamento dell’utilizzatore o presso un atro prestatore

di servizi di pagamento:

3.1 esecuzione di addebiti diretti, inclusi addebiti diretti una tantum;

3.2 esecuzione di operazioni di pagamento mediante carte di pagamento o dispositivi

analoghi;

3.3 esecuzione di bonifici, inclusi ordini permanenti;

4. esecuzione di operazioni di pagamento quando i fondi rientrano in una linea di credito

accordata ad un utilizzatore di servizi di pagamento:

4.1 esecuzione di addebiti diretti, inclusi addebiti diretti una tantum;

4.2 esecuzione di operazioni di pagamento mediante carte di pagamento o dispositivi

analoghi;

4.3 esecuzione di bonifici, inclusi ordini permanenti;

5. emissione e/o acquisizione di strumenti di pagamento;

6. rimessa di denaro;

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7. esecuzione di operazioni di pagamento ove il consenso del pagatore ad eseguire

l’operazione di pagamento sia dato mediante un dispositivo di telecomunicazione, digitale o

informatico e il pagamento sia effettuato dall’operatore del sistema o della rete di

telecomunicazione o digitale o informatica che agisce esclusivamente come intermediario tra

l’utilizzatore dei servizi di pagamento e il fornitore di beni e servizi.

L’Ibrido Finanziario - IMEL 2

L’Ibrido Finanziario - IMEL 2 – preventivamente autorizzato, oltre a poter prestare i sette

servizi testé riportati, potrà emettere anche moneta elettronica. Nello specifico, la moneta

elettronica va intesa come "valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la

memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia emesso

per effettuare operazioni di pagamento come definite all’articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto

legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, e che sia accettato da persone fisiche e giuridiche diverse

dall’emittente;” in altri termini è rappresentato dalle carte prepagate e i conti prepagati.

L’intermediario 106 T.U.B., Ibrido Finanziario IDP o IMEL 2, assumerà qui il ruolo di

società gemmante che, nel predisporre un programma, illustrerà:

a) i servizi di pagamento che intende svolgere e / o la moneta elettronica che vorrà emettere

unitamente alle modalità operative;

b) le linee di sviluppo dell’attività;

c) i principali investimenti attuati ovvero in corso di attuazione;

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d) gli obiettivi perseguiti e le strategie imprenditoriali che la società intende seguire per la

loro realizzazione.

Il programma di attività sarà accompagnato dalla documentazione integrativa prevista dalle

disposizioni di vigilanza. Il tutto dovrà comunque esplicitare un progetto di Ibrido finanziario

sostenibile e rispettoso della sana e prudente gestione.

2.3. Attività connesse e strumentali

L’intermediario finanziario può altresì esercitare attività strumentali o connesse rispetto alle

attività finanziarie esercitate. Per definizione, è considerata strumentale l’attività che ha carattere

ausiliario rispetto a quella esercitata da uno o più intermediari finanziari; a titolo indicativo,

rientrano tra le attività strumentali quelle di:

a. studio, ricerca e analisi in materia economica e finanziaria;

b. gestione di immobili ad uso funzionale oppure di immobili acquistati o detenuti per il

recupero di crediti in relazione al tempo strettamente necessario per effettuarne la cessione;

c. gestione di servizi informatici o di elaborazione dati;

d. formazione e addestramento del personale.

È altresì considerata connessa l’attività di natura commerciale ovvero finanziaria, non

soggetta a riserva, che consente di sviluppare l’attività finanziaria esercitata e che è svolta in via

accessoria rispetto all’attività principale. Sono connesse attività quali la prestazione di:

i) servizi di informazione commerciale;

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ii) consulenza in materia di finanza d’impresa (ad es. in materia di struttura finanziaria e di

strategia industriale);

iii) recupero crediti di terzi; leasing operativo.

Nell’approfondire ulteriormente i contenuti dell’attività esercitabile si rileva quanto segue:

a) l’intermediario finanziario può acquisire immobili di proprietà ad uso strumentale; nello

specifico, sono tali gli immobili che rivestono carattere di ausiliarietà all'esercizio dell'attività

finanziaria (a titolo esemplificativo, si considerano strumentali gli immobili destinati, in tutto o in

parte, all'esercizio dell'attività istituzionale, ad essere affittati ai dipendenti, nonché gli immobili per

recupero crediti e ogni altro immobile acquisito ai fini del perseguimento dell'oggetto sociale della

società acquirente o di altre componenti del gruppo di appartenenza);

b) la locazione di beni di proprietà dell’intermediario ovvero il noleggio degli stessi a terzi

può invece essere classificato tra le attività di carattere accessorio che consentono, nel

perseguimento dell’oggetto dell’impresa, il più funzionale utilizzo dei beni di pertinenza. Pertanto,

è coerente con il principio dell’esclusività dell’oggetto sociale dell’Intermediario Finanziario: la

cessione in uso a terzi di capacità elaborative degli impianti EDP di cui un intermediario dispone in

eccesso rispetto alle esigenze aziendali;

c) il noleggio di beni eventualmente inoptati a conclusione di contratti di leasing; la

locazione del patrimonio immobiliare posseduto dall’intermediario e riveniente da situazioni

pregresse rispetto all’iscrizione nell’albo previsto dall’art. 106 T.U.B.

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3 Il modello organizzativo dell’intermediario


finanziario

3.1. Premessa

L’intermediario finanziario definisce e adotta un efficace e idoneo modello organizzativo

che prevede:

a) solidi dispositivi di governo societario nonché processi decisionali e una struttura

organizzativa adeguati, con i rapporti gerarchici e suddivisione delle funzioni definiti in forma

chiara e documentata;

b) politiche di governo e procedure per la gestione e il controllo dei rischi aziendali e per la

prevenzione dei conflitti di interesse, idonee ad assicurare la sana e prudente gestione dei rischi

aziendali;

c) un efficace sistema dei controlli interni;

d) misure che assicurino che il personale e i soggetti terzi di cui l’intermediario si avvale per

lo svolgimento delle proprie attività conoscano le procedure da seguire per il corretto esercizio delle

proprie funzioni e siano provvisti delle qualifiche, delle conoscenze e delle competenze necessarie

per l’esercizio delle responsabilità loro attribuite;

e) criteri e procedure volti a garantire che l’affidamento di funzioni al personale o ai

soggetti terzi di cui l’intermediario si avvale per lo svolgimento delle proprie attività non sia tale da

impedire loro di svolgere in modo adeguato e professionale una qualsiasi di tali funzioni;

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f) efficaci flussi interni di comunicazione delle informazioni; g) un sistema informativo

adeguato al contesto operativo e ai rischi ai quali l’intermediario stesso è esposto;

g) procedure e sistemi idonei a tutelare la sicurezza, l’integrità e la riservatezza delle

informazioni, tenendo conto della natura delle informazioni medesime;

h) politiche, sistemi, risorse e procedure per la continuità dell’attività e dei servizi,

formalizzati in un apposito piano aziendale di continuità operativa, adeguati ad assicurare la

capacità di operare su base continuativa, limitare le perdite in caso di gravi interruzioni

dell’operatività, recuperare tempestivamente i dati e le funzioni al fine di riprendere

tempestivamente i servizi.

3.2. L’acquisizione di partecipazioni qualificate del nuovo


soggetto

L’acquisizione di partecipazioni qualificate del nuovo Intermediario finanziario è soggetta

ad autorizzazione preventiva; le disposizioni di vigilanza prevedono una pluralità di condizioni in

capo al candidato acquirente atte a garantire la sana e prudente gestione dell’intermediario (i

requisiti di onorabilità, la sua reputazione e la solidità finanziaria). Sono quindi tenuti a presentare

istanza di autorizzazione alla Bankitalia i soggetti che, da soli o di concerto, intendono acquisire

direttamente o indirettamente, a qualsiasi titolo, partecipazioni al capitale di un intermediario

finanziario che, tenuto conto di quelle già possedute, danno luogo:

a) a una partecipazione superiore al 10%, ovvero al raggiungimento o superamento delle

soglie del 20%, 30% e 50% del capitale sociale o dei diritti di voto;

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b) alla possibilità di esercitare un’influenza notevole;

c) al controllo, indipendentemente dall’entità della partecipazione.

Bankitalia all’uopo, eseguirà una valutazione della “qualità” e la “solidità finanziaria” del

candidato acquirente ed al correlato progetto di acquisizione, al fine di garantire la gestione sana e

prudente dell’intermediario, tenendo conto del probabile grado d’influenza del candidato

acquirente sull’intermediario medesimo.

La valutazione dell’organo di vigilanza sarà condotta sulla base dei seguenti criteri:

a) la reputazione del candidato acquirente;

b) la reputazione e l’esperienza di coloro che, in esito alla prevista acquisizione,

svolgeranno funzioni di amministrazione, direzione e controllo nell’intermediario;

c) la solidità finanziaria del candidato acquirente, in particolare in considerazione del tipo di

attività esercitata e prevista dall’intermediario cui si riferisce il progetto di acquisizione;

d) la capacità dell’intermediario di rispettare le disposizioni di vigilanza. In particolare, il

gruppo di cui diventerà ( eventualmente) parte deve disporre di una struttura che permetta di

esercitare una vigilanza efficace, di scambiare effettivamente informazioni tra le autorità di

vigilanza competenti e di determinare la ripartizione delle responsabilità tra le stesse;

e) l’inesistenza di motivi ragionevoli per sospettare che, in relazione alla prevista

acquisizione, sia in corso o abbia avuto luogo un’operazione o un tentativo di riciclaggio di

proventi di attività illecite o di finanziamento del terrorismo o che la prevista acquisizione potrebbe

aumentarne il rischio.

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Lo stesso Organo autorizzativo si pronuncerà sull’istanza autorizzativa entro 60 giorni.

3.3. Il sistema e gli organi di governo dell’Intermediario


Finanziario

L’Intermediario Finanziario sceglie il proprio sistema di amministrazione e controllo sulla

base di una propria e approfondita autovalutazione che consenta di individuare il modello in

concreto più idoneo ad assicurare l’efficienza e la correttezza della gestione e l’efficacia dei

controlli, avendo presente anche i costi connessi con l’adozione e il funzionamento del modello

prescelto. Il sistema di governo dell’Intermediario Finanziario prevede n° 3 organi di governo

aventi funzioni specifiche:

L’Organo con funzione di supervisione strategica “ovvero l’organo aziendale cui - ai

sensi del codice civile o per disposizione statutaria - sono attribuite funzioni di indirizzo della

gestione dell’impresa, mediante, tra l’altro, esame e delibera in ordine ai piani industriali o

finanziari ovvero alle operazioni strategiche;

“Organo con funzione di gestione” ovvero l’organo aziendale o i componenti di esso

cui - ai sensi del codice civile o per disposizione statutaria - spettano o sono delegati compiti di

gestione corrente, intesa come attuazione degli indirizzi deliberati nell’esercizio della funzione di

supervisione strategica. Il direttore generale rappresenta il vertice della struttura interna e come tale

partecipa alla funzione di gestione;

’“Organo con funzione di controllo” è rappresentato dal collegio sindacale, il consiglio

di sorveglianza o il comitato per il controllo sulla gestione.

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La suddetta “articolazione” degli organi aziendali andrà a conformare e allineare il “piano

formale” al “piano sostanziale” dei diversi modelli di amministrazione e controllo.

L’attribuzione di poteri ad organi delegati (o l’istituzione di specifici comitati) rientra

nell’autonomia organizzativa dell’intermediario finanziario; tale autonomia non potrà comunque

rappresentare delle limitazioni alle specifiche prerogative degli organi deputati.

3.4. Gli esponenti aziendali, requisiti di onorabilità,


professionalità e indipendenza

Al fine di assicurare la sana e prudente gestione i soggetti che svolgono funzioni di

amministrazione, direzione e controllo presso intermediari finanziari devono possedere requisiti di

professionalità, di onorabilità e di indipendenza.

L'individuazione dei requisiti e delle cause di sospensione dalla carica è demandata a un

Regolamento del Ministro dell’Economia e delle finanze. L’art.26, richiamato dall’art.110 dello

stesso testo unico, che disciplina i requisiti di professionalità, di onorabilità e di indipendenza degli

esponenti aziendali dispone che:

1. “I soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso banche

devono possedere i requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza stabiliti con regolamento

del Ministro dell'economia e delle finanze adottato, sentita la Banca d'Italia, ai sensi dell'articolo 17,

comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

2. Il difetto dei requisiti determina la decadenza dall'ufficio. Essa è dichiarata dal consiglio

di amministrazione, dal consiglio di sorveglianza o dal consiglio di gestione entro trenta giorni dalla

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nomina o dalla conoscenza del difetto sopravvenuto. In caso di inerzia la decadenza è pronunciata

dalla Banca d'Italia”.

3.5. Il capitale minimo iniziale dell’ Intermediario Finanziario

Il nuovo Intermediario Finanziario dispone di un capitale sociale minimo versato, in

funzione alla tipologia di attività che esercita:

a) 2 milioni di euro (da confermare!) qualora eserciti l’attività di concessione di

finanziamenti senza rilasciare garanzie;

b) 3 milioni di euro (da confermare!) qualora eserciti, esclusivamente o congiuntamente con

altre attività di finanziamento, l’attività di concessione di finanziamenti nella forma del rilascio

delle garanzie.

Tale capitale iniziale potrà comprendere anche conferimenti in natura; detti conferimenti

non possono comunque eccedere i tre decimi dell’ammontare complessivo del capitale.

La funzione di un capitale minimo iniziale per l’accesso al mercato è di assicurare che

l’intermediario, neo costituito, disponga sin dall’inizio delle risorse patrimoniali necessarie per

sostenere i costi di avvio dell’operatività.

3.6. Strutture esterne – La rete distributiva

Il Decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, in attuazione della Direttiva comunitaria

2008/48/CE ha introdotto la nuova disciplina su agenti e mediatori e l’assetto dei controlli su questi

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operatori nel contesto più generale della riforma dell’intermediazione finanziaria e dei nuovi

compiti della Vigilanza. Il recepimento della normativa europea relativa ai contratti di credito ai

consumatori ha rappresentato l’occasione per una riforma più ampia che ha inserito la trasparenza e

la correttezza dei comportamenti con la clientela e quindi sui canali distributivi degli intermediari

finanziari.L’intervento si è articolato in quattro indirizzi significativi:

1. in un più elevato livello di responsabilizzazione di tutti gli operatori nonché degli

intermediari finanziari nei rapporti con le reti di distribuzione;

2. nell’individuazione di precise incompatibilità e la netta separazione delle due figure

professionali;

3. nell’introduzione del principio del mono mandato per gli agenti in attività finanziaria e

dell’obbligo della forma giuridica societaria per i mediatori creditizi;

4. nell’adozione di una serie di requisiti maggiormente selettivi per l’esercizio dell’attività.

Per quanto concerne una maggiore responsabilizzazione l’obiettivo viene perseguito in

particolare con l’introduzione, per tutte e due le categorie di professionisti, dell’obbligo di stipula di

una polizza d’assicurazione della responsabilità civile per i danni arrecati, nell’esercizio

dell’attività, derivanti da condotte proprie o di terzi del cui operato essi rispondono a norma di

legge. Inoltre, è prevista la responsabilità solidale dell’intermediario per i danni causati dall’agente

in attività finanziaria, anche se conseguenti a responsabilità accertata in sede penale. Analoga

responsabilità è prevista in capo agli agenti in attività finanziaria e ai mediatori creditizi per i danni

causati, nell’esercizio dell’attività, da dipendenti e collaboratori di cui gli stessi a loro volta si

avvalgono.

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Per quanto concerne l’incompatibilità, l’individuazione di nuove cause di incompatibilità

tra vari tipi di attività ha l’obiettivo di assicurare la professionalità e l’autonomia dell’operatività di

entrambe le categorie professionali. Il legislatore ha optato, innanzitutto, per il carattere esclusivo

dell’attività sia di agente sia di mediatore: essi potranno svolgere solo attività connesse o

strumentali con quella istituzionale. E’ stata fissata una separazione tra le due figure professionali.

Viene infatti prevista l’incompatibilità tra le due attività; essa sussiste anche per i dipendenti e i

collaboratori i quali non possono svolgere contemporaneamente la loro attività a favore di soggetti

iscritti in elenchi differenti.

Per quanto concerne il mandato, gli agenti in attività finanziaria possono avere un solo

mandato da un intermediario o da un gruppo di più intermediari. Una eccezione a tale regola, con la

possibilità di assumere due ulteriori mandati, è ammessa nel caso in cui l’intermediario offra solo

alcuni specifici prodotti o servizi.

Per quanto concerne i requisiti per l’iscrizione negli elenchi, oltre i requisiti di onorabilità e

professionalità già previsti per l’iscrizione negli albi ed elenchi tenuti precedentemente dalla Banca

d’Italia, sono stati introdotti dal legislatore ulteriori requisiti professionali per le persone fisiche;

patrimoniali e organizzativi per le società; tecnico-informatici per tutti gli iscritti.

I nuovi requisiti per le persone giuridiche prevedono la forma di società di capitali per la

mediazione creditizia un capitale sociale minimo versato pari a 120.000 euro mentre le società da

iscriversi nell’elenco degli agenti si applicano i requisiti patrimoniali e di forma giuridica previsti

dalla disciplina civilistica.

L’intermediario finanziario eserciterà comunque direttamente il controllo per verificare

l’osservanza delle disposizioni in materia di usura e trasparenza. Al Nucleo speciale di polizia

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valutaria della Guardia di Finanza permane altresì il compito di effettuare le verifiche in materia

di osservanza delle disposizioni “antiriciclaggio” da parte di agenti e mediatori.

L’intermediario finanziario presterà quindi sempre maggiore attenzione al rapporto con la

propria rete distributiva per i seguenti motivi:

gli intermediari da un lato e agenti e mediatori dall’altro sono operatori economici

distinti, soggetti ciascuno a obblighi e adempimenti specifici ma, nel momento in cui si dà corso a

un finanziamento procurato da un agente o da un mediatore, l’intermediario finanziario, lo fa

proprio e diventa responsabile delle modalità con cui è stata instaurata la nuova relazione di

clientela;

tale responsabilità si traduce in assunzione di rischi legali, operativi e reputazionali, che

impongono presidi specifici.

L’Intermediario Finanziario quindi nell’offrire i suoi prodotti/servizi fuori sede attraverso

reti di agenti in attività finanziaria, promotori finanziari o di altri soggetti legati all’intermediario da

vincoli contrattuali deve adottare ogni precauzione necessaria ad assicurare il rispetto delle

disposizioni in materia di contrasto al riciclaggio. A tal fine, l’intermediario finanziario preponente

ha cura di:

a. richiamare nell’ambito dei contratti di collaborazione stipulati con agenti, promotori e

soggetti esterni le regole di condotta a fini antiriciclaggio cui gli stessi devono attenersi

nell’esercizio dell’attività per conto dell’intermediario medesimo;

b. fornire agli addetti alla propria rete di vendita gli strumenti operativi e le procedure,

anche informatiche, che li assistano nell’esecuzione di ogni operazione e dei relativi adempimenti a

fini antiriciclaggio;

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c. approntare specifici e periodici programmi di formazione a favore degli addetti alla rete

di vendita, affinché abbiano adeguata conoscenza della normativa di riferimento e delle connesse

responsabilità e siano in grado di utilizzare consapevolmente strumenti e procedure di ausilio

nell’esecuzione degli adempimenti;

d. monitorare costantemente il rispetto da parte della rete di vendita delle regole di condotta

antiriciclaggio richiamate in sede contrattuale, verificando, in particolare, che gli agenti in attività

finanziaria di cui si avvale trasmettano, non oltre il termine di trenta giorni, i dati e le informazioni

richieste dall’art. 36, comma 2, del D.Lgs. 231/2007 ai fini della registrazione dell’operazione nel

proprio Archivio Unico Informatico;

e. effettuare verifiche periodiche presso i punti operativi degli addetti alla rete di vendita.

3.7. Il presidio antiriciclaggio, organizzazione, procedure e


controlli interni

L’intermediario finanziario istituirà il presidio antiriciclaggio in conformità al

provvedimento recante disposizioni attuative in materia di organizzazione, procedure e controlli

interni volti a prevenire l’utilizzo degli intermediari e degli altri soggetti che svolgono attività

finanziaria a fini di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, ai sensi dell’art.7 comma 2 del

Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231 del 10/3/2011.

In particolare, l’intermediario Finanziario si conformerà ad una serie di obblighi che si

ispirano a tre istituti fondamentali:

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1. adeguata verifica della clientela con la quale si instaurano rapporti o si effettuano

operazioni (customer due diligence);

2. registrazione dei rapporti e delle operazioni e conservazione dei relativi documenti di

supporto;

3. segnalazione delle operazioni sospette.

L’adeguata verifica della clientela impone all’intermediario finanziario di commisurare il

rigore degli obblighi d’identificazione dei clienti al rischio di riciclaggio desumibile dalla natura

della controparte, dal tipo di servizio richiesto, dall’area geografica di riferimento (c.d. approccio

basato sul rischio). L’elemento rischio deve quindi essere preso in considerazione da parte

dell’intermediario finanziario non solo per l’individuazione e la segnalazione di operazioni

sospette, ma anche per l’applicazione di misure differenziate, semplificate o rafforzate, di adeguata

verifica della clientela in relazione rispettivamente a ipotesi di rischio minore o maggiore.

L’Intermediario Finanziario istituirà altresì un archivio unico informatico (AUI) per la

registrazione dei dati della clientela e registrerà tempestivamente il compimento delle operazioni

nonché l’apertura – variazione - chiusura del rapporto continuativo.

L’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette rappresenta (anche) per l’intermediario

finanziario, il fulcro della legislazione antiriciclaggio. Ai sensi dell’art. 41 del decreto,

l’intermediario finanziario è tenuto ad inoltrare una segnalazione alla UIF “quando sanno,

sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute

o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo”.

Ai fini di un corretto adempimento dei suddetti obblighi e di un efficace governo dei rischi è

indispensabile, all’interno della sua struttura, la predisposizione di adeguati presidi organizzativi, la

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cui articolazione va modulata alla luce delle specificità dell’attività svolta e delle relative

dimensioni organizzative e caratteristiche operative. L’intermediario finanziario applicherà in

termini di presidio antiriciclaggio il principio di proporzionalità, in coerenza con la forma giuridica,

le dimensioni, l’articolazione organizzativa, le caratteristiche e la complessità dell’attività svolta.

Lo stesso intermediario si dota quindi di un assetto organizzativo, di procedure operative e

di sistemi informativi che - tenuto conto della natura, della dimensione e della complessità

dell’attività svolta nonché della tipologia e della gamma dei servizi prestati - siano comunque in

grado di garantire l’osservanza delle norme di legge e regolamentari previste in materia di

prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.

In linea con le disposizioni volte a rafforzare la gestione del rischio di non conformità,

l’intermediario finanziario introduce presidi specifici per il controllo del rischio di riciclaggio e

finanziamento del terrorismo, modulando risorse, procedure, funzioni organizzative chiaramente

individuate e adeguatamente specializzate. Si evidenzia che l’adeguatezza dei presidi adottati

dell’I.F. in materia antiriciclaggio rientra tra le verifiche che la Banca d’Italia è chiamata a svolgere

nell’ambito del “processo di revisione e valutazione prudenziale” (cd. SREP).

In estrema sintesi il sistema dei controlli interni dell’Intermediario Finanziario deve essere

in grado di intercettare prontamente carenze procedurali e dei comportamenti, suscettibili di

produrre violazioni dei vincoli regolamentari.

La funzione antiriciclaggio

L’intermediario finanziario si dota di una funzione deputata a prevenire e contrastare la

realizzazione di operazioni di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo. La funzione viene

organizzata in coerenza con il principio di proporzionalità comunque in modo tale che sia

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indipendente e dotata di risorse qualitativamente e quantitativamente adeguate ai compiti da

svolgere, eventualmente attivabili anche in autonomia.

I diversi compiti in cui si articola l’attività della funzione antiriciclaggio possono essere

affidati a strutture organizzative diverse, già presenti nell’ambito dell’I.F., purché la gestione

complessiva del rischio in questione sia ricondotta ad unità mediante la nomina di un responsabile

con compiti di coordinamento e di supervisione. La funzione in argomento può anche essere

attribuita alle strutture dell’intermediario finanziario che svolgono le funzioni di controllo di

conformità o di risk management. Le medesime attribuzioni non possono essere assegnate alla

funzione di revisione interna.

Il responsabile delle segnalazioni delle operazioni sospette

Per quanto concerne la segnalazione delle operazioni sospette ai sensi dell’art. 42 comma 4

del decreto 231/2007, compete al titolare dell’attività, al legale rappresentante dell’I.F. ovvero ad un

suo delegato:

a. valutare le segnalazioni di operazioni sospette pervenute;

b. trasmettere alla UIF le segnalazioni ritenute fondate.

La persona nominata delegato deve essere in possesso di adeguati requisiti di indipendenza,

autorevolezza e professionalità. Il delegato non deve avere responsabilità dirette in aree operative né

deve essere gerarchicamente dipendente da soggetti di dette aree. Il ruolo e le responsabilità del

delegato ovvero del legale rappresentante devono essere adeguatamente formalizzati e resi pubblici

all’interno della struttura dell’I.F.. La delega per la valutazione e la trasmissione delle segnalazioni

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pervenute (ex art. 42, comma 4, D. Lgs. n. 231/2007) può essere attribuita al responsabile

antiriciclaggio. La delega non può essere conferita al responsabile della funzione di revisione

interna né a soggetti esterni all’impresa.

3.8. L’organizzazione amministrativo-contabile e il sistema


informativo

Gli organi aziendali dell’Intermediario Finanziario dovranno assumere decisioni consapevoli

e coerenti con gli obiettivi aziendali e devono quindi disporre di affidabili di sistemi informativi che

dovranno essere adeguati al contesto operativo e ai rischi ai quali essi sono esposti. Tale pre-

requisito è essenziale per il buon funzionamento dell’intermediario finanziario. Il sistema

informativo adeguato rispetta le seguenti condizioni:

a) fornire supporto alla conduzione delle attività e all’attuazione dei fatti di gestione

dell’intermediario, della sua organizzazione interna e di ogni operazione con il richiesto grado di

dettaglio, assicurandone la corretta attribuzione sotto il profilo temporale;

b) assicurare flussi informativi adeguati e tempestivi agli organi aziendali, alle funzioni di

controllo e a ogni livello dell’organizzazione aziendale, con particolare riferimento ai dati necessari

per il corretto esercizio delle proprie responsabilità e per seguire l’evoluzione dei rischi;

c) fornire alla Banca d'Italia un quadro fedele della posizione patrimoniale, economica e

finanziaria dell’intermediario. I sistemi che adotterà l’Intermediario finanziario dovranno quindi

assicurare un elevato grado di attendibilità e consentire di registrare correttamente e con la

massima tempestività i fatti di gestione, di ricostruire l’attività dell’intermediario finanziario a

qualsiasi data, partitamente per ciascuno dei servizi prestati.

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3.9. Il sistema di controlli interni e le funzioni di controllo (dei


rischi)

3.9.1. Il sistema di controlli interni

Le disposizioni di vigilanza degli intermediari finanziari introducono, come precisato, regole

di governo societario ispirate a quelle delle banche che mirano ad assicurare che i sistemi di

amministrazione e controllo adottati dagli intermediari siano in grado di assicurare l’efficienza e la

correttezza della gestione e l’efficacia dei controlli.

Il sistema dei controlli dell’Intermediario Finanziario è modulato in tre livelli (di controllo):

1. controlli di linea, (controlli di primo livello), diretti ad assicurare il corretto svolgimento

delle operazioni connesse con l’attività di concessione di finanziamenti e le altre attività esercitate.

2. controlli sulla gestione dei rischi (controlli di secondo livello), che hanno l’obiettivo di

verificare: a) il rispetto dei limiti operativi assegnati alle varie funzioni; b) la coerenza

dell’operatività delle singole aree produttive con gli obiettivi di rischio-rendimento assegnati; c) la

conformità alle norme dell’operatività aziendale.

3. revisione interna - internal audit - (controlli di terzo livello), - in tale ambito rientra la

valutazione periodica della completezza, funzionalità e adeguatezza del sistema dei controlli interni,

inclusi quelli sul sistema informativo (EDP audit), quali controlli di terzo livello.

3.9.2. Le funzioni di controllo (dei rischi)

Premessa

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L’intermediario finanziario istituisce funzioni indipendenti di controllo di conformità alle

norme, di gestione del rischio e di revisione interna. Per assicurare l’indipendenza delle funzioni

aziendali di controllo è necessario che:

a. tali funzioni dispongano dell’autorità, delle risorse e delle competenze necessarie per lo

svolgimento dei loro compiti;

b. i responsabili non siano gerarchicamente subordinati ai responsabili delle funzioni

sottoposte a controllo e siano nominati dall’organo con funzione di gestione, d’accordo con

l’organo con funzione di supervisione strategica, sentito l’organo con funzione di controllo. Essi

riferiscono direttamente agli organi aziendali;

c. coloro che partecipano alle funzioni aziendali di controllo non partecipino direttamente

alla prestazione delle attività che essi sono chiamati a controllare. Fermo restando tale previsione, in

applicazione del principio di proporzionalità, i responsabili delle funzioni di controllo possono

avvalersi di soggetti aventi anche funzioni operative, incardinati in strutture aziendali diverse da

quelle di controllo, se l’affidamento a tali soggetti di altri compiti oltre a quelle di controllo non

impedisca loro di svolgere in modo adeguato e professionale i compiti di controllo (cfr. Sez. I, par.

6, lett. e);

d. le funzioni aziendali di controllo siano tra loro separate sotto un profilo organizzativo.

e. il metodo per la determinazione della remunerazione di coloro che partecipano alle

funzioni aziendali di controllo non ne comprometta l’obiettività.

Le funzioni aziendali di controllo presentano agli organi aziendali, almeno una volta l’anno,

relazioni sull’attività svolta e forniscono agli stessi organi consulenza per i profili che attengono ai

compiti di controllo svolti. Esse svolgono i compiti di seguito indicati.

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Gli intermediari finanziari minori (intermediari finanziari appartenenti alla Classe 3 e con

attivo inferiore o uguale alla soglia di 100 milioni di euro ndr, ) diversi da quelli che svolgono

anche le attività di cui all’art. 106 TUB comma 2, (riportate dettagliatamente al titolo 1.2 di questa

sezione - ulteriori attività esercitabili) – ( es.: conclusione di contratti di finanziamento di terzi etc.)

- possono non applicare il requisito di cui al punto d); essi assicurano comunque funzioni di

controllo efficaci. Tuttavia, l’attribuzione di controlli di audit a funzioni aziendali di controllo

incaricate dello svolgimento di controlli di secondo livello è ammessa solo per gli intermediari

finanziari che abbiano le seguenti caratteristiche: complessità operativa ridotta; esercizio della sola

attività di finanziamento (per cassa e/o firma). La Banca d’Italia si riserva di revocare tali facoltà

qualora riscontri che non sono assicurate l’efficacia e la qualità dei controlli.

La funzione di risk management

La funzione di risk management (funzione di secondo livello):

a. collabora alla definizione delle politiche e del processo di gestione del rischio e delle

relative procedure e modalità di rilevazione e controllo;

b. presiede al funzionamento del sistema di misurazione e controllo dei rischi e ne verifica il

rispetto da parte dell’intermediario; in tale contesto sviluppa e applica indicatori in grado di

evidenziare situazioni di anomalia e inefficacia dei sistemi di misurazione e controllo dei rischi;

c. monitora costantemente l’evoluzione dei rischi aziendali e il rispetto dei limiti operativi

all’assunzione delle varie tipologie di rischio;

d. analizza i rischi dei nuovi prodotti e servizi e di quelli derivanti dall’ingresso in nuovi

segmenti operativi e di mercato;

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e. verifica l’adeguatezza e l’efficacia delle misure prese per rimediare alle carenze

riscontrate nel sistema di controllo dei rischi.

Funzione di controllo di conformità - compliance

La Funzione di controllo di conformità (compliance), al fine di valutare l’adeguatezza delle

procedure interne rispetto all’obiettivo di prevenire la violazione di leggi, regolamenti e norme di

autoregolamentazione applicabili all’intermediario finanziario:

a. identifica le norme applicabili all’intermediario finanziario e alle attività da esso prestate e

ne misura/valuta l’impatto sui processi e sulle procedure aziendali;

b. propone modifiche organizzative e procedurali volte ad assicurare l’adeguato presidio dei

rischi di non conformità alle norme;

c. predispone flussi informativi diretti agli organi aziendali e alle altre funzioni aziendali di

controllo;

d. verifica l’efficacia degli adeguamenti organizzativi suggeriti per la prevenzione del

rischio di non conformità. La funzione di conformità alle norme è coinvolta nella valutazione ex

ante della conformità alla regolamentazione applicabile di tutti i progetti innovativi (inclusa

l’operatività in nuovi prodotti o servizi) che l’intermediario intenda intraprendere nonché nella

prevenzione e nella gestione dei conflitti di interesse anche con riferimento ai dipendenti e agli

esponenti aziendali. Altre aree di intervento verifica della coerenza del sistema premiante aziendale

(in particolare retribuzione e incentivazione del personale) con gli obiettivi di rispetto delle norme,

dello statuto nonché di eventuali codici etici o altri standard di condotta applicabili

all’intermediario;

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e. la consulenza e assistenza nei confronti degli organi aziendali dell’intermediario in tutte le

materie in cui assume rilievo il rischio di non conformità nonché la collaborazione nell’attività di

formazione del personale sulle disposizioni applicabili alle attività svolte, al fine di diffondere una

cultura aziendale improntata ai principi di onestà, correttezza e rispetto dello spirito e della lettera

delle norme.

La funzione di revisione interna

La Funzione di revisione interna (funzione di terzo livello), nello specifico l’internal audit,

in base a un piano di audit, approvato dall’organo con funzione di gestione, valuta l’adeguatezza e

l’efficacia del sistema dei controlli interni, l’adeguatezza e sicurezza del sistema informativo (EDP

audit) nonché l’adeguatezza del piano aziendale di continuità operativa. Inoltre, anche mediante

verifiche su specifici eventi o circostanze aziendali ovvero accertamenti ispettivi, verifica i seguenti

profili:

a. regolarità delle diverse attività aziendali ed evoluzione dei rischi;

b. regolarità della rete distributiva;

c. rispetto delle norme da parte di tutti i livelli aziendali;

d. rispetto dei limiti previsti dai meccanismi di delega nonché del pieno e corretto utilizzo

delle informazioni disponibili nelle diverse attività.

L’internal audit verifica la rimozione delle anomalie riscontrate nell’operatività e nel

funzionamento dei controlli (attività di “follow-up”). Sulla base dei risultati delle verifiche

effettuate in base al piano di audit, formula raccomandazioni agli organi aziendali e ne verifica

l’osservanza.

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4 Parole chiave della lezione


 ALBO UNICO DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI

 AUTORIZZAZIONE ALL’ISCRIZIONE NEL NUOVO ALBO

 ATTIVITA’ DELL’INTERMEDIARIO FINANZIARIO

 CAPITALE MINIMO INIZIALE DELL’INTERMEDIARIO FINANZIARIO

 IL SISTEMA DI CONTROLLI INTERNI

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Sitografia
 IL QUADRO NORMATIVO DEL NUOVO INTERMEDIARIO FINANZIARIO

VIGILATO 106 TUB - a cura di www.106tub.eu

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“L' INTERMEDIARIO FINANZIARIO:
VIGILANZA, PARTECIPAZIONE,
ISCRIZIONE E CANCELLAZIONE”

PROF. COSTANTINO FORMICA


Università Telematica Pegaso L' Intermediario finanziario:
vigilanza, partecipazione,
iscrizione e cancellazione

Indice

1 LA VIGILANZA EQUIVALENTE BANCARIA DELL’INTERMEDIARIO FINANZIARIO ---------------- 3


2 LA PARTECIPAZIONE DELL’INTERMEDIARIO FINANZIARIO AL NUOVO GRUPPO
FINANZIARIO ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 10
3 L’ITER AUTORIZZATIVO PER L’ISCRIZIONE ALL’ALBO INTERMEDIARI FINANZIARI --------- 12
3.1. L’ISTANZA DI AUTORIZZAZIONE E GLI ALLEGATI PREVISTI DALLE DISPOSIZIONI DI VIGILANZA -----------------12
3.2. LA RELAZIONE DELLA STRUTTURA ORGANIZZATIVA -------------------------------------------------------------------14
3.3. IL PROCESSO AUTORIZZATIVO PER L’ISCRIZIONE ALL’ALBO -----------------------------------------------------------21
3.4. IL RILASCIO DI AUTORIZZAZIONE ------------------------------------------------------------------------------------------22
3.5. L’ISCRIZIONE ALL’ALBO ----------------------------------------------------------------------------------------------------22
4 L’INTERMEDIARIO FINANZIARIO ESTERO ---------------------------------------------------------------------- 23
5 LA CANCELLAZIONE DELL’INTERMEDIARIO FINANZIARIO --------------------------------------------- 25
6 PAROLE CHIAVE DELLA LEZIONE ---------------------------------------------------------------------------------- 26
SITOGRAFIA ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 27

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1 La vigilanza equivalente bancaria


dell’intermediario finanziario

La vigilanza prudenziale

Gli obiettivi della regolamentazione prudenziale sono:

a. assicurare una misurazione accurata dei rischi degli intermediari finanziari e una

dotazione patrimoniale strettamente commisurata all’effettivo grado di esposizione al rischio di

ciascun intermediario;

b. stimolare il miglioramento delle prassi gestionali e delle tecniche di misurazione dei

rischi; valorizzare il ruolo disciplinante del mercato, attraverso specifici obblighi di informativa al

pubblico;

c. la realizzazione per gli intermediari finanziari di un regime di vigilanza “equivalente” a

quello bancario.

La vigilanza informativa

Gli artt.108, comma 4, e 109, comma 3, lett.b) TUB disciplinano i poteri di vigilanza

informativa della Banca d’Italia nei confronti degli intermediari finanziari, rispettivamente su base

individuale e consolidata. Gli articoli richiamati prevedono che gli intermediari finanziari inviino

alla Banca d’Italia, con le modalità e nei termini da essa stabiliti, le segnalazioni periodiche nonché

ogni altro dato e documento richiesto. Essi trasmettono anche i bilanci con le modalità e nei termini

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stabiliti dalla Banca d'Italia. L’art. 109 disciplina anche i casi in cui la Banca d'Italia può richiedere

a soggetti non inclusi nel gruppo finanziario i dati e le informazioni necessarie per consentire

l’esercizio della vigilanza consolidata.

L'acquisizione di elementi informativi sia di carattere periodico sia relativi ad operazioni di

specifico interesse per la sana e prudente gestione degli intermediari assume rilievo particolare.

Attraverso di essa, infatti, la Banca d'Italia può verificare l'osservanza delle disposizioni di

vigilanza da parte degli operatori, acquisire un complesso informativo necessario per la valutazione

della situazione dell'intermediario finanziario e del gruppo finanziario, nonché valutare i

presupposti per l’esercizio dei propri poteri di vigilanza (ad esempio, adozione di provvedimenti di

carattere particolare o generale).

Le informazioni che gli intermediari finanziari trasmettono alla Banca d'Italia consentono,

infine, di seguire l'evoluzione degli aggregati finanziari a fini di vigilanza.

Segnalazioni di vigilanza

Gli intermediari finanziari inviano alla Banca d’Italia, le segnalazioni di vigilanza, il cui

contenuto e termini di invio sono disciplinati dalla apposita Circolare. Condizione essenziale per la

significatività delle informazioni che confluiscono nelle segnalazioni di vigilanza, oltre

naturalmente alla coerenza dei dati segnalati con le risultanze della contabilità aziendale, è

l’omogeneità dei criteri di classificazione dei fatti aziendali, assicurata dal rispetto delle

disposizioni impartite in materia. La responsabilità della correttezza delle segnalazioni e, quindi,

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dell’adeguatezza delle procedure di produzione e di controllo di tali segnalazioni, fa capo agli

organi aziendali in funzione delle rispettive competenze.

Centrale dei rischi

Gli intermediari finanziari comunicano periodicamente l’esposizione nei confronti dei

propri affidati e i nominativi a questi collegati. Le disposizioni concernenti il funzionamento della

Centrale dei Rischi e le condizioni che rendono obbligatorio l’invio di tali dati sono emanate dal

Servizio Rilevazioni ed Elaborazioni Statistiche della Banca d’Italia.

Relazione sulla struttura organizzativa

Gli intermediari finanziari allegano all’istanza di autorizzazione la relazione sulla struttura

organizzativa secondo lo schema predefinito. Gli intermediari assicurano che la relazione sia

costantemente aggiornata.

Esponenti aziendali

Ai fini delle segnalazioni sugli organi sociali, gli intermediari finanziari si attengono a

quanto previsto dall’apposita comunicazione “Nuova segnalazione sugli Organi Sociali (Or.So.)-

Istruzioni per gli intermediari.”

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Bilancio d’impresa

Gli intermediari finanziari trasmettono alla Banca d'Italia il proprio bilancio d'impresa e, ove

redatto, il bilancio consolidato. Il bilancio d’impresa e il bilancio consolidato vanno trasmessi

corredati della documentazione prevista dalla legge:

a. relazione degli amministratori sulla gestione,

b. relazione del collegio sindacale,

c. verbale dell'assemblea dei soci (o di eventuali altri organi collegiali) che ha approvato il

bilancio,

d. bilancio delle società controllate,

e. dati essenziali del bilancio delle società sottoposte a influenza notevole,

f. la relazione del soggetto incaricato della revisione legale dei conti.

Il decreto legislativo n.38 del 28 febbraio 2005, che definisce l’ambito di applicazione dei

principi contabili internazionali IAS/IFRS ai bilanci societari, ha infatti previsto – tra l’altro – che

gli intermediari finanziari iscritti nell’ ”elenco speciale” di cui all’art. 107 del Testo Unico Bancario

redigano il bilancio individuale e quello consolidato secondo i principi contabili internazionali

IAS/IFRS.

Bankitalia ha emanato disposizioni che disciplinano gli schemi del bilancio (stato

patrimoniale, conto economico, prospetto della redditività complessiva, rendiconto finanziario e

prospetto delle variazioni del patrimonio netto), e gli schemi del rendiconto dei patrimoni destinati

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(stato patrimoniale, conto economico, prospetto della redditività complessiva, rendiconto

finanziario e prospetto delle variazioni del patrimonio destinato) nonché le principali informazioni

da fornire in nota integrativa del bilancio e del rendiconto. Resta fermo l’obbligo degli intermediari

di assolvere agli altri obblighi informativi stabiliti dai principi contabili internazionali, ancorché

non specificamente richiamati dalle presenti disposizioni.

Operazioni rilevanti

Nel proseguimento sono riportate le “operazioni rilevanti” che devono essere comunicate

preventivamente alla Banca d’Italia. In tale modo è assicurata all’organo di vigilanza un’adeguata

informativa sui momenti salienti della vita aziendale, e la possibilità di valutare la sussistenza dei

presupposti per l’esercizio dei propri poteri di vigilanza (ad esempio, adozione di provvedimenti di

carattere particolare).

Operazioni rilevanti da comunicare, diverse da quelle di cessione dei rapporti giuridici

Gli intermediari finanziari comunicano preventivamente alla Banca d’Italia l’intenzione di

effettuare le seguenti operazioni: a) operazioni di fusione, scissione o liquidazione;

b) fuori dai casi di ristrutturazione dei gruppi finanziari, da comunicare nelle modalità

convenute assunzione di partecipazioni in banche, società finanziarie e strumentali e acquisizione di

rapporti giuridici il cui corrispettivo comporti il superamento della soglia dell’1% del patrimonio di

vigilanza ovvero che rientrino nel perimetro del consolidamento integrale o proporzionale. c)

modificazioni dello statuto che incidono su aspetti rilevanti dell’organizzazione aziendale (ad es.

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modifiche del modello di governo societario); d) emissioni di strumenti di debito configurabili

come raccolta del risparmio presso il pubblico; e) variazioni rilevanti della rete distributiva; f)

aumento e riduzione del capitale sociale; g) costituzione di un patrimonio destinato; h) fuori dai casi

previsti dall’art. 18 TUB, l’intenzione di operare in Stati diversi dall’Italia, nel rispetto delle

disposizioni previste per l’esercizio l’attività di tali stati.

Operazioni da autorizzare - Sono soggette ad autorizzazione della Banca d’Italia le

operazioni di cessione di aziende, rami d’azienda, beni e rapporti giuridici individuabili in blocco

realizzate tra soggetti che – anche in esito alla cessione stessa – non appartengono al medesimo

gruppo finanziario e il prezzo stabilito per la cessione superi il 10% del patrimonio di vigilanza

dell’intermediario finanziario o del gruppo cessionari.

La vigilanza ispettiva

La Banca d’Italia può effettuare ispezioni presso gli intermediari finanziari con facoltà di

richiedere l’esibizione dei documenti e degli atti ritenuti necessari. Le ispezioni sono volte ad

accertare che l’attività degli Intermediari finanziari risponda a criteri di sana e prudente gestione e

sia espletata nell’osservanza delle disposizioni regolanti l’esercizio dell’attività medesima. In

particolare, l’accertamento ispettivo è volto a valutare la complessiva situazione tecnica e

organizzativa dell’ente, nonché a verificare l’attendibilità delle informazioni fornite all’organo di

Vigilanza. Gli accertamenti possono essere altresì rivolti a specifici settori dell’operatività

(generali) ovvero possono inoltre essere condotte ispezioni volte a verificare il rispetto delle

disposizioni in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali.

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A conclusione degli accertamenti viene redatto il «rapporto ispettivo» contenente la

descrizione circostanziata (c.d. costatazioni) dei fatti ed atti aziendali riscontrati, non in linea con i

criteri di corretta gestione ovvero con la normativa regolante l’esercizio dell’attività. Il rapporto

ispettivo viene consegnato all’intermediario finanziario ispezionato; nella circostanza, ove ne

ricorrano i presupposti, si procede altresì alla contestazione formale delle irregolarità riscontrate.

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2 La partecipazione dell’intermediario finanziario


al nuovo gruppo finanziario
Una delle novità di maggiore rilievo del nuovo Titolo V del T.U.B. riguarda la disciplina del

gruppo finanziario, in cui è definita la composizione del gruppo finanziario e la disciplina dell’albo

dei gruppi finanziari. Il perimetro del gruppo include gli intermediari finanziari, le società

finanziarie (TUB art.59 comma 2, lett.b), e le banche extracomunitarie controllate dalla

capogruppo. La capogruppo può essere un intermediario finanziario o una società finanziaria.

All’interno del perimetro regolamentare la capogruppo svolge un ruolo di rilievo ai fini di vigilanza

quale referente della Banca d’Italia in materia di vigilanza consolidata.

Il gruppo finanziario può essere composto, alternativamente, da:

a. l’intermediario finanziario italiano capogruppo e dagli intermediari finanziari, dalle

società finanziarie — con sede legale in Italia e all'estero — e dalle banche extra-comunitarie

controllati dalla capogruppo; oppure

b. la società finanziaria capogruppo avente sede legale in Italia e dagli intermediari

finanziari, dalle società finanziarie — con sede legale in Italia e all'estero — e dalle banche extra-

comunitarie controllati dalla capogruppo, quando tra essi vi sia almeno un intermediario finanziario.

La figura di spicco del gruppo finanziario in quanto titolare di adempimenti è la capogruppo

che è individuata ne:

a) l’intermediario finanziario che controlli almeno una società finanziaria e non sia

controllato da altro intermediario finanziario o società finanziaria che possa essere considerata

capogruppo;

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b) la società finanziaria con sede legale in Italia, purché sussistano le seguenti condizioni:

b1. la finanziaria controlli almeno un intermediario finanziario italiano e non sia controllata

da altro intermediario finanziario o società finanziaria che possa essere considerata capogruppo;

b2. la finanziaria sia costituita sotto forma di società di capitali;

b3. nell'insieme delle società controllate dalla finanziaria risulti “prevalente” l’attività di

quelle finanziarie;

b4.sia verificato il requisito della “finanziarietà” del gruppo.

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3 L’iter autorizzativo per l’iscrizione all’albo


intermediari finanziari

3.1. L’istanza di autorizzazione e gli allegati previsti dalle


disposizioni di vigilanza

Il rilascio dell’autorizzazione è condizione per l’iscrizione dell’istituto nel registro delle

imprese. Dopo la stipula dell’atto costitutivo e prima di dare corso al procedimento di iscrizione nel

registro delle imprese, gli amministratori inoltrano la domanda di autorizzazione alla Banca d’Italia.

Alla ricezione della domanda ha inizio il processo autorizzativo.

Premessa

L’intermediario Finanziario allega all’istanza da inviare a Bankitalia: il programma di

attività, la descrizione delle linee guida, la relazione previsionale sui profili tecnici e di adeguatezza

patrimoniale e la Relazione sulla struttura organizzativa.

Il programma di attività

L’Intermediario Finanziario predispone il ‘’programma di attività’’ relativo al primo

triennio. Tale documento va redatto avendo riguardo alla complessità operativa, dimensionale e

organizzativa dell’intermediario, nonché alla natura specifica dell’attività (“principio di

proporzionalità”).

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La descrizione delle linee di sviluppo dell’operatività

L’intermediario Finanziario predispone un programma che illustra:

a) le finalità e gli obiettivi di sviluppo dell’iniziativa;

b) le caratteristiche dell’operatività che si intende avviare (es.: tipologia di finanziamenti,

altre attività che intende svolgere, tipologia di clientela servita);

c) l’area geografica e il mercato in cui l’intermediario intende operare e le prospettive di

espansione in altre aree nonché il posizionamento sul mercato, incluse le quote di mercato attese

(“mercato di riferimento e posizionamento”);

d) i canali di distribuzione utilizzati.

La relazione previsionale sui profili tecnici e adeguatezza patrimoniale

L’Intermediario Finanziario predispone una ‘’relazione previsionale’’ che prevede:

1) i bilanci previsionali relativi allo stato patrimoniale, al conto economico e al rendiconto

finanziario;

2) le previsioni sull’andamento dei volumi di attività;

3) l’evoluzione qualitativa e quantitativa del portafoglio crediti e le relative previsioni di

svalutazione;

La Relazione contiene un’analisi della sostenibilità patrimoniale degli obiettivi di sviluppo,

delle attività programmate e delle previsioni formulate che riporta altresì:

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a. la composizione ed evoluzione del patrimonio di vigilanza;

b. il calcolo dei requisiti prudenziali relativi ai rischi di primo pilastro, con evidenza delle

attività ponderate per il rischio;

c. la stima del fabbisogno patrimoniale a fronte dei rischi di secondo pilastro cui la società

risulta esposta.

La Relazione individua altresì scenari avversi rispetto alle ipotesi di base formulate e

descrive i relativi impatti economici e patrimoniali, rappresentandone gli effetti sui profili

prudenziali; in tale ambito, la società individua le azioni rafforzamento patrimoniale necessarie, con

la stima dei relativi oneri.

3.2. La relazione della struttura organizzativa

La Relazione sulla struttura organizzativa che produce l’Intermediario Finanziario si

sviluppa ad uno schema previsto dalle disposizioni attuative di Bankitalia.

Parte prima - Sistema di amministrazione e controllo

In questa parte sarà indicato il sistema di amministrazione e controllo adottato, con

particolare riferimento alle soluzioni organizzative scelte per assicurare l’efficienza dell’azione

aziendale, la dialettica nel processo decisionale, nel rispetto di specifiche previsioni. In particolare:

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1. si descriverà il modello di amministrazione e controllo adottato con particolare

riferimento a composizione, ambiti di responsabilità, compiti e deleghe assegnate agli organi con

funzione di supervisione strategica, gestione e controllo;

2. sarà indicata la periodicità abituale delle riunioni degli organi aziendali;

3. saranno descritti i processi che conducono alle decisioni di ingresso in nuovi mercati o

settori di attività o all’introduzione di nuovi prodotti;

4. saranno indicati, tempistica, forma, contenuti della documentazione da trasmettere agli

organi aziendali ai fini dell’adempimento delle rispettive funzioni, con specifica identificazione dei

soggetti responsabili. Evidenziare responsabili, tempistica e contenuto minimo dei flussi informativi

da presentare agli organi aziendali su base regolare.

Parte seconda - Struttura organizzativa e sistema dei controlli interni

Per quanto concerne la Struttura organizzativa e sistema dei controlli interni:

1. saranno descritti (anche mediante grafico) l’organigramma ed il funzionigramma

aziendale (includendo anche l’eventuale rete periferica, con indicazione dei nominativi dei preposti

alle varie unità, nonché il tipo di rapporto esistente con detti preposti o altri collaboratori diretti o

indiretti della società);

2. saranno descritte le deleghe attribuite ai vari livelli dell’organizzazione aziendale, i

relativi limiti operativi, le modalità di controllo del delegante sull’azione del delegato;

3. per le funzioni aziendali di controllo

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o sarà descritto l’inquadramento di tali funzioni nell’organizzazione aziendale; nell’ambito

dei gruppi finanziari, in caso di accentramento, in tutto o in parte delle funzioni di controllo in capo

alla capogruppo, saranno descritte le modalità organizzative adottate per assicurare il rispetto dei

requisiti specifici;

o sarà definita la dotazione quali-quantitativa di personale, indicando i responsabili delle

funzioni aziendali di controllo e i relativi requisiti di professionalità;

o saranno forniti adeguati ragguagli informativi su oggetto, metodologie e frequenza dei

controlli sui rischi assunti o assumibili nei diversi ambiti di operatività dell’intermediario, nonché

sui flussi informativi che devono essere assicurati agli organi aziendali. A tal fine si trasmetteranno

anche i regolamenti interni che saranno adottati.

4. Per le funzioni di controllo esternalizzate:

o sarà descritto il profilo professionale dell’outsourcer individuato, allegando alla relazione

il contratto redatto in conformità alle disposizioni;

o saranno illustrati i presidi organizzativi idonei ad assicurare agli outsourcers una piena

accessibilità a tutte le informazioni utili per la valutazione dei processi e dei rischi nei limiti dei

compiti affidati;

o saranno descritte le modalità e la frequenza con la quale gli organi aziendali verificano

l’attività di controllo esternalizzata;

o sarà individuato il ruolo di referente per le attività esternalizzate, assicurandone

l’autonomia e l’indipendenza;

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o saranno definiti frequenza e contenuto dei flussi informativi.

5. Con riferimento alla rete distributiva:

o andranno indicati il numero delle filiali e descriverne i relativi ambiti operativi, dotazione

tecnica e di risorse umane, profilo professionale del responsabile della struttura;

o saranno illustrati il numero di soggetti esterni di cui si avvale per la distribuzione dei

prodotti, allegando alla relazione un’attestazione circa l’iscrizione di tali soggetti ai rispettivi albi;

o saranno descritte le modalità di coordinamento, monitoraggio e controllo dei canali

distributivi previsti, indicando la struttura responsabile a livello centralizzato e i relativi flussi

informativi.

Parte terza - Gestione dei rischi

Relativamente alla Gestione dei rischi, saranno descritti per ciascuna tipologia di rischio

rilevante i presidi organizzativi approntati per la loro identificazione, misurazione, valutazione,

gestione e controllo. In particolare, per il:

Rischio di credito

politiche di credito seguite (selezione degli affidati, fissazione dei

tassi, ecc.); sarà descritto il processo che presiede all’erogazione dei crediti, indicando i criteri

utilizzati per la misurazione del rischio di credito e le fonti informative e tecniche di supporto alla

valutazione del merito di credito, trasmettendo il relativo regolamento dal quale risultino in

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particolare i soggetti a vario titolo coinvolti; saranno descritte le competenze deliberative nella fase

di concessione, svalutazione e imputazione delle perdite a conto economico; saranno descritti i

meccanismi di controllo e coordinamento adottati in caso di delega alle filiali di compiti istruttori,

con particolare riferimento alle attività relative alla valutazione del merito creditizio; saranno

descritte le procedure di recupero crediti utilizzate.

Rischio di riciclaggio

Relativamente al Rischio di riciclaggio, saranno descritti

i presidi organizzativi e di controllo per assicurare il rispetto della disciplina in materia di

prevenzione dei fenomeni di riciclaggio e di finanziamento al terrorismo, nel rispetto delle

disposizioni legislative e regolamentari in materia;

sarà indicato il Responsabile Aziendale Antiriciclaggio (RAA) e descritto il profilo

professionale;

mappatura degli adempimenti operativi a carico degli addetti ai vari

livelli e le procedure informatiche predisposte per l’osservanza della normativa;

vari livelli di responsabilità nell’ambito degli adempimenti relativi alla

normativa in parola, con particolare riferimento agli adempimenti inerenti all’alimentazione

dell’Archivio Unico Informatico (AUI) e la segnalazione delle operazioni sospette,

di formazione per il personale.

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Rischio di mercato

Relativamente al Rischio di mercato,

tipologie di rischio di mercato rilevanti per l’intermediario;

diverse tipologie

di prodotto (azioni, titoli di debito, derivati, ecc.) ed al rischio di cambio;

procedure previste in caso di supero dei medesimi.

Rischio di liquidità

Relativamente al Rischio di liquidità,

il processo di gestione e controllo del rischio di liquidità, indicando gli

strumenti di misurazione e monitoraggio utilizzati e relativi compiti e responsabilità delle diverse

funzioni aziendali coinvolte;

procedure da adottare in situazioni di emergenza.

Altri Rischi

Relativamente agli “Altri Rischi”,

diverse tipologie di rischi censite (es. rischio strategico, rischio

tecnologico, rischio legale, rischio reputazionale, rischio di outsourcing, etc.);


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presidi organizzativi approntati e i contratti di assicurazione stipulati

per mitigare i diversi rischi operativi;

saranno descritte le specifiche procedure poste in essere nel caso di utilizzo di reti

distributive informatiche (es. Internet).

Parte quarta - Sistemi informativi

Per quanto concerne i Sistemi informativi, saranno descritte le caratteristiche del sistema

informativo in relazione alla propria dimensione operativa e al fabbisogno informativo degli organi

aziendali per assumere decisioni consapevoli e coerenti con gli obiettivi aziendali. A tal fine,

procedure informatiche utilizzate nei vari comparti

(contabilità, segnalazioni, etc.); b) il processo di alimentazione, ponendo in evidenza le operazioni

automatizzate e quelle effettuate manualmente, il grado di integrazione tra le procedure.

indicati i controlli (compresi quelli generati automaticamente dalle procedure)

effettuati sulla qualità dei dati;

illustrati i presidi logici e fisici approntati per garantire la sicurezza del sistema

informatico e la riservatezza dei dati (individuazione dei soggetti abilitati, gestione di userid e

password, sistemi di back up e di recovery, ecc.);

sarà individuato il responsabile EDP e le funzioni ad esso attribuite e descritto il profilo

professionale;

il piano di emergenza e di continuità operativa.

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3.3. Il processo autorizzativo per l’iscrizione all’albo

La Banca d'Italia rilascia l’autorizzazione per l’esercizio dell’attività di concessione di

finanziamenti se verifica l’esistenza delle condizioni atte a garantire la sana e prudente gestione

dell’intermediario finanziario. L’iter autorizzativo prevede:

I – la verifica della sussistenza dei seguenti presupposti:

a) adozione della forma di società di capitali;

b) presenza della sede legale e della direzione generale dell’intermediario finanziario nel

territorio della Repubblica italiana;

c) esistenza di un capitale versato di ammontare non inferiore a quello indicato nelle

disposizioni vigenti;

d) presentazione, unitamente all’atto costitutivo e allo statuto, di un programma concernente

l’attività iniziale e la struttura organizzativa;

e) possesso da parte dei partecipanti qualificati al capitale dell’intermediario finanziario dei

requisiti previsti dagli artt. 19 e 25 TUB;

f) possesso da parte degli esponenti aziendali dei requisiti di professionalità, di onorabilità e

di indipendenza, previsti dall’art. 26 TUB;

g) insussistenza di impedimenti a un esercizio efficace delle sue funzioni di vigilanza con

riferimento:

o al gruppo di appartenenza dell’intermediario finanziario;

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o a eventuali stretti legami tra l’intermediario finanziario, o i soggetti del suo gruppo di

appartenenza, e altri soggetti;

II - la valutazione dei seguenti elementi

a) l’adeguatezza del programma di attività rispetto agli obiettivi di sviluppo e alle attività

programmate;

b) la sussistenza delle condizioni di idoneità di coloro che detengono una partecipazione

qualificata al capitale e del gruppo di appartenenza dell’intermediario finanziario a garantirne la

sana e prudente gestione.

3.4. Il rilascio di autorizzazione

Bankitalia in base agli esiti delle verifiche effettuate circa la sussistenza delle condizioni per

l’autorizzazione, di cui al punto precedente e tenuto conto dell’esigenza di assicurare la sana e

prudente gestione dell’istituto e il regolare funzionamento del sistema dei pagamenti - rilascia o

nega l’autorizzazione entro novanta giorni dalla data di ricevimento della domanda, corredata dalla

richiesta documentazione.

3.5. L’iscrizione all’albo

L’intermediario finanziario, una volta ottenuta l’autorizzazione inoltra alla Banca d’Italia il

certificato che attesta la data di iscrizione della società nel registro delle imprese; la Banca d’Italia

iscrive quindi l’intermediario all’albo degli intermediari finanziari di cui all’art. 107 TUB.

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4 L’intermediario finanziario estero


Il DM ( ), in consultazione conclusa, disciplina l’esercizio nel territorio della Repubblica

delle attività indicate nell’art. 106 TUB, da parte dei soggetti aventi sede legale all’estero. Nello

specifico, gli intermediari finanziari comunitari non ammessi al mutuo riconoscimento, possono

esercitare le attività indicate nell’art. 106 TUB previa autorizzazione di Bankitalia e iscrizione

nell’Albo di cui al medesimo art. 106. Gli intermediari finanziari esteri “non comunitari” possono

altresì svolgere le attività previste dall’art. 106 TUB attraverso una “propria filiazione” autorizzata

dalla Banca d'Italia all’esercizio dell’attività di concessione di finanziamenti, ai sensi dell’art. 107

TUB.

Gli intermediari finanziari comunitari ammessi al mutuo riconoscimento esercitano le

attività indicate nell'art. 106, TUB, alle condizioni previste dall'articolo 18 e con le modalità di cui

agli articoli 15, comma 3 o 16, comma 3 del medesimo Testo Unico.

Gli intermediari finanziari comunitari non ammessi al mutuo riconoscimento possono

esercitare l 'attività di concessione di finanziamenti nonché attività connesse e strumentali previa

autorizzazione della Banca d'Italia ai sensi dell'articolo 107 del Testo Unico, iscrizione nell'albo

previsto dall'articolo 106 e costituzione di una stabile organizzazione in Italia. L'autorizzazione è

subordinata a possesso dei requisiti previsti dall'articolo 107, comma l, lettere d) e f), e al ricorrere

delle seguenti ulteriori condizioni:

a) svolgimento effettivo dell'attività finanziaria nel Paese di provenienza:

b) esercizio in Italia delle attività indicate al comma 2 in via esclusiva:

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c) assegnazione alla stabile organizzazione di un fondo di dotazione di importo almeno pari

al capitale sociale richiesto agli intermediari finanziari aventi sede legale in Italia; il versamento del

fondo di dotazione della stabile organizzazione è attestato dalla direzione generale della banca

presso la quale il versamento medesimo è stato effettuato;

d) sussistenza, in capo ai soggetti che svolgono funzioni di direzione della stabile

organizzazione, dei requisiti previsti. per gli esponenti aziendali ai sensi dall'articolo 110, TUB;

e) sussistenza, in capo di titolari di partecipazioni di cui all’articolo l 9, TUB,

nell'intermediario finanziario comunitario dei requisiti previsti ai sensi dell'articolo 110, TUB.

Gli intermediari finanziari extracomunitari possono esercitare l'attività di concessione di

finanziamenti nonché attività connesse e strumentali mediante la costituzione di società in Italia,

autorizzate della Banca d'Italia ai sensi dell'articolo 107, TUB, e iscritte nell'albo previsto

dall'articolo 106, TUB: l'autorizzazione è subordinata al possesso dei requisiti previsti dall'articolo

107, comma 1, TUB.

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5 La cancellazione dell’intermediario finanziario


L’Intermediario Finanziario decade dall’autorizzazione rilasciata se:

1. rinuncia all’autorizzazione;

2. non si serve dell’autorizzazione entro dodici mesi dall’iscrizione all’albo. Prima della

scadenza di tale termine, l’intermediario può chiedere alla Banca d’Italia, in presenza di giustificate

e sopravvenute motivazioni, un periodo di proroga non superiore a 6 mesi;

3. ha cessato la prestazione dell’attività di concessione di finanziamenti per un periodo

continuativo superiore a 12 mesi.

Al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 113-ter TUB, Bankitalia revoca l’autorizzazione

quando l’ intermediario non soddisfa più le condizioni previste per la concessione

dell’autorizzazione previste.

Bankitalia procede quindi alla cancellazione dall'albo degli intermediari finanziari nei

seguenti casi:

1. autorizzazione revocata;

2. dichiarazione di decadenza dell'autorizzazione;

3. scioglimento volontario;

4. modifica dell'oggetto sociale.

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6 Parole chiave della lezione


 VIGILANZA PRUDENZIALE

 VIGILANZA INFORMATIVA

 ITER AUTORIZZATIVO ISCRIZIONE ALL’ALBO

 LA GESTIONE DEI RISCHI

 CANCELLAZIONE DELL’INTERMEDIARIO FINANZIARIO

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Sitografia
 IL QUADRO NORMATIVO DEL NUOVO INTERMEDIARIO FINANZIARIO

VIGILATO 106 TUB - www.106tub.eu |

 http://www.bancaditalia.it/interventi/altri_int/2012/baldinelli-1-2-2012.pdf.

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“CONCORRENZA E TUTELA DEL
CONSUMATORE DI SERVIZI FINANZIARI”

PROF. COSTANTINO FORMICA


Università Telematica Pegaso Concorrenza e tutela del
consumatore di servizi finanziari

Indice

1 PREMESSA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 EVOLUZIONE DEL QUADRO NORMATIVO ------------------------------------------------------------------------- 5
3 RUOLO DELLA BANCA D’ITALIA: REGOLE, CONTROLLI E INTERVENTI ----------------------------- 8
4 PROSPETTIVE---------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 13
5 ARBITRO BANCARIO FINANZIARIO --------------------------------------------------------------------------------- 17
6 TUTELA DEI CONSUMATORI NEI SERVIZI FINANZIARI, IN AMBITO UNIONE EUROPEA ------- 19
7 PAROLE CHIAVE DELLA LEZIONE ---------------------------------------------------------------------------------- 27
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 28
SITOGRAFIA ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 29

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1 Premessa
La Direttiva 2004/39 del Parlamento Europeo “Markets in Financial Instruments Directive”

(MiFID) riconosce che a causa dell’intensificarsi delle attività degli intermediari, le situazioni di

conflitto di interesse sono fisiologiche e che è impossibile eliminarle a priori. Gli intermediari,

pertanto, sono tenuti ad adottare una politica aziendale (conflict policy) per individuare le

disposizioni organizzative e amministrative efficaci al fine di evitare che i conflitti di interesse

identificati possano incidere negativamente sugli interessi dei clienti, tenendo conto della propria

dimensione, organizzazione e della complessità dell’attività svolta (c.d. criterio di proporzionalità).

In particolare, la normativa contenuta nella sopraccitata Direttiva prevede che nella prestazione dei

servizi di investimento ed accessori l’intermediario deve elaborare in forma scritta una politica di

gestione dei conflitti di interesse che:

- individui le circostanze che generano o potrebbero generare un conflitto di interesse che

possa ledere gravemente gli interessi di uno o più clienti;

- definisca le procedure da seguire e le misure da adottare per gestire tali conflitti;

- informi chiaramente il cliente della natura generale e/o delle fonti di tali conflitti, qualora i

presidi predisposti per la gestione delle fattispecie di conflitto individuate non siano sufficienti ad

assicurare con ragionevole certezza che il rischio di nuocere agli interessi dei clienti sia evitato;

- predisponga e aggiorni periodicamente un registro nel quale si riportino i tipi di servizi di

investimento o accessori per i quali sia sorto o possa sorgere un conflitto di interesse che rischia di

ledere gravemente gli interessi di uno o più clienti. I riferimenti normativi in materia sono di seguito

elencati:

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 Direttiva 2004/39/CE (MiFID): art. 13 “Requisiti di organizzazione”; art. 18 “Conflitti di

Interesse”.

 Direttiva 2006/73/CE (L2): Considerando 24; 25; 26; 27; 29; 30; 32; art. 21 “Conflitti di

interesse potenzialmente pregiudizievoli per i clienti”; art. 22 “Politica di gestione dei

conflitti di interesse”; art. 23 “Registro dei servizi o delle attività che danno origine a

conflitti di interesse pregiudizievoli”. art. 30 “Informazioni sull’impresa di investimento e I

suoi servizi”

 D. Lgs. N. 58/1998 (T.U.F.): art. 21 “Criteri generali”.

 Regolamento congiunto Consob-Banca d’Italia: Disposizioni relative ai Conflitti di

interesse.

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2 Evoluzione del quadro normativo


Negli ultimi anni, in coerenza con l’evoluzione normativa in ambito europeo, la disciplina di

settore relativa alle operazioni e ai servizi bancari e finanziari si è progressivamente arricchita di un

sistema organico di tutele nei confronti dei clienti finali: depositanti, utenti di servizi di pagamento,

imprese e consumatori che chiedono finanziamenti. Questa tendenza si è consolidata con il decreto

legislativo n. 11/2010 in materia di servizi di pagamento (che ha recepito la c.d. direttiva PSD 1) e

più ancora con il decreto legislativo n. 141/2010 (di recepimento della Direttiva sul credito a

consumatori2). Quest’ultimo decreto riconosce espressamente la trasparenza delle condizioni

contrattuali e la correttezza dei rapporti tra intermediari e clientela quale finalità autonoma

dell’azione di vigilanza della Banca d’Italia, accanto ai tradizionali obiettivi della supervisione

prudenziale. La tutela dei clienti rientra così tra gli interessi pubblici perseguiti dalla disciplina di

settore. In particolare, con il d.lgs. n. 141/2010:

 vengono ampliati e resi più stringenti gli obblighi di trasparenza e correttezza che

l’intermediario è tenuto a osservare nella conduzione del rapporto con il cliente (dalla fase

precontrattuale a quella dell’estinzione). Sono, ad esempio, introdotte specifiche misure volte ad

assicurare che il consumatore – prima di essere vincolato da un contratto di credito – possa

valutarne l’adeguatezza rispetto alle proprie esigenze e alla propria situazione finanziaria

(introduzione del prospetto “Informazioni europee di base sul credito ai consumatori”;

previsione di obblighi di assistenza informativa al consumatore, anche con riguardo all’esito di

consultazioni di banche dati sul merito creditizio; nuovi obblighi di trasparenza anche a carico

degli intermediari del credito). Lo scopo comune è rendere disponibili al consumatore le

1
Direttiva 2007/64/CE sui servizi di pagamento nel mercato interno.
2
Direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori.

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informazioni necessarie per assumere decisioni consapevoli, ponendolo in grado di confrontare

le diverse offerte presenti sul mercato.

 La Banca d’Italia viene dotata di nuovi e più pervasivi strumenti di intervento per assicurare il

rispetto delle norme. I poteri sanzionatori riguardano non più solo le norme in materia di

pubblicità, ma tutte le norme di trasparenza (contratti, modifica unilaterale delle condizioni

contrattuali, comunicazioni periodiche al cliente, ecc.). Sono stati introdotti poteri inibitori.

Le sanzioni per ogni singola violazione possono arrivare sino a € 65.000, comminabili nei

confronti dei responsabili aziendali e anche dei dipendenti dell’intermediario; i poteri inibitori,

volti a impedire la prosecuzione di comportamenti irregolari o scorretti, possono consistere nel

divieto di continuazione dell'attività o di specifiche forme di offerta, o nell’ordine di restituzione

delle somme indebitamente percepite dall’intermediario; può essere disposta la sospensione in via

provvisoria di determinate attività, in attesa dell’accertamento definitivo dell’irregolarità, laddove

sussista particolare urgenza.

Da ultimo, i decreti “Salva Italia” (d.l. n. 201/2011) e “Cresci Italia” (d.l. n. 1/2012) hanno

attribuito alla Banca d’Italia poteri regolamentari e di controllo in materia di “conto corrente di

base” e di commissioni sugli affidamenti. Ne sono discesi i seguenti atti:

 la Banca d’Italia, unitamente al Ministero dell’Economia e delle finanze e alle associazioni di

categoria del settore, ha stipulato una Convenzione per la definizione delle caratteristiche del

“conto corrente di base” che ciascun intermediario deve offrire ai consumatori a fronte di un

canone annuo onnicomprensivo. La Convenzione specifica le categorie di utenti socialmente

svantaggiati nei confronti dei quali il conto di base è offerto senza spese;

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 in materia di remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti, sulla base dello schema

predisposto e messo in consultazione dalla Banca d’Italia, è stato adottato il 30 giugno scorso il

decreto n. 664/20123, che estende il nuovo regime delle commissioni anche ai conti di

pagamento e alle carte di credito, stabilisce le ipotesi in cui, a fronte di utilizzi occasionali e di

ammontare limitato, nessuna commissione può essere addebitata ai consumatori, impone agli

intermediari la definizione di specifiche procedure interne per la quantificazione della

commissione di istruttoria veloce e rimette alla Banca d’Italia il potere di adottare disposizioni

applicative della disciplina in questione.

3
Il decreto è stato adottato in via d’urgenza dal Ministro dell’Economia e delle Finanze in qualità di Presidente del
CICR.

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3 Ruolo della Banca d’Italia: regole, controlli e


interventi
La Banca d’Italia ha emanato nel 2003 Disposizioni sulla trasparenza delle condizioni

contrattuali fra banche e clienti, aggiornandole e adeguandole poi via via per tener conto

dell’evoluzione del quadro normativo e dell’esperienza applicativa. Tali disposizioni secondarie

fanno perno su due leve: innalzare il grado di comprensibilità e comparabilità dei documenti

destinati agli utenti, così favorendo la concorrenza; chiedere agli intermediari di introdurre e

mantenere presidi organizzativi interni per meglio perseguire questi scopi, proporzionati al tipo di

prodotti offerti e alle modalità di commercializzazione. Per scongiurare il rischio di lacune o

insufficienze di tutela, le disposizioni emanate dalla Banca d’Italia – in coerenza con la citata

normativa del TUB – richiamano i principi generali della buona fede e correttezza.

L’intervento della Banca d’Italia a tutela degli utenti dei servizi bancari e finanziari si basa

su un sistema di controlli di tipo integrato (cartolare e ispettivo) che riguarda sia i singoli

intermediari sia il sistema nel suo complesso. Sui singoli intermediari vengono regolarmente

condotti:

 accertamenti on site a spettro esteso presso le direzioni generali di banche, da cui promanano

le scelte strategiche e gli indirizzi alle strutture periferiche e alla rete di vendita (ne sono

stati effettuati 124 nel 2011);

 accessi on site presso le singole dipendenze di banche e intermediari finanziari, ove si

sviluppano relazioni contrattuali con la clientela (277 nel 2011);

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 analisi delle criticità del sistema desumibili dagli esposti presentati dalla clientela bancaria

(nel 2011 sono pervenuti alla Banca d’Italia 6.560 esposti, con un incremento di oltre il 15%

rispetto al 2010);

 controlli sui siti internet degli intermediari.

Sulla base dei controlli svolti, la Banca d’Italia ha richiamato numerosi intermediari a una

più scrupolosa osservanza della disciplina di trasparenza, invitandoli a far conoscere alla Vigilanza

gli interventi – anche di carattere organizzativo – adottati al fine di superare le lacune emerse.

Nel 2011 sono stati adottati 25 provvedimenti sanzionatori per violazioni in materia di

trasparenza e correttezza nei rapporti con la clientela e sono stati avviati 23 nuovi procedimenti per

violazioni della stessa natura. Nei primi mesi del 2012, la Banca d’Italia ha anche avviato, nei

confronti di due intermediari, procedimenti amministrativi ai sensi dell’art. 128-ter del TUB,

finalizzati alla restituzione di somme indebitamente percepite; i procedimenti sono stati poi

archiviati solo in quanto gli intermediari avevano nel frattempo provveduto a retrocedere ai clienti

tutti gli importi dovuti.

A livello di sistema, sono stati effettuati interventi di sensibilizzazione degli intermediari,

anche tramite le associazioni di categoria, su tematiche specifiche:

 carte di credito revolving (comunicazione del 20 aprile 2010);

 finanziamenti contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione (comunicazioni del

10 novembre 2009 e 7 aprile 2011);

 commissioni sul prelievo di contanti allo sportello (lettera all’ABI dell’8 aprile 2011);

 richieste di rimborso relative a rapporti risalenti nel tempo;

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 rilascio di garanzie da parte di operatori non bancari privi delle necessarie autorizzazioni

(comunicato del 7 ottobre 2011);

 trasparenza nell’offerta di contratti di credito ai consumatori (comunicazione del 17 maggio

2012, effettuata a seguito di un’indagine condotta a livello comunitario) con l’obiettivo di

verificare la conformità dei siti internet delle banche e degli altri intermediari alla normativa

in materia di credito ai consumatori.

Perché le tutele previste dalla normativa siano efficaci è necessario che il singolo

consumatore possa valersene facilmente in ogni singola controversia: per questo nel 2009 la Banca

d’Italia ha istituito l’Arbitro Bancario Finanziario (ABF), che assicura decisioni rapide e imparziali,

con costi molto contenuti per il cliente. Si tratta di un sistema specialistico di risoluzione

stragiudiziale delle controversie nel settore bancario finanziario la cui rilevanza si sta rapidamente

affermando.

Nel 2011 sono pervenuti all’ABF 3.578 ricorsi (+5% rispetto al periodo 2009-2010) e sono

state adottate 2.760 decisioni (1788 nel 2010). Dei 2.760 ricorsi giunti a decisione nel 2011, quasi

due terzi hanno avuto un esito favorevole per il cliente (attraverso una pronuncia che gli ha dato, in

tutto o in parte, ragione) o comunque una conclusione soddisfacente per i suoi interessi (cessazione

della materia del contendere). Dall’inizio dell’operatività del sistema si sono verificati tre soli casi

di inadempienza alle decisioni dei Collegi da parte, peraltro, di soggetti non più operanti sul

mercato.

Spetta poi agli Uffici reclami degli intermediari – che rappresentano il primo presidio a

tutela della clientela – verificare se la questione sollevata dal cliente rientri in fattispecie analoghe a

quelle già esaminate dall’ABF e tener conto degli orientamenti già maturati. L’efficace

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funzionamento degli uffici reclami è oggetto di valutazione da parte della Vigilanza, sia sotto il

profilo dell’adeguatezza degli assetti organizzativi, sia sul piano dell’effettivo grado di trasparenza

e correttezza offerto alla clientela.

L’azione della Banca d’Italia si avvale poi del confronto costante con le Associazioni di

categoria dei consumatori e dell’industria bancaria:

 nella fase di predisposizione delle regole, attraverso la partecipazione delle Associazioni alla

consultazione, su base volontaria;

 nell’esercizio dell’attività di controllo, tenendo conto delle loro segnalazioni;

 nel funzionamento dell’ABF, attraverso la designazione, da parte di talune Associazioni, di

alcuni componenti i Collegi.

 In un mercato globale, l’attività di tutela del consumatore di servizi bancari finanziari va

coordinata a livello internazionale. La Banca d’Italia è fortemente impegnata nelle iniziative

promosse dall’Unione europea. In particolare:

 abbiamo partecipato all’iniziativa comunitaria di verifica dei siti internet degli operatori

attivi nel credito al consumo (Sweep) e dell’informativa precontrattuale (Sweep plus);

 collaboriamo con la Commissione Europea nell’attuazione del Regolamento CE 2006/2004,

avente a oggetto la cooperazione tra le Autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della

normativa a tutela dei consumatori; il Regolamento mira a consentire un’efficace

collaborazione tra le Autorità aventi compiti di tutela dei consumatori nelle controversie

transfrontaliere, in modo che non vi siano discriminazioni che scoraggino le transazioni;

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 partecipiamo ai lavori dei Comitati sull’innovazione finanziaria e sulla tutela del

consumatore promossi dall’EBA (European Banking Authority);

 abbiamo perfezionato l’adesione dell’ABF al sistema Fin.net, la rete promossa dalla

Commissione Europea nel 2001 che riunisce i sistemi di risoluzione stragiudiziale delle

controversie nel settore bancario e finanziario.

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4 Prospettive
La normativa del settore bancario e dell’intermediazione finanziaria, con il TUB, con le

delibere del CICR, con le disposizioni della Banca d’Italia, annovera ormai la tutela dei

consumatori di servizi bancari e finanziari come una sua parte integrante, specifica e completa. Le

fonti abilitano l’Autorità di settore, cioè la Banca d’Italia, a integrare ulteriormente la disciplina e a

offrire una tutela tempestiva ed efficace, perché operante sin dalla fase pre-contrattuale e basata su

strumenti di intervento diversificati e incisivi.

Resta da affrontare la questione se, a seguito delle riforme legislative, la Banca d’Italia

debba essere l’unica Autorità amministrativa competente a tutelare il consumatore di servizi

bancari-finanziari, anche nella repressione delle pratiche commerciali scorrette poste in essere dalle

banche e dagli altri intermediari, o se quest’ultimo compito spetti all’Autorità Garante della

concorrenza e del mercato.

Un quesito analogo si è posto nel recente passato in altri settori (l’intermediazione

mobiliare, le comunicazioni) assoggettati alla vigilanza di Autorità amministrative indipendenti, con

funzioni anche regolatorie. Occorreva capire se anche in tali settori la repressione delle pratiche

commerciali scorrette restasse affidata all’Autorità Antitrust; se invece tale compito dovesse essere

svolto contemporaneamente dall’Antitrust e dall’Autorità di settore; oppure, ancora, se l’Autorità di

settore dovesse assumerne la competenza in via esclusiva.

Il quesito ha trovato una risposta netta da parte del supremo giudice amministrativo, senza

dunque la necessità di un intervento del legislatore. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato,

applicando il principio di specialità, ha riconosciuto infatti la competenza esclusiva dell’Autorità di

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settore4, purché ricorrano in concreto due condizioni: che tra gli interessi pubblici perseguiti dalla

disciplina di settore la tutela del consumatore sia esplicitamente prevista; che detta disciplina non

presenti lacune di tutela.

Come ribadito in una di queste occasioni dall’Adunanza Plenaria, il principio costituzionale

del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) postula in ciascun settore

l’accentramento dei poteri di controllo e repressivi in capo a una sola Autorità, sia per alleviare gli

oneri gravanti sugli operatori, sia per contenere i costi a carico della collettività. Si tratta di esigenze

a cui l’opinione pubblica attribuisce oggi importanza accresciuta.

Quanto al riparto di competenze nel settore bancario e dell’intermediazione finanziaria, il

Consiglio di Stato – in Adunanza Plenaria – si è sinora trovato ad affrontare un caso relativo alla

commercializzazione di carte di credito presso grandi magazzini da parte di una società finanziaria

disciplinato dalle norme del TUB antecedenti al recepimento (con il richiamato d.lgs. 141/2010)

della Direttiva sul credito ai consumatori5. Con riferimento a questa ipotesi, l’Adunanza Plenaria,

dopo aver rilevato che all’epoca non c’era una normativa di settore completa ed adeguata sotto il

profilo della tutela dei consumatori, ha affermato la competenza dell’Antitrust in materia di pratiche

commerciali scorrette. La stessa sentenza apre però la strada, per il futuro, alla soluzione opposta,

considerate le significative innovazioni in materia di trasparenza e correttezza introdotte nel TUB in

attuazione della citata Direttiva europea.

4
Consiglio di Stato (parere), sez. I, n. 3999/2008, che ha ritenuto la competenza esclusiva della CONSOB in materia di pratiche
commerciali scorrette nel settore dei servizi finanziari; Consiglio di Stato (sentenza), Ad. Plen., n. 11/2012 che nel settore delle
comunicazioni elettroniche ha affermato la competenza dell’Autorità per la Garanzia nelle Comunicazioni (AGCOM) per il contrasto
delle pratiche commerciali scorrette.

5
Consiglio di Stato (sentenza), Ad. Plen., n. 14/2012.

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Queste sentenze, in definitiva, applicano un comune criterio che fa perno su una diagnosi

concreta della disciplina di settore vigente e dell’attività svolta dalle diverse Autorità

amministrative, per verificare l’applicabilità del principio di specialità.

Una pluralità di Autorità egualmente competenti nella tutela del consumatore bancario –

oltre a elevare il rischio di duplicazioni e sovrapposizioni, con potenziale lesione del principio del

ne bis in idem – può condurre a orientamenti difformi, lesivi delle aspettative sia dei consumatori

sia dei produttori di questi servizi a conoscere preventivamente l’esatto quadro dei diritti e degli

obblighi: rischi che possono essere mitigati ma non eliminati dalla stipula di protocolli d’intesa tra

le Autorità amministrative coinvolte, come ad esempio quello sottoscritto dalla Banca d’Italia e

dall’AGCM il 22 febbraio 2011.

La maggior parte dei settori economici non necessita di una regolamentazione specifica a

tutela del consumatore, bastando i presidi contemplati nella disciplina generale dettata dal Codice

del consumo. In tali casi è razionale ed efficiente affidare il controllo a un’Autorità amministrativa,

per così dire, “generalista” o, se si preferisce, “non dedicata”, quale è per definizione l’Autorità

garante della concorrenza, in grado di assicurare con la sua azione un adeguato livello di

concorrenza e di protezione dei consumatori dalle pratiche commerciali scorrette.

Un discorso diverso va fatto – invece – in relazione ai settori, come quello bancario, che per

la portata degli interessi pubblici in gioco, per lo spiccato tecnicismo delle discipline speciali, per le

complesse implicazioni del rapporto tra consumatori e imprese, richiedono un’Autorità che vigili

costantemente sugli operatori e assicuri l’adeguamento, nel continuo, della regolamentazione che

quegli stessi operatori sono chiamati a osservare: un’Autorità che può al tempo stesso garantire la

tutela dei consumatori in piena sinergia con l’azione di vigilanza prudenziale, attenta alla stabilità

dell’intermediario.

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La stabilità di una banca è condizione necessaria della fiducia dei suoi clienti; tutelando

questi da pratiche commerciali scorrette la si accresce, con ciò perseguendo anche gli obiettivi di

stabilità ed efficienza del sistema finanziario che sono attribuiti alla Banca d’Italia dall’art. 5 del

TUB.

Il sistema dei controlli pubblici non può comunque prescindere da una convinta azione degli

intermediari, che debbono considerare la trasparenza e la correttezza nei confronti degli utenti valori

di rilievo strategico per la loro stessa presenza sul mercato.

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5 Arbitro Bancario Finanziario


L'Arbitro Bancario Finanziario (ABF) si articola sul territorio nazionale in tre Collegi: uno a

Milano, uno a Roma e uno a Napoli.

La composizione di ciascun Collegio assicura che siano rappresentati gli interessi dei diversi

soggetti coinvolti. Ciascun Collegio l'Organo decidente è composto da cinque membri:

1. il Presidente e due membri sono scelti dalla Banca d'Italia

2. un membro è designato dalle associazioni degli intermediari

3. un membro è designato dalle associazioni che rappresentano i clienti (imprese e

consumatori).

Il Presidente resta in carica per cinque anni e gli altri membri per tre anni; il mandato è

rinnovabile una sola volta. Tutti i componenti devono possedere requisiti di esperienza,

professionalità, integrità e indipendenza. L'attività di segreteria tecnica per ciascun Collegio è

svolta da personale della Banca d'Italia. Le tre segreterie tecniche hanno il compito di:

 ricevere ed esaminare il ricorso, verificando in primo luogo che sia completo, regolare e

presentato nei termini

 ricevere la documentazione fornita dalle parti, compresa quella relativa al reclamo

presentato all'intermediario

 se necessario, chiedere al cliente di regolarizzare il ricorso

 se necessario per la decisione, chiedere alle parti ulteriori elementi

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 curare le comunicazioni alle parti relative alla procedura di ricorso.

L'Arbitro Bancario Finanziario (ABF) è stato istituito nel 2009 in attuazione dell'articolo

128-bis del Testo unico bancario (TUB), introdotto dalla legge sul risparmio (legge n. 262/2005).

Il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR) - che opera presso il Ministero

dell'Economia e delle Finanze - con Delibera del 29 luglio 2008 ha stabilito i criteri per lo

svolgimento delle procedure di risoluzione delle controversie e ha affidato alla Banca d'Italia il

compito di curarne l'organizzazione e il funzionamento.

In applicazione della Delibera del CICR la Banca d'Italia ha adottato le disposizioni che regolano il

funzionamento del sistema stragiudiziale ABF nel suo complesso (Normativa - Funzionamento

dell'ABF).

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6 Tutela dei consumatori nei servizi finanziari, in


ambito Unione Europea
Accesso dei consumatori ai conti di pagamento di base

L’accesso dei consumatori ai conti di pagamento di base dovrebbe essere garantito in tutti i

paesi dell’Unione europea (UE). In tale ottica, la Commissione presenta i principi generali

dell’offerta di questo tipo di servizio finanziario.

ATTO - Raccomandazione 2011/442/UE della Commissione, del 18 luglio 2011,

sull’accesso a un conto di pagamento di base (Testo rilevante ai fini del SEE) [GU L 190 del

21.7.2011].

SINTESI: I consumatori europei che non dispongono di un conto di pagamento dovrebbero

avere la facoltà di aprire e disporre di un conto di pagamento di base, indipendentemente dalla loro

situazione finanziaria e dal luogo di residenza nell’Unione europea (UE). La Commissione

raccomanda che, in ciascuno Stato membro, almeno un prestatore di servizi di pagamento * offra

tale servizio.

Caratteristiche di un conto di pagamento di base

I servizi di pagamento offerti dovrebbero consentire almeno:

di eseguire tutte le operazioni necessarie per l’apertura, la gestione e la chiusura di un conto

di pagamento;

di versare denaro contante su un conto di pagamento;

di ritirare denaro contante da un conto di pagamento;

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di eseguire operazioni di pagamento tramite bonifici o trasferimenti di fondi, anche mediante

carta di pagamento (senza tuttavia poter prevedere uno scoperto).

L'acquisto di servizi accessori non dovrebbe costituire una condizione d’accesso al conto di

pagamento di base.

Spese applicate al conto di pagamento di base

Gli Stati membri dovrebbero garantire che il conto di pagamento di base sia offerto

gratuitamente o con una spesa ragionevole. Ove non sia prevista la gratuità, l’entità totale delle

spese applicate per l’utilizzo dei servizi di pagamento minimo dovrebbe essere ragionevole.

In ogni caso, tutte le altre spese previste in relazione al contratto del conto, comprese quelle

applicate per il mancato rispetto degli obblighi contrattuali da parte del consumatore, dovrebbero

essere ragionevoli.

L’entità delle spese applicate al consumatore dovrebbe essere calcolata sulla base:

 dei livelli nazionali di reddito e dei prezzi al consumo;

 della media delle commissioni applicate ai conti di pagamento in tale Stato membro;

 dei costi complessivi di un conto di pagamento di base sopportati dal prestatore del servizio.

Vigilanza e risoluzione delle controversie

Gli Stati membri dovrebbero designare autorità indipendenti dai prestatori dei servizi,

incaricate di monitorare l’osservanza delle presenti raccomandazioni.

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Inoltre, dovrebbero garantire l’istituzione di procedure di reclamo e ricorso in caso di

controversia.

Informazioni ai consumatori

Il prestatore che rifiuti una richiesta di apertura del conto dovrebbe giustificare tale rifiuto e

informarne il consumatore per iscritto. Tuttavia, tale diritto di informazione può essere limitato

mediante misure legislative per motivi di pubblica sicurezza o di ordine pubblico. I prestatori

dovrebbero fornire informazioni adeguate in relazione alle caratteristiche specifiche dei conti

offerti, alle spese addebitate e alle relative condizioni d’uso. Gli Stati membri dovrebbero lanciare

campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle possibilità offerte dai conti di

pagamento di base e sulle possibilità di meccanismi extragiudiziali in caso di controversia.

Nuovo quadro giuridico (NLF) per i pagamenti

La presente direttiva mira a stabilire un quadro giuridico armonizzato per i servizi di

pagamento. A tal fine, essa sostituisce le norme nazionali in vigore nei 27 Stati membri con un

insieme di norme valide in tutto il mercato interno.

ATTO - Direttiva 2007/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre

2007, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE,

2002/65/CE, 2005/60/CE e 2006/48/CE, che abroga la direttiva 97/5/CE [Cfr. atti modificativi].

SINTESI

La presente direttiva mira a creare il quadro giuridico necessario alla realizzazione di un

mercato integrato dei pagamenti, nel quale saranno eliminati gli ostacoli all'ingresso di nuovi

prestatori di servizi. Inoltre, essa mira a rafforzare la concorrenza e a offrire agli utenti una scelta

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più ampia. Infine essa assicura un livello di protezione elevato grazie alla previsione di obblighi in

materia di informazione e grazie alla definizione dei diritti e dei doveri degli utenti e dei prestatori

di servizi di pagamento.

Ambito di applicazione

La direttiva riguarda i prestatori di servizi di pagamento stabiliti nella Comunità e disciplina

i pagamenti effettuati in euro o in altre monete nazionali dell'Unione europea (UE). Infine, la

direttiva non si applica alle operazioni di pagamento effettuate in contanti o con assegno cartaceo, e

disciplina la concessione di crediti da parte degli istituti di pagamento solo se strettamente connessi

a servizi di pagamento.

La direttiva distingue sei categorie di prestatori di servizi di pagamento:

gli enti creditizi (ai sensi della direttiva riguardante "l’accesso all’attività degli enti

creditizi"), ivi inclusi le succursali e gli enti creditizi con sede nell’UE o al di fuori dell’UE;

 gli uffici postali che prestano servizi di pagamento;

 gli istituti di moneta elettronica (ai sensi della direttiva riguardante l'"attività e la vigilanza

prudenziale degli istituti di moneta elettronica");

 gli istituti di pagamento (persone fisiche o giuridiche che avranno ottenuto l'autorizzazione

in quanto tali);

 la Banca centrale europea e le banche centrali nazionali ove non agiscano in quanto autorità

monetarie o altre autorità pubbliche;

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 gli Stati membri o le rispettive autorità regionali e locali ove non agiscano in quanto autorità

pubbliche.

Condizioni per l'ottenimento dell'autorizzazione

L'accesso all'attività dei servizi di pagamento è soggetto all'ottenimento preventivo di

un'autorizzazione. L'autorizzazione, richiesta alle autorità competenti dello Stato membro di

origine, viene concessa unicamente alle persone giuridiche stabilite in uno Stato membro. La

domanda di autorizzazione deve essere accompagnata da un elenco dettagliato di informazioni: il

programma di attività, il programma di gestione, la descrizione delle procedure amministrative e

contabili, dei meccanismi di controllo interno, delle procedure di gestione dei rischi,

dell'organizzazione strutturale, ecc.

Per ottenere l'autorizzazione, l'istituto di pagamento deve essere dotato di un solido

dispositivo di governo societario. D'altra parte, le autorità competenti possono negare

l'autorizzazione se non sono convinte dell'idoneità degli azionisti o dei soci che detengono

partecipazioni qualificate.

La direttiva precisa che gli istituti di pagamento devono detenere, al momento

dell'autorizzazione, un capitale iniziale, il cui importo varia in funzione del servizio di pagamento

prestato, e di fondi propri in qualsiasi momento.

Dopo il rilascio dell'autorizzazione l'istituto di pagamento potrà prestare servizi di

pagamento in tutta l'UE, in regime di libera prestazione di servizi o in regime di stabilimento. Il

ritiro dell'autorizzazione deve essere motivato, notificato agli interessati e reso pubblico.

L'autorizzazione in quanto istituto di pagamento è valida in tutti gli Stati membri e viene

iscritta in un registro comunitario periodicamente aggiornato e accessibile on line.

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Autorità competenti

Gli Stati membri devono designare le autorità responsabili della vigilanza degli istituti di

pagamento. Deve trattarsi di organismi pubblici o riconosciuti dal diritto nazionale o di autorità

pubbliche competenti a tal fine, indipendenti rispetto agli operatori economici. Le autorità

competenti devono cooperare tra di loro e sono tenute al segreto d'ufficio.

Esse sono autorizzate a esigere dagli istituti di pagamento tutte le informazioni necessarie ai

controlli, a emanare raccomandazioni e linee guida, a disporre provvedimenti amministrativi

vincolanti, a sospendere o a revocare l'autorizzazione e a infliggere sanzioni nei confronti degli

istituti di pagamento.

Requisiti di trasparenza e di informazione

La direttiva introduce requisiti di informazione chiari e succinti per tutti i prestatori di

servizi di pagamento sia nelle operazioni di pagamento a carattere isolato, sia in quelle disciplinate

da un contratto quadro (che implica una serie di operazioni di pagamento).

Più precisamente, il documento prevede:

 condizioni che devono essere comunicate preliminarmente (obblighi e responsabilità del

prestatore e dell'utente, spese, indicazione della legge applicabile, delle procedure di ricorso

e reclamo, ecc.);

 informazioni da fornire su richiesta dell'utente prima dell'esecuzione di un'operazione di

pagamento (tempi di esecuzione, provvigioni, commissioni e spese);

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 informazioni per il pagatore dopo l'esecuzione di un'operazione di pagamento (riferimento

dell'operazione e del beneficiario, totalità dell'importo e importo delle commissioni e spese,

tasso di cambio applicato);

 informazioni per il beneficiario dopo il ricevimento dei fondi (riferimento del pagatore,

totalità dell'importo trasferito, provvigioni e commissioni applicate, tasso di cambio).

Diritti e obblighi degli utenti e dei prestatori di servizi di pagamento

La direttiva introduce norme riguardanti i diritti e gli obblighi degli utenti dei servizi di

pagamento, ad esempio:

 il termine di esecuzione di un giorno lavorativo: se il pagamento è effettuato in euro o nella

moneta di uno Stato membro non appartenente all’area dell’euro e se il pagamento comporta

una sola conversione tra euro e la moneta ufficiale di uno Stato membro non appartenente

all’area dell’euro, l'importo dell'ordine di pagamento deve essere accreditato sul conto di

pagamento del beneficiario entro la fine del primo giorno lavorativo successivo al momento

dell'accettazione. Nel periodo transitorio che scade il 1° gennaio 2012, il pagatore può

concordare con il suo prestatore di servizi di pagamento un termine non superiore a tre

giorni;

 la responsabilità del prestatore di servizi di pagamento in caso di mancata esecuzione o

esecuzione inesatta di un'operazione di pagamento: quest'ultimo è oggettivamente

responsabile se l'operazione è realizzata entro i confini del territorio dell'UE;

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consumatore di servizi finanziari

 la responsabilità dell'utente dei servizi di pagamento in caso di uso fraudolento di uno

strumento di pagamento (a concorrenza massima di 150 euro). Questa norma non si applica

tuttavia se gli utenti sono società;

 l'introduzione del principio dell'importo integrale, in base al quale la totalità dell'importo

indicato nell'ordine di pagamento deve essere accreditata sul conto del beneficiario, senza

deduzioni;

 le condizioni di rimborso, quando un'operazione di pagamento è stata autorizzata e non

doveva esserlo;

 le condizioni di revocabilità, in base alle quali l'utente di servizi di pagamento ha la

possibilità di rifiutare un pagamento che gli è stato attribuito per errore. Inoltre, spetta al

prestatore di servizi di pagamento fornire la prova che l'operazione di pagamento è stata

autenticata, registrata e contabilizzata, e che non ha subito le conseguenze di guasti o altri

inconvenienti.

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Università Telematica Pegaso Concorrenza e tutela del
consumatore di servizi finanziari

7 Parole chiave della lezione

 CONSUMATORE

 TUTELA

 CONFLITTO DI INTERESSI

 TRASPARENZA

 CONTROLLI

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consumatore di servizi finanziari

Bibliografia

 La tutela del consumatore di servizi bancari e finanziari: quadro normativo e competenze

della Banca d’Italia - Intervento del Vice Direttore Generale della Banca d’Italia Salvatore

Rossi – CNEL - Roma, 12 luglio 2012

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Sitografia

 http://www.arbitrobancariofinanziario.it/

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“INVESTIRE I PROPRI RISPARMI.
CONSOB”

PROF. COSTANTINO FORMICA


Università Telematica Pegaso Investire i propri risparmi. Consob

Indice

1 PERCHÉ INVESTIRE -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3


2 INVESTIRE I PROPRI RISPARMI: COSA FARE E COSA NON FARE ---------------------------------------- 5
2.1. RIFLETTERE SULLE PROPRIE ESIGENZE E PREFERENZE IN MATERIA DI INVESTIMENTI ------------------------------ 5
2.2. ASSUMI INFORMAZIONI SU PRODOTTI E SERVIZI -------------------------------------------------------------------------- 7
2.3. VERIFICARE CHE L’INTERMEDIARIO UTILIZZATO SIA AUTORIZZATO E INSTAURARE CON LUI UN RAPPORTO
POSITIVO ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
2.4. SE NON SI COMPRENDE, NON INVESTIRE ----------------------------------------------------------------------------------13
2.5. A POTENZIALI ALTI RENDIMENTI CORRISPONDONO ALTI RISCHI ------------------------------------------------------15
2.6. DIFFIDARE DELLE PROPOSTE IMPROBABILI -------------------------------------------------------------------------------17
2.7. NON FIRMARE MODULI IN BIANCO -----------------------------------------------------------------------------------------18
2.8. UTILIZZARE MEZZI DI PAGAMENTO PREVISTI E SICURI------------------------------------------------------------------18
2.9. SEGUIRE I PROPRI INVESTIMENTI NEL TEMPO ----------------------------------------------------------------------------19
2.10. INTERNET: TANTE OPPORTUNITÀ MA QUALCHE ATTENZIONE IN PIÙ --------------------------------------------------20
3 PAROLE CHIAVE DELLA LEZIONE ---------------------------------------------------------------------------------- 22
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 23
SITOGRAFIA ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 24

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1 Perché investire
Il risparmio accumulato in una nazione assicura benefici per l’intero sistema economico,

alimentandone la crescita e lo sviluppo. Risparmiare è importante anche per i singoli risparmiatori,

per i quali il risparmio assolve alla funzione di accantonare ricchezza per i bisogni futuri. Questa

funzione, anche a causa dei cambiamenti già avvenuti nel sistema previdenziale, sta assumendo

rilevanza sempre maggiore. La nostra idea di prestazioni pensionistiche è legata a quello che

abbiamo visto succedere con i nostri genitori (o nonni), la cui “pensione” era quasi pari all’ultimo

stipendio. Per molti di noi, invece, non sarà così: quanto riceveremo non ci assicurerà il tenore di

vita cui saremo abituati e potrebbe non garantirci un’esistenza sufficientemente dignitosa. I

lavoratori di oggi, pertanto, se vogliono assicurarsi una vecchiaia serena dovranno destinarvi parte

dei propri risparmi, per fare in modo che alle inevitabili difficoltà fisiche, psicologiche e affettive di

questa fase della vita non si sommino anche difficoltà economiche. Ma se il risparmio è così

importante, perché a volte non si dedica la dovuta attenzione al suo investimento, la stessa

attenzione che invece si dedica ad acquisti di minore importanza? Facciamo un esempio: l’acquisto

di un’autovettura. Spesso, ci si arriva dopo un articolato percorso in cui:

- si definiscono le proprie esigenze e preferenze, in termini di prestazioni, comodità,

economicità d’uso;

- si definisce il limite di spesa;

- si assumono informazioni sulle marche e sui modelli presenti sul mercato per valutare

quale risponda meglio alle proprie esigenze;

- scelto il modello, si visitano più concessionari ufficiali alla ricerca della migliore offerta;

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- si valutano attentamente offerte troppo allettanti, per scoprire “quel che c’è sotto”;

- si presta attenzione alle clausole de contratto di acquisto (consegna, garanzia, ritiro usato,

ecc.).

Ecco. Questo è il percorso giusto e razionale per chi intende impegnare una certa cifra in un

bene di una certa importanza. A maggior ragione un percorso analogo deve essere seguito da chi si

accinge ad investire cifre spesso maggiori e destinate a soddisfare bisogni ben più importanti di

quello di spostarci da un posto all’altro.

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2 Investire i propri risparmi: cosa fare e cosa non


fare
Questo non vuole essere un trattato su come investire: alla fine risulterebbe noioso e quindi

inutile. Vuole semplicemente fornire alcune regole semplici e di immediata applicazione, da

“spuntare”, una per una, prima di effettuare un investimento.

1. Rifletterei sulle proprie esigenze e sulle preferenze in materia di investimenti

2. Assumere informazioni su prodotti e servizi

3. Verificare che l’intermediario utilizzato sia autorizzato e instaurare un rapporto positivo

4. Se non si comprende, non investire

5. A potenziali alti rendimenti corrispondono alti rischi

6. Diffidare delle proposte improbabili

7. Non firmare moduli in bianco

8. Utilizzare mezzi di pagamento previsti e sicuri

9. Seguire i propri investimenti nel tempo

10. Internet: tante opportunità ma qualche attenzione in più.

2.1. Riflettere sulle proprie esigenze e preferenze in materia di


investimenti

Non siamo tutti uguali e neanche lo sono gli avvenimenti che ci riguardano. Ognuno ha

degli obiettivi finanziari che derivano dalle nostre esigenze e preferenze in materia di investimenti.

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Un’attenta definizione degli obiettivi ci consente di stabilire quando avremo bisogno del

denaro investito e il livello dei rendimenti attesi, ovviamente in relazione al rischio che siamo

disposti ad assumerci.

Dagli obiettivi personali dipendono, quindi, l'orizzonte temporale, la propensione al rischio e

le aspettative di rendimento. Questi elementi definiscono il profilo finanziario dell'investitore.

L'orizzonte temporale è il periodo di tempo per il quale intendiamo rinunciare alle nostre

disponibilità finanziarie per investirle.

Esso dipende dalle situazioni soggettive. Ad esempio, le esigenze possono essere di breve

periodo, quali il pagamento delle tasse, o di lungo periodo, come l'acquisto di una casa tra qualche

anno. L'orizzonte temporale dipende anche dall'età del risparmiatore: ad esempio, nell'investimento

a fini previdenziali è evidente che un ventenne ha un orizzonte temporale più lungo di un

sessantenne.

Se l'orizzonte temporale è di breve periodo è bene che l'investimento sia a

basso rischio e, quindi, tenda soprattutto a conservare il capitale: il breve periodo temporale,

infatti, non ci consentirebbe di recuperare eventuali perdite.

Al contrario, in un’ottica di lungo periodo è possibile, ammesso che la nostra propensione al

rischio lo consenta, accettare rischi maggiori per conseguire maggiori guadagni: il lungo orizzonte

temporale rende infatti possibile compensare eventuali perdite dovute ad andamenti negativi dei

mercati.

La propensione al rischio rappresenta la disponibilità a sopportare perdite

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patrimoniali dovute all'andamento negativo del mercato: quanto più siamo propensi al

rischio, tanto più siamo disposti ad accettare che l'investimento

non consegua i risultati che ci attendevamo.

Quindi, nella scelta dell’investimento, dobbiamo concretamente determinare la nostra

tolleranza al rischio, quantificando la percentuale del patrimonio investito che siamo disposti a

perdere in un determinato periodo di tempo se le nostre prospettive di guadagno non si

realizzeranno.

Quanto più tolleriamo il rischio, tanto più possiamo scegliere investimenti il cui valore può

subire forti oscillazioni, come ad esempio i titoli azionari. Se, invece, soffriamo al solo pensiero di

vedere diminuire il nostro patrimonio, allora sono preferibili investimenti più tranquilli, come, ad

esempio, i titoli di Stato a breve scadenza (ovviamente emessi da Stati affidabili).

Le aspettative di rendimento, infine, devono essere realistiche: non si può “pretendere la

luna” e bisogna sempre considerare che i rendimenti di molti investimenti dipendono

dall'andamento dei mercati finanziari, che può variare repentinamente, interrompendo prolungati

periodi positivi. E soprattutto, si deve essere consapevoli che a maggiori rendimenti corrispondono

maggiori rischi.

2.2. Assumi informazioni su prodotti e servizi

Per investire in prodotti finanziari, specie se complessi, è bene essere informati. Le

informazioni in materia finanziaria si assumono come per qualsiasi altra materia: leggendo giornali,

riviste, libri, ascoltando trasmissioni radio e televisive, parlando con persone più esperte di noi e

navigando su internet. Anche il sito Consob è una ricca fonte di dati e notizie. Siccome, però, in

questa materia l’informazione è particolarmente importante, è previsto che all’investitore debbano

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essere obbligatoriamente consegnati dei documenti come, ad esempio, il prospetto informativo o gli

stessi contratti da firmare.

Dovrebbe essere inutile sottolineare l’assoluta importanza di leggere attentamente questa

documentazione. Purtroppo, però, a volte capita di leggerla solo dopo, per scoprire troppo tardi che

era meglio non acquistare quel prodotto.

2.3. Verificare che l’intermediario utilizzato sia autorizzato e


instaurare con lui un rapporto positivo

Nel nostro Paese gli intermediari (banche, imprese di investimento ecc.) devono essere

autorizzati a norma di legge, e questo costituisce un'importante tutela per i risparmiatori.

L'autorizzazione, infatti, viene rilasciata solo in presenza dei requisiti richiesti e gli intermediari

autorizzati sono costantemente vigilati.

Se qualcuno ci propone un servizio o un’attività di investimento (vedi box di seguito)

quindi, occorre verificare che sia un soggetto autorizzato.

Servizi o attività di investimento

I servizi di investimento sono attività, prestate da determinati soggetti, attraverso le quali

possiamo impiegare, sotto varie forme, i nostri risparmi in prodotti finanziari. I servizi e le attività

di investimento, puntualmente individuati dalla legge (Testo Unico della finanza - la principale

legge nazionale in materia di investimenti), sono:

a) negoziazione per conto proprio;

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b) esecuzione di ordini per conto dei clienti;

c) sottoscrizione e/o collocamento con assunzione a fermo ovvero con assunzione di

garanzia nei confronti dell'emittente;

c-bis) collocamento senza assunzione a fermo né assunzione di garanzia nei confronti

dell'emittente;

d) gestione di portafogli;

e) ricezione e trasmissione di ordini;

f) consulenza in materia di investimenti;

g) gestione di sistemi multilaterali di negoziazione.

Tutti i servizi di investimento hanno ad oggetto strumenti finanziari, termine con il quale ci

si riferisce ad azioni, obbligazioni, titoli di Stato, quote di fondi, contratti e strumenti derivati, ecc.,

ossia quegli strumenti attraverso i quali è possibile effettuare investimenti di natura finanziaria. Per

saperne di più è disponibile, anche sul sito www.consob.it, una iniziativa relativa ai servizi di

investimento.

Verificare non è difficile: internet ci consente di accedere direttamente alle informazioni

possedute dalle autorità di vigilanza; altrimenti possiamo contattare le autorità stesse con i mezzi

tradizionali. L’autorizzazione è rilasciata dalla Consob o dalla Banca d'Italia, secondo quanto

previsto dal Testo Unico della finanza (d.lgs. n. 58 del 1998). Gli intermediari abilitati ad offrire

servizi o attività d'investimento sono:

- società di intermediazione mobiliare (SIM): sono le imprese di investimento italiane e

possono essere autorizzate dalla Consob ad offrire tutti i servizi di investimento. La verifica può

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essere fatta consultando l’albo tenuto dalla Consob, pubblicato nella sezione Intermediari del sito

www.consob.it;

- banche italiane: possono essere autorizzate dalla Banca d'Italia ad offrire tutti i servizi di

investimento. La verifica può essere fatta consultando l’albo tenuto dalla Banca d’Italia, pubblicato

sul sito www.bancaditalia.it/vigilanza/albi ed elenchi di vigilanza;

- società di gestione del risparmio (SGR – vedi box in basso) italiane:

possono essere autorizzate dalla Banca d'Italia all'esercizio dell'attività di gestione

individuale di patrimoni, dell’attività di consulenza e di commercializzazione di fondi comuni di

investimento; la verifica può essere fatta consultando l’albo tenuto dalla Banca d’Italia, pubblicato

sul sito www.bancaditalia.it/vigilanza/albi ed elenchi di vigilanza

SGR

Le Società di gestione del risparmio (SGR) sono, insieme alle SICAV, gli unici soggetti che

possono svolgere l'attività di gestione collettiva del risparmio (e cioè gestire fondi comuni di

investimento). Sono, anzi, società specializzate nell’attività di gestione, in quanto, oltre alla

gestione collettiva e alle relative attività connesse e strumentali, possono svolgere solo l'attività di

gestione individuale (attività di gestione di portafogli) e il servizio di consulenza in materia di

investimenti. Per operare devono essere autorizzate dalla Banca d'Italia (sentita la Consob), la quale

rilascerà l'autorizzazione solo in presenza dei requisiti previsti per legge (art. 40, comma 1, del

Testo Unico della finanza). Fra questi, si sottolinea l'ammontare del capitale sopra un certo valore

(stabilito dalla Banca d'Italia con provvedimento del 14 aprile 2005), il fatto che gli amministratori,

i sindaci ed il direttore generale abbiano determinati requisiti di onorabilità e professionalità

(stabiliti dal Ministro dell'economia e delle finanze con d.m. 11 novembre 1998, n. 468) e che gli

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azionisti abbiano i requisiti di onorabilità sempre determinati dal Ministro dell'economia e delle

finanze con lo stesso decreto. L'obiettivo di queste regole è far sì che l'attività di gestione, per la sua

rilevanza economica e sociale, venga svolta da soggetti qualificati. Inoltre, il legislatore ha anche

posto delle regole di condotta a questi soggetti, contenute nell'art. 34 del Testo Unico della finanza

e nel regolamento intermediari della Consob. In particolare: devono operare con diligenza,

correttezza e trasparenza nell'interesse dei partecipanti ai fondi; organizzarsi in modo tale da ridurre

al minimo il rischio di conflitti di interesse; adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei

partecipanti ai fondi.

- intermediari finanziari iscritti nell'elenco previsto dall'art. 107 del Testo Unico bancario e

tenuto dalla Banca d'Italia: possono essere autorizzati alla negoziazione per conto proprio ed

all’esecuzione degli ordini dei clienti (limitatamente agli strumenti finanziari derivati), nonché al

servizio di sottoscrizione o collocamento; la verifica può essere fatta consultando l’elenco tenuto

dalla Banca d’Italia, pubblicato sul sito www.bancaditalia.it/vigilanza/albi ed elenchi di vigilanza;

- banche di Paesi comunitari: possono offrire i servizi per i quali sono state autorizzate

dall'autorità di vigilanza del Paese d'origine; la verifica può essere fatta presso gli uffici della Banca

d'Italia;

- imprese di investimento di Paesi comunitari: possono offrire i servizi per i quali sono state

autorizzate dall'autorità di vigilanza del Paese d'origine; la verifica può esser fatta consultando

l’elenco tenuto dalla Consob, pubblicato nella sezione Intermediari del sito www.consob.it;

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- imprese di investimento extracomunitarie: possono essere autorizzate dalla Consob ad

offrire tutti i servizi di investimento; la verifica può esser fatta consultando l’albo tenuto dalla

Consob, pubblicato nella sezione Intermediari del sito www.consob.it;

- banche extra-comunitarie: possono essere autorizzate dalla Banca d'Italia ad offrire tutti i

servizi di investimento; la verifica può essere fatta presso gli uffici della Banca d'Italia;

- agenti di cambio iscritti nel ruolo unico nazionale tenuto dal Ministero dell’economia e

delle finanze: possono svolgere l'attività di esecuzione di ordini, collocamento, gestione individuale

di portafogli, ricezione e trasmissione di ordini e consulenza; la verifica può essere fatta presso il

sito del Ministero dell’economia e delle finanze (www.dgt.tesoro.it).

I soggetti abilitati operano normalmente presso le loro sedi e dipendenze, dove il

risparmiatore si reca per effettuare investimenti. A volte, però, la promozione ed il collocamento di

servizi di investimento o prodotti finanziari viene svolta "fuori sede" e quindi anche presso il

domicilio del risparmiatore.

Il nostro ordinamento ha ritenuto che in questi casi il risparmiatore deve essere

particolarmente tutelato, prevedendo che:

- i soggetti abilitati si avvalgano di promotori finanziari, iscritti, dopo aver superato un

esame, in un albo tenuto dalla Consob e consultabile sul sito, sezione "Intermediari", dove il

risparmiatore può verificare l'effettiva iscrizione del promotore;

- il risparmiatore abbia 7 giorni di tempo dalla sottoscrizione per esercitare la facoltà di

ripensamento (detta anche di recesso) e recedere dal contratto senza spese. Questa facoltà si applica

solamente al collocamento di strumenti finanziari e al servizio di gestione individuale di portafogli.

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Queste regole si applicano anche alle sottoscrizioni presso i cosiddetti "negozi finanziari". Si

tratta, generalmente, degli uffici dei promotori finanziari, strutture dove questi si "appoggiano" per

svolgere la propria attività.

Una volta accertato che chi abbiamo di fronte sia autorizzato, dobbiamo sfruttare

l’opportunità di poterci avvalere di un soggetto professionalmente preparato.

Abbiamo visto che per investire occorre essere consapevoli di più aspetti: in primo luogo le

nostre esigenze e preferenze e le caratteristiche dei prodotti finanziari che meglio possono

soddisfarle.

Questo percorso di “consapevolezza” può essere affrontato in autonomia o, meglio, risultare

da una proficua collaborazione con l’intermediario che presta il servizio di investimento (banche e

imprese di investimento). In particolare, tra "venditore" ed "acquirente" deve instaurarsi uno

scambio informativo: il venditore, generalmente, ha l'obbligo di richiedere informazioni in merito al

profilo finanziario del cliente nonché di fornire, a sua volta, informazioni sull’investimento. Allo

stesso tempo, il cliente dovrebbe comunicare all’intermediario le proprie esigenze personali prima

della prestazione del servizio.

Dallo spirito di collaborazione tra cliente e intermediario può senz'altro nascere una più

adeguata ed approfondita definizione degli obiettivi di investimento del singolo e, quindi, una più

adeguata scelta di investimento.

2.4. Se non si comprende, non investire

Se nonostante la lettura dei documenti disponibili e le informazioni assunte non si

comprendono la natura, le caratteristiche e i rischi di un investimento, è meglio non investire.

Soprattutto se si tratta di prodotti particolarmente complessi. Esistono sul mercato molti prodotti

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caratterizzati da una struttura complessa, spesso con denominazioni fantasiose e con profili di

rischio/rendimento difficili da comprendere. Quando ci vengono proposti dobbiamo riflettere su due

questioni:

- chi offre un prodotto complesso ne conosce perfettamente le caratteristiche ed è

consapevole dei vantaggi e svantaggi;

- noi, abbiamo la stessa conoscenza e consapevolezza, soprattutto nel caso di prodotti

complessi?

A questo punto dobbiamo ancora domandarci: fermo restando che a chi lo offre conviene

(perché altrimenti non lo farebbe), a noi conviene acquistarlo?

Possiamo rispondere alla domanda solo se riusciamo a essere consapevoli:

- della natura e delle caratteristiche del prodotto;

- di quali condizioni dovranno verificarsi e della relativa probabilità, per trarre

dall’investimento effetti positivi o negativi;

- dello scenario peggiore per noi e di quali conseguenze, in termini di mancato guadagno o

perdita di capitale, dovremmo sopportare al suo avverarsi.

Se non riusciamo ad aver ben chiaro tutto questo asteniamoci dall’investire: è come giocare

una partita a carte con chi conosce le regole ed il valore delle singole carte mentre noi, invece, non

abbiamo la stessa conoscenza.

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2.5. A potenziali alti rendimenti corrispondono alti rischi

Un famoso studioso disse che in economia non esistono pasti gratis. Un altro famoso

economista espresse il concetto che se ogni mattina possiamo acquistare il pane caldo non è per la

benevolenza del fornaio ma per il suo desiderio di guadagno. Noi che non siamo famosi economisti

possiamo esprimerci in termini più diretti: nessuno dà nulla per nulla.

E’ una regola ferrea, da cui non si scappa: la maggiore possibilità di guadagno la si paga con

il maggior rischio da sopportare, in quanto il guadagno si può tradurre in una perdita altrettanto

rilevante nel caso di andamento avverso del mercato di riferimento. Probabilmente ci sarà capitato,

soprattutto negli ultimi anni, di andare in banca, informarci del rendimento dei Bot, storcere un po’

il naso e chiedere: ma non ci sarebbe qualcosa che rende di più?

Domanda legittima, doverosa per chi vuole impiegare al meglio i risparmi. Però dobbiamo

essere consapevoli che ogni attività che renda più di un titolo di Stato a breve (ovviamente di uno

Stato solido) comporta, immancabilmente, rischi aggiuntivi.

E allora, prima di dirigerci verso l’investimento più remunerativo, dobbiamo capire in cosa

consiste la quota aggiuntiva di rischio, quali sono le condizioni (e la probabilità del loro verificarsi)

che potranno determinare conseguenze negative per noi e la natura e la misura di tali conseguenze.

Solo se abbiamo chiaro questo, possiamo correttamente valutare l’attività più rischiosa, e

decidere anche di acquistarla, consapevoli però del maggior rischio cui andiamo incontro, che altro

non è che il prezzo da pagare per la possibilità di un maggior guadagno.

Per finire, esistono dei prodotti oggettivamente più rischiosi di altri. E' bene quindi:

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- considerare con estrema attenzione l'acquisto di titoli non quotati su mercati regolamentati:

per questi titoli è difficile verificare il prezzo di mercato e potrebbe essere non facile e penalizzante

la loro vendita. E' possibile verificare, almeno per le società italiane, se gli strumenti finanziari che

si intende acquistare sono nell'elenco dei titoli quotati sulle pagine economiche dei principali

quotidiani, oltre che sul sito www.borsaitaliana.it e su altri siti internet specializzati;

- valutare sempre molto attentamente l'acquisto di strumenti derivati (future, swap, contratti

a termine, opzioni - per un approfondimento vedi box in basso), obbligazioni strutturate e covered

warrant;

- essere molto cauti nel valutare proposte che coinvolgono intermediari, società o titoli di

Paesi "esotici" o "paradisi fiscali".

Strumenti derivati

Il termine “derivati” indica la caratteristica fondamentale di questi prodotti: il loro valore

deriva dall’andamento del valore di una attività ovvero dal verificarsi nel futuro di un evento

osservabile oggettivamente.

L’attività, ovvero l’evento, che possono essere di qualsiasi natura o genere, costituiscono il

“sottostante” del prodotto derivato. La relazione – determinabile attraverso funzioni

matematiche – che lega il valore del derivato al sottostante costituisce il risultato finanziario

del derivato, anche detto “pay-off”. I prodotti derivati sono utilizzati, principalmente, per tre

finalità:

- ridurre il rischio finanziario di un portafoglio preesistente (finalità di copertura o, anche,

hedging);

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- assumere esposizioni al rischio al fine di conseguire un profitto (finalità speculativa);

- conseguire un profitto privo di rischio attraverso transazioni combinate sul derivato e sul

sottostante tali da cogliere eventuali differenze di valorizzazione (finalità di arbitraggio).

Per saperne di più è disponibile sul sito www.consob.it una iniziativa sui Prodotti derivati

(elementi base)

2.6. Diffidare delle proposte improbabili

Vale quanto appena già detto: nessuno dà nulla per nulla. Dobbiamo diffidare di proposte di

investimento che assicurano un rendimento molto alto e non in linea con quelli di mercato o "a

rischio zero". Alla promessa di alti rendimenti corrispondono di regola rischi molto elevati o, in

alcuni casi, addirittura tentativi di truffa.

Stiamo alla larga dalle "catene di sant’Antonio", cioè da quelle proposte che promettono

guadagni legati alla successiva adesione di altri soggetti, che spesso devono essere convinti dallo

stesso investitore ad aderire. Queste "operazioni", infatti, non possono assicurare nessun tipo di

rendimento, essendo di norma alimentate esclusivamente dalla continuità delle adesioni. In altre

parole, nel momento in cui le nuove adesioni non sono più sufficienti a pagare gli "interessi" ai

precedenti sottoscrittori, le iniziative sono destinate al fallimento.

Diffidiamo anche delle proposte di investimento vaghe e generiche, per le quali non sono

dettagliatamente illustrate le modalità di impiego dei soldi raccolti (che tipo di titoli verranno

acquistati, a quali prezzi, su quali mercati, con quali profili di rischio - di tasso di interesse, di

cambio o di controparte - e se e quali strumenti di copertura verranno utilizzati a fronte di tali

rischi).

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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2.7. Non firmare moduli in bianco

Questa regola non dovremmo neanche menzionarla, per quanto è ovvia. Eppure, spesso

capita di firmare contratti e moduli senza averli prima letti o, addirittura, senza che siano stati

compilati delegando poi l’intermediario a riempirli.

E' una prassi pericolosissima, che apre la possibilità ad operatori disonesti di commettere

abusi che nei loro effetti potrebbero non discostarsi molto da quelli che possono verificarsi se

consegniamo un assegno con la cifra in bianco.

2.8. Utilizzare mezzi di pagamento previsti e sicuri

Il controvalore dell'investimento deve essere consegnato utilizzando esclusivamente i mezzi

di pagamento previsti dal contratto. Nel caso si venga contattati da un promotore finanziario, poi,

non bisogna mai effettuare versamenti di denaro in contante, né con assegni privi di intestazione

oppure intestati al promotore; bisogna utilizzare sempre, invece, assegni bancari o circolari, intestati

(o girati) a nome dell'intermediario per il quale il promotore opera ovvero del soggetto i cui servizi

o prodotti sono offerti e muniti della clausola “non trasferibile”.

E' anche possibile utilizzare il bonifico o strumenti similari, ma anche in questo caso mai a

favore del promotore finanziario. Seguire queste prescrizioni diminuisce il rischio di brutte sorprese

(vedi box di seguito).

I mezzi di pagamento da utilizzare

La consegna del mezzo di pagamento è un momento critico: consegnare ad un promotore

contanti, assegni intestati in bianco, ovvero intestati all'intermediario senza la clausola di non

trasferibilità, ovvero ancora intestati direttamente al promotore finanziario, dà la possibilità a

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quest'ultimo di "incassare" personalmente il denaro, distraendolo dall'investimento voluto dal

risparmiatore. Non si tratta di casi di scuola, ma di casi realmente verificatisi, molte volte alla base

di provvedimenti sanzionatori che la Consob ha adottato nei confronti di promotori finanziari

disonesti.

Il promotore deve sempre rilasciare copia al cliente dei documenti e degli atti da questo

sottoscritti.

2.9. Seguire i propri investimenti nel tempo

Investire i propri risparmi non si esaurisce nel momento della scelta e dell’acquisto. Nel

tempo possono cambiare le caratteristiche del prodotto scelto (si pensi ad un’obbligazione il cui

emittente non sia più così solido) e possono cambiare le nostre esigenze (ad esempio, abbiamo

messo la testa a posto, vogliamo metter su famiglia invece di tenere tutti i nostri risparmi liquidi

pronti ad essere spesi in divertimenti e viaggi).

Anche in questo caso l’informazione gioca un ruolo fondamentale: dobbiamo seguire i nostri

investimenti e acquisire il maggior numero di notizie. A questo fine, oltre alle notizie sulla stampa e

sugli altri mezzi di comunicazione di massa, dobbiamo attentamente leggere la documentazione che

normalmente il nostro intermediario ci invia.

Siamo d’accordo: non si tratta di documenti che si presentano come particolarmente

interessanti. Ma vanno letti, perché ci informano sullo stato di salute del nostro investimento e ci

possono consigliare sull’opportunità di mantenerlo o liquidarlo.

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2.10. Internet: tante opportunità ma qualche attenzione in più

Con la rete internet si sono moltiplicate le possibilità di contatto fra le persone, e quindi

anche di pubblicizzare, proporre e concludere investimenti attraverso siti web o e-mail.

Disporre operazioni dal proprio computer è comodo e veloce, senza essere poi

particolarmente complicato. Occorre utilizzare però qualche cautela per stare al riparo da brutte

sorprese.

Innanzi tutto, il codice utente e la password e altri dati relativi al nostro rapporto non devono

essere, mai, dati ad altre persone, neanche a quelle in cui riteniamo di poter riporre la massima

fiducia: sarebbe come consegnare un libretto di assegni già firmati. Attenzione, inoltre, a non

comunicarli inconsapevolmente, magari rispondendo a e-mail che sembrano provenire dalla nostra

banca o rispondendo a telefonate.

La regola è che non si comunicano a nessuno.

Il fatto che un’operazione venga conclusa via internet non esclude che l’intermediario

rispetti le regole cui è tenuto. Lo farà con modalità diverse che, nella maggior parte dei casi,

consisteranno in messaggi a video e e-mail. Prestiamo attenzione, quindi, ad ogni messaggio che

riceviamo: a ciascuno di essi corrisponde un obbligo dell’intermediario prescritto per la nostra

tutela. Internet ha anche moltiplicato la possibilità di iniziative illecite. Se riceviamo una proposta

via e-mail, o se vogliamo aderire ad un’offerta su un sito internet, è bene fare qualche verifica in

più:

- controllare che il soggetto che propone l'investimento sia chiaramente identificabile;

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- verificare che gli indirizzi forniti (telefono, fax e sede del soggetto) corrispondano

effettivamente a quelli del soggetto, avvalendosi magari dei servizi "elenco abbonati telefonici";

- verificare sempre direttamente presso l'autorità di vigilanza che il soggetto sia abilitato.

L'esistenza all'interno di un sito di riferimenti alla circostanza che il soggetto è vigilato da

un'autorità pubblica o di link a siti di autorità di controllo non comporta alcuna assunzione di

responsabilità da parte di tali autorità né garantisce il contenuto delle proposte effettuate;

- "scaricare", stampare e leggere con attenzione la documentazione contenuta nel sito e

conservarla.

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3 Parole chiave della lezione


 ASSUMERE INFORMAZIONI SU PRODOTTI E SERVIZI

 OBIETTIVI PERSONALI DEL RISPARMIO

 RENDIMENTO ATTESO

 GRADO DI RISCHIO

 MAGGIORE RISCHIO MAGGIORE RENDIMENTO

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Bibliografia

 Consob – Divisione Relazioni Esterne - Impariamo ad investire; Regole e consigli pratici –

Novembre 2007

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Sitografia
 http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-05-14/relazione-consob-vegas-

lancia-110722.shtml?uuid=AbXHvNcF

 http://www.repubblica.it/economia/2014/05/05/news/vegas_consob_crisi_borsa-

85263748/?ref=NRCT--2

 http://www.carilo.it/viewdoc.asp?co_id=57

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“GLOSSARIO DI ECONOMIA DEGLI
INTERMEDIARI FINANZIARI - ITALIANO”

PROF. COSTANTINO FORMICA


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intermediari finanziari - Italiano

Indice

1 PREMESSA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 GLOSSARIO DELLA BANCA D’ITALIA, SISTEMA BANCARIO ----------------------------------------------- 4
3 GLOSSARIO DELLA BORSA ITALIANA ----------------------------------------------------------------------------- 10
4 GLOSSARIO TITOLI DI STATO, AZIONI, BOND ------------------------------------------------------------------ 16
5 GLOSSARIO INTERMEDIARI FINANZIARI ------------------------------------------------------------------------ 21
6 PAROLE CHIAVE DELLA LEZIONE ---------------------------------------------------------------------------------- 25
SITOGRAFIA ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 26

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1 Premessa
Questa Dispensa è stata realizzata per rispondere ad una esigenza che scaturisce dalle

caratteristiche della disciplina. Il linguaggio, il vocabolario della finanza, dell’economia, degli

strumenti finanziari e dunque di “Economia degli Intermediari Finanziari “è particolarmente ampio

e complesso, oltre che essere caratterizzato da un uso diffusissimo di termini anglosassoni. Il

docente, pertanto, ritiene di fare cosa utile, realizzando questa Dispensa denominata, “GLOSSARIO

DI ECONOMIA DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI”, che è costituita da un numero

consistente di termini, tra i più diffusi e complessi degli strumenti finanziari. Tali termini sono tratti

da fonti autorevoli che saranno appositamente citate. Vengono messi a disposizione degli studenti,

ovviamente, anche i link, con i quali sarà possibile, auspicabilmente, la consultazione completa dei

singoli glossari. Va da sé che il presente Glossario rappresenta una esemplificazione tutt’altro che

esaustiva del fiorentissimo vocabolario del mondo della finanza e degli intermediari della finanza.

Infine, tutte le Dispense contengono un paragrafo dedicato al Glossario del tema trattato e,

frequentemente, la loro traduzione in inglese.

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2 Glossario della Banca d’Italia, sistema bancario


http://www.bancaditalia.it/footer/glossary/glo/glossario.pdf

AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE: Il settore raggruppa, secondo il criterio della

contabilità nazionale, le unità istituzionali le cui funzioni principali consistono nel produrre servizi

non destinabili alla vendita e nell’operare una redistribuzione del reddito e della ricchezza del

Paese. Il settore è suddiviso in tre sotto settori. Le Amministrazioni centrali comprendono le

amministrazioni centrali dello Stato e gli enti economici, di assistenza e di ricerca, che estendono la

loro competenza su tutto il territorio del Paese (Stato, organi costituzionali, Anas, altri). Le

Amministrazioni locali comprendono gli enti pubblici la cui competenza è limitata a una sola parte

del territorio. Il sotto settore è articolato in: a) enti territoriali (Regioni, Province, Comuni); b)

aziende sanitarie locali e ospedaliere; c) istituti di cura a carattere scientifico e cliniche

universitarie; d) enti assistenziali locali (università e istituti di istruzione universitaria, opere

universitarie, istituzioni di assistenza e beneficenza, altri); e) enti economici locali (camere di

commercio, industria, artigianato e agricoltura, enti provinciali per il turismo, istituti autonomi case

popolari, enti regionali di sviluppo, comunità montane, altri). Gli Enti di previdenza comprendono

le unità istituzionali centrali e locali la cui attività principale consiste nell’erogare prestazioni sociali

finanziate attraverso contributi generalmente di carattere obbligatorio (INPS, INAIL e altri).

BANCHE L’aggregato comprende tutte le banche residenti in Italia; è inclusa la Cassa

depositi e prestiti spa, classificata nelle statistiche armonizzate del Sistema europeo delle banche

centrali come “altra istituzione finanziaria monetaria”, rientrante nella categoria delle istituzioni

creditizie.

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BANCA CENTRALE: istituzione indipendente che si occupa di gestire la politica

monetaria di un paese o di un'area economica che condivide la medesima moneta

BANCA CENTRALE EUROPEA: ha il compito di stabilire la politica monetaria dei paesi

aderenti all’Unione Monetaria Europea. Si riunisce periodicamente per analizzare la situazione delle

economie degli stati europei e per decidere di modificare il tasso ufficiale di sconto

BANCA EUROPEA DEGLI INVESTIMENTI: Istituzione finanziaria UE che si occupa

di investimenti pubblici o privati in linea con gli obiettivi dell’Unione

CLASSIFICAZIONE IN CATEGORIE

Banche al 31.12.2013 - Spa 183

Filiali di banche estere 80

Popolari 37

Credito cooperativo 385

TOTALE 685

CLASSIFICAZIONE IN GRUPPI DIMENSIONALI La classificazione delle banche in

gruppi dimensionali è stata rivista nella Relazione sull’anno 2012; la classificazione per dimensioni

delle banche appartenenti a gruppi bancari si basa ora sulla dimensione del gruppo. La suddivisione

in classi dimensionali è effettuata sulla base della composizione dei gruppi bancari a dicembre 2013

e del totale dei fondi intermediati non consolidati a dicembre 2008. I Primi 5 gruppi includono

banche appartenenti ai gruppi UniCredit, Intesa Sanpaolo, Banca Monte dei Paschi di Siena, UBI

Banca, Banco Popolare. Le categorie “grandi”, “piccole” e “minori” comprendono banche

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appartenenti a gruppi o indipendenti con totale dei fondi intermediati, nell’ordine, superiori a 21,5

miliardi di euro, compresi tra 3,6 e 21,5 miliardi, inferiori a 3,6 miliardi.

Banche al 31.12.2013

Primi 5 gruppi 42

Altre banche grandi o appartenenti a gruppi grandi 49

Filiali di banche estere 80

Piccole 42

Minori 472

TOTALE 685

BASE MONETARIA Il contributo italiano alla base monetaria dell’area dell’euro si

calcola sommando al valore della Circolazione (vedi) i depositi in conto corrente delle istituzioni

creditizie residenti in Italia presso la Banca d’Italia e i depositi overnight delle stesse presso

l’Eurosistema.

BANCA DEI REGOLAMENTI INTERNAZIONALI (BRI): Organismo internazionale

con sede a Basilea, fondato nel 1930 in attuazione dell'Accordo dell'Aja dai governi di Belgio,

Francia, Germania, Italia e Regno Unito. Le sue funzioni riguardano l'assistenza finanziaria alle

istituzioni monetarie nazionali e la promozione di regole di carattere generale che riguardano il

sistema bancario mondiale.

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BANCA EUROPEA DEGLI INVESTIMENTI: Istituzione finanziaria dell'Unione

europea che si occupa di investimenti pubblici o privati in linea con gli obiettivi dell'Unione.

FIDO: Procedura mediante la quale una banca delibera la concessione di un prestito ad

un´azienda o ad un privato. La decisione è basata su alcuni elementi fondamentali come:

 la rispondenza patrimoniale, cioè il valore dei beni (specie immobili) posseduti dal

richiedente;

 la capacità reddituale, ovvero il totale dei ricavi (per le aziende) o dei redditi personali (per i

privati);

 la correttezza commerciale (assenza di protesti, procedure concorsuali, fallimenti);

 le garanzie concesse a fronte del prestito (ipoteche su immobili, pegni su titoli)

FINANZIAMENTO PER CASSA: Prestito concesso solitamente in assenza di specifiche

garanzie, il cui rimborso avviene tramite i ricavi dati dall´investimento

FONDO DI GARANZIA PER LE PMI Il Fondo – istituito, in base all’art. 2, comma 100,

lettera a), della L. 23.12.1996, n. 662, dal Ministero delle Attività produttive (ora dello Sviluppo

economico), alimentato con risorse pubbliche – garantisce o contro-garantisce operazioni, aventi

natura di finanziamento ovvero partecipativa, a favore di piccole e medie imprese. Gli interventi del

Fondo consistono essenzialmente in “garanzie dirette” a fronte di esposizioni di banche e di

intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’ art. 107 del TUB e in “contro-

garanzie” a fronte delle garanzie rilasciate da confidi. Il Fondo rilascia garanzie per un importo

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multiplo rispetto alle risorse disponibili (“moltiplicatore”), nei limiti imposti dall’osservanza di uno

specifico coefficiente di rischio.

ISTITUTI DI PAGAMENTO Intermediari abilitati, insieme a banche e istituti di moneta

elettronica, alla prestazione di servizi di pagamento in regime di mutuo riconoscimento. Gli istituti

di pagamento sono assoggettati a un regime di regolamentazione e controllo analogo a quello degli

altri intermediari vigilati (requisiti all’accesso, regole sul capitale, presidi organizzativi); possono

concedere credito a breve termine in connessione con i servizi di pagamento prestati e svolgere altre

attività commerciali (cosiddetti istituti di pagamento ibridi).

MERCATO DEI PRONTI CONTRO TERMINE È il mercato italiano telematico, gestito

dalla società MTS, in cui vengono negoziati contratti pronti contro termine in titoli di Stato; è stato

istituito con DM 24.10.1997 e le negoziazioni hanno avuto inizio il 12.12.1997. I contratti pronti

contro termine consistono in una vendita di titoli a pronti e contestuale impegno di riacquisto a

termine (per la controparte, in un simmetrico impegno di acquisto a pronti e vendita a termine); il

prezzo è espresso in termini di tasso di interesse annuo. Esistono due tipi di contratti: general

collateral e special repo. Il primo, per il quale non viene indicato il titolo sottostante, ha come

finalità la concessione di un finanziamento garantito da titoli, che permette di ridurre i rischi di

controparte; il secondo tipo, che presenta di norma tassi di interesse più bassi del primo, ha come

obiettivo principale il prestito di un titolo specifico.

STRUMENTI DI PAGAMENTO SEPA Il progetto SEPA prevede attualmente tre

tipologie di strumenti (bonifici, addebiti diretti e carte di pagamento) che rappresentano servizi di

base standardizzati a cui i diversi intermediari potranno aggiungere funzionalità ulteriori. In ambito

EPC (vedi) sono stati definiti il SEPA Credit Transfer Scheme Rulebook e il SEPA Direct Debit

Scheme Rulebook, in cui sono descritte le regole, le prassi e gli standard interbancari relativi,

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rispettivamente, ai servizi di bonifico e di addebito diretto. Per le carte di pagamento invece è stato

definito un insieme di principi, regole e linee guida, dettagliati in un apposito documento

denominato SEPA Cards Framework. Dal primo gennaio 2008 le carte di pagamento di nuova

emissione sono conformi agli standard SEPA che, tra l’altro, prevedono l’utilizzo della tecnologia

del micro-chip; il 28 gennaio 2008 è stato introdotto il bonifico SEPA e il 2 novembre 2009

l’addebito diretto SEPA.

TRATTATO SULL’UNIONE EUROPEA Firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992,

contiene disposizioni che modificano il Trattato di Roma istitutivo della CEE e i Trattati istitutivi

della CECA e dell’EURATOM, nonché disposizioni relative alla politica estera e di sicurezza

comune e alla cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni. La parte III del Trattato

sulla UE riguarda la UEM. È stato modificato dal Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997 e da

quello di Nizza del 26 febbraio 2001. Si fa presente che il 13 dicembre 2007 i Capi di Stato e di

governo dei paesi della UE hanno firmato il Trattato di Lisbona, che ha rilevanti implicazioni per il

funzionamento delle istituzioni europee. Il Trattato è entrato in vigore il 1° dicembre 2009 ed è stato

ratificato da tutti gli Stati membri.

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3 Glossario della Borsa italiana


http://www.borsaitaliana.it/bitApp/glossary.bit?target=GlossarySearch

ABUSO DI INFORMAZIONI PRIVILEGIATE

Definizione: Reato compiuto da un soggetto che, essendo in possesso di informazioni

privilegiate, acquista, vende o compie operazioni (per conto proprio o di terzi) su strumenti

finanziari avvalendosi di quelle stesse informazioni, oppure comunica a terzi tali informazioni,

ovvero fornisce consigli sulla base di esse.

Approfondimento: Un soggetto (insider) può entrare in possesso di informazioni

privilegiate grazie al fatto che partecipa al capitale di una società, è membro di organi di

amministrazione, direzione o controllo, oppure esercita una funzione (anche pubblica), una

professione oppure un particolare ufficio.

Per informazione privilegiata (detta anche price sensitive) si intende un'informazione specifica di

contenuto determinato, di cui il pubblico non dispone, concernente strumenti finanziari o emittenti

di strumenti finanziari, che, se resa pubblica, sarebbe idonea a influenzarne sensibilmente il prezzo.

L'abuso di informazioni privilegiate costituisce un reato nell'ordinamento italiano (ed anche

europeo); esso è disciplinato nel Decreto legislativo n° 58 del 24 febbraio 1998 (Testo Unico

dell'Intermediazione Finanziaria) e nella successiva legge n° 62 del 2005 (che dispone il

recepimento della normativa europea sugli abusi di mercato, la direttiva 2003/6/CE). Tale disciplina

afferma che è punito con la reclusione da 3 a 8 anni e con una multa variabile da 200.000€ a

3.000.000€, chiunque utilizzi a proprio vantaggio (e a danno del mercato) tali informazioni e

chiunque compia le medesime operazioni dopo aver ottenuto, direttamente o indirettamente, tali

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informazioni da un altro soggetto.

La CONSOB è il soggetto cui spetta il controllo sui market abuse in Italia.

ACQUISTO DI AZIONI PROPRIE

Definizione: Operazione di riacquisto di azioni proprie precedentemente collocate sul

mercato.

Approfondimento: L'acquisto di azioni proprie è disciplinato dall'art. 132 d.lgs. 24 febbraio

1998 n.58, in armonia con l'art. 2357 codice civile, che ne stabilisce le modalità e ne pone i vincoli.

Questi sono:

1) l’acquisto di azioni proprie avviene nei limiti degli utili distribuibili risultanti dall’ultimo bilancio

regolarmente approvato;

2) possono essere acquistate soltanto azioni interamente liberate;

3) l’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea, la quale ne fissa le modalità, indicando

in particolare il numero massimo di azioni da acquistare, la durata, non superiore ai diciotto mesi,

per la quale l’autorizzazione è accordata, il corrispettivo minimo ed il corrispettivo massimo;

4) in nessun caso il valore nominale delle azioni acquistate può eccedere la decima parte del

capitale sociale, tenendosi conto a tal fine anche delle azioni possedute da società controllate. Tali

limitazioni si applicano anche agli acquisti fatti per tramite di società fiduciaria o per interposta

persona.

L'acquisto di azioni proprie può avere luogo per diversi motivi:

1) per sostenere o difendere la quotazione del titolo;

2) per ostacolare l'ingresso di soci "non graditi";

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3) per disporre di azioni da scambiare con una partecipazione in un'altra società;

4) in vista di una riduzione di capitale sociale non ancora deliberata ma programmata.

AGGIOTAGGIO

Definizione: Reato compiuto da colui che diffonde notizie false oppure pone in essere

operazioni simulate o altri artifici concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione del

prezzo di strumenti finanziari.

Approfondimento: L'art. 185 del D.lgs n. 58/1998 (Testo Unico dell'Intermediazione

Finanziaria ) definisce manipolazione del mercato (aggiotaggio) il comportamento di chiunque

diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a

provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari. Tale reato è punito con la

reclusione da uno a sei anni e con la multa da € 20.000 a 5.000.000 €.

Si tratta di un comportamento, che generalmente si manifesta nella diffusione di notizie

false, finalizzato a generare un movimento al rialzo o al ribasso delle quotazioni di Borsa.

La CONSOB è l’autorità di vigilanza dei mercati cui spetta il controllo sull’aggiotaggio.

ALLA PARI

Definizione: Termine usato per indicare una situazione in cui il prezzo di un titolo è uguale

al valore nominale dello stesso

Approfondimento: Il termine "alla pari" viene utilizzato per identificare quelle situazioni in

cui il prezzo di uno strumento finanziario (in genere il prezzo di emissione oppure il prezzo di

rimborso) risulta essere uguale al valore nominale del titolo.

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AMMISSIONE ALLA QUOTAZIONE

Definizione: Procedura attraverso la quale uno strumento finanziario viene ammesso alla

quotazione su un mercato regolamentato

Approfondimento: La procedura di ammissione di un titolo alla quotazione, ossia

l'inserimento per la prima volta di un titolo nel listino di una borsa valori, viene effettuata sulla base

di quanto stabilito nella Direttiva n. 93/22/CE con l'obiettivo di verificare l'esistenza dei requisiti

minimi sia con riguardo all'emittente, sia con riguardo allo strumento oggetto di quotazione.

Per quanto riguarda i mercati gestiti da Borsa Italiana S.p.A. tale procedura è descritta nel

Regolamento dei Mercati (Parte 2). In particolare l'ammissione di uno strumento finanziario al

listino può avvenire su specifica domanda dello stesso emittente, oppure anche in assenza di tale

domanda (ad esempio dietro domanda di un operatore aderente al mercato). Borsa Italiana ha la

facoltà di accogliere la domanda di quotazione oppure di respingerla se non risultano soddisfatte

tutte le condizioni previste dal Regolamento, sia con riferimento all'emittente, sia con riferimento

allo strumento oggetto di quotazione.

ANALISI FONDAMENTALE: Metodologia di indagine finanziaria che correla

l’andamento di borsa di un titolo azionario alla valutazione d’impresa attraverso lo studio dei

bilanci e delle prospettive di crescita dell’emittente. Quando il prezzo di borsa è inferiore al valore

fondamentale, detto fair value, il titolo è sottovalutato e rappresenta una buona occasione

d’acquisito

CAPITALIZZAZIONE DEI TITOLI QUOTATI IN BORSA La capitalizzazione di un

titolo è il valore che si ottiene moltiplicando il prezzo di mercato del titolo per il numero totale dei

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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titoli della specie emessi. Sommando la capitalizzazione di tutti i titoli del listino si ottiene la

capitalizzazione di borsa (o del mercato).

DERIVATI SUI CREDITI I contratti derivati su crediti consentono di trasferire il rischio

di credito relativo a una determinata attività finanziaria sottostante (reference obligation) da un

soggetto che intende acquisire copertura dal suddetto rischio (protection buyer) a un soggetto che

intende prestarla (protection seller). Tra le più diffuse tipologie di contratti derivati su crediti si

ricordano i credit default swap, nei quali il protection seller, a fronte di un premio periodico, si

impegna a effettuare un pagamento finale al protection buyer in caso di inadempienza da parte del

soggetto cui fa capo la reference obligation.

DURATA FINANZIARIA Costituisce un indicatore del rischio di tasso di interesse a cui è

sottoposto un titolo o un portafoglio obbligazionario. La durata finanziaria di Macaulay – quella a

cui si fa più comunemente riferimento – è calcolata come media ponderata delle scadenze dei

pagamenti per interessi e capitale associati a un titolo obbligazionario. La durata finanziaria

modificata misura la semielasticità del prezzo di un titolo rispetto al rendimento (rapporto tra

variazione percentuale del prezzo e variazione assoluta del rendimento).

ASSOGESTIONI

Definizione: Associazione dell'Industria del Risparmio Gestito.

Approfondimento: Assogestioni è l'associazione che rappresenta le società di gestione del

risparmio italiane, le più importanti società di gestori estere operanti in Italia, le SIM e le banche

attive nella gestione individuale di portafogli e di fondi pensione.

L'obiettivo di Assogestioni è promuovere iniziative normative e di mercato che favoriscano la

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diffusione delle diverse forme di gestione del risparmio avendo a riguardo lo sviluppo del mercato

finanziario e la tutela degli interessi dei risparmiatori.

BORSA ITALIANA S.P.A. : Società privata responsabile dell'organizzazione e della

gestione del mercato borsistico italiano

CASSA COMPENSAZIONE E GARANZIA: Garantisce il buon fine e la compensazione

dei contratti che hanno luogo sui mercati azionari e dei derivati organizzati e gestiti da Borsa

Italiana o gestiti da altre società, eliminando il rischio di controparte, ovvero agendo come debitrice

nei confronti del contraente in attivo e creditrice verso il contraente in passivo. Ai partecipanti è

richiesto il versamento di margini a copertura per le posizioni aperte

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4 Glossario Titoli di Stato, Azioni, bond

ASTA

Definizione: Tecnica di offerta di titoli o di negoziazione che consiste nell'accumulazione

degli ordini provenienti dagli investitori e nel loro soddisfacimento in base a un insieme di regole

stabilito a priori.

Approfondimento: L'asta è la tecnica di negoziazione caratteristica dei mercati order

driven; essa consiste nella concentrazione di tutti gli ordini di acquisto e di vendita su un supporto

che ne agevoli l'ordinata visualizzazione. La regola di funzionamento fondamentale dell'asta

consiste nell'abbinamento degli ordini in acquisto disposti a pagare i prezzi più elevati con gli ordini

di vendita disposti ad accettare i prezzi più bassi.

La continua interazione tra ordini di acquisto e di vendita permette la fissazione di un prezzo

che sia espressione delle caratteristiche della domanda e dell'offerta presenti sul mercato in un

determinato istante.

Con riferimento ai mercati secondari e sulla base delle modalità di incontro dei partecipanti all'asta,

è possibile distinguere tra asta gridata e asta telematica, mentre in funzione delle modalità di

conclusione delle transazioni e di fissazione del prezzo si distingue tra asta a chiamata e asta

continua.

Secondo la modalità della negoziazione continua gli operatori possono concludere transazioni

durante l’intero periodo di apertura del mercato, mentre secondo la modalità della negoziazione a

chiamata periodica gli scambi possono avvenire soltanto durante la chiamata che viene effettuata ad

intervalli temporali predefiniti.

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Nell’asta gridata (detta anche “open outcry auction” o “marché à la criée”) gli operatori si

raccolgono in un unico luogo (detto “floor” o “corbeille”) nel quale, grazie alla presenza di un

banditore che annuncia in successione i prezzi ai quali è possibile concludere le negoziazioni,

dichiarano a voce alta il quantitativo che sono disposti ad acquistare o vendere al prezzo annunciato.

È un mercato multilaterale simultaneo. Il banditore osserva l'alternarsi di domanda e offerta e

modifica continuamente il prezzo in modo da minimizzare gli sbilanci tra acquisti e vendite; nel

momento in cui domanda e offerta si equivalgono (o il loro sbilancio è minimo) il banditore

dichiara il fixing del prezzo e passa alla negoziazione del titolo successivo.

Nell’asta telematica (o “electronic call auction”) le proposte di negoziazione dei partecipanti

sono inviate a un sistema telematico che le ordina secondo determinati criteri e aggiorna

continuamente il prezzo d’asta teorico. Al momento del fixing il sistema diviene inaccessibile agli

operatori, ossia non è più possibile inviare proposte di negoziazione, determina il prezzo definitivo

d’asta e abbina tutte le proposte compatibili con tale prezzo, trasformandole in contratti.

Sia l’asta gridata sia l’asta telematica possono svolgersi a chiamata oppure nel continuo; nel primo

caso si giungerà alla conclusione di un unico prezzo in base al quale verranno eseguiti tutti gli

ordini compatibili, mentre nel secondo caso si ha la formazione di un nuovo prezzo per ogni

transazione conclusa e, quindi, la determinazione di prezzi multipli per l’esecuzione dei singoli

contratti.

In Italia, il Mercato Telematico Azionario prevede tre distinte fasi di contrattazione: l’asta di

apertura, che si svolge secondo la modalità dell’asta a chiamata (simultanea per tutti i titoli)

telematica, la negoziazione continua, che si svolge secondo la modalità dell’asta continua telematica

e, infine, l’asta di chiusura, che si svolge in maniera identica all’asta di apertura.

Con riferimento al mercato primario, l'asta può essere impiegata per l'emissione di nuovi titoli (ad

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esempio i titoli di stato). La modalità dell'asta, che comporta il simultaneo confronto degli interessi

negoziali di una pluralità di soggetti, è utilizzata per stabilire il prezzo di emissione di un

determinato titolo sulla base delle caratteristiche della domanda degli investitori. Esistono numerose

tecniche di svolgimento delle aste, in Italia le più utilizzate sono l’asta marginale (per i titoli a

medio-lungo termine, BTP, CCT, CTZ) e l’asta competitiva (per i BOT).

ASTA COMPETITIVA

Definizione: Tipologia d'asta di emissione di strumenti finanziari nella quale ogni soggetto

risultato aggiudicatario di un quantitativo di strumenti finanziari paga il prezzo che ha offerto.

Approfondimento: L'asta competitiva è utilizzata in sede di collocamento dei Buoni

Ordinari del Tesoro. Ogni soggetto ammesso a partecipare all'asta ed interessato ad acquistare un

certo quantitativo di BOT, può presentare al massimo 3 richieste differenziate nel prezzo di almeno

un centesimo di punto e per almeno 1,5 milioni di euro ciascuna. Da qui deriva la denominazione di

asta "competitiva".

L'assegnazione dei titoli avviene soddisfacendo le domande poste in ordine decrescente di

prezzo (quindi iniziando a soddisfare le richieste di chi ha offerto i prezzi più elevati), fino ad

esaurimento del quantitativo offerto. Ogni richiesta risultata aggiudicataria viene soddisfatta al

prezzo indicato dal richiedente. Qualora la domanda risulti superiore all'offerta, si procede al riparto

a favore dei richiedenti che hanno presentato domande al prezzo più basso tra quelli accolti.

Al fine di disincentivare la presentazione di offerte a prezzi eccessivamente bassi, viene calcolato

un prezzo di esclusione al di sotto del quale le domande di sottoscrizione non sono considerate. A

tal fine viene calcolato il rendimento corrispondente al prezzo medio ponderato delle richieste che

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coprono la prima metà dell'ammontare offerto e viene aumentato di 100 basis point. Il prezzo

corrispondente a questo rendimento è il prezzo di esclusione.

Il prezzo di emissione dei BOT è pari al prezzo medio ponderato del quantitativo assegnato.

ASTA DI APERTURA : Sistema tipico di negoziazione dei mercati di borsa che prevede

due fasi a) fase di pre-apertura o pre-asta che è l'intervallo di tempo in cui si raccolgono le proposte

di compravendita b) fase di apertura o asta definitiva che indica quel momento futuro in cui si avrà

la conclusione dei contratti ad un unico prezzo (prezzo di apertura).

ASTA NON COMPETITIVA: Asta tenuta dal ministero del Tesoro nella quale ad una

prima assegnazione dei titoli secondo la prassi del miglior offerente, segue un'offerta che stabilisce

come prezzo di riferimento la media ponderata dei prezzi ottenuti durante la competizione, così da

soddisfare tutte le richieste.

AZIONI : Documenti che rappresentano l'unità minima di partecipazione di un socio al

capitale sociale di una società. Hanno tutte uguale valore nominale e si suddividono in varie

categorie a seconda dei diritti che attribuiscono al possessore. Le tipologie più comuni sono:

a. ordinarie che garantiscono il diritto di partecipare, intervenire e votare in assemblea

ed il diritto di percepire un dividendo;

b. privilegiate che pur comportando una limitazione dei diritti amministrativi danno

diritto a percepire un dividendo o il rimborso del capitale in via preventiva rispetto

alle azioni ordinarie;

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c. risparmio che non danno diritto di voto ma danno diritto a percepire un dividendo

superiore a quelle ordinarie;

d. a voto limitato le quali sono azioni privilegiate che danno diritto di voto solo nelle

assemblee straordinarie.

BUONO ORDINARIO DEL TESORO (BOT): titolo senza cedola, di durata inferiore o

uguale ai 12 mesi, emesso dal governo italiano per finanziare il debito pubblico ha durata variabile

e non vengono pagate cedole periodiche ma solo il rimborso del capitale alla scadenza

BUND: Titoli di Stato a lungo termine emessi dal governo tedesco

CAPITALIZZAZIONE DEI TITOLI QUOTATI IN BORSA: La capitalizzazione di un

titolo è il valore che si ottiene moltiplicando il prezzo di mercato del titolo per il numero totale dei

titoli della specie emessi. Sommando la capitalizzazione di tutti i titoli del listino si ottiene la

capitalizzazione di borsa (o del mercato)

MOT (Mercato Telematico delle Obbligazioni e dei Titoli di Stato): Comparto della

Borsa valori italiana in cui si negoziano, per quantitativi minimi (lotto minimo) o loro multipli,

Titoli di Stato e Obbligazioni diverse dalle obbligazioni convertibili.

OBBLIGAZIONE : Titolo di credito che rappresenta una parte di debito acceso da una

società o da un ente pubblico per finanziarsi. Garantisce all'acquirente il rimborso del capitale più

un tasso di interesse

OBBLIGAZIONE CONVERTIBILE: obbligazione il cui rimborso può avvenire, a

discrezione del sottoscrittore, attraverso la consegna di titoli di altra specie e di uguale valore, in

genere azioni

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5 Glossario Intermediari Finanziari


ANALISI DI PORTAFOGLIO: Valutazione del complesso di attività e passività

finanziarie detenute da un operatore, allo scopo di ottimizzarne la configurazione rischio-

rendimento in funzione delle preferenze del titolare

CAPITALE INIZIALE: la somma dei titoli rappresentativi di partecipazioni al capitale

sociale per l’ammontare versato e delle riserve computabili nel patrimonio di base

CAPOGRUPPO: l’intermediario finanziario capogruppo o la società finanziaria

capogruppo con sede legale in Italia

CONSOB: autorità amministrativa indipendente italiana, la cui attività è rivolta alla tutela

degli investitori

FORME PENSIONISTICHE INDIVIDUALI: Forme di risparmio individuale,

assoggettate alla disciplina fiscale della previdenza complementare, volte a integrare il trattamento

pensionistico pubblico e quello derivante dall’adesione ai Fondi pensione. Possono essere costituite

sia attraverso l’adesione individuale a fondi pensione aperti, sia sottoscrivendo contratti assicurativi

con finalità previdenziale

GRUPPO FINANZIARIO: il gruppo di imprese come individuato, ai sensi dell’art 109

TUB

INTERMEDIARIO FINANZIARIO: l’intermediario finanziario autorizzato in Italia alla

prestazione delle attività di cui all’art. 106, comma 1 e 2, TUB e iscritto nell’albo di cui al

medesimo art. 106 TUB

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ORGANO CON FUNZIONE DI CONTROLLO: il collegio sindacale, il consiglio di

sorveglianza o il comitato per il controllo sulla gestione

ORGANI AZIENDALI: il complesso degli organi con funzioni di supervisione strategica,

di gestione e di controllo. La funzione di supervisione strategica e quella di gestione attengono,

unitariamente, alla gestione dell’impresa e possono quindi essere incardinate nello stesso organo

aziendale

PORTAFOGLIO: insieme di attività finanziarie, appartenenti a persone fisiche o

giuridiche, in seguito a un investimento

SICAV: Le società di investimento a capitale variabile funzionano come un fondo comune:

raccolgono capitali tra i risparmiatori e li investono nei mercati finanziari per farli fruttare al

meglio. Ogni SICAV può essere divisa in più comparti, ciascuno specializzato in un tipo di

investimento (azionario od obbligazionario, per es.)

VOLATILITA‘: misura della rischiosità di un investimento. Quanto più uno strumento

finanziario è volatile, tanto maggiore è l'aspettativa di guadagni elevati, ma anche il rischio di

perdite

ANALISI DI PORTAFOGLIO: Valutazione del complesso di attività e passività

finanziarie detenute da un operatore, allo scopo di ottimizzarne la configurazione rischio-

rendimento in funzione delle preferenze del titolare

ANALISI FONDAMENTALE: Studio sull'andamento futuro delle quotazioni di titoli

azionari basato sulle situazioni economiche, patrimoniali e finanziarie storiche, presenti e

prospettiche delle società emittenti e sull'esame dei rispettivi settori di attività di appartenenza.

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SOCIETÀ FINANZIARIE EX ART. 106 DEL TUB Soggetti, diversi dalle banche,

iscritti nell’elenco generale di cui all’art. 106 del Testo unico bancario, nella formulazione

preesistente alla riforma introdotta dal D.lgs. 13.8.2010, n. 141 e successive modifiche. Essi

svolgono professionalmente nei confronti del pubblico le attività di concessione di finanziamenti

sotto qualsiasi forma, di assunzione di partecipazioni e di intermediazione in cambi. A partire

dall’attuazione della riforma prevista dal D.lgs. 13.8.2010, n. 141, agli intermediari finanziari

iscritti nell’albo di cui al nuovo art. 106 del Testo unico bancario sarà riservato esclusivamente

l’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi

forma; tali intermediari potranno inoltre essere autorizzati a prestare servizi di pagamento e servizi

di investimento, nonché esercitare altre attività consentite dalla legge e attività connesse o

strumentali, nel rispetto delle disposizioni dettate dalla Banca d’Italia.

SOCIETÀ FINANZIARIE EX ART. 107 DEL TUB Intermediari finanziari iscritti, in

base ai criteri fissati dal Ministro dell’Economia e delle finanze, nell’elenco speciale previsto

dall’art. 107 del Testo unico bancario, nella formulazione preesistente alla riforma introdotta dal

D.lgs. 13.8.2010, n. 141 e successive modifiche, e sottoposti a vigilanza della Banca d’Italia.

SOCIETÀ VEICOLO Società che ha per oggetto esclusivo la realizzazione di una o più

operazioni di cartolarizzazione e che, in tale ambito, emette strumenti finanziari negoziabili.

FORME PENSIONISTICHE INDIVIDUALI Forme di risparmio individuale,

assoggettate alla disciplina fiscale della previdenza complementare, volte a integrare il trattamento

pensionistico pubblico e quello derivante dall’adesione ai Fondi pensione. Possono essere costituite

sia attraverso l’adesione individuale a fondi pensione aperti, sia sottoscrivendo contratti assicurativi

con finalità previdenziale, vale a dire polizze che prevedono l’erogazione della prestazione solo al

compimento dell’età pensionabile e dopo aver soddisfatto requisiti di partecipazione minima.

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INVESTITORI ISTITUZIONALI Comprendono: le compagnie di assicurazione, i Fondi

pensione, gli OICVM (vedi) e le Gestioni di patrimoni mobiliari.

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6 Parole chiave della lezione

 ECONOMIA, FINANZA, STRUMENTI E INTERMEDIARI FINANZIARI

 COMPLESSITA’ DEL LINGUAGGIO

 TERMINI ANGLOSASSONI

 GLOSSARIO

 APPROPRIATEZZA DEL LINGUAGGIO

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Sitografia

 http://www.borsaitaliana.it/bitApp/glossary.bit?target=GlossarySearch

 http://www.bancaditalia.it/footer/glossary/glo/glossario.pdf

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“GLOSSARIO DI ECONOMIA DEGLI
INTERMEDIARI FINANZIARI. INGLESE”

PROF. COSTANTINO FORMICA


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intermediari finanziari. Inglese

Indice

1 PREMESSA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 GLOSSARIO BANCA D’ITALIA, SISTEMA BANCARIO ---------------------------------------------------------- 4
3 GLOSSARIO BORSA ITALIANA S.P.A, NEGOZIAZIONI IN BORSA ------------------------------------------ 7
4 GLOSSARIO TITOLI DI STATO, AZIONI, BOND ------------------------------------------------------------------ 15
5 GLOSSARIO INTERMEDIARI FINANZIARI ------------------------------------------------------------------------ 17
6 PAROLE CHIAVE DELLA LEZIONE ---------------------------------------------------------------------------------- 20
SITOGRAFIA ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 21

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1 Premessa
Questa Dispensa è stata realizzata per rispondere ad una esigenza che scaturisce dalle

caratteristiche della disciplina. Il linguaggio, il vocabolario della finanza, dell’economia, degli

strumenti finanziari e dunque di “Economia degli Intermediari Finanziari “è particolarmente ampio

e complesso, oltre che essere caratterizzato da un uso diffusissimo di termini anglosassoni. Il

docente, pertanto, ritiene di fare cosa utile, realizzando questa Dispensa denominata, “GLOSSARIO

DI ECONOMIA DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI”-Inglese, che è costituita da un numero

consistente di termini, tra i più diffusi e complessi degli strumenti finanziari. Tali termini sono tratti

da fonti autorevoli che saranno appositamente citate. Vengono messi a disposizione degli studenti,

ovviamente, anche i link, con i quali sarà possibile, auspicabilmente, la consultazione completa dei

singoli glossari. Va da sé che il presente Glossario rappresenta una esemplificazione tutt’altro che

esaustiva del fiorentissimo vocabolario del mondo della finanza e degli intermediari della finanza.

Infine, tutte le Dispense contengono un paragrafo dedicato al Glossario del tema trattato e,

frequentemente, la loro traduzione in inglese.

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2 Glossario Banca d’Italia, sistema bancario


http://www.bancaditalia.it/footer/glossary/glo/glossario.pdf

AUDIT: Revisione contabile. Analisi e valutazione di tutte le scritture contabili di

un'impresa per verificare la corrispondenza delle stesse con l'andamento della gestione aziendale e

con le correnti norme e principi contabili.

COMMERCIAL PAPER: lettera con cui viene riconosciuto da parte dell’emittente il

debito nei confronti del creditore. In essa viene indicata la somma ricevuta, il tasso di interesse

applicato, la data di pagamento e la banca incaricata di effettuare il pagamento. Si caratterizza

dunque come una forma di finanziamento a breve durata, alternativa rispetto al mutuo bancario

CREDIT CRUNCH: Stretta finanziaria delle banche in caso di rischio di solvibilità

CURRENT ASSETS: Attività correnti. Investimenti di una società utilizzati nel breve

termine, per le esigenze di gestione corrente, tra cui, i crediti commerciali, il magazzino, etc..

DEFAULT RISK: Rischio di insolvenza. Ossia, il rischio che un'azienda non adempia ai

suoi obblighi di pagamento del debito (interessi o quota capitale)

EURIBOR: Acronimo di EURo Inter Bank Offered Rate, è un tasso di riferimento,

calcolato giornalmente, che indica il tasso di interesse medio delle transazioni finanziarie in Euro

tra le principali banche europee

HOLDING: In un regime di coalizione, società capogruppo (o società madre) che, mediante

partecipazioni, crediti e altre attività finanziarie, controlla società le quali a loro volta ne controllano

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altre. Si ha la holding pura se è una semplice società finanziaria, e la holding mista se esercita anche

un'attività industriale

FACTORING: Tipo di finanziamento aziendale in cui l´impresa cede a un´altra società

finanziaria i propri crediti commerciali, ottenendo immediatamente il pagamento del valore attuale

degli stessi calcolato al tasso di finanziamento stabilito. Unitamente alla concessione dei crediti, la

società di factoring si assume normalmente il rischio per l´eventuale insolvenza del debitore

commerciale

FISCAL COMPACT Parte del Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla

governance nell’Unione economica e monetaria, sottoscritto il 2 marzo 2012 da tutti i paesi allora

aderenti alla UE con l’eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca ed entrato in vigore, a

partire dal 1° gennaio 2013, per i paesi della UE che l’hanno già ratificato. Il fiscal compact

impegna i paesi firmatari a inserire nella legislazione nazionale, preferibilmente a livello

costituzionale, una norma che preveda il raggiungimento e mantenimento del pareggio o di un

avanzo di bilancio in termini strutturali e un meccanismo automatico di correzione in caso di

scostamento, elaborato sulla base di principi comuni proposti dalla Commissione. Il disavanzo in

termini strutturali non può essere superiore allo 0,5 per cento del PIL; può raggiungere l’1,0 per

cento solo se il rapporto tra il debito e il prodotto è ampiamente inferiore al 60 per cento e se i rischi

per la sostenibilità di lungo periodo dei conti pubblici sono limitati. I paesi sottoposti alla Procedura

per i disavanzi eccessivi (vedi) sono tenuti a presentare alla Commissione e al Consiglio un

dettagliato programma di riforme strutturali volte a correggere lo squilibrio rapidamente e in modo

duraturo. Gli stati firmatari si impegnano infine a comunicare ex ante al Consiglio della UE e alla

Commissione europea i rispettivi piani di emissione del debito pubblico.

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LEASING: Contratto di finanziamento per l’acquisto di beni in base al quale il finanziatore

(Lessor) acquista direttamente il bene fornendolo in locazione all’utilizzatore finale (Lessee), il

quale, allo scadere del contratto, può optare per il rinnovo della locazione a un canone molto

ridotto, la restituzione del bene o l’acquisto dello stesso a un prezzo prefissato

MERCHANT BANKING: Le banche d’affari che svolgono attività di merchant banking

provvedono al collocamento dei prestiti obbligazionari lanciati dai loro clienti, raccolgono fondi per

finanziare maxi prestiti a Stati o a istituzioni, danno consulenza alle imprese, in particolare sulle

operazioni di fusione e acquisizione, finanziano le piccole e medie imprese che intendono lanciarsi

in iniziative altamente rischiose, ma con prospettive di ingenti guadagni

OECD: (OCSE) Organisation for Economic Co-Operation and Development (Australia;

Austria; Belgium; Canada; Czech Republic; Denmark; Finland; France; Germany; Greece;

Hungary; Iceland; Irish Republic; Italy; Japan; Korea Republic; Mexico; Netherlands; New

Zealand; Norway; Poland; Portugal; Sweden; Switzerland; Turkey; UK; USA)

PLAFOND: Limite massimo di fido concesso da una banca a un cliente

PRIME RATE ABI: è il tasso di interesse applicato dalle banche di credito con raccolta a

breve termine ai clienti più affidabili sulle operazioni di finanziamento senza garanzia. Rappresenta,

in altre parole, il tasso attivo più basso che le banche richiedono su crediti non garantiti

SPREAD: indica una differenza fra tassi

STAND-BY: In ambito bancario vengono definite stand-by quelle linee di credito a favore

di un’impresa dalle quali quest’ultima può attingere liberamente, in una o più soluzioni, secondo le

proprie necessità

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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3 Glossario Borsa italiana S.p.A, negoziazioni in


borsa
http://www.borsaitaliana.it/bitApp/glossary.bit?target=GlossarySearch

ADVISOR

Definizione: Soggetto che svolge una funzione di supporto consulenziale generale nel corso

di un'operazione di finanza straordinaria

Approfondimento: L'advisor finanziario offre un servizio consulenziale nei confronti di

soggetti coinvolti in un'operazione di finanza straordinaria, come ad esempio nella preparazione di

un'offerta pubblica finalizzata alla quotazione. La presenza dell'advisor si rende particolarmente

necessaria nel caso in cui la società, per la complessità e/o le dimensioni dell'operazione, non è in

grado di seguire in autonomia tutte le fasi della quotazione.

L’advisor può assistere la società nella scelta dei soggetti che interverranno nelle successive

fasi dell'operazione (il global coordinator, lo sponsor, i legali e la società di comunicazione),

eventualmente mettendoli in concorrenza fra loro per l’assegnazione dell’incarico. L’advisor deve

poi coordinare i rapporti della società con i consulenti durante tutte le fasi del processo di

quotazione, supportare la società nella redazione del prospetto informativo, del business plan e di

tutta la documentazione da utilizzare per le presentazioni agli analisti e nella valutazione del

capitale economico della società.

AFTER HOURS: Espressione che indica le contrattazioni che avvengono, dopo il normale

orario di borsa, su un mercato privato organizzato. E’ una delle principali novità del mercato

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finanziario italiano dopo la privatizzazione della borsa (oggi Borsa S.p.A.), che ha consentito un

notevole

ASSET ALLOCATION: Rappresenta la più importante attività di un gestore di patrimoni

(fondi comuni di investimento, Sicav, fondi pensione, polizze Vita, ecc.). E' la suddivisione del

patrimonio tra azioni, titoli di Stato e liquidità, titoli domestici ed esteri, settori e aree geografiche.

Essa consiste nella ripartizione del portafoglio tra azioni e obbligazioni all'interno dei diversi

mercati di investimento. Il rendimento finale di un portafoglio nel lungo periodo deriva, secondo

studi condotti sui fondi pensione statunitensi, al 91% proprio dal corretto svolgimento di questa

attività e solamente per il resto dalla scelta del momento in cui entrare e uscire dai mercati e

dall'attività di selezione dei titoli.

ASSET BACKED SECURITY (ABS)

Definizione: Strumento finanziario i cui flussi (in termini di interessi e di capitale) sono

collegati ai flussi di cassa associati a un pool di strumenti segregati.

Approfondimento: Le Asset Backed Security (ABS) sono strumenti emessi a fronte di

operazioni di cartolarizzazione da un particolare intermediario denominato Special Purpose Vehicle

(SPV). Questo intermediario emette ABS per finanziare l'acquisto del portafoglio di attività oggetto

dell'operazione di cartolarizzazione, pertanto viene ad esistere un legame diretto tra le attività

presenti nel portafoglio segregato e le ABS: i flussi di cassa provenienti dagli asset presenti nel

portafoglio ceduto vengono utilizzati per rimborsare interessi e valore nominale dei titoli emessi

dallo SPV.

L'attivo segregato, ossia il portafoglio sottostante l'operazione di cartolarizzazione, può essere

costituito da mutui ipotecari, prestiti, obbligazioni, crediti commerciali, crediti derivanti da carte di

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credito o altro ancora. In funzione della tipologia di attivo sottostante, le ABS possono essere

classificate in:

• credit loan obligation (il portafoglio è costituito da prestiti bancari);

• collateralized bond obligation (il portafoglio è costituito da junk bond);

• collateralized debt obligation (il portafoglio è costituito da obbligazioni, strumenti di debito e

titoli in generale);

• collateralized mortgage obligation (il portafoglio è costituito da mutui ipotecari su

immobili residenziali);

• commercial mortgage backed security (il portafoglio è costituito da mutui ipotecari su immobili

commerciali).

In Italia, dal 17 gennaio 2000, sul segmento EuroMOT sono quotate le ABS in possesso delle

seguenti caratteristiche:

• ogni singola emissione relativa ad una operazione di cartolarizzazione deve avere un valore

nominale di almeno € 50 milioni;

• sufficientemente diffuse presso il pubblico o presso gli investitori istituzionali in modo da

garantire un regolare funzionamento del mercato;

• sottoposte a continua valutazione da parte di almeno una agenzia di rating;

• sulle quali vi sia la presenza di almeno un operatore specialista che si impegna a sostenere la

liquidità degli strumenti trattati.

ampliamento delle contrattazioni.

BENCHMARK Generalmente è il titolo più trattato all’interno di una categoria omogenea

di titoli, ad esempio quella dei titoli decennali a tasso fisso.

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BLUE CHIP: sono le azioni di società a larga capitalizzazione e più scambiate sulle borse

valori di riferimento

BONUS SHARE : Quantitativo di azioni assegnate gratuitamente a chi mantiene, per un

prefissato periodo di tempo, i titoli acquistati in occasione di un'OPA; viene usato per fidelizzare gli

assetti azionari e l'assegnazione è proporzionale al capitale detenuto.

BROKER: Intermediario finanziario che esegue gli ordini di acquisto e vendita ricevuti dai

propri clienti ricevendone in cambio una commissione di solito espressa come percentuale del

valore dell'operazione.

BUY BACK (o Riacquisto): Operazione di riacquisto da parte di una società quotata di una

parte delle proprie azioni o obbligazioni emesse precedentemente. Tale operazioBUY AND HOLD:

letteralmente «Compra e Tieni» è la strategia di investimenti a lungo termine, che per definizione

implica una bassa rotazione dei titoli in portafoglio

COLLABLE: Rimborsabile anticipatamente. Diritto, del quale può usufruire l'emittente di

un titolo, a rimborsare lo stesso prima della scadenza stabilita

CAPITAL GAIN: Guadagno in conto capitale. Guadagno proveniente dalla differenza tra il

prezzo di acquisto e quello di vendita di un determinato bene o investimento.

CAPITAL LOSS: Perdita di capitali. Perdita proveniente dalla differenza tra il prezzo di

acquisto e quello di vendita di un determinato bene o investimento

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CAPM: Acronimo di Capital Asset Pricing Model. Modello teorico di determinazione e

valutazione del rendimento di un investimento, che pone in relazione la rischiosità dell'investimento

stesso con il risultato reddituale che se ne può ottenere

COMMODITY: materie prime o altri beni assolutamente standardizzati.

CAPITAL GAIN: (guadagno da capitale) è il profitto realizzato all'atto della vendita del

proprio investimento. E' costituito dalla differenza tra il prezzo pagato all'acquisto e quello

incassato alla vendita del bene d'investimento. Il capital gain è soggetto ala tassazione del 12,5%.

La perdita all'atto della vendita è detta perdita di capitale

ne può avvenire direttamente sul mercato o attraverso un’offerta pubblica di acquisto (OPA).

CALL: letteralmente “domanda, richiesta” da cui l’idea di acquisto. E’ riferito al contratto

option, che dà diritto a chi lo acquista di comprare a scadenza o entro una certa data fissa una certa

quantità di attività sottostante ad un prezzo prefissato (strike price o prezzo d’esercizio

dell’opzione). Per riservarsi questa opzione all’acquisto l’acquirente paga un premio. Se il contratto

di opzione viene venduto si parlerà di opzione put, letteralmente opzione «collocata»

COLLATERALIZED DEBT OBLIGATION (CDO) Titolo obbligazionario garantito da

crediti ed emesso da una società appositamente creata (vedi: Società veicolo), a cui vengono cedute

le attività poste a garanzia. I CDO sono solitamente garantiti da un portafoglio composto da prestiti,

titoli obbligazionari o credit default swap e suddivisi in più categorie (tranche), a seconda della loro

priorità di rimborso. Qualora i flussi di cassa generati dai crediti posti a garanzia del debito non

siano sufficienti a far fronte al pagamento degli interessi sul CDO o al suo rimborso, vengono

effettuati prima i pagamenti relativi alle categorie con priorità più alta (cosiddette senior e

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mezzanine) e, solo in via subordinata, quelli relativi alla categoria con minore priorità (cosiddetta

equity).

COLLATERALIZED DEBT OBLIGATION (CDO) Titolo obbligazionario garantito da

crediti ed emesso da una società appositamente creata (vedi: Società veicolo), a cui vengono cedute

le attività poste a garanzia. I CDO sono solitamente garantiti da un portafoglio composto da prestiti,

titoli obbligazionari o credit default swap e suddivisi in più categorie (tranche), a seconda della loro

priorità di rimborso. Qualora i flussi di cassa generati dai crediti posti a garanzia del debito non

siano sufficienti a far fronte al pagamento degli interessi sul CDO o al suo rimborso, vengono

effettuati prima i pagamenti relativi alle categorie con priorità più alta (cosiddette senior e

mezzanine) e, solo in via subordinata, quelli relativi alla categoria con minore priorità (cosiddetta

equity).

COVERED BOND Obbligazioni garantite da attività destinate, in caso di insolvenza

dell’emittente, al prioritario soddisfacimento dei diritti degli obbligazionisti. Per quanto la loro

disciplina vari da paese a paese, questi strumenti si contraddistinguono per il duplice livello di

protezione costituito dal portafoglio di attività poste a garanzia e dall’obbligo di rimborso in capo

all’emittente. Nell’ordinamento italiano la L. 30.4.1999, n. 130, disciplina la fattispecie delle

obbligazioni bancarie garantite (art. 7-bis). Lo schema operativo prevede la cessione da parte di una

banca a una società veicolo di attivi di elevata qualità creditizia (crediti ipotecari e verso pubbliche

amministrazioni) e l’emissione da parte di una banca, anche diversa dalla cedente, di obbligazioni

garantite dalla società veicolo a valere sugli attivi acquistati e costituiti in un patrimonio separato. I

profili applicativi della disciplina sono contenuti nel regolamento ministeriale n. 310 del

14.12.2006, nel decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze del 12.4.2007 e nella Circolare

n. 263 del 27.12.2006. Una fattispecie diversa è quella dei covered bond emessi dalla Cassa depositi

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e prestiti spa (vedi) mediante l’istituzione, in base alla legge a essa applicabile, di un patrimonio

separato da quello generale della Cassa e da ogni altro patrimonio della specie.

DEALER: Soggetto autorizzato a operare in Borsa che negozia attività finanziarie in nome

proprio (o della società per cui lavora), nell’interesse proprio (o di quella), e con risorse proprie (o

della società finanziaria) assumendo in proprio i rischi dell’operazione

DURATION: ovvero Durata finanziaria. Costituisce un indicatore del rischio di tasso di

interesse a cui è sottoposto un titolo o un portafoglio obbligazionario. La durata finanziaria di

Macaulay – quella a cui si fa più comunemente riferimento – è calcolata come media ponderata

delle scadenze dei pagamenti per interessi e capitale associati a un titolo obbligazionario. La durata

finanziaria modificata misura la semielasticità del prezzo di un titolo rispetto al rendimento

(rapporto tra variazione percentuale del prezzo e variazione assoluta del rendimento).

FAIR VALUE È il corrispettivo al quale un’attività (passività) può essere scambiata

(estinta) in una libera transazione tra parti consapevoli e disponibili.

FUTURES Contratti standardizzati con cui le parti si impegnano a scambiarsi, a un prezzo

predefinito e a una data futura, valute, valori mobiliari o beni. Tali contratti sono negoziati su

mercati regolamentati, dove viene garantita la loro esecuzione.

INTEREST RATE SWAP: Tasso di interesse swap. Swap di interessi dove due controparti

che hanno preso a prestito lo stesso importo per lo stesso importo per uguale scadenza, effettuano

un accordo, grazie all'intermediazione di un istituto di credito, per scambiarsi reciprocamente

l'onere degli interessi. La forma più utilizzata è il fixed-for-floating swap in cui una controparte

corrisponde un tasso fisso, nel corso della durata del contratto swap, in cambio del pagamento del

tasso variabile da parte dell'altro sottoscrittore del contratto. I contratti in oggetto sono spesso

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utilizzati per trasformare l'indebitamento aziendale da tasso fisso a variabile, o viceversa, in

funzione dell'andamento dei tassi di mercato

INSIDER TRADING: Condotta illegale di acquisto o vendita di titoli sfruttando

informazioni privilegiate, ottenute in virtù della propria posizione o da terzi. E’ punito con sanzioni

pecuniarie e penali (prigione). Il rischio che corre l’insider è dunque quello di finire inside (dentro)

JUNK BOND: Titolo spazzatura. E' una obbligazione emessa da una società caratterizzata

da un elevato rendimento, ma con un rating internazionale inferiore a BAA della Moody's investor

Service e a BBB della Standard & Poor Corp., e perciò ad elevatissimo rischio

LEVERED: Leva finanziaria intesa come arbitraggio tra capitali di terzi e capitali di rischio

M&A: Acronimo di Merger and Acquisition (fusioni e acquisizioni)

NIKKEY INDEX: Indice Nikkey. E' l'indice statistico dei 225 titoli più importanti quotati

alla Borsa di Tokyo

NYSE: Acronimo di New York Stock Exchange. E' la maggiore borsa americana ed è al

numero 11 di Wall Street

NASDAQ (National Association of Securities Dealers Automated Quotes) Mercato

azionario telematico statunitense destinato alle imprese con elevate potenzialità di crescita.

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4 Glossario Titoli di Stato, Azioni, bond


BOND: Obbligazione emessa da una Società per Azione, una società di accomandita per

azioni, da un ente pubblico o da una banca, per la raccolta di capitale di debito. E’ un titolo di

credito con un rendimento predeterminato e rimborso del capitale alla scadenza

CORPORATE GOVERNANCE: In riferimento all’organizzazione interna d’impresa, alle

relazioni fra i soggetti interni che a diverso titolo intervengono nello svolgimento dell’attività e alle

forme di tutela dei diversi interessi esterni coinvolti. L’obiettivo è di affidare la gestione

dell’impresa agli imprenditori più adatti, tutelando nel contempo gli interessi legittimi di piccoli

azionisti, creditori sociali e dipendenti

COUPON BOND: titoli con cedola (coupon bond) ovvero pagano un interesse (la cedola),

che comincia a maturare in corrispondenza delle cosiddette date di godimento e viene corrisposto a

date di stacco (o di regolamento) periodiche (mese, trimestre, semestre, anno)

DURATION: è la durata finanziaria di un titolo, ovvero la sua vita residua, ponderata con il

flusso di cedole che il titolo pagherà in futuro. La duration di un portafoglio è pari alla media

ponderata delle duration dei singoli titoli che lo compongono. Si utilizza per valutare gli

investimenti obbligazionari: il valore della duration espresso in anni e giorni indica la data entro cui

il possessore di un titolo obbligazionario rientra in possesso del capitale inizialmente investito,

tenendo conto delle cedole

GOLDEN SHARE: Azione che assegna al proprietario - lo Stato o un suo rappresentante -

diritti più ampi (e.g.: il potere di incidere sensibilmente sulla gestione) di quelli che spettano

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normalmente ai possessori di azioni dello stesso tipo, anche dopo aver perso il controllo della

proprietà

HEDGE FUND: fondi di investimento collettivo non regolamentati e chiusi; i partecipanti

non hanno specifici diritti di informazione circa le operazioni poste in essere dai gestori e che non

possono chiedere il rimborso della quota prima che sia trascorso un certo numero di anni dopo la

sottoscrizione

MARKET MAKER: Letteralmente, “colui che fa il mercato”. In gergo finanziario si

riferisce a colui che compie operazioni di vendita o di acquisto di attività finanziarie di entità tanto

rilevante da poter influenzare in misura sensibile il loro prezzo.

SHAREHOLDER: Azionista

STOCK OPTION: Contratti di opzione sui singoli titoli azionari. Esse danno diritto a chi

le acquista di esercitare entro un determinato periodo l’inerente diritto di compravendita su un

determinato numero di azioni, a un prezzo prefissato, detto prezzo d’esercizio

ZERO COUPON: Obbligazione la cui quota di interessi maturati può essere riscossa

soltanto alla scadenza, quando i titoli vengono rimborsati per il loro intero ammontare; gli zero

coupon, in altre parole, non danno luogo al pagamento infrannuale degli interessi

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5 Glossario Intermediari Finanziari


ARBRITAGE: Arbitraggio. Un'opportunità di arbitraggio è un'opportunità d'investimento

che permette di investire zero e, senza assumere alcun rischio, ottenendo comunque un rendimento

positivo.

ASSET ALLOCATION: E' la suddivisione del patrimonio tra azioni, titoli di Stato e

liquidità, titoli domestici ed esteri, settori e aree geografiche. Essa consiste nella ripartizione del

portafoglio tra azioni e obbligazioni all'interno dei diversi mercati di investimento

ASSET MANAGEMENT: Asset management è il termine che indica genericamente la

gestione di un portafoglio di un gruppo predeterminato di classi d'investimento come azioni,

obbligazioni o liquidità

BROKER: intermediario finanziario che offre un servizio di negoziazione di titoli per

conto terzi

CREDIT DEFAULT SWAP: un derivato, uno swap che ha la funzione di trasferire il

rischio di credito. È classificato come uno strumento di copertura ed è il più comune tra i derivati

creditizi

FATTORI DI RISCHIO: I fattori di rischio sono i fattori che contribuiscono a determinare

il rischio di uno strumento finanziario o di un portafoglio. Sono ad esempio il prezzo, il tasso di

interesse, il tasso di cambio, il merito di credito di un emittente, etc.

FEE: L´onere che il fornitore di un servizio deve ricevere dal beneficiario per la prestazione

del servizio stesso

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FINANCIAL COLLATERAL: Garanzie reali

JOINT VENTURE: Accordo che viene stipulato tra due o più imprese appartenenti a

diversi paesi allo scopo di svolgere una certa attività economica. La forma più comune è quella che

prevede la costituzione di una società per azioni avente il capitale ripartito fra le due imprese, e

nelle quale vengono utilizzati metodi gestionali e operativi tali da creare sinergie tra le attività delle

due aziende

OVERNIGHT: Riguardante l'operazione finanziaria a brevissimo termine (dalla chiusura

della giornata borsistica alla riapertura della successiva). Deposito overnight, deposito interbancario

a brevissimo termine estinto nel primo giorno lavorativo dalla sua costituzione. Overnight (express),

servizio di posta celere (nel giro di ventiquattro ore o nell'arco della nottata)

PHYSICAL COLLATERAL: garanzie personali

PUT OPTION: Strumento derivato in base al quale l'acquirente dell'opzione acquista il

diritto, ma non l'obbligo, di vendere un titolo (detto sottostante) a un dato prezzo di esercizio. Al

fine di acquisire tale diritto, l'acquirente paga un premio

SECURITIZATION: titolarizzazione o cartolarizzazione, può essere così denominata

qualunque operazione o tendenza volta a moltiplicare oppure a trasformare attività economiche in

valori mobiliari

SWAP: scambio, baratto. Viene definito commodity se oggetto dello scambio sono beni

materiali. Interest rate e currency swap se sono scambiati tassi di interesse e valute

TOTAL RETURN SWAP (TRS): operazione in base alla quale un soggetto total return

payer (protection buyer) cede ad un altro soggetto total return receiver (protection seller) tutto il

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rischio e rendimento di un sottostante (reference assets), a fronte di un flusso pagato a determinate

scadenze

VENTURE CAPITAL Finanziamento mediante apporto di capitale di rischio,

generalmente sotto forma di partecipazione di minoranza, spesso a imprese con alto potenziale di

crescita. La partecipazione, usualmente detenuta per un arco di tempo medio-lungo in aziende

nuove o di dimensioni medio-piccole, è diretta a favorire lo sviluppo delle imprese.

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6 Parole chiave della lezione


 TERMINOLOGIA ANGLOSASSONE NEL VOCABOLARIO DELL’ECONOMIA E

DELLA FINANZA

 USO DI TERMINI INGLESI NEL LINGUAGGIO CORRENTE DI ECONOMIA E

FINANZA

 USO DI TERMINI INGLESI NEL LINGUAGGIO SOFISTICATO DI ECONOMIA E

FINANZA

 USO DI TERMINI INGLESI NEL LINGUAGGIO ISTITUZIONALE ITALIANO

 TERMINI INGLESI ANCHE DEL LINGUAGGIO COMUNE: STAND-BY, CALL,

BROKER

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Sitografia
 http://www.borsaitaliana.it/bitApp/glossary.bit?target=GlossarySearch

 http://www.bancaditalia.it/footer/glossary/glo/glossario.pdf

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“ESERCIZI DI ECONOMIA DEGLI
INTERMEDIARI FINANZIARI”

PROF. COSTANTINO FORMICA


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intermediari finanziari

Indice

1 ESERCITAZIONI SU CAPITALIZZAZIONE E ATTUALIZZAZIONE FINANZIARIA -------------------- 3


1.1. INTERESSE E MONTANTE: CAPITALIZZAZIONE ---------------------------------------------------------------------------- 3
1.2. INTERESSE E VALORE ATTUALE: ATTUALIZZAZIONE --------------------------------------------------------------------- 4
1.3. ESERCITAZIONI SU CAPITALIZZAZIONE E ATTUALIZZAZIONE ----------------------------------------------------------- 6
2 ESERCITAZIONE SULLA VOLATILITÀ DEGLI INVESTIMENTI, TRAMITE LA DEVIAZIONE
STANDARD ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
2.1. PREMESSA: LA VOLATILITÀ -------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
2.2. LA MEDIA ARITMETICA ------------------------------------------------------------------------------------------------------- 9
2.3. LA DEVIAZIONE STANDARD: ESERCITAZIONE ---------------------------------------------------------------------------10
3 ESERCITAZIONI SUGLI STRUMENTI DI MITIGAZIONE DEL RISCHIO. IL PATRIMONIO DI
VIGILANZA -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 13
3.1. PREMESSA ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------13
3.2. ESERCITAZIONE SUL CALCOLO DEI COEFFICIENTI DI PONDERAZIONE APPLICATI A TIPOLOGIE DIVERSE DI
DEBITORI ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------13

4 ESERCITAZIONI SULLE INNOVAZIONI REGOLAMENTARI E LA VIGILANZA DEL SISTEMA


FINANZIARIO ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15
4.1. PREMESSA ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------15
4.2. I TEST DI ADEGUATEZZA E APPROPRIATEZZA ----------------------------------------------------------------------------17
5 PAROLE CHIAVE DELLA LEZIONE ---------------------------------------------------------------------------------- 21
SITOGRAFIA ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 22

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1 Esercitazioni su capitalizzazione e
attualizzazione finanziaria

1.1. Interesse e montante: capitalizzazione

Una percentuale di una certa importanza, in economia, è il tasso di interesse. Esso

rappresenta quella quota di una certa somma presa a prestito che dovrà essere restituita dopo un

periodo, in aggiunta alla restituzione della somma stessa. Spesso la somma presa a prestito viene

chiamata capitale iniziale, o semplicemente capitale. Se oggi prendo a prestito un milione di euro e

il tasso di interesse pattuito è il cinque per cento all’anno, tra un anno dovrò restituire il milione e

pagare cinquantamila euro a titolo di interessi. In altri termini, gli interessi si calcolano

moltiplicando il capitale iniziale per il tasso di interesse, ovvero:

Interessi = Capitale · i (1)

Ricordiamo che la rappresentazione percentuale è equivalente a quella in termini di frazioni

di unità. Dunque per ottenere il cinque percento di una somma la si deve moltiplicare per 0,05; per

ottenere il dieci percento la si moltiplica per 0,1; e così via. Dunque, il tasso di interesse può essere

considerato come il tasso di crescita della somma monetaria quando essa viene data a prestito.

Infatti, pagare un certo ammontare di interessi in aggiunta al capitale iniziale significa rendere

disponibile per il creditore una somma pari al capitale iniziale moltiplicato per un numero maggiore

di uno. Se esprimiamo il tasso di interesse come frazione dell’unità, la somma finale da restituire,

detta montante, è data dalla relazione:

Montante = Capitale + Interessi = Capitale⋅1 + Capitale · i = Capitale · (1 + i)

(2)

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dove i è il tasso di interesse e 1 + i è il fattore di interesse.

Più alto è il tasso di interesse e più grande è il montante a parità di capitale iniziale. Il

processo di calcolo del montante a partire dal capitale iniziale e dal tasso di interesse è chiamato

capitalizzazione. Supponiamo che esista in un certo momento un unico tasso di interesse condiviso

da tutti gli operatori dell’economia: non solo chi deve prendere a prestito sa che dovrà pagare quel

tasso di interesse ogni periodo, ma anche chi ha risorse da prestare ad altri sa che potrà ottenere quel

tasso di interesse. Per un soggetto qualsiasi, dunque, non può essere la stessa cosa disporre oggi di

un milione oppure disporre dello stesso milione tra un anno. Se un individuo A la pensasse così,

qualche altro individuo B potrebbe sfruttare questa sua opinione a proprio favore, proponendogli il

seguente contratto: “tu, A, dammi oggi un milione e io ti do un milione tra un anno”. Dopo un anno

B avrà lucrato gli interessi e, trattenendoli, otterrà un guadagno senza fare fatica. Ben presto tutti

capiranno che un milione di oggi non equivale ad un milione disponibile fra un anno. Qual è dunque

la somma dell’anno prossimo che equivale ad un milione di oggi? Poiché si tratta semplicemente

della cifra di cui potrò disporre fra un anno per il fatto di aver prestato un milione oggi, quella

somma è il montante di un milione, che può essere calcolato tramite la formula Montante = Un

Milione · (1 + i). È poi ovvio che, se io do a prestito un Capitale per due anni anziché per uno, il

montante si calcola in questo modo:

Montante = Capitale · (1 + i) 2

E così via se il numero degli anni aumenta .

1.2. Interesse e valore attuale: attualizzazione

Poniamoci ora il problema opposto. Immaginiamo di sapere già oggi che fra un anno

disporremo di un milione, e domandiamoci: quale somma odierna equivale ad un milione

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disponibile fra un anno? Il criterio di equivalenza deve essere lo stesso di prima: deve trattarsi di

una somma tale che, se presa a prestito oggi, necessita esattamente di un milione per saldare il

debito, cioè deve essere una somma il cui montante è un milione. Questa somma, dunque, deve

essere tale che:

Un Milione = Cifra odierna · (1 + i)

Poiché l’incognita è la cifra odierna, meglio scrivere

Cifra odierna = Un Milione / (1 + i)

Più in generale, data una qualsiasi somma di cui si conosce la disponibilità certa futura, il

suo equivalente odierno è chiamato valore attuale, e scriviamo

Valore attuale = Somma futura / (1 + i) (3)

Questa operazione di calcolo dell’equivalente finanziario odierno di una cifra futura nota si

chiama Attualizzazione o Sconto.

Infine, se io so che avrò a disposizione una certa Somma futura fra due anni, il suo valore

attuale è Valore attuale = Somma futura / (1 + i)2.

E così via quando aumenta il numero degli anni. Le operazioni di capitalizzazione e di

attualizzazione servono per trovare gli equivalenti finanziari a certe date di somme disponibili a

certe altre date. Ciò è molto importante quando si devono confrontare somme disponibili a date

diverse per prendere decisioni economiche. Supponiamo che una decisione comporti un costo oggi

e un ricavo domani. Per calcolare il saldo, cioè il profitto, di questa operazione non posso sottrarre il

costo di oggi dal ricavo di domani: prima devo attualizzare, cioè trovare il valore attuale, del ricavo

di domani. Solo dopo questa operazione le due cifre sono tra loro equivalenti dal punto di vista

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finanziario e possono essere confrontate. Tutte le attività di investimento comportano per

definizione sequenze di entrate e uscite nel corso del tempo, per cui occorrono talora operazioni

anche sofisticate di “omogeneizzazione” finanziaria prima di poterne valutare la convenienza. Per

questa ragione occorre essere guardinghi nei confronti dei promotori di operazioni finanziarie

complesse (mutui, fondi, assicurazioni).

1.3. Esercitazioni su capitalizzazione e attualizzazione

Esercitazione n. 1: investiamo un capitale di 1000 € al tasso del 5% annuo. Alla fine di ogni

anno quale interesse riscuotiamo:

Applicando la formula (1) Interessi = Capitale · i Interessi = Capitale · i si ottiene

1.0 0,05 = 50

Esercitazione n. 2: Calcolare il montante ottenibile impiegando un capitale di 936 € per 115

giorni, al tasso del 4,5 % annuo:

Applicando la formula (2) Montante = Capitale + Interessi = Capitale⋅1 + Capitale · i =

Capitale · (1 + i) si ottiene

936 ⋅ (1 + 0.045 ⋅ 115/360)

Dove:

Montante ????

Capitale 936

Tasso di interesse i 0,045

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Tempo 115/360*

*Anno commerciale di 360 giorni

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2 Esercitazione sulla volatilità degli investimenti,


tramite la deviazione standard

2.1. Premessa: la volatilità

A seconda del tipo di investimento che si sceglie, il valore del proprio capitale può rimanere

piuttosto stabile o può aumentare e diminuire in modo considerevole, in risposta agli eventi

favorevoli o sfavorevoli del mercato. Il grado di oscillazione del valore di un investimento è

chiamato ‘volatilità’.

In generale, il valore degli investimenti piu' volatili tende ad oscillare piu' velocemente degli

investimenti stabili, ma sono anche i piu' rischiosi, dal momento che non c’è garanzia che i "rialzi"

siano superiori alle "discese". Il rischio dipende dalla possibilità che l'investimento produca

rendimenti inferiori rispetto a quelli attesi, inclusa la possibilità che il rendimento sia negativo

(ossia vi sia una perdita di parte della somma inizialmente investita). Non esiste un investimento

privo di rischio. Un fondo azionario, ad esempio, è generalmente più rischioso di uno

obbligazionario perché le azioni sono maggiormente volatili. Per i titoli azionari, infatti, il

rendimento dipende dai dividendi ma anche (e soprattutto) dal prezzo a cui si riesce a vendere il

titolo in un determinato momento. Questo prezzo è altamente volatile in ragione delle frequenti e

ampie oscillazioni dei corsi dei mercati azionari. L'incertezza che ne deriva aumenta la difficoltà di

stima del rendimento e, quindi, aumenta la rischiosità dell'investimento. La volatilità esprime

l’ampiezza delle variazioni subite dal prezzo di un titolo. Definisce dunque la minore o maggiore

facilità con cui tale prezzo varia al variare del rendimento richiesto. E’ una componente da tenere in

considerazione durante la valutazione del rischio di un investimento in titoli. Una elevata volatilità,

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infatti, sta ad indicare che il prezzo di quel titolo tende ad ampie oscillazioni nel tempo, in

conseguenza di ciò, l’investitore potrà registrare elevati guadagni o elevate perdite.

2.2. La media aritmetica

Per calcolare la media aritmetica tra due o più numeri ci basta sommarli e dividere il

risultato ottenuto per il numero di elementi. Ad esempio, se vogliamo trovare la media aritmetica

tra: 2, 5, 7, 1, 15, dobbiamo innanzitutto eseguire la somma tra i numeri naturali

e dividere il risultato ottenuto per il numero di elementi (che è 5). Ragion per cui

Per esprimere il calcolo della media aritmetica con una formula, indicando con la media

aritmetica tra i dati

abbiamo che:

in forma compatta:

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2.3. La deviazione standard: esercitazione


La deviazione standard (DS) è un indice statistico che consente di misurare la dispersione

delle singole osservazioni intorno alla media aritmetica.

Nel campo finanziario rappresenta il grado di oscillazione di un investimento cioè la

"volatilità" di un mercato o di un titolo ovvero la misura del rischio finanziario. Tale

indicatore si calcola applicando la seguente formula:

laddove "xi" è il singolo valore che assume il fenomeno da valutare; nel caso di un'attività

finanziaria si tratta delle performance periodiche, ed "n" il numero dei dati della serie storica. L'x

barrato rappresenta la media aritmetica dei valori. Esemplificazione:

Si supponga di voler calcolare la deviazione standard di un ipotetico investimento descritto da sei

performance mensili:

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La procedura di calcolo è la seguente:

1) calcolo della media aritmetica delle performance (rapporto tra la somma dei valori e la

quantità di questi ultimi): (2+4+2+4+2+4)/6= 3

2) calcolo delle differenze al quadrato tra la performance dei rispettivi mesi e la relativa media:

(2-3)^2=1, (4-3)^2=1, (2-3)^2=1, (4-3)^2=1, (2-3)^2=1, (4-3)^2=1

3) somma dei valori ottenuti: 1+1+1+1+1+1=6

4) rapporto della somma ottenuta con il numero delle performance -1: 6/(6-1)=1.2

5) estrazione della radice quadrata: v(1.2)=1.095.

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L'estrazione della radice quadrata consente di ottenere un valore con la stessa unità di

misura del fenomeno in analisi (singole osservazioni e media). Nel nostro caso la performance

dell'investimento oscilla mediamente tra ±1.095 punti percentuali di rendimento intorno alla media

(3).

La misura della deviazione standard presenta diversi vantaggi. Innanzi tutto consente di

sintetizzare tutte le fonti di rischio che vertono su un investimento in un unico "numero". Il secondo

consiste nel poter assumere la deviazione standard come un "metro" di misura del rischio in quanto

consente, almeno sommariamente, di affermare che "un investimento con deviazione standard pari a

4 è quattro volte più rischioso di quello con deviazione standard pari a 1".

Naturalmente la interpretazione della deviazione standard ha una natura più complessa. Quello che

è sufficiente comprendere è che la deviazione standard consente di effettuare una qualche misura

del rischio e di evitare termini qualitativi ambigui come "rischio basso" e "rischio alto" (di quanto è

maggiore il rischio alto rispetto a quello basso?) che, francamente, appartengono ad un approccio

che dovrebbe far parte della preistoria della valutazione degli investimenti.

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3 Esercitazioni sugli strumenti di mitigazione del


rischio. Il patrimonio di vigilanza

3.1. Premessa

Con l’accordo di BASILEA 1, avvenuto nel 1988, al fine di tutelare le banche dai rischi di

insolvenza dei clienti, fu convenuto che esse dovessero detenere mezzi patrimoniali in misura pari

all’8% dell’importo dei propri attivi patrimoniali. Il valore di questi ultimi utilizzato per il calcolo

non è il valore nominale bensì un valore che tiene conto anche del grado di rischio del singolo

impiego.

A questo riguardo si utilizzano dei coefficienti di ponderazione che prendono in

considerazione la valutazione di affidabilità del soggetto finanziato e l’eventuale presenza di

strumenti di mitigazione del rischio in presenza di garanzie.

La logica di Basilea 1 fu, quindi, quella di legare il rischio insito nel portafoglio con la

dotazione patrimoniale.

3.2. Esercitazione sul calcolo dei coefficienti di ponderazione


applicati a tipologie diverse di debitori

Esempio n. 1: Investimento in Titoli di stato (100 Euro)

Patrimonio di vigilanza = 8% x 100 x 0 = 0 Euro

Nel caso di una attività sotto forma di B.O.T. per 100 Euro, la banca non era obbligata ad

accantonare patrimonio di vigilanza a garanzia del credito, in quanto la controparte (lo Stato

Italiano) era considerata “sicura”.

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Esempio n. 2: Finanziamento ad una impresa con ultimo bilancio positivo (100 Euro)

Patrimonio di vigilanza = 8% x 100 x 100% = 8 Euro

Esempio n. 3: 1.000 euro prestati a una impresa appartenente alla classe con coefficiente

pari al 100%, richiede la disponibilità di mezzi patrimoniali, non già impegnati in altri attivi, per un

importo pari a 80 euro (1.000 x 100% x 8%).

Se quei 1.000 euro fossero rientrati in una classe con coefficiente pari al 50 (erogazione di

un mutuo..), i mezzi patrimoniali suddetti sarebbe scesi a

40 euro (1.000 x 50%* x 8%).

Se la banca concedeva credito ad una impresa privata, quindi, il coefficiente di ponderazione

da considerare era del 100%; pertanto a fronte di un finanziamento concesso di 100 Euro, la banca

doveva accantonare a riserva 8 Euro, indipendentemente da valutazioni sugli equilibri patrimoniali,

finanziari, economici, e quant'altro potesse chiarire con precisione il “reale” stato di salute

dell'impresa stessa. Ne conseguiva che a parità di dotazione patrimoniale richiesta, le banche erano

incentivate a preferire, nell’ambito della stessa tipologia di clienti, investimenti più rischiosi per

ottenere una maggiore redditività complessiva.

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4 Esercitazioni sulle innovazioni regolamentari e la


vigilanza del sistema finanziario

4.1. Premessa

Le gestione del rischio finanziario nel portafoglio del cliente è una peculiarità che, nel

tempo, sta acquistando sempre più importanza. In un periodo dove i tassi delle obbligazioni sono ai

minimi, generare rendimento è sicuramente cosa difficile se non caricando il dossier del cliente con

prodotto finanziari più rischiosi che, spesso e volentieri, non sono giustificabili per il modesto

premio al rischio.

La stessa normativa tende a tutelare soprattutto il cliente dal punto di vista della rischiosità.

La Direttiva MIFID prevede infatti i ben noti questionari che servono per collocare il risparmiatore

in una profilatura ben definita. Nell'ottica di una maggiore tutela del cliente, la Direttiva non si

limita a prevedere, a carico degli intermediari, degli obblighi informativi, ma stabilisce, infatti, che

esso sia tenuto ad effettuare dei test sulla natura del servizio di investimento offerto o richiesto dal

cliente. Il test di adeguatezza va effettuato nel caso di prestazione del servizio di consulenza

finanziaria. L'intermediario deve verificare che la consulenza fornita corrisponda agli obiettivi di

investimento del cliente al quale è rivolta e che sia adeguata alle sue risorse patrimoniali. Spetta

all'intermediario raccogliere tutte le informazioni necessarie per comprendere se le conoscenze e le

esperienze del cliente sono sufficienti per una corretta valutazione della consulenza fornita.

Il test di appropriatezza è previsto, invece, per tutti gli altri servizi di investimento. In

questo caso, i criteri sono le informazioni e le esperienze di cui il cliente dispone riguardo allo

specifico prodotto finanziario ed il livello generale di cultura finanziaria posseduta. mentre gli

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investitori con maggiore conoscenza ed esperienza in materia (clienti professionali) ricevono una

protezione minore. Fra i clienti professionali rientrano le banche, i governi, i fondi pensionistici, le

grandi società e, in via eccezionale, alcune persone fisiche. In determinate circostanze si può essere

trattati come cliente professionale. Si potrebbe averne bisogno per avere accesso a prodotti che non

sono a disposizione dei clienti al dettaglio, o se si vuole diventare cliente di un'impresa che non

opera con i clienti retail. Se si vuole diventare un cliente professionale è necessario essere in grado

di prendere le proprie decisioni sull'investimento, di valutare i rischi in cui si incorre e di non aver

bisogno di un livello elevato di tutela.

Insomma, se si sceglie di diventare un cliente professionale si perderà parte della protezione

regolamentare applicata ai clienti al dettaglio. Ad esempio, in linea generale, si riceveranno meno

informazioni e meno comunicazioni e avvertenze su vari argomenti.

Prima di classificare il cliente professionale, l'impresa deve innanzitutto valutare se questa

categoria è adatta all’interessato. Lo scopo della valutazione da parte dell'impresa è quello di

stabilire se si è in grado di prendere le proprie decisioni d'investimento e se si riesca a capire i rischi

connessi.

L’impresa d'investimento potrà classificare il Cliente Professionale soltanto se soddisfi

almeno due dei seguenti criteri:

 ha svolto frequentemente delle operazioni finanziarie;

 ha un ampio portafoglio titoli;

 ha lavorato nel settore dei servizi d'investimento.

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4.2. I test di adeguatezza e appropriatezza

Esercizio 1 – La profilatura del cliente

Il Sig. Rossi si reca presso la filiale della sua banca in quanto ha appena venduto la casa al

mare acquistata anni prima ed intende investire in borsa il ricavato della vendita. Dopo essersi

accomodato nell’ufficio del direttore, questo gli ha posto le seguenti domande:

1) Qual è l’importo che intende investire?

2) Cosa vorrebbe ottenere dal suo investimento?

3) Ha mai investito in borsa?

4) Sa qual è la differenza tra un’azione, un’obbligazione ed un fondo comune di

investimento?

5) Sarebbe disposto a rischiare un po’ per ottenere più rendimento?

Quale ulteriore informazione dovrebbe ottenere il direttore dal Sig. Rossi per poter

procedere con una proposta di investimento?

Risposta 1

Con le domande che ha effettuato il direttore conosce la propensione al rischio del Sig.

Rossi, l’importo che vuole investire ed è in grado di stimare il suo grado di cultura finanziaria.

Dalle domande non emerge però nulla in merito all’orizzonte temporale di investimento. Il Sig.

Rossi infatti non ha detto se intende investire il proprio capitale per un mese, un anno o un

decennio.

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Esercizio 2 – La classificazione del “cliente al dettaglio”

Dal colloquio tra il Sig. Rossi e il direttore della banca è emerso che il Sig. Rossi:

- dopo essersi brillantemente diplomato al liceo classico vent’anni fa, non si è mai iscritto

all’università;

- è un conducente di autobus;

- non ha mai investito in borsa;

- il suo obiettivo è salvaguardare il proprio capitale dal rischio di inflazione;

- pensa di aver nuovamente bisogno del capitale non prima di 5 anni, ma non vorrebbe

trovarsi nella situazione di aver bisogno prima di questi soldi e non poterli utilizzare.

Dalle informazioni fornite, il direttore come dovrebbe classificare il Sig. Rossi?

Risposta 2

La scarsa conoscenza in materia finanziaria (desunta dal grado di istruzione, dalla

professione

svolta che non riguarda i mercati finanziari e dal fatto di non aver mai investito in borsa),

nonché la sua bassa propensione al rischio (desunta dal fatto di voler solo salvaguardare il potere di

acquisto del suo capitale e dal fatto di non volersi impegnare in investimenti vincolati a scadenze

temporali impegnative) portano ad una classificazione del Sig. Rossi come “cliente al dettaglio”.

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Esercizio 3 – La classificazione del “Cliente professionale”1

Nel corso del colloquio del Dott. Neri con il Responsabile dell’area “Investimenti

professionali” è emerso che il Dott. Neri:

 Ha dimestichezza pluriennale con strumenti finanziari semplici come bond e azioni ma

anche con derivati;

 Le principali operazioni realizzate negli ultimi dieci anni hanno riguardato la

compravendita di bond aziendali, azioni di aziende quotate e derivati, per un importo,

commisurabile interno a 1 milione e 500 mila euro;

 E’ un laureato con master acquisito di Francia, in materia di cultura manageriale.

 La fonte principale del suo reddito regolare è lo stipendio di dirigente di una

multinazionale americana e si aggira sui 320 mila euro l’anno; in precedenza ha svolto una

significativa esperienza nel settore finanziario, per circa tre anni;

 E’ proprietario di quattro appartamenti, dei quali tre a reddito;

 L’unico impegno finanziario a suo carico è il pagamento di una polizza vita.

Non si pone problemi eccessivi circa il periodo di tempo per il quale desidera conservare

l'investimento;

 Non disdegna investimenti ad alto rischio purché non superino il 25% della propria liquidità;

 La finalità dell'investimento è esclusivamente speculativa.

1
www.consob.it/main/trasversale/risparmiatori/investor/servizi/

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Risposta 3

Il Dott. Neri potrà essere classificato come Cliente Professionale poiché soddisfa almeno

due dei seguenti criteri:

 ha svolto frequentemente delle operazioni finanziarie;

 ha un ampio portafoglio titoli;

 ha lavorato nel settore dei servizi d'investimento.

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5 Parole chiave della lezione


 ESERCITAZIONI

 CAPITALIZZAZIONE E ATTUALIZZAZIONE FINANZIARIA

 VOLATILITA’ DEGLI INVESTIMENTI

 DEVIAZIONE STANDARD

 PROFILAZIONE DEL RISPARMIATORE

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Sitografia

 http://www.treccani.it/enciclopedia/attualizzazione/

 http://www.progetica.it/educationonline/InvestmentProfiler/LaStrategiaComportamentale

/int02/06int02d.htm

 www.consob.it/main/trasversale/risparmiatori/investor/servizi/

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