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Lezioni di diritto della previdenza sociale – R.

Pessi
CAPITOLO I: LA PREVIDENZA SOCIALE

Lo stato sociale Il terzo millennio ha acquisito il modello di capitalismo maturo delle democrazie
occidentali (il capitalismo consiste nel diritto degli individui di comprare e vendere, in un mercato
libero dal controllo statale, i fattori della produzione, cioè i beni e il lavoro) che si contrappone ai
sistemi totalitari. Per conservare il modello del capitalismo maturo è necessario raggiungere
l’obiettivo della liberazione dalla povertà, ma la protezione dei soggetti meno fortunati non si deve
realizzare a danno dell’equità, quindi bisogna sempre rispettare la dialettica equità – solidarietà.
Da sempre c’è stato uno scontro tra i sostenitori di 2 posizioni contrapposte:

- Coloro che ritengono che lo Stato debba compiere degli interventi sul mercato, che
comprimono la libertà del mercato stesso
- Coloro che ritengono che lo Stato non debba compiere interventi sul mercato, per lasciarlo
libero di raggiungere autonomamente il suo equilibrio

Stato sociale e previdenza sociale Il cuore dello Stato sociale è la previdenza sociale, che
risponde all’esigenza di tutelare i produttori di reddito di lavoro che si trovano in condizioni di
bisogno a causa di eventi che hanno menomato la loro capacità lavorativa. Questa esigenza era
sentita già dai tempi della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino fatta in
Francia nel 1793 e i primi interventi legislativi sul punto ci furono durante l’arco temporale che va
dagli ultimi decenni dell’800 ai primi decenni del 1900. Durante questi anni c’è stato il passaggio
dallo Stato di diritto (di matrice liberista) allo Stato sociale (di matrice interventista, che ha
introdotto il modello del capitalismo maturo). Nel 1948, la Dichiarazione universale dei diritto
dell’uomo proclamata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite riconobbe per la prima volta i
diritti sociali come indispensabili alla dignità dell’uomo e al libero sviluppo della sua personalità
(oltre ai diritti civili e politici; tutti e 3 fanno parte dei diritti umani). Il bisogno veniva considerato
come il principale ostacolo dello sviluppo della persona umana, dunque la sua liberazione veniva
considerata un passo essenziale per lo sviluppo della persona umana.

Dobbiamo sottolineare che l’azione dello Stato sociale non si esaurisce nella previdenza sociale;
questa è solo una sua parte. Il fenomeno dello Stato sociale viene tradizionalmente studiato
facendo riferimento a 4 aree:

- Paesi scandinavi
- Area anglosassone
- Europa continentale
- Europa meridionale

La nozione di previdenza sociale Prima di dare una definizione di previdenza sociale


dobbiamo fare riferimento al concetto di DIRITTI PREVIDENZIALI e DIRITTI SOCIALI. Queste 2
categorie di diritti sono accomunate dal fatto che per la loro soddisfazione non è sufficiente la
garanzia di esenzione da interventi esterni (cosa che basta invece per assicurare la tutela dei diritti
di libertà), è necessario che lo Stato intervenga positivamente. Entrambi sono DIRITTI
FONDAMENTALI riconosciuti dalla Costituzione. La loro differenza sta nel fatto che:

- DIRITTI PREVIDENZIALI: il cittadino viene considerato in quanto produttore di reddito da


lavoro. Viene tutelato in caso di assenza di questo reddito con un intervento che consiste in
un trasferimento della ricchezza che sostituisce parzialmente o integralmente il reddito
perduto
- DIRITTI SOCIALI: il cittadino viene considerato in quanto persona umana e la tutela consiste
nel permettergli di usufruire di prestazioni o servizi volti a prevenire lo stato di bisogno o a
garantirne la soddisfazione. => Il confine tra queste 2 categorie di diritti è mobile, perchè è
mobile la stessa nozione di previdenza sociale. Per es alla materia “sanità” possiamo
ricollegare sia il diritto sociale alla salute che il diritto previdenziale all’indennità da
malattia. Tali diritti vengono riconosciuti per garantire a tutti i cittadini delle pari
opportunità per essere artefici del proprio destino, per permettere ad ognuno di produrre
il proprio reddito di lavoro.

Sistema previdenziale e modelli ordinamentali Vediamo a questo punto, in un’ottica


diacronica che tiene conto delle fasi storiche attraversate dai vari ordinamenti, i modelli che si
sono affermati nel corso del tempo per soddisfare i bisogni dei produttori di reddito da lavoro. Il 1°
modello che si affermò in tutti gli ordinamenti europei, a partire da quello tedesco, è stato il
MODELLO BISMARKIANO o OCCUPAZIONALE, che prende il nome da Bismark, cioè il cancelliere
che lo introdusse in Germania. Tale modello è anche noto come modello delle assicurazioni sociali
e consisteva nell’imposizione di un onere assicurativo limitato alle attività pericolose (cioè quelle
che potevano generare infortuni sul lavoro). Consisteva nel ripartire tra i soggetti che svolgevano
attività di questo tipo i contributi per finanziare questo sistema, quindi erano gli stessi interessati
ad autofinanziarsi. Questo modello è sopravvissuto in molte democrazie occidentali grazie al suo
successo, in quanto è idoneo ad offrire la tutela sociale a coloro che presentano determinati
requisiti (oggettivi e soggettivi) e ad erogare delle prestazioni che siano proporzionate ai contributi
apportati. Successivamente si affermò il MODELLO BEVERIDGIANO (che prende il nome da un
politico inglese), che è contrapposto al modello bismarkiano perchè si fonda su un’ideologia di
liberazione dal bisogno secondo un programma egualitario ed universale. L’affermazione di questa
ideologia portò ad emanare, in Italia, la legge sulla pensione retributiva (1969), basata non sui
contributi versati ma sull’ultima retribuzione percepita. Questo sistema si affermò in molti Paesi
europei e siccome comportava oneri crescenti e insostenibili generò una crisi in gran parte dei
Paesi che lo adottarono. Questa crisi non fu una crisi economica bensì una crisi in termini di equità,
per questo le organizzazioni rappresentative dei produttori di reddito iniziarono a promuovere una
riforma volta al ritorno del modello assicurativo. Per questo si affermò il MODELLO
CORRISPETTIVO, che consisteva nel considerare la contribuzione un modo per accantonare il
risparmio per gli eventi della vecchiaia, dell’invalidità e della morte. Questo modello appariva
coerente con la funzione della previdenza sociale.

Crisi economica globale e welfare Tutto il sistema che abbiamo descritto nel paragrafo
precedente si frammentò con la crisi economica globale del 2008 che colpì più di altri il nostro
Paese. L’integrazione economica che si era realizzata con l’UE in questo periodo entrò in crisi e se
obiettivo dell’UE era quello di uniformare le economie europee, si raggiunse il risultato opposto,
cioè quello di incrementare gli squilibri. La crisi è stata pagata soprattutto dai cittadini dei Paesi più
deboli, in termini di disoccupazione e riduzione dei servizi sociali e delle tutele. Per rispondere alla
crisi ci fu una serie continua di interventi legislativi accomunati da un filo conduttore: risparmiare
risorse per garantire la sostenibilità del sistema previdenziale ed assistenziale. Secondo Pessi ci
dovrebbe essere un ripensamento del Welfare (letteralmente significa “benessere”; tale termine
viene utilizzato come sinonimo di Stato sociale, espressione con cui si fa riferimento all’insieme
delle misure realizzate dallo Stato sociale per il benessere dei cittadini) e si dovrebbe passare
dall’attuale sistema ad ispirazione occupazionale ad un modello ad ispirazione universalistica,
perchè sono venute meno le premesse sui cui era nato il nostro modello di welfare, cioè:

- Crescita economica
- Società prevalentemente industriale (infatti ora non c’è più una società prevalentemente
industriale, cioè basata sulla manifattura, bensì una società post – industriale basata su
nuovi modi di produzione)
- La famiglia si è fortemente modificata, in quanto è meno stabile a causa della precarietà
dei matrimoni e le donne partecipano al mercato del lavoro

Inoltre ci sono altri fattori da non sottovalutare, come la crisi demografica, la modifica delle
aspirazioni e l’integrazione europea (che crea una situazione di interdipendenza economica tra
Stati che riduce i loro spazi di manovra).

Previdenza e assistenza sociale Possiamo dire che il sistema previdenziale si avvicina al


modello bismarkiano, perchè tale sistema viene finanziato dai suoi stessi beneficiari e c’è una
correlazione tra contribuzione, reddito di lavoro e prestazione, mentre il sistema dell’assistenza
sociale si avvicina al modello beveridgiano, in quanto è caratterizzato da un’ideologia
universalistica e solidaristica e viene finanziato dallo Stato, al fine di liberare i cittadini dai bisogni.
Tra previdenza e assistenza sociale ci sono dei punti in comune, per questo entrambe
compongono il cd sistema previdenziale: in entrambi i casi il destinatario della tutela è il
produttore di reddito e in entrambi i casi la tutela consiste in un trasferimento della ricchezza in
loro favore, erogando un reddito sostitutivo. L’assistenza sociale si colloca al confine tra
previdenza e diritti sociali.

Il modello costituzionale italiano La nostra Costituzione ha accolto gli obiettivi dello Stato
sociale enunciati nella Carta atlantica del 1941 e nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
del 1948. In tema di sistema previdenziale sono di fondamentale importanza:

- art 2 Cost: nella parte in cui dice che la Repubblica richiede l’adempimento di doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale
- art 3, 2° co, Cost: è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese => Questi 2 art riconoscono allo
Stato il compito di intervenire affinchè i cittadini abbiano pari opportunità e ai cittadini
l’obbligo di essere reciprocamente solidali.

Alcuni dei DIRITTI SOCIALI riconosciuti dalla Costituzione sono:

- DIRITTO ALLA SALUTE (art 32 Cost): la Repubblica tutela la salute come fondamentale
diritto dell’individuo e interesse della collettività, prevedendo la garanzia di cure gratuite
per gli indigenti
- DIRITTO ALL’ISTRUZIONE
- DIRITTO ALLA MATERNITà
- IL DIRITTO/DOVERE AL LAVORO riconosciuto dall’ART 4 COST: è un diritto riconosciuto a
tutti i cittadini, per cui bisogna promuovere le condizioni volte a renderlo efettivo. Ogni
cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta un’attività
che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

La legge 328/2000 aveva un progetto: la Repubblica doveva compiere interventi per migliorare le
qualità di vita e per promuovere pari opportunità e non discriminazione, nonchè per contrastare le
situazioni di disabilità, bisogno e disagio di qualunque tipo derivante da inadeguatezza del reddito.
È per questo che la riforma del titolo V della Cost attuata con legge costituzionale 3/2001 ha
modificato l’art 117 attribuendo allo Stato la legislazione esclusiva in materia di determinazione
dei livelli essenziali delle prestazioni inerenti a diritti civili e sociali. Il progetto della legge 328 non è
stato attuato e per questo la crisi ha prodotto sulle fasce più deboli della popolazione delle
conseguenze peggiori di quelle che ci sarebbero state se tale progetto fosse stato attuato.

La Costituzione, dopo i diritti sociali riconosce i DIRITTI PREVIDENZIALI e li suddivide in 2 gruppi:

- Quelli che riguardano l’assistenza sociale


- Quelli che riguardano la previdenza sociale in senso stretto

In tema di diritti previdenziali è di fondamentale importanza l’art 38 Cost: 1° comma (fa


riferimento all’assistenza sociale e da questo capiamo perchè prima abbiamo detto che
l’assistenza sociale fa da cerniera tra diritti previdenziali e diritti sociali): ogni cittadino inabile al
lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha il diritto al mantenimento e all’assistenza
sociale, il 2° comma (fa riferimento alla previdenza sociale): i lavoratori hanno il diritto di ricevere
mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e
disoccupazione involontaria.

SICUREZZA SOCIALE: comprende l’assistenza sociale e i diritti sociali, perchè racchiude gli
interventi ispirati da un’ideologia universale volti a garantire l’autosufficienza del cittadino. La
sicurezza sociale si propone il fine di liberare i cittadini dallo stato di bisogno.

La nostra Costituzione ha creato un sistema previdenziale flessibile: questo, secondo quanto


previsto dall’art 38, può essere gestito sia da organi dello Stato che dall’autonomia collettiva.
Possiamo notare che l’art 38 Cost è posizionato nella parte della previdenza complementare, che
fa da cerniera tra previdenza privata e previdenza obbligatoria.
CAPITOLO VII: IL SISTEMA GIURIDICO DELLA PREVIDENZA E DELL’ASSISTENZA
SOCIALE

Il sistema giuridico della previdenza sociale Con l’espressione “sistema giuridico della
previdenza sociale” facciamo riferimento a tutti i rapporti intercorrenti tra i soggetti che vogliono
realizzare la tutela previdenziale e assistenziale, quindi a:

- Rapporti tra Stato ed enti erogatori delle prestazioni


- Rapporti tra beneficiario ed ente erogatore => Questi rapporti, in particolare, sono al
centro del sistema della previdenza sociale.
- Rapporti tra ente erogatore e soggetti obbligati al finanziamento

Dobbiamo fare una distinzione tra RAPPORTO GIURIDICO PREVIDENZIALE e RAPPORTO GIURIDICO
ASSISTENZIALE.

Per quanto riguarda il RAPPORTO GIURIDICO PREVIDENZIALE, la dottrina tradizionale lo aveva


ricostruito dicendo che presenta una struttura analoga al rapporto di assicurazione privata, quindi
presenta uno schema unitario di rapporto trilaterale in cui entra in gioco il rapporto tra lavoratore
e istituto assicuratore, il rapporto tra lavoratore e datore di lavoro e il rapporto tra datore di
lavoro e istituto assicuratore. Dunque la dottrina tradizionale riteneva che il rapporto giuridico
previdenziale fosse un rapporto complesso ma unitario caratterizzato da sinallagmaticità tra
obbligazione contributiva e erogazione delle prestazioni previdenziali. A partire dagli anni ’60,
grazie soprattutto a Persiani, ci fu un’importante svolta culturale che determinò la rottura con la
dottrina tradizionale: secondo la nuova dottrina nel sistema previdenziale italiano bisognava
applicare il modello beveridgiano, quindi l’obiettivo doveva essere la liberazione dei cittadini dal
bisogno, erogando prestazioni uniformi per garantirgli, in conformità con l’art 38, 2° co, Cost
“mezzi adeguati alle loro esigenze di vita” e per garantire la realizzazione del principio di
eguaglianza sostanziale ex art 3, 2° co, Cost. Inoltre, con questo modello, si consentiva anche
l’applicazione dell’art 53, 1° co, Cost secondo cui ai finanziamento del sistema previdenziale
avrebbero dovuto concorrere tutti i membri della nazione in relazione alla loro capacità
contributiva. Applicando questo modello scompariva la distinzione tra previdenza ed assistenza in
quanto il modello beveridgiano spezza il collegamento tra obbligo contributivo e diritto alla
prestazione. L’applicazione di questo modello ha generato il dissesto finanziario del nostro Paese
perchè chiaramente in questo modo le risorse venivano distribuite in modo eccessivamente
generoso e lo stesso Persiani diceva che il sistema previdenziale non poteva occuparsi della
soddisfazione di interessi privati come per es l’interesse di conservare il tenore di vita raggiunto
durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, perchè per la soddisfazione di questi interessi non si
può ricorrere alla solidarietà generale. Per questi motivi, la riforma del 2011, che
fondamentalmente ha attuato la riforma del sistema pensionistico introdotta con una legge del
2005, ha reintrodotto la distinzione tra previdenza ed assistenza, quindi attualmente sono previste
2 diverse fattispecie: FATTISPECIE PREVIDENZIALE e FATTISPECIE ASSISTENZIALE.

Nella FATTISPECIE PREVIDENZIALE il diritto a ricevere la prestazione sorge solo se preesistono i


requisiti previsti dalla legge, che prevede un doppio requisito:
- Requisito assicurativo: l’avente diritto deve avere la qualità di produttore di reddito da
lavoro
- Requisito contributivo: l’avente diritto deve aver rispettato l’obbligo contributivo nel
periodo in cui ha prodotto il reddito di lavoro

Il RAPPORTO GIURIDICO PREVIDENZIALE sorge quando il produttore di reddito inizia a svolgere la


sua attività lavorativa, mentre il DIRITTO SOGGETTIVO ALL’OTTENIMENTO DELLA PRESTAZIONE
PREVIDENZIALE sorge solo quando si verifica l’evento che genera il suo stato di bisogno. Il bisogno
che vuole tutelare il sistema previdenziale è diverso da quello che vuole tutelare il sistema
assistenziale: in entrambi i casi viene effettuato un trasferimento della ricchezza che però, nel
sistema previdenziale, è volto a tutelare il soggetto che non può più svolgere la sua attività
lavorativa, temporaneamente o definitivamente, mentre nel sistema assistenziale il soggetto non
ha proprio un reddito. Il rapporto previdenziale è una FATTISPECIE COMPLESSA A FORMAZIONE
PROGRESSIVA DA CUI SCATURISCE IL DIRITTO ALLA PRESTAZIONE. In questa fattispecie i requisiti
per l’acquisto del diritto si maturano nel corso del tempo ma il soggetto non ha un vero e proprio
diritto a che si continuino a verificare sino al loro completamento tutti gli elementi.

La prestazione previdenziale che viene erogata nei confronti del soggetto per cui sorge il diritto
soggettivo può essere erogata a a tempo indeterminato (per es pensione di vecchiaia) o a tempo
determinato (per es indennità di maternità) e in questo 2° caso può anche avere un termine finale
incerto (fino a che perdura lo stato di bisogno).

Il rapporto previdenziale presenta 2 caratteristiche fondamentali:

- È obbligatorio
- È necessario => sono 2 caratteristiche strettamente connesse tra loro, cioè il rapporto
previdenziale è obbligatorio proprio perchè è necessario per garantire il rispetto dell’art 38,
2° co, Cost.

Invece, il RAPPORTO GIURIDICO ASSISTENZIALE è una fattispecie semplice perchè il diritto sorge
semplicemente quando si verifica un singolo fatto materiale. In questo caso vengono tutelati i
cittadini privi di reddito che sono impossibilitati a procurarselo. In alcuni casi è previsto che lo
stato di bisogno del soggetto venga accertato, e possono essere previsti accertamenti fisici,
psichici oppure economici. In questo caso abbiamo talvolta una fattispecie pur sempre a
formazione istantanea ma complessa, come per es quando viene erogata la prestazione in caso di
disoccupazione.

Il sistema giuridico e la Corte costituzionale Nel diritto previdenziale è di fondamentale


importanza il ruolo della Corte costituzionale perchè i diritti previdenziali e i diritti assistenziali
sono tutelati dalla Costituzione. Con le sentenze additive ha esteso l’ambito soggettivo delle
prestazioni previdenziali e assistenziali, stabilendo per es la tutela del lavoro italiano all’estero o
estendendo la tutela antinfortunistica a particolari categorie di lavoratori. Il lavoro della Corte
costituzionale è stato difficile, perchè questa ha dovuto tener conto dell’evoluzione della società
civile in relazione a questi valori. Per es, la Corte ha dovuto affrontare il problema della legittimità
di enti privati che si occupano di queste prestazioni, e nel corso del tempo è arrivata ad affermare
che tali prestazioni possono essere legittimamente gestite sia dallo Stato che da enti privati o
comunque di altro tipo. Ovviamente l’autonomia regolativa di questi enti deve sempre e
comunque rispettare la normativa nazionale. La Corte ha affermato che è legittimo che ci siano
discipline diverse in relazione a diverse realtà lavorative , però ovviamente le discipline
irrazionalmente disparitarie sono illegittime. Sentenze importanti che ci fanno capire come la
Corte sviluppa i suoi ragionamenti relativi a queste tematiche sono quelle inerenti all’indebito
pensionistico. La Corte ha definito legittima la legge che stabilisce che i pensionati Inps non
devono ripetere gli indebiti pensionistici percepiti prima di una certa data se inferiori ad una certa
soglia economica (la legge consente la sanatoria dell’indebito per il pensionato che ha agito in
assenza di dolo per gli indebiti maturati entro il 31 dicembre del 2000), dall’altro ha stabilito che
questa disciplina non può essere applicata a tutti i pensionati, perchè non si possono comparare
sistemi previdenziali diversi, cioè quello di lavoratori dipendenti da datori privati e quello di
lavoratori dipendenti da p.a.

La Corte si è pronunciata anche sulla legittimità degli interventi legislativi di interpretazione autentica e/o
con efficacia retroattiva e ha affermato che tali interventi debbano essere considerati legittimi perchè la
Costituzione vieta solo la retroattività delle leggi penali. Tuttavia in questi casi bisogna prendere in
considerazione i diritti quesiti e il legittimo affidamento. Inizialmente la Corte dava grandissima importanza
alle aspettative, quindi era arrivata ad affermare che la riduzione della pensione attesa dovesse essere
considerata irragionevole. Questo atteggiamento nei confronti delle aspettative ha prodotto effetti negativi
sull’equilibrio finanziario e si aprì un periodo di contrapposizione tra Corte costituzionale e legislatore, in
cui la Corte ricopriva il ruolo di garante dei pensionati e dei cittadini. Tuttavia, poichè iniziarono a
presentarsi esigenze di contenimento della spesa pubblica, la Corte cambiò il suo orientamento e iniziò ad
attribuire meno importanza alle aspettative. La Corte è arrivata a costruire una nozione di prestazione
adeguata, cioè prestazione proporzionale alla qualità e quantità del lavoro svolto e dei contributi versati.
Nel corso del tempo la nozione di prestazione adeguata è stata modificata e attualmente questa viene
considerata come quella prestazione proporzionale ai bisogni primari. In ogni caso, la Corte tollera gli
interventi che incidono negativamente sulle aspettative solo nella misura in cui questi siano temporanei e
straordinari, cioè solo se questi servono per tener conto di questo periodo di carenza di risorse; superata
questa fase, in ogni caso, questi interventi dovranno essere considerati illegittimi. Per questo nel 2015 la
Corte ha definito illegittimo il blocco delle perequazioni previsto per il biennio 2012 – 2013, perchè questo
intervento era privo del carattere della provvisorietà e inidoneo ai fini del contenimento della spesa
pensionistica.

La Corte si è pronunciata più volte sul tema delle assicurazioni per infortuni sul lavoro e malattie
professionali e proprio in relazione a ciò è nato il concetto di danno biologico. Altre pronunce ci
sono state in tema di ammortizzatori sociali. In queste materie, la Corte ha sviluppato un pensiero
estensivo. In tema di ammortizzatori sociali, per es, ha riconosciuto il diritto del lavoratore alla
percezione dell’indennità di disoccupazione in caso di dimissioni per giusta causa, equiparate alle
dimissioni non volontarie.

Si è pronunciata sulla tutela degli extracomunitari per l’accesso a prestazioni assistenziali. Ha


dichiarato illegittime le norme che prevedono che le prestazioni siano condizionate alla titolarità
del permesso di soggiorno Ce di lungo periodo. Le prestazioni devono essere concesse a tutti gli
stranieri regolarmente soggiornanti in Italia anche se privi del permesso di soggiorno Ce di lungo
periodo, ma questi devono avere il permesso di soggiorno da almeno 1 anno. La Corte ha
dichiarato illegittime anche le norme che consentono l’accesso ai servizi sociali soltanto se c’è
stato un periodo minimo di residenza nel territorio in cui i servizi vengono erogati.

La Corte ha svolto una funzione di fondamentale importanza per definire le competenze legislative
in campo sociale di Stato e Regioni. Lo Stato deve stabilire i livelli essenziali delle prestazioni e le
Regioni devono occuparsi soprattutto della tutela della salute, della sicurezza del lavoro e dei
servizi assistenziali.

Infine, possiamo dire che la Corte ha svolto una funzione fondamentale per l’integrazione
dell’ordinamento nazionale con quello comunitario. Per garantire la primazia del diritto europeo,
ha riconosciuto la diretta applicabilità delle norme europee che riguardano questa disciplina. Ha
affermato l’obbligo del legislatore di recepire le norme delle convenzioni internazionali e di
rispettare le indicazioni della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali.

Il sistema delle fonti nazionali e internazionali I diritti previdenziali e i diritti sociali sono
tutelati da un insieme di fonti, che vengono suddivise in:

- Fonti internazionali
- Fonti comunitarie
- Fonti regionali
- Fonti nazionali

Partiamo dalle FONTI INTERNAZIONALI. Queste sono anche dette FONTI UNIVERSALI e con questa
espressione facciamo riferimento agli atti promanati da organismi internazionali che compiono
delle azioni che vincolano tutti gli Stati. Tra questi organismi sono particolarmente importanti:

- OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro): Dal 1919 è nata come organo associato alla
Società delle nazioni e poi è sopravvissuto allo scioglimento della Società delle nazioni
stessa. Questo organismo opera attraverso:
o Risoluzioni: sono delibere che hanno efficacia interna e riguardano l’organizzazione
dell’OIL
o Raccomandazioni: per mezzo di questi atti sollecitano iniziative degli Stati
o Convenzioni: diventano vincolanti per gli Stati membri solo se questi le ratificano,
ma non sono obbligati a ratificarle

Tra gli atti più importanti dell’OIL ricordiamo:

 Convenzione sulla soglia minima di sicurezza sociale


 Convenzione sulla parità di trattamento tra cittadini e stranieri in tema di
sicurezza sociale
- ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite): Tra gli atti più importanti dell’ONU dobbiamo
ricordare:
o Dichiarazione universale dei diritto dell’uomo
o Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali
o Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna.

Sono fonti internazionali anche:

- Accordi e convenzioni con Paesi extracomunitari


- Accordi di associazione o di cooperazione dei Paesi extracomunitari con l’UE => Con questi
2 tipi di accordi il nostro Paese ha tutelato la posizione previdenziale dei cittadini che
lavoravano o soggiornavano all’estero e la posizione degli stranieri che lavoravano o
soggiornavano nel territorio nazionale.

RAPPORTO TRA ORDINAMENTO NAZIONALE E NORME CONVENZIONALI DI DIRITTO


INTERNAZIONALE: la Corte costituzionale ha affermato che sussiste l’obbligo per il legislatore
ordinario di conformarsi alle Convenzioni. Il giudice deve interpretare la norma interna in maniera
conforme alla Convenzione e in caso di contrasto deve investire della questione la Corte
costituzionale.

ORGANISMI REGIONALI: organismi che intervengono solo su Stati che appartengono ad una
determinata area geopolitica e sono:

- UE: questo è l’organismo regionale più importante. L’UE è nata con il Trattato di Maastricht
del 1992 e attualmente gli Stati membri sono 28. Nella nostra materia, l’UE è importante
perchè garantisce la libera circolazione del lavoratori all’interno degli Stati membri, il
divieto di discriminazione per motivi fondati sulla nazionalità e stabilisce che le discipline
nazionali devono essere coordinate. Il Consiglio, la Commissione e il Parlamento sono le
istituzioni dell’UE e hanno il compito di coordinare e armonizzare le politiche sociali. Le
fonti secondarie più importanti sono i REGOLAMENTI, che sono direttamente applicabili
negli Stati membri. Sono fonti secondarie anche le DIRETTIVE, che però a differenza dei
regolamenti hanno effetto normativo indiretto perchè vincolano gli Stati in relazione al fine
da raggiungere ma li lasciano liberi nella scelta dei mezzi. Gli Stati hanno l’obbligo di dargli
attuazione ma queste non sono direttamente applicabili. All’interno della direttiva viene
indicato il termine massimo per la sua attuazione e se questo termine viene superato e lo
Stato risulta inadempiente la Commissione avvia la procedura d’infrazione dinanzi alla
Corte di Giustizia. Le direttive hanno il compito fondamentale di armonizzare gli
ordinamenti degli Stati membri, per questo la loro produzione è amplissima, specialmente
nella nostra materia. Tra le fonti secondarie abbiamo poi le DECISIONI, che hanno carattere
individuale, cioè sono vincolanti solo per i loro destinatari, le RACCOMANDAZIONI e i
PARERI, che hanno solo influenza politica sugli Stati membri. Viene considerata una fonte
normativa anche la GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA, che deve assicurare la
corretta interpretazione ed applicazione del diritto comunitario.
L’azione dell’UE deve rispettare il cd PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’, quindi l’UE può
intervenire solo se gli Stati non sono in grado di raggiungere da soli gli obiettivi assegnati.
Il RAPPORTO TRA NORMATIVA COMUNITARIA E NORMATIVA NAZIONALE è retto dal
PRINCIPIO DELLA PRIMAZIA DEL DIRITTO COMUNITARIO, per cui il diritto nazionale deve
obbligatoriamente conformarsi al diritto comunitario. In caso di violazione di quest’obbligo
viene aperta una procedura di accertamento dinanzi alla Corte di Giustizia. Il giudice
nazionale ha l’obbligo di disapplicare la norma interna che si pone in contrasto con la
norma comunitaria. La norma interna non viene abrogata o eliminata, viene
semplicemente disapplicata. Inizialmente la Corte costituzionale non era d’accordo con
questo modus procedendi e riteneva che in caso di contrasto si dovesse sollevare una
questione dinanzi ad essa, ma successivamente si è adeguata a questo orientamento della
Corte di Giustizia. Le fonti comunitarie dotate di efficacia orizzontale (o diretta) sono le
norme dei trattati e i regolamenti e la tesi maggioritaria ritiene che se scade il termine per
dare attuazione alle direttive che dettano norme incondizionate e puntuali, a queste
bisogna riconoscere efficacia verticale, quindi l’inadempimento potrà essere fatto valere
solo nei confronti dello Stato inadempiente, non nei confronti di altri privati.
- Consiglio d’Europa: è un'organizzazione internazionale il cui scopo è promuovere la
democrazia, i diritti umani, l'identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi
sociali in Europa. E’ stato istituito a Londra nel 1949 per salvaguardare i comuni ideali e lo
sviluppo dei Paesi aderenti, che attualmente sono 47. Stipula le convenzioni, che diventano
vincolanti per gli Stati solo dopo la loro ratifica. La Convenzione più importante è la CEDU
(Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà
fondamentali) che è stata firmata a Roma nel 1950. Importanti anche la Carta sociale
europea, il Codice europeo di sicurezza sociale e la Convenzione europea di sicurezza
sociale
- OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). L'organizzazione
svolge prevalentemente un ruolo di assemblea consultiva che consente un'occasione di
confronto delle esperienze politiche, per la risoluzione dei problemi comuni,
l'identificazione di pratiche commerciali e il coordinamento delle politiche locali e
internazionali dei paesi membri. È nata nel 1961 e ha sostituito l’Organizzazione europea
per la cooperazione che era stata istituita nel 1948 per dare attuazione al Piano Marshall,
volto a ricostruire gli Stati distrutti dalla guerra.

LEGISLAZIONE ORDINARIA: è di fondamentale importanza per dare attuazione ai principi


introdotti dalla Costituzione e dalle fonti internazionali e comunitarie. I provvedimenti legislativi
che si sono susseguiti da fine 800 ad oggi hanno edificato il nostro sistema previdenziale. In
particolare dobbiamo ricordare la legge del 2012 che ha riscritto lo strumento della legge
comunitaria, stabilendo che in essa devono essere contenute le previsioni che autorizzano il
Governo ad attuare le direttive con i regolamenti e i principi che Regioni e Province autonome
devono rispettare per esercitare le loro competenze. Questa l. prevede che il CNEL è l’organo che
deve assicurare il coinvolgimento delle parti sociali e delle categorie produttive nella formazione
della posizione italiana su iniziativa dell’UE.

NORME REGIONALI: La legge costituzionale 3/2001 ha riformato il Titolo V della Costituzione e in


particolare l’art 117, ampliando le competenze delle Regioni (soprattutto di quelle a statuto
ordinario). Tale art prevede che lo Stato abbia competenza legislativa esclusiva in materia di diritto
del lavoro, di previdenza sociale, di determinazione dei livelli minimi delle prestazioni essenziali e
le Regioni hanno competenza concorrente in materia di tutela e sicurezza del lavoro, tutela della
salute, previdenza complementare ed integrative ma anche in queste materie lo Stato deve
stabilire i principi generali e fissare i livelli essenziali delle prestazioni. Inoltre, le Regioni e le
Province autonome possono concorrere, nelle materie di loro competenza, al processo di
formazione degli atti normativi e al processo di attuazione degli accordi internazionali e della
disciplina dell’UE. Lo Stato può delegare alle Regioni il compito di occuparsi delle materie di sua
competenza. Gli enti locali (Comuni, Province e Città metropolitane) possono svolgere delle
funzioni amministrative proprie e dotarsi di risorse autonome. Le Province autonome di Trento e
Bolzano hanno il potere di disciplinare gli ammortizzatori sociali (integrando o sostituendo la
disciplina nazionale) ma devono sempre e comunque rispettare i livelli essenziali delle prestazioni.

Abbiamo poi le cd FONTI MATERIALI, tra cui rientrano l’AUTONOMIA COLLETTIVA (con cui
facciamo riferimento alla contrattazione collettiva nazionale), l’AZIONE
AMMINISTRATIVA(l’amministrazione, nella prassi, ha fatto fronte a veri e propri vuoti normativi) e
la GIURISPRUDENZA (i giudici ordinari e amministrativi hanno superato dubbi e lacune
dell’ordinamento. Le loro pronunce hanno formato orientamenti che si sono consolidati nel corso
del tempo ed hanno formato il cd diritto vivente. Una delle tematiche più importanti di cui si sono
occupati è il collegamento tra fonti nazionali e fonti estere dei Paesi extracomunitari in materia
previdenziale. Sul punto hanno elaborato 2 principi: il 1° è il PRINCIPIO DELLA TERRITORIALITA’,
che esclude la concorrenza tra l. italiana e l. straniera sia in senso attivo [cioè la l. italiana non può
estendere la sua efficacia al di fuori dei confini nazionali] sia in senso passivo [cioè la l. straniera
non può estendere la sua efficacia nel nostro ordinamento]. A causa del principio della
territorialità per un certo periodo non poterono essere tutelati i lavoratori che avevano svolto la
loro opera all’estero, per questo la Corte costituzionale elaborò il PRINCIPIO DELLA PERSONALITA’
(il 2° a cui abbiamo fatto riferimento) secondo cui la disciplina deve essere estesa anche ai
lavoratori che svolgono attività lavorativa all’estero ma alle dipendenze di un’impresa italiana).

I soggetti erogatori della prestazione previdenziale Al centro del sistema per l’erogazione
della prestazione previdenziale c’è lo Stato. Art 38 Cost: 1. Ogni cittadino inabile al lavoro e
sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. 2. I
lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita
in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. 3. Gli inabili e i
minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. 4. Ai compiti previsti in
questo art provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. 5. L’assistenza privata è
libera. => il 4° comma di questo art stabilisce che lo Stato può svolgere questi compiti sia
direttamente che indirettamente, tramite enti strumentali che possono essere pubblici o privati
ma che in ogni caso devono rispettare il modello legale. Soprattutto nell’ultimo decennio, lo Stato
ha abbandonato il modello della gestione diretta e ha privilegiato la gestione per mezzo di enti
pubblici, cioè gli enti previdenziali, i più importanti dei quali sono l’INPS e l’INAIL. Tra i soggetti che
svolgono un importante funzione di amministrazione attiva per l’erogazione delle prestazioni di
previdenza e assistenza sociale bisogna ricordarne anche altri 3:
- Ministero del lavoro: Svolge attività di vigilanza, organizzazione e direttiva sugli enti che
erogano le prestazioni assistenziali e previdenziali. A livello centrale si articola in un
Segretario generale e 10 direzioni generali, a livello territoriale in direzioni territoriali del
lavoro e direzioni interregionali che svolgono funzioni di vigilanza sulla corretta
applicazione delle leggi e dei contratti collettivi. Le direzioni territoriali ed interregionali
cesseranno di operare quando sarà operativa l’Agenzia di ispettorato nazionale del lavoro,
che è stata introdotta per semplificare l’attività di vigilanza. L'Ispettorato nazionale del
lavoro (INL) è un'agenzia del governo italiano istituita in base al decreto legislativo 14 settembre
2015, n. 149 che si occupa della tutela e della sicurezza sul lavoro.
L'attività e il funzionamento dell'agenzia sono regolati dal decreto istitutivo e dallo Statuto.
Quest'ultimo è stato emanato con il Decreto del Presidente della Repubblica 26 maggio
2016, n. 109. Ha iniziato a operare dal 1º gennaio 2017.
In realtà le direzioni non spariranno, semplicemente diventeranno articolazioni di questa
Agenzia e continueranno ad avere le competenze che hanno sempre avuto. Presso il
Ministero del lavoro operano la COVIP (commissione di vigilanza sui fondi pensione) e il
Casellario centrale delle pensioni e il Casellario centrale degli infortuni.
- Ministero della salute: Controlla il Servizio sanitario nazionale e le Regioni. A capo del
Ministero della salute c’è l’Istituto superiore di sanità.
- Ministero dell’economia: Controlla i finanziamenti che lo Stato rende agli enti che si
occupano della gestione e dell’erogazione delle prestazioni previdenziali ed assistenziali.
- Ministero degli interni: Si occupa degli interventi straordinari e dell’adempimento degli
Accordi internazionali e dei rapporti con gli organismi stranieri ed internazionali.

Un’importante funzione di controllo sugli enti che si occupano della previdenza viene svolta dalla
Commissione parlamentare di controllo sugli enti gestori.

Le Regioni hanno la competenza in materia sanitaria e operano tramite le Agenzie sanitarie, che
compongono il Servizio sanitario nazionale.

INPS: acronimo che sta per Istituto Nazionale di Previdenza Sociale. È l’ente gestore della maggior
parte delle prestazioni previdenziali ed assistenziali. Ha carattere generale, perchè si occupa di
tutti i lavoratori subordinati, autonomi e associati caratterizzati da una debolezza socio –
economica derivante dalla loro subordinazione. L’INPS gestisce, a favore di questi soggetti, le
assicurazioni sociali obbligatorie per invalidità, vecchiaia ecc e quelle facoltative. Eroga l’assegno
sociale ai cittadini anziani che si trovano in disagiate condizioni economiche, l’assegno per il nucleo
familiare, la pensione ai soggetti che svolgono lavori non retribuiti. È dotata di un fondo di garanzia
con cui, in caso di insolvenza del datore di lavoro, paga il tfr e le ultime mensilità di retribuzione.
Il trattamento di fine rapporto (TFR), comunemente noto come "liquidazione" o "buonuscita", è la
somma che il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore nel momento della cessazione,
per qualsiasi motivazione, del rapporto di lavoro subordinato. Il TFR matura durante lo
svolgimento del rapporto di lavoro e riveste carattere retributivo, costituendo quella parte di
retribuzione accantonata il cui pagamento è differito al momento della cessazione del rapporto
stesso. L’INPS si articola in gestioni, dotate di propria autonomia economico – patrimoniale.
INAIL: acronimo che sta per Istituto Nazionale per l’Assicurazione e gli Infortuni sul Lavoro. Come
l’INPS ha competenza generale. Gestisce l’assicurazione per gli infortuni e le malattie professionali
e cerca di prevenire l’evento danno. Compie accertamenti sui lavoratori infortunati.

Nel sistema previdenziale operano gli ISTITUTI DI PATRONATO, che sono associazioni che hanno
personalità giuridica di diritto privato che però svolgono una funzione pubblica. Assistono
gratuitamente i lavoratori e i loro aventi causa e sono finanziate da un fondo che si trova presso il
Ministero del lavoro. Assistono i lavoratori italiani, stranieri e apolidi.

Infine, un riferimento deve essere fatto alla Magistratura ordinaria e amministrativa, che si occupa
di tutelare lavoratori e datori. La magistratura amministrativa si occupa dei casi in cui la l. non
riconosce un diritto soggettivo bensì un interesse legittimo, mentre quella ordinaria si occupa della
tutela dei diritti soggettivi. La Corte dei conti si occupa delle pensioni dei pubblici dipendenti e
delle pensioni di guerra.

I datori di lavoro Nel sistema previdenziale questi hanno un ruolo centrale. Hanno sia un ruolo
passivo (perchè sono i destinatari dell’obbligazione contributiva) che un ruolo attivo (perchè
svolgono compiti per la realizzazione della tutela previdenziale dei loro dipendenti). Devono
garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro e sono controllati sia da organi pubblici che dagli stessi
lavoratori. in diritto previdenziale, la nozione di datore di lavoro è più ampia di quanto non lo sia in
diritto del lavoro; con questa espressione si fa riferimento a qualsiasi persona fisica o soggetto
pubblico che è titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore e abbia la responsabilità
dell’impresa o dello stabilimento. Quindi in questa nozione, oltre al datore di lavoro in senso
tecnico, sono ricompresi per es gli appaltatori, i subappaltatori, gli affittuari ecc. E’ il soggetti
passivo responsabile del pagamento dei contributi, sia di quelli a suo carico che di quelli posti a
carico del lavoratore. l’obbligo contributivo dipende dall’inquadramento del datore di lavoro che
viene fatto solitamente dall’INPS. Il datore ha obblighi di comportamento, come per es l’obbligo di
tutelare la salute e l’integrità psico – fisica dei lavoratori, l’obbligo di erogare un’indennità in caso
di infortunio, malattia, gravidanza e puerperio e altri. Il datore è anche obbligato ad erogare
alcune prestazioni in luogo dell’ente, salvo poi il successivo conguaglio.

I soggetti protetti nei rapporti previdenziali e assistenziali Il rapporto previdenziale


differenzia i soggetti assicurati. Innanzitutto possiamo dire che nel corso del tempo è stato esteso
l’ambito soggettivo a tutti i produttori di reddito da lavoro, mentre inizialmente la tutela
previdenziale veniva applicata solo ai lavoratori subordinati e alle fattispecie contigue
caratterizzate da analoga debolezza sociale (per es i soci di cooperative di lavoro). Il primo
tentativo di estensione dell’ambito soggettivo è stato compiuto all’interno della stessa categoria
dei lavoratori subordinati, così il primo passo fu quello di estendere la tutela previdenziale anche
agli impiegati, ai quadri e ai dirigenti. Successivamente, con le discipline speciali, c’è stata
un’ulteriore estensione. Ovviamente, nonostante l’estensione dell’ambito soggettivo, ci sono
ancora delle categorie escluse dalla tutela previdenziale, come per es quella dei volontari o dei
lavoratori occasionali. La tutela previdenziale, seppur molto lentamente, è stata estesa anche al
lavoro autonomo; la l. definisce i lavoratori autonomi come quei soggetti che, per professione
abituale ancorchè non esclusiva, svolgono attività di lavoro autonomo. L’obbligo assicurativo è
stato esteso anche ad alcune fattispecie contigue al rapporto di lavoro, come per es agli alunni e ai
docenti o a coloro che abitano in luoghi in cui si svolgono attività di lavoro pericolose. È stata
stabilita l’assicurazione obbligatoria per coloro che svolgono, in ambito domestico, attività
finalizzate alla cura delle persone che costituiscono il proprio nucleo familiare. L’estensione ha
riguardato anche categorie socialmente meritevoli, come i detenuti che svolgono attività
lavorativa o il clero e i parlamentari.

Possiamo dunque notare che il rapporto di previdenza sociale, nel corso del tempo, ha superato i
suoi confini naturali perchè sono stati introdotti nuovi soggetti protetti.

È stato introdotto l’istituto del cumulo di periodi assicurativi a fini di conseguimento della
pensione di vecchiaia, che permette a coloro che sono iscritti presso 2 o + forme di assicurazione
obbligatoria di cumulare i periodi assicurativi. insieme a totalizzazione e ricongiunzione il cumulo è
una delle tre soluzioni che consente di sommare i contributi versati in diverse gestioni. Più
precisamente, grazie al cumulo, è quindi possibile per il lavoratore che abbia versato contributi a
enti previdenziali diversi di sfruttare per intero il proprio patrimonio contributivo, senza tuttavia
sborsare le somme (a volte notevoli) previste per la ricongiunzione, o dover attendere un anno e
mezzo per intascare l’assegno, come previsto invece per la totalizzazione.

I soggetti protetti sono anche i familiari del produttore del reddito di lavoro.

Per quanto riguarda l’Età, ai fini dell’instaurazione del rapporto assicurativo l’assicurato deve
avere l’età prevista per l’ammissione al lavoro, quindi almeno 15 anni salvo le autorizzazioni
concesse dalla direzione provinciale del lavoro a coloro che hanno meno di 15 anni per svolgere
attività culturali, artistiche, sportive, pubblicitarie o nel mondo dello spettacolo. Il rapporto si
instaura automaticamente quando si verifica un presupposto di fatto, cioè quando il soggetto
svolge una prestazione di lavoro per cui la l. prevede l’obbligo assicurativo (anche se questa
prestazione è nata da un contratto nullo o annullabile). Per la tutela previdenziale è fondamentale
l’inquadramento del datore e la dimensione dell’impresa. La nazionalità non influisce sulla tutela
previdenziale; invece la tutela assistenziale si rivolge solo ai cittadini che devono versare in uno
stato di bisogno, che deve essere previamente accertato e il parametro essenziale per compiere
questo accertamento è la povertà. Il diritto comunitario prevede la non erogabilità, al di fuori dello
Stato di residenza, delle prestazioni assistenziali definitive e a tempo indeterminato e sempre il
diritto comunitario sta realizzando una spinta per riconoscere le prestazioni assistenziali anche ai
residenti non cittadini.

CAPITOLO VIII: L’OBBLIGAZIONE CONTRIBUTIVA E IL FINANZIAMENTO

Finanziamento ed obbligo contributivo Il finanziamento del sistema previdenziale è


disciplinato da una normativa frammentaria perchè gli interventi normativi anzichè esser fatti in
un’ottica unitaria, di volta in volta sono stati effettuati solo per rispondere alle esigenze dei casi
concreti che si presentavano. L’assicurazione sociale è un rapporto giuridico che serve per tutelare
le situazioni economico – sociali prese in considerazione dall’art 38 Cost, che enuncia che i
lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita
in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria. L’assicurazione
sociale riprende lo schema del contratto di assicurazione, ma al posto del premio (previsto nel
contratto di assicurazione) nell’assicurazione sociale abbiamo il contributo previdenziale
obbligatorio che viene pagato dal soggetti protetto e/o dal fruitore della prestazione previdenziale.
La prestazione previdenziale non è finanziata solo tramite l’obbligazione contributiva ma anche
con l’intervento finanziario dello Stato, perchè una parte del gettito della fiscalità generale è
destinata al suo finanziamento. L’intervento finanziario dello Stato, ordinariamente, si realizza per
mezzo di trasferimenti di bilancio, straordinariamente, si realizza per mezzo di anticipazioni di
tesoreria. Quindi possiamo dire che il sistema previdenziale presenta una struttura mista, perchè
in parte è finanziato dallo Stato, in parte dall’obbligazione contributiva. Il fatto che ci sia
l’intervento dello Stato non altera la struttura del sistema, perchè in ogni caso per riconoscere il
diritto alla prestazione deve esserci stato l’adempimento dell’obbligo contributivo. L’intervento
dello Stato non è importante perchè si tratta solo di scelte di politica economica. A causa di questo
intervento possiamo dire che il sistema previdenziale non è caratterizzato solo da solidarietà
categoriale (perchè non viene finanziato solo tramite coloro che appartengono alla categoria che
poi beneficerà della prestazione previdenziale) ma anche da solidarietà generale, perchè viene
finanziato con le risorse dell’intera collettività, che vengono utilizzate per tutelare specifici gruppi
di produttori di reddito da lavoro. Quando c’è l’intervento dello Stato e l’esonero dal pagamento
dell’obbligazione contributiva previsto per alcune categorie di soggetti passivi, in ogni caso
l’intervento dello Stato opera riconoscendo figurativamente e/o automaticamente l’adempimento
dell’obbligazione contributiva (cioè si ricorre ad una fictio iuris e si procede come se il soggetto
passivo avesse effettivamente adempito l’obbligazione, anche se l’adempimento c’è stato grazie
allo Stato). Questo sistema è simile a quello adottato nel Regno Unito; uno dei suoi pregi è
l’elasticità, uno dei suoi difetti la mancanza di trasparenza.

Abbiamo detto che una parte dell’erario è destinata al finanziamento del sistema previdenziale.
Altra parte è destinata al contrasto alla disoccupazione. Il diritto comunitario ha introdotto, per
tutti i Paesi membri, il divieto di introdurre misure che possano alterare la libera concorrenza e per
questo motivo è sorto il problema degli aiuti di Stato: questi sono leciti purchè non alterino le
condizioni della concorrenza e le controversie che li riguardano sono devolute alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo.

La natura dell’obbligazione contributiva L’obbligazione contributiva sorge quando sorge un


rapporto di lavoro, quindi la condizione richiesta per la sua nascita è la stessa richiesta per la
nascita del rapporto previdenziale. La dottrina ha ampliamente dibattuto sulla natura
dell’obbligazione contributiva (la giurisprudenza non si è mai più di tanto posta questo problema
perchè si è sempre limitata ad applicare semplicemente la legge). La dottrina maggioritaria
riteneva che l’obbligazione contributiva non potesse essere considerata il corrispettivo della
prestazione previdenziale, ma nel corso del tempo questa conclusione è stata superata,
evidenziando il profilo della corrispettività tra contributi e prestazioni. Tuttavia, evidenziare questo
profilo non risolve il problema del capire quale sia la natura dell’obbligazione contributiva. La
dottrina si è soffermata su 2 caratteristiche dell’obbligazione contributiva:
- Obbligatorietà ex lege
- Non esclusività nel finanziamento delle prestazioni previdenziali => A causa di queste
caratteristiche una parte della dottrina ha affermato che l’obbligazione contributiva sia un
tributo imposto dalla legge per soddisfare un interesse pubblico. Questa tesi, però, non è
condivisibile, perchè l’obbligazione contributiva serve per soddisfare interessi privati. La
macrocategoria dei tributi è composta da tasse (e l’obbligazione contributiva non può
essere considerata una tassa perchè la tassa è volontaria, mentre l’obbligazione
contributiva è obbligatoria), contributi speciali (vengono fatti pagare a determinati soggetti
per il fatto che traggono un vantaggio da certi servizi pubblici) e imposte (l’obbligazione
contributiva non può essere considerata tale perchè l’imposta deve interessare tutta la
collettività nazionale). Apparentemente si potrebbe accogliere la tesi secondo cui
l’obbligazione contributiva dovrebbe essere considerata un’imposta speciale: l’imposta
speciale viene fatta pagare a determinate categorie di persone e sono destinate a soggetti
che hanno un particolare interesse. Tuttavia anche questa tesi non può essere accolta,
innanzitutto perchè non prende in considerazione la pluralità di obbligazioni contributive,
in secundis perchè cerca di ricondurre l’obbligazione contributiva al diritto tributario, cosa
che non deve esser fatta, perchè la Corte costituzionale lo ha escluso. Infatti la fonte dei
contributi non è l’art 53 Cost (“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in
ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di
progressività) bensì l’art 38, 2° co Cost (“I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed
assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e
vecchiaia, disoccupazione involontaria”).

Escluse tutte queste tesi, possiamo dire che l’obbligazione contributiva non è riconducibile a figure
preesistenti, è una categoria autonoma che presenta proprie peculiarità.

L’adempimento dell’obbligo contributivo Caratteristiche dell’obbligazione contributiva:


- Inderogabilità: l’autonomia privata non può prendere decisioni rispetto ad essa. Può essere
disciplinata solo dalla legge
- Personalità: il soggetto obbligato viene individuato dalla legge e può essere il produttore di
reddito da lavoro e/o il fruitore della prestazione lavorativa (quindi il datore, il
committente ecc)
- Solidarietà: ci sono dei casi di responsabilità solidale, per es il datore di lavoro deve
provvedere all’adempimento dell’obbligazione per il lavoratore salvo il diritto di rivalsa che
gli viene riconosciuto
- Indivisibilità: il pagamento dovuto per un certo periodo di riferimento non può essere
frazionato.

Il datore di lavoro ha l’obbligo di denunciare periodicamente il proprio debito contributivo (in


questo caso possiamo parlare di dichiarazione di riconoscimento di debito). Gli enti previdenziali
hanno un privilegio generale sui beni mobili del debitore e in caso di infruttuosa esecuzione sui
beni mobili hanno un privilegio sugli immobili (nella soddisfazione sul P degli immobili sono
preferiti rispetto ai creditori chirografari). Inoltre i crediti degli enti previdenziali sono esonerati
dalla revocatoria fallimentare. I crediti si prescrivono in 5 anni, quindi i debitori non possono
subire accertamenti per vicende troppo risalenti nel tempo. I crediti sono tutelati con misure
processuali (l’impianto processuale è strutturato proprio per favorire la soddisfazione del credito:
per es è previsto che il Tribunale competente per queste controversie è quello del luogo in cui ha
sede l’ufficio dell’ente previdenziale) e amministrative. L’Agenzia denominata Ispettorato
nazionale del lavoro, nel momento in cui diverrà operativa, acquisterà poteri di vigilanza, insieme
all’Inps e all’Inail. Gli organismi a cui vengono riconosciuti i poteri di vigilanza hanno poteri di
ispezione e di accesso ai locali aziendali, poteri di acquisire informazioni su tutti i soggetti coinvolti
ecc. L’Ispettorato ha anche un potere preventivo, perchè può promuovere l’attività di conciliazione
che ha una funzione di prevenzione e deflazione del contenzioso. Per contrastare l’evasione fiscale
e contributiva è previsto un meccanismo di scambio di informazioni incrociate tra enti. Sono
previste misure premiali per il corretto adempimento e misure punitive dell’inadempimento. In
caso di inadempimento sono previste sanzioni civili (cioè obbligazioni che sorgono
automaticamente dopo l’inadempimento e che crescono dinamicamente a seconda della gravità
dell’inadempimento stesso) e amministrative (quando vengono violate norme in materia di
previdenza, tutela e sicurezza nei luoghi di lavoro). Nonostante l’intervento di depenalizzazione
che ci fu nel 1999, residuano sanzioni penali (previste per es in caso di omissione o falsità di
registrazioni o denuncie obbligatorie volte all’evasione contributiva) che però entro 3 mesi sono
sanabili con l’adempimento operoso. In caso di versamento indebito dei contributi previdenziali
sorge un indebito oggettivo, quindi il soggetto che ha versato l’indebito può esercitare l’azione di
ripetizione per farsi restituire il maggior importo versato. L’azione di ripetizione deve essere
esercitata dal datore anche per la quota di contributi gravante sul lavoratore. L’azione di
ripetizione deve essere esercitata entro 5 anni dall’accertamento dell’indebito. Il pagamento
effettuato in buona fede ad un ente previdenziale pubblico diverso da quello effettivamente
titolare del credito ha effetto liberatorio ma il percettore deve trasferire la somma incassata
all’ente competente.

I soggetti dell’obbligazione contributiva Per quanto riguarda il SOGGETTO PASSIVO,


dobbiamo subito sottolineare che non è detto che il soggetto obbligato al pagamento del
contributo corrisponda al beneficiario della prestazione. In ogni caso, il soggetto obbligato al
pagamento del contributo effettua il pagamento nell’interesse del destinatario della tutela, quindi
ci troviamo in presenza di un’ipotesi di adempimento del terzo i cui effetti si producono
direttamente in capo al beneficiario. Per quanto riguarda il SOGGETTO ATTIVO, non è detto che ci
sia coincidenza tra enti creditori ed enti erogatori della tutela. Il soggetto attivo è sicuramente
l’ente previdenziale (di volta in volta individuato dalla l., dall’autonomia collettiva o dall’autonomia
privata se la l. attribuisce al beneficiario la facoltà di scegliere tra diversi regimi previdenziali. In
questo caso al destinatario della tutela viene riconosciuto un diritto potestativo, con cui può
scegliere la tutela per lui più favorevole, e l’ente da lui prescelto sarà l’ente creditore). Da quanto
fin quì detto capiamo che l’obbligazione contributiva coinvolge innanzitutto 3 SOGGETTI:
SOGGETTO PASSIVO, BENEFICIARIO E SOGGETTO ATTIVO.
In caso di LAVORO AUTONOMO, la regola generale prevede che il SOGGETTO PASSIVO
dell’obbligazione contributiva sia il soggetto protetto, però la l. individua specifiche ipotesi in cui
l’obbligo contributivo grava non sul beneficiario bensì sul committente.

Il legislatore utilizza la tecnica di identificare, di volta in volta, i singoli e specifici legittimati attivi e
passivi. La l. identifica un solo soggetto passivo per semplificare la riscossione contributiva. In caso
di inadempimento dell’obbligazione contributiva il beneficiario (SE NON ERA ANCHE IL SOGGETTO
PASSIVO) non può pagarne gli effetti dannosi, quindi trova applicazione il PRINCIPIO DI
AUTOMATICITà DELLE PRESTAZIONI, secondo cui gli effetti dell’inadempimento sono neutralizzati
e il beneficiario ha comunque il diritto di ricevere la prestazione. Se invece beneficiario e obbligato
coincidono, in caso di inadempimento dell’obbligazione contributiva il beneficiario perde il diritto
di ricevere la prestazione previdenziale.

La modulazione degli obblighi contributivi L’art 23 Cost enuncia che nessuna prestazione
personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. In questo modo tale art
introduce una riserva di legge, il che vuol dire che l’obbligazione contributiva non potrà essere
imposta da un atto amministrativo. La riserva di legge viene rispettata anche se la legge si limita a
stabilire le condizioni che fanno sorgere l’obbligo contributivo lasciando alla p.a. il compito di
determinare il quantum. Spesso le aliquote sono state stabilite dagli stessi enti previdenziali che le
hanno modificate nel tempo per garantire l’equilibrio finanziario. C’è una miriade di aliquote,
perchè queste sono determinate prendendo in considerazione una molteplicità di fattori: attività
svolta, numero di dipendenti, collocazione dell’impresa sul territorio, appartenenza dei lavoratori
ad una determinata categoria (operai, impiegati ecc). L’aliquota è composta da una molteplicità di
voci contributive dette mini – aliquote. C’è un indirizzo di politica legislativa volto
all’uniformazione delle aliquote, sia all’interno del lavoro autonomo e subordinato che tra queste
2 grandi aree. Alcune categorie di lavoratori (per es i lavoratori agricoli subordinati, gli apprendisti
ecc) e di datori di lavoro (per es le imprese che si trovano in particolari territori disagiati come il
mezzogiorno) hanno diritto alla cd CONTRIBUZIONE AGEVOLATA, che consiste in una riduzione
dell’aliquota ordinaria. Ci sono dei casi in cui la minore contribuzione determina riduzione della
prestazione previdenziale e casi in cui gli effetti della minore contribuzione sono neutralizzati e
dunque comunque viene erogata la stessa prestazione che sarebbe stata erogata in caso di
contribuzione ordinaria. In questo secondo caso il fondo previdenziale copre le minori entrate. È
oggetto di dibattito stabilire se gli oneri connessi a queste agevolazioni debbano essere sopportati
dall’intera collettività o dal sistema previdenziale. Scarseggia la trasparenza perchè spesso le
categorie interessate sono chiamate ad una mutualità di cui non conoscono la destinazione e
quindi non riescono ad apprezzare la meritevolezza. Particolari ipotesi di modulazione
dell’obbligazione contributiva sono i PROVVEDIMENTI DI FISCALIZZAZIONE (con cui una parte del
bilancio dello Stato si assume l’onere di determinati tributi imposti per l. ai privati) e gli SGRAVI
CONTRIBUTIVI (che sono agevolazioni concesse ad imprese e datori di lavoro che accettano di
assumere alcune categorie di lavoratori o utilizzare determinate fattispecie contrattuali.
Consistono in riduzioni degli oneri che i datori devono corrispondere all’Inps e hanno l’obiettivo di
incentivare l’occupazione).
La modulazione dell’obbligazione contributiva dipende anche dall’inquadramento del datore di
lavoro, il quale ha varie implicazioni perchè incide anche sulle aliquote, sulle discipline applicabili,
sull’esistenza e sull’entità della prestazione.

Viene utilizzata la TECNICA DELLA RIPARTIZIONE DEGLI ONERI: i destinatari dell’obbligazione non
sono solo i lavoratori autonomi e i datori di lavoro ma anche i committenti e i lavoratori
subordinati che devono comunque contribuire al finanziamento del sistema. L’obbligazione
contributiva viene sospesa quando vengono a mancare le condizioni previste dalla legge per la sua
nascita e se le condizioni vengono a mancare definitivamente questa cessa definitivamente. Nei
casi normali, però, l’estinzione dell’obbligazione contributiva avviene a seguito del suo
adempimento oppure con la prescrizione.

L’obbligazione contributiva è caratterizzata da solidarietà di gruppo; si parla di solidarietà generale


quando lo Stato contribuisce al finanziamento del sistema previdenziale. La solidarietà generale
consiste anche nello scambio di risorse tra i vari enti che si occupano della gestione del sistema
previdenziale. Infine dobbiamo cercare di comprendere il senso dell’espressione “solidarietà tra
generazioni”: questa è rappresentata dal fatto che il nostro sistema previdenziale adotta il cd
sistema a ripartizione, che consiste nel fatto che la contribuzione versata svolge 2 funzioni: 1)
costituisce la provvista per la corresponsione delle pensioni in essere, 2) è uno dei parametri per
calcolare la pensione futura che spetterà al lavoratore a cui si riferisce l’adempimento. La
solidarietà tra generazioni si sta rompendo perchè il sistema previdenziale si trova in condizioni
sempre più critiche, così da non poter garantire alle giovani generazioni che oggi entrano sul
mercato gli stessi trattamenti assicurati ai pensionati delle generazioni passate.

La base imponibile e il computo della prestazione Per calcolare l’ammontare dei


contributi:

- In caso di LAVORO SUBORDINATO, bisogna prendere in considerazione l’ammontare della


RETRIBUZIONE, ma con retribuzione non intendiamo quella in senso civilistico (cioè il
compenso per l’opera prestata) bensì la cd RETRIBUZIONE IMPONIBILE. La nozione di
retribuzione imponibile è cambiata nel corso del tempo e attualmente viene definita come
“tutto” ciò che il lavoratore riceve dal datore in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi
ritenuta, a causa dello svolgimento dell’attività lavorativa (la parola “tutto” è rafforzata dal
fatto che dopo questa definizione viene fatto un elenco tassativo di voci sottratte dalla
retribuzione imponibile; queste voci non sono accomunate da nulla, sono singolarmente
previste dal legislatore per ragioni di convenienza (vedi pag 418). La retribuzione
imponibile non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi,
regolamenti, contratti collettivi o accordi collettivi o individuali (se questi ultimi prevedono
una retribuzione superiore a quella prevista dal contratto collettivo). Anche i datori non
vincolati al contratto collettivo (perchè non sono iscritti alle organizzazioni stipulanti o
perchè nel contratto individuale non c’è un rinvio esplicito al contratto collettivo o perchè
con comportamenti di fatto hanno fatto capire di non aderirvi) devono versare i contributi
previdenziali sulla base della retribuzione stabilita dall’autonomia collettiva. La legge
riconosce alla p.a. e ai contratti collettivi il potere di prevedere ulteriori voci da sottrarre
alla retribuzione imponibile (in quanto alla p.a., il Ministro del lavoro ha escluso i servizi di
mensa e di trasporto, in quanto ai contratti collettivi, questi hanno escluso per es il salario
di produttività che sarebbe un’erogazione ulteriore concessa al dipendente in caso di
aumento della produttività aziendale). La legge 335/1995 ha introdotto il cd MASSIMALE
CONTRIBUTIVO, che è il tetto retributivo oltre cui il reddito percepito non è soggetto a
contribuzione. Prima di questa l. non esisteva un limite massimo di retribuzione
assoggettabile a contribuzione, mentre questa l. ha stabilito tale limite, che è applicabile ai
lavori assunti dal 1° genn 1996
- In caso di LAVORO AUTONOMO bisogna prendere in considerazione il REDDITO PERCEPITO
=> possiamo dire che RETRIBUZIONE IMPONIBILE e REDDITO PERCEPITO rappresentano la
BASE IMPONIBILE A FINI PREVIDENZIALI.

Sono state unificate le nozioni di IMPONIBILE PREVIDENZIALE e IMPONIBILE FISCALE e tale


unificazione consiste nel fatto che la base imponibile della contribuzione previdenziale è la stessa
dell’imposizione tributaria, anche se tra le 2 cose ci sono delle differenze: l’imponibile tributario
riguarda le somme effettivamente corrisposte (dunque viene applicato il criterio di cassa),
l’imponibile previdenziale la retribuzione effettiva ma solo se non inferiore a quella prevista dai
contratti collettivi (dunque viene applicato il criterio di competenza) e le voci escluse
dall’imponibile previdenziale e da quello tributario non sono perfettamente identiche. In entrambi
i casi la riscossione coattiva avviene tramite i ruoli e per garantire l’adempimento sono previsti
obblighi (come per es l’obbligo di registrare le libro unico le caratteristiche dell’attività lavorativa,
quello di denunciare i lavoratori assunti e le rispettive retribuzioni. Questi obblighi sono previsti
anche per facilitare l’attività di accertamento del debito contributivo.

Tutela del beneficiario e vicende dell’obbligazione Abbiamo già detto che l’obbligazione
contributiva nasce quando si inizia a svolgere un’attività lavorativa; tuttavia è indispensabile, per
individuare il contenuto di questa obbligazione, comprendere le caratteristiche dell’attività
lavorativa per capire quale disciplina applicare. Capire i connotati dell’attività lavorativa è
fondamentale perchè per es per avere l’assicurazione contro infortuni e malattia l’attività deve
essere qualificabile come pericolosa vedi criteri pag 431. L’ente previdenziale deve provare, al
soggetto passivo, i fatti costitutivi delle pretese contribuzioni e il beneficiario deve provare tali fatti
costitutivi all’ente previdenziale e al soggetto passivo.

In caso di lavoro subordinato, affinchè sorga l’obbligazione contributiva è necessario non solo
l’instaurazione del rapporto di lavoro ma anche la sussistenza dell’obbligo retributivo, perchè se
per qualunque causa tale obbligo dovesse essere sospeso, sarà sospesa anche l’obbligazione
contributiva. L’obbligazione contributiva sorge automaticamente ex lege e non rilevano le
omissioni del datore.

In caso di lavoro autonomo, si è discusso se per la nascita dell’obbligazione contributiva sia


necessaria l’iscrizione all’albo o in elenchi. Attualmente si ritiene che anche nel lavoro autonomo il
presupposto è l’effettivo esercizio dell’attività lavorativa ma nel caso delle libere professioni in cui
per l’esercizio legittimo dell’attività è necessaria l’iscrizione all’albo anche questo è un
presupposto. Inoltre si è dibattuto sul fatto se tale iscrizione abbia natura dichiarativa o costitutiva
e la Cassazione ha affermato che ha natura dichiarativa.

Se un soggetto svolge contemporaneamente più attività lavorative, sorgono tante obbligazioni


contributive quante sono le attività svolte e si applicano le regole previste per le singole attività.

L’obbligazione contributiva ha un CONTENUTO COMPLESSO: c’è un’OBBLIGAZIONE PRINCIPALE


(consiste nell’obbligo contributivo) e numerose OBBLIGAZIONI ACCESSORIE previste per far
conoscere agli enti creditori le circostanze di fatto rilevanti per l’esistenza e l’ammontare
dell’obbligazione e per permettere al beneficiario di usufruire della prestazione. Se beneficiario e
obbligato non coincidono, sono previste molte obbligazioni accessorie per l’obbligato e gli stessi
enti previdenziali devono fornire al beneficiario informazioni sugli adempimenti contributivi
effettuati in loro favore (forniscono tali informazioni sia con comunicazioni periodiche che su
richiesta dei soggetti interessati. La Cassazione ha riconosciuto l’obbligo di risarcimento nel caso in
cui fossero fornite informazioni false). La Cassazione ha affermato che anche alle obbligazioni
contributive può essere applicato l’art 1189 c.c che prevede la liberazione del debitore anche in
caso di pagamento al creditore apparente e tale orientamento della Cassazione è stato recepito
anche dal legislatore.

Per facilitare l’adempimento dell’obbligazione principale è consentito il pagamento rateizzato (che


deve essere concesso dall’ente, con un provvedimento che emana d’ufficio o a seguito di una
domanda di condono), il conguaglio (cioè la compensazione tra debiti e crediti che però può
essere fatto solo in ipotesi tassative) e la cessione di crediti vantati nei confronti dello Stato o di
altri enti pubblici.

L’obbligazione contributiva è OBBLIGATORIA. Questa caratteristica non può assolutamente venir


meno se l’obbligato non corrisponde al beneficiario; al contrario, si può rinunciare, ma solo in
alcune ipotesi.

L’obbligazione contributiva è di fondamentale importanza per far completare la fattispecie


previdenziale, perchè questa si completa solo se matura la cd anzianità contributiva. La legge ha
introdotto diversi modi per acquisire tale anzianità se questa non dovesse essere acquisita col
modo normale, cioè lo svolgimento dell’attività lavorativa con conseguente produzione di reddito.
Tali modi sono:

1) Contribuzione figurativa: se ci sono stati dei periodi in cui il rapporto di lavoro è stato
legittimamente sospeso, con corrispondente legittima sospensione dell’obbligo retributivo,
i contributi per il rispettivo periodo vengono accreditati e quindi il danno dell’interessato
viene neutralizzato
2) Contribuzione correlata: consiste nel versamento di contributi, da vari fondi di solidarietà,
all’INPS presso cui è iscritto il lavoratore interessato ad una riduzione o sospensione
dell’attività lavorativa, per tutto quel periodo di sospensione o riduzione
3) Contribuzione volontaria: il beneficiario versa i contributi anche se non c’è un rapporto di
lavoro per completare la fattispecie previdenziale
4) Contribuzione da riscatto: il beneficiario versa i contributi per i periodi scoperti a fini
previdenziali ma questo è consentito solo se la l. ritiene meritevole il recupero di questi
contributi
5) Contribuzione da ricongiunzione: il beneficiario trasferisce i contributi versati in un fondo in
un altro fondo => num 3,4,5 sono facoltativi e in caso di inadempimento quindi non ci sono
sanzioni; inoltre non possono operare in presenza dell’obbligo contributivo e non possono
comportare un trattamento deteriore per il beneficiario. => Ci sono casi di lavoratori che
cambiano più volte attività lavorativa, trovando di volta in volta l’applicazione di regole
diverse. Per questo è stato introdotto il rimedio della ricongiunzione (che abbiamo appena
visto) ma anche altri rimedi, cioè:
- Totalizzazione: si contrappone alla ricongiunzione. In questo caso le posizioni assicurative
frazionate tra gestioni distinte vengono unificate ma mantenute presso le diverse gestioni.
La totalizzazione consiste nel fatto che ogni gestione calcola il trattamento spettante al
beneficiario secondo le proprie regole e poi gli apporti vengono presi in considerazione
tutti insieme. Questo istituto è stato introdotto dal diritto comunitario e si è affermato con
difficoltà nel diritto interno. La totalizzazione può essere applicata solo in caso di pensioni
di vecchiaia, anzianità, inabilità e per i superstiti e può essere applicata solo se il soggetto
ha almeno 65 anni e ha maturato un’anzianità contributiva di almeno 40 anni;
- Cumulo dei periodi assicurativi: I problemi emersi a seguito dell'adozione delle nuove
norme in materia di ricongiunzione onerosa (che vedevano numerosi lavoratori chiamati al
versamento di somme ingenti), hanno costretto il legislatore a intervenire
nuovamente sulla materia attraverso l'articolo 1, commi da 238 a 249, della L.
228/2012 (Legge di stabilità per il 2013). Tali norme intervengono in materia di
totalizzazione e ricongiunzione di contributi previdenziali, introducendo, in particolare,
una nuova modalità (gratuita) di cumulo (alternativa alle discipline esistenti) volta a
conseguire un’unica pensione sulla base dei periodi assicurativi non coincidenti posseduti
presso più forme di assicurazione obbligatorie, esclusivamente per la liquidazione del
trattamento pensionistico di vecchiaia, secondo le regole di calcolo previste da ciascun
ordinamento e sulla base delle rispettive retribuzioni di riferimento. è una specie di
totalizzazione semplificata che può essere applicata alla pensione di inabilità, di vecchiaia
per i soggetti provvisti dei requisiti anagrafici e contributivi previsti dalla legge 201/2011 e
ai superstiti di assicurato deceduto prima di aver acquisito il diritto a pensione. e che
permette agli iscritti presso 2 o + forme di assicurazione obbligatoria di cumulare i periodi
assicurativi per ottenere un’unica pensione. Ciascun gestore calcola quanto spetta al
beneficiario secondo le proprie regole e poi si cumula tutto.
- Trasferimento della posizione individuale da una gestione all’altra
- Contribuzione figurativa (già vista)

CAPITOLO IX: IL RAPPORTO PREVIDENZIALE E LA PRESTAZIONE

Costituzione e svolgimento del rapporto previdenziale Il rapporto giuridico previdenziale


inizia quando il produttore di reddito inizia la sua attività lavorativa e sorge automaticamente, ex
lege, anche se ci sono dei casi in cui al soggetto viene data la possibilità di decidere se far nascere il
rapporto: per es le persone che svolgono lavori di cura non retribuiti derivanti da responsabilità
familiari possono decidere sia se instaurare il rapporto previdenziale che l’entità dell’obbligazione
contributiva, anche se la l. stabilisce un minimale. Nei casi in cui viene riconosciuta questa libertà
al soggetto, il versamento dei contributi produce gli stessi effetti che produce nel caso dei rapporti
previdenziali che sorgono automaticamente ex lege.

Anche se il rapporto giuridico previdenziale sorge quando il produttore di reddito inizia la sua
attività lavorativa, dobbiamo precisare che IL RAPPORTO GIURIDICO PREVIDENZIALE è
AUTONOMO RISPETTO AL RAPPORTO DI LAVORO e la caratteristica dell’autonomia ci fa capire il
senso dell’art 2115, 3° co, c.c. che stabilisce che sono nulli i patti tra datore e lavoratore volti ad
eludere gli obblighi previdenziali, perchè le parti del rapporto di lavoro non hanno il potere di
rinunciare al rapporto previdenziale, in cui i loro obblighi sono inderogabilmente individuati dal
legislatore. Quella introdotta dall’art 2115, 3° co, è una garanzia negativa: siccome il diritto alla
tutela previdenziale soddisfa sia interessi privati che interessi pubblici, non può essere rimesso alla
libertà neanche del diretto interessato. Questo art riconosce il cd PRINCIPIO DI INDISPONIBILITà
DELLA PRESTAZIONE PREVIDENZIALE, che determina la nullità dei patti in tal senso (la nullità di
questo patto non incide sul rapporto di lavoro a causa dell’autonomia del rapporto previdenziale
dal rapporto di lavoro). L’art 2116, 1° co, c.c. sancisce il PRINCIPIO DELL’AUTOMATICITà DELLE
PRESTAZIONI PREVIDENZIALI: secondo questo principio quando le prestazioni previdenziali sono a
carico di forme obbligatorie di previdenza, sono dovute al beneficiario anche se il soggetto passivo
non ha versato i contributi. Quindi gli effetti dell’inadempimento, secondo questo principio, sono
neutralizzati rispetto al soggetto beneficiario. Questo principio, tuttavia, non opera in caso di
prescrizione del debito contributivo (il termine di prescrizione = 5 anni) a meno che il datore di
lavoro non sia sottoposto ad una procedura concorsuale ma, in questo caso, per l’operatività del
principio è necessario previamente accertare l’omissione contributiva del datore. Gli enti
previdenziali non possono accettare il pagamento di contributi prescritti. Il principio di
automaticità delle prestazioni non viene applicato in caso di lavoro autonomo, perchè in questo
caso coincidono beneficiario e obbligato e quindi si riconosce l’autoresponsabilità del soggetto per
il completamento del rapporto previdenziale (tuttavia anche in caso di lavoro autonomo
l’operatività di questo principio può essere riconosciuta se è presente la figura del committente).
Alcuni non sono d’accordo con l’inoperatività del principio in caso di lavoro autonomo, perchè
poichè il nostro sistema previdenziale, secondo loro, dovrebbe seguire il modello beveridgiano, la
prestazione deve essere corrisposta a tutti i cittadini che si dovessero trovare in uno stato di
bisogno anche in caso di loro inadempimento dell’obbligazione contributiva. Nonostante queste
voci di dissenso, di fatto, il principio di automaticità non si applica nell’ambito del lavoro
autonomo. In ogni caso, per garantire l’operatività di questo principio la prima cosa da fare è
evitare la prescrizione dei contributi, quindi la l. prevede che il beneficiario aiuti a garantire
l’adempimento del soggetto passivo (per questo per es è previsto il diritto del lavoratore di farsi
consegnare dal datore una copia del documento che ha consegnato agli enti previdenziali in cui
indica la retribuzione che gli corrisponde; il diritto del lavoratore di adire il giudice per accertare
l’esatto adempimento contributivo del datore o del committente; il diritto del lavoratore di
interpellare l’ente previdenziale per conoscere la propria posizione assicurativa; è previsto che il
beneficiario segnali all’ente previdenziale eventuali irregolarità). Proprio per tutelare il dovere di
collaborazione del beneficiario, è previsto che il termine di prescrizione dei contributi quando il
beneficiario fa le denunce può essere allungato. Inoltre presso l’INPS si trova il Casellario centrale
delle posizioni previdenziali attive, che ha il compito di verificare il regolare assolvimento degli
obblighi contributivi. Ovviamente gli stessi enti previdenziali svolgono un ruolo fondamentale per
garantire l’applicazione del principio di automaticità delle prestazioni: devono vigilare sul corretto
adempimento dell’obbligazione contributiva, recuperare le contribuzioni omesse e fornire al
beneficiario le informazioni corrette in merito alla sua posizione assicurativa. La Corte di
cassazione ha affermato che sorgerà la responsabilità dell’ente previdenziale se questo fornirà
informazioni errate e conseguentemente l’obbligo di risarcimento del danno. Sempre la Corte di
cassazione ha affermato che sorgerà la responsabilità dell’ente se questo, pur avendo ricevuto
denunce dal beneficiario, ha fatto prescrivere i contributi.

In caso di prescrizione della contribuzione non versata, il beneficiario può utilizzare 2 strumenti:

- Uno gli viene riconosciuto dall’art 2116, 2° co, c.c. ed è l’AZIONE RISARCITORIA. Tale art
enuncia che quando le istituzioni di previdenza e di assistenza a causa della mancata o
irregolare contribuzione non possono corrispondere in tutto o in parte le prestazioni
dovute, l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro =>
questa azione può essere esperita da tutti i beneficiari (quando il beneficiario non
corrisponde all’obbligato). La Cassazione ha affermato che questi soggetti acquisiscono
l’interesse ad agire nel momento in cui si verifica la prescrizione dei contributi. Il termine di
prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorre dal momento della perdita totale
o parziale della prestazione previdenziale. Quando viene esercitata l’azione risarcitoria
sono ammesse le transazioni tra le parti
- Uno gli viene riconosciuto dall’art 13 della l. 1338/1962 che riconosce al beneficiario la
possibilità di ottenere la ricostituzione della posizione assicurativa tramite il versamento
(effettuato dal datore oppure dal lavoratore, fatto salvo il risarcimento del danno) di un
importo = alla riserva matematica corrispondente alla quota di pensione persa a seguito
dell’omissione contributiva. La norma in esame, da la facoltà al datore di lavoro che abbia
omesso di versare i contributi previdenziali obbligatori, di chiedere all’Ente Assicuratore la
costituzione, a favore del lavoratore nei cui confronti si è verificata l’omissione
contributiva, di una rendita vitalizia riversibile pari alla pensione o quota di pensione che
spetterebbe al lavoratore stesso in relazione ai contributi omessi.
Per l’esercizio di tale facoltà è necessario che il datore di lavoro esibisca all’Ente
Previdenziale documenti di data certa dai quali possano evincersi l’effettiva esistenza e la
durata del rapporto di lavoro nonché la misura della retribuzione corrisposta al lavoratore
interessato.
La Corte Costituzionale (Sent. 568/89) ha dichiarato illegittima la norma che stiamo
esaminando nella parte in cui, salva la necessità della prova scritta sulla esistenza del
rapporto, non consente di provare altrimenti la durata del rapporto medesimo e
l’ammontare della retribuzione.
La disposizione che ci occupa, inoltre, attribuisce al lavoratore, per il caso in cui non possa
ottenere la costituzione della rendita da parte del datore di lavoro, la facoltà di sostituirsi al
datore stesso per l’esercizio della facoltà in discussione.
In entrambi i casi, per la costituzione della rendita devono essere versate all’Istituto
Previdenziale le somme dovute a tale titolo.
Anche questa azione può essere esperita ogni volta che il beneficiario non corrisponde
all’obbligato => le azioni riconosciute da questi 2 art riconoscono dei doveri di
collaborazione in capo al beneficiario. Si discute se considerare illegittima la concessione
dell’assegno sociale quando il beneficiario non esercita queste azioni oppure quando
esercita l’azione risarcitoria e percepisce il capitale senza poi investirlo nel risparmio
previdenziale. Sono 2 azioni alternative e non è concesso il mutamento della domanda
neanche nel corso del giudizio.

La l. può prevedere obblighi di comportamento a carico del beneficiario che si presentano come
condizioni di esistenza del rapporto previdenziale (per es in caso di lavoro autonomo, l’iscrizione
all’albo). Molti di questi obblighi sono previsti per la conservazione del rapporto previdenziale e
del diritto alla prestazione: per es, colui che percepisce una rendita da infortunio deve sottoporsi
ad opportune cure mediche perchè in caso contrario smetterà di percepire la rendita.

Nel corso del tempo è stato esteso l’ambito della tutela previdenziale: questa viene riconosciuta
oltre che per gli eventi indicati dall’art 38, 2° co, Cost (infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e
disoccupazione) anche per tutelare i familiari superstiti del lavoratore assicurato o per altre cose.
Si è anche attenuato il collegamento tra rischio e tutela previdenziale, tanto che la tutela in alcuni
casi viene riconosciuta anche quando lo stesso comportamento dell’assicurato ha concorso alla
produzione dell’evento generatore di bisogno.

Conservazione del rapporto e completamento della fattispecie La l. prevede degli


strumenti per consentire la conservazione e il completamento della fattispecie previdenziale:

- Contribuzione volontaria
- Contribuzione correlata
- Riscatto
- Ricongiunzione
- Totalizzazione
- Cumulo delle posizioni assicurative
- Trasferimento della posizione individuale da una gestione all’altra
- Contribuzione figurativa => tutte queste cose le abbiamo già viste nel capitolo prima

Completamento della fattispecie e opzioni del soggetto protetto Quando la fattispecie


previdenziale risulta completata e si verifica l’evento generatore di bisogno, il soggetto protetto
diventa titolare di un diritto soggettivo alla prestazione e ha la facoltà di scegliere il momento in
cui esercitare il diritto e le modalità di esercizio. Per es, una volta che il soggetto ha raggiunto l’età
pensionabile, ha un diritto di opzione: può decidere se proseguire il rapporto di lavoro o iniziare a
percepire la pensione. Questa è un’ipotesi di “mutamento del titolo”; ci sono anche altre ipotesi di
mutamento del titolo, come per es la trasformazione (e ricalcolo) dell’assegno di invalidità in
pensione di vecchiaia quando il soggetto raggiunge l’età pensionabile. Praticamente la l., quando il
soggetto ha maturato il diritto di ottenere una pluralità di prestazioni previdenziali, gli riconosce il
diritto al mutamento del titolo, cioè il diritto di optare per il trattamento più favorevole. Il principio
generale prevede che il mutamento del titolo sia possibile solo nei casi previsti dalla legge la le
ipotesi in cui esso è possibile sono state notevolmente ampliate dalla Corte costituzionale.

Supplementi di prestazione: la l. prevede che la fattispecie completa possa essere ulteriormente


arricchita dalla ripresa dell’attività di produzione di reddito da lavoro. in questo caso nasce
un’autonoma fattispecie derivata che dà al soggetto il diritto ad una prestazione che si presenta
come supplemento di quella originaria.

Concorrenza di rapporti: in questo caso in capo allo stesso soggetto concorrono diversi rapporti
previdenziali perchè egli svolge più attività lavorative diversamente qualificate (subordinate,
autonome ecc). In questi casi le prestazioni possono essere cumulate. Se invece in capo allo stesso
soggetto concorrono diversi rapporti previdenziali che però non si riferiscono tutti allo stesso
evento bensì ad eventi diversi, la l. può escludere la percezione di una delle 2 prestazioni per
assenza del bisogno. Per es se il soggetto percepisce contemporaneamente la pensione di
invalidità e quella per infortunio sul lavoro la l. può escludere la percezione di una delle 2. In ogni
caso, le cd discipline anticumulo nazionali devono rispettare il regolamento Ce del 1992 che
stabilisce i limiti di tali discipline. Il problema del cumulo è stato affrontato sotto 2 diversi punti di
vista:

- Cumulo tra diverse prestazioni previdenziali => abbiamo già visto cosa prevede la l. in
questo caso
- Cumulo tra prestazioni previdenziali e redditi da lavoro => Soprattutto grazie alla
giurisprudenza della Corte costituzionale, piano piano questa possibilità ha iniziato ad
essere ritenuta ammissibile.

Interventi compensativi: es di intervento compensativo si verifica in caso di indebito oggettivo


(consiste nel fatto che il contribuente, in buona fede, versa il contributo all’ente previdenziale
sbagliato) il contribuente è comunque liberato dall’obbligo contributivo. Altro intervento
compensativo è la validazione dell’indebito (consiste nel fatto che se l’accertamento del
versamento dell’indebito effettuato dal contribuente viene fatto dopo che sono passati 5 anni dal
versamento stesso, i contributi indebiti restano definitivamente acquisiti dalla gestione di
competenza e computati a tutti gli effetti nella posizione assicurativa dell’interessato>ci saranno
effetti sul diritto alla prestazione e sulla sua misura). La norma ha carattere eccezionale ed è di
stretta applicazione. Altri interventi compensativi sono quelli fatti per i lavoratori precoci e le
lavoratrici madri, oppure quelli a sostegno del lavoro a tempo parziale.

Il DIRITTO COMUNITARIO ha introdotto il PRINCIPIO DELLA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI


LAVORATORI: l’architrave di questo principio è rappresentata dal principio di totalizzazione dei
periodi di assicurazione e contribuzione, principio che permette al soggetto di usufruire di un’unica
prestazione previdenziale nel suo Paese di residenza. La libera circolazione è inoltre assicurata con
altri principi, come il principio di parità (che comporta l’equiparazione tra cittadini comunitari in
materia di sicurezza sociale. Conseguenza di questo principio è l’esportabilità delle prestazioni
previdenziali, che avviene in deroga al principio di territorialità delle legislazioni nazionali. È stata
abolita la clausola di residenza, quindi tutte le prestazioni pensionistiche che spettano ad un
soggetto in base alla legislazione di uno stato membro non possono essere ridotte, sospese o
revocate solo perchè il beneficiario trasferisce la residenza in un altro Stato membro diverso da
quello in cui ha lavorato o si trova l’ente debitore. Vige il principio di unicità della legge applicabile,
secondo cui i lavoratori che svolgono la loro attività nel territorio di uno Stato sono assoggettati
alla sua legislazione previdenziale, indipendentemente dalla loro residenza e dalla sede del datore
di lavoro. Questo principio serve per tutelare il principio di parità). Sempre per garantire la libera
circolazione ci sono disposizioni normative che riconoscono la validità di diplomi, certificati e altri
titoli conseguiti in altri Stati membri. Va infine ricordato il principio della lex loci domicilii, secondo
cui i cittadini economicamente non attivi, gli apolidi, i rifugiati e gli extracomunitari legalmente
residenti hanno il diritto all’erogazione delle prestazioni di sicurezza sociale nel luogo in cui hanno
eletto domicilio.

La prestazione previdenziale I diritti previdenziali sono diritti fondamentali, quindi sono:


- Personali
- Irrinunciabili
- Inalienabili
- Indisponibili: Vuol dire che gli interessati non ne possono disporre, infatti, come sappiamo,
la l. prevede la nullità di rinunce e transazioni che li riguardano. Nonostante la caratteristica
dell’indisponibilità, abbiamo visto che la l. riconosce ai soggetti protetti dei diritti di opzione
- Intrasmissibili
- Inviolabili

Quando si completa la fattispecie previdenziale, sorge il diritto al godimento della prestazione, che
è immediatamente azionabile anche se in alcuni casi sono posti degli oneri a carico
dell’interessato. Se non viene riconosciuta nessuna discrezionalità in capo alla p.a., l’atto di
riconoscimento è meramente dichiarativo, cioè si limita a riconoscere un diritto già sorto. C’è una
crescente tendenza normativa a limitare la concessione delle prestazioni previdenziali ad un
numero predeterminato di soggetti, per tutelare gli equilibri di bilancio, quindi si segnala una sorta
di affievolimento dei diritti fondamentali.

PRINCIPIO DELLA DOMANDA: affinchè l’interessato inizi a ricevere il trattamento pensionistico, è


necessaria la presentazione della domanda in sede amministrativa; se non presenta la domanda
perde il diritto.

Il diritto a pensione è imprescrittibile (inizialmente ciò era previsto solo per il pubblico impiego, poi
questa previsione è stata estesa). Il termine di decadenza per proporre l’azione in giudizio in caso
di prestazione pensionistica = 3 anni, in caso di prestazioni temporanee = 1 anno e decorre dalla
data di conclusione del procedimento amministrativo.
Indebito pensionistico: se il beneficiario l’ha percepito in buona fede viene tutelato e gli viene
riconosciuto il diritto alla soluti retentio (cioè conservazione della prestazione ottenuta). In realtà
questo diritto, nel corso del tempo, è stato abbastanza limitato (stabilendo per es che potesse
essere esercitato solo a fronte di somme corrisposte in base a un provvedimento formale e
definitivo. Inoltre agli enti viene riconosciuto un potere di rettifica che decade dopo 10 anni. In
ogni caso non si può recuperare l’indebito erogato agli eredi del pensionato.

Gli enti per far valere il loro diritto di credito possono esercitare, nei confronti dei terzi
responsabili dei danni subiti dagli assicurati, le azioni di regresso e di surroga. In particolare,
l’azione di regresso può essere esercitata dall’INAIL vs il datore quando l’infortunio del lavoratore
è dipeso dalla sua responsabilità penale o da quella di un suo ausiliario oppure dal fondo di
garanzia vs il datore di lavoro inadempiente all’obbligo di pagamento del tfr nelle ultime mensilità
di retribuzione. L’azione di surroga può essere esercitata dagli enti previdenziali vs il terzo
responsabile dell’infortunio dell’assicurato o dalle strutture del servizio sanitario nazionale per
tutelare le vittime di incidenti stradali o di infortuni sul lavoro.

Le procedure contenzione iniziano con il ricorso amministrativo, in cui sono del tutto irrilevanti i
vizi, le preclusioni e le decadenze perchè il ricorso non è volto all’eliminazione dell’atto impugnato
ma a un riesame della decisione presa e a permettere all’amministrazione di ricercare la verità
sostanziale. Le controversie che riguardano l’invalidità civile, l’inabilità e l’invalidità sono
sottoposte ad un accertamento tecnico preventivo volto a verificare ex ante che sussistano le
condizioni sanitarie che legittimano la pretesa. All’esito di questo accertamento le parti possono
accettare o contestare le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio e il dissenso va proposto con
ricorso giudiziario entro 30 gg. Il giudice ordinario è competente nelle controversie che riguardano
assicurazioni sociali, infortuni sul lavoro, malattie professionali e qualunque altra forma di
previdenza e assistenza obbligatoria e complementare (e in questo caso si segue il rito speciale)
mentre il giudice amministrativo è competente quando il soggetto ha un mero interesse legittimo
alla percezione della prestazione. La Corte dei conti ha giurisdizione esclusiva sulle pensioni di
guerra, ordinarie e privilegiate a carico totale o parziale dello Stato o di altri enti. La giurisdizione
tributaria è competente sulle controversie che riguardano la contribuzione per il servizio sanitario
nazionale.

Adeguatezza e corrispettività La prestazione previdenziale di solito consiste in un


trasferimento di ricchezza che sostituisce il reddito da lavoro provvisoriamente o definitivamente
perduto. Potrebbe consistere anche in una prestazione in servizi, ma questa si realizza solo in
ipotesi limitate, nell’attesa del recupero della capacità lavorativa del soggetto. Alla luce del
principio di sussidiarietà queste prestazioni vengono rese quando l’ordinamento non è in grado di
assicurare altre forme di protezione.

L’art 38, 2° comma, Cost enuncia che”i lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati
mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e
disoccupazione involontaria”, quindi da questo capiamo che la 1° caratteristica delle prestazioni
previdenziali è l’ADEGUATEZZA, che consiste nel fatto che le prestazioni previdenziali devono
essere idonee a soddisfare le esigenze del lavoratore e della sua famiglia. Il problema della
valutazione dell’adeguatezza delle prestazioni previdenziali è particolarmente delicato in materia
di pensioni. In questo caso, per ragioni di sostenibilità finanziaria delle pensioni, si è giunti ad
affermare che l’adeguatezza delle pensioni non può consistere nel fatto che queste siano
proporzionali alle retribuzioni che il lavoratore percepiva e quindi alla contribuzione
effettivamente versata. I sistemi per il calcolo delle pensioni sono 2:

- Retributivo: l’importo della pensione viene calcolato prendendo in considerazione la media


dei redditi prodotti dal lavoratore
- Contributivo: l’importo della pensione viene calcolato prendendo in considerazione i
contributi effettivamente versati nel corso della vita lavorativa, quindi prendendo in
considerazione il cd montante contributivo. => Questo sistema è stato introdotto per la
prima volta con la riforma Dini del 1995, che però prevedeva che tale sistema dovesse
essere applicato solo ai lavoratori che dopo l’entrata in vigore della riforma avevano
un’anzianità di meno di 18 anni. Con la riforma Fornero del 2012 il metodo contributivo è
diventato l’unico metodo di calcolo per la prestazione pensionistica. Al momento
dell’entrata in vigore della riforma (1° genn 2012) coloro che erano già in pensione
continueranno a godere del sistema retributivo, mentre a tutti coloro che hanno iniziato a
lavorare dopo la riforma Dini verrà applicato il sistema contributivo. Sostanzialmente ad
oggi sopravvivono 3 situazioni:
- coloro che al 31 dicembre 1995 non hanno nessuna anzianità contributiva (perchè hanno
cominciato a lavorare dopo) si applica direttamente il sistema contributivo
- coloro che al 31 dic 1995 hanno un’anzianità di meno di 18 anni, nel periodo fino al 1995 si
applica il metodo retributivo, dopo di che quello contributivo
- coloro che al 31 dic 1995 hanno un’anzianità di + di 18 anni, nel periodo fino all’entrata in
vigore della riforma Fornero si applica il sistema retributivo e solo per il calcolo della
pensione spettante negli anni successivi si applica quello contributivo.

Le pensioni sono inoltre soggette alla cd PEREQUAZIONE AUTOMATICA, cioè all’adeguamento al


costo della vita. nei periodi di crisi spesso ci sono stati interventi legislativi volti a bloccare la
perequazione. La Corte costituzionale ha affermato che il legislatore, nei limiti della
ragionevolezza, è libero di decidere in relazione alla perequazione automatica.

Nelle pensioni è previsto il cd TRATTAMENTO MINIMO, che ha 2 componenti: la PENSIONE


SOCIALE (a cui hanno diritto tutti i pensionati) e un’INTEGRAZIONE per raggiungere il minimo che è
a carico del fondo pensione dei lavoratori dipendenti. Tuttavia l’integrazione del minimo è
destinata a scomparire.

La Corte costituzionale ha vissuto diverse stagioni in relazione al principio di adeguatezza. 1° fase:


riteneva che la pensione dovesse essere collegata al tenore di vita del soggetto che la percepisce.
Successivamente, per esigenze di bilancio, a causa della carenza delle risorse, la Corte si è
orientata nel senso di assicurare più che altro il minimo della prestazione, quindi si è attenuato il
requisito della corrispettività tra pensione e percorso lavorativo.

CAPITOLO X: MALATTIA, REDDITO FAMILIARE, INVALIDITà E INABILITà


Rapporto previdenziale e malattia La l. prevede la tutela previdenziale in caso di malattia
perchè l’art 32 Cost riconosce il diritto alla salute (1. La Repubblica tutela la salute come
fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli
indigenti. 2. Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per
disposizione di l. La l. non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona
umana). In realtà, prima ancora dell’entrata in vigore della Cost, già il nostro c.c. all’art 2087
prevedeva, tra le obbligazioni del datore di lavoro, quella di tutelare l’integrità fisica e la
personalità morale del lavoratore nonchè di provvedere alla sua tutela nel caso in cui fosse
impossibilitato allo svolgimento dell’attività lavorativa a causa di malattia. Inizialmente venne
introdotto un sistema finanziato tramite contributi pagati sia dai lavoratori che dai datori che
formavano delle “casse” gestite da vari enti. Una riforma del 1978 stravolse questo sistema,
perchè istituì il servizio sanitario nazionale e stabilì che la tutela della salute fosse estesa a tutti i
cittadini e che doveva consistere in servizi di prevenzione, cura e riabilitazione. Inoltre a seguito di
questa riforma si stabilì che tale sistema dovesse essere finanziato non più tramite i contributi
bensì tramite la leva fiscale. Vennero soppressi gli enti che si occupavano della gestione delle casse
e il tutto venne affidato all’Inps. Nel corso del tempo la riforma del ’78 ha subito delle modifiche.
In particolare, per salvaguardare l’equilibrio finanziario, sono state introdotte contribuzioni
provenienti dai beneficiari delle prestazioni: attualmente è previsto che paghino il cd ticket e ne
sono esonerati solo i meno abbienti (questo sistema è compatibile con il modello beveridgiano,
perchè questo ammette differenziazioni di tutela sulla base del cd test di povertà). Inoltre si
possono istituire fondi integrativi sanitari che finanziano prestazioni aggiuntive rispetto a quelle
fornite dal servizio sanitario nazionale.

La tutela previdenziale offerta dal sistema sanitario nazionale è universale, quindi tutti i cittadini
hanno il diritto di accedervi in condizioni di parità di trattamento. A seguito della riforma
costituzionale del 2001, lo Stato deve stabilire i livelli minimi delle prestazioni ma le Regioni
godono di un ampio potere regolamentare che nel corso del tempo sta via via incrementando,
quindi possono assicurare livelli di tutela superiori al minimo indicato dal legislatore e possono
introdurre forme di partecipazione dei cittadini che variano da Regione a Regione.

Il rapporto previdenziale consistente nell’erogazione di un trattamento economico sostitutivo del


reddito temporaneamente perso a causa di malattia sorge quando sorge il rapporto di lavoro, se è
previsto l’obbligo assicurativo. I destinatari di questa forma di tutela previdenziale sono gli operai,
coloro che lavorano nel settore dell’agricoltura, i lavoratori a domicilio, i lavoratori del commercio
et similia. Recentemente la tutela è stata estesa ai lavoratori autonomi coordinati e continuativi,
agli associati in partecipazione, agli apprendisti e ai professionisti iscritti alla 4° gestione Inps. La
Corte costituzionale ha affermato che la malattia consiste in qualunque alterazione dello stato di
salute che determini incapacità lavorativa attuale o qualunque condizione morbosa che pur non
generando inidoneità al lavoro richieda terapie non compatibili con la prosecuzione dell’attività
lavorativa. La Corte ha inoltre affermato che la malattia durante il periodo di ferie blocca il decorso
delle ferie stesse. Affinchè al beneficiario venga riconosciuto il diritto di ottenere tale prestazione
previdenziale, la malattia deve essere certificata e di questa certificazione si occupa il medico
curante trasmettendola in via telematica all’Inps. Il lavoratore entro 2 gg dal rilascio del certificato
deve farlo recapitare al datore ma il datore può anche chiederlo direttamente all’Inps. In caso di
malattia superiore a 10 gg oppure dopo il 2° evento di malattia che si verifica durante lo stesso
anno solare, la certificazione deve essere rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un
medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale. Se tutti gli obblighi di certificazione che
abbiamo fin quì visto non fossero rispettati, verrà riconosciuto l’illecito disciplinare del lavoratore
e in caso di reiterazione questo dovrà essere licenziato. Se gli obblighi di certificazione venissero
violati dal medico che ha una convenzione con le aziende sanitarie, la sanzione consiste nella
decadenza della convenzione. Nella certificazione il medico deve segnalare se la malattia deriva da
responsabilità di terzi di modo che l’Inps potrà agire con le azioni di surroga e di rivalsa. La
disciplina della certificazione va coordinata con la tutela della privacy, che sotto questo profilo è
notevolmente attenuata perchè il lavoratore malato deve sottostare a controlli che nel corso del
tempo sono diventati sempre più severi per contrastare fenomeni di assenteismo. Questi controlli
in ogni caso non possono essere effettuati dal datore che, nel caso in cui dovesse effettuarli senza
il consenso dell’interessato, riceverà delle sanzioni.

La prestazione previdenziale in caso di malattia consiste in un’indennità giornaliera erogata a


partire dal 4° gg di malattia. In caso di ricaduta oppure di altra malattia intervenuta entro 30 gg,
l’indennità verrà erogata dal 1° gg. L’indennità può essere erogata per max 180 gg nel corso
dell’anno solare e in caso di rapporto a tempo indeterminato il soggetto ha diritto alla prestazione
se la malattia interviene entro 60 gg dalla cessazione del rapporto di lavoro. l’importo
dell’indennità varia a seconda dell’attività lavorativa e di solito consiste nel 50% della retribuzione
giornaliera. Di solito l’indennità è anticipata dal datore e poi si fa un conguaglio con i contributi
che questo deve versare all’Inps. Il diritto a questa prestazione si prescrive entro 1 anno dal gg in
cui si è verificato l’evento. Durante il periodo di assenza dal lavoro il lavoratore ha diritto alla
contribuzione figurativa per un max di 24 mesi. Quando la malattia deriva da responsabilità di terzi
abbiamo detto che l’Inps può esperire le azioni di surroga e di rivalsa. In particolare, le compagnie
di assicurazione, prima di procedere con il risarcimento lo devono comunicare immediatamente
all’Inps che entro 15 gg dal ricevimento della comunicazione deve trasmettere all’assicurazione il
cir (certificato di indennità corrisposte) con cui si attesta l’avvenuta liquidazione dell’indennità e il
suo importo e a quel punto l’assicurazione procede a rimborsare l’Inps. Quando l’indennità di
malattia concorre con altre prestazioni previdenziali, la l. privilegia il trattamento più favorevole
per il lavoratore.

Rapporto previdenziale e tubercolosi Presso l’Inps c’è un’apposita gestione che si occupa
della tutela del lavoratore in caso di tubercolosi e questa specifica disciplina è stata dettata a causa
della particolare gravità di questa malattia. In realtà nel corso del tempo la gravità di tale malattia
si è attenuata, ma comunque si applica una disciplina speciale, solo che attualmente è previsto
l’obbligo dello Stato di rimborsare l’Inps per le prestazioni corrisposte ai malati di tubercolosi. Il
diritto alla prestazione sorge solo se il soggetto ha almeno 1 anno di anzianità contributiva e
assicurativa (anche se sono previste delle eccezioni). La prestazione consiste in un’indennità
giornaliera dello stesso ammontare dell’indennità di malattia comune per i primi 180 gg; dopo
questi 180 gg consiste solo nel minimo. Anche in questo caso l’indennità viene anticipata dal
datore di lavoro. se il lavoratore è stato ricoverato per almeno 60 gg dal giorno successivo alla
guarigione clinica o alla stabilizzazione, ha il diritto all’indennità post – sanatoriale (che può essere
cumulata con la retribuzione), che ha la funzione di favorire il consolidamento della guarigione.
L’indennità post – sanatoriale spetta per 2 anni al lavoratore che svolge un proficuo lavoro. se il
lavoratore ha subito, a causa della tubercolosi, una riduzione della capacità lavorativa almeno
della metà, ha il diritto di ricevere un assegno di cura per 2 anni (rinnovabile su domanda
dell’interessato di biennio in biennio) non cumulabile con la retribuzione. Tutti i soggetti che anche
per 1 solo giorno hanno ricevuto una prestazione per tubercolosi hanno diritto all’assegno
natalizio. Quando il soggetto riceve queste prestazioni ha diritto alla contribuzione figurativa.

Rapporto previdenziale e reddito familiare il nostro ordinamento tutela le famiglie che


hanno un reddito insufficiente alla soddisfazione delle esigenze del nucleo familiare. Una delle
tutele previdenziali previste in questo caso consiste negli ASSEGNI PER IL NUCLEO FAMILIARE.
Questi hanno sostituito gli assegni familiari, introdotti per la prima volta nel 1934 dalla
contrattazione collettiva corporativa. Tali assegni vengono corrisposti quando il reddito del nucleo
familiare (formato dalla somma dei redditi prodotti da ciascun componente del nucleo) è
insufficiente alla soddisfazione dei bisogni del nucleo stesso. Mentre in passato, per la
corresponsione degli assegni familiari, era necessaria la sussistenza del requisito della vivenza a
carico (cioè era necessario che il lavoratore capo famiglia avesse a carico altri componenti del
nucleo che non erano in grado di procurarsi autonomamente del reddito), oggi questo requisito
non è più richiesto. L’ammontare dell’assegno dipende dal numero dei componenti del nucleo
familiare. Questi assegni vengono erogati ai lavoratori subordinati, ai pensionati, al personale
statale, ai dipendenti e pensionati di enti pubblici, ai soci di cooperative, a specifiche categorie di
lavoratori disoccupati e cassaintegrati e ad altri. Questo assegno deve essere erogato anche
durante il periodo di malattia, di gravidanza e puerperio e in tutti gli altri casi in cui il lavoratore
non svolge l’attività lavorativa per motivi legislativamente tutelati. I componenti del nucleo
familiare sono il coniuge non legalmente separato, i figli e coloro che hanno uno status equiparato
a quello di figlio che abbiano meno di 18 (oppure di qualunque età se inabili permanentemente e
in modo assoluto allo svolgimento dell’attività lavorativa). Vengono compresi nel nucleo familiare
anche fratelli, sorelle e nipoti minori di 18 anni orfani di entrambi i genitori oppure i medesimi
soggetti senza il limite dei 18 anni se in stato di incapacità totale e permanente di svolgere l’attività
lavorativa. Non vengono considerati facenti parte del nucleo familiare i familiari non residenti in
Italia. Nel caso del lavoro subordinato, gli assegni sono finanziati da contributi pagati dai datori ma
è previsto un concorso finanziario dello Stato. la prestazione viene anticipata dal datore e poi
viene fatto il conguaglio. Il diritto all’assegno non sorge se il reddito supera un certo scaglione
oppure quando è prevalentemente composto da redditi d’impresa, di capitale o di lavoro
autonomo> il reddito complessivo deve essere composto per almeno il 70% da lavoro dipendente
o assimilato. Allo stesso nucleo familiare non può esser dato più di 1 assegno e tale prestazione è
incompatibile con qualunque altro trattamento di famiglia. Il diritto a questo assegno si prescrive
dopo 5 anni. L’assegno non può essere ceduto, sequestrato e pignorato.

Rapporto previdenziale e maternità Quando inizia l’attività lavorativa sorge anche il


rapporto previdenziale che ha per oggetto l’erogazione di un trattamento economico sostitutivo
del reddito temporaneamente perduto a seguito dell’evento maternità (con questa espressione si
fa riferimento anche ai casi di affidamento e adozione). Questo trattamento si riferisce non solo
alla gravidanza e al puerperio ma anche all’infanzia del minore e i soggetti titolari del rapporto
sono: le lavoratrici subordinate, quelle a domicilio, quelle che svolgono un lavoro domestico,
quelle che svolgono un lavoro agricolo, quelle autonome (che ricevono tutela eguale a quelle
subordinate), quelle sospese, assenti, disoccupate, persino le precarie del settore pubblico, le
dirigenti e, nei casi in cui la madre non possa occuparsi del bambino durante il periodo di
astensione obbligatoria o facoltativa, la tutela viene riconosciuta al padre.

ASTENSIONE OBBLIGATORIA: Consiste nella sospensione del rapporto di lavoro durante i 2 mesi
precedenti alla data presunta del parto e durante i 3 mesi successivi alla data del parto. Se il
medico dà l’autorizzazione, i 5 mesi possono essere fatti decorrere a partire dall’ultimo mese di
gravidanza. La l. individua dei lavori particolarmente delicati in cui questa flessibilità non è
consentita e dei lavori in cui la lavoratrice deve astenersi dalla prestazione dell’attività lavorativa
per 7 mesi successivi al parto. La Corte costituzionale ha affermato che le uniche lavoratrici che
non hanno l’obbligo di astensione sono le lavoratrici autonome. In caso di parto prematuro, il
periodo di astensione non goduto prima del parto viene goduto successivamente di modo che in
ogni caso si raggiungano i 5 mesi. Se il neonato viene ricoverato la lavoratrice può chiedere la
sospensione del decorso del periodo di astensione obbligatoria per goderne quando viene
dimesso. In questo caso la lavoratrice durante il periodo di ricovero può riprendere l’attività
lavorativa se una certificazione medica accerta che si trova in condizioni di salute che glielo
permettono. In caso di morte, grave infermità o abbandono da parte della madre, il diritto
all’astensione obbligatoria viene riconosciuto al padre per un periodo di 3 mesi. => durante il
periodo di astensione obbligatoria viene erogata un’indennità giornaliera = 80% della retribuzione
giornaliera.

ASTENSIONE FACOLTATIVA: entrambi i genitori hanno questo diritto per il periodo successivo al
parto. Possono esercitarlo durante i primi 12 anni di vita del bambino e può durare un max di 10
mesi (NB: non è che ogni genitore può astenersi per 10 mesi, magari possono fare 4 e 6, i mesi
vanno sommati per un max di 10). => durante questo periodo viene erogata un’indennità
giornaliera = 30% della retribuzione giornaliera. I PERIODI DI ASTENSIONE OBBLIGATORIA E
FACOLTATIVA SONO COPERTI DA CONTRIBUZIONE FIGURATIVA.

CONGEDO PARENTALE: Quando il bambino è portatore di handicap grave, i genitori possono


astenersi fino a 3 anni entro i primi 12 anni di vita del bambino. Fino al 3° anno di vita possono
chiedere 2 h di permesso giornaliero. Questi permessi vengono riconosciuti a fratelli e sorelle se i
genitori sono impossibilitati. ANCHE IN QUESTO CASO VIENE RICONOSCIUTO IL BENEFICIO DELLA
CONTRIBUZIONE FIGURATIVA.

Fino al compimento dell’8° anno di età del bambino ogni genitore ha il diritto di astenersi durante
il periodo di malattia del bambino.

Durante il 1° anno di vita del bambino la madre ha il cd permesso di allattamento, con cui ha 2 ore
al gg di permesso (ore che vengono calcolate come se lei avesse lavorato e percepisce la stessa
retribuzione). Se il padre ha l’affidamento esclusivo questo permesso viene dato a lui. Questa è
l’unica indennità finanziata dalla fiscalità generale; tutte le altre sono finanziate dai contributi per
malattia.

Queste indennità vengono anticipate dal datore che poi fa i conguagli con l’Inps o l’ente
competente (per es se si tratta di lavoratrice autonoma con le casse libero professionali).

Il diritto alle indennità si prescrive entro 1 anno dalla data della loro esigibilità.

Le indennità per maternità non sono cumulabili con altre prestazioni, per es con l’indennità per
malattia o infortunio. È cumulabile solo con l’indennità post sanatoriale percepita durante la
convalescenza da tubercolosi.

Ci sono disposizioni volte ad agevolare l’assunzione di lavoratori a tempo determinato che


sostituiscono i lavoratori che stanno usufruendo del periodo di astensione obbligatoria e
facoltativa.

Rapporto previdenziale e invalidità/inabilità da rischi comuni Quando inizia l’attività


lavorativa sorge il rapporto previdenziale con cui si tutela lo stato di bisogno conseguente
all’invalidità o inabilità al lavoro. inizialmente il legislatore tutelava il lavoratore solo se l’invalidità
e l’inabilità derivavano dall’attività lavorativa stessa, quindi tutelava solo i rischi professionali,
successivamente ha iniziato a tutelare tutte le ipotesi di invalidità e inabilità, quindi anche i rischi
comuni. La tutela viene realizzata con un’assicurazione detta assicurazione obbligatoria per
invalidità, vecchiaia e supersiti che viene gestita dall’Inps. La fattispecie si completa quando il
lavoratore vede ridotta la sua capacità di lavoro in modo permanente a causa di invalidità o
inabilità. L’invalidità consiste nel fatto che la capacità di lavoro si riduce a meno di 1/3 a causa di
un difetto fisico o mentale, l’inabilità consiste nella permanente e assoluta impossibilità di svolgere
attività lavorativa a causa di un difetto fisico o mentale. In questo caso il lavoratore deve
sottostare a controlli dell’ente previdenziale, altrimenti non può percepire la prestazione. Quando
l’interessato raggiunge l’età per la pensione, la pensione di invalidità si trasforma in pensione di
vecchiaia. Per percepire questa pensione sono previsti:

- requisiti contributivi: l’interessato deve avere un’anzianità contributiva di almeno 5 anni


- requisiti assicurativi: l’interessato deve avere almeno 3 anni di contributi negli ultimi 5
anni.

In caso di invalidità (lavoratore che ha un’infermità fisica o mentale che determina una riduzione
della sua capacità lavorativa parti a 2/3) l’interessato ha diritto ad un assegno di invalidità (anche
detto pensione di invalidità) per un periodo di 3 anni che, su domanda dell’interessato, può essere
prorogato per altri 3 anni; dopo 3 proroghe consecutive si rinnova automaticamente salva la
possibilità per gli enti previdenziali di effettuare controlli. L’ammontare dell’assegno può essere
calcolato col sistema retributivo o contributivo, a seconda del regime che viene applicato
all’interessato. Questo assegno, quando l’interessato raggiunge l’età pensionabile, si trasforma in
pensione di vecchiaia ma se arrivati a questo punto l’interessato non ha maturato i requisiti per la
pensione, conserva comunque il diritto di percepire l’assegno. Per percepire l’assegno deve avere
almeno 5 anni di contribuzione di cui 3 anni devono rientrare nel quinquennio antecedente alla
presentazione della domanda. La percezione dell’assegno contente la prosecuzione dell’attività
lavorativa.

In caso di inabilità l’interessato ha diritto alla pensione di inabilità e viene cancellato da albi o altri
elenchi professionali. In questo caso l’interessato, a causa di infermità o difetti fisici o mentali si
trova in assoluta e permanente impossibilità di svolgere attività lavorativa. Deve avere almeno 5
anni di contributi di cui 3 nel quinquennio antecedente alla presentazione della domanda. Deve
cessare di svolgere qualunque attività lavorativa. Mentre l’assegno di invalidità NON è reversibile
ai supersiti, la pensione di inabilità lo è. L’ammontare di questa pensione è costituita
dall’ammontare dell’assegno di invalidità + una maggiorazione contributiva. Ricorrendo alla
totalizzazione, al cumulo o alla ricongiunzione le prestazioni possono essere liquidate fruendo di
tutta la contribuzione disponibile nelle varie gestioni interessate. Se l’interessato si trova in uno
stato di incapacità di deambulare senza un accompagnatore ha il diritto di avere un assegno
mensile per l’assistenza personale. In caso di dolo dell’interessato la prestazione può essere
rettificata e egli deve restituirla. Se l’inabilità deriva da responsabilità di terzi il medico deve
indicarlo nella certificazione così che l’ente previdenziale possa agire in surroga e in rivalsa.

Se la riduzione o la cessazione della capacità lavorativa risultano in rapporto causale diretto con la
finalità del servizio c’è una particolare disciplina. In questo caso la fattispecie si completa al solo
verificarsi dell’evento, a prescindere dalla maturazione dei requisiti che abbiamo visto prima. A
seguito dell’evento, a seconda dei casi, vengono erogati assegno o pensione. Nel caso del pubblico
impiego questa tutela è riconosciuta solo agli occupati nel reparto di sicurezza, difesa, vigili del
fuoco e soccorso pubblico. tutti gli altri hanno solo l’assicurazione obbligatoria contro infortuni e
malattie professionali.

Quando muore l’interessato, la pensione di invalidità e inabilità sono reversibili ai supersiti.

Rapporto previdenziale e infortunio sul lavoro Il rapporto previdenziale volto alla tutela
contro l’infortunio sul lavoro e la malattia professionale è quello che ha dato origine alla
previdenza sociale. Questo rapporto sorge automaticamente quando il lavoratore inizia a svolgere
un’attività lavorativa che il nostro ordinamento considera pericolosa. Mentre l’assicurazione per
invalidità e inabilità presidia i rischi comuni, questa assicurazione presidia i rischi professionali
derivanti da attività pericolose. Per questo ci sono ipotesi di duplicazione della protezione che,
solo parzialmente, sono governate dalla disciplina anticumulo. Per “lavoro pericoloso” si intende
quello svolto da persone che interagiscono con macchine che non sono mosse direttamente dalla
persona stessa che le usa oppure i lavori svolti in ambienti in cui tali macchine operano e quindi i
lavoratori ci possono entrare in contatto. Ci sono lavorazioni tassativamente elencate dalla legge
che vengono considerate pericolose (per es l’attività di carico e scarico o i lavori di bonifica ecc).
inizialmente questa assicurazione è nata solo per il lavoro operaio, poi l’ambito soggettivo della
tutela è stato esteso sia nell’ambito del lavoro subordinato che in quello del lavoro autonomo
(attualmente sono protetti anche, per es, apprendisti, insegnanti, sacerdoti, religiosi ecc). L’obbligo
per il datore di lavoro di garantire la sicurezza e la tutela della salute del lavoratore è stato
introdotto per la 1° volta nel c.c. all’art 2087; da quì è partita una prima stagione normativa,
attorno alla metà degli anni ’50, e poi la disciplina comunitaria ha introdotto ulteriori novità
stabilendo per es che il datore deve garantire un servizio di prevenzione e protezione per valutare
i rischi connessi all’attività lavorativa e per garantire la loro eliminazione o riduzione. Sono previste
misure premiali per i datori che rispettano queste previsioni normative, mentre sono previste delle
pesanti sanzioni per i datori inadempienti. In ambito comunitario, si occupa del supporto di queste
politiche di prevenzione l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute nel lavoro e in ambito
interno c’è il servizio normativo nazionale per la prevenzione.

In caso di danno, il lavoratore ha il diritto di ricevere un’indennità. Il danno deve consistere nella
menomazione della sua integrità psico – fisica (l’indennità gli viene corrisposta a prescindere dal
fatto che tale menomazione incida sulla riduzione o perdita della sua capacità lavorativa). Durante
questo periodo in cui il lavoratore non presta la sua attività lavorativa, egli ha diritto alla
contribuzione figurativa.

L’evento che protegge questa assicurazione è l’infortunio che il lavoratore ha subito per causa
violenta, in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o l’inabilità permanente al lavoro,
assoluta o parziale, o un’inabilità temporanea assoluta che implichi l’astensione dal lavoro per + di
3 gg oppure anche solo un danno biologico. Da questa definizione capiamo che non è
indennizzabile l’infortunio che non determina conseguenze particolarmente rilevanti. In
particolare, affinchè al lavoratore sia riconosciuto il diritto di ricevere l’indennizzo, è necessario
che egli subisca una menomazione dell’integrità psico – fisica non inferiore al 6% di quella normale
oppure una riduzione dell’ordinaria capacità di lavoro non inferiore al 16%. Dunque non è
indennizzabile il danno morale e tutti quei danni che non determinano una riduzione della capacità
lavorativa o una menomazione psico – fisica che non può essere valutata dal medico legale. Se il
lavoratore ha subito un danno a causa del dolo del datore, l’Inail può esercitare l’azione di
regresso contro di lui; se il lavoratore ha subito un danno a causa di un suo stesso comportamento
doloso, l’Inail può agire in regresso contro lui stesso; se il lavoratore ha subito un danno a causa di
un terzo, l’Inail può agire in surroga verso il terzo. Le azioni di regresso e di surroga vengono
esercitare affinchè l’Inail possa recuperare le prestazioni che ha erogato o che deve erogare al
lavoratore.

DANNO BIOLOGICO: (vedi pagg 433-436 manuale LAVORO I)

Lesione dell’indennità psico – fisica della persona suscettibile di valutazione medico – legale. Con
danno biologico intendiamo danno alla persona intesa nella sua globalità che si ripercuote su tutte
le attività e capacità della persona stessa, compresa quella lavorativa. Quindi il danno biologico
ricorre quando il lavoratore ha subito una lesione dell’integrità psico – fisica. Questo è
indennizzabile secondo il sistema delineato dalla riforma attuata con il decreto legislativo 38/2000.
Prima dell’entrata in vigore di questo decreto, la regolamentazione era fissata dal c.c. La diff
fondamentale tra queste 2 regolamentazioni consiste nel fatto che il c.c. aveva l’obiettivo di
risarcire il danno nell’esatta misura in cui si è verificato mentre il decreto 38 ha l’obiettivo di
garantire al lavoratore mezzi adeguati alle sue esigenze di vita. Mentre il cc prevede l’erogazione
di un’indennità onnicomprensiva che chiude definitivamente, il decreto 38 prevede che le
condizioni di salute del danneggiato vengano valutate nel tempo e adeguate alla prestazione
corrisposta.
Infortunio in itinere: è l’infortunio che il lavoratore subisce mentre si reca o ritorna al posto di
lavoro. il decreto 38 prevede che sia indennizzabile l’infortunio subito durante il normale percorso
tra abitazione e luogo di lavoro, tra 2 luoghi di lavoro e tra luogo di lavoro e quello di
consumazione abituale dei pasti. Non sono indennizzabili gli infortuni subiti per abuso di alcolici,
sostanze psicotrope o psicofarmaci e non è indennizzabile neanche l’infortunio causato da un
comportamento doloso del danneggiato. È indennizzabile l’infortunio derivante da
comportamento colposo del lavoratore durante lo svolgimento dell’attività lavorativa ma non
quello derivante da colpa del lavoratore non connessa all’attività lavorativa.

La l. richiede 3 requisiti affinchè sia indennizzabile l’infortunio sul lavoro:

- occasione di lavoro: vuol dire che il diritto alla prestazione sorge se c0è un nesso di
causalità, anche indiretto, tra evento e lavoro
- causa violenta: causa caratterizzata da abnorme intensità e di particolare rapidità => la
causa violenta deve essere accertata anche prendendo in considerazione le cd concause,
che possono essere preesistenti o sopravenute.
- Lesione

Malattia professionale: in questo caso la l. tutela l’inabilità che non deriva da una causa violenta
(come invece accade in caso di infortunio sul lavoro) bensì da una malattia. Affinchè sorga il diritto
alla prestazione deve esserci un nesso di causalità tra malattia e lavoro. la l. prevede un sistema
tabellare che elenca le cd malattie tipiche (sono quelle che derivano da un determinato agente
patogeno) e le malattie non tipiche (che sono quelle che potrebbero derivare da vari agenti
patogeni). La l. prevede inoltre il periodo minimo di svolgimento dell’attività affinchè si possa
riconoscere automaticamente il nesso causale tra lavoro e malattia e quindi l’indennizzabilità. La
giurisprudenza della Corte costituzionale si è evoluta nel corso del tempo e questa è arrivata a
riconoscere il diritto alla prestazione anche per le malattie non tabellate se hanno natura
professionale, cioè un nesso di causalità con il lavoro. la differenza tra malattia tabellata e non sta
nel fatto che in caso di malattia tabellata il lavoratore deve solo provare di aver svolto una
particolare attività che gli ha cagionato la malattia, in caso di malattia non tabellata invece deve
provare la sussistenza del nesso di causalità tra malattia e attività lavorativa. L’elenco delle
malattie professionali, comunque, viene periodicamente aggiornato a causa della difficoltà
dell’onere probatorio gravante sul lavoratore.

La l. prevede una disciplina particolare per 2 malattie professionali: silicosi (malattia conseguente
all’inalazione di polveri di biossido di silicio) e asbestosi (malattia conseguente all’inalazione di
amianto). Per garantire una tutela più ampia il legislatore ha eliminato la definizione legislativa di
queste malattie e ha stabilito che se queste malattie sono associate ad altre malattie dell’apparato
respiratorio danno diritto alla prestazione anche se non sono state contratte a causa delle
specifiche lavorazioni considerate ma semplicemente in occasione di lavoro. il soggetto passivo
dell’obbligazione contributiva è il datore di lavoro e in questo caso la contribuzione si chiama
premio e viene calcolata sulla base di 2 elementi:
1) Rischio medio nazionale per ogni singola lavorazione pericolosa (corretto dal rischio
ponderato, cioè la pericolosità della lavorazione in quella specifica azienda, che viene
rilevato su base statistica)
2) Ammontare delle retribuzioni corrisposte al lavoratore

La tariffa dei premi viene fatta dall’Inail e poi deve essere approvata con un decreto del Ministro
del lavoro. per il completamento della fattispecie non è prevista alcuna anzianità contributiva
minima e a causa del principio di automaticità delle prestazioni il diritto del lavoratore alla
prestazione è riconosciuto anche quando il datore non adempie agli obblighi contributivi. Affinchè
sorga questo diritto è sufficiente che il lavoratore subisca un danno indennizzabile. Il lavoratore
deve comunicare il danno al datore che a sua volta lo deve comunicare all’ente previdenziale,
dopo di che l’istituto assicuratore avvia la procedura per verificare il completamento della
fattispecie e l’entità del danno subito. si attiva una particolare procedura, detta inchiesta
giudiziaria, se l’evento dà luogo a morte o inabilità per + di 30 gg. In questo caso l’ente, dopo aver
ricevuto la denuncia del datore, la deve trasmettere al tribunale competente che compie gli
opportuni accertamenti. Dell’inchiesta viene fatto un verbale che poi verrà esaminato dal p.m. In
caso di inabilità temporanea il lavoratore riceve un’indennità giornaliera pari al 75% della
retribuzione se l’inabilità si prolunga per + di 90 gg, pari al 60% della retribuzione se l’inabilità si
prolunga per – di 90 gg. L’indennità gli viene corrisposta a partire dal 4° gg. L’indennità viene
anticipata dal datore, che poi viene rimborsato dall’ente previdenziale. In caso di inabilità
permanente l’indennità è areddituale, quindi viene determinata senza prendere in considerazione
la retribuzione dell’infortunato. Se l’inabilità > 16% viene erogata un’ulteriore quota di rendita che
si riferisce alle conseguenze che la menomazione determina sulla capacità lavorativa e questa
ulteriore quota viene determinata in base alla retribuzione percepita. L’indennità può essere
soggetta a revisione se diminuisce o aumenta il grado di menomazione (in questo caso deve
esserci l’iniziativa dell’interessato o dell’istituto assicuratore); la revisione può avvenire solo entro
un certo termine di anni, dopo di che si presume che non ci possano essere nè miglioramenti nè
peggioramenti.

L’Inail eroga anche alcune prestazioni sanitarie volte al recupero della capacità lavorativa del
beneficiario, come per es la fornitura di protesi e durante questo periodo il beneficiario ha
l’obbligo di sottoporsi alle cure mediche (se non lo rispetta perde il diritto alla prestazione). Ci sono
poi delle prestazioni accessorie per coniugi e figli oppure per l’assistenza personale.

Sono tutelati anche i superstiti. Se il lavoratore, a seguito dell’infortunio o della malattia, muore, il
diritto alla rendita viene acquisita dai superstiti: innanzitutto il coniuge e i figli (e i soggetti
equiparati); se mancano questi, ascendenti e fratelli. Il coniuge riceve il 50% della rendita, i figli
(fino a 26 anni solo se vanno ancora all’università) il 20% o il 40% se sono orfani di entrambi i
genitori. Gli altri superstiti prendono il 20%. Inoltre viene corrisposto un assegno funerario per
rimborsare le spese funebri.

Il diritto si prescrive dopo 3 anni. L’ente previdenziale può esercitare l’azione di regresso vs il
responsabile dell’infortunio entro 3 anni.
Le prestazioni economiche erogate in caso di infortunio o malattia non sono cumulabili con
pensioni e altre prestazioni, in questo caso l’interessato ha il diritto di opzione e può scegliere la
prestazione più favorevole.

Rapporto previdenziale e infortunio domestico L’infortunio domestico è quello che si può


verificare nei confronti di coloro che svolgono un’attività in ambito domestico volto alla cura delle
persone che appartengono al proprio nucleo familiare. Il legislatore è dovuto intervenire in
materia perchè la Corte costituzionale, già dal 1995, ha riconosciuto l’equiparazione tra lavoro
prestato in famiglia e lavoro autonomo o subordinato. Quindi coloro che svolgono questa attività
vedono l’automatica nascita del rapporto previdenziale. Il soggetto ha diritto alla prestazione se
dall’infortunio deriva un’inabilità permanente al lavoro non inferiore al 33%. Queste attività
devono essere svolte in via esclusiva e non occasionale e a titolo gratuito affinchè per il soggetto
sorga il diritto alla prestazione. I soggetti che svolgono queste attività devono pagare
un’assicurazione obbligatoria, quindi un premio annuo ma se il soggetto ha un reddito inferiore a
una certa soglia non deve pagare il premio. Non opera il principio di automaticità delle prestazioni
quindi se i soggetti non sono in regola con l’obbligazione contributiva non hanno diritto alla
prestazione. L’ente gestore è l’Inail, presso il quale c’è un apposito fondo alimentato dai premi e
da altre entrate. Quando si perfeziona la fattispecie il soggetto ha diritto ad una prestazione che si
chiama rendita di inabilità permanente. Per ricevere la prestazione deve presentare la domanda
all’Inail e la prestazione non è soggetta a revisione (quindi non rilevano le modifiche alle condizioni
fisiche dell’assicurato). Se il soggetto subisce un altro infortunio più grave di quello precedente
l’Inail deve provvedere all’erogazione di una nuova rendita. Se l’assicurato non paga il premio c’è
una sanzione pecuniaria che comunque non può essere di ammontare superiore a quello del
premio stesso. L’interessato può impugnare i provvedimenti dell’Inail dinanzi al comitato
amministratore del fondo che decide in unica istanza entro 90 gg dall’emissione del
provvedimento impugnato. Se decorrono inutilmente 120 gg senza che il comitato si pronunci,
l’interessato può adire l’autorità giudiziaria ma le impugnazioni, in ogni caso, non sospendono
l’efficacia del provvedimento.

CAPITOLO XI: DISOCCUPAZIONE, INSOLVENZA DEL DATORE DI LAVORO,


INTEGRAZIONI SALARIALI

Mercato del lavoro e ammortizzatori sociali Con la locuzione “ammortizzatori sociali” si


intende il complesso di disposizioni normative finalizzate al sostegno del reddito di coloro che si
trovano involontariamente in una situazione di disoccupazione. Il legislatore adotta tali misure per
garantire l’attuazione dell’art 4 Cost: “1. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro
e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. 2. Ogni cittadino ha il dovere di
svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra
al progresso materiale o spirituale della società”. Il legislatore è intervenuto con 2 diversi tipi di
misure:
- Misure indennitarie: con queste misure ha voluto eliminare gli effetti negativi della
disoccupazione. Queste misure consistono in un sostegno economico in favore dei
disoccupati
- Misure incentivanti: con queste misure ha voluto promuovere l’occupazione.

La 1° importante riforma degli ammortizzatori sociali c’è stata con la l. 92/2012, che ha segnato un
ritorno al passato, in quanto ha reintrodotto la storica distinzione tra:

- Tutele esterne al rapporto di lavoro: ha sostituito l’assicurazione obbligatoria contro la


disoccupazione con la cd Aspi, cioè l’assicurazione sociale per l’impiego, ma l’Aspi, di fatto,
non è molto diversa dall’assicurazione obbligatoria
- Tutele interne al rapporto di lavoro: ha conservato la cassa integrazione guadagni
apportando solo qualche piccola modifica

Inoltre ha stabilito che l’indennità di mobilità e la cassa integrazione guadagni in deroga sarebbero
dovute essere mantenute per tutto il 2016 => Tutto questo apparato descritto, secondo le
intenzioni del legislatore del 2012, sarebbe dovuto essere poi sostituito dai fondi bilaterali di
solidarietà (cioè fondi al cui sostentamento contribuiscono sia i datori che i lavoratori), di cui si
sarebbero occupate le organizzazioni sindacali e imprenditoriali più rappresentative a livello
collettivo. Complessivamente, la riforma del 2012 appare come un’operazione incompiuta e non è
riuscita a riorganizzate il sistema degli ammortizzatori sociali. Per questo c’è stato un ulteriore
intervento in materia con la legge delega 183/2014 (cd Jobs act, o riforma del lavoro) che ha
cercato, per mezzo dei suoi decreti attuativi (essenzialmente il d. lgs 22/2015), di riordinare il
sistema degli ammortizzatori sociali per assicurare, in caso di disoccupazione involontaria, tutele
uniformi e per favorire il coinvolgimento dei soggetti espulsi dal mercato del lavoro.

Rapporto previdenziale e disoccupazione La legge 92/2012 aveva l’obiettivo di introdurre


la riforma degli ammortizzatori sociali per tutelare la disoccupazione unificando le discipline
frammentate. L’Aspi (assicurazione sociale per l’impiego) a partire dal 1° gennaio 2013 ha
sostituito l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria che era stata
introdotta nel 1919 ma ha conservato l’impianto del precedente sistema. infatti l’Aspi, come
l’assicurazione precedente, tutela non la disoccupazione in generale ma solo la disoccupazione
involontaria conseguente ad estinzione del rapporto di lavoro (quindi per es il soggetto non è
tutelato in caso di dimissioni volontarie e non sono tutelati neanche gli inoccupati, cioè i soggetti
in cerca della 1° occupazione). Possono inoltre essere tutelati solo quei soggetti che non hanno
maturato il diritto a pensione. L’Aspi può essere erogata anche in caso di risoluzione consensuale
del rapporto di lavoro se questo viene pattuito durante il procedimento di conciliazione. I soggetti
destinatari della tutela sono tutti i lavoratori subordinati che abbiano compiuto il quattordicesimo
anno di età. A differenza di quanto previsto dal precedente sistema i soggetti destinatari dell’Aspi
sono anche gli apprendisti. La nuova disciplina NON si applica ai dipendenti a tempo
indeterminato delle p.a. e ai lavoratori agricoli, a cui si applica la disciplina precedente. Inoltre la
nuova disciplina non prevede nulla per situazioni specifiche come quella dei giornalisti o quella dei
lavoratori che hanno un contratto di lavoro a tempo parziale verticale. Per l’erogazione dell’Aspi
erano richiesti gli stessi requisiti richiesti per l’erogazione della precedente assicurazione, cioè il
soggetto doveva avere almeno 2 anni di anzianità contributiva maturati in qualunque periodo e 1
anno di contribuzione maturata nei 2 anni precedenti all’inizio dello stato di disoccupazione.

Nel 2015 (con il decreto legislativo 22/2015) l’Aspi è stata sostituita dalla Naspi, cioè l’indennità di
disoccupazione. La Naspi può essere erogata ai disoccupati che nei 4 anni precedenti all’inizio
dello stato di disoccupazione abbiano almeno 13 settimane di contribuzione e che nei 12 mesi
precedenti all’inizio dello stato di disoccupazione abbiamo almeno 30 giornate di lavoro effettivo.
Il diritto alla prestazione sorge dopo l’8° giorno di disoccupazione (quindi è previsto un periodo di
carenza = 7 gg). La domanda per la percezione della Naspi deve essere inviata entro 68 gg dalla
cessazione del rapporto di lavoro pena la decadenza del diritto. Per quanto riguarda l’importo
della Naspi, questo va calcolato prendendo in considerazione la retribuzione imponibile degli
ultimi 4 anni, divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per 4,33. Se la
retribuzione ottenuta con questo calcolo < 1.195 euro, la Naspi = 75% di questa retribuzione; se >
1.195 euro, la Naspi deve essere incrementata del 25% (retribuzione – 1195 euro). La Naspi viene
erogata mensilmente per un num di settimane = alla metà delle settimane di contribuzione degli
ultimi 4 anni, per un max di 24 mesi. Con il passare del tempo, l’importo della Naspi diminuisce: a
partire dal 4° mese in cui viene percepita, ogni mese diminuisce del 3% (questo meccanismo viene
definito decalage). Durante il periodo di percezione della Naspi si applica la contribuzione
figurativa. Il soggetto che percepisce la Naspi da + di 4 mesi può chiedere l’assegno di
ricollocazione, che deve spendere per ottenere un servizio di assistenza intensiva nella ricerca del
lavoro presso i centri per l’impiego. Entro 2 mesi dal rilascio dell’assegno di ricollocazione il
soggetto deve presentare la domanda per ottenere questo servizio pena la perdita dello status di
disoccupazione e la decadenza del diritto di percepire l’assegno, che comunque non può essere
erogato per + di 6 mesi. Il fatto che il soggetto svolga un’attività lavorativa non fa decadere il
diritto alla prestazione. Se svolge un’attività lavorativa di durata non superiore a 6 mesi la
prestazione è sospesa e l’erogazione sarà ripresa al momento della cessazione del rapporto. Se il
soggetto svolge un’attività di lavoro autonomo la prestazione non decade solo se i redditi da lui
percepiti non superano una certa soglia. I disoccupati possono chiedere la liquidazione anticipata
dell’intero trattamento per avere un sostegno per iniziative autoimprenditoriali ma dopo hanno
l’obbligo di restituire per intero l’anticipazione ottenuta. La percezione dell’assegno di
disoccupazione non dà diritto a contribuzione figurativa nè alla percezione degli assegni per il
nucleo familiare. Per il finanziamento di queste assicurazioni si fa ricorso alla contribuzione
ordinaria e a contribuzioni addizionali (vedi pag 441)

La l 92/2012 aveva introdotto la cd mini Aspi, cioè una forma di tutela per i lavoratori discontinui
(affinchè a questi venisse riconosciuto il diritto alla prestazione dovevano avere almeno 13 sett di
contribuzione negli ultimi 12 mesi). Aveva introdotto anche un’indennità una tantum per i
collaboratori coordinati e continuativi. Tuttavia queste tutele sono state eliminate dal d lgs
22/2015. Questo decreto ha riconosciuto ai collaboratori coordinati e continuativi e ai
collaboratori a progetto (iscritti in via esclusiva alla gestione separata presso l’INPS, non pensionati
e privi di partita iva), l’indennità di disoccupazione mensile (cd Dis – Coll). Per ottenere la
prestazione devono essere disoccupati al momento di presentazione della domanda, avere
almeno 3 mesi di contribuzione nel periodo che va dal 1° genn 2014 alla disoccupazione
subentrata nel 2015, avere avuto un rapporto di collaborazione di almeno 1 mese. L’importo di
questa prestazione deve essere calcolato prendendo come punto di riferimento il reddito
imponibile a fini previdenziali relativo all’anno in cui si è verificato l’evento disoccupazione, diviso
per il num di mesi di contribuzione. Se il reddito ottenuto da questo calcolo è > o < a 1.195 euro, si
applicano le stesse regole che abbiamo visto per la Naspi e si applicano anche le regole in tema di
riduzione mensile della prestazione che vengono applicate in caso di Naspi.

Il decreto legislativo 22/2015 ha introdotto anche l’Asdi, cioè l’assegno di disoccupazione. Si tratta
di una prestazione a carico dell’Inps a cui hanno diritto i disoccupati che hanno già percepito per
intero la Naspi, che siano privi di occupazione e che versino in una situazione di bisogno. Questi
soggetti, inoltre, devono aderire al patto di servizio personalizzato. L’Asdi può essere erogato max
6 mesi e il suo importo è parti al 75% dell’ultima indennità di disoccupazione percepita. L’Asdi è
finanziato con un apposito fondo che si trova presso l’Inps.

Il decreto 22 ha creato l’Anpa (Agenzia nazionale per le politiche del lavoro), che è controllata dal
Ministero del lavoro, che ha il compito di occuparsi di tutti i servizi per i disoccupati che abbiamo
fin quì visto. Tale decreto ha introdotto una nuova nozione di soggetto disoccupato: sono
considerati tali i lavoratori privi di impiego che dichiarano telematicamente al portale nazionale
delle politiche del lavoro la propria disponibilità allo svolgimento di attività lavorative. Lo stato di
disoccupazione è sospeso se il soggetto intraprende un rapporto di lavoro subordinato che duri
almeno 6 mesi. Il soggetto deve fare con i centri per l’impiego un patto di servizio personalizzato e
deve accettare le occupazioni congrue che gli vengono offerte.

Le domande che riguardano l’Aspi, la Naspi e la Dis – coll vengono presentate dagli interessati
all’Inps e poi vengono trasmesse all’Anpal e sono considerate dichiarazioni di immediata
disponibilità. Sono previste sanzioni per coloro che non rispettano il patto di servizio
personalizzato: se, senza giustificato motivo, non accettano la congrua offerta di lavoro, prima si
procede con la decurtazione delle prestazioni e poi si arriva alla loro totale decadenza.

Obiettivo della legge 92 era l’abolizione graduale dell’indennità di mobilità (erogata in favore dei
lavoratori esuberanti). La legge prevede agevolazioni per le imprese che assumono i lavoratori che
percepiscono l’indennità di mobilità. Se il soggetto che la percepisce inizia un rapporto di lavoro
subordinato o autonomo, non perde definitivamente il diritto alla prestazione ma questa viene
sospesa per max 12 mesi. Tuttavia se la nuova occupazione gli fornisce un reddito inferiore a
quello che percepiva con l’occupazione precedente, ha il diritto di ricevere una prestazione ridotta.
La prestazione viene erogata per min 12 mesi e max 36 mesi e dopo i primi 12 mesi di percezione il
suo ammontare si riduce (l’importo della prestazione = trattamento straordinario di integrazione
salariale percepito prima del licenziamento). E’ prevista anche una versione “lunga” di questa
prestazione (che può durare anche per una decina di anni) se il soggetto ha una certa età e una
certa anzianità contributiva. In questo caso l’indennità diventa praticamente un
prepensionamento. Durante il periodo di percezione dell’indennità si procede con la contribuzione
figurativa e viene corrisposto anche l’assegno familiare. Poichè tale indennità dà diritto a tutti
questi benefici, per evitare speculazioni sono previsti rigorosi requisiti di accesso: anzianità
aziendale di almeno 12 mesi di cui almeno 6 effettivamente lavorati e sono esclusi i lavoratori
assunti a termine. la prestazione non può essere erogata per un periodo superiore all’anzianità
aziendale. Se il soggetto percepisce questa indennità non può percepire nessun altra prestazione
di disoccupazione o di malattia. Se il soggetto percepisce la maternità, non può invece percepire
l’indennità di mobilità. Tale indennità è cumulabile solo con le prestazioni per la tubercolosi, con le
rendite da infortunio e con le pensioni di guerra e ovviamente è incompatibile con tutti i
trattamenti pensionistici (vecchiaia, anzianità e inabilità). Questa prestazione in parte viene
finanziata dall’impresa che vi fa ricorso e questo è previsto per disincentivare l’utilizzo di questo
strumento che, come abbiamo visto, si ha l’obiettivo di abolire. Il diritto di percepire la prestazione
decade se il soggetto non accetta un’offerta di lavoro congrua (requisito della condizionalità).
L’indennità di mobilità non viene applicata ai lavoratori esuberanti nel pubblico impiego. Se questi
hanno i requisiti per andare in pensione, ci vanno, altrimenti si cerca di ricollocarli presso la stessa
amministrazione o presso altre amministrazioni. Se non si riesce a ricollocarli si arriva alla
risoluzione del rapporto di lavoro. durante il periodo di ricollocamento che non può durare + di 24
mesi percepiscono un’indennità = 80% del loro stipendio e un’indennità integrativa speciale.
Durante il periodo di percezione di queste indennità si applica la contribuzione figurativa.

Rapporto previdenziale e insolvenza del datore di lavoro Il nostro ordinamento non


prevedeva un istituto volto a tutelare il lavoratore che aveva maturato del reddito che però non
riusciva concretamente ad ottenere a causa dell’insolvenza del datore di lavoro, per questo tale
istituto è stato introdotto in via comunitaria e il recepimento all’interno del nostro Paese è stato
molto sofferto. L’UE emanò una direttiva nel 1980 che prevedeva che gli Stati destinatari
avrebbero dovuto adottare le misure necessarie affinchè organismi di garanzia assicurassero la
soddisfazione dei crediti dei lavoratori subordinati, almeno degli ultimi 3 mesi dei 6 mesi
precedenti di insolvenza del datore. Poichè l’Italia non dava attuazione a questa direttiva, fu più
volte condannata dalla Corte di Giustizia, che la condannò anche al risarcimento dei danni causati
dal ritardo nell’attuazione della direttiva. Solo nel 1992 l’Italia ha emanato il d. lgs. volto a dare
attuazione a questa direttiva e ha istituito un apposito fondo di garanzia presso l’Inps.
Successivamente l’UE emanò una direttiva nel 2002, che per la 1° volta affrontò il tema delle
situazioni di insolvenza transnazionali, che si verificano quando le imprese svolgono attività sul
territorio di almeno 2 Stati membri. questa direttiva ha stabilito che l’organo competente al
pagamento delle prestazioni sarebbe dovuto essere quello dello Stato membro sul cui territorio i
lavoratori esercitano o esercitavano abitualmente il loro lavoro. inoltre questa direttiva prevedeva
obblighi di scambi di informazioni tra le p.a. competenti e gli organi di garanzia dei vari stati
membri, per assicurare una maggior tutela degli interessati. L’Italia, per dare attuazione a questa
direttiva del 2002, ha emanato un d. lgs. nel 2005 che ha istituito un apposito fondo presso l’Inps.
Tale decreto ha stabilito che il lavoratore sarebbe stato tutelato:

- In caso di insolvenza del datore di lavoro per il pagamento del t.f.r.


- In caso di insolvenza del datore nel pagamento dei crediti retributivi degli ultimi 3 mesi
- In caso di insolvenza del datore nell’adempimento delle obbligazioni contributive

Affinchè sorga il diritto del lavoratore di ottenere la prestazione, deve esserci un accertamento
dell’inadempimento del datore di lavoro o con procedura concorsuale o a causa dell’esito negativo
dell’esecuzione forzata. Il lavoratore deve presentare la domanda entro 15 gg dall’accertamento
dell’insolvenza. Provvederà al pagamento del lavoratore il fondo di garanzia istituito presso l’Inps,
che poi avrò azione di regresso vs il datore. Hanno il diritto di ricevere questa prestazione i
lavoratori subordinati del settore privato, i lavoratori subordinati degli enti pubblici economici e i
soci di cooperative. NON hanno il diritto di percepire questa prestazione i dipendenti pubblici,
quelli degli enti pubblici non economici e quelli che ricevono il t.f.r. da un ente previdenziale di
categoria. Si occupa della gestione di questa assicurazione l’Inps, solo nel caso dei giornalisti
provvede l’Inpgi.

La 1° prestazione consiste nel pagamento del t.f.r. (il diritto di ricevere questa prestazione si
prescrive dopo 5 anni dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere).

La 2° prestazione consiste del pagamento dei crediti di lavoro inerenti agli ultimi 3 mesi (il diritto a
questa prestazione si prescrive in 1 anno che decorre dalla data in cui il credito può essere fatto
valere).

La 3° prestazione consiste nella contribuzione figurativa omessa.

La 4° prestazione viene erogata quando al lavoratore non può essere corrisposta la prestazione di
previdenza complementare a cui avrebbe avuto diritto se il datore avesse pagato i contributi.

Il fondo presso l’Inps è alimentato dalla contribuzione di solidarietà pagata dai datori di lavoro.

Rapporto previdenziale e integrazioni salariali La cassa integrazione guadagni è la forma


di tutela del reddito interna al rapporto di lavoro più significativa. Questo istituto è stato
introdotto durante la 2° guerra mondiale dalla contrattazione collettiva corporativa (precisamente
è stato introdotto nel 1941) ed è stato introdotto per garantire ai lavoratori che avevano
temporaneamente smesso di svolgere la loro attività produttiva a causa di impossibilità oggettiva o
di forza maggiore un reddito integrativo (nel caso in cui avessero subito solo una riduzione
dell’orario dell’attività lavorativa) o sostitutivo (in caso di vera e propria sospensione dell’attività
lavorativa. Nel corso del tempo la funzione di questo istituto si è modificata. Mentre prima questo
istituto si applicava solo quando l’impresa si trovava in una situazione di impossibilità oggettiva a
garantire lo svolgimento dell’attività lavorativa, oggi questo istituto si applica anche quando
l’intero mercato si trova in una condizione di impossibilità. Oggi questo istituto tutela le imprese in
crisi e le situazioni di eccedenza del personale temporanea (perchè i lavoratori definitivamente in
esubero sono tutelati dall’indennità di mobilità che abbiamo già visto).

Quando viene concessa l’integrazione salariale, si sospende totalmente o parzialmente il rapporto


di lavoro ma l’integrazione salariale può essere concessa solo se l’impresa rientra nel campo di
applicazione dell’istituto e se si verifica una delle cause integrabili previste dalla legge. Per
concedere l’integrazione salariale non è sufficiente che si verifichi una causa integrabile, è
necessario innanzitutto farne domanda e poi avviare la procedura di consultazione sindacale a
seguito della quale si emana un provvedimento amministrativo di autorizzazione all’integrazione
salariale, provvedimento all’interno del quale bisogna specificare il numero di dipendenti a cui
l’integrazione salariale è concessa e le ore da integrare. A seguito dell’emanazione di questo
provvedimento ci sarà la sospensione del rapporto di lavoro.

Questo istituto è disciplinato dalla legge 92/2012, che prende in considerazione 2 tipi di cassa
integrazione:

- Cassa integrazione ordinaria


- Cassa integrazione straordinaria

Prima era prevista una 3° tipologia di cassa integrazione, cd cassa integrazione in deroga, che la
legge 92 ha soppresso. Importanti modifiche a questo istituto sono state apportate dal d. lgs.
148/2015. Questo decreto è così strutturato:

- Capo I: disposizioni comuni a cassa integrazione ordinaria e straordinaria


- Capo II: disposizioni inerenti alla cassa integrazione ordinaria
- Capo III: disposizioni inerenti alla cassa integrazione straordinaria
- Capo IV: specifiche abrogazioni

Questo istituto ha avuto un grande successo e nel corso del tempo è stato esteso il suo ambito
soggettivo di applicazione. Inizialmente la cassa integrazione si applicava solo agli operai del
settore industria, poi è stata estesa anche agli impiegati, ai quadri e agli stessi operai di altri
settori. Affinchè si applichi l’istituto, i lavoratori devono avere un contratto di lavoro subordinato
(e l’istituto si applica anche agli apprendisti che hanno il cd contratto di mestiere, cioè un contratto
di apprendistato professionalizzante). L’istituto non si applica ai dirigenti e ai lavoratori a
domicilio. I lavoratori devono inoltre avere un’anzianità lavorativa di almeno 90 gg presso l’unità
produttiva che fa la domanda di integrazione salariale straordinaria (per quella ordinaria non è
richiesta la presenza di questa condizione). Molte volte per concedere l’integrazione salariale
straordinaria è richiesto un requisito dimensionale dell’impresa che ne fa richiesta (requisito che
non è richiesto in caso di integrazione salariale ordinaria).

CAUSE INTEGRABILI DELL’INTEGRAZIONE SALARIALE ORDINARIA:

1) Eventi transitori, non imputabili nè all’imprenditore nè agli operai


2) Situazioni temporanee di mercato

CAUSE INTEGRABILI DELL’INTEGRAZIONE SALARIALE STRAORDINARIA:

1) Riorganizzazione aziendale => in questo caso il datore che richiede l’integrazione salariale
straordinaria deve presentare un programma di riorganizzazione aziendale in cui stabilisce
quali sono gli interventi che vuole compiere per pronteggiare le inefficienze gestionali e
produttive. Questo programma è finalizzato a recuperare il personale interessato
dall’integrazione salariale straordinaria
2) Crisi aziendale => in questo caso il datore deve presentare il programma di crisi aziendale
in cui stabilisce il piano di risanamento per fronteggiare gli squilibri produttivi, finanziari e
gestionali
3) Contratto di solidarietà => viene stipulato dall’impresa attraverso il contratto collettivo
aziendale, che è un contratto collettivo (i contratti collettivi possono essere nazionali,
territoriali o aziendali) che come tutti i contratti collettivi viene stipulato dalle associazioni
sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e le rappresentanze
sindacali aziendali (r.s.a.) o le rappresentanze sindacali unitarie (r.s.u.). Con questo
contratto si stabilisce una riduzione dell’orario del lavoro che è finalizzata ad evitare la
riduzione del personale. La riduzione dell’orario non può essere superiore al 60%
dell’orario di lavoro dei lavoratori interessati dal contratto di solidarietà e ogni lavoratore
non può avere una riduzione dell’orario superiore al 70% dell’orario di lavoro del periodo di
applicazione del contratto di solidarietà.

L’integrazione salariale straordinaria può essere richiesta solo dall’impresa che ha la capacità
potenziale di riprendere la normale attività. l’impresa, per l’unità produttiva per cui ha richiesto
l’integrazione salariale ordinaria, non può richiedere (nello stesso arco temporale) l’integrazione
salariale straordinaria.

Le PRESTAZIONI possono consistere in 2 cose:

- Indennità integrativa della retribuzione: viene data quando il lavoratore ha subito solo una
riduzione dell’orario = 80% della retribuzione che il lavoratore avrebbe ricevuto nelle ore di
lavoro non prestate (in ogni caso non possono essere prese in considerazione + di 40 h
settimanali)
- Indennità sostitutiva della retribuzione: quando il lavoratore ha subito proprio la
sospensione dell’attività lavorativa = 80% della retribuzione che il lavoratore avrebbe
ricevuto nelle ore di lavoro non prestate (in ogni caso non possono essere prese in
considerazione + di 40 h settimanali).

Coloro che percepiscono queste prestazioni hanno comunque il diritto di percepire gli assegni per
il nucleo familiare. In caso di malattia, la cassa integrazione sostituisce l’indennità di malattia. Le
prestazioni vengono anticipare dal datore (che le eroga quando è periodo di paga) e poi si fa un
conguaglio ma, se questo versa in condizioni di difficoltà, l’Inps (in caso di integrazione ordinaria) e
il Ministero del lavoro (in caso di integrazione straordinaria) possono stabilire che provveda a
questo pagamento l’ente previdenziale. Queste prestazioni, praticamente, sono equiparate alle
retribuzioni. I lavoratori beneficiari delle integrazioni salariali che hanno avuto una riduzione o
sospensione dell’attività lavorativa del 50% (calcolato sugli ultimi 12 mesi) devono stipulare con i
centri per l’impiego il patto di servizio personalizzato, in base al quale dovranno accettare le
offerte di lavoro congrue che gli verranno presentate da questi centri perchè, se le rifiuteranno,
smetteranno di percepire le indennità. L’indennità non è corrisposta nelle giornate di lavoro del
lavoratore. il soggetto perde il beneficio se non comunica all’Inps che percepisce l’indennità e se
non le comunica di aver fatto delle giornate di lavoro.

Integrazione ordinaria => può essere erogata per max 3 mesi (13 sett) prorogabili fino a un max di
12 mesi e nel caso delle piccole imprese (che sono quelle che occupano da 5 a 50 lavoratori) che si
trovano nelle aree di declino industriale per max 24 mesi nell’arco di un triennio. Se l’impresa
fruisce dell’integrazione ordinaria per 52 sett consecutive (cd stop and go), può richiederla un’altra
volta per la stessa unità produttiva solo se sono trascorse almeno 52 sett di normale attività => in
questo caso l’obbligo contributivo grava sui datori e le aliquote variano in base al settore di attività
ma c’è anche un contributo finanziario proveniente dall’impresa beneficiaria (e questo contributo
interviene anche in caso di integrazione straordinaria) => in questo caso la domanda per ricevere
l’indennità deve essere presentata all’Inps dopo la procedura di consultazione sindacale. La
domanda va presentata entro 15 gg successivi alla sospensione o riduzione dell’attività lavorativa e
in caso di presentazione tardiva il trattamento non viene concesso per la settimana anteriore al
giorno di presentazione della domanda. Dopo il procedimento di consultazione sindacale bisogna
emanare il provvedimento amministrativo di concessione del trattamento (che in questo caso
viene emanato dall’Inps). Questo provvedimento ha natura discrezionale, per questo le situazioni
che riguardano l’imprenditore, i sindacati e i lavoratori non sono diritti soggettivi ma interessi
legittimi che verranno tutelati dinanzi al giudice amministrativo.

Integrazione straordinaria => non si può dire quale sia la sua durata complessiva. Il d. lgs 148/2015
ha stabilito limiti di durata diversi a seconda della causa integrabile: in caso di riorganizzazione
aziendale = 24 mesi in un quinquennio, in caso di crisi aziendale 12 mesi in un quinquennio, in caso
di contratti di solidarietà 36 mesi in un quinquennio => anche in questo caso l’obbligo contributivo
grava sui datori ma il finanziamento proviene anche in parte dallo Stato => in questo caso la
domanda per ricevere l’indennità deve essere presentata al Ministero del lavoro dopo la
procedura di consultazione sindacale. La domanda va presentata entro 7 gg successivi alla
conclusione della procedura di consultazione sindacale. In questo caso il provvedimento
amministrativo di concessione del trattamento viene emanato dal Ministero del lavoro e valgono
le stesse osservazioni che abbiamo fatto prima.

La legge 92/2012 ha stabilito che negli ambiti in cui non opera la cassa integrazione guadagni
trovino applicazione i cd fondi di solidarietà, che forniscono una tutela analoga a quella della cassa
integrazione (per es l’importo dell’assegno e le causali sono uguali). Ci sono 3 tipi di fondi di
solidarietà:

- i fondi bilaterali di solidarietà (ai lavoratori esodati vengono erogati assegni di sostegno del
reddito fino a che non maturano il diritto a pensione). Sono amministrati da comitati;
- i fondi bilaterali di solidarietà alternativi: operano solo nel settore dell’artigianato e della
somministrazione di lavoro;
- i fis (fondi di integrazione salariale): è un fondo residuale che viene applicato quando i
datori che avevano l’obbligo di costituire fondi bilaterali o bilaterali alternativi non hanno
rispettato l’obbligo. Questo fondo eroga l’assegno di solidarietà e l’assegno ordinario.

CAPITOLO XII: PENSIONE DI VECCHIAIA, PRESTAZIONI IN FAVORE DEI SUPERSTITI

Rapporto previdenziale e vecchiaia Il rapporto previdenziale per eccellenza è quello che


tutela lo stato di bisogno che sorge nell’ultimo periodo dell’esistenza del soggetto protetto. In
questo rapporto possiamo riscontrare, più che in ogni altro rapporto previdenziale, che la
fattispecie previdenziale è una fattispecie complessa a formazione progressiva, perchè il soggetto
acquista il diritto alla prestazione non solo quando raggiunge l’età pensionabile ma anche dopo
che ha maturato i requisiti di anzianità assicurativa e contributiva, requisiti che matura durante
tutto lo svolgimento dell’attività di lavoro.

I soggetti protetti solo tutti i produttori di reddito da lavoro, sia subordinato che autonomo e nel
corso del tempo la tutela è stata estesa anche ai soggetti che svolgono un’attività lavorativa che
non produce reddito economico, come per es i soggetti che svolgono lavori non retribuiti derivanti
da responsabilità familiari (anche se in questo caso il rapporto previdenziale si instaura solo se
ricorre la volontà del soggetto stesso). Le discipline che disciplinano questo rapporto sono diverse
a seconda dell’attività lavorativa che il soggetto ha svolto anche se è in corso un processo di
armonizzazione. Quindi ci sono discipline diverse per il lavoro subordinato (all’interno del quale si
fa un’ulteriore distinzione tra lavoro pubblico e privato) e lavoro autonomo (all’interno del quale si
distingue tra libere professioni, lavoro autonomo “atipico” coordinato e continuativo, associati in
partecipazione, lavoratori autonomi piccoli imprenditori, coltivatori diretti, artigiani e
commercianti). Potrebbe accadere che nel corso della sua vita il soggetto abbia svolto diversi tipi
di attività lavorative dando vita a diversi rapporti previdenziali e per questo sono stati introdotti gli
istituti della ricongiunzione, della totalizzazione e del cumulo dei periodi assicurativi.

L’effettività della tutela previdenziale è garantita dal principio di automaticità delle prestazioni
sancito dall’art 2116, 1° co, c.c.: “Le prestazioni indicate dall’art 2114 sono dovute al prestatore di
lavoro anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni
di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali o delle norme
corporative”. Questo principio opera solo nell’ambito del lavoro subordinato e solo in relazione ai
contributi non prescritti. Inoltre l’effettività della tutela previdenziale è garantita anche dai rimedi
surrogatori del principio di automaticità delle prestazioni (che sono l’azione di risarcimento
disciplinata dall’art 2116, 2° co c.c. “Nei casi in cui le istituzioni di previdenza e di assistenza, per
mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le
prestazioni dovute, l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro”
e la costituzione di rendita vitalizia disciplinata dall’art 13 della l. 1338/1962 che prevede che il
datore di lavoro che non ha versato i contributi può chiedere all’Inps di costituire una rendita
vitalizia pari alla pensione o quota di pensione che spetterebbe al lavoratore in relazione ai
contributi omessi). Il principio di automaticità delle prestazioni opera solo nel lavoro subordinato
perchè quì a differenza di quanto accade nel lavoro autonomo l’onere finanziario della
contribuzione è ripartito tra datore di lavoro (che è il soggetto passivo dell’obbligazione
contributiva) e il lavoratore (che è il beneficiario dell’obbligazione contributiva). Nel lavoro
autonomo, invece, il soggetto passivo dell’obbligazione contributiva coincide con il beneficiario
della prestazione pensionistica anche se non mancano fattispecie in cui questi soggetti sono
diversi: per es nel lavoro a progetto e nel lavoro coordinato e continuativo il soggetto passivo è il
committente e in queste attività lavorative l’onere finanziario è ripartito secondo il modello del
lavoro subordinato.

Quando si completa la fattispecie pensione di vecchiaia (cioè quando il soggetto matura i requisiti
per andare in pensione) non è prevista la cessazione automatica dell’attività lavorativa nè
l’immediata fruizione della prestazione previdenziale. Quando maturano i requisiti per il soggetto
sorge semplicemente il diritto di fruire del trattamento previdenziale, ma egli può decidere di
esercitarlo immediatamente, successivamente o di non esercitarlo affatto (in quest’ultimo caso
verrà esercitato dai suoi superstiti). Inoltre, anche quando il soggetto esercita il diritto e acquista la
qualità di pensionato, può riprendere l’attività lavorativa e può svolgere la stessa che svolgeva
prima di andare in pensione o un’altra (in quest’ultimo caso farà sorgere un nuovo rapporto
previdenziale e quindi, dopo che avrà maturato i requisiti, avrà diritto a un’ulteriore prestazione).
Quindi, dopo che il soggetto matura i requisiti, ha un diritto di opzione: può scegliere se andare in
pensione o continuare a lavorare.

La legge nel caso del pubblico impiego prevede esplicitamente che il diritto a pensione sia
imprescrittibile, ma l’imprescrittibilità di questo diritto è estesa anche a tutti gli altri settori. Si
prescrivono invece i ratei di pensione (cioè le quote di pensione): quelli maturati e non liquidati si
prescrivono dopo 10 anni, quelli liquidati e non riscossi dopo 5. L’interessato può agire in giudizio
per richiedere la prestazione che non gli è stata concessa e l’azione decade dopo 3 anni dal giorno
in cui la domanda poteva essere proposta.

Rapporto previdenziale ed età pensionabile Legge 214/2011: ha portato a compimento


l’impianto introdotto dalla legge 335/1995 e ha stabilito che a coloro che hanno maturato i
requisiti per andare in pensione a partire dal 1° gennaio 2012, per calcolare la pensione bisogna
applicare il criterio contributivo. Quindi a coloro che hanno maturato tali requisiti entro il 31
dicembre 2011 continuerà ad essere applicata la previgente disciplina.

Criterio contributivo: prevede:

- requisito anagrafico: i pubblici dipendenti devono avere almeno 66 anni e non vengono
fatte distinzioni di sesso; i lavoratori del settore privato di sesso maschile devono avere
almeno 66 anni, mentre le lavoratrici del settore privato almeno 62 ma nel 2018 anche il
loro requisito anagrafico è stato progressivamente innalzato fino ad arrivare a 66 anni; i
lavoratori autonomi uomini 66 anni, le lavoratrici autonome donne 63 e 3 mesi ma anche
in questo caso nel 2018 si progressivamente è arrivati a 66 anni => Praticamente,
progressivamente, si è giunti a un’unità età pensionabile = 66 anni. Il legislatore inoltre
prevede che, dopo aver raggiunto questa parificazione, ci sarà un ulteriore spostamento in
avanti così che a partire dal 2021 l’età pensionabile = 67 anni. => L’età pensionabile si è
progressivamente elevata a causa dell’aumento della speranza di vita media (è previsto che
a partire dal 2019 la speranza di vita media dovrà essere ricalcolata non più ogni 3 anni
bensì ogni 2 anni). Tenendo conto di questo fattore è probabile che entro il 2050 l’età
media diventerà = 70 anni
- requisito contributivo: non basta che il soggetto abbia raggiunto l’età pensionabile. In
concorso con il requisito anagrafico deve ricorrere il requisito contributivo, cioè il soggetto
deve avere un’anzianità contributiva di almeno 20 anni ed è richiesta anche un’ulteriore
condizione, cioè il montante contributivo risultante da questa anzianità deve essere tale da
determinare l’erogazione di una rendita di importo non inferiore a 1,5 volte l’assegno
sociale (si può prescindere da questa condizione legata al montante contributivo solo se il
soggetto ha almeno 70 anni e un’anzianità contributiva minima di 5 anni.

Per alcune categorie sono previste alcune deroghe per consentire una transizione non traumatica
dal vecchio al nuovo regime. Una deroga è prevista per le lavoratrici, sia autonome che
subordinate, che entro il 31 dic 2015 abbiano richiesto la liquidazione della pensione secondo il
sistema contributivo rinunciando al sistema misto (retributivo per i periodi ante 1996, contributivo
per i periodi successivi). Queste acquistano il diritto al pensionamento se hanno almeno 35 anni di
anzianità contributiva e, se subordinate, devono avere almeno 57 anni di età, se autonome,
almeno 58. Altre deroghe sono state introdotte per i lavoratori esodati (sono coloro che hanno
risolto il rapporto di lavoro a causa del pensionamento ormai vicino che però è stato
improvvisamente differito a causa dell’innalzamento dell’età pensionabile con la conseguenza che
hanno dovuto affrontare periodi di assenza sia di reddito di lavoro che di reddito da pensione.
Sono previste delle deroghe al sistema di innalzamento dell’età pensionabile in caso di
prepensionamento: possono usufruirne i lavoratori che maturano i requisiti per il diritto a
pensione nei 4 anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro. in questo caso il datore deve
erogare al lavoratore una prestazione di importo = alla pensione che gli spetterebbe in base alle
regole vigenti e deve continuare a versare i contributi fino a che il lavoratore non maturi anche il
requisito contributivo. Inoltre il sistema di innalzamento dell’età pensionabile non si applica ai
disabili che hanno menomazioni = o > all’80% e ai lavoratori non vedenti, ai lavoratori uomini che
hanno un’anzianità contributiva = 42 anni e 1 mese e alle lavoratrici donne che hanno un’anzianità
contributiva = 41 anni e 1 mese.

Il criterio di computo del trattamento pensionistico Dal 1° gennaio 2012 l’importo delle
pensioni di vecchiaia viene determinato in base al criterio contributivo INTEGRALMENTE per i
lavoratori che hanno iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995, IN PARTE (con un criterio misto
contributivo retributivo) per i lavoratori che hanno iniziato a lavorare prima del 31 dicembre 1995:
in questo 2° caso la pensione spettante per il lavoro prestato fino al 31 dic 1995 si calcola con il
criterio retributivo, la pensione spettante per il lavoro prestato nel periodo successivo con il
criterio contributivo. In questo 2° caso va applicato il criterio del pro rata, secondo cui l’importo
complessivo della pensione in ogni caso non può eccedere quello che sarebbe stato liquidato con
l’applicazione del solo criterio retributivo.

Il criterio retributivo era stato introdotto con la legge 153/1969 e secondo questo criterio
l’ammontare della pensione deve essere calcolato prendendo in considerazione la media delle
retribuzioni percepite nell’ultimo periodo dell’attività lavorativa, che costituiscono la cd
retribuzione pensionabile (o base pensionabile). Inoltre questo criterio prendeva in considerazione
solo i contributi accumulati per max 40 anni. Il criterio contributivo è più equo di quello retributivo
perchè tiene conto dei contributi versati durante tutta la vita lavorativa e prende in considerazione
anche la durata del periodo di godimento della pensione. Ovviamente il criterio contributivo è
meno conveniente per gli interessati, perchè a differenza di quello retributivo non tiene conto del
tenore di vita che l’interessato ha acquisito durante la fase finale dell’attività lavorativa. È chiaro
che uno dei problemi principali connessi al criterio contributivo è quello di non assicurare una
pensione che si avvicini il più possibile al reddito da lavoro, quindi il criterio contributivo porta con
sè anche un altro problema, cioè quello dell’adeguatezza della pensione (non ci scordiamo che ai
sensi dell’art 38, 2° co, Cost i lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi
adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e
disoccupazione involontaria). La legge 335/1995 ha abrogato la garanzia del trattamento minimo
che era stata introdotta dalla legge 153/1969. Oggi il problema dell’adeguatezza, sia in caso di
applicazione del criterio retributivo che in caso di applicazione del criterio contributivo, viene
gestito con il metodo della perequazione automatica, che adegua il trattamento pensionistico alle
variazioni del costo della vita (una tecnica sostanzialmente analoga viene utilizzata anche per
calcolare le retribuzioni del lavoro dipendente). Tuttavia la legge 214/2011 aveva stabilito il blocco
della perequazione dei trattamenti pensionistici superiori a 3 volte il trattamento minimo Inps. La
Corte costituzionale nel 2015 ha dichiarato tale disposizione incostituzionale ma in realtà al
monito della Corte costituzionale è stata data solo una parziale attuazione, perchè comunque è
stato mantenuto un blocco della perequazione soltanto che in misura inferiore al 100% (a diff di
quanto prevedeva la l. 214/2011 che prevedeva il blocco del 100%). Quindi è chiaro che l’attuale
sistema si pone in contrasto con l’art 38, 2° co Cost e il basso ammontare delle pensioni spiega
perchè in molti casi i lavoratori riprendano l’attività lavorativa dopo il pensionamento.

La pensione viene concessa dopo che l’interessato presenta la domanda e per presentarla questo
deve prima risolvere il rapporto di lavoro.

Dalla pensione di anzianità alla pensione di vecchiaia anticipata Prima nel nostro
ordinamento era presente la pensione di anzianità di servizio, che veniva corrisposta al posto della
pensione di vecchiaia ai lavoratori che pur non avendo raggiunto l’età pensionabile avevano svolto
per un lungo periodo un’attività lavorativa che aveva contribuito al benessere della collettività.
Questa pensione, praticamente, veniva corrisposta al lavoratore che si trovava ancora nel pieno
della sua capacità lavorativa ma che aveva già maturato i requisiti assicurativi e contributivi (quindi
era in possesso dei requisiti amministrativi (almeno 35 anni di contributi) ma non di quelli
anagrafici). Tale pensione, tuttavia, si è rivelata finanziariamente insostenibile (anche a causa
dell’innalzamento dell’età della vita media: queste pensioni spesso venivano corrisposte per
lunghissimi periodi di tempo) e quindi è stata gradualmente soppressa (inizialmente sono state
semplicemente inasprite le condizioni per ottenere tale pensione, successivamente è stata proprio
abolita. Per es la l. 335/1995 stabilì che per percepire la pensione di anzianità non fosse sufficiente
avere 35 anni di contributi; il soggetto doveva avere anche minimo 57 anni oppure, in alternativa a
questi 2 requisiti, 40 anni di contributi. Sempre la l. 335 stabilì che tale pensione non sarebbe
potuta essere erogata ai lavoratori liquidati esclusivamente con il sistema contributivo, che quindi
avrebbero potuto ricevere solo ed esclusivamente la pensione di vecchiaia. Il processo di
estinzione della pensione di anzianità si è concluso con la legge 214/2011 che ha stabilito che chi
matura i requisiti per ottenere la pensione di anzianità a partire dal 1° genn 2012 ha diritto solo
alla pensione anticipata di vecchiaia). La pensione di anzianità era espressione del modello
retributivo. Al suo posto è stata introdotta la pensione contributiva che esattamente come la
pensione di anzianità valorizza i requisiti amministrativi.
L’attuale disciplina prevede che i lavoratori a cui viene applicato il sistema misto che maturano i
requisiti per la pensione di anzianità a partire dal 1° genn 2012 possono ricevere la pensione
anticipata solo se, essendo uomini, hanno un’anzianità contributiva di almeno 42 anni e 1 mese e,
essendo donne, hanno un’anzianità contributiva di 41 anni e 1 mese.

Coloro a cui viene applicato integralmente il sistema contributivo (cioè coloro che hanno iniziato a
svolgere l’attività lavorativa a partire dal 1° genn 1996) per percepire la pensione anticipata
devono avere almeno 63 anni di età e 20 anni di contributi: questo lo prevedeva la l 214/2011 ma
la l. 190/2014 ha abolito il requisito anagrafico e quindi a partire dal 1° genn 2015 la pensione di
anticipata può essere data a tutti coloro che hanno 20 anni di contributi e 62 anni di età
anagrafica.

La disciplina del cumulo tra pensioni e redditi da lavoro Abbiamo visto che si può
verificare una situazione di concorso tra reddito di pensione e reddito di lavoro. La disciplina di
questo fenomeno, nel corso del tempo, è stata più volte modificata. Nel 1952 venne introdotta
una disciplina anticumulo molto rigorosa che prevedeva l’assoluta incumulabilità tra pensione e
retribuzione; questa disciplina è stata abrogata nel 1965 e ripristinata nel 1968. Successivamente a
causa di una pronuncia della Corte costituzionale che ci fu nel 1969 venne nuovamente abrogata
ma la legge 153/1969 ha reintrodotto una cumulabilità tra i 2 redditi, seppur mitigata (è
cumulabile solo il 50% della quota di pensione che eccede il trattamento minimo) e la legislazione
successiva ha mantenuto questo regime. Secondo questa riforma le quote di pensione che
eccedono l’importo minimo sono incumulabili sia con i redditi da lavoro dipendente che con quelli
da lavoro autonomo e sono previsti obblighi di denuncia sia a carico del pensionato (che, se è un
lavoratore subordinato, deve denunciare la sua qualità al datore, se è un lavoratore autonomo
all’ente) e a carico del datore di lavoro (deve riversare all’Inps la parte di retribuzione non
cumulabile).

A partire dal 1995 è iniziato un processo di liberalizzazione, con cui i limiti sopra richiamati sono
stati eliminati per le pensioni di vecchiaia ed è stato introdotto un trattamento di maggior favore
per le pensioni di anzianità erogate in favore di chi avesse un’anzianità contributiva di almeno 40
anni. Il processo di liberalizzazione si è concluso nel 2008, con l’emanazione di una legge che ha
stabilito la piena cumulabilità delle pensioni di anzianità con i redditi di lavoro autonomo e
subordinato e la piena cumulabilità delle pensioni di vecchiaia conseguite con il sistema
contributivo e delle pensioni anticipate. La cumulabilità non è stata introdotta per ragioni di equità
(anzi, contrasta con tali ragioni per cui sarebbe più opportuno mantenere le normative
anticumulo) bensì per ragioni di opportunità: il legislatore ritiene che la cumulabilità tra pensione
e reddito da lavoro sia un ottimo strumento per contrastare il lavoro sommerso, in quanto spinge
il pensionato a svolgere in totale trasparenza il nuovo rapporto di lavoro.

Si può verificare anche una situazione di concorso tra più trattamenti pensionistici, concorso che
non è vietato dal nostro ordinamento, anche se il legislatore promuove l’unicità del trattamento
pensionistico (cosa che si capisce anche dagli istituti della ricongiunzione, totalizzazione e cumulo).
L’unica limitazione al concorso tra trattamenti pensionistici è prevista per l’integrazione al minimo:
laddove questa sia ancora applicabile, può essere concessa solo una volta sulla pensione con
l’importo di trattamento minimo più elevato.

Il trattamento pensionistico per i dipendenti delle p.a. A partire dal 1992 si è avviato un
processo di armonizzazione dei regimi previdenziali del settore pubblico e privato e questo
processo si è concluso con la legge 335/1995 e con la legge 214/2011. L’armonizzazione riguarda
sia l’ente gestore (è stato soppresso l’Inpdap e ora l’Inps si occupa di tutto) che la disciplina
applicabile. In realtà l’equiparazione della disciplina riguarda solo i dipendenti pubblici
“contrattualizzati” assunti dal 1° genn 1996 (quindi a quelli assunti prima viene applicata la
disciplina previgente e anche ai dipendenti pubblici non contrattualizzati, come per es i magistrati
ordinari, gli insegnanti, i docenti universitari e le forze armate). Le prestazioni sono finanziate con
contributi che vengono versati dall’amministrazione statale datrice di lavoro e dal lavoratore.
anche per questi dipendenti l’età pensionabile = 66 anni ma per alcune categorie (per es i prof
universitari) questo limite è innalzato e per altre (es vigili del fuoco o forze armate) è ridotto. A
differenza di quanto avveniva in passato, il raggiungimento dell’età pensionabile non implica più
l’automatica risoluzione del rapporto di lavoro e anzi il legislatore cerca di incentivare la
prosecuzione dell’attività lavorativa (che comunque non è possibile dopo il compimento del
70esimo anno). Se il soggetto ha lavorato presso una pluralità di amministrazione statale vengono
riuniti i relativi periodi assicurativi per permettergli di avere un unico trattamento pensionistico.
L’armonizzazione non riguarda la disciplina del cumulo tra pensione e redditi di lavoro: nel settore
pubblico non c’è stato il processo di liberalizzazione che invece c’è stato nel settore privato.

I trattamenti pensionistici per il lavoro autonomo In coerenza con la vocazione


universalistica della previdenza sociale, negli anno ’90 l’assicurazione obbligatoria è stata estesa al
lavoro coordinato e continuativo, al lavoro autonomo libero professionale, al lavoro familiare, al
lavoro associato e al lavoro autonomo in genere. Dunque l’obbligo assicurativo è stato esteso a
tutti i produttori di reddito da lavoro. le prime 3 gestioni storiche dell’Inps sono quelle dei
coltivatori diretti, degli artigiani e dei commercianti. Inizialmente il sistema di computo della
prestazione era quello retributivo, ma con la riforma del 1995 anche nell’ambito del lavoro
autonomo è stato introdotto il sistema contributivo. C’è un processo di armonizzazione tra lavoro
autonomo e subordinato ma permangono delle differenze. Per es anche se in entrambi i casi viene
adottato il sistema contributivo, nel caso del lavoro autonomo l’aliquota contributiva è inferiore
rispetto a quella prevista per il lavoro subordinato (nel lavoro autonomo aliquota contributiva
=27%, in quello subordinato = 33%) anche se l’aliquota contributiva del lavoro autonomo è in via di
progressiva crescita. Inoltre altra diff rispetto al lavoro subordinato consiste nel fatto che per il
lavoratore autonomo l’acquisto del diritto alla pensione di vecchiaia non è subordinato alla
cessazione dell’attività lavorativa. È stata introdotta la 4° gestione Inps che si occupa di tutti i
lavoratori autonomi tranne i liberi professionisti che hanno una loro cassa previdenziale.

La tutela per l’invalidità e la vecchiaia per il lavoro svolto per l’assolvimento di


responsabilità familiari Nel 1996 è stato istituito il fondo di previdenza per le persone che
svolgono lavori di cura non retribuiti derivanti da responsabilità familiari (questi soggetti vengono
considerati meritevoli di tutela perchè anche se non producono direttamente reddito generano
indirettamente ricchezza). Questo fondo ha sostituito la mutualità pensioni che era nata per
tutelare le casalinghe in caso di invalidità e vecchiaia e che era strutturata come un’assicurazione
privata. È stata soppressa perchè ha avuto uno scarso successo per diversi motivi, come per es per
l’irrisorietà delle prestazioni. Il fondo è ad adesione volontaria e l’assicurato, al momento
dell’iscrizione, può decidere a quale classe di contribuzione assoggettarsi e le potenziali prestazioni
future. A diff di quanto previsto nel caso della mutualità pensioni, a questo fondo si possono
iscrivere sia uomini che donne.

Le prestazioni in favore dei superstiti Se il lavoratore assicurato muore (prima o dopo il suo
pensionamento) i superstiti che fanno parte del suo nucleo familiare vengono privati di una fonte
di sostentamento, per questo la l. riconosce ai familiari superstiti il diritto alle prestazioni del
lavoratore deceduto se i superstiti, al momento del decesso del lavoratore, vivevano a suo carico.
Questo diritto gli viene riconosciuto anche se nei confronti del lavoratore è stata pronunciata la
dichiarazione di morte presunta (in questo caso il loro diritto sorge a titolo definitivo ma cessa nel
caso in cui dovesse ritornare il presunto morto con effetto ex nunc) o la dichiarazione di assenza
(in questo caso il diritto sorge a titolo provvisorio, in attesa della dichiarazione di morte presunta
oppure del ritorno dello scomparso). Le prestazioni ai superstiti vengono definite “pensione di
reversibilità” se il dante causa, al momento della sua morte, era già pensionato, altrimenti
vengono definite “pensioni indirette” se il dante causa al momento del decesso svolgeva ancora la
sua attività lavorativa.

Sono reversibili la pensione di vecchiaia, quella di invalidità, quella di inabilità, quella di anzianità e
i supplementi di pensione; non sono reversibili l’assegno ordinario di invalidità, l’assegno sociale e
le rendite dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.

In caso di pensione indiretta, affinchè ai superstiti venga riconosciuto il diritto alla prestazione è
necessario che il dante causa, al momento della sua morte, abbia maturato i requisiti assicurativi e
contributivi. Prima era previsto che qualora il dante causa non avesse maturato i requisiti i
superstiti avrebbero avuto diritto alla restituzione dei contributi ma questo disposto è in via di
eliminazione. Oggi l’Inps in questo caso eroga un’indennità una tantum ai superstiti (il cui
ammontare = importo assegno sociale x num di annualità di anzianità contributive del dante
causa). Questa indennità una tantum viene erogata anche al coniuge che perde il diritto alla
prestazione a causa per aver contratto nuovo matrimonio.

La pensione ai superstiti inizia ad essere erogata, dopo che gli interessati presentano la domanda,
dal 1° gg del mese successivo a quello del decesso (in caso di prole postuma dal 1° gg del mese
successivo a quello della nascita). L’importo della prestazione consiste in una quota della pensione
che avrebbe percepito il dante causa (che specificheremo trattando delle singole categorie degli
aventi diritto).

Il diritto alle prestazioni viene riconosciuto a:

- coniuge: di qualunque genere (mentre prima era previsto che il marito aveva diritto alla
prestazione SOLO SE era inabile al lavoro). Questo ha diritto ad una prestazione di entità
ridotta se ha contratto matrimonio con il dante causa quando quest’ultimo aveva compiuto
il 70esimo anno di vita e la loro differenza di età era superiore a 20 anni. Il diritto alla
prestazione è escluso se il coniuge superstite viene condannato, con sentenza passata in
giudicato, per aver causato la morte del dante causa. in caso di divorzio, la prestazione
spetta al coniuge divorziato superstite se il rapporto assicurativo del dante causa è
anteriore al divorzio, se percepiva già l’assegno divorzile e se non si è risposato. Se dopo il
divorzio il dante causa si è risposato ovviamente il nuovo coniuge acquista il diritto alla
prestazione ma l’ex coniuge, a determinate condizioni, può vedersi riconosciuto il diritto ad
una quota del trattamento. In caso di separazione legale il coniuge superstite ha diritto alla
prestazione anche se nei suoi confronti è stata pronunciata una sentenza di addebito ma
soltanto se percepiva l’assegno alimentare. La prestazione NON spetta al coniuge
convivente more uxorio => il coniuge ha diritto al 60% della pensione che sarebbe spettata
al dante causa
- figli: spetta sia ai figli che ai soggetti ad essi equiparati se sono minori di anni 18, oppure
studenti di scuola media o professionale fino a 21 anni oppure studenti universitari fino a
26 anni oppure inabili di qualunque età. Il diritto viene riconosciuto anche ai figli postumi
(cioè nati dopo il decesso del dante causa) e ai figli coniugati => se concorrono con il
coniuge hanno diritto al 20% della pensione che sarebbe spettata al dante causa, se non
concorrono con il coniuge al 40%, se sono invalidi al 70%
- genitori: se viventi a carico del dante causa, di età superiore a 65 anni e non percipienti
altre pensioni => in assenza di coniuge e in presenza dei figli, hanno diritto al 15% della
pensione che sarebbe spettata al dante causa
- fratelli e sorelle: se viventi a carico del dante causa, non coniugati oppure vedovi oppure
divorziati, se sono inabili al lavoro e non titolari di altro trattamento pensionistico => in
assenza di coniuge e in presenza dei figli, hanno diritto al 15% della pensione che sarebbe
spettata al dante causa.

il diritto alle prestazioni per i superstiti è imprescrittibile ma le singole rate della prestazione si
prescrivono dopo 5 anni. Se la morte dell’assicurato è in rapporto causale diretto con la finalità di
servizio, i superstiti hanno diritto ad una pensione privilegiata.

CAPITOLO XIII: IL SISTEMA DI PREVIDENZA COMPLEMENTARE

Collocazione costituzionale e disciplina La Corte costituzionale, in una pronuncia del 2000,


ha affermato che la previdenza complementare concorre con la previdenza obbligatoria per
garantire il raggiungimento dell’obiettivo di assicurare ai lavoratori che si trovino in stato di
bisogno di avere dei mezzi adeguati per il loro sostentamento. Quindi anche la previdenza
complementare è volta a dare attuazione a quanto previsto dall’art 38, 2° comma della Cost: i
lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in
caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria. Fa più esplicito
riferimento alla previdenza complementare l’art 38, 5° comma Cost: l’assistenza privata è libera.
Nel c.c. ci sono essenzialmente 2 artt. che si riferiscono alla previdenza complementare, che sono
l’art 2117 c.c. (I fondi speciali per la previdenza e l’assistenza che l’imprenditore ha costituito
anche senza contribuzione dei lavoratori non possono essere distratti dal fine al quale sono
destinati e non possono essere oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell’imprenditore e dei
lavoratori) e 2123 c.c. (1. Salvo patto contrario, l’imprenditore che ha volontariamente compiuto
atti di previdenza può dedurre dalle somme da lui dovute quanto il lavoratore ha diritto di
percepire per effetto di questi atti. 2. Se esistono fondi di previdenza formati con il contributo dei
lavoratori, questi hanno diritto alla liquidazione della loro quota qualunque sia la causa di
cessazione del contratto).

In realtà la possibilità di costruire forme volontarie di previdenza è stata riconosciuta per la prima
volta in tempi risalenti (nel 1919) ma solo negli anni 90 il legislatore è intervenuto per far sì che la
previdenza complementare iniziasse ad essere utilizzata per dare attuazione al principio di
uguaglianza sostanziale (ex art 3, 2° co, Cost) qualora la previdenza obbligatoria da sola non
sarebbe stata in grado di assicurare al lavoratore un reddito sostitutivo di quello da lavoro. La
previdenza complementare è in perfetta linea con il welfare mix, che non è più affidato solo a
strutture pubbliche ma anche ad operatori privati. La riforma costituzionale che c’è stata nel 2001
ha attribuito allo Stato la competenza esclusiva di occuparsi della previdenza obbligatoria e alle
Regioni una competenza legislativa concorrente in materia di previdenza complementare. Il
legislatore cerca di promuovere la previdenza complementare. Il lavoratore è libero di decidere se
fare ricorso alla previdenza complementare perchè deve investire in essa delle risorse aggiuntive.
La previdenza complementare, come quella obbligatoria, rispetta il principio di corrispettività,
quindi la prestazione erogata è proporzionale ai contributi che il lavoratore ha accumulato nel
corso del tempo.

L’impianto sistematico L’impianto definitivo della previdenza complementare è stato fissato


dal d. lgs. 252/2005. In materia, l’UE è stata di importanza fondamentale, perchè la Corte di
Giustizia ha chiarito qual è il ruolo che la previdenza complementare deve assumere all’interno
degli Stati membri. ha affermato che il lavoratore comunitario ha un vero e proprio diritto
soggettivo ad avere mezzi adeguati di vita nel momento in cui raggiunge l’età del pensionamento e
questi mezzi adeguati devono essere assicurati dal combinarsi della previdenza obbligatoria e di
quella complementare (per questo entrambe possono essere ricondotte all’art 38, 2° co, Cost). Il d.
lgs. 252 si apre dicendo che il fine della previdenza complementare è quello di erogare delle
prestazioni volte a incrementare la copertura della previdenza obbligatoria e per questo i
destinatari della previdenza complementare sono gli stessi della previdenza obbligatoria, quindi
sono i lavoratori subordinati (pubblici e privati), i lavoratori autonomi e i liberi professionisti, i soci
lavoratori di cooperative e tutti i produttori di reddito di lavoro anche i soggetti che svolgono lavori
di cura non retribuiti derivanti da responsabilità familiari. La diff fondamentale tra previdenza
obbligatoria e previdenza complementare consiste nel fatto che nella previdenza complementare
l’adesione è volontaria, quindi mentre il rapporto giuridico della previdenza obbligatoria sorge in
maniera automatica appena il lavoratore inizia a svolgere l’attività lavorativa, per il sorgere del
rapporto giuridico della previdenza obbligatoria il beneficiario ha un diritto di opzione. Tuttavia in
alcuni casi il sorgere di questo rapporto è automatico (per es nel caso in cui il lavoratore non si
iscriva ad un fondo pensione entro un termine stabilito dalla l.).
L’assetto delle fonti istitutive Vediamo quali sono le fonti istitutive dei fondi pensione.
Bisogna fare una distinzione tra:

- fondi pensione chiusi: possono essere istituiti con contratti e accordi collettivi e sono detti
chiusi perchè si riferiscono solo alla categoria professionale prevista dal contratto o
dall’accordo). In passato era previsto che solo in mancanza di contratti e accordi si poteva
accedere ai fondi pensione aperti
- fondi pensione aperti: vengono istituiti da banche, imprese assicurative, SIM e SGR. => in
questo modo il sistema previgente attribuiva un ruolo primario alla contrattazione
collettiva ma questo impianto non è stato confermato dal d. lgs. 252/2005, che prevede
che i fondi pensione possono essere istituiti dalla legge (anche regionale) e gli enti
previdenziali privatizzati possono esercitare i loro poteri di autonomia normativa. Già dal
2000 sono stati introdotti i piani pensionistici individuali che permettono ai singoli
lavoratori di creare un progetto previdenziale ad hoc per loro. Il decreto 252 ha valorizzato
il ruolo dei fondi aperti e dei piani pensionistici individuali e la possibilità di accedere a
questi 2 non è più subordinata all’impossibilità di aderire ai fondi pensione chiusi. Quindi,
secondo quanto previsto dal decreto 252, il lavoratore può decidere a quale fondo aderire.
Tutti i fondi pensione sono potenzialmente accessibili dai lavoratori e quindi tra essi si crea
un rapporto di concorrenzialità. Con un decreto del 2007 in Italia sono state rese operative
forme pensionistiche complementari comunitarie.

La struttura giuridica I fondi pensione possono assumere la forma giuridica delle associazioni
non riconosciute. Bisogna fare una distinzione tra il patrimonio dell’associazione (che è necessario
per la sua esistenza e per assolvere alle sue finalità) e il patrimonio del fondo pensione. I fondi
pensione sono persone giuridiche e per riconoscergli la personalità giuridica il legislatore prevede
una procedura semplificata. La costituzione del fondo pensione è una condizione necessaria, ma
non sufficiente, per l’esercizio dell’attività di previdenza complementare. Affinchè tale attività
possa essere legittimamente esercitata è necessario che la Covip dia la sua autorizzazione (la Covip
dà l’autorizzazione dopo lo svolgimento di un procedimento in cui valuta la sussistenza dei
requisiti stabiliti dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale). Se l’attività di previdenza
sociale dovesse essere esercitata senza prima ottenere tali autorizzazioni, come sanzioni sono
previste reclusione e multa + confisca delle cose servite per commettere il reato o che
rappresentano il profitto derivante dalla commissione del reato (a meno che tali cose non
appartengano ad una persona estranea alla commissione del reato).

Organi dei fondi pensione: i soggetti che compongono questi organi presentano specifici requisiti
di onorabilità e professionalità. Le disposizioni che disciplinano questi organi sono ispirate dalla
ratio di tutelare la posizione dell’iscritto. Per questo, per es, è previsto che nei fondi caratterizzati
da contribuzione bilaterale o unilaterale a carico del datore di lavoro negli organi di
amministrazione e controllo deve essere rispettato il principio di partecipazione paritetica dei
rappresentanti dei datori e dei lavoratori. invece nei fondi caratterizzati da contribuzione
unilaterale a carico dei lavoratori deve essere rispettato il criterio rappresentativo di
partecipazione delle categorie interessate (bisogna assicurare anche la rappresentanza delle
categorie minoritarie). Il rappresentante del fondo svolge compiti amministrativi e compiti di
vigilanza e deve riferire all’organo amministrativo, all’organo di sorveglianza e alla Covip le notizie
che riguardano la gestione del fondo. Gli iscritti possono esperire vs il responsabile del fondo e
verso gli organi le azioni di responsabilità.

Le prestazioni erogate devono essere adeguate ai contributi che sono stati versati ma il
programma pensionistico può anche essere a prestazione (in questo caso la rendita attesa viene
stabilita ex ante. Questo modello è più rischioso perchè il patrimonio accantonato potrebbe
rivelarsi insufficiente) o a contribuzione predefinita (nel lavoro subordinato di solito viene
utilizzato questo modello. In questo caso i contributi da versare sono predefiniti, la prestazione no
e dipenderà dai contributi che sono stati accumulati nel corso del tempo).

Al lavoratore viene riconosciuta la libertà di scelta tra fondi chiusi (che come sappiamo sono quelli
costituiti su base aziendale o categoriale), fondi aperti (vengono istituiti da banche, sim (società di
intermediazione mobiliare), assicurazioni, società di gestione dei fondi comuni d’investimento),
programmi pensionistici individuali e fondi territoriali o intercategoriali promossi dalle Regioni. Il
principio della libertà individuale non è assoluto, perchè al lavoratore non è riconosciuta una
totale libertà di scelta: per es non è libero di effettuale il recesso (perchè altrimenti sarebbe
compromesso l’interesse collettivo). In realtà il principio della libertà di adesione ha ormai scarsa
portata visto che la l. prevede addirittura che gli accantonamenti di t.f.r. siano devoluti ai fondi
pensione.

La gestione ed i controlli La gestione dei fondi è affidata ad organismi specializzati come le


sim, le società di assicurazione o le società di gestione dei fondi comuni di investimento. Se sono
gestiti dalle sim o dalle società di gestione ci sarà una gestione di tipo finanziario, se sono gestiti
dalle società di assicurazione ci sarà una gestione assicurativa. I valori affidati al gestore
costituiscono un patrimonio separato e autonomo, quindi su di esso non si possono soddisfare i
singoli creditori del gestore e non possono essere coinvolti in procedure concorsuali che
riguardino il gestore. Le risorse del fondo devono essere collocate presso una banca depositaria
distinta dal gestore (questo è previsto per evitare utilizzi impropri del risparmio previdenziale) ma
la banca depositaria deve seguire le istruzioni del gestore. La Covip (Commissione di vigilanza sul
fondo pensione) svolge una funzione di controllo: autorizza l’esercizio del fondo pensione, vigila
sulla correttezza gestionale dei fondi e sui loro statuti e normative interne che devono essere
conformi ai regolamenti emanati dalla Covip stessa (che devono stabilire le modalità di
presentazione delle domande di autorizzazione e altre regole che riguardano i fondi. Ai fondi
cosituiti prima del ’93 viene applicata una disciplina speciale ed è previsto un processo di
conformazione graduale alla disciplina generale e agli iscritti a tali fondi che prima del ’93 avevano
già maturato i requisiti per ottenere il trattamento pensionistico può continuare ad essere
applicata la disciplina previgente (quindi la l. fa salvi i diritti quesiti). Invece, per i “vecchi iscritti”
che a quella data non avevano ancora maturato i requisiti, vengono applicati dei meccanismi di
rivalutazione automatica. Gli organi del fondo hanno l’obbligo di comunicare alla covip le
irregolarità che si ripercuoto negativamente sull’equilibrio finanziario del fondo e la covip deve
prendere i provvedimenti opportuni. Se non si può evitare lo scioglimento del fondo si prosegue
con la sua liquidazione (si applicherà l’amministrazione straordinaria o la liquidazione coatta
amministrativa, NON si può applicare il fallimento).

Il finanziamento Si occupano del finanziamento dei fondi i destinatari e, ove sia previsto dalla
legge, i datori di lavoro e i committenti (in caso di lavoro autonomo coordinato e continuativo). Le
fonti istitutive oppure gli interessati stabiliscono l’entità e le modalità dell’obbligazione
contributiva. L’entità può essere determinata in cifra fissa oppure corrispondere ad una
percentuale delle singole voci della retribuzione presa come base di computo del t.f.r. oppure, in
caso di lavoro autonomo, una percentuale del reddito. Oggi il finanziamento della previdenza
complementare avviene prevalentemente con gli accantonamenti di t.f.r. I lavoratori devono
decidere se destinare gli accantonamenti di t.f.r. ai fondi pensione e nel caso in cui non effettuino
la scelta entro il termine previsto dal legislatore si parla di scelta tacita per comportamento
concludente di destinazione ai fondi pensione. Se ci sono più fondi pensione, gli accantonamenti
sono destinati ai fondi a cui hanno aderito la maggior parte dei lavoratori dell’azienda e in caso di
assenza dei fondi pensione di riferimento vengono depositati presso un fondo pensionistico
residuale (cd FondInps). Se il lavoratore decide di non destinare gli accantonamenti ai fondi
pensione, questi rimangono in azienda così che tornino al lavoratore al momento della
liquidazione del t.f.r. E’ chiaro che la scelta relativa alla destinazione degli accantonamenti
influenza la posizione dei datori, per questo la l. per neutralizzare le loro opposizioni prevede che
nel caso delle imprese con + di 50 dipendenti i datori hanno l’obbligo di versare gli
accantonamenti che i lavoratori vogliono destinare al risparmio previdenziale a un fondo istituito
presso l’Inps. Per questo l’adesione alla previdenza complementare ha percentuali alte nel caso
delle imprese obbligate al versamento al fondo presso inps e ridotte nelle imprese con meno di 50
dipendenti in cui i datori possono conservare gli accantonamenti in azienda, utilizzandoli come
fonte di autofinanziamento. La l. inoltre prevedeva che i lavoratori dipendenti del settore privato
che svolgono attività di lavoro subordinato da almeno 6 mesi presso lo stesso datore potessero
chiedere, in riferimento ai periodi di paga tra il 1° marzo 2015 e il 30 giu 2018 di ricevere con la
busta paga la quota maturata di t.f.r. Il legislatore ha cercato di incentivare la destinazione delle
quote di t.f.r. al finanziamento dei fondi pensione, prevedendo soprattutto agevolazioni fiscali e ha
fatto ciò per cercare di affermare una forma di previdenza complementare “obbligatoria” ma pur
sempre volontaria.

Prestazioni, anticipazioni, vicende modificative Il diritto alla prestazione si acquista


quando l’interessato matura i requisiti per ottenere le prestazioni della previdenza obbligatoria
(ma in ogni caso deve avere un’anzianità assicurativa di almeno 5 anni presso il fondo pensione).
Alle prestazioni di previdenza complementare si applicano gli stessi limiti previsti per le prestazioni
di previdenza obbligatoria in tema di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità. Inoltre, dopo che è
stata introdotta la disciplina della devoluzione degli accantonamenti di t.f.r. ai fondi pensione, a
questi ultimi è stata estesa anche la disciplina delle anticipazioni di t.f.r. Se il soggetto deve far
fronte a spese sanitarie conseguenti a gravissime situazioni che possono riguardare sè stesso, il
coniuge o i figli, può chiedere un anticipo che comunque non potrà essere superiore al 75% della
posizione maturata. Dopo 8 anni di iscrizione al fondo, può chiedere un anticipo per acquistare la
1° casa per sè stesso o per i figli. Un’anticipazione può essere richiesta anche in caso di periodo di
disoccupazione superiore a 48 mesi. È ovvio che le anticipazioni si pongono in contrasto con la
finalità della previdenza complementare che è quella di garantire al soggetto un reddito adeguato
quando egli perde la capacità di produrlo. Per questo stesso motivo vengono criticate quelle
disposizioni che prevedono la restituzione del montante residuo, in caso di morte dell’assicurato,
ai beneficiari indicati da lui stesso. All’assicurato viene riconosciuto il diritto di riscatto, cioè di
recuperare tutta la contribuzione versata e anche questa disposizione è criticata per lo stesso
motivo.

L’assicurato ha il diritto alla portabilità, cioè il diritto di trasferire la sua posizione in un’altro fondo
dopo che abbia trascorso almeno 2 anni nel fondo di partenza. Questo diritto non può essere
compresso dagli statuti e dai regolamenti dei fondi pensione ma può essere limitato
dall’autonomia collettiva nei limiti della contribuzione versata dal datore.

Effettività e generalizzazione se si vuole che la previdenza complementare assolva alla sua


finalità bisognerebbe renderla obbligatoria. Solo con la riforma pensionistica del 95 il t.f.r. è stato
esteso anche ai dipendenti pubblici contrattualizzati e così anche la previdenza complementare.
Siccome la previdenza complementare non è generalizzata (per es non è estesa ai dipendenti
pubblici non contrattualizzati) ci sono dubbi sulla sua effettività, proprio per questo, come
abbiamo detto prima, dovrebbe essere obbligatoria e generalizzata.

CAPITOLO XIV: ASSISTENZA SOCIALE E DIRITTI DI CITTADINANZA

Assistenza sociale e modello costituzionale L’assistenza sociale presenta vocazione


universalistica e solidaristica, il che implica il principio dell’integrale finanziamento a carico dello
Stato e l’egualitarismo delle prestazioni finalizzate alla liberazione dei bisogni socialmente
rilevanti. L’art 38, 1° co, Cost fa riferimento all’assistenza sociale ed enuncia che ogni cittadino
inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e
all’assistenza sociale. Quindi l’assistenza sociale viene garantita agli individui che versano in stato
di bisogno e lo stato di bisogno è quello che consegue alla povertà o all’inabilità, 2 eventi che
rendono il soggetto incapace di produrre reddito di lavoro. Questa impostazione è coerente con il
riconoscimento, all’interno della Cost, dei diritti sociali tra cui, quello che più ci interessa, il diritto
al lavoro che assicura a ogni cittadino l’opportunità di essere un soggetto attivo del mercato del
lavoro. i diritti sociali sono il completamento naturale dei diritti di libertà. Sono diritti fondamentali
e perfetti, quindi l’ordinamento ha il dovere di garantire la loro realizzazione; possono essere
limitati solo se i bisogni primari concorrono con una situazione di carenza delle risorse finanziarie
necessarie per la loro soddisfazione (e questo viene accertato dopo che la Corte costituzionale fa
un bilanciamento). Da dopo la riforma costituzionale avvenuta con legge costituzionale 3/2001,
allo Stato è stata riconosciuta la competenza legislativa esclusiva solo nella determinazione dei
l.e.p. (livelli essenziali delle prestazioni che riguardano i diritti sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale) e alle Regioni è stata riconosciuta una competenza concorrente in
materia di tutela e sicurezza del lavoro, dell’istruzione e della salute (questo è previsto dall’art 117
Cost). L’art 119 Cost prevede che lo Stato debba creare un fondo per aiutare i territori più in crisi.
Il presidio storico dei diritti sociali è la famiglia, che è contemporaneamente generatrice e
destinataria della tutela per gli eventi centrali della vita umana come la maternità, l’infanzia,
l’istruzione e la formazione. La Cost affida proprio alla famiglia il diritto e il dovere di mantenere,
istruire ed educare la prole e l’ordinamento ha il compito di agevolare la formazione delle famiglie
e aiutarle. Per garantire la tutela dei diritti sociali si possono realizzare 3 tipi di interventi:

1) trasferimenti di ricchezza
2) leva fiscale
3) servizi sociali => La legge 328/2000 utilizzava questi strumenti per garantire i diritti sociali
che fanno capo alla famiglia. Garantiva queste prestazioni ai soggetti in condizioni di
povertà o con limitato reddito o con incapacità di provvedere alle proprie esigenze a causa
di inabilità fisica o psichica. Questa legge si rivolgeva essenzialmente alle famiglie nel senso
che si prendeva in considerazione la famiglia per stabilire le forme di tutela della maternità
o paternità, si chiedeva alla famiglia di accogliere i minori in difficoltà pur non legati ad essa
da vincoli di sangue ecc. Ovviamente erano previsti anche altri strumenti di intervento
làddove le famiglie non potessero intervenire, per es i centri di accoglienza. I progetti che la
legge 328 aveva in mente erano affidati soprattutto ai comuni ma successivamente, con la
riforma costituzionale del 2001 tutte queste competenze vennero affidate alle Regioni.

Assistenza sociale e sistema ordinamentale La Costituzione assume come referente per


l’assistenza sociale il disabile. L’obiettivo primario è il suo recupero fisico e mentale, volto al suo
reinserimento sul mercato. Se si riesce a raggiungere l’obiettivo del recupero, il disabile verrà
tutelato dalla previdenza sociale (anche se troverà, all’interno del sistema previdenziale, delle
condizioni privilegiate per il completamento della fattispecie previdenziale) perchè diventa un
produttore di reddito. Se invece non si riesce a raggiungere l’obiettivo del recupero verrà tutelato
dall’assistenza sociale. L’assistenza sociale non è garantita solo in caso di disabilità ma anche in
altri casi come la maternità e la vecchiaia ma gli istituti assistenziali più significativi rimangono
comunque quelli a favore degli invalidi civili. Per “invalidi civili” intendiamo i cittadini affetti da
menomazioni fisiche, mentali, funzionali e sensoriali, congenite o acquisite, anche a carattere
progressivo, che comportano una riduzione permanente della capacità lavorativa oppure, se
minori di 18 anni, difficoltà nello svolgere i compiti tipici della loro età. Tra gli invalidi civili
rientrano i ciechi civili (cioè coloro che sono affetti da cecità assoluta, congenita o contratta
successivamente) e i sordomuti (cioè coloro che hanno una minorazione dell’udito congenita o
acquisita successivamente che ha impedito il normale apprendimento del linguaggio parlato,
purchè la sordità non derivi da cause esclusivamente psichiche o da cause di guerra, di lavoro o di
servizio). Già la l. 328/2000 aveva introdotto, per garantire l’integrazione dei disabili, i progetti
individuali per inserirli nella vita familiare e sociale e per loro è stato istituito un fondo. Affinchè
l’invalido abbia diritto alle prestazioni assistenziali è necessario che sia cittadino italiano e
residente nel in Italia oppure cittadini di Paesi comunitari presenti sul territorio nazionale per
motivi di lavoro oppure stranieri legalmente soggiornanti. L’Inps, dopo diverse pronunce della
Corte costituzionale, ha stabilito che l’indennità di accompagnamento, la pensione di inabilità,
l’assegno mensile di invalidità e l’indennità di frequenza debbano essere corrisposte a tutti gli
stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, anche se privi di permesso di soggiorno di lungo
periodo ma devono avere il permesso di soggiorno di almeno 1 anno. Il diritto alle prestazioni,
comunque, sorge solo se il soggetto ha un reddito che non supera un preciso limite e l’ammontare
della prestazione dipende dall’entità della menomazione (deve essere preso in considerazione solo
il reddito dell’inabile, non anche quello del coniuge e degli altri componenti del nucleo). Le
condizioni sanitarie vengono accertate da apposite commissioni mediche e da un medico dell’Inps
e i requisiti amministrativi vengono accertati dall’Inps. È l’Inps che eroga le prestazioni tramite un
apposito fondo. Se si accerta l’insussistenza dei requisiti le prestazioni vengono revocate. Siccome
ci sono stati abusi, negli ultimi anni sono stati rafforzati gli accertamenti e le sanzioni nei confronti
di coloro che commettono questi abusi (anche medici che siano attestazioni di invalidità false). Se
il beneficiario si rifiuta di sottoporsi ai periodici accertamenti perde il diritto alla prestazione.

La pensione di inabilità viene corrisposta anche ai mutilati e agli invalidi civili che abbiano + di 18
anni per cui sia stata accertata una totale inabilità lavorativa.

L’assegno mensile di invalidità viene corrisposto ai mutilati e agli invalidi civili di età compresa tra i
18 e i 65 anni che non svolgono attività lavorativa e sono incollocabili nel mercato del lavoro per
cui è stata accertata una riduzione della capacità lavorativa > 74% di quella normale.

Ai minori di 18 anni che hanno difficoltà nello svolgimento dei compiti tipici della loro età e che
frequentano la scuola è riconosciuta l’indennità di frequenza e i minori che percepiscono questa
indennità se nei 6 mesi antecedenti al compimento della maggiore età presentano la domanda
vengono erogate le prestazioni previste per gli invalidi maggiorenni ma al compimento della
maggiore età devono essere compiuti accertamenti delle loro condizioni sanitarie.

I mutilati e gli invalidi totalmente inabili non deambulanti e non autosufficienti che hanno bisogno
di un’assistenza continua, oltre alla pensione di inabilità percepiscono l’indennità di
accompagnamento e questa spetta anche ai ciechi assoluti.

Hanno poi dei benefici accessori, come le prestazioni sanitarie o il collocamento obbligatorio. I
lavoratori mutilati e gli invalidi civili che hanno una riduzione della capacità lavorativa > 50% ogni
anno hanno il diritto ad un congedo per cure per un periodo non superiore a 30 gg e anche i
genitori o i familiari che li assistono un parente o un affine entro il 3° grado in modo continuativo o
esclusivo hanno diritto a riposi, permessi e congedi. Le Regioni possono concedere benefici
aggiuntivi.

Quando il titolare della pensione di inabilità e dell’assegno di invalidità compie 66 anni, le


prestazioni si trasformano automaticamente in pensione sociale.

Ad assegni di invalidità e pensioni di inabilità vengono equiparate le pensioni di guerra, che può
essere considerata un assegno di superinvalidità.

Per i cd cittadini illustri rimasti privi della capacità di produrre reddito che si trovino in gravi
condizioni di bisogno è previsto l’assegno vitalizio (finanziato da un fondo che si trova presso la
Presidenza del Consiglio). Prestazioni speciali sono previste per le vittime di particolari eventi,
come le vittime del terrorismo.
Previdenza sociale e supplenza assistenziale la legge 153/1969 ha introdotto la pensione
sociale, che viene corrisposta ai cittadini che hanno + di 65 anni e versano in stato di bisogno. Oggi
non si chiama più pensione sociale bensì assegno sociale e il requisito anagrafico è di 66 anni.
Hanno diritto a questa prestazione i cittadini italiani, comunitari o extracomunitari con carta di
soggiorno o permesso di soggiorno che soggiornino in maniera continuativa da almeno 10 anni sul
territorio nazionale. Devono trovarsi in una situazione di bisogno effettivo e questo requisito viene
accertato prendendo in considerazione il reddito suo e (se esistente) del suo coniuge. È prevista
una soglia di reddito al di sotto della quale sorge il diritto alla prestazione: se il cittadino ha un
reddito superiore, non ne ha diritto, se ha un reddito inferiore ne ha diritto nella misura in cui gli
serve per raggiungere questa soglia. Se il soggetto è coniugato si prende in considerazione una
soglia pari al doppio. Il titolare deve dichiarare il suo reddito ogni anno e in caso di dichiarazione
infedele sorge la responsabilità penale + una sanzione amministrativa che consiste nel pagamento
all’Inps di una somma = al doppio di quella indebitamente percepita. L’assegno sociale viene
erogato dall’Inps ed è integralmente finanziato dallo Stato. La prestazione è vitalizia e viene
corrisposta per 13 mensilità a partire dal mese successivo a quello di presentazione della
domanda. L’assegno sociale è soggetto al sistema della perequazione automatica. Non è
reversibile ai superstiti, non è cedibile, non è pignorabile e non è sequestrabile. È prevista una
disciplina anticumulo, quindi l’assegno è cumulabile solo ed esclusivamente con l’assegno per il
nucleo familiare e con l’indennità di accompagnamento. Tuttavia, il divieto di anticumulo non
opera quando il soggetto percepisce delle prestazioni complessivamente di ammontare inferiore a
quello dell’assegno.

Misure di sostegno delle responsabilità familiari La l. 328/2000 ha introdotto delle misure


di sostegno delle responsabilità familiari, tra cui dobbiamo ricordare in particolare:

- assegni di cura per assistere giovani e anziani disabili e non autosufficienti nonchè altri
interventi a sostegno della maternità e della paternità
- interventi volti a conciliare il tempo di lavoro e il tempo di cura
- servizi formativi della genitorialità e volti a promuovere anche il reciproco aiuto tra famiglie
- prestazioni di aiuto nei confronti delle famiglie che si assumono compiti di accoglienza di
disabili e di altre persone in difficoltà
- assegno per il nucleo familiare (già introdotto nel 98) che spetta alle famiglie mononucleari
composte da cittadini italiani o comunitari con 3 o + figli a carico di età inferiore a 18 anni,
in possesso di risorse economiche non superiori ad un determinato importo.
Successivamente questo assegno è stato esteso anche ai cittadini di Paesi terzi soggiornanti
di lungo periodo e ai loro familiari. L’assegno viene erogato dal Comune di residenza (a cui
va presentata la domanda entro il 31 genn dell’anno successivo a quello per cui è richiesta
l’erogazione) oppure, se vengono fatte le apposite convenzioni, viene erogato da
associazioni di Comuni o dall’Inps
- assegno di maternità per i nuclei familiari disagiati: spetta alle donne residenti, cittadine
italiane oppure comunitarie oppure extracomunitarie che hanno la carta di soggiorno; in
ogni caso non devono beneficiare di altri trattamenti previdenziali di maternità (ma se
l’importo di questi trattamenti è inferiore a quello dell’assegno di maternità possono fare
domanda per ottenere la quota integrativa). Il trattamento spetta per ogni figlio nato dal 1
genn 2001 o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione. Anche in questo
caso la domanda deve essere presentata al comune di residenza
- assegni di natalità: sono assegni volti ad incentivare la natalità. Vengono erogati una
tantum a seguito della nascita o dell’adozione di uno o + figli, in alcuni casi quando il nucleo
familiare non raggiunge un certo reddito, in altri invece la loro erogazione è del tutto
svincolata dalla presenza del presupposto dello stato di bisogno. Con una l. del 2015 venne
stabilito che per i figli nati tra il 1 genn 2015 e il 31 dic 2017 (o adottati o presi in
affidamento durante questo periodo) sarebbe stato erogato un assegno annuo pari a quasi
1000 euro se il nucleo familiare avesse avuto un isee < 25 mila euro all’anno. L’assegno
veniva erogato dall’Inps.

Identità e distinzioni degli ambiti di tutela Abbiamo ormai capito che l’assistenza sociale è
la supplente della previdenza sociale, quindi molte prestazioni assistenziali riguardano gli stessi
eventi per cui è prevista la tutela previdenziale, ma non sempre è così e il 1° ambito diverso dalla
previdenza di cui si è occupata l’assistenza sociale è la disoccupazione. Non è mai stato introdotto
il reddito minimo di cittadinanza ma sono state introdotte altre prestazioni assistenziali, come per
es i sussidi straordinari per i disoccupati privi dei requisiti minimi di assicurazione o i sussidi in
favore dei giovani disoccupati del mezzogiorno che svolgono attività di lavoro e addestramento o
lavori di utilità sociale. L’intervento più significativo contro la disoccupazione c’è stato con
l’introduzione dell’istituto dei lavori socialmente utili.

Nell’87 una legge ha esteso la tutela contro la tubercolosi a tutti i cittadini che non erano parte di
un rapporto previdenziale o non avevano maturato i requisiti per accedere alla prestazione.

Reddito di cittadinanza ed emarginazione sociale il reddito di cittadinanza non è mai


stato introdotto perchè è molto difficile garantire l’erogazione a tempo indeterminato di una
prestazione rivolta indistintamente a tutti i cittadini. in alcuni comuni, in via sperimentale, era
stata introdotto il cd reddito minimo di inserimento, destinato alle persone residenti in questi
comuni che, per cause fisiche, psichiche o sociali si trovavano in una situazione di impossibilità di
provvedere al mantenimento proprio o dei figli perchè il reddito non superava una certa soglia.
Veniva riconosciuto un diritto di accesso prioritario alla prestazione alle persone che avevano a
carico figli minori o con handicap. Questa prestazione era finanziata dal fondo per le politiche
sociali. Ogni comune doveva fare dei programmi personalizzati volt al recupero delle capacità. Il
reddito minimo di inserimento è stato sostituito dal reddito di ultima istanza, di competenza delle
Regioni ma anche questo ha fallito.

A causa di questi fallimenti venne introdotta la social card, una carta di acquisti prepagata per
acquistare generi alimentari e servizi energetici. La social card veniva data a soggetti in particolare
stato di bisogno. Oggi c’è ancora solo che si chiama carta di inclusione sociale ed è di importo =40
euro al mese. I beneficiari sono i cittadini italiani, comunitari e stranieri che hanno il permesso di
soggiorno e sono residenti da almeno 1 anni nel comune in cui presentano la domanda. Per
ottenere la carta è necessario che l’isee non superi una certa soglia, che nel nucleo familiare ci sia
almeno un minore di anni 18 e che tutti i componenti del nucleo siano disoccupati (al massimo un
componente può avere un lavoro precario). A parità di condizioni vengono privilegiati i nuclei
familiari che si trovano in una situazione di disagio abitativo, quelli composti da 1 solo genitore e
da figli minorenni, quelli con 3 o + figli minorenni e quelli con uno o + figli minorenni in condizioni
di disabilità.

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