dalla primavera del 1967 all’estate del 1968 egli è autore e conduttore,
Guaccero né nelle sue bibliografie; eppure nei vari suoi interventi che
informatizzato dell' Audioteca Rai, che non ci si possa più limitare allo
della seconda metà del secolo scorso. Questo discorso è ancor più
di Guaccero.
d’animo di chi parla, per quanto può trasparire dal tono della voce; ad
per lui, testimoniandoci un legame finora trascurato dai più; allo stesso
modo il rapporto che traspare tra Ketoff e Guaccero nel dialogo sul
Synket appare molto più quello tra due collaboratori che lavorano
attribuire i testi letti all’uno o all’altro dei due autori, ma sappiamo con
autori dei nastri, attribuendo a ciascuno dei due non solo le bobine di
Grossi o della Olivetti, per la quale Grossi lavorava. Nella bobina della
terza puntata non sono indicati i proprietari ma gli autori dei nastri, che
sono, oltre allo S2FM che era proprio lo studio di Grossi, lo NPS e lo
titolo sulla bolla. L’ho definita “La voce elettronica” in quanto questo
Music.
termina con una spiegazione del Synket da parte del suo costruttore,
di cui ho parlato nel terzo capitolo. Nella puntata sul Nuovo teatro
attribuzione.
interviste della seconda parte, che offre un panorama più italiano in cui
è inserito quell’interessantissimo dialogo tra Guaccero e Marinuzzi
capitolo.
attribuite a Grossi perché non direttamente inerenti col tema della nostra
della voce e del senso della frase, per cui necessita un ‘adeguata lettura
critica.
N°1 non ritrovata
N°2 23-set-67 MUSICA ELETTRONICA I
N°3 05-apr-67 MUSICA COME RICERCA
N°4 21-mag-67 NUOVO TEATRO
N°5 27-giu-67 VOCE ELETTRONICA
N°6 26-lug-67 ESECUZIONE DAL VIVO
N°7 12-ott-67 MUSICHE DI CONSUMO E COLLAGES
N°8 05-gen-68 COMPUTER MUSIC
N°9 non ritrovata
N°10 14-mag-68 STUDI SPERIMENTALI ITALIANI A CONFRONTO
MUSICA ELETTRONICA
Propr
Autore Titolo .
Coloni
Joseph Eimert Introduzione alla Mus. Elettr. a
Coloni
Joseph Eimert Selection I a
Coloni
Koenig Klangfiguren I a
Articulatio
Georg Ligeti n RAI
Intervista
a:
Schaeffer
Nono
Zuccheri
Marinuzzi
Columbia
Davidowski Studio II University
Interventi di
Enore Zaffiri
Conservatorio di Firenze
N.P.S. MODULO 4
N.P.S. RITMO 3
S 2F M 6 DI TETRAFONO
NUOVO TEATRO
Propr
Autore Titolo .
Interviste a :
Petrassi
Schaeffer
Carpitella
Karl Birger
Blomdahl da Amiara
MUSICA ELETTRONICA II
Propr
Autore Titolo .
Gross
Ernst Krenek Spiritus intelligentiae sanctus i
Gross
Intervento di Arrigo Lora Totino i
Gross
5 poesie fonetiche: i
Gross
Pietro Grossi Intervista con Luigi Dallapiccola i
Propr
Autore Titolo .
S 2F M Continuo Olivetti
Mark Mathews International Lullaby Autore
John Pierce Fight tone cannon Autore
Illiac Suite per
Lejaren Hiller - Leonard quartetto
Isaacson d'archi
Dichiarazione prof. Ceccato Grossi
James Randall Work in Progress Autore
Mudgett per voce e computer Autore
Dichiarazioni
ing. Cesa Bianchi Grossi
dott. Rapelli Grossi
J. S. Bach Canoni da l'offerta musicale Olivetti
Niccolò Paganini Capriccio 5 per violino solo Olivetti
versione variata parte
centrale Grossi
3 versioni: 24,48,96 suoni al
sec. Grossi
miscelazione delle 3 versioni Grossi
S 2F M Continuo Olivetti
Dibattito
sono intervenuti:
Angelo Paccagnini
Pietro Grossi
Enore Zaffiri
Teresa Rampazzi
Domenico
Guaccero
moderatore:
Luciano Alberti
Musica ex Machina, puntata n°2 registrata il 23 settembre 1967
MUSICA ELETTRONICA
LETTORE
Pier Schaeffer, Luigi Nono, Marino Zuccheri e Gino Marinuzzi cioè: un
ingegnere musicista, un compositore, un tecnico del suono e un compositore
tecnico, sono quattro addetti ai lavori che ci presentano il loro punto di vista
sulla musica e sui mezzi elettronici.
A Schaeffer è stato chiesto se si può parlare ancora di musica e in che senso
per la produzione elettronica e concreta.
SCHAEFFER
«On devra dire, qu’il y a deux réponses à cette question fondamentale. La
première est une réponse logique, la seconde est historique. Logiquement,
toute l’organisation des sons qui se detourne du bruitage, qui se detourne de
l’anecdote, qui ne veut pas raconter un accidente, une histoire qui s’est
produite, une histoire réaliste et par définition de la musique on peut l’aimer ou
ne pas l’aimer, la refuser, mais comment appellerait-on autrement que musique,
une organisation des sons désinteressèe. Voici la réponse logique. La réponse
historique va dans le même sens car votre définition de la musique qui est
bonne, s’applique esclusifment à la musique classique. Depuis quelque dizaine
d’annèe, depuis cinquante ans ou moins la continuation des fréquences c’est à
dire les gammes ont etè nié par la musique atonale, les agglomérats des sons
ne font plus entendre finalement des fréquences ni des notes et les timbres
sont fondus, non seulement par la klangfarben mélodie qui joue sur les
mélodies de timbres, mais les agrégats des notes sont en même temps les
agrégats de timbres et on ne reconnait plus la musique dans la définition d’une
distinction de notes et d’une distinction de timbres.»
LETTORE
In sostanza Pier Schaeffer afferma che tanto dal punto di vista logico che
storico sia pienamente giustificato l'uso del termine musica, come
organizzazione di suoni disinteressata, per definire ogni evento sonoro a
prescindere dalla sua struttura anche quando questa varca i limiti classici del
concetto di suono musicale.
Al compositore Luigi Nono e a Marino Zuccheri, il noto esperto tecnico dello
studio di Milano, abbiamo chiesto notizie sull’ attività dello studio stesso e le loro
impressioni sulle funzioni del musicista e del tecnico che lavora al suo fianco.
NONO
«Lo Studio di fonologia di Milano ha una lunga storia; perché è nato nel ‘56 per
iniziativa sia della radio che del professor Lietti è stato sviluppato poi soprattutto
da Luciano Berio e Bruno Maderna con la continua collaborazione di Marino
Zuccheri.
Credo che oggi lo Studio vada incontro ad un nuovo periodo di grande sviluppo
sia sul piano tecnico che su quello compositivo di grande importanza per lo
sviluppo della musica italiana e internazionale. Il fatto è che non è uno studio
limitato dal punto di vista obiettivo degli…, non è limitato dal punto di vista degli
esperimenti e della ricerca, ma è uno studio completamente aperto sia alle
nuove apparecchiature sia all'aggiornamento tecnico e soprattutto, quello che a
me sembra fondamentale è che, un rapporto di collaborazione, che si è stabilito
sempre qui con Marino Zuccheri, è un rapporto di tipo completamente nuovo
cioè, non è un rapporto tra musicista e tecnico, in cui il musicista è da una parte
e il tecnico dall'altra, ma è un rapporto come può essere quello tra Brahms e
Joachim cioè tra il grande tecnico virtuoso pianista o violinista, che in questo
caso nella nostra storia attuale è il tecnico dello studio, e il compositore. In
questo senso mi sembra che sia una possibilità sia per il compositore che per lo
sviluppo della musica nella ricerca, nell'espressione e nell'esperimento di un
modo completamente nuovo rispetto anche a tutti gli altri studi esistenti.»
ZUCCHERI
«Per me tutto è interessante, quello che è stato fatto che cammina nel tempo;
c'è questo di particolare: che lo Studio, con le sue apparecchiature si evolve e si
evolve sempre con il suggerimento di quello che chiede il musicista. Insomma,
l'interessante è questo: che tutti questi musicisti danno un impulso allo sviluppo
delle apparecchiature, creare delle apparecchiature nuove.»
LETTORE
Anche negli altri studi sorse feconda l’ attività musicale elettronica e tra i
musicisti che se ne sono occupati più a fondo sono senza dubbio Berio,
Maderna, Nono, Stockhausen, Pousser, su questi però ci soffermeremo in
occasione della trattazione di un settore composito dell'attività musicale
elettronica.
Presentiamo adesso due lavori realizzati oltreoceano da due compositori ben
diversi tra loro nello spirito nelle scelte foniche: “Studio II” di Mario Davidosky
composto presso l'Electronic Music Center of Columbia and Princeton
University col suo funambolismo fantastico e “Elegie for Albert Anastasia” di
Alvin Lucier composto presso lo Studio della Brandess University, meditato e
drammatico nella sua essenzialità.
LETTORE
All’ attività degli studi finanziati da enti radiofonici discografici o dalle Università
si è venuta affiancando coraggiosamente quella di privati, citiamo di studi
fondati da Heiss a Darmstadt e da Schenkel a Gravesano e per l'Italia quelli di
Pietro Grossi a Firenze e già dal 1956 da Gino Marinuzzi a Roma. Di
quest'ultimo ascoltiamo “Traiettorie” realizzato nel 1961 presso lo studio della
Rai tv di Milano.
NUOVO TEATRO
PETRASSI
«Anche la musica elettronica, per quelle esperienze che ne ho avute, mi pare
che si debba considerare sullo stesso piano di un consumo funzionale, e che
non possa pretendere ad una autonomia di valore artistico, per lo meno come
noi sentiamo adesso, come noi intendiamo adesso sia il concetto di arte, sia il
concetto di musica, sia il concetto di autonomia dell'arte. Mi pare che per il
momento non la possa pretendere e contesto anche che la possa pretendere
per il futuro e ancora un nuovo materiale sonoro da aggiungere a quelli già
esistenti quindi di essere inglobato e organizzato in un tutto con intenti non
soltanto di consumo di Mass media.»
SCHAEFFER
«Et il l’a trouvée, en effet, et il l’a trouvée plutôt et la raison c’est parce que la
musique expérimentale se fait et elle ne se présente pas aussi tôt comme une
musique pure, comme une musique accomplie. Elle demande de la part de
l’uditeur une éducation et tandis que la musique appliquée, qui environne la
radio, le cinéma, la télévision, elle c’est trouvée pour ainsi dire, mieux placée
que la musique classique. En plus, on se demande pourquoi et la raisons est
dans le sens que la musique classique est un language trop fort, la musique
expérimentale est un language ancore faible et qui en plus, se tire ces
materiaux du contexte des images d’une télévision, d’un cinéma, d’un théâtre;
de sort que si on n’ajoute pas un language drammatique mais bien entendu
d’une autre façon la musique expérimentale et de ses aboutissement à ses
divergences tend à être musique pure et je veux dire plus pure dans le sens
c’est à dire qui demande un effort d’attention plus grand que la musique
classique et le plus difficil est qu’on est pris de la vision qui concerne les
exécutant et demande un effort de pureté et de purification d’esthétisme qui n’a
rien à voir avec la pureté…[sfuma il volume]»
(«E l’ha trovata, in effetti, e l’ha trovata piuttosto, e la ragione è che la musica
sperimentale si crea e non si presenta a prima vista come una musica pura,
completa. Richiede, invece, da parte dell’ascoltatore una certa educazione e
diversamente dalla musica applicata, che circonda la radio, il cinema, la
televisione, si é trovata per così dire, piazzata in maniera migliore rispetto alla
musica classica. Inoltre, viene da domandarsene il perché, e la ragione si trova
nel senso che la musica classica è un linguaggio troppo forte, la musica
sperimentale, è un linguaggio ancora debole e che inoltre tende a tirare i suoi
materiali dal contesto delle immagini televisive, del cinema, del teatro, in modo
che non viene aggiunto un linguaggio drammatico, ma beninteso, in un altro
modo, la musica sperimentale dai suoi abbellimenti alle sue divergenze tende
ad essere musica pura, e intendo più pura nel senso, voglio dire che domanda
uno sforzo d’attenzione più grande di quello della musica classica, e la cosa più
difficile è che si viene coinvolti dalla visione che concerne gli esecutori e
domanda uno sforzo di purezza e di purificazione dagli estetismi che non ha
nulla a che vedere con la purezza….»)
CARPITELLA
«La musica ye ye, pur sembrando ed essendo in parte controcorrente, si
mantiene fondamentalmente nell'ambito di una ricezione tradizionale
commestibile. L'arte music è più controcorrente, pensi subito alla fantascienza,
alla disgregazione ideologica: il fatto che sia musica applicata non diminuisce
affatto la sua validità, basti pensare alla musica d'opera o di balletto che è
appunto musica applicata.»
LETTORE
Queste sono alcune dichiarazioni che abbiamo udito nelle passate trasmissioni
di “Musica ex Machina”, le opinioni di un Petrassi, di uno Schaeffer, di un
Carpitella, uomini dagli interessi diversi e spesso contrastanti sembrano
concordare in un punto, nel fatto che la tape music si concreti, o debba
concretarsi, in opera d'arte ad un polo, ci sembra, diverso dalla pura ricerca o
dalla mera occasionalità di una sonorizzazione di sfondo.
A questo punto si introduce per forza di cose il discorso sull'autonomia e
sull'eteronomia della musica e del suo linguaggio, un discorso che, proprio di
fronte al mondo sonoro della nuova musica ex machina, può farsi sottile e
capzioso. Parlare poi di tale mondo sonoro se usato in lavori di teatro, sembra
per un verso una complicazione e per l'altro una spicciativa semplificazione del
problema. Già nelle musiche di teatro realizzate con strumenti e linguaggi
tradizionali è sottile il confine fra autonomia ed eteronomia; alla tape music
inoltre la funzione ancillare appare propria quasi come vizio congenito. Ma
appunto il teatro musicale, l'opera, è forma d'arte mista, fonte tra l'altro di infinite
discussioni sul suo specifico, sull'equilibrio o il predominio degli elementi che
entrano in rapporto fra loro.
Gli esempi opposti di opere il cui valore nella musica e di altre che fanno
emergere altri elementi, non possono condurre ad una univoca risoluzione del
problema, risoluzione che in definitiva è demandata alla validità delle singole
opere in sè. Come simbolo del problema interno alla musica e interno al
rapporto in opere d'arte miste, fra musica e altri elementi, poniamo la radicale
affermazione monteverdiana "l'oratione sia padrona dell'armonia et non serva",
quasi una motto provocatorio oggi chè quel rapporto è posto in questione in
maniera decisiva. Non certo la fine del teatro in musica, ma solo la fine di un
suo modo di manifestarsi. Di qui l'interesse per un nuovo teatro anche in
musica, come per qualcosa che ha in sé il germe di altri sviluppi. La musica ex
machina ha sinora contribuito a questi movimenti operando principalmente nel
senso dei mezzi e della lingua e in quello d'una scelta di mondi espressivi, così
non si è avuta nessuna rigida separazione fra musica concreta, elettronica e
per strumenti tradizionali. E così ancora dalla tape music, dalla musica
elettronica, è stata dedotta una certa suggestione per scelte sonore e
ideologiche o contenutistiche, ad esempio la fantascienza nota più per i
commenti, solo raramente dignitosi, a films dell'orrore e del mondo avvenire.
L'opera “Amiara” dello svedese Karl Birger Blomdahl, scritta fra il 1957 e il 59,
è proprio opera lirica con orchestra, solisti che cantano e coro, scritta in un
linguaggio aggiornato ma non di estrema rottura. È un'opera di fantascienza, un
epos del viaggio spaziale nel 2038 d.C., come dice la sovrascritta al titolo.
Amiara è una nave spaziale che fugge come tante altre dal pianeta Doris, la
terra, con 8000 passeggeri a bordo; ma, colpita da un meteorite, è gettata fuori
dal nostro sistema solare senza speranza di salvezza. La gente di Amiara è
allora preda del senso d'una vita precaria che si scarica nell'erotismo e nella
danza collettiva, quasi una vita di massa animale cui si oppongono forze,
incarnate in alcuni personaggi, sempre più deboli. La musica elettronica vi
compare nella parte di un personaggio centrale inanimato, l'orologio cervello
elettronico Mima, l'imitatore, che cattura pensieri e sensazioni dalle lontane
galassie sino ai passeggeri, per tradurli in fatti sonori. Un incrocio fra un
medium meccanico e l'inconscio collettivo. Mima si costruisce inoltre degli
organi di sensibilità interna che ne fanno qualcosa di più di una macchina, ma
proprio in virtù di tale umanizzazione, quando vede e prevede cose sempre più
terribili per i viaggiatori, decide di morire piuttosto che rivelare loro l'inutile verità
della fine. Ecco dal finale primo atto gli interventi medianici di Mima e dalla
prima scena del secondo la voce della sua morte.
LETTORE
L'opera di Blomdahl presenta un mondo perduto dalla distruzione scientifica,
una prospettiva possibile ma ancora da venire, e per ciò stesso più facile, meno
angosciata. Di distruzioni morali e materiali, tuttavia, l'umanità può, se Dio
vuole, parlare al passato e nemmeno lontano. E’ naturale che la musica ex
machina si sia subito acconciata ad esprimerla.
Scegliendo ancora nel campo del teatro musicale, presentiamo un brano da
“Anno Domini” di Egisto Macchi: scritto nel 1960, eseguito alla settimana di
Nuova musica di Palermo nel 1965, la composizione per teatro è ambientata in
un campo di concentramento. I vari mezzi sonori, orchestra, coro, solisti, nastro
sono intimamente sovrapposti e mescolati tra loro; il nastro contiene suoni
concreti e voci, queste ultime con parole e suoni chiaramente distinguibili nel
loro significato semantico, come se le cose debbono essere dette per essere
capite senza dubbio di sorta. Sulla scena è la massa dei prigionieri prima di
entrare nel campo fermi ad ascoltare le voci che vengono dagli altoparlanti.
LETTORE
... applicazione della musica all'azione teatrale è senz'altro quello dell'opera in
musica, e, proprio nel momento in cui i mezzi meccanici di spettacolo, cinema,
televisione, radio vincono la competizione sul piano commerciale e della
diffusione di massa, si rinnova l'interesse per una forma di spettacolo che
parrebbe in declino. Nominiamo fra i tanti autori che hanno adoperato la tape
music nell' opera, gli italiani Berio, Maderna, Manzoni, Marinuzzi, Nono,
l'olandese Badins e, nel campo più specifico del balletto, i francesi Ferrari e
Henry, lo svedese Liedohlm e il giapponese Maiuzumi.
Altro tipo di teatro musicale è quello per la radio televisione ed è impossibile
elencare, oltre ai precedenti, quanti hanno usato musica elettronica o concreta,
da sole o miste a strumenti per un mezzo di diffusione, che pare il più adatto
alle nuove possibilità sonore. Pare, ma non lo è sinora completamente. Si pensi
alla stereofonia che, usata già da tempo in teatro, si affaccia solo
sperimentalmente in alcune trasmissioni radiofoniche. L'altoparlante, il
microfono, il nastro agiscono dunque dal vivo nella sala di esecuzione e nella
diffusione di massa. Due diverse dimensioni d'ascolto che permettono però agli
autori di indirizzarsi a pubblici diversi quasi con lo stesso mezzo: è il caso della
"Electre" di Henry Pousseur che, scritta per il Premio Italia Radiofonico del
1960, venne messa in scena nello stesso anno in forma di balletto.
Autore di altri lavori per teatro, si attende anzi la prima della sua opera [non
comprensibile], Pousseur ha tagliato e adattato la tragedia sofoclea,
mantenendo alle voci parlate, solo a tratti intonate, il ruolo di connettivo
semantico dell'azione, e usando strumenti tradizionali più tape music,
elettronica e concreta, per creare immagini drammatiche. La tragedia originale
è condensata in un'azione di poco più di tre quarti d'ora, piegata ad una
intenzionalità attuale come per una lezione valida per l'uomo d'oggi e nello
stesso tempo alla riscoperta dell'antico e presente, fondo comune delle
passioni, l'originario insomma. Questo che trasmettiamo è il nucleo centrale del
lavoro dall'incontro fra Oreste ed Elettra, la loro gioia di ritrovarsi, la scoperta
delle infamie alla corte del defunto Agamennone, alla vendetta di Oreste prima
sulla madre, poi sull'usurpatore Egisto.
LETTORE
Vera e propria musica di scena da teatro di prosa sono i brani composti nel
1956 dagli americani Otto Luening e Vladimir Ussachevsky, i quali dirigono,
come è noto, lo studio elettronico della Colombia and Princeton University per il
“Re Lear” con la regia di Orson Wells. Fra gli autori in questo campo più noti i
tedeschi Heiss e Sala, il francese Schaeffer, il giapponese Moroi, i polacchi
Vizniewzki e Marcowzki.
Ecco dal “Re Lear” la scena della pazzia dove i suoni elettronici vogliono ben
rendere la fissità allucinata, anziché l'esagitazione della mente sconvolta.
Diffusione della suite del “RE LEAR”, di Otto Luening e Vladimir Ussachevsky
LETTORE
Luigi Nono è autore di nuovo teatro, principalmente per la sua “Intolleranza
1960”; teatro musicale, opera dunque, e sin da allora egli inseriva nel suo
lavoro brani di tape music, per poi dedicarsi negli anni successivi in maniera
crescente alla musica ex machina. Si vedano fra le altre composizioni “La
fabbrica illuminata” e “A foresta”, eseguite negli ultimi festivals di musica
contemporanea a Venezia.
Preferiamo presentare come ultimo pezzo della trasmissione un suo lavoro più
recente, “Ricordati di quello che ti hanno fatto ad Auschwitz” e per varie ragioni:
perché, pur essendo sollecitato dall'occasione d'essere musica di scena per
"L'istruttoria" di Peter Weiss, è pezzo concluso e di autonomo valore; perché è
fra le più autentiche manifestazioni del mondo espressivo e ideologico del
musicista veneziano; perché, infine, il materiale sonoro di partenza adoperato è
il coro, lo strumento a lui fra i più cari e congeniali, quello dei cori di “Didone” e
de "Il canto sospeso ".
LETTORE
Nel fascicolo di Die Rehie, la rivista tedesca che dal 1955, sotto la direzione di
Eimert e Stockhausen, è stata il portavoce dei gruppi di Darmstadt e Colonia
compariva un articolo del musicologo Stuckenschmidt dal titolo significativo, “La
terza epoca”, e terza epoca era quella che succedendo alla prima
essenzialmente vocale e alla seconda strumentale, ex Machina sì, ma,
comunque legata alle possibilità umane di esecuzione, escludeva l'uomo dal
processo di trasmissione della musica. L'epoca elettronica doveva produrre una
musica disumanizzata in quanto formatasi nel terreno del puro spirito, scriveva
Stockhausen, e gli sembrava certo di avere, con i nuovi mezzi, la controprova
materiale della ortegiana “desumanizzacion”. Il rito del concerto con il virtuoso
in mostra era spezzato, i suoni provenivano direttamente e senza variazioni che
non fossero d'ambiente dalle macchine.
Pure del rituale concertistico queste esecuzioni conservavano un brandello
morto: il pubblico è immobile in sala, seduto di fronte alle bocche degli
altoparlanti come di fronte al pianoforte di Liszt.
Si doveva capire, dopo che in presenza di suoni prefissati senza il consueto
intermediario, che è poi fatto parateatrale, ci si doveva comportare come con i
quadri in una galleria o a casa propria, in un ascolto non più comunitario ma
individualizzato; si doveva capire anche che musica elettronica non era, a rigore
di terminologia, solo quella senza intervento dell'esecutore, perché suoni
elettronici erano pur sempre quelli prodotti dai vari organi con o senza tastiera;
dalla quasi mitica invenzione dell'americano Kahill (già si dava un concerto del
suo dinamofono nel 1902), alle ricerche di Givelet, Theremin, Martenot, Mager,
Trauptwein, Sala; sino ai noti strumenti Hammond Wurlitzer, Ohner, Farfisa
eccetera. L'esecutore non agiva necessariamente con le dita sui tasti ma con
movimenti del corpo di fronte ad una fotocellula come il ritmicon e l'eterofono di
Theremin o la Croix Sonore di Obukoff.
Sarebbe stato il nastro magnetico ad eliminare l'esecutore, come sarà il codice
per calcolatori ad eliminare partitura e nastro. La vera disumanizzazione
incomincia con l'automazione, la macchina il cui programma può al limite
sfuggire nella sua interezza al potere di previsione dell'uomo.
Di contro alla tendenza all'automazione e, alla fine, dell'esecutore, se ne è
registrata in questi ultimi anni l'altra, dell'intervento dal vivo di un manipolatore,
di un interprete e non tanto per un precipitoso ritorno dall'avventura della terza
epoca alle vecchie e belle consuetudini, quanto per effetto delle ultime
sperimentazioni, l'alea, la musica gestuale, l'improvvisazione, il teatro.
Presentiamo stasera brani ed esemplificazioni in cui il nastro, condizione prima
della morte dell'interprete, o è assente o, che è lo stesso, è vuoto all'inizio del
pezzo, servendo solo da accumulatore di materiale durante l'esecuzione.
Abbiamo escluso il discorso sull'intervento estemporaneo, sul materiale già
inciso e montato, parendoci questa più una modalità di emissione che una vera
esecuzione dal vivo.
Sulla via dell'esclusione di un materiale inciso stanno peraltro operando i
compositori che rivalutano l'interprete tecnico e mediatore da Cage (march,
cartridge music, music for amplifier, toy pianos, ecc.) a Stockhausen (Mixture,
Microphonie I e II) ai gruppi americani Sonic Art Group di New York e Musica
Elettronica Viva operante a Roma.
Ricordiamo anche l'interesse per questa ricerca, auspice il microfono a contatto
e le tecniche di amplificazione, da parte di alcuni complessi di musica leggera
come l'Equipe'84. Ecco ora presentati dagli autori stessi tre pezzi. Nell'ordine
ITALO GOMEZ
«In questo si è cercato di ritrovare, si può dire una cellula o una formula iniziale,
in una qual maniera automatica, con un certo automatismo, comunque nel
momento in cui si trovava la formula iniziale, il risultato totale del pezzo era già
previsto, per cui la composizione è studiata nella sua totalità, nella sua
globalità.
I quattro strumenti del quartetto d'archi tradizionale sono stati accordati con
differenze di quarti di tono: il primo violino e la viola accordarti normalmente, il
secondo violino e il violoncello un quarto di tono sotto. Sono amplificati per
mezzo di microfoni a contatto messi sotto le corde direttamente, vicino alle
corde, in modo da utilizzare i piccoli fenomeni prodotti dalla corda stessa con la
frizione con l'arco o la percussione dell'arco, che normalmente non si ascoltano,
data la pochissima intensità. Cioè, non si voleva l'amplificazione del suono, se
era un suono più ampio o più intenso, ma l'investigazione dei fenomeni interni
della vibrazione della corda. L'amplificazione utilizza anche il vibrato, cioè
l'oscillazione del suono a comando con un pedale.»
IVAN VANDOR
«Gli strumenti adoperati per la realizzazione di "Projet 2" sono due pianofortini
giocattolo, uno xilofono giocattolo, un than piano, che è uno strumento di origine
africana, una chitarra, un contrabbasso. A questi strumenti, cui sono stati
applicati dei microfoni a contatto, sono stati aggiunti una voce femminile, una
tromba, un sassofono tenore, glass chimes, shell chimes e wood chimes. E’
stato anche fatto uso di un modulatore ad anello.
Questa composizione, concepita recentissimamente, continua quella serie di
mie composizioni che, a partire da " Esercizi per 23 strumenti a fiato " del ‘65,
tenta, come dire, di esplorare, quindi di rivalutare e pubblicizzare, quel che
abitualmente, ed anche per ovvio pudore, viene chiamato mondo
contemplativo. In "Projet 2" mi pare che in questa esplorazione entrino dei
motivi nuovi, dei nuovi elementi più drammatici. Ecco, mi pare che per ora non
credo di poter dire di più.»
ALLAN BRYANT
«Nei concerti del gruppo Musica Elettronica Viva noi abbiamo cercato di fare
musica elettronica senza usare i nastri e di dare al pubblico un concerto più nel
senso comune, cioè, non soltanto musica elettronica su nastro dove il pubblico
ha soltanto un registratore da vedere, ma più con tensione, eccitazione, la
variabilità di musica fatta sul posto.
Io personalmente nel gruppo ho cercato di creare nuovi strumenti con suoni
spesso quasi come in musica elettronica, ma anche usando suoni quasi
strumentali. Mi piace usare suoni piuttosto densi e sensuali, micro-intervalli e
ritmi aperiodici. Non c'è melodia o armonia nel senso comune, ma io penso che
la musica moderna, specialmente la musica dodecafonica, ha sbagliato nel
tentativo di creare una musica melodica o lineare fuori dal sistema tonale, è
diventata un gesto vuoto, senza anima per me.
Violini e pianoforti sono vecchi strumenti oggi e noi abbiamo dimenticato, io
penso, come nuovi erano una volta; con strumenti nuovi io cerco, io suppongo
di catturare ancora un po' del potere fondamentale del suono stesso. Usando
suoni piuttosto nuovi ho messo in evidenza con la registrazione di questo pezzo
"Pitch Out"; evidentemente i microfoni non sono capaci di catturare i suoni
denso e basso del pezzo, allora invece di un suono come il tuono si sente
qualche rumore come di catena.
Forse il valore dei nostri tentativi di fare concerti con Musica Elettronica Viva,
senza nastri, è messo in evidenza con la registrazione di questo pezzo; usando
qui solo un canale è privo della ricchezza del suono fatto direttamente dagli
strumenti applicati negli altoparlanti.»
LETTORE
John Phetteplace, compositore e violoncellista, prima di far parte del gruppo
Musica Elettronica Viva, ha lavorato alle ricerche dello Studio di fonologia
musicale di Firenze.
La sua composizione "Paesaggio naturale", che egli ora eseguirà preceduta da
un commento esemplificativo, si pone al limite fra la tecnica concreta (per
riguardo alle fonti sonore dei pezzi già ascoltati, dove è usata l'amplificazione
semplice o manipolata per strumenti ora tradizionali, ora inconsueti seppur
basati su principi di vibrazione meccanica), e la tecnica da strumento
elettronico, più il nastro come memoria, strumento, essendo in questo caso
semplicemente il magnetofono con i suoi spontanei rumori.
JOHN PHETTEPLACE
«Il gruppo Musica Elettronica Viva è nato a Roma circa un anno e mezzo fa
dall'iniziativa di quattro compositori americani che abitano a Roma cioè Allan
Bryant, Alvin Curran, Fredric Rzweski, e me stesso. Nei concerti che abbiamo
fatto finora a Roma, che sono stati 17 mi pare, è servito come un laboratorio per
l’esperienza di composizione ed esecuzione, delle volte anche contemporanea,
cioè l'improvvisazione in sala con i mezzi elettronici. Hanno collaborato sin
dall'inizio anche dei compositori italiani insieme al nostro gruppo, cioè Mario
Bertoncini, Giuseppe Chiari, Vittorio Gelmetti, Domenico Guaccero, Ivan
Vandor.
Il "Paesaggio naturale " è basato sul principio di manipolazione di copie fatte di
un nastro vuoto iniziale, di cui ora sentiamo quattro esempi di questo tipo di
accumulazione o copia.»
J.P.: «Qui il terzo esempio che è stato ribassato di tre ottave, per cui esce fuori
soltanto uno strato di rumore bianco, un sussurrio che avete sentito altre volte
in queste trasmissioni.»
J.P.: «Il quarto e esempio è stato ottenuto frenando il nastro in vari modi, tra le
dita, mentre è messo in registrazione il magnetofono, senza nessuna fonte
sonora.»
J.P.: «In questa versione radiofonica è stato utilizzato, invece, un solo suono
dall'inizio del nastro, l'onda sinusoidale di un chilociclo che rende possibile
seguire l'effetto accumulativo dei vari riversamenti. Il carattere del pezzo finale è
determinato in grande parte dal tipo di circuito dei magnetofoni stessi usati per
fare le copie, non solo dalle manipolazioni fatte durante le copie.»
LETTORE
Gli esempi musicali che seguono sono dei compositori americani John Eaton e
Bill Smith, entrambi adoperano un vero è proprio strumento creato da Paolo
Ketoff, il quale descriverà poi la sua strana macchina. Eaton lo suona in base
ad una partitura come un organo elettronico, Smith da quel virtuoso del
clarinetto e appassionato ricercatore di ogni inedito che è, ne fa un modulatore,
un distorsore di suono tradizionale e per di più per un'improvvisazione jazz.
Diffusione di "Song for R.P.B." di John Eaton e di " Make love, not war" di Bill
Smith
PAOLO KETOFF
«La nascita del synket può riportarsi ancora al ‘62, quando il maestro Gino
Marinuzzi si rivolse a me per realizzare in collaborazione un'apparecchiatura
comprendente un insieme di oscillatori e filtri modulatori che dovevano servire
per ottenere suoni elettronici; da questa collaborazione poi nacque il Fonosynth.
Contemporaneamente, l'accademia americana mi aveva incaricato invece, di
sistemargli lo studio di fonologia che hanno qui a Roma. Per completare il
laboratorio mi chiese quindi di mettere a punto un'apparecchiatura fornita di
generatori e filtri che ritenevo più idonei a soddisfare le esigenze del loro
musicisti interessati alla musica elettronica forte.
Logicamente, dall’esperienza fatta col maestro Marinuzzi preparai un
apparecchio che, pur non essendo stato concepito con quello scopo, rivelò
subito la possibilità di esser usato direttamente in orchestra come un normale
strumento, possibilità che fino ad allora non presentava nessuna
apparecchiatura simile né in Italia né all'estero. La scelta del nome mi è stata
piuttosto semplice, Synthetyzer e Ketoff, che diventa SynKet. L'apparecchio
stesso è un insieme di apparecchiature elettroniche che permettono la
generazione e il controllo dei parametri del suono.
A questo punto sarà bene precisare cosa si intende per parametri del suono: i
parametri del suono si possono riassumere in frequenza, intensità e forma
d'onda, il tutto logicamente nel tempo, quindi anche il tempo diventa un
parametro. Tali variazioni vengono chiamate modulazioni: si possono avere
quindi, modulazioni d'ampiezza, modulazioni di frequenza e modulazioni di
forma d'onda; tali variazioni possono essere sia singole che contemporanee,
cioè noi possiamo variare la frequenza, la forma d'onda e quindi l'ampiezza
contemporaneamente tutte e tre nello stesso momento, oppure possiamo
variare singolarmente e indipendentemente l’una dalle altre: da ciò deriva
l'infinita varietà dei suoni.
Il Synket è concepito in modo da permettere la generazione dei suoni e la
modulazione di questi in frequenza, composizione timbrica e in ampiezza. Tali
modulazioni sono controllabili sia singolarmente che contemporaneamente,
questo avviene nei cosiddetti combinatori di suono che sono tre: ciascun
combinatore comprende un generatore di onda quadra controllabile in modo
continuo dai 5 a 20.000 hz; oppure da un’apposita tastiera con le frequenze
predisposte. Inoltre, ha una catena di divisori di tipo flip-flop che permette la
divisione delle frequenze dei generatori per due, per quattro, per otto oppure
per tre e per cinque: questo permette di arricchire molto lo spettro armonico del
generatore. Qualora i divisori siano tutti inseriti, il suono poi passa attraverso un
filtro selettivo con azione continua da 40 a 20.000 Hz che permette di variare
profondamente la composizione armonica del suono che vi viene immesso.
Inoltre, possiamo controllare il volume di uscita per ciascuno dei combinatori in
modo da livellarli in conformità a quello che è il volume che noi vogliamo.
Ciascun combinatore comprende poi un modulatore che permette di modulare
sia la frequenza del generatore, sia la frequenza del filtro selettivo, sia
l'ampiezza del segnale immesso nel filtro. Questi tre parametri del suono, come
già detto, possono essere variati sia singolarmente che contemporaneamente;
le altre parti che costituiscono il synket sono poi un generatore di suono bianco,
che può essere immesso in ciascun combinatore e quindi anche modulato e
filtrato attraverso il combinatore stesso, poi tre modulatori di suono, che però
modulano solo il volume, ma con azione intermittente e con caratteristiche
diverse l'uno dall'altro, a complemento di ciascuno di tutti i combinatori e,
inoltre, un filtro a ottave che, con la sua azione filtrante, permette di cambiare il
timbro del segnale d'uscita di ciascuno dei combinatori.»
DOMENICO GUACCERO
«Dopo questa spiegazione così particolareggiata ma, mi pare, un po' ermetica
per il profano, vorrei che potessi dire quali possibilità concrete si possono
ottenere con il Synket.»
PAOLO KETOFF
«Ti dirò le possibilità concrete della produzione dei suoni col Synket. È un po'
difficile descriverla o elencarla semplicemente: se tu pensi che con la stessa
facilità puoi ottenere dei rumori come il tuono, il mare o il vento e nello stesso
tempo il cinguettio di uccelli, ritmo dei tamburi, di gocce d'acqua, note musicali
che possono rassomigliare assolutamente a degli strumenti tradizionali.»
G.:« Credo che sia utile per l'ascoltatore fare sentire qualche esempio se è
possibile.»
K.: « Senz'altro, guarda ti posso far sentire intanto, in un modo un po' tecnico,
una modulazione in volume.»
K.: «Adesso poi ti faccio sentire la modulazione fatta con la variazione del filtro
selettivo.»
LETTORE
Domenico Guaccero e Paolo Ketoff realizzano sul Synket un'improvvisazione,
che è musica elettronica, perché, a rigore, niente interviene se non gli oscillatori
e i filtri ed è ben dal vivo, dato che non esiste né un nastro inciso, né da
incidere, né una partitura. Opera aperta al massimo, come lo strumento
adoperato, che è strumento, in quanto si presta a un'esecuzione estemporanea,
eppure è ormai altro dagli organi e dalle clavioline sempre disponibile a tutte le
aggiunte tecniche compositive del futuro.
Diffusione di “Improvvisazione per synket” di Paolo Ketoff e Domenico
Guaccero
Musica ex Machina, puntata n°7 registrata il 12 ottobre 1967
P.: «Credo che questo sia un compito, un intento di grande importanza culturale
perché, anzi tutto, non sempre i prodotti dell'avanguardia sono destinati a una
circolazione così limitata, in alcuni casi essa ha una capacità linguistica che le
permette di avere un corso più ampio. Direi che la nostra esperienza ha
confermato questo, perché noi abbiamo adoperato della musica per accentuare
un particolare momento del percorso della mostra Michelangiolesca, una
mostra rivolta al grande pubblico, mostra critica, che cercava però di divulgare i
raggiungimenti della critica moderna, di renderli comunicabili a un pubblico
molto vasto (è stata una mostra che è stata visitata da 100.000 persone, noi
abbiamo sempre tenuto conto di questo obiettivo).
Ora, l'unico elemento, forse, che avevamo a disposizione per accentuare il
significato di questa sala in cui erano esposte le fortificazioni fiorentine, quindi il
momento di massimo impegno civile di Michelangelo, era quello di intensificare
il quadro, direi, di reazioni dello spettatore; questo era possibile soltanto a patto
di inserire un altro tipo di sensazione, quella acustica, che era assente in gran
parte degli altri ambienti. Ma questa sensazione acustica non deve essere una
sensazione indifferenziata, un valore di puro sfondo, doveva essere viceversa
qualcosa di stimolante e in questo senso la musica moderna, la musica
d'avanguardia, era senza dubbio la più adatta.»
G.: «In particolare mi interessa molto la tua opinione sulla esperienza che ne
hai ricavato dall'impiego di questa musica e, ancora, il perché tu mi chiedesti,
allora che io facevo della musica elettronica rigorosamente programmata, di
impiegare questa musica in quell'ambiente, anche se ricordo bene tutte le
discussioni che abbiamo fatto in merito, all'epoca, e abbiamo usato, mi ricordo,
anche strutture analoghe.»
P.: «La ragione della scelta era da una parte questo notevole rigore, che nelle
intenzioni caratterizzava anche la struttura della mostra che era fatta con
ripetizione seriale di elementi in plastica, volutamente gelidi, di polistirolo
espanso, la mostra cioè aveva delle strutture fondamentalmente analoghe e,
nello stesso, tempo queste strutture tendevano a una regolarità e a un valore
materico anche, non a un valore assolutamente astratto. Quindi queste erano
certo delle caratteristiche che io ritrovavo nella tua musica, che sono state
fondamentali nel rendere possibile la scelta. D'altra parte, direi, non tutta la
musica d'avanguardia era adatta per quel compito che noi abbiamo inteso dare
al commento musicale della sala delle fortificazioni: ci voleva una musica
capace di determinare una certa tensione mentale e di porsi come interrogativo,
di far capire alla gente che a un certo gusto dell'itinerario bisognava forse porsi
in modo più drammatico certi problemi, cercare di risolverli, dare una risposta a
questo interrogativo che Michelangelo stesso ci pone a un certo punto
cambiando improvvisamente i suoi mezzi stilistici, compiendo un'esperienza
sostanzialmente eterogenea rispetto al resto della sua opera.»
G.: «E risultati? Mi pare che avete fatto un'inchiesta voi sul pubblico.»
LETTORI [da qui si alternano due lettori differenti che indichiamo con I e II]
I. “Musica per camminarci dentro”, così chiama l'autore la sua musica, quella
che abbiamo ascoltato insieme al parlato; e i suoni erano tratti da “Modulazioni
per Michelangelo” di Gelmetti, che faceva anche da intervistatore per Paolo
Portoghesi, architetto e professore all'università di Milano, parte in causa per
aver diretto l'allestimento della mostra Michelangiolesca a Roma nel 1964.
L'autore, in una premessa analitico critica al suo pezzo, ha spiegato
esaurientemente non solo l'articolazione fisica e tecnica del materiale da lui
usato, misture di suoni sinusoidali, battimenti, modulazioni di frequenza o
intensità ecc., ma anche la coerenza interdisciplinare fra suono e
ambientazione. In questo caso i locali della mostra e i pannelli-parete, in
particolare la sala delle fortificazioni fiorentine che era stata progettata appunto
in base a modelli modulari architettonici.
II. Ma non è questo l'aspetto che ci ha suggerito di dare avvio al nostro discorso
di stasera sulla musica di consumo; è invece lo spostamento di significato da
una musica opera-chiusa, che va recepita nel suo puro valore estetico, a una
musica che serva, e lo dichiari senza trepidazioni, ad ambientare. Da una
musica in cui l'ascoltatore è seduto sulla sua poltrona e guai a chi parla, a chi
scarta una caramella, a chi ride o tossisce, ad una architettura sonora dove lo
scalpiccio, le voci, i rumori eventuali sono l'altra fascia di suoni, viva e sempre
improvvisata, che integra quasi la musica registrata.
II. Allora nessuno nega la validità e l'utilità di una musica di consumo, un uso
della facoltà di porre in giuoco, a vario livello, e tutte insieme, l'intera gamma di
possibilità espressive o pratiche dell'uomo; un uso che non fa problema per la
ininterrotta consuetudine. La questione si complica un pochino oggi e, nel
nostro caso di musica ex machina, ma di tipo nuova musica o avanguardia, per
due fatti: primo, che oggi la musica di consumo propriamente detta è la musica
leggera e si sa che la musica d'elite, da Debussy in poi, adopera coordinate
sintattiche totalmente diverse da quella di massa; secondo, che una certa
musica di consumo che pretenda aggredire concorrenzialmente un'area di
percettori più larga, si serve preferibilmente dei mezzi della tecnologia
contemporanea, disco, radiotelevisione, film.
Tutto ciò significa, alla base, uso del nastro magnetico e, per conseguenza,
ancora più coerentemente, della tape music, dell'elettronica. Significa anche,
sul piano sociale, la possibilità di intervenire con un tipo di suono sulla
sensibilità acustica di decine di migliaia, addirittura di milioni, di ascoltatori,
quanti un concerto non potrà mai pretendere nello stesso tempo.
Prescindiamo per il momento dal discorso sulla validità estetica della musica,
se è un pezzo, un'opera, ecc.
I. Ecco una musica per radio, realizzata da Josef Anton Riedl presso lo studio di
musica elettronica della Siemens di München: tolta dal suo contesto di
racconto, la musica è divenuta pezzo a sè dal titolo di "Komposition fur
elektronische und konkrete Klange n°3". La destinazione è la ragione stessa del
suo materiale e della sua struttura.
LETTORI
I. Dall'ambientazione sonora alla diffusione radiotelevisiva, ai film, il suono deve
corrispondere alla destinazione meccanica del mezzo e alla consumazione del
prodotto, deve essere connesso ad altro tipo di manifestazione o espressione,
deve essere realizzato e diffuso in maniera economicamente conveniente, deve
quindi essere su nastro.
Tutte le tecniche, altre volte descritte, del lavoro su nastro sono qui impiegate
senza preclusioni puristiche e tutte le riserve o, inversamente, le positività
intorno alla morte dell'esecutore dal vivo sono pertinenti.
II. La musica per film, è noto, adopera per la maggior parte strumenti
tradizionali registrati. Ci chiediamo: “E’ valido in senso estetico, quando la
musica per film ha almeno pretese estetiche (ma torneremo sull'argomento), il
processo di fotografare degli strumenti, di fissarli su nastro e non come
surrogato di un ascolto dal vivo, come nel caso del disco o della radio proprio
per una sua destinazione che si presume naturale?”
Quando ascoltiamo un flauto, un violino in una colonna sonora per film,
sentiamo subito l'inautenticità dell'operazione; aver fissato, fotografato non un
materiale vissuto, una realtà materiale, ma una realtà già artificiale, lo
strumento con la sua scala di frequenze, il suo timbro, che è un fatto non della
natura o della vita umana, sottospecie della quotidianità, ma dell'artifizio già
artistico. Altra cosa sarebbe se si filmasse un flautista o una violinista che
suona. Ben inteso, questa inautenticità può essere sfruttata nel contesto del
fatto filmico tutto interno per opposizione o per subordinazione, o per
predominio sull'immagine visiva. Pure, quello che sembra congeniale, visto così
in astratto, al tipo di tecnica, ripresa, trasposizione, montaggio del visivo filmico,
è proprio la tape music.
I. Ahi noi, la musica elettronica per film è divenuta moneta corrente, è stata
consumata, in quanto commento fantascientifico, proprio per quel che di
astrale, di tellurico, di estremamente libero, sperimentale, parascientifico,
magico hanno i mezzi elettronico concreti.
Un esempio: "De Aleph" di Peter Schat, realizzato presso lo studio di musica
elettronica dell'Università di Utrecht.
G.: «In generale adesso, mi pare, che invece la colonna musicale sia
veramente un sottofondo, cioè un commento, come si usa dire, qualcosa di
commestibile per far digerire le indagini diciamo.»
G.: «Pensa che la musica elettronica, la musica concreta si presti di più di una
musica con strumenti tradizionali a istituire questi rapporti con l'immagine
filmica, o no?»
S.: «Questo a seconda delle categorie di film, però, ad esempio, la colonna
elettronica, oppure concreta costruita da Gelmetti in "A mosca cieca " era stata
eseguita con strumenti tradizionali.»
.
G.: «Ma nell'altro film, mi pare, lei sta lavorando, o ha in progetto qualcosa su
brani musicali già preesistenti?»
S.: «Sì, c'è uno dei progetto, appunto, che sto preparando: è quello di costituire
un film, cioè preparare un film, o un mediometraggio, in cui la musica è già
preesistente, cioè un nastro di Stockhausen, al quale appunto io riferisco delle
immagini.»
.
G.: «Ha fatto un secondo film mi pare?»
S.: «C'è il secondo film che si chiama "La prova generale", con la musica di
Egisto Macchi, ed è in un momento del film, come avvenimento musicale, è
stato scelto il pianto di un bambino spastico. Ora questo tipo di scelta che
riguarda un momento esistenziale, un momento vissuto, che forse non ha
niente a che fare con la musica così come noi intendiamo la musica, è
estrapolato dal suo contesto naturalistico è inserito, invece, in un consenso
musicale, assume tutte le caratteristiche di un avvenimento musicale e si mette
giustamente in rapporto con gli altri elementi musicali che esistono nel film, che
però hanno un tipo di estrapolazione per niente naturalistica, cioè sono dei
suoni ad esempio di pianoforte o brani di opere.»
G.: «In generale la musica concreta, elettronica viene utilizzata in particolare nei
cosiddetti film di fantascienza, cosa pensa di questa attività, di questa
utilizzazione della musica elettronica?»
LETTORI
I. La ideologia e il materiale di partenza degli autori di collages è il richiamo da
ed a una realtà esterna vivente da fissare, trasformandola o meno, una realtà di
suoni naturali o di fatti sonori di consumo quotidiano.
Il confine con la musique concrète è labile, sottile, ma individuabile. Il collages
ha in genere più fiele, più carica ideologica del concretiamo che è inteso a far
musica, a creare pezzi, a rendere musicali i suoni d'ogni giorno.
II. Giuseppe Chiari fa anche la musica verità, come lui dice " registrazione
casuale, impersonale, fatta da qualsiasi persona non riascoltata, nè scelta in
nessun modo prima di essere prodotta in pubblico. Il collages è allora quello
che fa la donna che chiama dal balcone, la motoretta che passa, il rumore delle
radio che fanno le canzoni del mattino. Copia, trasposizione, e, solo per questo,
producente un quantum di significatività espressiva, ultima tule dell'alea, del
caso, dell'improvvisazione, del silenzio ".
I suoi collages sono azioni in presenza del pubblico, invece, con interventi diretti
sul nastro, sul microfono, sul registratore. Ascoltiamo "Omaggio a Renè Clair",
ma è persa la dimensione visiva e ambientale.
LETTORE
Aldo Clementi scriveva a commento di "Collages 3 (Dies Irae)", di cui
ascolteremo un brano, della sua "volontà di adoperare materiali ovvi, consunti
dall'uso delle masse, pregnanti dell'odierno costume ".
C.: «L'origine appunto, la materia che mi stimola sono i dischi, i dischi proprio
dei Beatles, sono quattro canzoni che io sto elaborando in varia maniera e sarà
una composizione di circa 20-25 minuti.»
LETTORE
Anche se in un lavoro creato per e sul nastro, si dava il caso di risultanti
coscientemente casuali, citiamo ancora l'autore, "di fenomeni impreveduti". E
aggiunge: "Fino al momento della stesura finale, mi sono trovato nel più
assoluto buio compositivo”.
C.: «Questo è fino adesso il mio excursus. E adesso sono nel pieno del lavoro
quindi, diciamo, ancora non ho una visione totale della realizzazione, però c’ho
la visione mentale.»
LETTORE
La soluzione era nel senso di ossessività catastrofica con cui montare il
materiale.
LETTORE
Tavola rotonda alla quale partecipano Pietro Grossi, Domenico Guaccero,
Angelo Paccagnini, Teresa Rampazzi, Enore Zaffiri, moderatore Luciano Alberti.
LUCIANO ALBERTI
«Gentili ascoltatori buona sera, questa è la decima ed ultima trasmissione che
club d'ascolto dedica a “Musica ex Machina”. A tracciare un bilancio consuntivo
od anche un bilancio preventivo, come vedremo, in ordine delle prospettive che
si aprono in questo settore in Italia, sono stati raccolti intorno a una tavola
rotonda i rappresentanti degli studi sperimentali italiani; procederemo per ordine
di anzianità degli studi stessi.
Angelo Paccagnini parlerà come direttore dello Studio di fonologia di Radio
Milano, è uno studio che ha celebrato pochi anni fa il suo decimo anniversario;
da pochissimi mesi Paccagnini è salito alla sua direzione, da pochissimi mesi
Paccagnini ne è diventato il direttore, succedendo a Berio e a Maderna.
Per l'S2FM di Firenze abbiamo con noi Pietro Grossi, il fondatore e il direttore:
questo studio risale al 1963, è uno studio privato ma da due anni è inserito nel
corso di lezioni del Conservatorio di Firenze, particolare da prendere in
considerazione in quanto fino a adesso è assolutamente caso unico.
Inoltre, Enore Zaffiri parlerà come direttore dello SMET, Studio Musica
Elettronica di Torino, uno studio che risale al 1964.
Per il gruppo NPS, Nuove Proposte Sonore di Padova, è nostro ospite la
fondatrice e direttrice Teresa Ramazzi.
Domenico Guaccero, infine, parlerà per i sette compositori che si sono costituiti
recentemente nello Studio R7 di Roma: è un gruppo che ha ripreso le fila dello
studio di musica elettronica della Filarmonica romana.
Come si può notare sono organismi di recente costituzione ed in questo si ha la
risposta più sintomatica ed eloquente alla diagnosi avanzata da molti, fino a
poco tempo fa, per cui la musica elettronica sarebbe giunta a una fase di
involuzione o addirittura prossima all'esaurimento; per questo, appunto, la
conversazione con i direttori di questi studi di musica elettronica ha il valore di
un bilancio e di una previsione.
Ci rivolgiamo prima di tutto a Paccagnini dunque, perché faccia il punto della
situazione sul suo studio, sulle sue esperienze personali e sul lavoro di equipe
dello Studio di fonologia di Radio Milano.»
ANGELO PACCAGNINI
«Lo studio di fonologia di Milano della Rai si è costituito dieci, undici anni fa
inizialmente con uno scopo non definito che si è definito con l'andar del tempo;
la progettazione è stata realizzata dall’ingegner Lietti, le apparecchiature
inizialmente piuttosto scarse sono andate via via arricchendosi, per cui sono
servite di volta in volta a noti compositori tra i quali Berio, Maderna, Pousseur,
Cage ed altri. Oggi lo studio di fonologia è completamente rifatto e consta di
apparecchiature tra le più moderne che si possono trovare e consentirà
certamente di raggiungere valori compositivi ancora più perfetti tecnicamente,
dal momento che, dal punto di vista artistico, sul valore delle musiche si
dovrebbe fare un discorso un po' a parte. Tuttavia sarà bene precisare che nel
corso dei primi dieci anni, sebbene con apparecchiature che oggi noi
consideriamo superate tecnicamente, è stato possibile realizzare composizioni
piuttosto famose oggi come "Omaggio a Joyce" o, ancor più recentemente, con
le composizioni di Nono, o con quella composizione che è il capostipite di tutta
una produzione particolare sulla musica elettronica che utilizzi la voce umana,
che è “Invenzione su una voce sola” di Bruno Maderna.
Dal punto di vista programmatico ho già accennato che non c'è mai stata
un'impostazione rigorosa dal momento che si è scelto il criterio di dare ai
compositori ospitati tutta la maggior libertà di azione e in questo senso si è
rimasti ancora oggi attaccati al programma: cioè qualsiasi compositore che
venga invitato, o chiede di essere ospitato nel nostro studio, è libero di
prepararsi un programma di realizzazione come meglio crede. Le possibilità
perciò di produzione della musica sono infinite, se si intende per infinito il limite
della macchina e non quello nostro; i settori che invece intende operare lo
studio sono differenti (non dobbiamo dimenticare che si tratta di uno studio che
ha anche dei compiti di produzione interna, di musica non proprio autonoma ma
di musica anche funzionale che ha precisi scopi destinati alla sonorizzazione ad
esempio di commedie o di lavori di prosa o per i filmati etc.). Oggi è in grado di
soddisfare tutte le richieste sia al livello, permettete di dire, artistico, che a livello
di consumo giornaliero, perciò anche più in là, quando dovremo discutere dei
diversi problemi della musica elettronica, io cercherò ogni volta di condurre il
discorso su un punto fondamentale per noi che non è solo quello di una
produzione a livello artistico, ma anche di una produzione di consumo per
diversi motivi che di volta in volta cercheremo di chiarire.»
PIETRO GROSSI
«Il mio primo contatto con la musica elettronica, o meglio, con gli strumenti
elettronici impiegati per fare musica, avvenne nel 1960 durante una mia visita
allo Studio di fonologia di Milano. Da allora mi sono, si può dire, dedicato
interamente allo studio, alla realizzazione, allo sviluppo, di questa nuova via
musicale che si usa definire elettronica per comodità. Nel 1961 realizzai il primo
lavoro elettronico sempre allo Studio di Milano e da allora ho fatto di tutto per
procurarmi gli strumenti necessari per continuare questa attività a titolo privato.
Nel 1963 avevo già un'attrezzatura capace di poter offrire delle possibilità
abbastanza ricche in un campo di ricerca sia pure limitato ma piuttosto
interessante e nel 1965 il mio studio è entrato in collaborazione con il
Conservatorio di Musica di Firenze per lo svolgimento di un corso di musica
elettronica, corso di musica elettronica a quell'epoca unico in Italia. L'interesse
per lo svolgimento di questo corso è notevolissimo sotto diversi aspetti: primo,
intanto per il numero degli iscritti; secondo, perché sono stati ammessi studenti
e persone che desideravano iscriversi che non avevano una preparazione
musicale diciamo tradizionale; terzo, per l'esperienza che via via veniva fatta
sull'opportunità e il metodo di impiego e di sfruttamento dei nuovi mezzi sonori.
Dopo due anni di esperienza con gli strumenti elettronici classici siamo passati
all'impiego del calcolatore elettronico e questo, secondo me, è un momento
molto importante della nostra attività perché il calcolatore elettronico ha delle
prerogative, delle possibilità, delle caratteristiche che noi tutti conosciamo in
altri campi e che possono essere impiegate con risultati veramente sorprendenti
nel mondo musicale.
A questo punto noi siamo appena alle prime armi e già dobbiamo metterci su un
piede di lavoro che non ha niente a che vedere con quello che già avevamo
sviluppato negli anni precedenti e tanto meno con quello che precede la musica
elettronica.»
ALB.: «Già questa sua esposizione contiene dei punti importanti per la
conversazione, ma mi permetta, vuole precisare fin d'ora qualche cosa a
proposito della sua esperienza didattica? In quanti anni si articola il suo corso,
quanti sono gli iscritti? Vedo che quest'anno i suoi allievi fanno un saggio ed è
la prima volta che fanno il loro saggio di composizione elettronica…»
GR.: «No, no, ogni anno allo scadere del corso ci sono stati saggi o audizioni
dei lavori realizzati durante l'anno.»
ALB.: «Quindi lei alimenta lo spirito di ricerca più che di composizione nei suoi
allievi…»
ALB.: «Volevo solo chiederlo un'ultima cosa: lei avverte differenze tra gli
allievi che hanno una preparazione musicale e quelli che non l'hanno e che
comunque sono ammessi al suo corso?»
ENORE ZAFFIRI
«Nel 1964 iniziai la mia avventura nel campo elettronico dopo una crisi che
metteva in discussione l'autenticità o meno, alla luce delle attuali esigenze,
delle strutture compositive ancora vincolate ai 12 suoni della scala temperata.
L'assunzione dei mezzi elettronici, intesi come superamento dei limiti imposti
agli strumenti tradizionali, ha inaspettatamente dischiuso ai miei occhi il fascino
di un mondo sonoro aperto a nuove dimensioni e a nuovi spazi, ma il mezzo
elettronico fin dall'inizio io l'ho inteso non come uno strumento che amplifica le
sonorità tradizionali, ma come un mezzo d'indagine per esplorare un patrimonio
sonoro praticamente inedito e che a mio avviso racchiude in potenza delle
sconosciute possibilità verso una nuova sensibilità musicale. E’ proprio in
questo senso che io giudico l'esperienza elettronica autentica e adeguata
all'esigenza del nostro tempo.
Chi opera in questo campo e intuisce la latente presenza di una nuova
sensibilità sonora deve avere la consapevolezza di muoversi entro nuove
imprevedibili possibilità di impiego del fenomeno sonoro, possibilità che
probabilmente modificheranno alla base il nostro abituale concetto del fare e del
consumare il prodotto musicale. Credo che per individuare e sperimentare
queste nuove possibilità sia necessario operare con merito, con metodo e con
chiarezza, le peculiarità espressive del patrimonio sonoro elettronico devono
essere individuate con ordine metodologico per evitare che il caos, o il caso,
trascinino il compositore nella facile arrendevolezza dell'effetto.
Evidentemente l'individuazione di questi fenomeni sonori non deve limitarsi alla
pura elencazione di caratteristiche fisico-acustiche, ma deve comprendere in
successivi stadi la sperimentazione di relazione tra questi diversi elementi
individuati in fenomeni sonori più complessi, ma sempre verificabili. Operando
in tali condizioni non si ha assolutamente la pretesa di realizzare un'opera
esteticamente compiuta, ma si vuole creare un materiale di base pronto a
successive elaborazioni e soprattutto si vuole creare delle premesse di lavoro
dalle quali forse un domani, attraverso nuove intuizioni, nuovi sviluppi, prenderà
le mosse un linguaggio più evoluto.
Affinché questi problemi non rimangano chiusi in una sfera individuale o ristretti
per poche persone, ho istituito nel mio studio nel 1966 un corso sperimentale di
musica elettronica, un corso gratuito aperto a tutti gli studenti, ai musicisti ai
giovani soprattutto interessati a questi problemi, con l'intento di divulgare la
conoscenza l'approfondimento di questi problemi, con l'intento di creare dei
gruppi efficienti di ricerca e di sviluppare anche l'interesse per questo settore
della musica. L'aspetto didattico a mio avviso non deve assumere come
principio la realizzazione estetica, ma la conoscenza e per ottenere tale scopo
ho sperimentato l'uso di una metodologia che consente di muoversi con preciso
criterio operativo mediante un progetto che determina la creazione di nessi
interni di relazioni. In altre parole si tenta un'organizzazione sintattica di
fenomeni sonori e specifici per gli apparati elettronici usati come vocaboli;
purtroppo siamo costretti ad una inutile e assurda perdita di tempo dovuta alla
manualità degli strumenti in dotazione, e auspichiamo, e con questo son
d'accordo completamente con l'amico Grossi, che l'avvento del calcolatore
elettronico nel campo musicale sia l'innovatore, il portatore di un procedimento
automatizzato di fabbricazione sonora. Prevedo che con questo mezzo non
solo si otterrà una maggiore rapidità e precisione di lavoro, ma si instaurerà un
nuovo rapporto con quel particolare personaggio che tanta parte ebbe nella
divulgazione della musica classica, cioè il dilettante. Infatti se potesse attuarsi il
progetto che prevede un grande calcolatore centralizzato collegato in case
private tramite un terminale, si riavrebbe, io penso, il fenomeno dell'amatore
che realizza in casa propria la sua musica.
Quindi, anche sotto questo aspetto è importante la funzione della scuola
perché, oltre a preparare degli esperti, prepara anche una certa gamma di
persone che sapranno insegnare come si compone in fondo la musica
elettronica.
Finché le apparecchiature elettroniche rimarranno privilegio di poche persone,
finché la scuola non avrà assunto il compito formativo e informativo in questo
settore musicale, e finché non verrà promossa la pubblicazione di libri
specializzati oppure di libri a carattere divulgativo, c'è il pericolo, e questo mi
sembra sia il pericolo che bisogna cercare di evitare, che la musica elettronica
si blocchi in pura ricerca sonora da laboratorio. Occorre vitalizzare questa
produzione trovando il giusto canale di inserimento nelle più significative
esigenze della vita culturale contemporanea, instaurare una nuova
problematica sui rapporti tra opera e pubblico, cioè considerare le nuove
esperienze sonore all’uso e la funzione che esse possono suggerire o
assolvere, rappresenta a mio avviso l'aspetto più positivo, l'essenza vitale a cui
deve tendere la musica elettronica.»
ALB.: «Le prospettive che ci apre l'intervento di Zaffiri sono quanto mai
interessanti, in quanto che pensare alla musica elettronica come a qualche
cosa di domestico, di personale, veramente risulta estremamente nuovo oggi
quando appunto, di fronte alla musica elettronica, abbiamo invece l'impressione
di qualcosa addirittura alienante, di cosmico.
La signora Rampazzi ci dirà allora qualcosa del suo gruppo di Nuove Proposte
Sonore.»
TERESA RAMPAZZI
«Il gruppo di Padova è nato nel ‘65 però io personalmente mi ero interessata
moltissimo ai nuovi mezzi fin da quando Mayer Eppler a Darmstadt fece i suoi
primi esperimenti: mi resi conto allora che il campo, il materiale offerto ai
musicisti era enormemente arricchito e vasto fino al punto di mettere in crisi
l'uso delle strumenti tradizionali, mi accorsi però che per cercare di indagare
sulle possibilità dei nuovi mezzi bisognava avere una continuità di lavoro con
questi mezzi perché non era possibile un quindici giorni di soggiorno in un
grande studio per poter evidentemente cercare di dare delle conseguenze
valide da queste ricerche che si potevano fare.
Allora la nascita del gruppo: nacque molto incidentalmente nel senso che a
Padova operava il gruppo N che faceva delle ricerche in campo ottico, e
durante anche una esposizione alla Biennale di Venezia, (il gruppo “N” espose i
suoi oggetti naturalmente visuali), si chiese a me di comporre qualche cosa con
i mezzi elettronici che potesse essere un po' il corrispettivo di quelli visuali. La
cosa a dire la verità presentò molti problemi, in quanto che il campo
dell'acustica ha dei rapporti poi non molto precisi con quelli dell'ottica, da questo
nonostante fu composto così un pezzo che diede origine poi alla decisione
veramente di formare un gruppo di ricerca. Questo gruppo fu formato dapprima
da me e da Ennio Chiggio che faceva parte del gruppo N, poi si aggiunse una
musicista Serenella Mareca, poi un ingegnere elettronico. Naturalmente fin da
allora ci si rese conto che la musica non poteva assolutamente essere
affrontata più da un singolo, che era necessario lavorare in gruppo, mettere
insieme una metodologia che fosse comune a tutti gli operatori. Soprattutto ci si
rese conto di questo, che fino ad allora la musica elettronica che si era
sviluppata in circa dieci anni e che sembrava aver raggiunto il massimo
sviluppo, tanto da sembrare ad alcuni apparentemente esaurita, era invece
ancora da incominciare, cioè una conoscenza dei mezzi e, soprattutto, delle
caratteristiche intrinseche al materiale elettronico, era ancora da indagare nei
suoi particolari. Allora si rimise in discussione tutti i parametri musicali sia
classici, che quelli eventualmente da scoprire, dato che i mezzi nuovi non sono
una maggiorazione di quelli tradizionali, ma sono veramente qualche cosa di
nuovo che non ha più limiti di natura meccanica; allora invece di accumulare, si
separò e si analizzò.
Il metodo consisteva soprattutto in un tipo di organizzare del materiale che non
teneva conto tanto del cosa ma del come, e non si proponeva risultati di ordine
musicale e, diciamo, artistico ma semplicemente un'indagine sulla percezione e
sull'allargamento della percezione, dato che si offrivano all’ascoltatore migliaia
di frequenze invece che centinaia di suoni e centinaia di intensità, proposte
naturalmente in decibel, invece passando dai pianissimi per quanto con quattro
“p”, ai fortissimi con cinque “f” che non avevano niente di preciso.
Diciamo che questa sede di studi ogni volta si focalizzava su qualche parametro
particolare, si chiamasse glissando, si chiamasse ritmo, si chiamasse timbro,
non risultò mai come un risultato finale con conseguenze estetiche, ma soltanto
come una serie di studi e di ricerche che avevano un carattere diciamo quasi
parascientifico.»
DOMENICO GUACCERO
«La nascita del nostro studio si può dire che sia la conseguenza anzi, una delle
conseguenze, di più che un decennio di musica elettronica a Roma; la sua
denominazione appunto deriva dalle sette persone che vi hanno concorso alla
sua costituzione che sono i cinque compositori Walter Branchi, Franco
Evangelisti, Egisto Macchi, Gino Marinuzzi oltre che me e i due tecnici Guido
Guiducci e Paolo Ketoff.
Lungi dall'affermare con questo che l'interesse per la musica elettronica a
Roma si esaurisca in questi nomi, cito fra gli altri Gelmetti, Di Blasio, Clementi,
Vlad, Bertoncini, Sifonia, oltre agli americani che risiedono a Roma, credo che
per noi sia stato decisivo il fatto che ci siamo sempre occupati di organizzazione
musicale e quindi a un certo momento abbiamo inteso unire le nostre forze, non
solo per la nostra attività personale, ma per fornire ai colleghi uno strumento di
lavoro, anche se modesto per ora, che fosse a diretta disposizione.
Ora faccio una breve storia appunto, prescindendo dai fatti personali, dal mio
giudizio personale, dalla mia collocazione personale, (quello verrà dopo), e
quindi mi devo riferire ai precedenti cioè, per esempio, al fatto che il
compositore Marinuzzi, l'ingegner Ketoff ed io siamo quelli rimasti dal gruppo
che diede vita nel '57 allo Studio dell'Accademia Filarmonica Romana, ma già
precedentemente sia Ketoff che Marinuzzi avevano fatto delle esperienze per la
produzione di nuove apparecchiature e “tape music”. Ricordo ancora i contatti
avuti nel ‘56 da Evangelisti e me con Berio e Maderna, che allora avevano
costituito lo Studio di fonologia musicale a Milano, ma già qualche anno prima
Evangelisti si occupava in Italia, e fuori anche, di musica elettronica, poi nel
’56-‘57 lavorò allo studio della radio di Colonia, dove realizzava un pezzo che
veniva notato in partitura, ed è il secondo pezzo pubblicato e notato dopo lo
studio secondo di Stockhausen. Successivamente Ketoff e Marinuzzi
approfondirono la ricerca per la costruzione di apparecchi sintetizzatori e così,
intorno al ’60, veniva costruito il Fonosynth che è un sintetizzatore appunto, e
pochi anni dopo una nuova apparecchiatura del genere più maneggevole fu
progettata e costruita da Ketoff cioè il Synket.
D'altra parte io e Macchi ci occupavamo del mezzo elettronico usato come
musica concreta, viva, dal vivo come amplificazione di strumenti tradizionali
oltre che occuparci di teatro musicale da camera, come è nel nostro attuale
momento. Poi l'anno scorso l'incontro con i più giovani Branchi e Guiducci, che
sono rispettivamente un compositore e un tecnico, veramente faceva un po'
coagulare queste sparse forze intorno ad un programma comune.
Io credo che specialmente dopo quello che è stato detto dai miei colleghi di
questa tavola rotonda, nel panorama italiano la nostra posizione trovi un po' una
ragion d'essere, in primo luogo quella che possiamo dire logistica, geografica, di
servire una zona dove pullulano delle iniziative frammentarie e dove, sia perché
c'è una certa indifferenza pubblica a riguardo, o perché invece c'è veramente
una possibilità di utilizzazione musicale per il consumo, come per esempio il
cinema, l'unica via che si era aperta in un primo momento era quella di mettersi
insieme fra privati. Questa credo che possa essere un'alternativa
all'organizzazione all'altra cioè quella di avere alle spalle un finanziamento di un
grosso ente.
Inoltre, accanto allo studio ufficiale della Rai di Milano e a quello di Firenze, di
Torino, di Padova, che sono orientati, mi pare, più verso una ricerca pura,
scientifica quasi, noi potevamo un po' caratterizzarci proprio per gli apporti e le
sperimentazioni personali di tutti noi.
Intanto noi abbiamo inteso lasciarci aperta la possibilità di liberi indirizzi di
ricerca e quindi anche estetici in questo senso, perché ciascuno potesse
operare secondo il proprio talento; possibilità quindi di dedicarsi alla tape music
tradizionale, al nastro quindi, che all'esecuzione dal vivo e perciò per esempio
una collaborazione col Gruppo di Improvvisazione, di cui è animatore
Evangelisti, e con la Compagnia del Teatro Musicale di cui ci occupiamo Macchi
ed io. Nonché la formazione di un'attrezzatura adatta proprio a questo scopo,
cioè allo scopo della musica viva, dal vivo; possibilità inoltre di realizzare
musiche d'arte, diciamo, e musiche di consumo, cioè al fine di autosostentarsi,
privi come siamo di altri aiuti esterni; e infine il laboratorio per esperienze di
elettroacustica e per la costruzione di nuovi apparecchi.
Ora il nostro studio si è costituito solo in marzo, quindi siamo veramente neonati
ufficialmente, c'è stato un primo apporto di strumenti personali e se ne sono già
acquistati altri in nome collettivo, ma siamo in pieno disordine di
improvvisazione e di espansione in questo momento, e credo che si potrà
raggiungere un certo standard di apparecchiature soltanto fra qualche mese.
Nel frattempo io credo una delle cose che noi vogliamo fare veramente è di
promuovere degli scambi di esperienze fra i vari studi italiani e stranieri perché
veramente nel nostro campo in questo momento niente è più utile di un
atteggiamento di ricerca disinteressata sul modello della scienza alla fine.»
ALB.: «…sono già emerse le caratteristiche dei rispettivi studi. Dovendo proprio
sintetizzare potremmo rilevare questo, che gli studi di Firenze, di Torino, di
Padova, sono nati in un lavoro di ricerca sistematica di oggetti sonori, per
adoperare un'espressione della signora Rampazzi, mentre lo Studio di Roma
sviluppa soprattutto una ricerca di laboratorio, tendendo, in modo particolare,
alla canalizzazione immediata in quella che si può chiamare una musica di
consumo, cioè a una applicazione, o con il cinema, o con il teatro, della stessa
musica elettronica e coltivando, in modo particolare, l'improvvisazione a
contatto con i sintetizzatori.
Da parte sua lo Studio di Milano, nell'attesa di sviluppare anche settori
propriamente di ricerca, è mobilitato assiduamente da compositori che
approfittano delle apparecchiature eccezionali, particolari dello studio stesso,
per la loro produzione.
Sono emersi già dalle esposizioni dei compositori e dei cultori di musica
elettronica qui riuniti alcuni punti fondamentali. Si potrebbe incominciare da
questo: avvertiamo come in questo ambito musicale è stato aperto l'accesso a
non musicisti con pari diritti di cittadinanza che ai musicisti propriamente detti,
cioè a persone in possesso di nozioni di musica tradizionale. E questo a livello
della didattica, ma che a livello propriamente compositivo. Il maestro Grossi ci
aveva dato dei cenni in questo senso, e il maestro Paccagnini ci aveva detto
appunto come lo Studio di Milano fosse disponibile anche ai non musicisti.
Vogliamo rivolgerci al maestro Paccagnini per chiarirci proprio le differenze che
può aver constatato a questo riguardo.»
ALB.: «Già l'intervento del maestro Grossi ci riporta a una distinzione, ricerca e
composizione, che un musicista come Paccagnini dà per scontata, ma che, per
esempio, Pietro Grossi tende ad annullare in un senso quasi di identificazione,
se non sbaglio, dei due termini.»
R.: «Si, appunto Tanto è vero che noi pensavamo di non parlare più di
composizione perché la composizione presuppone sempre una preparazione
esclusivamente musicale noi parliamo di produzione adesso, addirittura, e in
questo senso io penso che qualche volta quello che è stato chiamato
esecutore, l'ingegnere elettronico, anzi quello ci si chiama realizzatore delle
musiche ha delle facoltà creative che non hanno niente da invidiare a quella del
compositore.»
P.: «È già stato detto all'inizio proprio da me, che la differenza è nel modo con
cui i due differenti personaggi reagiscono: è chiaro che la loro differenza di
reazione è proprio in base alla differente preparazione intellettuale che ne
hanno ricevuto.»
ALB.: «Ecco, ma questo non determina affatto una graduatoria di ranghi, sul
piano dei risultati? Prego Paccagnini.»
P.: «Non è che si voglia fare una distinzione, in quanto si dovrebbe allora
parlare di prodotto in quanto valore, diciamo, estetico, qui non si sta discutendo
su valori estetici, ma si sta discutendo quali sono le eventuali reazioni di tutta
una vasta gamma di persone, dal giovane impreparato, diciamo, al grande
preparatissimo, invece. Le reazioni sono in ogni caso differenti perché la
formazione delle due categorie è evidentemente differente fin dalla base.»
GR.: «Io volevo dire questo, che la caduta della specializzazione nella musica è
dovuta all'inserimento di questi nuovi mezzi che chiamiamo elettronici. Ora,
ritengo che lo sviluppo di questi mezzi, l'ulteriore evolversi dei mezzi che noi
abbiamo a disposizione, provocherà un ulteriore caduta. Adesso noi
ammettiamo nello studio persone di una certa preparazione tecnica, anche se
non musicale; noi in avvenire non avremo possibilità di ammettere o no
persone, ad attingere ed alterare il mondo sonoro che hanno a disposizione,
perché sarà alla portata molto agevole per tutti e questo in base all’evolversi dei
mezzi elettronici. Con l'avvento dei calcolatori o di un'automazione più
perfezionata, dovremmo assistere a un'altra caduta: l'ingegnere elettronico, o
l'individuo preparatissimo in elettroacustica, non sarà più necessario per fare
una musica soddisfacente per chi l'ascolterà.»
Z.: «Io volevo chiarire: mi sembra che si faccia un po' di confusione in questo
campo. In base alle mie esperienze didattiche di questi due anni, ho potuto
constatare una cosa, che i ragazzi che si sono avvicinati al mio studio per
compiere queste ricerche, per conoscere che cos'è la musica elettronica, sono
tutti o quasi tutti di provenienza scientifica. Però hanno una, non solo un
infarinatura musicale, ma diversi si sono diplomati al conservatorio, insomma,
hanno una certa preparazione musicale abbastanza approfondita, il che mi fa
pensare che probabilmente tutti questi due elementi, sia di preparazione
scientifica, sia di preparazione, chiamiamola così, musicale, devono coincidere
affinché si possa lavorare in questo settore. Adesso può propendere di più uno
che sia preparato meglio nel campo scientifico, o uno preparato meglio nel
campo musicale, però non credo che si possa intervenire senza la minima
preparazione da un lato o dall'altro.
Poi ho notato anche questo, che di solito il musicista vede il fenomeno, nel
campo sonoro-elettronico, molto legato al comporre musica, cioè a fare proprio
il pezzo di musica, mentre invece chi ha una maggiore preparazione scientifica
cerca di vedere nel mezzo elettronico un mezzo per scoprire, per indagare
nuove possibilità. Io non voglio dire quale dei due è meglio, certamente
personalmente mi interessa di più il secondo caso, cioè, in fondo, scoprire un
mondo nuovo e catalogarlo, analizzarlo.»
R.: «Non direi che è più personale, direi che è più impersonale invece, il modo
di operare di chi proviene da facoltà scientifiche. Cioè, intanto è molto più libero,
è spregiudicato, non ha tabù estetici, non ha finalità espressive. Tutto questo mi
sembra che libera molto il suo modo di agire, di intervenire. Il musicista, per
quanto abbia la maggior buona volontà di essere impersonale, di astrarre da
qualsiasi finalità espressiva, non riesce perché è veramente condizionato.»
GU.: «Io sono d'accordo con Grossi quando dice che ci dovrebbe essere una
perdita della specializzazione, cioè, il musicista e il tecnico dovrebbero
veramente diventare al limite una stessa persona, una persona totale che
possa adoperare i mezzi senza esser trascinato o dall'una o dall'altra delle sue
specializzazioni.»
ALB.: «Vorremmo precisare un po' per i nostri ascoltatori due poli della
operazione musica elettronica, quali sono emersi dalla nostra discussione: da
una parte noi ci avviamo verso il calcolatore elettronico, dall'altra lo stesso
Guaccero ci parlava delle esperienze romane degli improvvisatori con i loro
sintetizzatori. Ecco, programmazione elettronica e improvvisazioni possono
apparire come termini antitetici di una gamma di possibilità della musica
elettronica?»
GU.: «Io non direi affatto, sono due canali, non opposti del senso che... anche
la stessa persona, io stesso sono interessato ad usare il computer quando ne
ho voglia e a fare delle improvvisazioni...»
Z.: «Questo mi sembra un po' assurdo in un certo senso. L'altra sera parlavo
con l'amico Grossi, con cui dicevo che sarebbe interessante, e mi riferisco al
progetto del calcolatore col terminale in casa, che ognuno facesse questi suoi
tessuti sonori programmati. Però su questi tessuti si può a sua volta intervenire
con improvvisazioni.»
GR.: «La programmazione col calcolatore che cosa vuol dire in pratica? Vuol
dire poter realizzare una quantità di materiale enorme che poi il fruitore può
impiegare a suo piacimento, può fare una scelta su questo materiale, quindi il
calcolatore è utile e prezioso per questo, perché permette di estendere
enormemente le nostre possibilità.»
GR.: «Credo che una delle strade tra le non trascurabili della musica elettronica
e del suo avvenire sia quella di non comunicare la musica agli altri, ma di
farsela per sé.»
ALB.: «A questo punto vorrei proprio che venisse precisato prima di chiudere la
nostra conversazione il problema di una fruizione nel senso proprio di una
applicazione, applicabilità della musica elettronica alle altre forme, per esempio
di spettacolo radiofonico, come diceva Paccagnini per l'esperienza di Milano,
oppure anche cinematografico, o teatrale. E in questo senso dovrebbe
emergere anche il problema della possibilità di combinare lo strumento
elettronico con altri strumenti, anche nello stesso ambito sonoro. Zaffiri, ci dica
lei a questo proposito.»
P.: «Se si parla in termini di produzione della musica elettronica a fini non
autonomi, vi sono fattori che non si possono dimenticare. I canali di consumo
vanno dalla rivista alla prosa, ai filmati, alle mostre, come diceva Zaffiri, e molte
molte altre possibilità, compreso quella di stimolare le mucche da latte. La
musica elettronica è usata anche per sfilate di modelle.
Si deve tenere presente che però, in questo caso, ci si pone il problema in
partenza: il settore A destinato, poniamo, alle mostre, richiede determinati
effetti, tiene conto di un certo ambiente, è chiaro ci si pone il problema della
musica non autonoma; il settore B prevede destinazione filmati, altro problema
di musica non autonoma, però in funzione di una certa figuratività del prodotto
filmato, ecc.. Perciò ci sono sempre differenti canali ma con differenti scopi.
Si può però anche constatare che uno stesso prodotto di musica elettronica può
coincidere e assolvere a tutti i compiti dei differenti canali. Si vuole perciò noi il
cui negare l'autonomia della musica elettronica? Però abbiamo anche
composizioni autonome piuttosto ben riuscite.
In generale si deve però dire che normalmente, fino ad oggi, le composizioni
meglio riuscite sono quelle che hanno fatto uso di voci o di strumenti combinati
con la musica prodotta con generatori di suoni. Questo non è ancora il
problema di musica elettronica registrata, e musica elettronica prodotta dal vivo,
oppure con strumenti tradizionali dal vivo.
La possibilità di combinare la musica elettronica con strumenti tradizionali è
stata sperimentata, Berio in particolare in Italia se n'è occupato e ha raggiunto
risultati notevolissimi, la possibilità di combinare la musica elettronica registrata,
con musica elettronica dal vivo la sta mandando avanti Stockhausen in
Germania, e i risultati sono altrettanto lusinghieri almeno come quelli di Berio.
Se ci poniamo il problema se la musica elettronica può diventare nel futuro
autonoma, allo stesso modo che autonoma è rimasta fino ad oggi e continuerà
forse ad esserlo la musica dei classici, è ben difficile rispondere perché, come
diceva la signora Ramazzi, in questo momento il prodotto è piuttosto limitato e
la durata stessa di questi prodotti è sempre molto limitata. Se si parla invece di
musica di consumo, alla stessa maniera che allora esiste un problema di
consumo della canzonetta, o delle operette nel passato, se si vuole, o della
musica da cabaret, il discorso è un altro.
Allora possiamo dire che la musica elettronica forse è sì una musica destinata
ad un consumo autonomo, però fino ad oggi i suoi successi maggiori li ha
ottenuti quando è subordinata ad altri scopi.»
GU.: «Io per non ripetere, concordo abbastanza con quello che ha detto sia
Zaffiri che Paccagnini, vorrei soltanto far rivelare che quando noi parliamo di
musica di consumo, a prescindere dai consumi un po' eletti, vale a dire a livello
artistico, noi vorremmo parlare di un consumo fino a un certo punto di massa.
Bene, è proprio a questo livello che la musica elettronica è un dato e di fatto
che sia adoperata. Per esempio addirittura nei complessi beat, l'Equipe 84 fa
della musica o fatti sonori con applicazioni su degli strumenti tradizionali di
accorgimenti elettronici.
Se questo può essere un utile per tutti quanti, aggiungerei anche questo, noi
siamo abituati a parlare sempre di musica elettronica e forse è il termine che ci
trascina, io distinguerei fra tape music, cioè la musica su nastro, che è tutta
un'altra cosa, e ingloberei la tape music entro tutto un circuito di quello che
possiamo chiamare musica per mezzi elettronici. Ora e mezzi elettronici vanno
dal calcolatore a tutta la gamma dei microfoni, a contatto o non a contatto, a
tutto quello che è prodotto tramite impulsi elettronici. Quindi, non dimentichiamo
poi che a livello fisiologico quello che arriva al nostro orecchio è anche un
impulso meccanico, cioè il movimento dell'altoparlante, e anche questo unifica
lo strumento tradizionale, avvicina lo strumento tradizionale allo strumento o
alla strumentazione elettronica.»