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INTRODUZIONE: I principi costituzionali

*Art. 24 Cost (comma 1) “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri
diritti ed interessi legittimi”.
La norma impone in via generale la necessità di una tutela giurisdizionale di fronte ad ogni situazione protetta: quindi
la tutela non può essere mai negata, tuttavia in alcuni casi questa si può dire subisca una “compressione”.
Compressione tutela giurisdizionale
1) Autodichia degli organi costituzionali→ cioè possibilità di farsi giustizia da sé. Si spiega sicuramente in base a ragioni
storiche, ma non vi è dubbio che questa abbia anche effetti negativi. Per ora tale principio è stato salvato dalla Corte
Costituzionale italiana (proprio con una recentissima sentenza) ma la partita si può dire rimanga “aperta”.
2) Arbitrato obbligatorio→ L’arbitrato è una forma non giurisdizionale di tutela dei diritti. Si ha quando gli interessati
decidono di devolvere la controversia ad un soggetto appunto privo di giurisdizione. Secondo la Corte Costituzionale
l’arbitrato è legittimo solo quando non obbligatorio: sarà valido però anche quel tipo di arbitrato previsto dalla legge
direttamente al quale le parti possono opporsi attraverso una cd. declinatoria.
3) Giurisdizione condizionata→ Si ha quando il legislatore prevede che le parti prima di rivolgersi al giudice debbano
svolgere una certa attività (è uno strumento di deflazione del contenzioso). Secondo la Corte Costituzionale è possibile
prevedere un’attività obbligatoria da svolgere prima di avere accesso alla giurisdizione solo laddove questo renda mag-
giormente funzionante l’attività giurisdizionale (ad esempio i tentativi di conciliazione sono sempre costituzionali, per-
ché se le parti si conciliano non vi è bisogno poi della tutela giurisdizionale).
4) Ricorsi amministrativi preventivi→ Esperibili contro provvedimenti della P.A. Secondo la Corte Costituzionale sono
ammessi solo laddove facoltativi.
Principio di effettività della tutela giurisdizionale
Si può quindi dire che l’art. 24 Cost. al comma 1 immetta nel nostro ordinamento il principio di effettività della tutela
giurisdizionale. Un principio che va in un certo senso collegato al secondo comma dello stesso articolo: l’effettività di
una tutela giurisdizionale a volte può rendere necessaria la compressione del diritto di difesa (si pensi al caso del prov-
vedimento cautelare, il convenuto non potrà essere avvisato senza rischiare di frustrare gli effetti che si vogliono rag-
giungere). Chiaro che la compressione del diritto di difesa dovrà seguire il principio del “minimo mezzo”. Inoltre:
- Il principio di effettività ha reso possibile la generalizzazione della tutela cautelare, strumento che prima si riteneva
sussistente solo laddove espressamente previsto dal legislatore.
- In ogni caso l’art. 24 garantisce il diritto di tutela giurisdizionale solo a quei diritti effettivamente esistenti e solo
questo rende possibile che siano poste a carico della parte soccombente alcune conseguenze sfavorevoli.

*Art. 24 Cost. (comma 2) “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado
del procedimento”
Norma che rileva per ogni tipo di esperienza giurisdizionale di qualunque tipo e struttura e che è ribadita dall’art. 111
Cost. che stabilisce il principio del contraddittorio che assicura alle parti la possibilità di influire sulle decisioni del
giudice. Il principio del contraddittorio rappresenta anche un mezzo per il raggiungimento della verità che sarà quanto
più raggiungibile, quanto più aperto sarà il dialogo tra le parti.
Il principio del contraddittorio opera per quanto riguarda le questioni rilevabili d’ufficio che dunque devono essere
preventivamente sottoposte al contraddittorio delle parti, per le questioni rilevabili ad iniziativa di parte, il problema
neanche si pone perché la parte ne viene a conoscenza e può naturalmente replicare.
Forme di realizzazione del contraddittorio nelle differenti forme processuali
1. Processo di cognizione→ Serve a risolvere un’incertezza all’interno della quale vi è bilateralità perfetta delle parti
nella possibilità di incidere sulla decisione del giudice.
2. Processo di esecuzione→ Contraddittorio meramente eventuale in una prima fase, in quanto rimesso alla libertà
dell’esecutato la possibilità di utilizzo di strumenti volti ad accertare l’esistenza del diritto che consente l’esecuzione
forzata. Vi è invece contraddittorio pieno circa le modalità di esecuzione.
Contraddittorio in procedimenti speciali
1. Processi speciali a cognizione piena→ Non impediscono l’attuazione di principi costituzionali.
2. Processi Sommari→ Si tratta di processi che non si svolgono secondo le regole predeterminate dal legislatore e tale
sommarietà può in particolare atteggiarsi diversamente a seconda che si tratti di:
a) Esclusione di alcune questioni rilevanti dalla trattazione→ es. art. 35 CPC se l’eccezione di compensazione prevede
un’istruttoria complessa il giudice può rimandare la questione.
b) Limitazione nell’utilizzo dei mezzi di prova→ es. in materia fallimentare la prova del credito può essere data solo
mediante documenti.
c) Istruttoria atipica.
Allora la regola vuole che nei casi a) e b) la regola del contraddittorio crea la possibilità nelle parti di tornare al processo
a cognizione piena, mentre nel caso c) non vi è incompatibilità tra regola del contraddittorio e questa particolare forma
di processo.

*Art. 24 Cost. (comma 3) “Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti,
i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione”
Non ci potrebbe diritto di difesa e di azione, nonché uguaglianza tra le parti senza tale previsione del legislatore costi-
tuente. In particolare, tale norma programmatica nel nostro ordinamento trova attuazione nel DPR 30 maggio 2002
n.115 che detta la seguente disciplina:
- Limite massimo di reddito
- Istanza da presentare all’albo degli avvocati dove ha sede il giudice competente sulla causa
- Spese della causa a carico dello Stato
- Autocertificazione del soggetto richiedente. Se la richiesta non trova accoglimento potrà rivolgersi al giudice di
merito.

* Art. 101, 102, 103 Cost


Art. 101 Cost. “la giustizia è amministrata in nome del popolo”
Norma che può essere letta in diversi modi, alcuni in essa vedono il fondamento del principio di legalità, nel senso che
il giudice è vincolato agli atti degli altri poteri dello Stato solo se conformi alla legge. Nel nostro ordinamento il giudice
non è formalmente vincolato rispetto al precedente, differentemente da quanto avviene nei sistemi di Common Law.
Tuttavia, sostanzialmente la Cassazione finisce per avere un ruolo non troppo dissimile da quello delle supreme corti
inglesi e statunitensi.
Art. 102 Cost. comma 1 “Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali”
Giudici straordinari→ cioè coloro istituiti successivamente ai fatti costitutivi del diritto azionabili in giudizio.
Giudici speciali→ giudici competenti in particolari materie (contro l’abuso del periodo fascista)
Art. 102 Cost. comma 2 “possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per
determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura”
Es. cognizione agraria alla quale partecipano anche soggetti esperti della materia agraria con la finalità di integrare le
conoscenze giuridiche dei magistrati.
N.B→ Non necessariamente alle sezioni specializzate devono partecipare cittadini estranei alla magistratura.
Art. 103 Cost→ Giustizia amministrativa (distinzione diritti soggettivi - interessi legittimi).

*Art. 111 Cost comma 2 (garanzia ragionevole durata del processo)


La previsione di strumenti per reagire alla durata irragionevole del processo conferma quella antica ispirazione “una
giustizia che arriva tardi è una non giustizia, è una ingiustizia”. Cosi varie carte a livello europeo e internazionale, così
come, almeno in parte, l’art. 111 Cost impongono la durata ragionevole del processo. Ma le carte europee (CEDU e
TUE) attribuiscono il diritto ad ottenere giustizia in un tempo ragionevole, mentre l’art. 111 stabilisce che la legge ne
assicura la ragionevole durata quindi la costituzione rimanda al legislatore. In ogni caso l’orientamento della corte di
cassazione italiana e di tutte le corti supreme che hanno aderito alla CEDU riconoscono che l’interpretazione della
convenzione deve essere quella fornita dalla Corte dei diritti dell’uomo che ha dunque valore di precedente. Questo è
tipico esempio di come sul piano pratico sistemi di Common Law e sistemi di civil law siano più vicini di quanto non
si dica perché nel momento in cui la Cassazione ha un orientamento, è molto probabile che in una causa simile, riproduca
lo stesso orientamento. La differenza alla fine è che nei sistemi di common law non c’è bisogno di andare alla corte
superiore ma si può denunciare immediatamente il giudice per violazione del precedente. Il diritto di azione è quindi il
diritto ad ottenere una tutela effettiva e ad ottenerla in un tempo ragionevole.
Storia della Signora Capuano
C’era una volta la signora Capuano che affermava di avere una certa servitù nei confronti della casa della vicina, ovvia-
mente la vicina negava. Così la signora Capuano nel 1975 inizia una causa a Maratea, il processo di primo grado finisce
nel 1983, nel 1986 la carta era ancora pendente e la signora Capuano si rivolge così alla Corte di Strasburgo che gli
riconobbe il diritto, condannando lo stato italiano a pagare 8 milioni di lire. Così si sparse la voce tra i vari avvocati e
addetti ai lavori e così la decisione della signora Capuano fu seguita da tante tante cause cosicchè alla Corte di Strasburgo
si trovarono in difficoltà. Così venne emanata la legge 99 n. 2001 che prevede una tutela interna per ottenere una inden-
nità da tutela irragionevole (il senso era quello di risolvere in casa i problemi). Ora ci si rivolge quindi al giudice italiano
per ottenere questa indennità e questo ha creato una serie di problemi, innanzitutto sviluppando un notevole contenzioso.
Si è stabilito che il giudice che deve giudicare sulla durata irragionevole del processo non è lo stesso della causa princi-
pale, viene cioè instaurato un meccanismo rotatorio. Esempio la durata irragionevole dei processi di Napoli è giudicata
a Roma, quella di Roma (e del Lazio) a Perugia, quella di Perugia a Firenze ecc. Ora il problema è che ad esempio la
corte di Perugia è molto più piccola di quella di Roma e questo significa andare a versare in un bicchierino d’acqua un
oceano. Poi il legislatore ha successivamente predisposto una serie di strumenti per rendere più difficile l’ottenimento
dell’indennità.
Procedimento→ si va alla corte d’appello, il procedimento è simile a quello dell’ingiunzione con il presidente della
corte d’appello o un giudice da lui delegato condanna lo Stato a pagare un’indennità.
Criteri→ 3 anni in primo grado, 2 anni in appello, 2 anni in cassazione (indicazione che ci arriva dalla corte di Stra-
sburgo). Dopodichè il legislatore pretende che per avere l’indennità, si deve prima aver chiesto di utilizzare il procedi-
mento sommario di cognizione, quindi in caso di procedimento ordinario non si può avere indennità. Inoltre, altro re-
quisito: bisogna rinunciare alle memorie finali che sono proposte di sentenza, ma bisogna aver presentato un’istanza di
accelerazione. Tutto questo è uno stratagemma: lo stato cerca di non pagare. L’altro escamotage utilizzato dal legislatore
è quello relativo al pagamento dell’indennità ma tutto questo è stato anche condannato dalla Corte di Strasburgo che
ritiene vi sia un limite massimo di 3 mesi. L’eccessiva durata dei processi viene spesso utilizzata come scusa per rifor-
mare da parte dei politici. Il problema è che la giustizia civile in alcuni luoghi funziona bene e in altri no, viene il dubbio
che il problema non sia nella disciplina positiva (ad esempio il tribunale civile di Milano funziona egregiamente, anche
a Roma vi sono sezioni che funzionano molto meglio di altre, Viterbo funziona meglio di Frosinone). Il problema quindi
forse va cercato nell’organizzazione dell’ufficio e delle risorse umane. Lo Stato poi ha l’azione di rivalsa sul magistrato
che ha determinato l’irragionevole durata del processo: il problema è spesso quello di trovare il magistrato colpevole,
perché spesso nella realtà dei fatti una lite viene sottoposta a più giudici che ad esempio vengono sostituiti, vanno in
pensione ecc. inoltre affinchè sorga la responsabilità erariale deve esserci stato dolo o colpa: il che rende difficile la
configurazione di una responsabilità del magistrato. Il diritto alla tutela effettiva se viene violato quindi consente di
ottenere un’equa riparazione, in quanto diritto fondamentale.

*Art. 111 Cost comma 6 “Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere


motivati”
Il giudice deve cioè indicare i criteri utilizzati per la decisione della causa, attraverso la motivazione del resto il giudice
si assume la responsabilità della sua decisione.
In relazione ai diversi atti
A) Sentenza (atto finale irrevocabile dal giudice)→ obbligo di motivazione.
B) Ordinanza→ deve essere motivata.
C) Decreto→ normalmente non deve essere motivato. Tuttavia, laddove il suo contenuto non sia vincolato, allora la
motivazione è obbligatoria
Doppia importanza
1. Importanza extraprocessuale→ dà modo alla collettività di controllare la scelta nel merito.
2. Importanza endo-processuale→ dà modo di attuare il diritto alla difesa in vista della spendita dei poteri di impugna-
zione.

*Art. 111 Cost (Comma 7): Ricorso straordinario in Cassazione


Con questa disposizione il legislatore costituente ha voluto introdurre la garanzia del ricorso in Cassazione, attraverso
la quale la stessa potrà peraltro perseguire la funzione nomofilattica che l’ordinamento gli attribuisce. Chiaro che il
ricorso in Cassazione potrà riguardare solo problemi di diritto e non fattuali.
Strumenti nomofilattici
1. La sua autorità→ a differenza dei sistemi di Common Law infatti una certa interpretazione non si generalizza ratione
imperii ma imperio rationiis.
2. La probabilità che la Cass. confermi i suoi orientamenti→ la parte potrà infatti sempre impugnare la sentenza dissen-
ziente rispetto all’orientamento della suprema corte, essendo probabile che la stessa confermi l’interpretazione data in
altre occasioni.
Oggetto del ricorso
Secondo l’art. 111 Cost. il ricorso riguarda sentenze e provvedimenti contro la libertà. Va rilevato come in ogni caso la
giurisprudenza abbia interpretato il termine “Sentenza” in senso sostanziale e cioè andando a valorizzare non tanto la
forma dell’atto, quanto i suoi effetti. Quindi in caso di decisorietà (provvedimenti con efficacia decisoria e che incidono
su diritti soggettivi) e di definitività (non sottoposizione ad altro mezzo di controllo) vi sarà la possibilità di ricorrere
in Cassazione.

*Principi sovranazionali
Cedu
L’art. 6 della Cedu rubricato come “diritto ad un equo processo” stabilisce alcuni principi in ambito processuale:
- Tutti hanno diritto alla tutela giurisdizionale
- Termine ragionevole del processo
- Tribunale indipendente, imparziale e precostituito
Nel caso in cui uno Stato non segua queste direttive c’è quindi la possibilità di ricorrere alla Corte di Strasburgo che
può rimuovere gli effetti della lesione ed eventualmente condannare lo Stato inadempiente al risarcimento dei danni
(Vedi storia della sig. Capuano).
Diritto UE
Immediatamente precettivo e prevalente rispetto al diritto interno grazie all’interpretazione dei giudici. In caso di dubbio
sull’interpretazione di una norma comunitaria lo strumento è quello del rinvio pregiudiziale: obbligatorio per le corti
supreme, facoltativo per gli altri giudici.
Art. 24
Art. 101 (Giustizia amministrata in nome del popolo)
Art. 102 (comma I e II, su giudici e sezioni specializzate)
Art. 111 comma II (durata non irragionevole)
Art. 111 comma VI (motivazione)
Art. 111 comma VII (Ricorso in cassazione)
CEDU (art. 6)
CAPITOLO 1: L’attività giurisdizionale
1. Il diritto processuale civile e la definizione dell’attività giurisdizionale:
criterio della funzione e criterio della struttura.
Il diritto processuale civile è quella branca della scienza giuridica che studia la disciplina del processo civile ed è con-
tenuta prevalentemente nel codice di procedura civile. Queste norme:
1) Descrivono comportamenti umani.
2) Disciplinano questi comportamenti umani, valutandoli in termini di doverosità, liceità e/o idoneità a produrre effetti
giuridici.
L’attività giurisdizionale può essere conosciuta sui piani della funzione e della struttura, si guarda cioè agli scopi, oltre
che alle modalità con le quali questi vengono perseguiti. Necessaria la presenza di un inscindibile nesso tra i due profili:
il legislatore sceglie quelle caratteristiche strutturali più idonee al perseguimento delle funzioni cui sono preposte le
norme. Questa correlazione ispira e qualifica tutti i comportamenti di quei soggetti coinvolti nel processo, da questo ne
deriva una coordinazione articolata e complessa tra aspetto funzionale e aspetto strutturale.
- Ciascuno dei comportamenti con la sua funzione contribuisce al conseguimento della più ampia funzione
dell’attività giurisdizionale.
- La struttura del singolo comportamento non è che un aspetto particolare della struttura generale dell’attività
giurisdizionale.

2. La nozione della giurisdizione o attività giurisdizionale, dal punto di vista


della funzione. Il normale presupposto della lesione e l’attuazione dei diritti
in via secondaria o sostitutiva.
L’art. 24 comma 1 Cost. afferma che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
L’attività giurisdizionale serve quindi alla tutela dei diritti. Del resto, questa norma va coordinata con l’art. 2907 cc che
immette nel nostro ordinamento il principio di tutelabilità dei diritti: alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’au-
torità giurisdizionale. Il riferimento non è ad una categoria particolare, ma ad ogni diritto soggettivo (relativo o assoluto
che sia).
Cosa intendiamo per “tutela dei diritti”? nel linguaggio comune il termine “tutela” indica la reazione ad un pericolo.
Chiaro dunque che tale tutela è subordinata alla presenza di una lesione o violazione del diritto e non può che determi-
narsi in base alle modalità di tale violazione/lesione.
Abbiamo ora la possibilità di parlare di quelle che sono le due caratteristiche fondamentali dell’attività giurisdizionale:
1) Strumentalità→ In quanto costituisce lo strumento per l’attuazione di quei diritti che vuole proteggere.
2) Sostitutività→ I protagonisti dell’attività giurisdizionale si sostituiscono allo spontaneo adempimento dei destinatari
della norma sostanziale. Questa sostituzione deriva dal principio del divieto di autotutela presente nel nostro
ordinamento.
In definitiva possiamo dire che sotto il profilo funzionale l’attività giurisdizionale si caratterizza per i profili della stru-
mentalità e della sostitutività. Mandrioli porta avanti un confronto tra questa definizione dell’attività giurisdizionale e
quella tracciata da altri autori: secondo alcuni sarebbe impossibile definire la giurisdizione sotto il profilo funzionale, in
quanto questo non sarebbe giuridico ma meramente sociologico, e si dovrebbe cioè valorizzare esclusivamente l’ele-
mento strutturale, cioè quell’attitudine a dar luogo all’accertamento incontrovertibile. Questa dottrina pur avendo offerto
dei contributi importanti sul piano metodologico, pecca di considerare tutte quelle norme che certificano tale aspetto
funzionale dell’attività giurisdizionale, prima fra tutte l’art. 2907 cc citato in precedenza.
La funzione del diritto processuale secondo il Prof. Costantino
Il diritto sostanziale studia il modo in cui si acquisiscono i diritti e i suoi contenuti, quello processuale si occupa invece
del profilo patologico, cioè di quando succede qualcosa e sorge un conflitto e allora bisogna andare a vedere come
questo conflitto possa essere regolato. Si va cioè a studiare un meccanismo complesso che deve garantire tutto quello e
proprio quello che ciascuno aveva diritto di conseguire alla stregua del diritto sostanziale. Da questo punto di vista il
diritto processuale civile si basa sul principio di effettività ed è il corrispettivo del principio di legalità. Non basta affer-
mare il diritto se non vi sono mezzi in grado di assicurarne la sua effettività. Interessante notare come vi siano una serie
di meccanismi in base ai quali alcuni diritti sono esistenti sul piano sostanziale ma non effettivi es. affermiamo un diritto
di un certo tipo ma gli assegniamo un processo così difficile che nessuno lo attui/utilizzi.
La funzione del diritto processuale spiegata dal Prof. De Santis
Il processo rappresenta il portato della storia antichissima che si intreccia con l’evoluzione dell’uomo di “lotta contro il
potere”, nel senso che il processo civile in qualunque parte del mondo e in qualunque tempo ha costituito uno strumento
per cercare di contrastare il potere precostituito, laddove il potere precostituito per un’attitudine fisiologica tende sempre
a prevaricare le ragioni dei più deboli. Il processo civile (ma il processo in generale) rappresenta quindi uno strumento
di contrasto rispetto alle prevaricazioni del più forte nei confronti del più debole: la tutela giurisdizionale è uno strumento
di democrazia perché riconoscere l’esistenza di un diritto di per sé non significa nulla senza strumenti che ne garanti-
scano l’effettività. Il processo civile è quindi una specie di chiave di volta per quei sistemi occidentali improntati ad una
filosofia liberale per l’affermazione del diritto soggettivo: “il diritto soggettivo cammina sulle gambe del processo ci-
vile”. Il processo civile è quindi uno strumento per la tutela giurisdizionale dei diritti, una tutela che è riconosciuta
dall’ordinamento. Ogni ordinamento democratico contiene in sé delle norme che ne costituiscono il “sistema immuni-
tario”, attraverso il quale i consociati si tutelano rispetto alla cd. crisi di cooperazione. Secondo Piovenda il processo è
lo strumento per garantire al titolare di un diritto tutto quello e proprio quello che avrebbe diritto di conseguire alla
stregua del diritto sostanziale: questa massima si basa sul presupposto che il rapporto sia tra “consociati”, cioè coloro
che riconoscono che i loro rapporti sono disciplinati come regole dell’ordinamento e riconoscono che un’eventuale crisi
di cooperazione tra di loro, cioè un caso in cui esista una diversità di vedute sulla regola dell’ordinamento da applicare
al caso concreto ci si potrà rivolgere all’insieme di norme relative alla tutela giurisdizionale. Chiaramente vi sono alcuni
prerequisiti:
1. Il litigio deve svolgersi tra soggetti di diritto e non tra soggetti di diritto ed oggetti di diritto (es. Cani). Quindi l’unica
crisi di cooperazione rilevante è quella tra soggetti diritti.
2. Inoltre per essere rilevante questo litigio deve riguardare situazioni rilevanti giuridicamente. Il diritto processuale
civile è quindi strumentale all’attuazione del diritto sostanziale.
Le norme processuali sono quelle che regolano il funzionamento di questo particolare strumento che è appunto il pro-
cesso, questo insieme di norme di tutela giurisdizionale hanno funzione servente o strumentale rispetto all’attuazione
del diritto sostanziale, nel senso che trovano applicazione nel momento in cui sorge la cd. crisi di cooperazione tra
consociati. Nel momento in questa situazione si verifica, questa crisi quindi si può risolvere attraverso il processo. Nel
caso di crisi di cooperazione in materia di lavoro e cioè tra datore di lavoro e lavoratore, una delle due parti adirà un
giudice che accerterà i fatti e sulla base dei fatti applicherà le norme. Ma il rapporto che si instaura nel momento in cui
sorge la crisi di cooperazione è regolato dalla legge processuale (es. quando andare dal giudice? Da quale giudice an-
dare? Se io ho un problema col mio datore di lavoro non posso andare da un giudice qualunque, quindi diciamo che le
norme processuali sono quelle che regolano il conflitto). E’ vero che la legge processuale è servente cioè strumentale al
diritto sostanziale, d’altro canto dobbiamo tenere conto che senza le norme processuali, l’ordinamento giuridico intero
non potrebbe essere unitario e armonico, norme che garantiscono la cicatrizzazione delle ferite che sorgono in ogni crisi
di cooperazione. L’ordinamento giuridico è come un organismo vivente che avrebbe tutto per sopravvivere bene ma che
deve fronteggiare degli attacchi che derivano dalla circostanza che si può creare una crisi di cooperazione: possono
sorgere dubbi sulla regola da applicare al caso concreto ed è così che le norme processuali intervengono la ferita dell’or-
ganismo.

3. Segue. I casi di attività giurisdizionale senza previa lesione: giurisdizione


costitutiva necessaria e accertamento mero.
La nozione funzionale dell’attività giurisdizionale va integrata con i casi in cui la legge prevede tale attività senza la
violazione di alcuna norma.
A) Giurisdizione costitutiva necessaria. In questi casi non c’è violazione di alcuna norma, ma il legislatore decide di
consentire la modificazione/costituzione/estinzione di una data situazione giuridica solo con l’intervento
dell’organo giurisdizionale al verificarsi di determinate condizioni espressamente previste dalla legge. Si pensi al
disconoscimento della paternità che può essere ottenuto grazie all’intervento dell’autorità giudiziaria se si verificano
determinate condizioni espressamente previste. Si contrappone alla cd. giurisdizione costitutiva non necessaria nella
quale cioè quegli effetti si sarebbero potuti raggiungere anche senza l’intervento del giudice (si pensi all’esempio
del soggetto che non contrae in caso di contratto preliminare). Secondo il Prof. Costantino tale categoria non va
necessariamente considerata in materia autonoma: inoltre va considerato che una situazione di contrasto è comunque
presente (anche se magari implicitamente)
B) Giurisdizione di accertamento mero. Se di solito il presupposto necessario per l’intervento dell’organo
giurisdizionale è la violazione di un diritto, qui la conditio sine qua non diviene la cd. contestazione: o di un diritto
altrui che il titolare considera esistente (esempio→ un soggetto si vanta di essere creditore nei miei confronti e io
contesto questo suo diritto), o di vanto di un diritto proprio nei confronti di un soggetto che lo considera inesistente
(esempio→ un soggetto considera inesistente il mio diritto di proprietà e lo contesta pur senza violarlo).
Possiamo concludere che la giurisdizione non sempre svolge una funzione di attuazione del diritto sostanziale solo
secondaria e sostitutiva: talvolta infatti questa funzione è svolta in via primaria.

4. L’attività giurisdizionale dal punto di vista della struttura. A) La


cognizione e i suoi caratteri strutturali tipici: l’attitudine a dare luogo alla
cosa giudicata formale e, quindi, alla cosa giudicata sostanziale salva
l’alternativa per pronunce meno stabili e più rapide; l’imparzialità del
giudice e la posizione di uguaglianza delle parti.
Ci si è finora concentrati sulla funzione dell’attività giurisdizionale: qui si cercherà di fare chiarezza su quella che è
invece la sua struttura e in particolare sull’attività di cognizione, visto che la struttura dell’attività giurisdizionale non è
unitaria ma varia in base alla funzione da essa perseguita, coerentemente a quell’interdipendenza funzione-struttura di
cui si è trattato nei primi paragrafi. Il nostro punto di partenza sarà allora ancora una volta l’elemento funzionale:
Funzione attività di cognizione→ affermazione dell’esistenza di un diritto con l’enunciazione della regola concreta
attraverso un procedimento euristico che prevede prima un’interpretazione della volontà legislativa da cui si ricava la
regola astratta, e poi un riscontro dell’esistenza dei fatti costitutivi di quel diritto. C’è quindi l’accertamento dell’esi-
stenza di un determinato diritto che deve essere reso certo dal punto di vista dell’ordinamento, in modo tale da garantire
che la regola possa essere resa osservabile da parte di tutti: si parla quindi di esistenza obiettiva. E’ chiaro che la certezza
non nasce obiettiva ed è proprio per questo motivo che assume rilievo quella che è la struttura, cioè il meccanismo, di
detta attività. Il Prof. Costantino ci tiene a ribadire come non sia vero che il diritto processuale serva a ristabilire la pace
sociale, o come comunque tale funzione sia sopravvalutata: il diritto processuale (e quindi la tutela giurisdizionale) serve
a stabilire la regola valida per quel rapporto controverso, occorrerà quindi tenere conto dei rapporti di forza presenti tra
le parti.
Struttura. Il soggetto che dovrà andare a effettuare quel procedimento di interpretazione e accertamento dei fatti costi-
tutivi è il giudice. Affinchè l’esistenza di un diritto possa obiettivarsi dovrà verificarsi la cessazione di ogni possibilità
di contestazione da parte degli altri, si parla quindi di incontrovertibilità. Chiaro che da un punto di vista extra-giuridico
l’incontrovertibilità può astrattamente non essere mai raggiunta, ecco allora che interviene l’ordinamento a immettere
dei criteri normativi: in ogni sistema giuridico si prevede così un numero di possibilità di riesame limitato, al termine
del quale si instaura convenzionalmente l’obbiettiva incontrovertibilità. Nel sistema italiano vi sono due gradi di giudi-
zio e un ulteriore riesame di solo diritto (Cassazione). La situazione di incontrovertibilità obiettiva è detta “cosa giudi-
cata”, sulla quale nessun giudice potrà in futuro pronunciarsi (Art. 324 CPC). Si parla allora di cosa giudicata formale
cui fa riscontro una cosa giudicata sostanziale: il diritto sostanziale in altri termini si conforma a quanto avviene a livello
processuale1. La struttura è quindi quella che può pervenire ad un accertamento idoneo ad assumere l’incontrovertibilità
propria della cosa giudicata formale. Anche le previsioni che la legge opera per quanto riguarda la posizione di impar-
zialità del giudice, cioè di assoluta equidistanza dagli interessi perseguiti dalle parti, oltre che al suo obbligo di concretare
la volontà della legge, sono da leggere in questa chiave.

5. Segue. L’attività di esecuzione forzata. L’attività cautelare. La


giurisdizione volontaria.
A) Attività di cognizione→ Abbiamo visto la funzione del processo di cognizione che serve genericamente a garantire
l’incontrovertibilità circa l’esistenza di un certo diritto.
B) Attività di esecuzione forzata→ La funzione dell’attività di esecuzione forzata è quella di attuazione pratica o
materiale di una data regola (solitamente accertata grazie all’attività di cognizione, ma non necessariamente) in via
coattiva o forzata, cioè attraverso l’impiego della forza da parte dell’ordinamento. La struttura si adegua chiaramente
alla funzione da questa svolta: l’organo protagonista è il cd. organo esecutivo (non il giudice in senso tecnico) che
solitamente corrisponde sempre con l’ufficiale giudiziario. L’utilizzo della forza è solo possibile visto che tale
“possibilità” spesso ne rende inutile l’impiego effettivo. L’organo esecutivo si dice “imparziale” ma questo termine

1 Alcuni autori hanno parlato di sostituzione della fonte del diritto sostanziale in relazione a questi casi: dalla norma
civilistica alla sentenza.
va inteso in un’accezione diversa da quella usata nell’attività di cognizione: imparzialità nel senso che l’attuazione
del diritto avviene in maniera obiettiva, cioè senza la presenza di altre finalità o interessi.
C) Attività cautelare→ La funzione dell’attività cautelare è quella di garantire la fruttuosità o l’effettività di una data
attività giurisdizionale: la sua presenza è dunque eventuale e sempre strumentale ad un’attività di cognizione o di
esecuzione forzata (o eventualmente di entrambe). Ad una mancata autonomia sul piano funzionale corrisponde una
mancata autonomia su quello strutturale: la struttura sarà infatti a seconda dei casi quella propria dell’attività
“protetta”. Più in particolare la struttura sarà:
- Assimilabile all’attività di cognizione→ quando ci sarà da individuare l’esigenza di una tutela.
- Assimilabile all’attività di esecuzione forzata→ quando ci sarà da attuare questa tutela
D) Giurisdizione volontaria (procedimenti in camera di consiglio)→ La funzione dell’attività di giurisdizione
volontaria non è quella di riconoscere, attuare o tutelare determinati diritti ma soltanto quella di attuare o realizzare
la fattispecie costitutiva:
i) di uno stato personale o familiare (es. adozione di persone maggiori che si attua con una sentenza del tribunale
in camera di consiglio),
ii) di un determinato potere (es. autorizzazione del giudice cautelare),
iii) della vicenda estintiva/costitutiva/modificativa di una persona giuridica,
iv) di altre situazioni simili.
Questa giurisdizione volontaria parrebbe assimilabile all’attività di cognizione costitutiva ma a ben vedere la tutela non
è di diritti ma di situazioni riconducibili più che altro ad interessi legittimi o comunque a situazioni più sfumate rispetto
ai diritti, si parla di attività funzionalmente e strutturalmente amministrativa svolta da un organo giurisdizionale. Dun-
que, anche da questo emergono quelle che sono:
-Principali similitudini rispetto alle altre attività→ imparzialità del giudice
-Principale distinzione→ Il provvedimento è modificabile/revocabile (questo si lega alla particolare forma delle situa-
zioni tutelate).
Secondo il Prof. Costantino la vera distinzione è che nella giurisdizione volontaria non vi è alcun conflitto.

6. Rapporti tra i diversi tipi di attività giurisdizionale


1) Tendenzialmente attività di cognizione e attività di esecuzione forzata si succedono: quando la cognizione si svolge
in funzione della successiva esecuzione allora prende il nome di “Condanna”.
2) Non sempre però sono richieste sia l’attività di cognizione che quella di esecuzione.
A) Sola cognizione: si verifica quando l’esigenza stessa non tocca il mondo materiale, quindi
a1) non si è verificata alcuna violazione (attività costitutiva necessaria o attività di accertamento mero)
a2) si tratta di violazione le cui conseguenze possono essere eliminate senza operare sul mondo materiale (cd. esecuzione
coattiva non forzata, cioè ad es. mancata conclusione di un contratto).
C) Sola esecuzione forzata: si verifica in tutti quei casi in cui l’ordinamento decide di garantire l’attuazione del diritto
a prescindere dall’incontrovertibilità dell’esistenza del diritto. In questi casi l’esecuzione presuppone appunto un
titolo esecutivo o si fonda su titoli esecutivi stragiudiziali. E’ possibile che in questi casi vi si faccia opposizione
attraverso un giudizio di cognizione che prende il nome di “opposizione all’esecuzione”, questo fenomeno di
contemporanea attività di cognizione a quella di esecuzione può avvenire anche in caso di sentenza di condanna di
primo grado (dunque non ancora incontrovertibile). Chiaro che chi intraprende l’esecuzione prima ancora che vi sia
l’incontrovertibilità lo fa a suo rischio e pericolo, perché qualora tale condanna non sia confermata, questo sarà
tenuto non solo al ripristino della situazione precedente all’esecuzione ma anche al risarcimento del danno.

7. L’ambito della giurisdizione e i suoi rapporti con le altre fondamentali


attività dello Stato
In questo paragrafo conclusivo si cerca di definire il concetto di giurisdizione, prima in riferimento alle diverse attività
e allora si dirà che:
- Sul piano funzionale la giurisdizione comprende sicuramente l’attività di cognizione, l’attività cautelare e l’attività
esecutiva.
- Sul piano strutturale, la giurisdizione sembrerebbe comprendere solo l’attività di cognizione in quanto “juris dictio”
= formulazione del diritto.
Dopodichè si individuano le differenze della “giurisdizione” dalle altre attività dello stato:
- In riferimento all’attività legislativa, quest’ultima è astratta, mentre la giurisdizione si riferisce al caso concreto.
- In riferimento all’amministrazione, quest’ultima non è imparziale ma persegue l’interesse dello Stato a differenza
della giurisdizione.

CAPITOLO 2: Il processo e i suoi requisiti


8. Il processo come fenomeno giuridico
In questo paragrafo iniziale si cerca di analizzare l’essenza del processo.
Bisogna partire dal presupposto secondo cui ogni norma giuridica valuta un comportamento umano considerato in
astratto ricollegandolo ad una certa situazione giuridica: di dovere o di potere, quest’ultimo nel senso di liceità ed even-
tualmente anche nel senso di sua attitudine a creare una nuova situazione giuridica di potere/dovere/liceità (se attuato).
Le attuazioni dei poteri sono detti “atti”. Il processo altro non è che una serie di alternata di poteri e atti, cioè di poteri
che si attuano creando nuove situazioni giuridiche di dovere, di liceità e di potere.
Il processo sarebbe quindi: Potere 1- Atto 1- Potere 2 - Atto 2 - Potere 3-Atto 3- Potere 4 - Atto Conclusivo.
Ma quindi le facoltà e i doveri non recitano alcun ruolo all’interno del processo? Diciamo che possono essere presenti
ma non sono i protagonisti della vicenda processuale, in particolare:
- Le facoltà sono molto rare (ricordiamo che le facoltà a differenza dei poteri si esauriscono in sè stesse).
- I doveri sono presenti e spesso corrispondono anche a “poteri”, specialmente in riferimento all’attività del giudice.
Le parti invece quasi mai si trovano in una situazione di dovere.
Il processo è quindi una serie di situazioni semplici, visto che corrispondenti ciascuna ad uno specifico comportamento,
che si svolgono nel tempo.
Vi sono però anche situazioni processuali globali, che cioè non si pongono in riferimento al singolo atto, ma all’intera
vicenda giudiziaria, si pensi al generico e globale dovere decisorio del giudice di cui all’art. 112 CPC che si realizza
lungo tutta la serie degli atti processuali e non solo in riferimento all’ultimo, come quello di cui all’art. 272 CPC. Ve-
dremo che da questo dovere globale imposto al giudice nasce la possibilità di parlare di “azione” in riferimento al diritto
alla tutela giurisdizionale. In particolare:
- “azione” come diritto soggettivo→ in quanto include varie situazioni semplici (facoltà, poteri ecc.)
- “azione” a protezione di un determinato interesse

9. Il cosiddetto rapporto giuridico processuale


Il processo è un fenomeno giuridico dinamico, in quanto basato da un susseguirsi di poteri e atti, ed autonomo, in quanto
fondato sulle norme processuali.
Il carattere dell’autonomia del processo rispetto al diritto sostanziale si è affermato grazie alla “teoria del rapporto giu-
ridico processuale”, che appunto lo equiparava ad un rapporto giuridico trilaterale tra il soggetto che agiva, che aveva
diritto alla tutela giurisdizionale, l’organo giurisdizionale (chiaramente in una situazione di dovere rispetto al primo
soggetto) e un terzo soggetto che oggi chiameremmo “convenuto”, in una posizione di soggezione. Questa invenzione
di origine tedesca rese possibile l’introduzione di numerose novità, tra le quali spiccano la cd. rappresentanza e succes-
sione processuale.
Nonostante questo, però, tale ricostruzione non considerava l’altro aspetto fondamentale del processo, cioè l’elemento
dinamico, dovuto al suo concretizzarsi in una serie alternata di atti e poteri: è ciò che rende la teoria del rapporto giuridico
processuale sicuramente insufficiente. Meglio allora parlare allora del processo come di una serie di rapporti in continua
evoluzione.
10. I presupposti processuali
Alla nozione del rapporto giuridico processuale dobbiamo però anche l’elaborazione del concetto di “presupposti pro-
cessuali”. Tale categoria si riferisce prevalentemente al processo di cognizione, pur non essendo esclusa una loro esten-
dibilità alle altre tipologie di azioni.
Presupposto: requisito che deve esistere prima di un determinato atto affinchè questo produca determinate conseguenze.
Così a partire dal concetto di rapporto giuridico processuale la dottrina elaborò la categoria in questione in riferimento
a quei requisiti che dovevano esistere nel momento in cui si compieva l’atto che dava il via al processo, ovvero la
domanda.
Successivamente si è ulteriormente distinto tra:
A) Presupposti di esistenza del processo, cioè quelli che devono esistere prima della proposizione della domanda perché
possa sorgere un processo.
B) Presupposti di validità del processo, cioè quelli che devono esistere prima della proposizione della domanda perché
il processo possa procedere fino al conseguimento del suo normale scopo.
In particolare nel nostro ordinamento i presupposti di esistenza del processo sono:
1. Giudice→ Il soggetto al quale verrà proposta la domanda deve essere un giudice. Qualora la domanda sia fatta ad un
vescovo, un professore o ad un soggetto privo della giurisdizione in senso ampio non potrà venire in essere alcun
processo, in quanto quel soggetto non sarà certo tenuto a compiere quell’attività. Se però la domanda sarà fatta ad un
giudice privo della competenza, allora la situazione sarà diversa perché questo, pur non essendo tenuto a pronunciarsi
sul merito della domanda, lo sarà tuttavia a dichiarare il suo difetto di giurisdizione.
2. Domanda di tutela giurisdizionale→ al soggetto dotato della giurisdizione deve essere rivolto un atto che sia domanda
di tutela giurisdizionale (non ad esempio una generica protesta).

Mentre i presupposti di validità del processo (intesi atecnicamente come presupposti in generale in quanto più
ricorrenti) saranno:
1. La competenza del giudice, cioè il suo effettivo potere di decidere quella controversia (quindi competenza e
giurisdizione).
2. La capacità processuale, cioè l’insieme dei poteri che consentono di compiere atti processuali. Secondo Mandrioli la
capacità o rappresentanza processuale si riconducono alla legittimazione processuale. *Vai a CAP. 10 di questi riassunti.
Tutto ciò va tenuto distinto dalle cd. condizioni dell’azione, che sono invece requisiti intrinseci della domanda, a diffe-
renza di quelli analizzati finora che invece, come abbiamo visto, devono, semplicemente, preesistere ad essa.
I presupposti processuali secondo Luiso
Luiso si discosta un po' da questa classificazione che adotta Mandrioli. Secondo lui è esatta la summa divisio presente
tra presupposti per una decisione (di rito o di merito) e condizioni di merito, cioè quelli che volgarmente sono detti
presupposti processuali. Però secondo lui in questa seconda categoria rientrano indistintamente:
1. Presupposti processuali attinenti all’organo giudicante (giurisdizione, competenza, regolare costituzione del giudice)
2. Presupposti processuali attinenti all’oggetto della controversia (La litispendenza, la cosa giudicata e fenomeni assi-
milabili, nonché gli altri eventuali impedimenti della decisione di merito come ad es. la convenzione di arbitrato).
3. Presupposti processuali attinenti alle parti (Capacità processuale, legittimazione, interesse ad agire, rappresentanza
tecnica, instaurazione ed integrità del contraddittorio)

CAPITOLO 3: La situazione giuridica globale del


soggetto che chiede la tutela: l’azione
11. La domanda e il potere di proporla
Situazione giuridiche processuali:
A) Semplici (potere, dovere, liceità).
B) Composite→ posizioni giuridiche globali dei tre soggetti protagonisti, cioè con riguardo all’intera serie degli atti
del processo.
Con riguardo all’attore occorre parlare del “potere di proporre la domanda”, che dà di fatto il via alla serie di atti che
rappresentano il processo. Si tratta comunque ancora di una situazione giuridica semplice.
- A chi spetta? In base all’art. 24 1’ comma Cost “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti o
interessi legittimi”→ tradotto, tutti hanno il potere di proporre la domanda con il solo limite della capacità. Per i
soggetti incapaci tale potere spetterà al rappresentante legale.
- Quale deve essere il contenuto intrinseco della domanda? Deve consistere in una reale domanda di tutela e non ad
es. in una espressione di disappunto.

12. L’azione e le condizioni dell’azione, in generale.


Abbiamo già visto come esistano presupposti che devono esserci affinchè il giudice si pronunci in generale, e presup-
posti che devono esserci affinchè il giudice si pronunci sul merito, in particolare in quest’ultima categoria rientrano:
1. I cd. presupposti processuali (in senso atecnico)
2. Le cd. condizioni dell’azione→ la domanda deve contenere l’esposizione o l’affermazione che un diritto sostanziale
esiste, che appartiene a colui che chiede la tutela e che è bisognevole di tale tutela.
Solo se queste condizioni sono presenti si potrà parlare di “accoglibilità ipotetica della domanda” che porta al giudizio
di merito del giudice. Quindi, ricapitolando:
A) Accoglibilità ipotetica→ pronuncia di merito
B) Non accoglibilità→ pronuncia sul processo
L’azione è quindi quella situazione giuridica globale che fa capo a colui il quale ha proposto la cd “domanda” al com-
pleto dei requisiti che abbiamo visto: la domanda corrisponde dunque al primo atto dell’azione se presenta i requisiti
che la rendono ipoteticamente accoglibile2.

13. Segue. Le singole condizioni dell’azione. La legittimazione straordinaria o


sostituzione processuale.
1) Possibilità giuridica: esistenza di una norma che contempli in astratto il diritto che si vuole far valere (es. non si può
chiedere la risoluzione del contratto perché il soggetto ha cambiato idea). Questa condizione dell’azione è presente solo
sul Mandrioli, probabilmente Luiso la dà per scontata.
2) Interesse ad agire: Il soggetto deve allegare l’accadimento concreto di uno dei fatti costitutivi della norma e il suo
bisogno di tutela giurisdizionale. L’interesse non nel senso economico e non interesse per quel bene attribuito dal diritto
sostanziale bensì interesse per quell’ulteriore diverso bene o risultato che può conseguirsi mediante l’attività giurisdi-
zionale, tant’è che i tedeschi utilizzano un’espressione che significa proprio “bisogno di tutela giurisdizionale”. L’inte-
resse ad agire è la cartina da tornasole del tipo di tutela richiesta e ha una funzione di filtro o di economia processuale.
Questa condizione è dettata dall’art. 100 CPC “Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario
avervi interesse” (interesse ad agire ed interesse a contraddire). L’interesse ad agire indica dunque che quel soggetto ha
necessità di ottenere un risultato attraverso l’attività giurisdizionale che altrimenti non sarebbe raggiungibile o che lo
sarebbe ma con un’“utilità minore”. L’interesse ad agire deve presentare i requisiti dell’attualità, della concretezza e
della giuridicità.
Su un piano diverso l’interesse a contraddire che sorge invece automaticamente con l’interesse ad agire.
Su un altro punto dobbiamo soffermarci: l’interesse ad agire deve essere “allegato”, non deve necessariamente esistere,
proprio perché se così fosse si assisterebbe ad un’anticipazione del processo di cognizione, dunque ciò che è richiesta è
la semplice “affermazione” (o allegazione):
A) Accertamento mero→ l’allegazione riguarda la contestazione o il vanto

2Questo nonostante alcuni autori collochino la domanda in un momento precedente all’azione, qualificandola come potere
preprocessuale.
B) Giurisdizione costitutiva necessaria→ l’allegazione riguarda l’affermazione del semplice fatto costitutivo del diritto
alla modificazione giuridica o diritto potestativo necessario
C) Giurisdizione costitutiva non necessaria→ fatti costitutivi e fatti lesivi di un diritto.
Se l’interesse manca il giudice si pronuncerà non nel merito ma per difetto di interesse. L’interesse può mancare in
relazione:
A) Al mezzo processuale→ In questi casi l’effetto chiesto è utile, ma la parte può ottenerlo per una via diversa da quella
giurisdizionale, di solito attraverso strumenti di diritto sostanziale.
B) Al risultato processuale→ Ad esempio, nel caso in cui si chieda una tutela di accertamento mero e manca la conte-
stazione o il vanto altrui.
A differenza del difetto di legittimazione ad agire, il difetto di interesse ad agire non blocca necessariamente in rito il
processo: la ratio di questo istituto è infatti di economia processuale. Dunque è ben possibile che in alcuni casi la man-
canza di interesse ad agire concluda il processo in rito, ma sarà possibile anche che si arrivi ad una pronuncia di merito.
3) Legittimazione ad agire: l’ipotetica accoglibilità viene in rilievo sul piano soggettivo, nel senso di doppia corrispon-
denza, cioè tra soggetto che propone e soggetto che nella domanda è affermato come titolare del diritto affermato e tra
colui contro il quale la domanda è proposta che deve essere lo stesso soggetto che ha posto in essere la violazione del
diritto. E’ chiaro che in caso di assenza di uno di questi requisiti il giudice non si pronuncerà sul merito ma pronuncerà
il difetto di azione per difetto di legittimazione. Questo requisito è frutto di una scelta di politica legislativa e trova
espressa menzione all’art. 81 CPC “fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel pro-
cesso in nome proprio un diritto altrui”. Da questa norma però si ricava anche quella che è la legittimazione straordinaria
o sostituzione processuale. In questi casi il legislatore sacrifica il potere spettante al soggetto titolare del diritto di deci-
dere liberamente e agire o meno in nome dell’interesse del terzo a far valere il diritto altrui.
*Legittimazione straordinaria o sostituzione processuale→ il legittimato straordinario o sostituto processuale è
colui che nei casi espressamente previsti dalla legge fa valere in nome proprio un diritto di cui non è titolare, ma
anzi di cui è titolare un altro soggetto (legittimato ordinario o sostituito processuale). Quindi si avrà:
A) Parte in senso formale e processuale: legittimato straordinario o sostituto processuale, perché è colui che compie
gli atti processuali, oltre ad essere destinatario degli atti da lui prodotti.
B) Parte in senso sostanziale: legittimato ordinario o sostituito processuale, perché è su di lui che avrà effetto la
sentenza di merito.
I motivi sulla base dei quali viene concessa la legittimazione straordinaria, sono principalmente:
A) Ragioni di opportunità→ es. azione surrogatoria ai sensi dell’art. 2900 cc.
B) Ragioni di natura sociale→ es. diritto di associazione ai sensi dell’art. 18 Cost; art. 140 bis Cod. del cons (azione
di classe a tutela dei diritti individuali omogenei dei consumatori ed utenti, che dal 19 aprile 2020 è sostituita
con gli art. 840 bis-840-sexdecies CPC diretti a fornire una azione di classe più generale e di qualsiasi natura).
Poiché la legittimazione ad agire è condizione dell’azione, chi dice che un soggetto è legittimato ad agire non dice
nulla di diverso da chi afferma che quel soggetto è titolare dell’azione.
Parte della dottrina ha criticato la nozione di legittimazione straordinaria, affermando che, il legittimato straordinario
in questi casi agirebbe per un suo interesse: questa constatazione però non basta, del resto l’oggetto del processo
resta un diritto altrui.
Legittimazione straordinaria e rappresentanza
Le due situazioni non vanno confuse: nella legittimazione straordinaria, il legittimato straordinario fa valere in nome
proprio un diritto altrui e sarà destinatario degli atti processuali compiuti. Il rappresentante invece no, facendo valere
un diritto altrui in nome altrui. Quindi:
Rappresentante: No effetti degli atti processuali; No effetti di merito
Legittimato straordinario: Si effetti degli atti processuali; No effetti di merito
Il difetto di legittimazione è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio ed è vizio insanabile, dunque comporta la chiusura
immediata del processo in rito.
14. L’azione come diritto ad un provvedimento sul merito. Autonomia e
astrattezza
Esistenza delle tre condizioni che abbiamo visto all’interno della domanda [diritto astratto sostanziale+ interesse ad
agire + legittimazione processuale]→ significa titolarità dell’azione da parte di colui che ha proposto la domanda.
L’azione è allora un diritto autonomo rispetto al diritto sostanziale che lo sottende che coinvolge in parte gli stessi
soggetti e in parte soggetti diversi: in ogni caso tale diritto avrà ad oggetto la prestazione non del titolare passivo del
diritto sostanziale ma di un soggetto diverso che è il giudice. Dobbiamo dire allora che:
L’azione è il diritto verso il giudice ad un provvedimento sul merito della domanda avanzata
Rapporto Azione – diritto sostanziale
(doppia tesi):
A) Azione in senso concreto→ diritto ad un provvedimento favorevole.
B) Azione in senso astratto→ diritto ad un provvedimento sul merito (si prescinde totalmente dall’esistenza del diritto
sostanziale).
Secondo il Mandrioli dal momento che se il diritto sostanziale è contenuto nella domanda, a prescindere dalla sua esi-
stenza concreta, il giudice dovrà pronunciarsi sul merito, allora diremo che l’esistenza del diritto di azione non può
dipendere dall’esistenza concreta di un certo diritto, ma dipenderà dalla semplice affermazione dell’esistenza di un
diritto sostanziale da tutelare.
L’azione è allora un diritto solo parzialmente astratto in quanto postula una forma di aggancio al diritto sostan-
ziale, in quanto il diritto sostanziale deve essere appunto allegato nella domanda. Ed in particolare è un diritto al
provvedimento sul merito, in quanto il provvedimento favorevole esiste solo nell’aspirazione di chi agisce.

15. Le azioni di cognizione: di mero accertamento, di condanna e costitutiva


Nel processo civile romano le azioni erano tipiche, cioè colui che voleva agire in giudizio non aveva a disposizione la
possibilità di tutelare qualsiasi situazione ritenesse fosse un diritto, perché tutto passava dal riconoscimento, ossia dalla
attribuzione dell'azione da parte del Pretor. Si trattava dunque di azioni tipiche, esisteva un catalogo limitato di azioni
(azioni reali, azioni personali etc.) a disposizione dell'attore, per cui il diritto di cui si chiedeva tutela rientrava in tale
catalogo e quindi o si otteneva l'azione oppure non vi rientrava e quindi non aveva tutela. Negli ordinamenti moderni il
salto di qualità è dato dal riconoscimento generalizzato del diritto di azione, (addirittura nel nostro ordinamento il diritto
di azione è costituzionalizzato poiché tutti possono agire in giudizio per tutela dei propri diritti), e questa generalizza-
zione porta inevitabilmente, come conseguenza, all’affermazione del Principio dell’atipicità dell'azione. Questo è stret-
tamente legato a quanto abbiamo già detto, e cioè a dire che è sufficiente che un soggetto si affermi titolare di un diritto
e affermi che quel diritto ha bisogno di tutela per ottenere, per esercitare il diritto d'azione. Quindi non c'è più la tipicità
delle azioni ma abbiamo il riconoscimento generalizzato del diritto d'azione in capo a chiunque affermi di avere bisogno
di tutela giudiziaria. Tuttavia, dire che nel nostro ordinamento vige il Principio dell’Atipicità dell'azione (nel caso spe-
cifico dell’azione di Cognizione) non significa che, nel momento in cui si agisce in giudizio, per esercitare il diritto di
azione vada bene qualunque azione. L’azione che noi andremo ad esercitare, perché ci soddisfi dal punto di vista della
tutela giurisdizionale che stiamo cercando, è necessario che sia un’azione corrispondente alla tutela di cui abbiamo
bisogno. Cioè ci deve essere piena corrispondenza tra quello che chiediamo in giudizio, esercitando l'azione, e quello di
cui abbiamo bisogno per ottenere piena tutela del nostro diritto. Così in riferimento all’azione di cognizione, il nostro
ordinamento prevede tre diverse tipologie di azioni.
Azione di accertamento mero
L’interesse ad agire qui si presenta non corredato dall’affermazione della violazione ma dall’affermazione della conte-
stazione (nel senso ampio comprensivo anche del vanto).
A) Contestazione nel senso di contestazione→ nego che qualcuno che si dica titolare di un diritto lo sia. Se questa
prima situazione dovesse verificarsi sorgerebbe una controversia e sarà sufficiente, nell'esercitare l'azione in
giudizio, chiedere l'accertamento del diritto contestato: colui che si vede contestato il diritto va in giudizio ed è
sufficiente che eserciti l'azione di cognizione di mero accertamento nei confronti del terzo che ha "contestato” il
diritto - chiederà al giudice di accertare il suo diritto effettivo di proprietà sul bene che è stato contestato da un terzo.
Questa prima situazione presuppone una situazione di incertezza circa l'esistenza di un determinato diritto. Lo
strumento messo a disposizione dall'ordinamento per superare la situazione di incertezza, che ha determinato la
controversia, è l'azione di cognizione di mero accertamento. E’ un'azione positiva perché chiedo al giudice di
accertare effettivamente che io sono proprietario del bene - mero accertamento positivo
B) Contestazione nel senso di vanto→ nego che qualcuno si dica titolare di un diritto lo sia e oppongo al suo diritto un
mio. Se si tratta di un diritto esattamente identico a quello vantato dal terzo, per ottenere tutela è sufficiente chiedere
l'accertamento in positivo del diritto e quindi è sufficiente che il giudice accerti la proprietà di Tizio perché ciò
implichi automaticamente la negazione del diritto vantato da Caio. Nel nostro ordinamento, però, possono verificarsi
situazioni in cui un terzo vanti un diritto che in qualche maniera limiti il diritto di proprietà: è il caso dei diritti reali
parziali (servitù, uso, usufrutto, enfiteusi) che sono compatibili col diritto di proprietà. Ammettiamo che si verifichi,
in concreto, il caso in cui Tizio è proprietario del bene X e Caio, non nega il diritto di proprietà di Tizio, ma afferma
di essere titolare di un diritto reale parziale sul medesimo bene (es: una servitù). L'affermazione di Caio, se non
dovesse essere fondata e se fosse un'affermazione di mero vanto di un diritto reale parziale, lede il diritto di proprietà
di Tizio. Quindi se un terzo vanta (nel senso che la sua pretesa non è fondata) un altro diritto reale parziale sul bene
lede ugualmente il diritto di proprietà. In questo caso, riflettendo sempre con senso comune perché questo deve
venire prima del senso giuridico procedimentale, è sufficiente chiedere in giudizio il mero accertamento di
proprietà? Cioè Tizio può dirsi pienamente tutelato andando davanti al giudice e chiedendo "mi accerti se sono
proprietario?" - questo non lo tutelerebbe perché il fatto che il giudice accerti che Tizio è il legittimo proprietario
non implica che non possa esistere anche il diritto vantato dal terzo, diritto reale parziale. Quindi per poter
pienamente tutelare il mio diritto, in questo caso, non serve più l'azione di mero accertamento positivo, ma devo
esercitare l'azione di mero accertamento negativo del diritto vantato: perché chiedendo al giudice di accertare che
non esiste il diritto vantato dal terzo e Tizio riceverà piena tutela in quanto proprietario del bene.
Azione di condanna
Ricordiamo che la cognizione si chiama condanna quando si svolge in funzione ed in preparazione dell’esecuzione
forzata. Con l’azione di condanna, la più frequente in quanto l’attore raramente potrà accontentarsi dell’accertamento
mero, si ricerca quel quid in più che serve ad aprire la via all’esecuzione forzata, in modo tale che appunto la condanna
costituisca titolo esecutivo. L’azione diventa di condanna quando nella domanda si richiede la violazione e il bisogno
di restaurazione sul piano materiale e questo assume notevole importanza sul piano pratica. Il passaggio in giudicato
dell’azione di condanna rompe il collegamento con la ragione sostanziale del diritto e la prescrizione diviene così de-
cennale. Esistono in ogni caso, oltre all’azione di condanna ordinaria, diverse categorie di azioni speciali.
A) Condanna generica→ l’art. 278 CPC prevede la possibilità di scindere la pronuncia sul “an” da quella sul “quantum”
di una certa prestazione. Nella condanna ordinaria l'attore chiede tanto l'accertamento del diritto alla reintegrazione
quanto la condanna del convenuto alla reintegrazione: quindi determina l'oggetto della reintegrazione e la quantifica.
In questo caso invece si consente all'attore di scindere i due momenti: egli infatti può limitarsi a chiedere subito al
giudice la pronuncia di una sentenza con la quale accerti l'esistenza della violazione del diritto rinviando, ad un
secondo momento, la quantificazione della liquidazione della reintegrazione del diritto violato. La ratio della
condanna generica è legata al fatto che per quantificare il danno c'è bisogno di assumere delle prove e il processo
potrebbe andare per le lunghe. Se invece si ottiene la pronuncia di condanna generica si avrà il diritto anche ad una
provvisionale sui danni e quindi in attesa di avere l'esatta determinazione dei danni subiti, si ottiene una sorta di
anticipazione rispetto a quello che verrà dato all'esito del processo. In caso di azione ordinaria di condanna si sarebbe
dovuta attendere la pronuncia definitiva e solo al momento della pronuncia di condanna si avrebbe avuto diritto alla
corresponsione del risarcimento quantificato dal giudice. Una precisazione in ogni caso è doverosa: per aversi
sentenza di condanna generica, la domanda deve essere comprensiva sia dell’”an” che del “quantum”: in modo tale
che vi possa essere la cd. sentenza di condanna generica, accompagnata da un’ordinanza che imponga la
prosecuzione del processo. Perché nel caso in cui la domanda sia riferita solo all’”an”, nulla impedirà al soggetto di
ottenere anche la quantificazione, ma si tratterà di un nuovo e separato processo. Ulteriore presupposto richiesto per
l’operatività della sentenza di condanna generica è poi il mancato dissenso del convenuto. La sentenza di condanna
generica è titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale, quella di condanna al pagamento di una provvisionale
costituisce addirittura già titolo esecutivo.
La giurisprudenza ha poi affermato una serie di principi:
1 La condanna generica deve essere stata richiesta esplicitamente.
2 La condanna generica non esclude che il giudice in sede di liquidazione possa negare l’esistenza del danno.
3 Se in primo grado è stata richiesta la pronuncia solo sull’”an”, in appello non si potrà chiedere la pronuncia
anche sul “quantum”.
4 Il passaggio in giudicato della condanna generica rende l’azione di liquidazione del danno decennale.
B) Condanna condizionale→ In questo caso il giudice fa dipendere l’eseguibilità di una certa prestazione al verificarsi
di un certo evento che può essere anche previsto dalla legge. In questo caso la sentenza è di accertamento mero e
potrà divenire di condanna solo dopo la verificazione di questa condizione. L’esempio è dato dalla sentenza di
separazione o di divorzio dei coniugi laddove venga riconosciuto, in capo a uno dei due, il diritto ad un assegno di
mantenimento nei confronti dell'altro coniuge. In questo caso il giudice condanna il coniuge tenuto a versare
l'assegno di mantenimento ad una prestazione di natura alimentare (serve per il sostentamento del coniuge
beneficiario) che dura nel tempo (non basta che il coniuge adempia una volta, ma dovrà adempiere alle scadenze
stabilite nella sentenza di separazione/divorzio). Anche questa è un'ipotesi di condanna in futuro perché, la sentenza
di separazione o di divorzi, nella quale il giudice condanna il coniuge a corrispondere l'assegno, acquisterà efficacia
solo in futuro, ove il coniuge non dovesse spontaneamente adempiere all'obbligo di corresponsione dell'assegno. Il
coniuge beneficiario dell'assegno, a quel punto, può utilizzare quella sentenza, senza dover nuovamente andare in
giudizio, per agire in via esecutiva nei confronti del coniuge inadempiente.
C) Condanna in futuro→ Si fa cioè dipendere la condanna da una prestazione soggetta ad un termine, così prima del
termine la sentenza sarà di accertamento mero e solo successivamente diverrà sentenza di condanna. L’esempio lo
troviamo nell’art. 657 c.p.c., dove siamo in presenza di una controversia tra un locatore e un conduttore di un
immobile. “Il locatore ha diritto, alla conclusione del contratto di locazione, al rilascio dell'immobile”. Se
rimaniamo nell’ambito ordinario, cioè siamo in presenza di un contratto di locazione e il conduttore non rilasci
l’immobile al momento del termine del contratto, il locatore può agire in giudizio per la condanna del conduttore
solo dopo la scadenza del termine- violazione del diritto al rilascio e condanna ordinaria. L'art. 657 c.p.c. contiene
un'ipotesi di condanna speciale che stabilisce per il locatore una possibilità in più e quindi, invece di aspettare di
agire con l'azione ordinaria di condanna alla conclusione del contratto (scadenza del termine) di locazione, l’art.
657 c.p.c. gli riconosce la possibilità di agire in giudizio quando ancora il contratto di locazione non è concluso per
ottenere la condanna del conduttore al rilascio, nel momento in cui il contratto di locazione esaurirà la sua efficacia.
Se non ci fosse l'art. 657 c.p.c. il locatore non potrebbe agire prima della conclusione del contratto perché non ci
sarebbe la violazione del diritto al rilascio dell'immobile non essendosi concluso il contratto (la violazione ci può
essere solo a conclusione del contratto laddove il conduttore non rilasci l'immobile); invece l'art. 657 c.p.c.,
ragionando sul fatto che, nella realtà, nei contratti di locazione di immobili il conduttore normalmente anche se il
contratto è concluso non rilascia subito l'immobile, concede al locatore uno strumento processuale in più,
consentendogli di ottenere la condanna del conduttore al rilascio dell'immobile ancora prima che il contratto si
concluda. Restando inteso che tale condanna acquisterà efficacia solo alla conclusione del contratto sempre che il
conduttore non rilascia spontaneamente l'immobile. La particolarità sta nel fatto che l'azione di condanna, di cui
all'art. 657 c.p.c., viene esercitata quando ancora non c'è la violazione, ed è per questa ragione che si parla di
“condanna in futuro”, cioè di condanna che il locatore ottiene quando ancora il contratto non è concluso, ma che
acquisterà efficacia in futuro e cioè solo quando il contratto di locazione si concluderà e il conduttore non rilascerà
spontaneamente l'immobile locato.
D) Accertamenti con prevalente funzione esecutiva a cognizione sommaria perché superficiale→ La particolarità la
troviamo sulla speciale azione di cognizione alla base di questo procedimento. Qui si consente la possibilità all'attore
di ottenere una pronuncia di condanna a suo favore, sulla base dell'accertamento meramente superficiale da parte
del giudice della fondatezza dei fatti costitutivi della domanda attoria. Questa particolarità caratterizza il
procedimento ingiuntivo o monitorio. La differenza con l'azione ordinaria di condanna, che è accolta dal giudice
solo dopo aver accertato in maniera piena ed esauriente i fatti di causa, sta nel fatto che in questo caso, la pronuncia
di condanna, è emessa sulla base di un accertamento meramente superficiale. Al giudice è chiesto di verificare in
prima battuta, in maniera del tutto superficiale, che la domanda attoria sia fondata, e sulla scorta di ciò può emettere
una sentenza di condanna.
E) Accertamenti con prevalente funzione esecutiva a cognizione sommaria perché incompleta→ es. condanne con
riserva delle eccezioni: In queste ipotesi di condanna con riserva, quindi, il legislatore fornisce a favore dell'attore
la possibilità di ottenere immediatamente la pronuncia di condanna del convenuto sulla base dell’accertamento dei
soli fatti costitutivi della domanda, senza che il giudice accerti le contestazioni mosse dal convenuto. Il giudice
consente questo nel momento in cui verifica che i fatti, costitutivi della domanda dell'attore, sono fondate su prove
di facile acquisizione in giudizio, mentre le contestazioni mosse dal contenuto richiedono un tempo maggiore,
un'attività istruttoria più lunga. Questo strumento dato al giudice, ma che realtà costituisce una possibilità per
l'attore, è ammissibile solo nei casi espressamente previsti dalla legge. Nei casi previsti dagli artt. 35 e 665 c.p.c. il
legislatore prevede la possibilità di pronunciare immediatamente una condanna a favore dell'attore, e quindi di
accoglimento della domanda dell’attore, con riserva delle eccezioni. Questa è una condanna che intanto produce i
suoi effetti come se fosse una condanna ordinaria (è qui il favor nei confronti dell'attore, il legislatore da uno
strumento particolare, in queste ipotesi degli artt. 35 e 665). Questa condanna si consoliderà solo dopo l'esito
dell'accertamento sulle contestazioni mosse dal convenuto, nel rispetto del diritto di difesa.
Azione costitutiva
Le azioni costitutive, che sono la terza tipologia delle azioni di cognizione, sono le azioni con le quali si chiede al giudice
di pronunciare una sentenza che costituisca, modifichi o estingua o un determinato rapporto giuridico o uno status.
Dunque, rispetto alle azioni di accertamento mero troviamo un quid pluris, allo stesso modo di quanto avviene
nell’azione di condanna:
- Nell’azione di condanna il quid pluris è rappresentato dall’accertamento dell’esigenza di tutela tramite esecuzione
forzata→ che si concretizzerà poi nel processo esecutivo (perché bisogna agire nel mondo materiale)
- Nell’azione costitutiva il quid pluris è rappresentato dalla modificazione giuridica (si agisce nel mondo giuridico)→
non ci sarà quindi bisogno di un ulteriore passaggio a livello processuale come avviene per l’azione di condanna.
Azione preventiva
Alcuni hanno parlato anche di “azione preventiva” cioè quella volta a prevenire anziché reprimere la lesione di un diritto.
Tuttavia, la dottrina dominante ritiene questa azione priva di autonomia, bensì riconducibile in un caso o nell’altro alle
altre azioni già viste: si pensi ad esempio alla condanna in futuro o all’azione cautelare. Dunque, più che di azione
preventiva, si preferisce di parlare di “tutela preventiva”, concetto che opera su un piano diverso rispetto a quello di
“azione”.

16. L’azione esecutiva e l’azione cautelare


Azione esecutiva
Qui non c’è il diritto ad un giudizio sul merito da parte del giudice, ma il diritto a che l’organo esecutivo faccia il
possibile a garantirgli il risultato utile. In questo caso rimane l’autonomia e l’astrattezza dell’azione processuale rispetto
al diritto sostanziale sotteso, tuttavia il legame è sicuramente più intenso dal momento che il diritto sostanziale non deve
essere semplicemente affermato come nell’azione di cognizione ma deve essere accertato, deve cioè essere nel titolo
esecutivo. Ma anche il diritto presente nel titolo esecutivo non è necessariamente diritto esistente: si pensi ad esempio
alla sentenza di condanna di primo grado che può venire meno in appello, si parla appunto di “efficacia incondizionata”
del titolo esecutivo, che può essere utilizzata dal titolare del medesimo a suo rischio e pericolo.
Azione cautelare
Divisa in due fasi:
Prima fase→ accertamento dei due presupposti: quello del “periculum in mora”, pericolo che il ritardo della tutela
giurisdizionale crea per il diritto; quello del “fumus boni iuris”, il fatto che il diritto sia probabile, dove per probabilità
si intende qualcosa di più di affermazione (domanda processo di cognizione) e qualcosa di meno di accertamento del
diritto (che farebbe venire meno l’utilità dell’azione cautelare).
Seconda fase→ attuazione della misura cautelare, con forme analoghe a quelle dell’esecuzione forzata.

CAP. 4: La situazione giuridica globale del sog-


getto che presta la tutela: Il dovere decisorio del
giudice e i suoi limiti
17. Il contenuto del dovere decisorio del giudice: il giudizio
Alla posizione giuridica di colui che chiede la tutela, corrisponde quella dell’organo giurisdizionale, soggetto al quale
tale tutela si chiede e che è tenuto a prestare, impersonando lo Stato. Naturalmente le modalità e i comportamenti variano
a seconda del tipo di attività giurisdizionale a cui si fa riferimento: l’analisi qui riguarda però l’attività di cognizione.
L'insieme dei doveri/situazioni giuridiche che configuriamo in capo al giudice sono individuate, nel c.p.c., in una serie
di articoli da artt. 112 a 116 c.p.c., norme che devono essere considerate per comprendere qual è la posizione che assume
il giudice una volta che ci sia stato l'esercizio della domanda giudiziale e cioè quali sono gli obblighi/doveri che sorgono
in capo al giudice per effetto dell'esercizio di una domanda giudiziale. È singolare ma nasce dall'impostazione culturale
del CPC che nasce nel 1942 ossia durante il regime fascista e quindi non vede di buon occhio parlare di doveri dei
giudici e infatti il codice, in questa parte, parla di “poteri del giudice” anche se in realtà sono limiti entro cui il giudice
può esercitare la sua funzione giurisdizionale ossia doveri (e non poteri). In queste norme troviamo i paletti che l'ordi-
namento pone all'esercizio della funzione giurisdizionale.
Il dovere dell’organo giudiziario è quello di compiere tutti quegli atti che, coordinandosi a vicenda, conducono
alla pronuncia, da parte sua, del provvedimento sul merito, ossia della decisione.
Per questo dovere che è anche potere in relazione ai singoli atti.
In particolare, il giudice:
1. Deve decidere (dovere decisorio)
2. Ha un dovere condizionato e determinato dalla domanda
3. Deve decidere nei limiti della domanda

In relazione al punto 1), cioè al dovere decisorio, come abbiamo visto il dovere di pronunciarsi c’è anche in caso di
domanda priva dei suoi elementi intrinseci, solo che in questo caso la pronuncia, questa sarà appunto “sul processo”.
Dunque:
A) Pronuncia sul processo→ la correlazione pronuncia-domanda riguarda soltanto il dato formale della domanda.
B) Pronuncia sul merito→ la correlazione pronuncia-domanda si basa sul dato sostanziale della domanda.
Il sillogismo del giudice
Il sillogismo del giudice si compone di due fasi:
1. Giudizio di diritto→ si ricava la volontà normativa e gli schemi astrattamente corrispondenti ai fatti costitutivi.
2. Giudizio di fatto→ riscontro che i fatti determinati come costitutivi si sono effettivamente verificati, oltre agli even-
tuali fatti lesivi.
Naturalmente tra i due giudizi si instaura una relazione di interdipendenza: il giudizio di fatto, nella ricerca degli ele-
menti, si concentra su quelli idonei a integrare i cd. fatti costitutivi che si ricavano sulla base del giudizio di diritto. Lo
stesso giudizio di diritto parte dai fatti.
Tuttavia, tale divisione non è priva di utilità pratica, sia in quanto idonea a esprimere l’essenza del diritto, sia perché a
questa distinzione fanno capo regole fondamentali.

18. La correlazione con la domanda e i confini del dovere decisorio del giudice.
Il dubbio di costituzionalità. Il principio della disponibilità dell’oggetto del
processo.
All’interno dell’analisi e della definizione del dovere decisorio del giudice che sorge ai sensi dell’art. 112 CPC occorre
innanzitutto dire che il giudice deve pronunciarsi sul diritto che è affermato, perché essendo tale dovere applicabile nei
confronti di chi lo richiede, allora anche il suo contenuto dovrà essere quantificato nei limiti della domanda fatta dallo
stesso soggetto. In particolare il giudice dovrà:
- Pronunciarsi su tutto l’ambito del diritto o dei diritti affermati→ altrimenti ci sarà omissione di pronuncia (parziale
o totale). Chiaro che per poter parlare di omissione di pronuncia vi dovrà essere assenza di risposta rispetto ad una
domanda autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale.
- Pronunciarsi non oltre l’ambito del diritto o dei diritti affermati→ altrimenti si incorrerà nel cd. vizio di
ultrapetizione che chiaramente non sussiste laddove il giudice risponda ad una domanda che pur non essendo
formulata espressamente costituisce antecedente logico rispetto a quella che invece è espressa.
Ora passiamo ad analizzare il restante contenuto dell’art. 112 CPC.
Il giudice ha un dovere condizionato e determinato dalla domanda (2)
Il giudice potrà pronunciarsi cioè solo se ci sarà la domanda. Si parla in proposito di principio di disponibilità della
tutela giurisdizionale, in base al quale il titolare del diritto sostanziale è appunto libero di chiedere o di non chiedere tale
tutela del giudice. Del resto, la disponibilità della tutela giurisdizionale è l’altra faccia della medaglia rispetto alla di-
sponibilità del diritto sostanziale: non stupisce allora che nei casi in cui la tutela può essere chiesta dal PM, ci si trovi di
fronte proprio a diritti sostanziali indisponibili. In caso di spettanza del diritto di tutela giurisdizionale a soggetti diversi
rispetto a quello titolare del diritto sostanziale, parleremo semplicemente di un fenomeno di disponibilità allargata del
diritto con limitazione dell’esclusività di disposizione di tale diritto.
Art. 99 CPC “Chi vuole far valere un diritto in giudizio deve proporre la domanda al giudice competente”→ questa
norma in correlazione all’art. 112 CPC crea nel soggetto che propone la domanda, un cd. diritto al processo.
Il giudice deve decidere nei limiti della domanda (3)
Qui si introduce il principio della disponibilità dell’oggetto del processo che va a limitare e vincolare il giudice.
1. Tale vincolo si manifesta intanto col tipo di azione di cognizione esercitata (es. nel caso in cui al giudice sia richiesta
una sentenza di condanna ed emetta una sentenza di accertamento mero, allora si parlerà di vizio di parziale omissione
di pronuncia, mentre se accadesse il contrario parleremmo di vizio di ultrapetizione).
2. Il vincolo e la limitazione riguarda soltanto l’allegazione dei fatti costitutivi e/o lesivi→ nel senso che il giudice è
vincolato rispetto ai fatti che sono allegati nella domanda, non può cioè riferirsi a fatti diversi e/o ulteriori, resta il fatto
però che invece il giudice è libero di applicare le norme di diritto che ritiene adattabili al caso concreto, potendo quindi
discostarsi rispetto all’eventuale qualificazione giuridica fornitagli dall’attore. Questo principio lo ricaviamo sia pure
indirettamente, anche dall’art. 113 CPC dove si dice che “nel pronunciare sulla causa il giudice deve seguire le norme
sul diritto”. Così l’art. 113 impone il principio del “Iura novit curia” (“il giudice conosce le leggi”). La ricerca del
giudice è però limitata alle vere e proprie fonti di diritto oggettivo, contrassegnati dal duplice connotato della giuridicità
e della normatività, per questo risultano da questo campo esclusi:
- precetti aventi carattere normativo ma non giuridico (es. le regole della morale).
- regole giuridiche ma prive di carattere normativo (es. atti amministrativi o contratti)
E’ chiaro che per potersi concretizzare questo lavoro di ricerca dovrà essere preceduto dalla interpretazione, cioè da
quell’attività finalizzata a ricavare la concreta volontà legislativa e che nel nostro ordinamento consente al giudice di
discostarsi dalle altre pronunce (anche quelle al livello più alto). Il giudice potrà poi al termine dell’interpretazione
assoggettare la norma ai dettami del controllo di costituzionalità (sospendendo il giudizio) o eventualmente rimettere la
questione alla CGE qualora sorga una questione di diritto comunitario. Il giudice deve comunque indicare alle parti le
questioni rilevabili d’ufficio, per assicurare il pieno rispetto del contraddittorio.
Riassunto:
Fatti allegati nella domanda→ vincolano e limitano giudice che deve giudicare su tutti questi e solo su questi (iudex
secundum allegata judicare debet).
Ricerca norme→ giudice può discostarsi rispetto all’eventuale interpretazione prospettata dalle parti.

19. La pronuncia secondo equità


La regola generale dell’art. 113 CPC secondo cui il giudice deve seguire le norme del diritto, trova alcune eccezioni. Per
capire la natura e la ratio di queste eccezioni occorre innanzitutto evidenziare come la lite abbia in realtà ad oggetto beni
della vita, dunque il riferimento alle norme in realtà non è diretto. L’ordinamento impone come regola generale di tenere
conto soltanto delle norme dell’ordinamento nella risoluzione delle controversie, tuttavia in alcuni casi potrebbe essere
più opportuno decidere secondo regole diverse da quelle delle norme che compongono l’ordinamento. Parliamo così del
riferimento all’equità: allora si impone al giudice di elaborare nella propria coscienza la regola sulla base di orientamenti
sociali e morali del tutto analoghi a quelli che ispirano il legislatore.
+ aderenza al caso concreto; celerità
- certezza del diritto; uniformità di trattamento
Equità sostitutiva
In questi casi l’equità non va a integrare le norme di legge, bensì gli si sostituisce sempre nel rispetto degli orientamenti
sociali e morali a quelli che ispirano il legislatore. In particolare i casi sono:
- Art. 113 CPC comma 2 “il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento euro,
salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 del
cc”→ vista la ridotta entità economica delle cause in questione si decide di prediligere un procedimento più celere
e snello. La deroga alla deroga prevista per quanto riguarda i contratti conclusi secondo le modalità del 1342 si lega
al fatto che in quel caso il legislatore prevede nel diritto sostanziale una forma di tutela maggiore per il consumatore:
estendere la portata del giudizio equitativo a questa categoria contrattuale significherebbe far venire meno la
maggior parte dell’utilità della disciplina di maggiore favore pensata per il consumatore.
- Art. 114 CPC, nel caso in cui le parti siano d’accordo e si parli di diritti disponibili allora si può svincolare il giudice
dal dovere di applicare le norme-→ Attenzione! In questo caso il potere di contestazione delle parti (nei gradi
successivi) sarà molto limitato dal momento che potrà avere ad oggetto solo la mancata aderenza della regola ai
principi fondamentali dell’ordinamento.
Equità integrativa
Tutti i casi in cui il codice fa riferimento all’equità per l’integrazione di norme (es. Art. 1226, determinazione del danno
che non può essere provato nel suo preciso ammontare).

20. Il principio della disponibilità delle prove. Sistema inquisitorio e sistema


dispositivo. Il principio della libera valutazione delle prove
Abbiamo visto come il giudice sia vincolato rispetto all’oggetto della domanda dall’allegazione del fatto, ora occorre
capire se tale vincolo si estenda anche al modo attraverso cui sullo stesso fatto debba svolgersi il giudizio, cioè tale
vincolo si estende anche agli strumenti di cui il giudice può servirsi per accertare la veridicità del fatto?
Art. 115 comma 1 (parte 1) CPC: principio della disponibilità dell’oggetto delle prove
“salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal
pubblico ministero”. Chi commenta questa disposizione spesso ne ricava il principio “iudex secundum allegata et pro-
bata debet”, questo tipo di argomentazione è però, secondo Mandrioli, erronea per almeno due motivi:
1. E’ errato parlare di “probata”, perché con questo termine sembrerebbe sia già avvenuto l’esperimento positivo del
mezzo di prova.
2. Non si può considerare il principio della disponibilità dell’oggetto processuale e quello della disponibilità delle prove
come un fenomeno unitario e necessariamente connesso: in un altro ordinamento ben potrebbe esserci disponibilità
dell’oggetto processuale e indisponibilità delle prove. Si tratta quindi di due scelte legislative differenti.
Art. 115 comma 1 (parte 2) CPC: principio della non contestazione
Poi il 1 comma prosegue affermando che possono essere utilizzati come prova anche i “i fatti non specificatamente
contestati dalla parte costituita”. Si intende dire che la mancata esplicita e specifica contestazione dei fatti di causa ad
opera della controparte solleva la parte che li ha allegati dall’onere della prova. Va comunque chiarito che questo prin-
cipio opera solo nei confronti della parte che si è costituita, ne rimane esclusa quindi quella contumace.
Sistema inquisitorio
Alcuni ordinamenti optano per la concessione di una più ampia facoltà di iniziativa nell’avvalersi dei mezzi di prova
per il giudice. Pare un sistema più valido per quanto riguarda l’accertamento della veridicità dei fatti ma che trova il suo
tallone d’achille nella tendenziale perdita di imparzialità da parte del giudice.
La scelta del nostro ordinamento: “sistema dispositivo attenuato”
Nel nostro ordinamento pur essendo ordinariamente il giudice vincolato alle offerte di prova delle parti, non mancano
comunque casi in cui si deroga a questo principio, per questo si parla di “sistema dispositivo attenuato”. Secondo alcuni
un’attenuazione del sistema dispositivo può leggersi anche nel principio d’acquisizione delle prove, in base al quale la
prova assunta può essere utilizzata sia a favore che contro la parte che l’ha offerta. Ci sono comunque casi in cui si
deroga al 115 comma 1 che sono espressamente previsti dal legislatore.
1. Art, 115 comma 2 CPC (fatti notori)→ “il giudice può, tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della
decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”. Soluzione che, malgrado possa sembrare scontata,
segna una grossa svolta rispetto al sistema dispositivo puro che veniva rigidamente applicato in precedenza. Il giudice
può quindi sollevare le parti dall’onere della prova di fatti storici determinati sulla cui esistenza esiste pacificamente
un’oggettiva condivisione ed accettazione riferibile alla generalità indistinta dei consociati in un determinato contesto
sociale ed economico.
2. Art. 117, 118, 213 CPC→ il giudice può disporre d’ufficio l’interrogatorio libero delle parti, l’ispezione di persone o
cose e la richiesta di informazioni scritte alla PA. L’art. 116 comma 2 CPC dispone che dalle risposte delle parti in sede
di interrogatorio libero e dal loro comportamento il giudice può trarre argomenti di prova, da considerarsi comunque
una probatio inferior rispetto alle prove libere ed a quelle legali e mai autonomamente in grado di essere prova piena.
3. Poteri istruttori del giudice nell’ambito del processo del lavoro
4. Art. 281 ter CPC→ Il giudice ha il potere di disporre d’ufficio la prova testimoniale, quando le parti si siano riferite
a persone che appaiano in grado di conoscere la verità dei fatti di causa.
Principio della libera valutazione delle prove
“il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga diversamente”.
Questa disposizione sancisce il principio della libera valutazione delle prove da parte del giudice, esaltandone la discre-
zionalità visto il criterio del “prudente apprezzamento”, assoggettandola comunque ad un eventuale controllo nei pos-
sibili gradi ulteriori di giudizio visto l’obbligo di motivazione ai sensi dell’art. 111 Cost. Tale discrezionalità del giudice
non potrà in ogni caso mai dirsi illimitata in quanto sottoposta agli impliciti limiti come le massime di esperienza o le
leggi scientifiche. Emerge qui in ogni caso la contrapposizione tra:
A) Prove legali (“salvo che la legge disponga diversamente”)→ es. confessione, giuramento. Non sono sottoposte al
principio della libera valutazione.
B) Prove libere→ es. testimonianza. Sottoposte al principio della libera valutazione.

21. Impulso di parte e impulso d’ufficio. La funzione del P.M nell’ambito del
sistema ad impulso di parte
La contrapposizione tra sistema inquisitivo e sistema dispositivo a livello di prove potrebbe essere inserita in un contesto
più ampio e cioè in riferimento all’intero processo: in particolare il sistema inquisitivo potrebbe essere letto come un
momento particolare di un processo (o sistema processuale) caratterizzato in maniera generale dall’impulso d’ufficio e
il sistema dispositivo come momento particolare di un processo (o sistema processuale) caratterizzato in maniera gene-
rale dall’impulso di parte.
Nel nostro ordinamento la tecnica scelta è quella della disponibilità dell’oggetto del processo e quindi dell’impulso di
parte: questo tipo di situazione del resto è assolutamente necessaria in riferimento ai diritti sostanziali disponibili, nel
caso invece di diritti sostanziali indisponibili occorre in un certo senso adattare la loro particolare natura ad un sistema
comunque interamente basato sull’impulso o iniziativa di parte. Abbiamo quindi una situazione leggermente differente
per i diritti sostanziali disponibili e i diritti sostanziali indisponibili:
1. Diritti sostanziali disponibili→ sistema ad impulso di parte pieno.
2. Diritti sostanziali indisponibili→ viene prevista la figura del Pubblico Ministero, soggetto con poteri tecnicamente
analoghi a quelli che operano nel processo come parti e che sottrae ai soggetti titolari dei diritti sostanziali indisponibili
l’esclusiva su “come” ed eventualmente “se” far valere questi diritti in giudizio, si assiste quindi ad uno sganciamento
della proposizione della domanda giudiziale dalla titolarità del diritto sostanziale indisponibile. Chiaro in ogni caso è
che la ratio è di tutela degli interessi pubblici che sono connessi all’indisponibilità posseduta da quei diritti. Secondo
Allorio lo strumento del PM dal punto di vista della funzione può essere ricondotta alle finalità proprie di un processo
ad impulso d’ufficio, mentre dal punto di vista tecnico si inquadra invece interamente negli schemi del processo ad
impulso di parte.

22. Il principio del contraddittorio e il c.d diritto costituzionale alla difesa. La


domanda contro un soggetto già presente nel processo.
Art. 101 CPC comma 1 e il principio del contraddittorio
“Il giudice, salvo che la legge disponga altrimenti, non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale
è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa”. da questa disposizione generale che appunto troviamo
nel 1° libro del codice ricaviamo il giudice prima di entrare a valutare la domanda che è stata proposta davanti a lui
dovrà verificare che la parte contro cui la domanda è stata proposta sia stata regolarmente citato. Poi vedremo come
avviene questa regolare citazione del provvedimento, però è chiaro che dovrà essere attivato nei suoi confronti il con-
traddittorio e vedremo come l’atto introduttivo del processo, cioè la domanda giudiziale, dovrà essere portata a cono-
scenza del convenuto e lo strumento attraverso il quale nell’ambito del processo avviene questa, viene attuato questo
meccanismo di mettere a conoscenza il convenuto dell’esercizio della domanda giudiziale assume il nome di notifica-
zione dell’atto introduttivo del processo. La notificazione è appunto lo strumento tecnico con il quale l’atto introduttivo
del processo viene portato a conoscenza del convenuto. L’art 101 tuttavia contiene una piccola imprecisione perché se
noi lo prendiamo alla lettera ci dice” il convenuto deve essere regolarmente citato e comparire davanti al giudice”, così
recita. In realtà quello che è essenziale per l’instaurazione del contraddittorio nei confronti del convenuto è che il con-
venuto sia regolarmente citato, cioè quello che importa all’ordinamento è che il convenuto sia messo nelle condizioni
di esercitare la sua attività difensiva, cioè che sia regolarmente citato, che sia citato senza vizi. Una volta che sia stato
citato regolarmente poi è chiaro che è una sua garanzia, un suo diritto di partecipare al processo non è un obbligo quindi
può decidere anche di non comparire davanti al giudice, di non costituirsi in giudizio, quindi è una facoltà che nasce in
capo al convenuto una volta che abbia ricevuto la notificazione dell’atto di citazione, dell’atto introduttivo del processo,
una facoltà di difendersi in giudizio, può anche scegliere, quindi, sebbene appunto art 101 nella sua formulazione non
dica esattamente questo però appunto nella realtà il convenuto può anche scegliere di non costituirsi in giudizio, una
volta che sia stato regolarmente citato, di rimanere come si dice in termini tecnici, di rimanere contumace.
1. Chi è “la parte contro la quale la domanda è proposta”→ quella che è soggetto passivo del diritto sostanziale e cioè
quella che potenzialmente dovrà subire le conseguenze del richiesto provvedimento del giudice. Dunque la norma in
esame impone un’altra coincidenza soggettiva, a meno che il soggetto passivo non sia già presente al processo come
altro convenuto o come attore.
Ratio legis→ questa norma va collegata all’art. 24 Cost. che sancisce il diritto alla difesa, che potrebbe essere a sua volta
derivato del fondamentale principio secondo cui ognuna delle parti può influire attivamente e quindi far valere le proprie
ragioni nei confronti del giudice. Del resto il contraddittorio, che oggi trova anche riconoscimento costituzionale, è un
corollario necessario del diritto alla difesa: il soggetto per potersi difendere deve essere messo nelle condizioni di poterlo
fare.
2. “e non è comparsa”→ la comparizione del soggetto davanti al giudice è requisito sostitutivo della regolare citazione.
La citazione è infatti prodromica al diritto di difesa, ma nel momento in cui il soggetto mostra di trovarsi in una condi-
zione tale da poterlo esercitare ugualmente, viene meno la necessità della regolare citazione. Si dice quindi che la com-
parizione abbia un effetto sanante rispetto ai vizi della citazione.
Art. 101 comma 2 (questione rilevata d’ufficio)
“Se il giudice ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice riserva la deci-
sione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla
comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione”.
Ratio→ ogni pronuncia presuppone l’instaurazione di un contraddittorio. Il principio in esame è il cd “audiatur et altera
pars” (“si senta anche l’altra campana”).
Eccezioni
“salvo che la legge disponga diversamente”→ ci sono delle ragioni che il legislatore ha valutato come rilevanti, per le
quali il legislatore ha pensato di posticipare l'instaurazione del contraddittorio al momento successivo a una prima de-
cisione, non definitiva, ma ad una decisione provvisoria (perché se fosse definitiva saremmo in violazione delle norme
costituzionali). L’esempio è quello del procedimento ingiuntivo.

Capitolo 5: La situazione giuridica globale del


soggetto contro il quale è chiesta la tutela: Il
convenuto.
23. Particolarità del diritto alla tutela del convenuto. A) L’inerzia del conve-
nuto e sue conseguenze.
In questo capitolo si prende in esame la posizione del terzo, soggetto contro il quale la domanda è proposta e che deve
essere regolarmente citato, in ossequio alla regola del contraddittorio. Si parla di “convenuto” in quanto appunto tale
soggetto viene “chiamato” (e cioè quindi convenuto) dall’attore (colui che ricordiamo propone la domanda).
Malgrado l’ordinamento tenti in linea di massima di rendere simmetrica la situazione giuridica globale del convenuto
rispetto a quella dell’attore, è chiaro che trovi uno scoglio insormontabile in primis nella diversa funzione da essi svolta
e in secondo luogo nella differenza che sussiste tra i due per quanto concerne il momento di entrata nel processo: in altri
termini il convenuto quando entra nel processo si trova di fronte un oggetto già predeterminato. E’ chiaro poi in ogni
caso che qualora il convenuto volesse far valere alcuni dei suoi diritti diversi da quelli inseriti nell’oggetto del processo,
potrà sempre avviare un altro processo.
La contumacia
Rientra nell’autonomia del convenuto la possibilità di non partecipare attivamente al processo: si parla appunto di “Con-
tumacia”. La contumacia non impedisce al convenuto di essere “parte” del processo e soprattutto non crea conseguenze
sfavorevoli, almeno dirette, a differenza di quanto avveniva nel passato. Questo chiaramente è un discorso generale: in
alcuni casi infatti il legislatore prevede espressamente il contrario come all’art. 663 CPC dove si prevede che in caso di
mancata comparizione o di comparizione senza opposizione del conduttore il giudice convalida automaticamente lo
sfratto con ordinanza munita di formula esecutiva.

24. b) La partecipazione attiva del convenuto, nei limiti della domanda e


dell’oggetto del processo determinato dall’attore. La domanda di rigetto come
esercizio di un’azione di mero accertamento negativo
Nonostante quanto detto sopra, è chiaro che il più delle volte il convenuto non resterà inerte, ma assumerà delle concrete
iniziative difensive attraverso la proposizione di una sua propria domanda che non potrà però non riferirsi alla domanda
dell’attore. In particolare, il convenuto ha tre possibilità:
A) Può rimettersi al giudice→ situazione non frequente che dà luogo ad una situazione sostanzialmente non diversa da
quella che si ha in caso di inerzia del convenuto.
B) Può chiedere l’accoglimento della domanda dell’attore→ Ipotesi rara. In ogni caso va sottolineato come neppure in
caso di convergenza tra le parti, la pronuncia del giudice rispetto al provvedimento chiesto dall’attore sarà automatica.
E’ chiaro che l’adesione del convenuto può significare “accertamento dei fatti costitutivi” allegati dall’attore ma mai
anche automatico accoglimento della domanda proposta.
C) Può fare domanda di rigetto rispetto a quella dell’attore→ attraverso cioè un’azione di mero accertamento negativo
del diritto della sussistenza del diritto vantato dall’attore o in alternativa un’azione di mero accertamento positivo nel
caso in cui l’attore abbia domandato di accertare l’assenza di un diritto del convenuto.
Attività difensiva dell’attore
In caso di domanda di rigetto dell’attore, che è il più frequente, l’attore si adopererà per l’accoglimento della sua do-
manda di rigetto accompagnandola con lo svolgimento di un attività difensiva, la quale potrà riguardare (non necessa-
riamente in maniera alternativa):
A) Il diritto (cioè la volontà astratta di legge)→ in questo caso si dice che l’attività difensiva non influisce sull’oggetto
del giudizio e non tocca i poteri del giudice, visto il principio “jura novit Curia”. Chiaro però che in pratica tali sugge-
rimenti (interpretativi) possono avere efficacia persuasiva nei confronti del giudice. esempio: Attore che richiede risar-
cimento di danno ai sensi dell'art 2043 cc, risarcimento di danno extracontrattuale, l'attore sostiene che ci siano i fatti
costitutivi previsti dal 2043 cc quindi comportamento doloso o colposo del convenuto e ci sia stato un danno ingiusto e
che ci sia un nesso di causalità. Il convenuto si costituisce in giudizio e sostiene che nel caso di specie non si applichi il
2043, che non si tratti di ipotesi di responsabilità extracontrattuale, ma semmai di responsabilità contrattuale. Quindi
contrasta in diritto la domanda attorea.
B) Il fatto (cioè i fatti costitutivi)→ anche qui resta fermo il principio secondo cui non si incide sull’oggetto del giudizio.
Ma in alcuni casi l’attività difensiva sul fatto potrà invece incidere sui poteri del giudice, in particolare:
b1) Negazione dei fatti allegati dall’attore→ non vengono alterati i poteri del giudice.
b2) Offerte di prova al giudice→ in questo caso si incide sui poteri del giudice visto che nel formare il suo prudente
convincimento deve basarsi sulle prove indicate dalle parti, tanto le prove indicate dall'attore quanto quelle indicate dal
convenuto. Dopodichè sulla base dei risultati di queste prove si formerà il suo prudente convincimento, quindi in questo
caso sebbene il potere decisorio del giudice rimane delimitato dalla domanda attorea, all'interno di questa domanda
attorea il giudice dovrà tener conto tanto delle prove indicate dall'attore tanto delle prove indicate dal convenuto. Esem-
pio: domanda di risarcimento di danno per responsabilità extracontrattuale, l'attore ha indicato i fatti costitutivi indicati
dalla norma, art 2043, il convenuto porta delle prove per dimostrare o che il danno non si è verificato o che non si è
integrato un comportamento doloso o colposo, o che non c'è il nesso.

25. c) La partecipazione attiva del convenuto, nei limiti della domanda dell’at-
tore, ma oltre i limiti dell’oggetto del processo determinato dall’attore.
L’eccezione
Abbiamo visto come il convenuto possa negare i fatti costitutivi dell’attore e allegare prove in senso contrario ad essi,
quello che ci si domanda ora è se possa allegare fatti diversi e ulteriori rispetto a quelli allegati dall’attore. La risposta è
affermativa: il convenuto potrà allegare quei fatti con portata estintiva, modificativa e impeditiva rispetto al diritto alle-
gato dall’attore.
Categorie di fatti
1) Fatti costitutivi (+)→ sono quei fatti in presenza dei quali nasce il diritto, cioè astrattamente idonei a configurare quel
diritto (es. la conclusione di un contratto di locazione per la nascita dei diritti del conduttore). Sono quelli allegati
dall’attore nella domanda per essere chiari.
2) Fatti estintivi (-)→ sono quei fatti in presenza dei quali viene meno un diritto (quindi ad esempio nel caso in cui un
soggetto adempie l’obbligazione del contratto, il diritto della controparte si estingue. Quindi nel caso in cui Tizio chiama
Caio in processo perché gli deve una somma di denaro, Caio potrà eccepire l’avvenuto pagamento.)
3) Fatti impeditivi (-)→ sono quei fatti che appunto impediscono la nascita del diritto (si pensi ad esempio ad una
condizione sospensiva che non si è mai avverata all’interno di un contratto).
4) Fatti modificativi (- +)→ quei fatti che modificano il diritto allegato (ad esempio nel caso in cui sono debitore di una
certa somma che ho già versato parzialmente).
Che questa possibilità da parte del convenuto di allegare fatti ulteriori vi è, lo ricaviamo implicitamente dall’art. 2697
CC che pone l’onere della prova a carico di chi allega i fatti, contrapponendo quindi l’allegazione dei fatti costitutivi
del diritto dall’allegazione dei fatti che rendono inefficace (o modificano) lo stesso.
“Eccepire” ed Eccezioni
L’art. 2697 cc un nome all’allegazione di fatti modificativi, estintivi e impeditivi, utilizzando il termine “Eccepire”.
L’eccezione può essere però:
A) Eccezione di rito→ si fa valere un vizio processuale.
B) Eccezione di merito→ quelle che emergono dall’art. 2697 CC. Quest’ultima categoria si divide poi a sua volta in
eccezioni di merito in senso improprio, cioè quelle volte semplicemente a negare i fatti costitutivi ed eccezioni di merito
in senso proprio, in riferimento a quelle che sono finalizzate ad ottenere una pronuncia negativa sulla domanda altrui
attraverso l’allegazione di fatti impeditivi, costitutivi o modificativi. Quest’ultima categoria è di rilevanza assoluta visto
che allarga l’oggetto del processo in riferimento cioè ai fatti che il giudice può e deve conoscere: c’è un’attenuazione
rispetto alla cd. esclusività dell’attore alla determinazione dell’oggetto del processo.
Pronuncia d’ufficio del giudice su eccezioni
Nella seconda parte dell’art. 112 CPC viene detto che “il giudice non può pronunciare d’ufficio su eccezioni, che pos-
sono essere proposte soltanto dalle parti”. Da questa disposizione si ricava la distinzione tra:
A) Eccezioni rilevabili d’ufficio→ purchè si tratti di fatti che risultino dagli atti di causa e non controversi o contestati.
B) Eccezioni proponibili soltanto dalle parti→ Il convenuto non è quindi del tutto privo di “una zona di esclusiva”.
Questa categoria di eccezioni sono dette “eccezioni di merito in senso stretto”. Si tratta di quei fatti impeditivi, modifi-
cativi o estintivi che producono questi loro effetti non automaticamente e cioè quando tali fatti potrebbero essere anche
alternativamente posti a fondamento di un’azione autonoma. E’ quindi un diritto sicuramente paragonabile al diritto
d’azione, seppur, secondo Mandrioli, limitato al rigetto della domanda e marginale, in quanto basata semplicemente su
quei fatti impeditivi, costitutivi o modificativi appartenenti alla disponibilità di chi resiste alla domanda.
La cd. controeccezione
L’efficacia dei fatti impeditivi, costitutivi o modificativi può essere a sua volta impedita, estinta o modificata da altri
fatti, si parla allora di “controeccezione”, come ad esempio l’interruzione della prescrizione (che secondo la giurispru-
denza può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del processo).

26. d) La partecipazione attiva del convenuto oltre i limiti della domanda. La


domanda riconvenzionale. Quadro sintetico dei diritti alla tutela spettanti al
convenuto
Resta da vedere se il convenuto possa in un certo senso assumere anche il ruolo di attore, cioè non limitarsi a chiedere
il rigetto della domanda dell’attore ma proporre una sua autonoma domanda. La norma che ci viene in soccorso è l’art.
36 CPC “Il giudice competente per la causa principale conosce anche delle domande riconvenzionali che dipendono
dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione, purchè non
eccedano la sua competenza per materia o valore; altrimenti applica le disposizioni dei due articoli precedenti”. Se-
condo l’interpretazione data dalla dottrina dominante, la domanda riconvenzionale per essere ammissibile deve dipen-
dere dai fatti genericamente collegati con i fatti costitutivi della domanda principale o con i fatti impeditivi, estintivi o
modificativi già introdotti nella causa sotto forma di eccezioni senza che occorra una vera e propria comunanza di “causa
petendi”. La giurisprudenza alla nozione di domanda riconvenzionale ricollega anche la domanda di un convenuto nei
confronti di un altro convenuto. La domanda riconvenzionale nasce quindi dal fatto che il convenuto potrebbe avere
l’esigenza per ragioni di economia processuale a formulare contemporaneamente all’interno del medesimo processo sia
l’eccezione sia la domanda ricompensale. L’esempio dell’eccezione di compensazione è chiarificatore serve per neutra-
lizzare la domanda poi però può avanzare domanda riconvenzionale in più per quanto del suo contro credito sopravanzi
il credito valutato dall’attore nella sua domanda.

26-Bis La notificazione
Chiaramente l’atto introduttivo del processo deve essere portato a conoscenza della controparte e in particolare della
parte processuale (cioè ricordiamo di colui che può validamente compiere atti processuali) in ossequio al principio del
rispetto del contraddittorio. Lo strumento è appunto quello della notificazione. Ai sensi dell’art. 137 CPC la notifica-
zione quando non disposto diversamente è eseguita dall’ufficiale giudiziario su istanza di parte o su richiesta del PM o
del cancelliere. Dobbiamo innanzitutto chiederci, quale ufficiale giudiziario sia competente a ricevere la notificazione,
ebbene vi è una competenza concorrente: sarà competente sia l’ufficiale giudiziario che presta servizio nel luogo ove
quella causa sarà svolta sia quello (in questo caso solo per posta), sia quello del luogo in cui la notificazione dovrà essere
perfezionata. Il problema dell’ufficiale giudiziario incompetente è molto discusso, secondo alcuni si tratterebbe di una
nullità relativa e pertanto sanabile (Carratta), secondo la Cassazione del 2018 addirittura non sussisterebbe neanche un
vizio in senso proprio.
La l. 53/1994 consente all’avvocato, munito di procura ad litem, di eseguire la notificazione degli atti in materia civile
amministrativa e stragiudiziale a mezzo del servizio postale (o PEC), chiaramente senza limiti territoriali a questa potestà
notificatoria.
Quanti atti
Servirà un atto detto “originale” che resterà presso il notificante e tanti atti quanti saranno i notificati: in caso di diver-
genza faranno fede gli atti spediti e non il cd (forse impropriamente) “originale”. Questo in ossequio al principio del
contraddittorio.
I termini
- Vale il momento in cui vi è atto di consegna per quanto riguarda il rispetto di termini per il notificante.
- Vale il momento di perfezionamento per quanto riguarda tutti gli altri effetti, in particolare quelli sul notificato.
Modalità di notificazione
A) Notificazione per posta→ regolata in una legge speciale.
A1) Se l’atto viene consegnato al destinatario o comunque al suo domicilio o in uno dei posti in cui può essere ricevuto
l’atto, la notificazione si considera effettuata dal momento in cui l’atto è consegnato.
A2) Se l’atto invece non è consegnato viene lasciato in giacenza presso l’ufficio postale e il destinatario viene avvisato
con una raccomandata. La notificazione si considera perfezionata col ritiro dell’atto o passati 10 giorni di giacenza
presso l’ufficio postale.
B) Notificazione a mani proprie→ Art. 138 CPC.
Quella che viene preferita dal legislatore visto che assicura il maggior grado di certezza previsto dall’ordinamento. In
sintesi l’ufficiale giudiziario certifica di aver consegnato brevi manu al destinatario direttamente, ovunque egli si trovi
all’interno della circoscrizione di competenza, l’atto. La notificazione vale anche laddove il destinatario si rifiuti di
ricevere l’atto.
C) Notificazione alla residenza o al domicilio→ Art. 139 CPC.
Al primo comma si vede come il legislatore preferisca la notificazione a mani proprie che è differente da questa perché
si concretizza attraverso quella che è una vera ricerca del notificante. Quindi laddove non sia possibile eseguire la noti-
ficazione ai sensi dell’art. 138 CPC, questa si può effettuare nel luogo dove il destinatario ha l’abitazione, l’ufficio o
esercita l’industria o il commercio. L’articolo 139 presenta quindi una serie di finzioni nelle quali l’atto consegnato a
soggetti diversi dal notificante producono comunque il perfezionamento legale della fattispecie, se infatti l’ufficiale
giudiziario non trova in quei luoghi elencati il destinatario vi sono diverse alternative, in ordine di preferibilità:
- Consegna a membro della famiglia (da intendersi in senso ampio), addetto o dipendente dell’impresa se trovati.
- Consegna al portiere o ad un vicino di casa se accetta
- Se infine non è possibile seguire nessuna delle modalità (cd. irreperibilità temporanea) sopra descritte l’art. 140
CPC impone di affiggere un avviso sulla porta dell’ufficio o della abitazione, portando l’atto alla segreteria del
Comune e mandando una raccomandata al destinatario avvertendolo del fatto che l’atto è depositato presso il
comune e li può ritirarlo. La notifica si perfeziona con il ricevimento della raccomandata o eventualmente decorsi
dieci giorni dalla spedizione.
D) Notificazione all’estero
i) L’ufficiale giudiziario si rivolge direttamente al suo collega all’estero che provvede alla notificazione (tra stati che
appartengono all’UE)
ii) Si applica altra convenzione presente fra l’Italia e lo Stato del caso se presente
iii) Si applica l’art. 142 CPC che però è molto poco garantista perché prevede una serie di attività che non assicurano la
ricezione: si cerca di salvaguardare almeno il diritto di azione. Chiaramente questa norma ha portata residuale e grava
sul notificante l’onere di dimostrare che non avrebbe potuto agire diversamente (Si prevede spedizione al destinatario
per mezzo della posta e consegna di altro atto al PM che lo trasmette al Min. degli affari esteri).
E) Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti→ Art. 143 CPC
Anche qui come per l’art. 142 CPC si fa prevalere il diritto di azione rispetto a quello di difesa visto che le modalità
descritte non assicurano assolutamente che il destinatario venga a conoscenza dell’atto. A differenza dell’art. 140 CPC
(Irreperibilità temporanea), qui si parla di irreperibilità oggettiva e non temporanea.
F) Notificazione per PEC→ possibilità subordinata alla presenza di un indirizzo di posta elettronica certificata dal pub-
blico registro da parte del destinatario.
Nullità e sanatoria
L’art. 160 CPC disciplina la nullità della notificazione dando rilevanza ad alcuni elementi come la persona cui deve
essere consegnata la copia, all’incertezza assoluta sulla persona cui è fatta e alla data. Si tratta di un vizio sanabile,
dunque il processo non deve chiudersi automaticamente con una pronuncia di rito. La sanatoria è possibile attraverso la
rinnovazione:
- Gli atti compiuti in ogni caso non divengono automaticamente efficaci (lo divengono se il convenuto li ratifica)
- Circa gli effetti della domanda invece c’è retroattività (ad esempio se la domanda andava proposta entro il 5 Febbraio
2020 e viene proposta attraverso notificazione invalida il 2 Febbraio che viene sanata l’8 Febbraio, la domanda
continua ad essere valida perché è come se si fosse proposta il 5).
Qualcuno in dottrina ha provato ad introdurre la categoria dell’inesistenza, che sussisterebbe laddove la notificazione
fosse effettuata a persona e luogo privi di qualsiasi relazione col notificato: in questo caso la sanatoria non sarebbe
possibile. Secondo la Cassazione del 2016 gli elementi essenziali a rendere possibile parlare di notificazione sarebbero
però la trasmissione dell’atto ad opera di un soggetto abilitato e la consegna dello stesso in uno dei modi previsti dall’or-
dinamento: fuori da questi casi, tutti gli altri vizi integrando la cd. nullità.
Esempio: Se l’atto è trasmesso da un commercialista c’è inesistenza.

Cap. 6: L’individuazione dell’oggetto del pro-


cesso: identità delle azioni e limiti della cosa
giudicata connessione e concorso di azioni
27. Le ragioni pratiche dell’individuazione dell’oggetto del processo attra-
verso l’identificazione delle azioni: il giudicato e i suoi limiti soggettivi e og-
gettivi, la litispendenza, il divieto di domande nuove in appello
Il singolo processo individuato nel suo oggetto sostanziale viene indicato col termine “causa”. Quindi per individuare
la causa occorre individuare l’azione che l’ha introdotta: per questo il processo di individuazione di una causa o di un
processo prende il nome di “Identificazione dell’azione”.
Perché è importante individuare il processo?
1. Principio del ne bis in idem→ ricordiamo che ai sensi dell’art. 2909 la sentenza passata in giudicato “fa stato ad ogni
effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”, per questo occorre domandarsi se l’azione sia la stessa, vista cioè la
necessità di impedire che il giudice si pronunci nuovamente (o altro giudice lo faccia) su una sentenza sulla quale già
c’è stato il giudicato. Nel caso in cui la domanda sia la stessa il giudice emetterà quindi quella che secondo la dottrina
dominante è una sentenza di rito che stabilisce “poiché il diritto, oggetto del presente processo, ha già avuto la sua
regolamentazione giurisdizionale in virtù della precedente sentenza, è inutile emettere un’altra sentenza, è sufficiente
quella precedentemente emessa. Si dice appunto che il principio del ne bis in idem integri i cd. effetti negativi del
giudicato (negativi nel senso che negano il potere del giudice). Questi effetti negativi del giudicato si contrappongono
agli effetti positivi del giudicato che vi sono laddove la precedente pronuncia orienta il contenuto della seconda: in
questi casi l’oggetto è diverso, ma la seconda sentenza è in un certo senso orientata dal precedente giudicato, si pensi ai
casi pregiudizialità logica.
2. La litispendenza→ lo stesso principio si applica al caso in cui la sentenza non sia ancora passata in giudicato, cioè sia
ancora pendente: il giudice dovrà dare atto della litispendenza in modo tale cioè da evitare ogni rischio circa il contrasto
tra giudicati. Coerentemente il legislatore vieta del resto la proposizione di domande nuove sia nel corso del giudizio di
primo grado e sia in appello.
Contrasto tra sentenze
A) Contrasto teorico→ si verifica quando le due sentenze hanno ad oggetto situazioni sostanziali diverse connesse tra
loro per pregiudizialità-dipendenza oppure perché dipendono dallo stesso rapporto giuridico in modo tale da rendere
applicabili i cd. effetti positivi che però per qualche motivo non si producono. L’esempio è quello di una sentenza che
dichiara che Tizio ha diritto al capitale ed una che esclude che Tizio abbia diritto agli interessi perché non ha diritto al
capitale. In questo caso occorre semplicemente prendere atto del fatto che i meccanismi coordinatori non hanno funzio-
nato e accettare il risultato, quindi in questo caso Tizio prenderà il capitale e lascerà gli interessi.
B) Contrasto pratico→ si verifica quando le due sentenze hanno ad oggetto la stessa situazione sostanziale. In questo
caso accade cioè che quando vi è attuazione delle due sentenze contrastanti da un punto di vista pratico ad opera della
forza pubblica si produce una zuffa tra gli agenti incaricati dell’attuazione. Oppure ancora: una sentenza afferma che
Tizio è figlio di Caio ed una che non lo è. La situazione si risolve in base alla regola secondo la quale la sentenza
successiva laddove non impugnabile o in concreto non impugnata, prevale sulla precedente a meno che non si utilizzi
lo strumento della revocazione ai sensi dell’art. 395 CPC n.5.
Sentenze di rito: vincolanti fuori dal processo?
La risposta non è univoca:
A) Secondo la dottrina dominante le sentenze di rito non sono mai vincolanti e cioè valgono solo come giudicato esterno
ai sensi dell’art. 310 comma 2 CPC che stabilisce che l’estinzione del processo rende inefficaci gli atti compiuti escluse
le sentenze di merito, dunque a contrario si ricaverebbe che le sentenze di rito non abbiano efficacia al di fuori del
processo. A questa regola farebbero eccezione le sentenze della Cassazione in tema di competenza e giurisdizione.
B) Secondo Luiso occorre distinguere tra sentenze di rito definitive e non definitive. In particolare le sentenze di rito
definitive chiuderebbero il processo senza la possibilità di parlare di estinzione e dunque sarebbe scontato che l’art. 310
si riferisca solo a quelle sentenze di rito non definitive che appunto non chiudono il processo e accerta semplicemente
che quel processo “abbia le carte in regola”. Quindi Luiso da questo ne deduce che le sentenze di rito definitive finiscono
per avere efficacia extraprocessuale. Anche perché se negassimo questo tipo di principio la stessa domanda potrebbe
essere proposta all’infinito, oltre al rischio di produrre assurdi contrasti tra sentenze di rito.

28. Gli elementi individuatori delle azioni. A) Gli elementi soggettivi e i limiti
soggettivi del giudicato
Vediamo ora come si compie questa operazione di identificazione delle azioni. La regola generale vuole che affinchè vi
sia identità tra due azioni, devono essere identici tutti i loro elementi sia oggettivi che soggettivi. Voglio sapere qual è
l’ambito oggettivo e soggettivo entro il quale questo fenomeno, l’incontrovertibilità, produce direttamente gli effetti.
Gli elementi soggettivi sono i soggetti dell’azione cioè il soggetto attivo e il soggetto passivo che si individuano in
relazione al diritto sostanziale affermato. Nei casi in cui la legge consente di far valere diritti altrui in nome altrui
(rappresentanza) o in nome proprio (sostituzione processuale) si deve avere riguardo al soggetto che è affermato titolare
attivo o passivo del rapporto sostanziale.
Il problema dei limiti soggettivi del giudicato
L’art. 2909 CC è ancora una volta fondamentale, ma in questo caso nella parte in cui dice che la sentenza passata in
giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa. Gli eredi di cui parla il 2909 sono quei soggetti
che, a titolo universale subentrano nella situazione giuridica oggetto di accertamento da parte della sentenza passata in
giudicato e vi subentrano dopo che si è formato il giudicato. Non prende in considerazione l’art 2909 cc, l’ipotesi (che
vedremo in un secondo momento) in cui questo fenomeno (morte del de cuius e subentro dell’erede) dovesse accadere
quando il processo è in corso e cioè ancora non si è formato il giudicato. In termini generali, la categoria degli aventi
causa invece riguarda tutti coloro che a titolo particolare, per atto mortis causa o per atto tra vivi, subentrano nel diritto
E’ questa disposizione che in ogni caso inquadra il tema dei limiti soggettivi del giudicato e che ci permette di trarre
una serie di conclusioni:
1. La sentenza vale rispetto a tutti ma come sentenza tra le parti
2. Per “parti” si intendono anche le cd. parti sostanziali. Quindi, anche qui, mentre il giudicato processuale riguarda
anche la parte processuale, e quindi per lei si produrrà il solo giudicato processuale, il giudicato sostanziale va a prodursi
nella sfera giuridica del soggetto al quale appartiene il diritto oggetto del processo
3. In alcuni casi il giudicato si estende anche a soggetti che non furono parti e cioè nei casi di più soggetti legittimati ad
esperire un’azione che può essere però esercitata una sola volta (es. impugnazione delibera assembleare), i casi che si
trovano in rapporto di pregiudizialità-dipendenza rispetto al rapporto tra le parti, nei casi espressamente previsti dalla
legge.

29. Segue. B) Gli elementi oggettivi dell’azione: a) il “petitum”; b) la “causa


petendi”. I limiti oggettivi del giudicato
Gli elementi oggettivi dell’azione sono due: l’oggetto e il titolo.
Oggetto (o Petitum)
L’oggetto è ciò che si chiede con la domanda, in particolare si dividerà tra:
A) Oggetto immediato→ cioè il provvedimento chiesto al giudice. In particolare, in caso di cambiamento anche solo
dell’oggetto immediato l’azione non potrà più dirsi la stessa: l’esempio è dato dalla possibilità che ha l’attore di chiedere
la consegna di una certa cosa (azione esecutiva) dopo un eventuale sentenza di accertamento mero rispetto ad un azione
che coinciderà per tutti gli altri elementi oggettivi e soggettivi.
B) Oggetto mediato→ rivolto al soggetto passivo, si chiede non un provvedimento ma un “bene della vita”.
Chiaro che oggetto mediato ed immediato devono coincidere.
Titolo (o Causa petendi)
Il bene della vita richiesto attraverso l’oggetto mediato presuppone un diritto sostanziale, questo è appunto il titolo o
“causa petendi”, cioè appunto “ragione del domandare”. Titolo e oggetto mediato rappresentano quindi le due angola-
zioni del diritto sostanziale richiesto che viene in rilievo come entità concreta. Poiché però il mutamento della qualifi-
cazione giuridica in base al principio “jura novit Curia” può avvenire ad iniziativa del giudice, non ci sarà la possibilità
di esercitare una nuova azione per un medesimo fatto costitutivo, modificando semplicemente la qualificazione (se
l’azione precedente è già stata esercitata). Dunque la causa petendi (o titolo) in realtà, aderendo alla teoria della “So-
stanziazione” si limita ai cd fatti costitutivi (in ogni caso la dottrina qui non è concorde).
Il fatto costitutivo non sempre è sufficiente ad indicare la causa petendi, ma lo è solo nei casi in cui la tutela giurisdizio-
nale prescinde dalla violazione o in quelli in cui il diritto che si identifica col fatto costitutivo: in generale sarà necessario
oltre al fatto costitutivo anche il fatto lesivo affermato.
Dedotto e deducibile
Il giudicato copre sia il dedotto che il deducibile. Per stabilire il dedotto è facile, essendo quello che le parti hanno
chiesto, il problema di questa regola si pone quindi per il deducibile: il giudicato non riguarda solo i fatti costitutivi che
ha dedotto ma anche quelli che avrebbe potuto dedurre e non ha dedotto in concreto. Quindi questi fatti pur non dedotti
in giudizio non possono essere utilizzati come fatti costitutivi per esercitare una nuova domanda, una nuova azione.
Secondo parte della dottrina, il deducibile andrebbe considerato in senso soggettivo: bisogna cioè precludere la possibi-
lità di allegare fatti nuovi tra quelli che il soggetto era nella condizione di allegare nel momento in cui avrebbe dovuto
(Luiso sposa questa tesi minoritaria). Chiaro in ogni caso che per potersi parlare di dedotto e deducibile ci deve essere
un secondo processo nel quale la prima sentenza comunque ha effetto. In ogni caso qualora la preclusione del dedotto e
del deducibile in caso di fattispecie complessa scatta soltanto se questa nel momento della precisazione delle conclusioni
si è perfezionata.
Esempio: Ammettiamo ci sia una domanda di risarcimento di danni da responsabilità extracontrattuale. Abbiamo l’art
2043 c.c. che ci indica quali sono i fatti costitutivi: • danno • comportamento doloso o colposo • nesso eziologico.
Per trovare accoglimento l’azione fondata sulla responsabilità extracontrattuale deve allegare in giudizio questi tre fatti
costitutivi e poi dimostrarli. Ammettiamo ora che nel formulare la sua domanda giudiziale l’attore abbia legato in giu-
dizio il comportamento doloso o colposo del convenuto e il danno che questo comportamento ha dedotto, non ha allegato
e dimostrato il nesso eziologico. Non ha dedotto un fatto che era deducibile. Abbiamo la sentenza, questa accerta che la
domanda è da rigettare, non c’è responsabilità perché manca il nesso eziologico che l’attore avrebbe dovuto dedurre ma
non ha dedotto. Se ci trovassimo nei panni dell’attore potremmo pensare di esercitare una nuova azione in modo da
recuperare quell’errore? No. Perché in applicazione della regola per cui il giudicato (tanto quello di accoglimento quanto
quello di rigetto) copre il dedotto e il deducibile. Per cui l’attore che ha errato nella formulazione della sua azione deve
sapere che si è preclusa la possibilità di far valere quel fatto costitutivo con una nuova azione. Il giudicato quindi si
formerà per tutti i possibili fatti costitutivi che l’attore avrebbe potuto dedurre in giudizio. Sempre con riferimento a
questa regola si pone il problema ulteriore laddove dovessimo avere diritti che in realtà sono suscettibili di essere fatti
valere sulla base di fatti costitutivi diversi. In questo caso l’applicazione della regola per cui il giudicato copre il dedotto
e il deducibile vale a coprire tutti i possibili fatti costitutivi di quel diritto? Questo discorso riguarda in particolare i
diritti assoluti.
A) Diritto assoluto per eccellenza è il diritto di proprietà. Quali sono i fatti costitutivi di questo diritto? Il codice civile
li elenca, alcuni a titolo originario come l’usucapione o l’occupazione, altri a titolo derivativo come il contratto di com-
pravendita. Ognuno di questi fatti costitutivi richiamati dal codice civile genera il diritto di proprietà. Se vado in giudizio
per chiedere l’accertamento di proprietà su un determinato bene posso addurre a fatto costitutivo del mio diritto di
proprietà uno di questi fatti. Ora che io adduca al mio diritto di proprietà l’usucapione o il contatto di compravendita
cambia qualcosa nei termini del mio diritto? Il mio diritto di proprietà ha un contenuto diverso a seconda che derivi da
usucapione o da contratto? Sempre l’art 832 c.c. si apre, il proprietario ha sempre quelle prerogative, non cambia in
alcun modo il contenuto del diritto. Si dice quando si verifica una situazione così, con riferimento ai diritti assoluti, che
sono diritti autodeterminati perché è sufficiente individuare la natura del diritto per determinarne l’ambito, quale che sia
il fatto costitutivo. Si autodeterminano nel senso che la natura del diritto è sempre la stessa.
B) Se confrontiamo questa situazione con un diritto relativo, ad esempio un diritto di credito, diritto a pagamento di una
somma di denaro, questo cambia notevolmente a seconda che derivi da un contratto di mutuo, a seconda che derivi da
responsabilità extracontrattuale, da contratto di compravendita, da locazione. In questi casi indicare il fatto costitutivo
è determinante. L’applicazione della regola per cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile, circa i diritti relativi, fa
riferimento esclusivamente a quei fatti costitutivi legati al particolare diritto relativo che l’attore ha chiesto. Con riferi-
mento ai diritti assoluti, applicando la regola, possiamo dire che il giudicato estende i suoi effetti a tutti i possibili effetti
costitutivi del diritto. Esempio: è stata esercitata la domanda giudiziale per ottenere l’accertamento del diritto di pro-
prietà, se la domanda è accolta viene riconosciuto come proprietario di quel bene. Ma se la domanda è stata esercitata
perché l’attore ha sostenuto come fatto costitutivo un contratto di compravendita e quella domanda viene rigettata, può
agire nuovamente allegando come fatto costitutivo l’usucapione?
• Se rispondiamo no, diciamo che la regola per cui il giudicato che copre il dedotto e il deducibile in caso di diritti
autodeterminati si estende a tutti i possibili fatti costituivi.
• Se rispondiamo si, diciamo che la regola si applica solo al singolo fatto costitutivo dedotto.
L’opinione prevalente è che nei casi di diritti assoluti l’applicazione della regola porta a sostenere che il giudicato copre
tutti i possibili fatti costitutivi. Se vedo respingere quindi la mia domanda di accertamento di proprietà perché il contratto
di compravendita è nullo io devo sapere che non potrò più chiedere l’accertamento di proprietà per usucapione. Si ritiene
che nel corso del processo l’attore che dedotto in giudizio l’accertamento di un diritto di proprietà può allegare tutti i
possibili fatti costitutivi, tutti quelli che la norma del codice civile indica come “fatti acquisitivi del diritto di proprietà”.
Se l’attore non lo fa deve sapere che la conseguenza è che il giudicato, qui di rigetto, che si formerà si estenderà a tutti
i possibili fatti costitutivi.
C) Per quanto riguarda i diritti alla modificazione giuridica, qui la situazione è intermedia: abbiamo la stessa modifica-
zione giuridica che può essere causata da una serie di fatti genetici (es. annullamento del contratto che può arrivare per
dolo, errore o violenza) ma abbiamo per ognuno di questi “fatti genetici” una categoria indefinita di fatti ugualmente
costitutivi (es. la violenza può essere causata in tanti modi diversi).
A conclusione di questo discorso ricordiamo che ciò che passa in giudicato è la concreta decisione alla domanda propo-
sta, quale emerge dal dispositivo della sentenza nel suo riferimento al petitum e alla causa petendi e non le affermazioni
estranee alla logica della motivazione, i cd. obiter dicta.

30. Connessione, cumulo e concorso di azioni


Due azioni per dirsi identiche devono coincidere pienamente sia sul piano degli elementi soggettivi che rispetto a quelli
oggettivi. Tuttavia in alcuni casi la coincidenza di solo alcuni di questi elementi interessa l’ordinamento sotto il piano
dell’opportunità che le due azioni siano trattate ed esaminate insieme, cioè nello stesso processo.
Connessione soggettiva
Laddove vi è una coincidenza in termini soggettivi tra due azioni, si può verificare un fenomeno di cumulo oggettivo
legato alla cd. connessione soggettiva tra azioni diverse, cioè nel caso in cui un soggetto abbia più azioni da far contro
un altro. Si tratta in ogni caso di una semplice facoltà prevista dall’art. 104 CPC che impone comunque il limite della
competenza del giudice. Il giudice in ogni caso può sempre disporre la separazione delle due cause ai sensi dell’art. 103
comma 2.
Connessione oggettiva
Previsto dall’art. 103 CPC comma 1 che dà luogo alla possibilità che in caso di coincidenza di uno o più elementi
oggettivi si cumulino anche gli elementi soggettivi: c’è una deroga ai principi della competenza territoriale del giudice.
Connessione impropria
Quando è in comune la necessità di risolvere identiche questioni: es. posizione di più lavoratori che si trovano nella
stessa posizione in ordine all’ipotesi interpretativa di una certa norma (questione di diritto) ma anche più soggetti che
hanno concluso contratti su moduli identici (questione di fatto).
Figure particolari di connessione oggettiva
Accessorietà (la decisione di un’azione dipende dalla decisione di un’altra), pregiudizialità (questioni la cui decisione
influenza la decisione sulla questione principale), garanzia (cioè laddove un soggetto il garante si impegna a coprirne
un altro il garantito dalle eventuali conseguenze sfavorevoli della sentenza).
In tutti questi casi il cumulo oggettivo potrà aversi all’inizio del processo o anche in itinere su richiesta del giudice o
attraverso l’intervento.
Concorso di azioni
Quando un’azione consegue il risultato pratico di un’altra, con la conseguenza che la seconda diviene priva dell’interesse
ad agire, cioè in caso di stesso diritto potestativo assegnato a soggetti diversi (es. azione di interdizione che spetta a tanti
soggetti) oppure in caso di identità dei soggetti e dell’oggetto ma non del titolo (es. una volta che tizio ottiene la resti-
tuzione della casa con un actio ex commodatu, non ha più interesse ad agire ex locatu).
Cumulo
A) Alternativo→ Nel caso in cui due azioni vengano proposte nello stesso processo si verifica appunto il fenomeno del
cumulo alternativo di azioni o di domande.
B) Condizionale→ Quando due domande sono inserite nello stesso processo a condizione che una delle due sia previa-
mente accolta o respinta, in questo caso la pronuncia del giudice sulla domanda condizionata, non presuppone necessa-
riamente il passaggio in giudicato della domanda condizionante. Si ritiene inoltre che il convenuto possa trasformare la
domanda condizionata in domanda incondizionata per cautelarsi rispetto all’eventuale riproposizione in autonomo della
stessa domanda.

30-Bis. Limiti temporali del giudicato


Dopo aver visto in relazione a che cosa e a chi si forma il giudicato occorre chiederci fino a quando esso dura. Per farlo
dobbiamo separare la questione attinente alla quaestio facti da quella della quaestio iuris.
1. Quaestio facti
Attiene alla realtà storica rilevante per la decisione. Il momento determinante è dato dall’udienza di precisazione delle
conclusioni che costituisce quella che potrebbe essere definita come la “cerniera” tra la fase di trattazione-istruzione e
la fase di decisione: dall’udienza di precisazione delle conclusioni non sarà più possibile allegare fatti nuovi, da questo
momento si concretizza la cd. divaricazione tra realtà effettiva e realtà rilevante per la decisione. Il momento della
precisazione delle conclusioni è determinante anche per quanto concerne ovviamente la preclusione del dedotto e del
deducibile (vedi paragrafo 29): fatti che sarebbero potuti essere allegati e che non lo sono stati non sono più utilizzabili
dalle parti.
Come incide la sopravvenienza di fatti dopo la sentenza?
A) Sentenze che dichiarano che si è prodotto un effetto giuridico→ Il giudice in questo caso ha necessariamente esami-
nato l’intera fattispecie e che non vi siano fatti che lo abbiano estinto. In questo caso i fatti che possono modificare la
sentenza sono i fatti estintivi o modificativi (non quelli impeditivi perché sono coevi a quelli costitutivi) oppure, ma
questa è un’ipotesi particolare, in tutti i casi in cui la sentenza del giudice si basa su una sua previsione futura (cioè la
fattispecie costitutiva del diritto fatto valere si proietta nel futuro), un discostamento tra la proiezione e la realtà effettiva.
Ricapitolando:
- Fatti modificativi o estintivi (Es. il contratto si estingue per via di una causa risolutiva) o eventualmente divaricamento
tra evoluzione realtà effettiva ed evoluzione prevista dal giudice (es. Tizio avrebbe diritto al risarcimento dei danni per
un’invalidità, il danno continua dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni ma svanisce successivamente)
B) Sentenze che dichiarano che non si è prodotto un effetto giuridico→ In questo caso non si conosce ex ante la portata
precettiva della sentenza perché bisogna capire quale sia stato il motivo del rigetto. Allora il procedimento logico è il
seguente: capire il motivo per il quale il giudice ha dichiarato inesistente il diritto e il fatto sopravvenuto idoneo a
conseguire la riapertura del discorso sarà quello integrativo dell’elemento di fattispecie che il giudice ha considerato
carente. La portata precettiva della sentenza che dichiara che non si è prodotto un certo effetto giuridico è quindi molto
variabile e in alcuni casi chiuderà anche il discorso una volta per tutte (es. fatti estintivi in caso di diritto di credito),
altre volte invece sarà possibile una riapertura (es. mancata produzione effetto del licenziamento perché non si sono
seguite le corrette procedure).
2. Quaestio Iuris
Se in riferimento alla Quaestio facti l’ultimo momento per l’allegazione è l’udienza di precisazione delle conclusioni,
nella Quaestio iuris l’ultimo momento utile per applicare il mutamento normativo è la pubblicazione della sentenza,
cioè il momento in cui il giudice si spoglia del potere giurisdizionale. Nel caso in cui vi sia un mutamento normativo
prima della pubblicazione della sentenza ma già in fase decisoria:
A) Mutamento normativo prende in considerazioni fatti diversi rispetto a quelli rilevanti per l’applicazione della norma
previgente→ Si torna alla fase di istruttoria per consentire l’allegazione di fatti.
B) Mutamento normativo non prende in considerazione fatti diversi rispetto a quelli rilevanti per l’applicazione della
norma→ Non si retrocede in istruttoria ma è sufficiente che il giudice solleciti il contraddittorio.
Rapporto Ius superveniens e giudicato
A) Ius superveniens irretroattivo→ La nuova norma non retroattiva mai entra in conflitto con la sentenza.
B) Ius superveniens retroattivo (comprese le sentenze della Corte Costituzionale)→ La nuova norma retroattiva entra in
conflitto con la sentenza in riferimento agli effetti giuridici correlati ad un interesse permanente, cioè laddove questo si
realizzi in un arco temporale durevole, laddove durante questo arco temporale intervenga la norma sopravvenuta re-
troattiva.

Cap 7: Il giudice, i suoi ausiliari e gli uffici com-


plementari
31. Introduzione
Il giudice è colui che è chiamato a esercitare la funzione giurisdizionale. Ora, con riferimento al giudice, dove abbiamo
già visto che per correttamente instaurare il processo è necessario che sussistano i due presupposti di procedibilità della
domanda, giurisdizione e competenza. In particolare, di questi ultimi due presupposti dovremo ora occuparci più appro-
fonditamente. Dobbiamo ora andare a vedere come il nostro c.p.c. regola questi due profili: quello che può verificarsi
rispetto a una determinata controversia, una determinata causa che è stata instaurata, un determinato processo. Potrebbe
emergere un vizio di natura processuale che attiene o alla giurisdizione o alla competenza: allora si tratta di comprendere
quand’è che possano emergere questi vizi. In primo luogo, occorre parlare della giurisdizione, perché ci serve per capire
le regole, per comprendere quand’è che possiamo affermare che il giudice civile italiano è stato correttamente investito
di una determinata controversia, quindi è stato correttamente attivato. Ora, parlando della giurisdizione, la prima norma
del codice dalla quale dobbiamo partire è proprio l'art. 1 c.p.c. Andando a vederlo dice che la giurisdizione civile,
salvo specifiche disposizioni di legge, è esercitata dai giudici ordinari secondo le norme del presente codice. Quali
sono le indicazioni che ci da qui il legislatore? Innanzitutto, come si può notare, dice la giurisdizione civile è esercitata
normalmente dai giudici ordinari. Perché parla di giudici ordinari? E che cosa vuol dire giudice ordinario? E’ una no-
zione tecnica quella di giudice ordinario e la nozione tecnica sta nel fatto che da questa disposizione noi ricaviamo che,
salvo casi eccezionali, la giurisdizione civile (intendendo per giurisdizione civile ovviamente una sfera di diritti sogget-
tivi, diritti potestativi e status, perché quello è l'ambito), nel nostro ordinamento salvo casi eccezionali che vedremo, è
esercitata solo dai giudici ordinari. Quali sono nel nostro ordinamento i giudici ordinari? Ce lo dice in realtà l'art. 102
della Costituzione: l'art. 102 primo comma, nel parlare della giurisdizione e anche qui in termini generali, dice la
funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giu-
diziario, è qui la definizione. I magistrati ordinari o giudici ordinari nel nostro ordinamento sono quei soggetti il cui
status è regolato dalle norme sull'ordinamento giudiziario. Le norme dell'ordinamento giudiziario sono il corpus norma-
tivo contenuto nel regio decreto N. 12 del '41.
Un criterio d’ordine generale è quello della cd. “perpetuatio jurisdictionis” dettato dall’art. 5 CPC e cioè: la giurisdizione
e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposi-
zione della domanda, restando senza conseguenze gli eventuali mutamenti successivi di diritto o di fatto. Da notare che
precedentemente (cioè prima del 1990) il testo si riferiva solo ai mutamenti dello stato di fatto.

32. Giudici Speciali


Quindi, la prima indicazione che ci dà l'art. 1 è che la giurisdizione civile è normalmente esercitata dai magistrati ordi-
nari. I magistrati ordinari sono quelli istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario. Però, l'art. 1 ci dice
anche un'altra cosa, nell’inciso in cui dice “salvo che la legge non disponga diversamente”. Che cosa vuol dire? Ci
indica che accanto alla regola generale per cui la giurisdizione civile è normalmente esercitata dai magistrati ordinari,
ci sono nel nostro ordinamento ipotesi eccezionali nelle quali la tutela dei diritti soggettivi non è affidata a magistrati
ordinari ma è affidata a giudici speciali. Quali sono i giudici speciali? Qui ovviamente ricaviamo la definizione a con-
trariis da quella che abbiamo dato di giudici o magistrati ordinari: i magistrati ordinari sono quelli istituiti e regolati
dalle norme sull'ordinamento giudiziario, il regio decreto N.12 del 1941, giudici speciali sono tutti quelli che non sono
stati istituiti e regolati sulla base delle norme dell'ordinamento giudiziario, cioè fanno capo a norme diverse da quelle
dell'ordinamento giudiziario.
Giudici amministrativi
Sono giudici speciali perché sono regolati da norme diverse da quelle dell'ordinamento giudiziario e difatti i giudici
amministrativi non sottostanno al CSM: hanno un loro organo di autogoverno, hanno delle loro norme regolamentari,
quindi sono regolati da norme diverse da quelle dell'ordinamento giudiziario. Per giudici amministrativi si intende i
TAR (tribunali amministrativi regionali) in primo grado e Consiglio di Stato in appello. Sapete anche che il Consiglio
di Stato, oltre alle funzioni giurisdizionali, svolge anche funzioni di controllo sulla legittimità degli atti della P.A., questo
però non è funzione giurisdizionale, è un organo “bifronte”, in parte amministrativo e in parte giurisdizionale. Quello
che ci interessa è la parte giurisdizionale e della parte giurisdizionale vedremo che i giudici amministrativi, che normal-
mente come già sapete hanno come compito specifico quello di tutelare gli interessi legittimi, vedremo che in determi-
nate materie espressamente individuate dal legislatore, materie definite di “giurisdizione esclusiva” dei giudici ammini-
strativi, i giudici amministrativi tutelano anche diritti soggettivi. Quindi come vedrete qui incontriamo una prima ecce-
zione alla regola che fissa l'art. 1 del codice, cioè quella per cui la giurisdizione civili è esercitata dai magistrati ordinari.
In particolare, il rapporto tra giudice amministrativo e giudice ordinario è che, la P.A può essere soltanto convenuto,
perché non ha bisogno di agire attraverso lo strumento processuale in quanto dotata di suoi mezzi di “autotutela”. In
particolare:
- Tutela dei diritti soggettivi→ Giudice ordinario, che quindi può disapplicare l’atto amministrativo illegittimo anche
senza impugnazione in caso di violazione di un diritto soggettivo. Salvo i casi di giurisdizione esclusiva.
- Tutela degli interessi legittimi→ Giudice amministrativo, al quale bisognerà rivolgersi anche per dare attuazione ad
alcune sentenze civili concernenti però la PA (cd. giudizio di ottemperanza).
- Tutela di diritti fondamentali→ Competenza del giudice ordinario nei casi in cui la lesione è rappresentata da meri
comportamenti e competenza del giudice amministrativo laddove la lesione è anche mediatamente riconducibile
all’esercizio di un pubblico potere.
Corte dei Conti
Il secondo giudice speciale che incontriamo nel nostro ordinamento è la Corte dei Conti. L'art. 103 della Costituzione
richiama il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti ed anch’essa è un organo “bifronte”: in parte organo di controllo sugli
atti della P.A. per il profilo della contabilità, controlla la corretta contabilità pubblica degli atti della P.A., cioè che siano
spesi bene i soldi pubblici, in soldoni vuol dire questo. Questa è l'attività amministrativa. Però ha anche una competenza
giurisdizionale, in quali materie?
- responsabilità contabile dei pubblici funzionari: tutti i pubblici dipendenti che gestiscono denaro dello stato, se lo fanno
male rispondono per responsabilità contabile e l'applicazione della responsabilità contabile spetta alla giurisdizione della
Corte dei Conti.
- le pensioni civili o militari dei pubblici dipendenti.
Quindi tutte le controversie in materia A) di responsabilità contabile b) di pensioni civili o militari dei pubblici dipen-
denti, appartengono alla giurisdizione della Corte dei Conti. In questi settori chiaramente si sta parlando di diritti sog-
gettivi, perché il diritto alla pensione è un diritto soggettivo e non centra niente con l'interesse legittimo, però come
vedete anche qui troviamo un giudice speciale al quale il nostro ordinamento affida l'esercizio della giurisdizione civile,
così come in materia di responsabilità contabile, cioè che una pubblica amministrazione chiede il risarcimento dei danni
nei confronti di un suo dipendente perché ha gestito male il denaro pubblico e sta chiedendo il pagamento dei danni: è
un diritto soggettivo, tuttavia la tutela di questo diritto non appartiene al giudice ordinario. Quindi abbiamo individuato
queste due eccezioni.
Commissioni tributarie
Troviamo infine una terza eccezione che riguarda i cosiddetti giudici tributari, le Commissioni Tributarie, organo giu-
risdizionale anche queste che esercitano funzione giurisdizionale in materia fiscale, di amministrazione finanziaria fi-
scale, cioè regolano le controversie tra privati e la P.A finanziaria (quella che fa pagare le tasse per intenderci). Anche
questo è un giudice speciale e siccome si tratta di controversie tra privati e P.A., normalmente si tratterà di tutelare
interessi legittimi, cioè tu privato cittadino ti rivolgi al giudice, in questo caso giudice speciale Commissione Tributaria,
giudice tributario, per impugnare un determinato atto dell'amministrazione finanziaria, perché lo ritieni illegittimo,
quindi per tutelare un interesse legittimo. Però attenzione! Perché talvolta emergono veri e propri diritti soggettivi: anche
questi diritti soggettivi che sono legati all'esercizio della funzione amministrativa fiscale sono affidati alla tutela di questi
giudici, delle Commissioni Tributarie dei giudici tributari, non ai giudici ordinari. Pensate all'ipotesi in cui ho pagato
più di quello che dovevo all'amministrazione finanziaria e chiedo la restituzione: è un diritto soggettivo, non è un inte-
resse legittimo, mi sono sbagliato e ho pagato di più con il 730 o il modello unico. Ho diritto alla restituzione: è un
diritto soggettivo, ma non vado dal giudice civile ordinario, perché nel nostro ordinamento anche qui troviamo una
giurisdizione esclusiva dei giudici tributari.
Sezioni specializzate (non si tratta di giudici speciali)
Però vi aggiunge il secondo comma dell'art. 102 della costituzione, “posto il divieto di istituire giudici speciali”, dunque,
l'unica possibilità per il legislatore ordinario è di istituire sezioni specializzate all'interno degli organi di giurisdizione
ordinaria, ed è questo che talvolta il legislatore ha consentito. Attenzione! in questo caso non siamo in presenza di
giudici speciali, siamo sempre all'interno degli organi di giurisdizione ordinaria. All'interno però ci può essere, per
determinare i settori del contenzioso e per dirimere le controversie, l'esigenza di istituire sezioni specializzate in deter-
minate materie. E noi ce le abbiamo nel nostro ordinamento queste sezioni specializzate, si pensi ad esempio al cosid-
detto Tribunale per i minorenni: in realtà è una sezione specializzata del tribunale ordinario che ha come competenza
quella di occuparsi delle controversie che abbiano ad oggetto i minori. Oppure ancora al cosiddetto Tribunale delle
imprese, anche questa è una sezione specializzata istituita nel 2012 che si occupa delle controversie che hanno ad oggetto
appunto l'impresa. Terzo esempio sono le neoistituite sezioni specializzate in materia di immigrazione, istituite di re-
cente proprio con il decreto-legge N. 3 del 2017: sono state istituite queste sezioni specializzate alle quali sono state
additate le controversie in materia di immigrazione. Attenzione, questi sono degli esempi di sezioni specializzate che
però non hanno niente a che vedere con il discorso dei giudici speciali: queste sono sezioni specializzate, sono articola-
zioni interne di giudici ordinari, di organi giudiziari ordinari. Quindi quel discorso che abbiamo fatto per i giudici spe-
ciali ovviamente non vale per quanto riguarda le sezioni specializzate.

32 bis. Mancanza di domicilio o di residenza in Italia del convenuto


Precedentemente si faceva riferimento alla cittadinanza, ora questa non rileva più: il criterio è divenuto quello del do-
micilio o della residenza. In ogni caso il domicilio e la residenza vengono in rilievo solo per quanto attiene al convenuto:
in termini generali domicilio o residenza italiana del convenuto sono conditio sine qua non. Per quanto riguarda invece
lo Stato straniero, pur potendo agire come attore, si esclude possa essere convenuto visto il recepimento della consue-
tudine internazionale (esclusi i casi in cui questo agisce come normale soggetto di diritto privato). La chiesa cattolica,
secondo la Cassazione, gode di immunità solo rispetto agli atti che sono espressione dell’esercizio della sua potestà
d’imperio, ossia emanati quale ente sovrano (Cass. 1 Agosto 2011 n.16847)
L. 218/1995
Art. 3→ afferma che un cittadino straniero può essere convenuto davanti al giudice italiano, per instaurare una contro-
versia civile per la tutela di diritti soggettivi, quando il cittadino straniero abbia in Italia o il domicilio, o la residenza,
oppure un soggetto che anche se non ha il domicilio o la residenza abbia comunque in Italia un soggetto che lo possa
rappresentare in giudizio. Dopo aver previsto questa regola, sempre l’art. 3 aggiunge che questa regola per la sussistenza
del legame tra cittadino straniero e Stato italiano, può essere derogata sulla base di convenzioni che lo Stato italiano
abbia stipulato con lo Stato di appartenenza del convenuto straniero, qui c’è un richiamo diretto alla Convenzione di
Bruxelles alla quale si sovrappone da ultimo il Reg. 1215/2012, oltre al 44/2001. In questi casi la giurisdizione italiana
sussiste ai criteri stabiliti anche senza domicilio del convenuto nelle materie comprese nel campo di applicazione della
Convenzione e dei regolamenti.
Art. 4→ Anche in assenza dei criteri di collegamento dell’art. 3 la giurisdizione italiana sussiste se le parti l’abbiano
convenzionalmente accertata e tale accettazione sia stata stipulata per iscritto.
Reg. 1215/2012
A) Regola generale secondo cui tutti i soggetti con domicilio in uno Stato possono essere convenuti nella giurisdizione
di quello Stato.
B) Alcune regole speciali per le quali in taluni casi non si applica la regola generale di cui alla lettera A. In particolare:
in materia contrattuale, in materia di fatti illeciti e di azioni nascenti da reato e in materia di agenzia→ Si guarda al luogo
in cui l’obbligazione deve essere compiuta, il fatto illecito ha scaturito i suoi effetti o l’agenzia è situata.
C) Alcune ipotesi di competenza esclusiva, da applicare a prescindere dal domicilio del convenuto (es. diritti reali im-
mobiliari, validità nullità o scioglimento delle società o persone giuridiche ecc.)
D) In materia di contratti di lavoro individuali la competenza è del giudice del luogo dove il lavoratore abitualmente
svolge la sua attività o quello dell’ultimo luogo in cui la svolgeva abitualmente (o comunque dove è fissata la sede
principale della sua attività nel caso in cui questa sia svolta in più Stati). RINVIO AD APPUNTI
E) Alcune regole che disciplinano le possibili modificazioni della competenza giurisdizionale:
- In caso di pluralità tra convenuti→ Si segue il luogo in cui uno di essi ha domicilio
- In caso di garanzia, terzo chiamato o domanda riconvenzionale→ Si segue il luogo in cui è stata proposta la domanda
principale
- In caso di litispendenza→ Il giudice adito successivamente adito tra i due o più dichiara la propria incompetenza in
favore del primo.
F) I provvedimenti provvisori o cautelari previsti in uno Stato membro possono essere richiesti al giudice di questo Stato
anche se la competenza a conoscere nel merito è riconosciuta al giudice di un altro stato membro.
+ Altri regolamenti speciali per le materie civili e commerciali.

32 ter. Attività di alta amministrazione


Terzo profilo nel quale può manifestarsi in questo ambito un difetto di giurisdizione è l’ipotesi in cui la controversia
nasca all’interno dell’attività della pubblica amministrazione di esclusiva pertinenza della pubblica amministrazione,
cioè cd. attività di alta amministrazione. Per fare un esempio, sono gli atti di governo, si pensi alla nomina dei prefetti
o alla nomina del Capo di polizia. Tutti questi sono ovviamente atti di alta amministrazione. Eventuali controversie in
questi settori sono controversie non suscettibili di essere sottoposte al sindacato giurisdizionale, cioè, rispetto a queste
ipotesi il giudice civile non ha la giurisdizione, quindi l’ipotesi di un soggetto che non è stato nominato prefetto come
aspirava non può ovviamente far valere questa pretesa davanti al giudice, perché è una pretesa non tutelabile in sede
giurisdizionale, rientra nelle prerogative della pubblica amministrazione. Qui addirittura non rileva neanche come inte-
resse legittimo, viene proprio sottratto al sindacato giurisdizionale anche davanti al giudice amministrativo, anche per
tutelare interessi legittimi, perché gli atti di alta amministrazione non generano neanche interessi legittimi, ma solo un
controllo di natura parlamentare. Anche qui, nel caso in cui sia stata introdotta una controversia di questo tipo, abbiamo
un processo rispetto al quale emerge il vizio di difetto di giurisdizione del giudice. Qui è un difetto addirittura assoluto,
perché rispetto alle ipotesi fatte prima, cioè difetto di giurisdizione del giudice civile ordinario perché la controversia
appartiene alla giurisdizione esclusiva di un giudice speciale, quello è un difetto relativo, c’è comunque un giudice al
quale appartiene la controversia in questione che può risolverla. Nel caso invece che stiamo vedendo, cioè laddove si
tratti di attività che rientrano nella sfera esclusiva di funzioni della pubblica amministrazione, c’è difetto assoluto: nessun
giudice può sindacare l’operato della pubblica amministrazione, neanche il giudice amministrativo e quindi difetto as-
soluto vuol dire che appunto non è solo il giudice civile ordinario ad essere privo di giurisdizione ma qualunque giudice.
E si vedrà anche qui come, proprio a tutela delle prerogative della pubblica amministrazione, il codice prevede un istituto
del tutto particolare solo per la pubblica amministrazione, che è il cosiddetto regolamento di giurisdizione a favore della
pubblica amministrazione, anche laddove questa non sia parte del giudizio, per tutelare appunto le sue prerogative, cioè
per far sì che quel giudizio non si svolga ove si tratti di una controversia che appunto sia nata dalla attività di alta
amministrazione.

33. Derogabilità della giurisdizione e rilevabilità del difetto di giurisdizione.


Pendenza della causa davanti a un giudice straniero. Determinazione della
giurisdizione. Giurisdizione in materia cautelare e di giurisdizione volontaria.
Giudizio arbitrale e giurisdizione.
Al contrario di quanto era stabilito in precedenza la regola attuale è quella della derogabilità della giurisdizione: le parti
possono quindi generalmente possono in maniera convenzionale sottrarre la giurisdizione al giudice ordinario. L’inde-
rogabilità rimane veramente tale solo laddove non sia come di giurisdizione in senso stretto bensì il giudice possa rile-
varlo d’ufficio. Rimane ad esempio completa e totale l’inderogabilità circa i limiti rappresentati dal giudice amministra-
tivo e altri giudici speciali, nonché ai rapporti con i poteri di altri organi dello Stato (anche se secondo la Cassazione si
potrà far valere tale difetto solo nel caso in cui il giudice di primo grado non abbia già deciso nel merito).
Pendenza della causa davanti a giudice straniero e determinazione della giurisdizione
1) Derogabilità convenzionale a giudici stranieri e arbitrati stranieri purchè provata per iscritto e solo in caso di diritti
disponibili.
2) Giurisdizione straniera può essere derogata anche tacitamente a favore di quella italiana→ il convenuto può eccepire
il difetto di giurisdizione solo col primo atto difensivo.
3) Giudice deve rilevare d’ufficio nel caso in cui la causa investa beni immobili situati all’estero o in caso di
contumacia del convenuto.
4) In caso di pendenza della causa presso giudice straniero il giudice può sospendere il giudizio. Così come nel caso in
cui sorgano questioni rilevanti per la causa che però non rientrano nella giurisdizione italiana allora il giudice italiano
conosce incidentalmente delle suddette questioni.
Giurisdizione volontaria
La giurisdizione in questo caso esiste oltre che nei casi già previsti dalla legge (e in quelli di competenza territoriale del
giudice italiano) anche laddove il provvedimento richiesto concerne un cittadino italiano o una persona residente in
Italia o quando riguarda situazioni o rapporti ai quali è applicabile la legge italiana.
Giurisdizione cautelare
Sussiste tutte le volte in cui il giudice italiano abbia giurisdizione per quanto riguarda il merito della causa o laddove la
misura debba essere applicata nel nostro territorio.
Art. 806 CPC e arbitrato
La controversia si può sempre deferire ad arbitri italiani (diversamente da arbitri stranieri) come stabilito anche nell’art.
806 CPC, purchè si tratti di diritti disponibili.

34. Le questioni di giurisdizione. Il regolamento di giurisdizione. La “transla-


tio judicii” in conseguenza del difetto di giurisdizione
Rilevabilità del difetto di giurisdizione
Art. 37 CPC→ “Il difetto di giurisdizione dei giudici ordinari nei confronti della PA o dei giudici speciali è rilevato,
anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo”.
Vediamo come in relazione ai limiti della giurisdizione possono sorgere questioni in merito alla sussistenza o meno
della giurisdizione riguardo ad una determinata controversia, si parla allora di questioni di giurisdizione che si presen-
tano in concreto davanti al giudice ordinario. Essendo la giurisdizione un presupposto del processo, questo tipo di pro-
blema dovrà essere risolto dal giudice di merito, proprio perché in difetto di giurisdizione una pronuncia sul merito non
potrà proprio pervenire. Utile soltanto ricordare come in ossequio all’art. 5 CPC la giurisdizione si determini in ragione
dello stato di fatto e di diritto esistente al momento della proposizione della domanda. La norma in esame in ogni caso
prende in considerazione i difetti di giurisdizione di due tipi:
- Difetti di giurisdizione legati alla competenza di giudici speciali (Comma I)
- Difetti di giurisdizione legati alla discrezionalità della P.A. (Comma II)
*Si noti come rimangano fuori i difetti di giurisdizione legati alla mancanza di domicilio o alla giurisdizione di giudici
stranieri, ma non è un errore o una dimenticanza: questo tipo di problema è regolato dalla legge 218/1995.
La decisione del giudice di merito riguardo alla giurisdizione poi può anch’essa essere impugnata e questo può arrivare
fino in Cassazione, la cui risposta potrebbe tardare col pericolo di rendere inutile la fino a lì svolta attività processuale,
per questo è stato introdotto il cd. “regolamento di giurisdizione”.
N.B: Si tratta di un’eccezione rilevabile d’ufficio o anche dalle parti, ma attenzione, essendo l’attore colui che inizia la
causa non potrà lui stesso rilevarla, tale possibilità non è invece preclusa al convenuto. Questa norma va coordinata con
quelle che regolano il sistema delle impugnazioni e quindi: Il difetto di giurisdizione, come ci dice tale articolo, è
rilevabile anche d’ufficio in qualsiasi stato e grado di processo ma solo se è stato già fatto motivo di impugnazione
ad opera delle parti. Se così non è accaduto si forma il c.d. Giudicato implicito dopo che c’è stata la sentenza di primo
grado. Quindi in realtà dopo il primo grado in questo caso non è più sollevabile l’eccezione né ad opera delle parti, né
d’ufficio: si tratta di un effetto che si produce appunto implicitamente o automaticamente cioè potenzialmente senza la
volontà delle parti. Noi vediamo come questo difetto opera in un processo che si sta svolgendo, quindi lo vediamo, come
dire, in azione questo meccanismo. Vediamo però più nello specifico come funziona il meccanismo:
A) Se il convenuto in primo grado ha sollevato la questione relativa al difetto di giurisdizione e gli si dà torto allora può
utilizzare il mezzo di impugnazione, se gli si dà ragione può utilizzarlo l’attore. Se non viene usato il mezzo di impu-
gnazione da parte del convenuto dopo questa sentenza allora si forma il cd. giudicato esplicito interno.
B) Se il convenuto in primo grado non solleva la questione di giurisdizione, allora si forma il cd. giudicato implicito.
MA ATTENZIONE! Non tutti ritengono quest’ultima affermazione valida: Mandrioli si, Luiso no.
La questione di giurisdizione è, quindi, una questione pregiudiziale di rito che può formare oggetto di sentenza non
definitiva o di sentenza definitiva se determina la definizione del processo.
Il regolamento di giurisdizione
Art. 41 CPC comma 1 → Finchè la causa non sia decisa nel merito in primo grado, ciascuna parte può chiedere alle
sezioni unite della corte di cassazione che risolvano le questioni di giurisdizione di cui all’art. 37. L’istanza si propone
con ricorso a norma degli articoli 364 e seguenti, e produce gli effetti di cui all’articolo 367”.
Consiste nella possibilità di sottoporre direttamente alla Cassazione le questioni di giurisdizione. Si tratta di uno stru-
mento preventivo e facoltativo di risoluzione delle questioni di giurisdizione, vi è in ogni caso il limite della pronuncia
del merito che secondo l’orientamento dominante riguarda anche le cd. pronunce di rito: per questo viene anche
detto “Regolamento preventivo di giurisdizione”. E’ importante sottolineare come non venga aperto un nuovo grado di
giudizio ma solo una parentesi che appunto si inserisce nel giudizio di primo grado che deve essere sospeso dal giudice
a quo, a meno che l’istanza non sia manifestatamente inammissibile (anche senza questa previsione si frustrerebbe tutta
l’utilità del regolamento di giurisdizione). L’ordinanza della Corte di Cassazione viene emanata in camera di consiglio
e sarà dotata di efficacia pan-processuale e cioè in grado di determinare anche altri giudizi (in caso di stessa qualifica-
zione della situazione sostanziale operata dal giudice, proprio secondo una recente sentenza della Corte di Cassazione,
la 11161 del 2009). Nel caso in cui sia stata disposta la sospensione del giudizio a quo e l’ordinanza della Cassazione
abbia attribuito competenza al giudice ordinario allora la causa deve essere riassunta entro 6 mesi dalla comunicazione
della pronuncia della Corte. Si ritiene che la mancata proposizione dell’istanza possa dar luogo al giudicato interno,
precludendo la possibilità di proporre la questione della giurisdizione.
Il regolamento di giurisdizione cd. straordinario
Art. 41 CPC comma 2→ “La PA che non è parte in causa può chiedere in ogni stato e grado del processo che sia
dichiarato dalle sezioni unite della corte di cassazione difetto di giurisdizione del giudice ordinario a causa dei poteri
attribuiti dalla legge all’amministrazione stessa, finchè la giurisdizione non sia stata affermata con sentenza passata in
giudicato”.
Proponibile dalla P.A che non sia stata parte in causa nella persona del prefetto in ogni stato e grado del processo, con
ricorso alle Sezioni Unite e finchè la giurisdizione non sia stata statuita con sentenza passata in giudicato. L’ammini-
strazione può quindi far valere attraverso questo tipo di strumento quelli che sono i limiti di potere del giudice ordinario.
Tuttavia, va detto come si tratti di un extrema ratio. Da notare come secondo alcuni autori non sarebbe corretto parlare
di conflitto di giurisdizione: si tratterebbe di un vero e proprio “conflitto di attribuzione”, cioè tra due poteri dello Stato.
La cd. “Translatio Judicii”
L’art. 59 della l. 69/2009 pur essendo al di fuori del codice è una norma cardine del sistema in quanto apporta numerose
novità in materia di “traslatio judicii”: cioè continuazione del giudizio nel quale è stato rilevato un difetto relativo di
giurisdizione.
1. Obbligo per il giudice ordinario di indicare il giudice che ritiene munito di giurisdizione in caso di difetto di
giurisdizione.
2. Efficacia panprocessuale delle pronunce a sezioni unite della Cassazione in tema di giurisdizione.
3. Entro il termine massimo di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza sul difetto di giurisdizione le parti
devono riassumere il processo davanti al giudice munito di giurisdizione.
4. Il rispetto del termine perentorio per la riassunzione della domanda innanzi al giudice ivi indicato fa salvi gli effetti
sostanziali e processuali della precedente domanda, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute→
[secondo Mandrioli si tratta delle sole preclusioni e decadenze intervenute prima della proposizione della domanda di
fronte al giudice poi dichiaratosi privo di giurisdizione]. Inoltre, in caso di mancato rispetto del termine il processo è
estinto.
5. Il giudice di fronte al quale la causa è riassunta può sollevare d’ufficio la questione di giurisdizione se le sezioni unite
non si sono già pronunciate (mi viene da dire che era già implicito).
6. Le prove precedentemente raccolte sono valutabili solo come argomenti di prova nel processo riassunto (probatio
inferior dunque rispetto alle prove libere e a quelle legali).
D.lgs 104/2010
In materia amministrativa:
1. il giudice può sollevare anche d’ufficio il conflitto di giurisdizione fino alla prima udienza fissata per la trattazione
del merito.
2. perdono efficacia i provvedimenti cautelari davanti al giudice privo di giurisdizione dopo 30 giorni dalla pubblica-
zione della pronuncia declinatoria della giurisdizione.
3. applicabilità della rimessione in termini delle decadenze e delle preclusioni già intervenute come nel processo civile.

CAPITOLO 8: La competenza
La competenza è definita come la ripartizione interna del potere appartenente a ciascun settore giurisdizionale.
I criteri d’individuazione della competenza sono:
1. In senso verticale materia e valore per individuare se è competente il giudice di pace o il tribunale.
2. In senso orizzontale (territoriale) per individuare quale dei più uffici giudiziari del tipo prescelto è competente.
Nel prossimo paragrafo procediamo all’analisi dei criteri verticali.

35. Criterio di competenza per materia


Si applica con precedenza rispetto al criterio per valore che dunque opera in via residuale.
A) Giudice di pace→ Competenza per cause relative ad apposizione di termini e osservanza delle distanze; misura e
modalità d’uso dei servizi di condominio delle case; rapporti tra proprietari di immobili adibiti a civile abitazione in
materia di immissioni e propagazioni che superino la normale tollerabilità; interessi o accessori da ritardato pagamento
di prestazioni previdenziali o assistenziali.
B) Tribunale→ Competenza in materia di stato e capacità delle persone (es. cittadinanza, divorzio, nome, filiazione);
diritti onorifici; per la querela di falso; + tutte le competenze dell’ufficio del pretore ora abolito.
La competenza per materia si determina sempre sulla base della domanda cioè di quanto allegato dall’attore.

36. Criterio per valore


Il giudice di pace è competente su tutte le cause che abbiano ad oggetto diritti reali su beni mobili escluse quelle con
valore superiore a 5.000 euro (a meno che la legge non disponga diversamente). Il Tribunale sarà quindi necessariamente
competente per tutte le cause riguardanti diritti reali su beni immobili in tutti i casi e su beni mobili laddove il valore sia
superiore a 5.000 euro. In base all’art. 9 CPC si ritiene inoltre che il tribunale sia competente per ogni causa dal valore
indeterminabile (da non confondere con valore indeterminato).
In ogni caso la competenza si determina sulla base della domanda: non è rilevante ciò che il giudice accerta, ma ciò che
viene allegato.
Modifiche alla domanda
Può darsi che l’attore (fino al passaggio alla fase decisoria) modifichi la sua domanda:
A) Modifica in aumento→ Nel caso in cui si superi il limite massimo il giudice di pace diviene incompetente e la causa
viene rimessa al Tribunale.
B) Modifica in diminuzione→ E’ controverso se il Tribunale divenga incompetente a favore del giudice di pace. Ci sono
buoni argomenti sia a favore del fatto che la controversia possa essere devoluta al giudice di pace, sia però in favore
dell’intangibilità della competenza in caso di modifica in diminuzione: in particolare ragioni sistematiche militano a
favore della prima soluzione e cioè ragionando analogicamente rispetto al caso della modifica in aumento. Allo stesso
tempo ragioni di opportunità spingono a sposare la tesi dell’intangibilità in quanto il Tribunale mai trova ostacoli a
riconoscere una somma inferiore al limite della sua incompetenza. Inoltre, si pensi a questo esempio:
Attore chiede 10.000 euro, convenuto adempie parzialmente cioè per 5500 euro→ l’attore si trova davanti ad un bivio,
o continuare a chiedere 10.000 euro per non far scattare l’incompetenza o chiedere 4500 euro.
Fenomeno della sommatoria delle domande (Art. 10 CPC):
A) Non si sommano:
- domande proposte all’attore contro il convenuto e domande del convenuto contro l’attore (es. Io in causa contro Marco,
io gli chiedo 4200 euro e lui 2000, la competenza resta del giudice di pace se del caso).
- domande proposte da uno contro più soggetti anche nello stesso atto (ad esempio, per via dello stesso rapporto con-
trattuale, dico che Tizio mi deve 2000 e Caio 4530)
- domande proposte contro lo stesso soggetto in atti diversi (ad esempio, cito Tizio sia perché mi deve 4990 per la
compravendita di un’auto, sia perché mi deve 2000 per la locazione di un’immobile).
- domande in caso di connessione perché rimangono proposte con atti diversi
- domande proposte in via alternativa
- domande proposte in via condizionata propria (faccio una domanda e nel caso in cui sia rigettata ne propongo un’altra).
- le due domande una soggetta a competenza per materia ed una per valore.
B) Si sommano:
- domande proposte in via condizionata impropria (faccio una domanda e nel caso in cui non sia rigettata, ve ne è anche
un’altra).
- Art. 11 CPC → pars pro-quota della stessa obbligazione (chiaramente non si applica laddove ogni debitore sia obbli-
gato per intero per es. a 2000 euro)
Art. 12 CPC “Il valore delle cause relative all’esistenza, alla validità o alla risoluzione di un rapporto giuridico
obbligatorio si determina in base a quella parte del rapporto che è in contestazione.”
Dottrina e giurisprudenza concordano sul fatto che:
A) La regola subisce una deroga nel caso in cui il giudice sia tenuto ad accertare con l’efficacia del giudicato l’intero
rapporto.
B) Viceversa, nel caso in cui il giudice esamini l’intero rapporto senza l’efficacia del giudicato si riapplica la regola di
cui all’art. 12 CPC.
*L’art. 12 CPC poi al comma 2 afferma che nei giudizi divisori il valore si calcola in base all’entità da dividere.
Art. 14 CPC Beni mobili e somma di denaro
A) Somma di denaro→ si guarda alla domanda dell’attore come al solito per quanto riguarda la competenza. Nel caso
in cui tale somma non sia determinata allora la competenza si presume del giudice adito. Il convenuto ovviamente potrà
contestare ma questo non avrà conseguenze sulla competenza bensì solo sul merito. Può accadere che in corso di causa
l’attore quantifichi, in tal caso ricordiamo che se la quantificazione è per una cifra inferiore rispetto al giudice adito, non
c’è mai problema di incompetenza. Chiaro che il giudice nel momento in cui si pronuncia lo fa nei limiti della sua
competenza e su quello stesso rapporto poi non potrà essere esperito un altro processo in nessun caso perché il giudicato
detta la norma per quel particolare rapporto.
B) Beni mobili→ In questo caso il valore del bene mobile non è rilevante ai fini del merito ma solo della competenza
per questo la contestazione che il convenuto potrà eventualmente fare avrà effetti sulla competenza. Il giudice dovrà
prendere la decisione in caso di contestazione dell’attore quindi sulla base degli atti introduttivi e potrà eventualmente
quindi valutare la propria competenza.
Quindi ricapitolando:
Somma di denaro→ Contestazione del convenuto ha effetti sul merito, dunque non modifica la competenza.
Beni mobili→ Contestazione del convenuto non ha effetti sul merito, quindi potenzialmente modifica la competenza.
Art. 15 CPC Cause relative a beni immobili
La norma individua le modalità di determinazione del valore nelle cause relative alla proprietà e agli altri diritti reali su
beni immobili stabilendo che questo si calcola moltiplicando il reddito dominicale o la rendita catastale (al momento
della proposizione della domanda) del fabbricato per un coefficiente determinato in base al diritto controverso. La do-
cumentazione sulla base della quale il giudice va a determinare il valore deve essere disponibile sin dall’inizio del
processo, altrimenti si parlerà di valore indeterminabile.
Competenza

Materia Valore

Giudice di pace
(cause relative a):
- Apposizione ter- GIUDICE DI PACE: Beni mo-
mini, rispetto di- bili fino a 5000 euro; Danni da
stanze di circolazione veicoli e natanti TRIBUNALE: Tutto il
legge/reg./usi per il fino a 20.000 euro resto
piantamento di alberi
e siepi TRIBUNALE (cause relative a):
- Misura e modalità - Diritti onorifici
d'uso dei servizi di - Stato e capacità delle persone
condominio di case. - Querela di falso
-Immissioni che supe- - Esecuzione forzata
rino la normale tolle-
rabilità. - Valore non determinabile
-Interessi o accessori
da ritardato paga-
mento di prestazioni
previdenziali o assi-
stenziali

37. Criterio territoriale


Ora si parla del criterio di ripartizione della competenza orizzontale.
Foro generale (Art. 18 e 19 CPC)
Art. 18 “Salvo che il giudice disponga diversamente competente è il giudice in cui il convenuto ha domicilio o residenza
e, se questi sono sconosciuti, quello del luogo in cui il convenuto dimora.
Se il convenuto non ha residenza, né domicilio, né dimora nella Repubblica o questa è sconosciuta, competente è il
giudice del luogo in cui risiede l’attore”. → Residenza dell’attore in via residuale cioè laddove non sia conosciuto
domicilio o residenza del convenuto
Art. 19: La norma è simile all’art. 18 CPC ma si riferisce alle persone giuridiche e alle associazioni non riconosciute.
La scelta è tra la sede (legale o effettiva) e uno stabilimento se li vi è anche un soggetto idoneo a rappresentare l’ente in
giudizio. In caso di mancata sede in Italia si applica nuovamente l’art. 18 comma 2: fa fede cioè il luogo in cui risiede
l’attore.
Sulla base degli art. 18 e 19 vi è una pluralità di fori competenti che l’attore può potenzialmente scegliere.
Foro facoltativo (Art. 20 CPC)
Il foro facoltativo non esclude ma si somma al foro generale. L’art. 20 prevede la competenza dell’ufficio giudiziario
sia del luogo in cui è sorta l’obbligazione che di quello in cui questa deve essere eseguita. L’attore così potenzialmente
ha un’ampia gamma di uffici giudiziari ai quali può (sempre alternativamente) rivolgersi (Esempio: Tizio è obbligato
verso Caio. Tizio è residente a Bologna e ha domicilio a Pescara. L’obbligazione è sorta a Genova e deve essere eseguita
a Torino. Caio potrà scegliere tra Bologna, Pescara, Genova e Torino).
Foro esclusivo
Quando vi è un foro esclusivo, questo non si aggiunge a quelli generali.
1) Art. 21 CPC→ diritti reali su beni immobili si segue giudice del luogo in cui è locato l’immobile.
2) Art. 25 CPC→ La P.A è difesa in giudizio da un corpo di avvocati speciale, la cd. Avvocatura dello Stato. La dispo-
sizione distingue due casi:
- Amministrazione convenuta = competente è il giudice del luogo dove ha sede l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato
(nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le regole ordinarie).
- Amministrazione attore = competenza deve individuarsi in base al luogo in cui è sorta o deve essere eseguita l’obbli-
gazione o dove si trova la cosa mobile/immobile oggetto della domanda (eccezione).
3) Sezioni specializzate in materia di impresa→ la domanda va posta al tribunale che ha sede dove si trova la corte
d’appello (se per una controversia avrebbe competenza il tribunale di Lucca secondo gli ordinari criteri, allora questa si
sposta a Firenze).
Derogabilità
La competenza territoriale è, a differenza di quella verticale, derogabile.
La competenza è derogabile tramite atto scritto delle parti riferito a controversie determinate. Di per sé l’atto delle parti
non elimina la competenza dei giudici che l’avrebbero secondo le regole ordinarie ma ne aggiunge un altro che appunto
si può dire concorrente.
In alcuni casi tuttavia la competenza non è derogabile, fra questi quelli concernenti diritti indisponibili, i casi di esecu-
zione forzata, di procedimenti cautelari e possessori, di procedimenti in camera di consiglio.

38. Rilevazione e decisione delle questioni di competenza


Incompetenza rilevabile dal giudice
Si tratta dell’incompetenza per valore, materia e territorio inderogabile. Il giudice deve rilevarle non oltre l’udienza di
comparizione, chiaro però che si presuppone che il valore della causa sia numericamente determinato, altrimenti la
competenza si presume del giudice adito.
Incompetenza rilevabile da parte del convenuto
Il convenuto può rilevare l’incompetenza per valore, materia e territorio (sia derogabile che inderogabile) solo nella
comparsa di risposta tempestivamente depositata. Questa eccezione deve necessariamente contenere l’indicazione del
giudice competente (altrimenti non è valida).
A) Nel caso di competenza per territorio derogabile c’è spazio per un accordo endo-processuale tra le parti con la pos-
sibilità che cioè le altre parti lo accettino: in questo caso la causa dovrà essere riassunta entro il termine di tre mesi
dall’ordinanza di cancellazione. Questo lo differenzia da quell’accordo preventivo delle parti con atto scritto che invece
è valido senza limiti di tempo.
B) In caso di mancato accordo o di territorio inderogabile, di materia e di valore, sarà il giudice a dover affrontare la
questione di competenza senza però la necessità di ricorrere ad un’autonoma istruttoria o in ogni caso attraverso la
tecnica delle “sommarie informazioni”, si tratta di un’istruttoria priva dei tipici requisiti formali e in cui sono per esem-
pio utilizzabili prove tipiche assunte atipicamente o prove atipiche.
Il giudice decide:
i) In una prima ipotesi con sentenza, questo laddove prenda anche decisioni di merito.
ii) In una seconda ipotesi con ordinanza, questo necessariamente laddove neghi la sua competenza.

39. Il Regolamento di Competenza


Nei confronti dei provvedimenti che decidono sulla competenza si può utilizzare il regolamento di competenza che a
differenza del regolamento di giurisdizione, segue i principi generali dei mezzi di impugnazione. Va precisato che con
questo strumento si fanno valere anche i profili dinamici della competenza (es. tempestività del giudice, potere di rile-
varlo d’ufficio ecc.). Quindi:
A) Provvedimento che decide sia sul merito che sulla competenza→ Impugnabile sia con ricorso ordinario o con rego-
lamento di competenza (in questo caso cd. facoltativo)
B) Ordinanza che si pronuncia solo sulla competenza→ Impugnabile solo con regolamento di competenza (in questo
caso cd. necessario).
Il regolamento può essere:
A) Necessario→ se il provvedimento ha deciso solo sulla competenza.
B) Facoltativo→ se il provvedimento ha deciso sia sulla competenza che sul merito.
Aldilà di questo il regolamento ha di competenza resta un unico mezzo di impugnazione con una disciplina unitaria e
produce sempre gli stessi effetti.
Concorso con altri mezzi di impugnazione
1) Se il regolamento di competenza è proposto prima dell’impugnazione ordinaria, i termini per proporre l’impugna-
zione ordinaria si sospendono in attesa che sia deciso il regolamento.
2) Se prima viene proposta l’impugnazione ordinaria le altre parti possono comunque poi proporre il regolamento di
competenza.
*Così si crea una questione di strategia processuale per il convenuto in caso di sentenza di merito sfavorevole: se ritiene
di avere ragione sul merito allora gli converrà utilizzare lo strumento dell’impugnazione ordinaria, se ritiene di avere
torto sul merito gli conviene utilizzare il regolamento di competenza. Ricordiamo che la sentenza di primo grado sul
merito crea l’impossibilità di utilizzare il regolamento di competenza perché si forma la cd. efficacia del giudicato sulla
competenza.
Conversione
La differenza tra ricorso ordinario e regolamento di competenza è evidente:
- Tempi (maggiore rigore regolamento di competenza) → nel regolamento di competenza entro 30 giorni dalla
comunicazione del provvedimento da impugnare; nel ricorso ordinario entro 60 giorni dalla notificazione o in
mancanza di essa entro 6 mesi dalla pubblicazione (deposito della sentenza in cancelleria da parte del giudice).
- Modalità (maggiore rigore ricorso ordinario) → per il ricorso ordinario bisogna conferire mandato speciale ad un
legale iscritto in uno speciale albo dei patrocinanti di fronte ai giudici superiori. Invece il regolamento può essere
proposto senza necessità di alcun mandato, dallo stesso legale che ha rappresentato la parte di fronte al giudice che
ha messo la sentenza impugnata.
In alcuni casi può darsi luogo al fenomeno della Conversione in caso di ricorso ordinario/regolamento di competenza
erroneamente proposto. Questo è possibile quando l’atto errato ha tutti i requisiti dell’atto giusto, quindi il ricorso ordi-
nario può divenire regolamento di competenza laddove rispetti i termini previsti dallo stesso e il contrario può avvenire
laddove il regolamento di competenza sia portato avanti da un soggetto dotati di quei requisiti previsti per quanto ri-
guarda il ricorso ordinario.
Procedimento
Il regolamento si propone alla Corte di Cassazione entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento sulla com-
petenza (avviso del cancelliere ai legali delle parti) o dalla notificazione dell’impugnazione ordinaria della controparte
nei casi di soccombenza virtuale sulla competenza. Nel caso in cui la Cassazione afferma l’incompetenza del giudice
adito si aprono due strade:
- Processo ricomincia ex novo
- Processo viene riassunto (se non disposto diversamente entro 3 mesi)→ riassunzione significa riattivazione di un
processo che versa in un periodo di stasi. In questo caso c’è quindi una trasmigrazione del processo dal giudice
incompetente a quello dichiarato competente dall’ordinanza.
Sanatoria dei vizi dei presupposti processuali
Per conoscere gli effetti della riassunzione occorre approfondire il tema dei vizi dei presupposti processuali. Sintetica-
mente possiamo partire col dire che i vizi dei presupposti processuali si dividono in:
A) sanabili→ una tendenza di fondo del nostro ordinamento è quella di impedire al giudice di chiudere il processo con
una pronuncia di rito in modo tale che l’interessato possa colmare questa lacuna. La sanatoria potrà operare sia ex tunc
che ex nunc in base alle scelte che fa il legislatore
B) insanabili→ il quid mancante può venire in essere solo grazie ad un’attività di un soggetto diverso da quello che ha
proposto la domanda.
Bisogna domandarsi cosa accade ai cd. atti medio tempore, cioè quelli interventi tra la domanda e la sanatoria (del vizio
sanabile), occorre sicuramente avere un approccio improntato al caso concreto e cioè:
- Nel caso di vizio della capacità della parte sembra assolutamente impossibile salvare quegli atti: si pensi ad es. agli
atti dell’incapace. Resta in ogni caso salva la possibilità di ratifica.
- Nel caso di vizio di competenza, e qui veniamo al problema che ci interessa maggiormente in questa sede, nonostante
la dottrina non sia unanime, Luiso ritiene più opportuno impedire al giudice riassunto di utilizzare gli atti compiuti
prima della sanatoria, questo in ossequio al principio del giudice precostituito. Chiaro che resta possibile far si che
quegli atti rimangano validi ma solo se le parti diano il loro consenso unanime. Viene quindi criticato
quell’orientamento della dottrina e della giurisprudenza che vorrebbe salvare gli atti compiuti precedentemente
tentando di valorizzare il verbo “continua”, del resto questo tipo di espressione viene utilizzata anche in caso di
vizio della notificazione e lì non avrebbe senso salvare gli atti compiuti prima della sanatoria visto che sarebbe
menomato il diritto alla difesa del convenuto.
Alla luce di questo ci si potrebbe domandare quale differenza sussista tra riproposizione della domanda e riassunzione.
La distanza tra i due casi è lampante: in caso di riassunzione gli effetti si riportano alla prima domanda e non all’atto di
riassunzione, quindi ad esempio:
A) Riassunzione→ attore avrà diritto ai frutti sorti dalla prima domanda.
B) Riproposizione→ attore avrà diritto ai frutti sorti a partire dalla seconda domanda.
Inoltre vi sono anche differenze procedimentali: l’atto di riassunzione non contiene una domanda e coerentemente può
essere compiuto da ogni soggetto che prende parte al processo, non solo dall’attore.

40. La prosecuzione del processo


Se il provvedimento sulla competenza non viene impugnato, si aprono due scenari:
A) Se il provvedimento afferma la competenza del giudice adito si determina il formarsi del giudicato sulla competenza
del giudice adito.
B) Se il provvedimento contiene l’affermazione di incompetenza del giudice adito, si pongono sicuramente maggiori
problemi. In particolare il provvedimento del giudice conterrà necessariamente una parte negativa, quella cioè nella
quale il giudice dichiara la propria incompetenza ed una positiva, cioè dove afferma la competenza di un altro giudice,
presso il quale sarà possibile “riassumere” la causa. La riassunzione di cui all’art. 50 CPC si riferisce quindi sia al
regolamento di competenza che al provvedimento del giudice.
Il provvedimento del giudice
Come abbiamo visto il provvedimento del giudice sarà diviso in due parti:
1. Una parte negativa→ sempre vincolante
2. Una parte positiva→ vincolante solo in caso a determinate condizioni
La parte positiva
A) Incompetenza per valore e territorio derogabile→ la parte positiva ha valore vincolante
B) Incompetenza per materia e territorio inderogabile→ la parte positiva non ha valore vincolante nel senso che il giu-
dice dichiarato competente potrà rilevare a sua volta la propria incompetenza, ma questa volta attraverso un regolamento
di competenza d’ufficio.
*Questa disciplina trova la sua ratio storica in quella fase in cui l’esercizio della giurisdizione non era un dovere ma un
diritto: oggi sorgono dubbi di coerenza di queste norme rispetto al sistema.
In caso di mancata riassunzione entro i termini di cui all’art. 50 CPC del provvedimento che dichiara l’incompetenza
del giudice adito il processo si estingue e al contrario di quanto avviene col regolamento di competenza la questione
potrà essere ripresentata allo stesso giudice che si è dichiarato incompetente.

41. La regolare costituzione del giudice, l’astensione e la ricusazione


Art. 158 CPC “La nullità derivante da vizi relativi alla costituzione del giudice o all’intervento del PM è insanabile e
deve essere rilevata d’ufficio, salva la disposizione dell’art. 161 CPC”
Vizi relativi alla costituzione del giudice
1. Questioni relative all’investitura del potere giurisdizionale→ Non rientrano però in questa categoria le questioni di
validità dell’atto di nomina (tale invalidità si potrà comunque far valere in altra sede: cioè quella amministrativa), ma
solo quelle relative all’assegnazione del magistrato all’ufficio, dunque questo tipo di vizio si presenta solo per quanto
riguarda i magistrati professionali, perché l’atto di nomina dei magistrati onorari contiene anche la designazione dell’uf-
ficio.
2. Questioni relative alla composizione dell’organo giudicante se è collegiale (es. deve essere formato da un certo nu-
mero di magistrati ecc.).
3. Questioni relative all’unitarietà della fase decisoria→ Questa fase necessariamente deve essere portata avanti da un
soggetto unico in base al principio di unitarietà della fase decisoria. Se questa fase inizia e diviene impossibile proseguire
con lo stesso giudice per qualsiasi motivo, allora tale fase dovrà ricominciare daccapo.
*Non costituisce invece vizio relativo alla costituzione il mancato rispetto della distribuzione tabellare delle competenze
tra i vari giudici.
Rilevabilità dei vizi
Questi vizi devono essere rilevati d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Di solito la regola è che i vizi cessano di
esistere rispetto al giudicato. In questo caso però alcuni dei vizi sopravvivono anche al giudicato e cioè nei casi di
sentenza inesistente (diversa dalla sentenza semplicemente nulla): l’art. 161 comma II CPC ci dice infatti che quando
manca la sottoscrizione del giudice la sentenza è inefficace, quindi ad es. si pensi alla sentenza di un soggetto privo del
potere giurisdizionale.
Astensione e Ricusazione
Queste previsioni del legislatore servono a dare attuazione al principio costituzionale di imparzialità, nel senso di equi-
distanza dagli interessi delle parti, del giudice.
Il giudice ha l’obbligo di astenersi comunicando al capo dell’ufficio la sussistenza di uno dei casi previsti dall’art. 51
CPC:
1) Se ha interesse nella causa o in un’altra vertenza su identica questione di diritto.
2) Vincolo di parentela o abituale convivenza/commensalità con una delle parti o i difensori. Sia nel caso in cui il legame
sia tra il giudice e la parte (o il difensore), sia tra il coniuge del giudice e la parte (o il difensore).
3) Il giudice o il coniuge hanno una causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti
o dei difensori.
4) Il giudice ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa o vi ha deposto come testimone, oppure ne ha conosciuto
come magistrato in alto grado del processo, oppure vi ha svolto le funzioni di arbitro o consulente tecnico.
5) Il giudice è tutore, curatore, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; amministratore o gerente di un
ente, di un’associazione che non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse in causa.

In queste ipotesi una delle parti può ricusare il giudice che non si è astenuto e avrebbe dovuto farlo. Il ricorso, sottoscritto
dalla parte o dal difensore, deve essere depositato in cancelleria due giorni prima dell’udienza, se al ricusante è noto il
nome dei giudici che sono chiamati a trattare o a decidere la causa, e prima dell’inizio della trattazione o discussione di
questa in caso contrario. La ricusazione sospende il processo ed è decisa dal presidente del tribunale se ricusato è un
giudice di pace o dal collegio negli altri casi. L’accoglimento produce la sostituzione del giudice ricusato e la nullità
degli atti da lui compiuti, in caso di mancato accoglimento è possibile una sanzione pecuniaria per la parte che aveva
chiesto la ricusazione. Il provvedimento sulla ricusazione è non impugnabile ai sensi dell’art. 53 CPC: secondo la Cas-
sazione il provvedimento che rigetta la ricusazione può essere impugnato però impugnando direttamente la sentenza
finale. Dunque meglio sarebbe dire che il provvedimento sulla ricusazione non è impugnabile autonomamente. In caso
di ricusazione, la sospensione non è ex lege ma ope iudicis: in caso di inammissibilità della richiesta di ricusazione il
processo non sarà sospeso.
In altre ipotesi il giudice può facoltativamente astenersi: cioè in tutte le altre ipotesi in cui esistano gravi ragioni di
convenienza. In questo caso però il giudice dovrà richiederlo al capo dell’ufficio che potrà anche rifiutare qualora ritenga
queste ragioni non sussistano.

CAP. 9: Il Pubblico Ministero


Diritti disponibili
Il diritto sostanziale conosce determinate situazioni giuridiche rispetto alle quali ha efficacia la volontà delle parti. In
questi casi il ricorso alla giurisdizione diviene necessario solo in caso di crisi di cooperazione tra consociati che è effet-
tiva perché l’effetto della sentenza sarebbe ottenibile anche con l’accordo tra le parti, ad esempio Tizio e Caio si accor-
dano per andare dal notaio e ottenere una divisione dell’eredità, in questo modo c’è l’accordo e l’effetto si ottiene senza
la sentenza.
Diritti indisponibili
Il diritto sostanziale conosce anche situazioni rispetto alle quali non sussiste un potere negoziale delle parti, ad esempio
il rapporto di filiazione. In questo caso non è detto che tra le parti vi sia un contrasto effettivo, dato che quel tipo di
effetto voluto richiederà in ogni caso la sentenza del giudice. In questi casi è allora necessario prevedere un meccanismo
che garantisca la completezza del quadro dei fatti allegati e provati in giudizio e nei casi in cui l’interesse pubblico è
ancora maggiore, addirittura consenta l’instaurazione del processo anche in caso di inerzia dei soggetti titolari di quel
rapporto giuridico.
1. PM attore
In alcuni casi il PM ha quindi il potere di attivare il processo. L’art. 69 CPC prevede che questo accada nei casi stabiliti
dalla legge (es. rettificazione degli atti di stato civile, alcuni controlli in materia societaria e di associazioni). L’ordina-
mento così si preoccupa di assicurare non solo la completezza dei fatti e delle prove allegate ma anche l’esercizio
dell’azione. In questi casi il PM ha gli stessi poteri delle altre parti e li esercita nelle stesse forme previste per le altre
parti: potrà allegare fatti, richiedere prove, produrre documenti, il suo consenso è necessario per la rinuncia agli atti e
ovviamente può impugnare la sentenza.
2. PM parte necessaria
In altri casi il PM deve semplicemente essere messo a conoscenza della pendenza del processo affinchè possa appunto
garantirne la correttezza, cioè la completezza dei fatti allegati e provati in giudizio. Questo intanto nelle cause che lo
stesso PM potrebbe proporre, poi anche in altre situazioni ovviamente (cause matrimoniali, cause riguardanti stato e
capacità delle persone ecc.). In queste ultime il PM avrà un fascio di poteri più limitato visto che potrà produrre docu-
menti, dedurre prove, prendere conclusioni nei limiti delle domande proposte dalle parti. Quindi l’attività del PM sarà
sostanzialmente di natura istruttoria, nonostante possa anche allegare in giudizio fatti non prodotti. Non avrà pero alcuna
possibilità di impedire l’estinzione del processo per rinuncia agli atti né potere di impugnare (eccezionalmente concesso
nelle cause matrimoniali).
Processi di impugnazione
Per quanto concerne i processi di impugnazione occorre distinguere due casi:
A) Potere di proporre o meno autonoma impugnazione→ al processo di impugnazione deve partecipare il PM presso il
giudice a quo
B) No potere di proporre autonoma impugnazione (es. PM parte necessaria)→ al processo di impugnazione partecipa il
PM presente presso l’organo competente per la fase di impugnazione
Rilevazione del vizio
Ai sensi dell’art. 158 CPC la nullità derivante dai vizi relativi all’intervento del PM è insanabile e deve essere rilevata
d’ufficio. A ciò consegue che la mancata comunicazione degli atti al PM determina il vizio di un presupposto proces-
suale che può essere colto per la prima volta anche in sede di impugnazione.
Art. 397 CPC→ Revocazione sentenza con vizio relativo all’intervento del PM, cioè in caso di mancata comunicazione
il PM potrà impugnare per revocare la sentenza.
CAP.10: Le parti e i difensori
42. La capacità Processuale
Il problema relativo alla capacità processuale è trattato in maniera diversa dai vari autori. Mandrioli ad esempio, che
evidenzia la distinzione tra presupposti processuali e condizioni dell’azione: i primi preesistenti all’azione ed i secondi
intrinseci ad essa, inserisce questo discorso chiaramente nella prima categoria, sottolineando quella che è la differenza
che vi è tra capacità processuale e legittimazione ad agire.
Luiso si comporta diversamente, considerando i presupposti processuali un po' come un unico genus, mettendo un po'
sullo stesso piano la capacità processuale rispetto all’interesse ad agire o la legittimazione processuali: presupposti di-
stinti ma appartenenti ad un’unica categoria, quella appunto dei presupposti processuali.
Questo discorso introduttivo sicuramente è utile ai fini di una migliore comprensione e collocazione dell’istituto.
Il take home message può sicuramente essere questo: a prescindere dalla collocazione che diamo a questo concetto,
sicuramente è un presupposto processuale che riguarda le parti.
Parte in senso processuale e parte in senso formale
A) Parte in senso processuale→ Possibilità di essere destinatario degli atti del processo (strettamente correlato alla
capacità giuridica art. 1 CC)
B) Parte in senso formale→ Possibilità di compiere gli atti del processo (strettamente correlato alla capacità di agire art.
2 CC).
Art. 75 CPC comma 2 “Le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti non possono stare in giudizio se non
rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano la loro capacità”→ Il minore dovrà stare in giu-
dizio nella persona del rappresentante legale, c’è una scissione tra la parte in senso processuale e quella in senso formale.
Uguale scissione si presenta nella rappresentanza volontaria dove il soggetto rappresentato ha il potere di compiere
anch’egli atti del processo. Quindi nei casi di rappresentanza processuale si verifica una scissione tra parte in senso
processuale e parte in senso formale.
Nel caso invece di rappresentanza organica il discorso è un po' differente perché all’ente non si imputano solo gli effetti
dell’attività bensì l’attività stessa. (Art. 75 comma 3).

In caso di vizio di rappresentanza, vi è sempre la possibilità di sanatoria. Il problema è che la sanatoria non opera
automaticamente rispetto agli atti compiuti precedentemente, occorrerà cioè la ratifica del rappresentante. Mentre per
quanto riguarda gli effetti della domanda la sanatoria ha effetto retroattivo.
Autorizzazione
L’autorizzazione non è un requisito cui è subordinato l’acquisto della qualità di parte: l’autorizzazione non incide quindi
sulle parti come destinatarie degli effetti ma solo sulla validità degli atti compiuti, ad esempio se il Comune è in giudizio
attraverso il sindaco che però è privo di un’autorizzazione:
- Il sindaco non potrà compiere atti processuali
- Il comune potrà essere destinatario degli effetti della sentenza
Logicamente da ciò ne deriva che in assenza di autorizzazione dell’attore la domanda diventerà invalida in maniera cd.
indiretta visto che ogni atto compiuto dal soggetto non autorizzato è sottoposto a questo regime, diversamente in assenza
di autorizzazione nel convenuto, si parlerà semplicemente di sua “contumacia”. In caso di difetto di autorizzazione poi
sanato, a differenza di quanto avviene per la rappresentanza, la sanatoria avrà un effetto automatico sugli atti compiuti
precedentemente che quindi divengono efficaci.

43. La rappresentanza tecnica


Anch’esso è un presupposto processuale.
Diritto alla difesa legale
Diritto che non può essere soppresso ed è attuazione dell’art. 24 comma 2 Cost. (diritto di difesa). E’ consentito in alcuni
casi che si possa agire anche senza rappresentante tecnico, tuttavia in ogni caso non potrà mai essere vietato a nessuno
di dotarsi di un rappresentante tecnico. E’ anzi incostituzionale il divieto di rappresentanza tecnica.
Obbligo di difesa legale
In alcuni casi è obbligatorio dotarsi di un rappresentante tecnico, qui la ratio è pubblicistica. Si cerca cioè di evitare di
portare in giudizi soggetti non dotati di quel tecnicismo necessario ad agevolare i tempi del processo. Quindi questo
obbligo non sussiste:
1. Davanti al giudice di pace le parti possono stare in giudizio di persona nelle controversie di valore non superiore a
1100 euro.
2. Negli altri casi la parte su sua istanza può essere autorizzata con decreto del giudice di piace a stare in giudizio di
persona solo se ciò sia possibile in relazione alla natura ed alla entità della causa.
3. Art. 417 CPC→ la parte, in primo grado, può stare in giudizio personalmente quando il valore della causa non eccede
i 129, 11 euro.
4. In materia di opposizione alle sanzioni amministrative
Mandato alle liti
La rappresentanza tecnica può essere inserita nel più ampio genus della rappresentanza volontaria. In particolare il
rappresentante tecnico è legato alla parte da un mandato con rappresentanza (dunque con procura): questo chiaramente
perché svolge un’attività giuridica in nome e per conto del rappresentato. Tuttavia rispetto al mandato civilistico ab-
biamo due differenze:
1. In caso di morte del rappresentato il mandato non cessa automaticamente ma solo nel momento in cui il difensore
tecnico dichiara la morte del suo assistito nel processo.
2. La rinuncia e la revoca non fanno estinguere il mandato automaticamente ma solo nel momento in cui è nominato un
nuovo difensore tecnico.
Difetto di rappresentanza
Il difetto di rappresentanza tecnica è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo. Nel caso in cui riguardi
l’attore la domanda giudiziale è proprio nulla, nel caso in cui riguardi il convenuto si ha la semplice “contumacia”. La
sanatoria si ottiene per rilascio della procura o per rinnovazione della stessa: quindi la sanatoria è possibile sia nel caso
di procura invalida, sia nel caso in cui il soggetto agisca senza rappresentante legale nei casi di obbligo di difesa (questo
è confermato anche da una sentenza della Corte che consentì questo tipo di sanatoria nel processo tributario). Tuttavia
secondo la giurisprudenza la sanatoria non si applica al processo in Cassazione: nel caso in cui vi sia un ricorso proposto
da un avvocato non patrocinante innanzi alle corti supreme, il vizio non è sanabile.

CAP. 11: Il processo cumulato


Passiamo alle ipotesi speciali di cumulo oggettivo, rispettando però i seguenti principi:
1) Principio dell’autonomia processuale→ Se il processo è oggettivamente cumulato significa che ci sono più domande
e quindi la sussistenza dei presupposti va valutata separatamente per ogni causa cumulata.
2) Principio di acquisizione→ La trattazione delle cause cumulate è unica e quindi gli atti compiuti in relazione ad una
di queste sono utilizzabili anche per l’altra.
3) Principio di rilevanza dei nessi sostanziali→ La disciplina che andiamo ad applicare la ricaviamo dal tipo di connes-
sione sussistente e non dall’occasione.

44. Art. 34 CPC Pregiudizialità


“Il giudice, se per legge o per esplicita domanda di una delle parti e' necessario decidere con efficacia di giudicato una
questione pregiudiziale che appartiene per materia o valore alla competenza di un giudice superiore, rimette tutta la
causa a quest'ultimo, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti a lui”.
La norma si riferisce ai casi di pregiudizialità tecnica nei quali c’è autonomia tra situazioni sostanziali oggetto di cause
diverse, dunque risultano escluse in primis le questioni di rito perché sono per definizione di competenza del giudice
adito e in secondo luogo i casi di cd. pregiudizialità logica nei quali cioè è dedotto in giudizio l’effetto di un rapporto
giuridico (es. si richiede la tredicesima e si mette in dubbio l’esistenza del rapporto di lavoro). La regola generale vuole
che il diritto pregiudiziale sia semplicemente oggetto di cognizione e che non nasca cioè sull’accertamento che il giudice
fa di esso l’efficacia del giudicato, questa regola generale però subisce una deroga in due casi:
1. Caso di domanda di parte→ che deve essere proposta nei modi e nei tempi previsti dai singoli modelli processuali,
oltre a rispettare tutti i requisiti delle domande giudiziali, come ad esempio la legittimazione ad agire (quindi ad esempio
se titolare del diritto pregiudiziale è un altro soggetto di norma non si può portare avanti questa domanda)
2. Previsione di legge→ L’esempio è l’art. 124 CC che impone in caso di impugnazione del matrimonio o dell’unione
civile da parte del coniuge nei confronti dell’altro coniuge, nel caso in cui si opponga la nullità del primo matrimonio,
tale questione deve essere preventivamente giudicata.
Competenza
Ogni qualvolta il diritto in cui la cognizione del giudice sul diritto pregiudiziale diviene decisione, si pongono anche
problemi di competenza perché il diritto pregiudiziale può non appartenere alla competenza del giudice che la ha sul
diritto dipendente. L’art. 34 CPC introduce la regola secondo la quale le cause devono rimanere unite, in deroga alle
regole sulla competenza:
- Se la causa pregiudiziale appartiene alla competenza di un giudice superiore→ il giudice iniziale rimette a questo
entrambe le cause
- Se la causa pregiudiziale appartiene alla competenza di un giudice inferiore→ il giudice iniziale prosegue
autonomamente entrambe le cause.
La deroga riguarda quindi la competenza per valore e in maniera analoga quella per territorio, non però quella per
materia.

45. Art. 35 CPC La compensazione


“Quando è opposto in compensazione un credito che è contestato ed eccede la competenza per valore del giudice adito,
questi, se la domanda è fondata su titolo non controverso o facilmente accertabile, può decidere su di essa e rimettere
le parti al giudice competente per la decisione relativa all'eccezione di compensazione, subordinando, quando occorre,
l'esecuzione della sentenza alla prestazione di una cauzione; altrimenti provvede a norma dell'articolo precedente.”
Compensazione da un punto di vista sostanziale
La compensazione è disciplinata dall’art. 1241 CC, secondo il quale in caso di rapporti incrociati di debito-credito per
una quantità di cose fungibili tra due soggetti, i due rapporti si estinguono vicendevolmente per le quantità corrispon-
denti. La compensazione presuppone che la il rapporto incrociato nasca in base a due rapporti giuridici distinti (es.
contratto di compravendita della macchina rispetto alla casa). La compensazione ex art. 1242 opera ipso iure ma richiede
una manifestazione di volontà, cioè che il controcredito sia opposto in compensazione: il giudice non può quindi rilevare
d’ufficio il controcredito.
Connessione per compensazione
Se nel caso della pregiudizialità il diritto del processo “dipendente” è elemento della fattispecie acquisitiva del diritto
del secondo processo, la compensazione opera rendendo l’esistenza di un diritto fatto estintivo di un altro. La compen-
sazione si dice poi sia un modo di estinzione delle obbligazioni oneroso (perché si spende il proprio diritto per estinguere
quello altrui) e satisfattivo (perché ciascuno vede estinto un proprio diritto ma anche un proprio obbligo). Il diritto
utilizzato come controcredito potrebbe anche astrattamente essere fatto valere autonomamente ricorrendo ad una nuova
domanda giudiziale: da un punto di vista economico non ci sarebbero differenze (almeno in un mondo dove gli avvocati
farebbero volontariato). Il controcredito potrà essere assorbito nella causa solo quando sarà però oggetto di eccezione e
non quando sarà oggetto di autonoma domanda.
Di solito quando si oppone un’eccezione estintiva, nel caso in cui questa esista, il giudice rinuncia a verificare la sussi-
stenza dei fatti costitutivi: è chiaro però che in questo caso tale meccanismo non può operare perché il soggetto che ha
eccepito sta rinunciando ad un suo diritto, è come se stesse facendo una transazione, perchè se il diritto vantato dall’at-
tore non esiste, questa spendita non serve.
La fattispecie prevista dall’art. 35 CPC
Si pone solo quando il controcredito opposto in compensazione come eccezione è maggiore del credito originario. Infatti
quando il controcredito è minore, questi problemi non si hanno: se l’eccezione è esaminata il controcredito si estingue
(in ogni caso), se non è esaminata resta così com’è, dunque nulla quaestio.
L’art. 35 CPC interviene allora a risolvere i problemi nei quali il controcredito sia maggiore al credito originario. In
questo caso, si aprono due scenari:
A) L’eccezione di compensazione è assorbita→ l’intero controcredito rimane vergine.
B) L’eccezione di compensazione è esaminata→ Sarà bruciato il controcredito limitatamente alla parte sulla quale si
basa l’eccezione e sul resto rimane la cd. verginità. Se però l’attore contesta l’esistenza del controcredito, non vi è
scissione ma il credito si ricompone ad unità e dunque la prima parte viene utilizzata come eccezione e si forma il
giudicato sul residuo: in questo caso non c’è spazio per pronunce discordanti.
Sentenza di condanna con riserva delle eccezioni
Qualora il controcredito superi la competenza del giudice adito e il credito originario sia fondato su un titolo non con-
troverso o facilmente accertabile, il giudice decide sulla domanda dell’attore e rimette la questione sull’eccezione di
compensazione al giudice superiore. C’è quindi una tipica sentenza di condanna con riserva delle eccezioni: si accelera
la tutela dell’attore scindendo la decisione in due parti. In questo caso però il giudice può subordinare l’esecuzione della
sentenza, alla prestazione di una cauzione.
In sintesi il giudice potrà quindi scegliere tra emettere la sentenza di condanna con riserva delle eccezioni o ri-
mettere l’intero processo al giudice superiore in caso di eccedenza del controcredito rispetto alla sua compe-
tenza.

46. Art. 36 CPC Domanda riconvenzionale


“Il giudice competente per la causa principale conosce anche delle domande riconvenzionali che dipendono dal titolo
dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione, purchè non eccedano
la sua competenza per materia o valore; altrimenti applica le disposizioni dei due articoli precedenti.”
La regola introdotta dall’art. 36 CPC si rivolge a quei casi in cui la domanda riconvenzionale non appartenga in base
alle regole ordinarie al giudice adito. Allora si consente una deroga nei casi espressamente previsti:
A) Dipendenza della domanda riconvenzionale dal titolo dedotto in giudizio dall’attore→ “Dipendenza dal titolo”
significa connessione in termini di fatti costitutivi tra la fattispecie della domanda principale e quella della causa
riconvenzionale (ad esempio Tizio cita in giudizio Caio per danni a seguito di un sinistro, Caio con una domanda
riconvenzionale chiede anche lui danni rispetto al medesimo sinistro cui si riferiva Tizio).
B) Dipendenza da fatto allegato come eccezione→ Ad esempio nel caso del controcredito si potrà chiedere la
domanda riconvenzionale, con la differenza rispetto alla semplice eccezione che qui il giudice dovrà esaminare a
prescindere dalla domanda dell’attore, la sussistenza della domanda di compensazione.
In questi casi il giudice potrà decidere sia sulla domanda riconvenzionale che su quella principale se la prima non eccede
la sua competenza per valore o materia.
Compatibilità e incompatibilità
La relazione intercorrente tra la domanda principale e quella riconvenzionale può essere intesa
A) In termini di compatibilità→ C’è un effetto estintivo bilaterale, per cui ciascun credito estingue l’altro (es. locatore
chiede al conduttore il pagamento del canone ma il conduttore oppone la domanda riconvenzionale perché ha diritto ad
un indennizzo perché ha sostenuto delle spese particolari).
B) In termini di incompatibilità→ Potenzialmente ci potrebbe essere un effetto estintivo bilaterale, in realtà l’efficacia
impeditiva/estintiva opera solo in una direzione (es. l’attore dichiara di essere proprietario di un immobile, il convenuto
oppone la sua domanda riconvenzionale basata su trascrizione anteriore ai sensi del 2644 CC).
La tecnica della domanda riconvenzionale
La causa riconvenzionale si propone con le forme, i modi e i termini della domanda riconvenzionale, se il soggetto
contro cui è proposta ha già assunto la qualità di parte, altrimenti si deve usare la chiamata in causa del terzo.
Esempio: Tizio solleva una causa riconvenzionale contro Caio suo garante utilizzando la tecnica della domanda ricon-
venzionale se Caio è già parte del processo e la tecnica della chiamata in giudizio se Caio ancora non è parte.
In ogni caso la domanda riconvenzionale per produrre questi effetti dovrà essere presentata nella comparsa di risposta
depositata almeno 20 giorni prima dell’udienza di comparizione.
Deroga alla competenza
Con le regole introdotte dal 36 CPC si regola alle regole ordinarie al fine di consentire il simultaneus processus.
Richiamo art. 34/35 CPC→ Se la causa riconvenzionale eccede la competenza del giudice adito per materia o valore, o
si trasmette tutto al giudice superiore o il giudice adito decide solo della causa principale, rimettendo quella riconven-
zionale al giudice superiore.
Concludendo la regola generale introdotta dal 36 CPC impone invece al giudice di decidere anche della causa
riconvenzionale qualora non ecceda la sua competenza per materia o valore, cioè anche se competente sia un
altro giudice ma inferiore. In caso contrario si torna invece alle regole degli art. 34 e 35 CPC.

CAP. 12: Il litisconsorzio


47. Litisconsorzio necessario
Art. 102 CPC “Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere con-
venute nello stesso processo.
Se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio in
un termine perentorio da lui stabilito”.
Siamo in presenza, almeno secondo Luiso, del presupposto processuale dell’integrità del contraddittorio. Secondo Man-
drioli invece questo presupposto sarebbe privo di autonomia in quanto corollario della legittimazione ad agire (cd. le-
gittimazione ad agire necessariamente congiunta). L’art. 102 in ogni caso è una norma cd. in bianco, nel senso che è
aperta: alcuni casi di litisconsorzio necessario saranno espressamente previsti dalla legge, altri andranno comunque
individuati dalla legge. In questi casi in particolare ci sarà una sentenza unitaria per una pluralità di soggetti che dunque
coerentemente al principio del contraddittorio dovranno avere la possibilità di prendere parte al processo.
Litisconsorzio necessario ex legge
- L’art. 784 CPC enuncia il principio in base al quale ogni giudizio di scioglimento delle comunioni deve svolgersi
in contraddittorio tra tutti i condividenti che assumono le vesti di litisconsorti necessari. In realtà questa previsione
potrebbe quasi darsi per scontata, perché questa davvero altro non è che un corollario di quanto avviene nel campo
del diritto sostanziale: anche a livello contrattuale se non c’è effetto nei confronti di tutti, non c’è divisione della
comunione ma qualcosa di diverso e la sentenza segue gli stessi principi.
- L’art. 247 CC adotta lo stesso principio nel campo del disconoscimento della filiazione. Se un soggetto chiede il
disconoscimento della qualità di padre, è chiaro che la sentenza produrrà effetti oltre che nei confronti del figlio
anche in quelli della madre, in qualunque modo si voglia considerare il rapporto genitoriale.
Piano processuale e sostanziale sono dunque coerenti. In particolare a livello sostanziale il fondamento lo si trova
nell’unitarietà della situazione giuridica mentre a livello processuale negli effetti che l’attore chiede che incidono ne-
cessariamente sulla sfera giuridica di tutti i titolari della situazione giuridica unitaria. Secondo Luiso dunque non è esatto
parlare di attenuazione di principio della domanda: il fenomeno in esame va proprio a vantaggio dell’attore consenten-
dogli infatti di ottenere pienamente il tipo di tutela richiesta. Del resto l’unitarietà della situazione sostanziale è un
presupposto necessario ma non sufficiente che andrà cioè accompagnato da un tipo di tutela richiesta idoneo a produrre
effetti sulla sfera giuridica dei soggetti in posizione di unitarietà. Qui il litisconsorzio ha fondamento quindi sostanziale.
Analizziamo un caso in cui il fondamento è sempre ex lege ma processuale:
Art. 2900 CC→ previsto litisconsorzio necessario perché gli effetti della sentenza hanno effetti in primis sul debitore
surrogato. Questo è un caso di legittimazione straordinaria che rientra nel più ampio genus della sostituzione processuale
la cui regola generale è che non si crea il litisconsorzio.
La differenza tra litisconsorzio che trova il suo fondamento nel diritto processuale e litisconsorzio che trova il suo
fondamento nel diritto sostanziale sta nel fatto che nel primo caso questo sarà necessario solo se l’iniziativa è presa dal
legittimato straordinario, mentre nel secondo sempre.
Altri casi di Litisconsorzio
- Richiesta di servitù coattiva su un fondo che è in comproprietà→ La sentenza che avrebbe effetti solo nei confronti
di un comproprietario sarebbe inutile. Secondo parte della dottrina sarebbe comunque valida ma impugnabile, in
ogni caso è discusso.
- Scioglimento di un rapporto plurilaterale (es. società)
Secondo alcuni il litisconsorzio necessario avrebbe spazio solo in caso di sentenza costitutiva, ma da un’analisi più
attenta si arriva subito alla conclusione di come anche alcune pronunce di mero accertamento creino l’esigenza del
litisconsorzio necessario (si pensi alla nullità di un contratto plurilaterale). Tuttavia un fondo di verità sicuramente c’è:
abbiamo visto che l’interesse ad agire nei casi di azione di accertamento mero è spesso dato da una semplice contesta-
zione, ecco in questi casi non si crea la necessità del litisconsorzio: si pensi ad un comproprietario di un fondo che
contesta ad un altro l’esistenza di una servitù, è chiaro che la sentenza di accertamento mero si rivolgerà solo a quel
comproprietario che la contesta.
Litisconsorzio sul piano attivo e sul piano passivo
A) Quando il litisconsorzio è sul piano passivo si richiede che l’attore con l’atto introduttivo convenga in giudizio tutti
i litisconsorti.
B) Quando il litisconsorzio è sul piano attivo in realtà è sufficiente che l’attore che condivide la situazione sostanziale
con altri soggetti chiami gli altri litisconsorti a partecipare al processo. Il comportamento che gli altri litisconsorti
avranno incide sul merito e non sul rito e andrà valutato caso per caso alla stregua del diritto sostanziale (es. in alcuni
casi il giudice non potrà accogliere la domanda se si oppongono la metà o uno solo di questi ecc.).
Difetto del contraddittorio
A) Intervento del litisconsorte→ Il difetto del contraddittorio può essere sanato anche prima della sua rilevazione
dall’iniziativa del litisconsorte necessario pretermesso. Il litisconsorte pretermesso può intervenire spontaneamente du-
rante tutto il processo.
B) Ordine di citazione da parte del giudice in caso di mancato intervento come alla lettera A. In questo caso allora una
qualunque delle parti deve citare il litisconsorte necessario e qualora non lo faccia entro il termine previsto, il processo
si estingue. Se il vizio è rilevato in sede di impugnazione, la sentenza va annullata e la causa va rimessa al giudice di
primo grado.
La sanatoria in ogni caso opera ex tunc e questo lo ricaviamo innanzitutto dall’art. 331 CPC che consente l’integrazione
del contraddittorio in sede di impugnazione anche se il termine per impugnare è scaduto, ma anche da ragioni logiche:
non avrebbe senso che la domanda iniziale avesse effetto solo nei confronti di alcune parti e di altre no.
Sentenza passata in giudicato con difetto di contraddittorio
A) La sentenza ha effetti nei confronti di tutti→ Il litisconsorte pretermesso ha lo strumento dell’opposizione.
B) La sentenza non ha effetti nei confronti di alcuni→ sentenza inesistente, dunque il vizio potrà essere fatto valere sia
dal litisconsorte che dalle parti.

48. Litisconsorzio facoltativo


Art. 103 CPC “Più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo, quando tra le cause che si propongono
esiste connessione per l'oggetto o per il titolo dal quale dipendono, oppure quando la decisione dipende, totalmente o
parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni.
Il giudice può disporre, nel corso della istruzione o nella decisione, la separazione delle cause, se vi è istanza di tutte
le parti, ovvero quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo, e può
rimettere al giudice inferiore le cause di sua competenza.”
Mentre nel litisconsorzio necessario il processo non può prescindere dalla presenza di tutti i soggetti necessari, in questo
caso c’è una semplice possibilità di trattazione unitaria. Questo però solo al verificarsi di particolari condizioni.
Condizioni richieste
A) Connessione per titolo: quando uno stesso fatto storico entra a comporre la fattispecie di più diritti. L’esempio è
quello dell’incidente causato da Tizio che provoca danni sia a Caio che a Sempronio: il diritto al risarcimento del danno
(che potrà essere differente) nasce da uno stesso episodio.
B) Connessione per oggetto: quando più cause hanno per oggetto lo stesso bene. Ad esempio Tizio chiede la dichiara-
zione di nullità di un contratto di compravendita con il quale ha venduto un bene a Caio che poi lo ha a sua volta venduto
a Sempronio: Tizio invece che iniziare due cause, può affrontare la vicenda unitariamente da un punto di vista proces-
suale.
C) Connessione per identità di questioni: che dà luogo al cd. litisconsorzio facoltativo improprio. Ci sono due cause
distinte ma la questione è identica (ad esempio due dipendenti con le stesse mansioni di due aziende diverse agiscono
per dichiarare che una certa clausola di un contratto collettivo debba essere interpretata in un certo modo).
Funzioni del litisconsorzio necessario
1) Economia processuale
2) Armonizzazione delle decisioni→ cioè evitare contrasto di accertamenti che non è mai piacevole
Deroga alla competenza
Si deroga alla competenza per territorio e per valore (quest’ultima deroga si ricava implicitamente). Per tutto il resto
non è possibile derogare alle regole ordinarie di competenza.
Separazione
A) Su istanza delle parti
B) Su decisione del giudice (per esigenze processuali, cioè indipendentemente dalla volontà delle parti)
N.B: La scissione può determinare che le due cause siano affidate a due uffici giudiziari differenti o allo stesso.
Cd. Litisconsorzio unitario
Figura particolare di litisconsorzio che è facoltativo per quanto concerne l’instaurazione, ma diviene necessario nella
prosecuzione. L’esempio tipico è quello dell’impugnazione della delibera assembleare. In generale si ha litisconsorzio
unitario laddove il soggetto è legittimato ad agire in giudizio per l’intera situazione sostanziale controversa: è evidente
che in casi del genere non sono possibili due decisioni di merito aventi ad oggetto la stessa situazione sostanziale.
Modalità di funzionamento
- L’attività che le parti svolgono all’interno del litisconsorzio facoltativo in relazione ai fatti comuni può essere
utilizzata per la decisione di tutte le cause (es. tornando all’incidente, Tizio dimostra che Caio guidava a 100 Km/h
sopra al limite, questo avrà effetto anche sull’altro danneggiato). Fatta eccezione ovviamente per gli atti che
comportano l’esercizio di un potere riservato alle parti, eccetto che nel litisconsorzio unitario.
- La sentenza riguarda a coppie le parti affiancate e la controparte (si tratta infatti di cause parallele), eccetto che per
il litisconsorzio unitario e per le cd. domande interne (esempio di domanda interna: Tizio e Caio fanno un incidente,
guidava Tizio. Entrambi fanno causa a Sempronio conducente dell’altra automobile coinvolta, pero Caio fa causa
alternativamente anche a Tizio qualora si provi che Sempronio non aveva colpe).

CAP. 13: L’intervento


49. L’intervento volontario
Art. 105 CPC “Ciascuno può intervenire in un processo tra altre persone per far valere, in confronto di tutte le parti o
di alcune di esse, un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo.
Può altresì intervenire per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un proprio interesse”.
L’art. 105 descrive tre diverse forme di intervento il cui filo conduttore è che la pluralità di parti si realizza per volontà
del terzo. Per ogni tipo di intervento dovremo parlare sempre delle caratteristiche del diritto dell’interventore, dei suoi
poteri processuali e dell’accertamento della legittimazione ad intervenire. Le prime due tipologie d’intervento (cd. in-
novative) vedremo che presentano molti caratteri comuni.
A) Intervento adesivo principale
Si ha questo tipo di intervento quando un soggetto fa valere nei confronti di tutte le parti un proprio diritto relativo
all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo. Si crea quindi una sorta di lite a tre. Le caratteristiche
deve avere il diritto del terzo sono:
1) Autonomia→ Nel senso che l’emananda sentenza non formerà nei confronti dei terzi e questo può accadere o perché
da un punto di vista sostanziale non vi è dipendenza (ad esempio quando il diritto di proprietà del terzo interventore è
acquisito a titolo originario) o perché vi è dipendenza da un punto di vista sostanziale ma non sul piano processuale (ad
esempio Tizio vende il bene a Sempronio e questo lo rivende a Caio. Tizio poi chiede la nullità del contratto stipulato
con Sempronio, Caio potrà essere interventore adesivo principale proprio perché il suo diritto è dipendente da un punto
di vista sostanziale ma non da uno processuale in quanto la sentenza non formerà giudicato nei suoi confronti). Quindi
o autonomia sostanziale o dipendenza sostanziale con autonomia processuale.
2) Incompatibilità→ Il diritto del terzo deve essere incompatibile sia totalmente che parzialmente (es. si chiede l’usu-
frutto) con quella delle parti. Qui l’incompatibilità ha una dimensione trilaterale (attore-convenuto-interventore) ma
sostanzialmente riguarda sempre due diritti, cioè quello fatto valere dall’attore e quello del convenuto.
3) Prevalenza→ Conseguenza dell’incompatibilità, la prevalenza determina in che direzione opera la potenzialità impe-
ditiva/estintiva. Di base:
- se entrano in contrasto due acquisti a titolo derivativo che abbiano un comune dante causa, tendenzialmente prevale
quello acquistato per primo.
- se entrano in contrasto due acquisti che non hanno un comune dante causa prevale l’ultimo acquisto a titolo originario
I poteri processuali del terzo interventore adesivo principale secondo Luiso subiscono solo in minima parte le preclusioni
che si sono già verificate per le parti perché essendo nuova la situazione sostanziale dedotta in giudizio, per lui varreb-
bero solo le preclusioni riferibili alle situazioni sostanziali dei terzi. Tuttavia secondo la giurisprudenza maggioritaria
l’interventore sarebbe vincolato alle preclusioni istruttore già maturate per le parti (quindi ad esempio non potrà allegare
prove se interviene in un certo momento): Luiso per questo definisce l’intervento una “trappola micidiale”.
Dunque è necessario che il terzo si affermi titolare di una situazione sostanziale che abbia queste caratteristiche e non
dovrà essere accertata autonomamente in quanto il titolo di legittimazione coincide col modo d’essere della situazione
sostanziale dedotta in giudizio: ricordiamo che l’accertamento sarà oggetto del giudizio di merito.
B) Intervento adesivo autonomo
In questo caso l’intervento ha gli stessi presupposti del litisconsorzio facoltativo previsto dall’art. 103 CPC: si richiede
cioè una connessione per titolo o per oggetto (o per titolo e oggetto). In questo caso l’interventore fa valere il suo diritto
solo nei confronti di una o più parte e dunque si affianca ad un’altra o più parti. Anche il discorso relativo alla separa-
zione e agli effetti della sentenza segue quanto detto sul litisconsorzio facoltativo.
Per quanto riguarda i poteri processuali vale il discorso fatto per l’intervento adesivo principale.
In questo caso come per l’intervento adesivo principale il titolo di legittimazione coincide col modo d’essere della
situazione sostanziale dedotta in giudizio (quindi nessun accertamento autonomo) e dunque la valutazione avviene sulla
base della domanda: ricordiamo che l’accertamento sarà oggetto del giudizio di merito.
C) Intervento adesivo dipendente
Il terzo in questo caso non propone alcuna domanda ma si limita a sostenere quella di una o più parti avendone interesse
(l’esempio è quello del sub-conduttore). A differenza degli altri due è un intervento non innovativo in quanto la situa-
zione sostanziale dedotta in giudizio non muta e anzi resta sempre una sola, quella originaria: dunque né si propone una
nuova domanda né si introduce un nuovo oggetto del processo. Importante è sottolineare che la condizione è che il terzo
sia titolare di una situazione sostanziale giuridicamente protetta dall’ordinamento.
La dottrina non è univoca su un punto:
a) Secondo alcuni il presupposto sarebbe come già detto il fatto che la sentenza produca effetti anche sul terzo in
via indiretta (es. causa tra conduttore e locatore, il sub-locatore perde il suo diritto al godimento dell’immobile). In
questi casi la funzione dell’intervento adesivo dipendente sarebbe quindi quella di integrare la difesa della parte in
quanto sarà colpito dalla sentenza. Luiso che sposa questa tesi parla infatti dell’intervento adesivo dipendente come
dell’azione surrogatoria applicata al processo.
b) Secondo altri non servirebbe invece che la sentenza abbia effetti sul terzo, in questo caso la funzione sarebbe
leggermente differente: il terzo interverrebbe non direttamente per proteggersi quanto per ottenere una sentenza
favorevole. Con questo intervento infatti il terzo è come se accettasse di sottomettersi agli effetti di una sentenza
che altrimenti non lo colpirebbero.
I poteri processuali divergono dalle due tipologie viste sopra: gli mancano infatti tutti i poteri processuali che si ricolle-
gano alla titolarità della situazione controversa, cioè che postulano la disponibilità del diritto controverso (ad es. il terzo
non può confessare in quanto la confessione vale per chi ha la disponibilità soggettiva di un certo diritto).
Inoltre la situazione sostanziale che legittima il terzo ad agire dovrà essere automaticamente verificata in base al princi-
pio che il presupposto processuale che non è elemento rilevante per il merito si stima non dall’affermazione ma dall’ef-
fettiva esistenza di quell’elemento.
50. L’intervento su istanza di parte
Gli art. 106 e 107 disciplinano il cd. intervento coatto, non perchè il terzo è portato con la forza in giudizio, ma nel senso
che la sua partecipazione non è spontanea, dipendendo da un’iniziativa di una delle parti originarie o del giudice.
L’art. 106 CPC in particolare si riferisce all’intervento su istanza in parte “Ciascuna parte può chiamare nel processo
un terzo al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende essere garantita.” I presupposti richiesti dall’art. 106
CPC affinchè l’istanza possa operare sono quindi quello della comunanza di causa o della Garanzia (chiaramente sarà
sufficiente la presenza di solo uno dei due). In generale il soggetto che può utilizzare lo strumento della chiamata può
essere sia l’attore, sia il convenuto, sia il terzo a sua volta chiamato (sebbene tale strumento sia nella maggior parte dei
casi utilizzato dal convenuto).
Comunanza di causa
Con questo termine il legislatore ha voluto dare una nozione molto ampia, perché causa comune altro non significa che
causa connessa e in generale si può dire vi sia una non tassatività della norma che dunque si può dire in un certo senso
“aperta”. Dunque qualsiasi connessione crea la possibilità di chiamare in causa (connessione per titolo o per oggetto
essendo il cumulo “soggettivo”). In questo caso in realtà il terzo si trova nella stessa situazione che è condizione neces-
saria per l’intervento volontario ex art. 105 comma 1 ed anche la sua situazione da un punto di vista processuale sarà
molto simile. Come già rilevato a chiamare in causa il terzo può essere sia l’attore che il convenuto ed in entrambi i casi
l’interesse a farlo sarà quello di poter far valere la sentenza anche nei confronti del terzo che diviene infatti processuale.
- Individuazione del vero obbligato→ Tizio cita in giudizio Caio perché sarebbe obbligato al risarcimento di un danno
nei suoi confronti. Caio si difende affermando che il danno è in realtà stato causato da Sempronio. Il giudice accerta
l’esistenza del diritto di Tizio al risarcimento ma ritiene fondata l’eccezione di Caio. Il problema è che questa
sentenza se Sempronio non diviene parte processuale non potrà avere effetto su di lui, allora l’ordinamento risolve
questo inconveniente rendendo possibile all’attore di chiamare in causa anche il terzo. Quindi potrebbe succedere
per assurdo che Tizio non riceva alcun risarcimento del danno.
- Individuazione del vero titolare→ Fabio locatore cita in giudizio il conduttore Luca perché obbligato al canone nei
suoi confronti, potrebbe accadere che il giudice dia ragione a Fabio con la sua sentenza. Dopodichè con una nuova
causa Luigi che aveva venduto l’immobile a Fabio un anno prima con un contratto ritenuto nullo, chiama in causa
il conduttore Luca per chiedergli il canone, ebbene la vecchia sentenza non è vincolante per Luigi e quindi ben
potrebbe accadere che il giudice accerti il suo diritto al canone. Quindi potrebbe succedere per assurdo che Luca sia
obbligato a pagare due canoni.
Il legislatore all’art. 106 CPC interviene proprio per porre un rimedio a questi inconvenienti o deficit di tutela legati ai
limiti del giudicato. Allora visto che il terzo diventa parte, la sentenza sarà vincolante anche nei suoi confronti. Occorre
poi distinguere tra:
A) Chiamata non innovativa→ il cumulo è solo soggettivo. La sentenza è opponibile al terzo ma il giudice non si pro-
nuncia anche sulla sua situazione. In questo caso i poteri del terzo chiamato in causa sono equivalenti a quelli dell’in-
terventore adesivo. Gli effetti degli atti compiuti dalle parti principali vincolano anche il terzo solo nel caso in cui il suo
diritto sia dipendente da un punto di vista sostanziale (ad es. il subconduttore sarà toccato dalla rinuncia del sublocatore
al contratto di locazione principale; viceversa il fideiussore non è vincolato dalla confessione del debitore principale):
lo stesso varrà per la sentenza: nei confronti del soggetto titolare di una situazione autonoma non è vincolante se frutto
di un atto dispositivo della parte, nei confronti del soggetto titolare di una situazione dipendente è sempre vincolante a
meno che l’atto dispositivo integra gli estremi del dolo e della collusione.
B) Chiamata innovativa→ il cumulo è sia soggettivo che oggettivo. Cioè l’attore chiama in causa il terzo non solo per
rendergli opponibile la sentenza ma anche per ottenere una sentenza che abbia ad oggetto il rapporto sostanziale che
intercorre tra i due. E’ chiaro che questo cumulo oggettivo si sarebbe potuto realizzare anche ab initio con una domanda
alternativa.
Garanzia
L’altro tipo di chiamata in causa prevista dall’art. 106 CPC è la chiamata in garanzia. Si tratta di un istituto di diritto
processuale che trova le sue radici nel diritto sostanziale: un soggetto in caso di soccombenza ha diritto di essere tenuto
in tutto o in parte indenne da un altro soggetto. Dunque presupposto per la nascita del diritto del garantito nei confronti
del garante è la sua soccombenza. La chiamata del garante in ogni caso serve a opporgli la sentenza giudicata, nel caso
in cui il garante non fosse infatti chiamato potrebbe in un secondo processo eccepire la cd. exceptio litis malae gestae,
nel senso che il garantito avrebbe potuto vincere la causa principale.
Garanzia propria e impropria. La Garanzia può essere propria o impropria, nel primo caso l’obbligo di garanzia sorge
dalla legge o dal rapporto giuridico su cui si fonda la domanda principale, nel secondo caso la garanzia sorge da un dato
estrinseco al rapporto giuridico che fonda la domanda principale. La distinzione tra Garanzia propria e impropria se-
condo la giurisprudenza rende impossibile applicare alla seconda l’art. 32 CPC che consente di derogare alle regole di
competenza in caso di chiamata in causa del garante: questo tipo di scelta è criticata da Luiso. Un esempio di garanzia
impropria è data dalla situazione che sorge a seguito della vendita a catena: il cliente potrà agire contro il venditore che
però dovrà essere a sua volta garantito dal grossista.
Garanzia formale e garanzia semplice. All’interno della garanzia propria distinguiamo tra garanzia formale e garanzia
semplice. Nel primo caso il garante oltre a subire gli effetti del giudicato sarà obbligato ad assumere presso di sé la lite
se il garantito lo richiede, dalla quale il garantito sarà quindi estromesso. L’esempio tipico è quello del conduttore che
deve essere tenuto salvo da un eventuale pretesa da parte di terzi. Quindi nella garanzia formale abbiamo: effetti del
giudicato + assunzione della lite.
Nella garanzia semplice questo obbligo di assumere la lite da parte del garante invece non sussiste, un esempio è quella
che regola le obbligazioni solidali. In ogni caso l’ordinamento consente di proporre già direttamente la domanda giudi-
ziale nei confronti del garante in modo tale che il giudice nell’arco dello stesso processo decida anche di questa, senza
la necessità di instaurare tanti diversi processi. Il giudice allora pronuncia una sentenza che condanna il garante nei
confronti del garantito ma tale obbligo nascerà solo dopo che il garantito abbia pagato l’attore principale.
Poteri del terzo. Rispetto alla causa principale il garante avrà poteri di allegazione e istruttori ma non poteri dispositivi,
mentre sulla propria causa nel caso di chiamata innovativa il terzo ha pieni poteri. Le preclusioni maturate per le altre
parti non operano nei confronti del terzo.

51. L’intervento per ordine del giudice


Art. 107 CPC “Il giudice, quando ritiene opportuno che il processo si svolga in confronto di un terzo al quale la causa
è comune, ne ordina l’intervento”. Anche in questo caso si parla di intervento “coattivo” ma in maniera analoga all’in-
tervento su ordine di parte, solo nel senso che il terzo va in giudizio non per via di una sua libera scelta.
Libera valutazione giudice→ A differenza del litisconsorzio necessario la chiamata in causa del terzo avviene dopo una
valutazione del giudice che dunque deve valutare l’opportunità della chiamata in causa del terzo. Si ritiene che a questa
valutazione siano prevalentemente riconducibili anche esigenze istruttorie (cioè la partecipazione del terzo consenti-
rebbe di acquisire una più ampia cognizione dei fatti di causa).
Conseguenze mancata citazione del terzo→ Chiaramente il giudice non chiama direttamente il terzo ma ordina alle parti
di farlo e nel caso in cui queste non eseguano la causa entra in uno stato di quiescenza, nel senso che il giudice dispone
con ordinanza non impugnabile la cancellazione della causa dal ruolo ma il processo potrà essere riassunto dalle parti
entro il termine di tre mesi.
“comunanza della lite”→ Secondo Mandrioli in questo caso c’è la possibilità sia di un cumulo oggettivo che di uno
soggettivo, essendo il termine “comunanza della lite” volutamente generico, si realizza cioè una deroga o un’attenua-
zione del principio della domanda (la giurisprudenza sembra in realtà dargli ragione). Luiso e Protopisani non sono
d’accordo e ritiene che in realtà il cumulo in questi casi possa essere solamente soggettivo: il principio della domanda è
allora integro. In particolare secondo il Luiso l’atto del giudice sarebbe un mero atto di “impulso processuale” e mai di
proposizione della domanda.

Funzione e poteri
Accogliendo la tesi di Luiso, per quanto riguarda la funzione che si cerca di realizzare, possiamo distinguere due casi:
A) Il caso in cui la sentenza non lo vincoli (cd. situazione sostanziale istantaneamente connessa)→ si cerca di far valere
anche sul terzo gli effetti del giudicato. Ricordiamo che in questo caso gli atti di disposizione processuale delle parti
principali non lo vincolano
B) Il caso in cui la sentenza già lo vincoli (cd. situazione sostanziale permanentemente connessa)→ si cerca di dare la
possibilità al terzo di difendere la posizione della parte principale e indirettamente anche la propria (l’esempio è sempre
quello del subconduttore). In questo caso gli atti dispositivi delle parti lo vincolano.
*In ogni caso per il terzo mai valgono le preclusioni maturate per le parti, in quanto l’udienza alla quale è chiamato in
causa è per lui l’udienza di prima comparizione.
CAP. 14: Altri mutamenti nella posizione delle
parti
52. L’estromissione
In alcuni casi si verifica un fenomeno che porta a una diminuzione dei soggetti intesi come parti processuali, cioè come
destinatari degli effetti degli atti processuali.
Cosa non è estromissione
- non si ha quindi estromissione se il minore diventa maggiorenne perché ciò che rileva è il destinatario degli effetti
degli atti processuali e quindi non avviene alcuna modificazione su questo piano.
- non si ha estromissione quando c’è allontanamento per ragioni di rito o di merito (nonostante molti addetti ai lavori
utilizzino per queste circostanze, volgarmente, questo termine)
Estromissione del garantito
Ricordiamo che il garantito nella garanzia formale può chiedere di essere difeso dal garante, in questo caso chiaramente
il primo soggetto sarà estromesso. Il garante sta in giudizio in nome proprio anche se non per difendere una propria
situazione sostanziale, quindi c’è sostituzione processuale: il mancato rispetto del contraddittorio è giustificato dal fatto
che è lo stesso soggetto titolare della situazione sostanziale a chiedere di uscire dal giudizio. Una cosa va sottolineata:
il garantito resta destinatario degli effetti della sentenza, non di quelli degli atti processuali, quindi ad esempio gli effetti
di rito della sentenza e la condanna alle spese non lo riguarderanno. Secondo l’art. 108 CPC l’estromissione ha luogo
qualora le altre parti non si oppongano (cioè poi la controparte originaria), una possibile eccezione potrebbe essere che
il garante non garantisce sufficientemente il pagamento delle spese.
Il provvedimento con il quale il giudice deciderà sarà sotto la forma di sentenza in caso di opposizione o altrimenti di
ordinanza.
Estromissione dell’obbligato
Questa situazione può verificarsi in caso di lite fra pretendenti, nella quale cioè è controversa non l’esistenza, bensì la
titolarità del diritto: in questo caso se il debitore obbligato dichiara di essere pronto ad eseguire la prestazione, il giudice
può ordinarne l’estromissione previo deposito della cosa o della somma dovuta. Peraltro attraverso il deposito il debitore
si mette al riparo anche dagli effetti della mora debendi. Questo tipo di situazione si verifica solitamente:
A) C’è un attore che allega il suo diritto di credito nei confronti del convenuto debitore, quest’ultimo chiama in causa il
terzo attraverso la tecnica dell’intervento su istanza di parte perché vuole assicurarsi che non debba adempiere due volte.
B) C’è un attore che allega il suo diritto di credito nei confronti del convenuto debitore, c’è intervento adesivo principale
di un terzo soggetto che dichiara di essere lui il titolare di quel diritto di credito.
La forma del provvedimento è analogamente alla garanzia quella della sentenza o dell’ordinanza. In ogni caso l’oggetto
del processo non si riduce solo alla titolarità attiva della prestazione, ma continua ad essere l’obbligo correlato a tale
situazione, cioè la posizione sostanziale dell’obbligato: solo in questo modo potrà su di lui valere come cosa giudicata
la sentenza finale di merito.

53. La successione nel processo


Art. 110 CPC “Quando la parte vien meno per morte o per altra causa, il processo è proseguito dal successore univer-
sale o in suo confronto.”
La norma in esame si riferisce al fenomeno della successione processuale che è un qualcosa di diverso, come cercheremo
di spiegare, rispetto alla successione nel diritto. Chiaramente la morte riguarda le persone fisiche, mentre “per altra
causa” ci si riferisce alle persone giuridiche visto che le persone fisiche possono perdere la capacità giuridica solo
appunto per morte: si pensi alla fusione, la società incorporante o quella risultante dalla fusione prosegue in tutti i
rapporti, e anche quelli processuali, delle società precedenti.
Funzione
La funzione è quella di consentire il proseguimento del processo che per sua natura ha una struttura trilaterale (attore-
convenuto-giudice): è necessario quindi che la parte venuta meno sia sostituita da un altro soggetto. E come già rilevato
qui si riferisce alla situazione processuale, la situazione sostanziale non rileva, ciò che importa all’ordinamento è di
trovare un soggetto al quale imputare gli effetti degli atti processuali affinchè il processo possa arrivare alla fine: che
poi spesso il successore a livello processuale coincida anche col successore nel diritto controverso non ci autorizza a
creare nessuna regola generale e due casi lo dimostrano:
1. Ipotesi di successione a titolo universale nel diritto a cui non si accompagna il venire meno della parte (es. a livello
sanitario alla fine degli anni 70’ ci fu questo fenomeno di successione a titolo universale nel diritto tra enti. Ma ad
esempio l’INAM, ente che ha trasferito le sue funzioni ad un altro ente, è continuato ad esistere come soggetto di diritto).
2. Ipotesi inversa, cioè di venuta meno della parte senza successione a titolo universale (si pensi anche ai casi di diritti
intrasmissibili ma anche nei casi di legittimazione straordinaria, la situazione sostanziale dedotta in giudizio in realtà
riguarda il legittimato ordinario eppure tale successione si riferisce alla parte processuale e quindi la morte ad es. del
surrogato non rileverebbe).
Effetti
Nei confronti del successore permangono tutti gli effetti giuridici favorevoli e sfavorevoli che si sono prodotti nei con-
fronti del dante causa, del resto buona parte della dottrina afferma esplicitamente come tale fenomeno vada in realtà
maggiormente nell’interesse della controparte che non di chi “succede” nel processo.
Confusione processuale
Casi in cui il successore universale è la controparte di chi è venuto meno:
A) La controparte è l’unico successore universale→ il processo non ha motivo di continuare (il soggetto è infatti credi-
tore e debitore di sè stesso).
B) La controparte è uno dei successori universali e succede pro-quota nel diritto dedotto in giudizio→ Continua a stare
in giudizio per sé mentre alla parte venuta meno subentrano tutti gli altri eredi (eccetto la controparte ovviamente)
C) La controparte è l’unico successore universale ma il diritto controverso si trasferisce a titolo di legato→ Qui avremo
una deroga alla regola generale del 110 e in giudizio vedremo cioè opposti il legatario e la controparte.
* La situazione delle società
La questione sul “venir meno” delle società risulta particolarmente controversa.
1) In particolare l’estinzione delle persone giuridiche non sempre dà luogo ad una successione a titolo universale. In
questo solco si inserisce la tendenza della dottrina più recente che ravvisa nella fusione e nella incorporazione una mera
vicenda modificativa: si dice che la società venga meno come conseguenza formale del mutamento della veste giuridica
e quindi continua a stare al processo. L’art. 2504 bis CC indicando come effetto della fusione la prosecuzione in tutti
rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione, sembra dare ragione a questo orientamento.
2) In caso di estinzione per effetto della liquidazione invece occorre chiaramente trovare soluzioni differenti. La giuri-
sprudenza ritiene ormai che l’estinzione si perfeziona con l’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese.
Secondo la Corte di Cassazione in questi casi si verifica un fenomeno di successione a titolo particolare, con i soci che
rispondono nei limiti di quanto riscosso con la liquidazione o eventualmente in maniera illimitata se erano soci illimita-
tamente responsabili. Secondo Luiso potrebbe essere trovata una migliore soluzione: si potrebbe cioè valorizzare l’art.
28 dlgs 175/2014 nella parte in cui consente alla società estinta sul piano sostanziale, di continuare a sopravvivere su
quello processuale durante tutto il corso del processo fallimentare e tributario.

54. La successione nel diritto controverso


Art. 111 CPC comma 1 “se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare,
il processo prosegue tra le parti originarie” e al comma 2 “se il trasferimento a titolo particolare avviene a causa di
morte, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto”.
Luiso inizialmente analizza la figura del legato ponendo una distinzione tra legato di genere e legato di specie, nel primo
c’è un diritto che non esiste prima dell’apertura della successione (ad es. Tizio lascia il diritto ad un vitalizio per la sua
vecchia domestica), nel secondo c’è invece un diritto che preesiste rispetto all’apertura della successione e quindi può
darsi successione a titolo particolare in una causa eventualmente pendente (es. Tizio lascia come legato un orologio alla
sua domestica).
Funzione
Senza l’art. 111 CPC sorgerebbero numerosi inconvenienti. Facciamo alcuni esempi:
- [Successione dal lato dell’attore] Tizio agisce contro Caio per un credito. Tizio in corso di causa cede il credito a
Sempronio. Tizio perde la causa. Senza l’art. 111 CPC Sempronio potrebbe instaurare un nuovo processo nei
confronti di Caio, con il debitore che si troverebbe a subire due volte un processo in relazione allo stesso oggetto.
L’art. 111 CPC invece afferma che in caso di successione a titolo particolare è come se il cedente continuasse a
stare in processo come sostituto processuale del cessionario, sul quale quindi la sentenza varrà come giudicato.
- [Successione dal lato del convenuto] Tizio agisce contro Caio per la costituzione di una servitù sul suo fondo. Caio
nel corso del processo cede la proprietà di quel fondo a Sempronio. Così Tizio vince la causa. Ecco nuovamente il
problema, senza questa regola Tizio (attore) dovrà instaurare un nuovo processo nei confronti dell’acquirente del
fondo, con la prima causa che diventerebbe inutile.
E’ bene avere chiaro che la situazione dell’avente causa non è identica da un punto di vista oggettivo a quella della parte
originaria ma soltanto collegata da un vincolo di pregiudizialità.
In base agli esempi fatti possiamo iniziare ad intravedere la funzione dell’art. 111 CPC:
Si tratta dell’introduzione di una deroga alla regola generale sui limiti soggettivi di efficacia della sentenza: la
sentenza non ha effetto nei confronti dei terzi, eccetto che per i successori a titolo particolare (Art. 111 CPC
comma 4). Allora l’avente causa sarà vincolato da questa sentenza anche se non chiamato in giudizio: si parla di
attenuazione del principio del contraddittorio.

Il problema di quando la successione è anche estinzione


In alcuni casi la successione determina anche l’estinzione della situazione oggetto del processo. Abbiamo infatti:
A) Situazioni in cui successione=estinzione dell’oggetto della causa. Tizio agisce contro Caio per l’accertamento del
diritto di proprietà e nel corso del processo lo cede a Sempronio. Se il convenuto eccepisce che la situazione è estinta,
la sentenza sarà di rigetto perché ciò che rileva è il momento dell’udienza di precisazione delle conclusioni e purtroppo
in base all’art. 111 CPC questa produrrà effetti anche nei confronti di Sempronio avente causa.
B) Situazioni in cui successione non significa estinzione dell’oggetto della causa. Tizio agisce contro Caio per l’accer-
tamento della proprietà e nel corso del processo costituisce un diritto reale minore su quel bene immobile nei confronti
di Sempronio.
Dunque questa successione che equivale a estinzione avrebbe effetti sul merito, rendendo certo il rigetto della sentenza.
Occorre allora cercare di ovviare a questo inconveniente, ma come?
1.Ipotesi 1 – Nullità e inefficacia sostanziali→ si potrebbe affermare la nullità e l’inefficacia degli atti di disposizione
del diritto controverso. Così però “si userebbe il bazuca per uccidere la formica”, nel senso che questa soluzione pare
un po' esagerata e rischierebbe di paralizzare la circolazione dei beni.
2. Teoria dell’irrilevanza→ Si potrebbe dire che le modificazioni conseguenti alla successione sono irrilevanti ai fini
della decisione di merito. Questa teoria va molto bene quando la successione è dal lato dell’obbligato (Es. Tizio agisce
in rivendicazione nei confronti di Caio che in corso di causa cede il possesso del bene a Sempronio, vediamo come
eliminando la rilevanza dell’estinzione, Caio potrebbe ottenere una sentenza favorevole e farla valere nei confronti di
sempronio), mentre non funziona quando la successione è dal lato dell’attore (es. Tizio agisce contro Caio per un diritto
di credito che poi cede a Sempronio, Tizio magari vince la sentenza perché l’estinzione è irrilevante. Bene, ecco il
problema: Caio si trova obbligato da un punto di vista sostanziale nei confronti dell’avente causa e obbligato dalla
sentenza nei confronti del dante causa).
3. Teoria della rilevanza→ In base a questa teoria diventa rilevante appunto la successione perché muta l’oggetto del
processo: dopo la successione l’oggetto del processo diventa il diritto dipendente del cessionario e non più quello
originario del cedente. In questo modo il dante causa si trasforma in sostituto processuale del suo avente causa, facendo
valere quindi non il diritto suo ma quello dell’avente causa.
Quindi:
La sentenza ha effetto nei confronti dell’avente causa e ciò è confermato da questa ricostruzione. Non si potrebbe però
impedire all’avente causa di entrare a far parte del processo di sua spontanea volontà una volta che egli lo ritenga
opportuno. Si può dire che l’avente causa che interviene acquisisce poteri più o meno equivalenti a quelli dell’interven-
tore adesivo dipendente ex art. 105 CPC
Possibili evoluzioni del processo in caso di successione nel diritto controverso
1) Svolgimento del processo prima della successione→ Nulla quaestio
2) Svolgimento del processo dopo la successione ma prima che il successore diventi parte in senso processuale→ Situa-
zione più delicata: il dante causa che rimane nel processo dovrà necessariamente essere munito di pieni poteri, in assenza
dei quali non potrà tutelare adeguatamente il diritto dipendente dell’avente causa. Qualcuno ritiene che il dante causa
non abbia quei poteri cd. disponibili (es. confessione) in quanto spettanti ormai all’avente causa: secondo Luiso invece
è da ritenere che lui possa disporne a livello processuale in quanto pur non essendo titolare del diritto continua ad averne
il potere di disposizione.
3) Svolgimento del processo quando il successore diviene parte in senso processuale→ C’è da dire innanzitutto che
l’intervento e la chiamata non incontrano i limiti temporanei generalmente previsti. Inoltre con la chiamata o intervento
si realizza una sorta di litisconsorzio unitario, nel senso che dante e avente causa diventano parti necessarie del processo
senza la possibilità di separazione della controversia che è unica.
4) Svolgimento del processo in caso di estromissione del dante causa→ In questo caso vi può essere l’estromissione del
dante causa (chiaramente solo laddove la successione riguardi l’intero oggetto della domanda), previo chiaramente con-
senso di tutte le altre parti e sempre con la forma della sentenza o dell’ordinanza.
L’art. 111 CPC assegna al successore anche la possibilità di utilizzare gli ordinari mezzi di impugnazione e cioè secondo
dottrina e giurisprudenza anche laddove questi non sia intervenuto.

55. Segue. Gli effetti della sentenza


Lo stesso art. 111 CPC all’ultimo comma riporta “La sentenza pronunciata contro questi ultimi (il dante causa) spiega
sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare ed è impugnabile anche da lui, salve le norme
sull’acquisto in buona fede dei mobili e sulla trascrizione”.
La prima precisazione che è da fare riguarda la parte in cui la disposizione afferma che la sentenza pronunciata contro
il dante causa spiega i suoi effetti “anche contro il successore a titolo particolare”: il legislatore qui intende dire che
anche la sentenza contro il dante causa spiega i suoi effetti contro il successore a titolo particolare, non che quella
favorevole al dante causa non lo faccia, del resto questa seconda conclusione si ricava da altre regole (in particolari
quelle sostanziali).
Il presupposto
Ogni volta che una sentenza è efficace anche nei confronti di terzi esiste una fattispecie cui è subordinato il prodursi
dell’efficacia: questo del resto è anche logico, visto che applicano i principi generali sull’efficacia del giudicato la sen-
tenza mai potrebbe raggiungere risultati simili. Sul Luiso vengono riportati alcuni esempi:
- Nel caso di sentenza efficace nei confronti del subconduttore la fattispecie condizionante richiesta sarà la presenza
di un rapporto di sublocazione.
- Nel caso di sentenza efficace nei confronti del successore a titolo universale, la fattispecie condizionante richiesta
sarà data dal fatto che il soggetto effettivamente sia successore a titolo universale della parte.
E quindi:
Nel caso in esame la sentenza potrà essere efficace anche del successore nel diritto controverso affinchè vi sia una certa
fattispecie condizionante, cioè che vi sia stata la successione nel diritto controverso e in particolare:
A) Se il successore a titolo particolare diviene parte del processo→ la fattispecie condizionante sarà già accertata all’in-
terno del processo.
B) Se il successore a titolo particolare non diviene parte del processo→ la fattispecie condizionante non sarà automati-
camente accertata con la sentenza, del resto se un atto produce certi effetti a certe condizioni, tale atto non potrà auto-
attestare già di per sé queste condizioni (cioè quella che abbiamo chiamato fattispecie condizionante).
Norme sulla trascrizione e sull’acquisto in buona fede di mobili
L’efficacia della sentenza nei confronti del successore deve essere coordinata con le norme sulla trascrizione e sull’ac-
quisto in buona fede dei beni mobili, conseguentemente:
- Ipotesi di diritto immobiliare trascritto prima della proposizione della domanda→ Non opponibilità del giudicato
- Acquisto in buona fede bene mobile non registrato→ Non opponibilità del giudicato
In particolare Luiso concentra la sua attenzione sull’acquisto in buona fede del bene mobile non registrato e secondo lui
in questi casi la sentenza non sarebbe efficace non in virtù di limiti soggettivi ma oggettivi. Questo perché il terzo è in
realtà un “terzo indifferente” perché in realtà l’acquisto di beni mobili non registrati è a titolo originario: tra gli elementi
che assegnano una certa posizione all’acquirente a titolo originario di certo non rientra il diritto del suo dante causa, che
in tre parole “non è pregiudiziale” ad esso. In realtà poi Luiso conclude che alle medesime conclusioni si arriva in tutte
le ipotesi di acquisto a titolo originario.

56. La trascrizione delle domande giudiziali


La funzione della trascrizione è quella di risolvere il conflitto tra due aventi causa dallo stesso dante causa non sulla
base della priorità dell’atto di acquisto ma sulla base della priorità della trascrizione dell’atto di acquisto. La trascrizione
però, almeno nel nostro sistema, non ha funzioni ulteriori.
Trascrizione e successione nel diritto: effetto processuale (Art. 2653 CC)
La norma dell’art. 111 CPC richiama quella sulla trascrizione di cui agli art. 2652-53 CC. L’effetto è il seguente:
1) Nel caso in cui la trascrizione dell’acquisto dell’avente causa sia avvenuta prima della trascrizione della domanda
giudiziale→ Il terzo non è toccato dalla sentenza perché non è successore nel diritto controverso.
2) Nel caso in cui la trascrizione dell’avente causa sia avvenuta dopo la trascrizione della domanda giudiziale→ Il terzo
è successore nel diritto controverso ed è quindi toccato dalla sentenza.
Quindi i parametri qui non sono più, come avviene normalmente, quelli dell’acquisto e della domanda giudiziale bensì
quelli della trascrizione della domanda e della trascrizione dell’atto di acquisto.
Trascrizione e successione nel diritto: effetto sostanziale (Art. 2652 CC)
Sul piano sostanziale si verifica quella che è una sospensione dei generali criteri “resoluto iure dantis, resolvitur et ius
accipientis” (venuto meno il diritto del dante causa, viene meno anche quello dell’avente causa) e “nemo plus iuris in
alium trasnferre potest quam ipse habet” (Il dante causa non può trasferire più diritti di quelli che ha). Fino a 150 anni
fa del resto tale meccanismo sul piano sostanziale non agiva e allora accadeva che sul piano processuale vi fosse una
tutela nei confronti del soggetto che aveva trascritto l’acquisto anteriormente: quindi la sentenza non aveva effetti e non
era vincolante su di lui. Sul piano sostanziale però nulla impediva successivamente al primo soggetto di instaurare un
nuovo contraddittorio nei confronti del terzo.
Il legislatore però è intervenuto predisponendo un meccanismo per agevolare quella che è la circolazione di beni attra-
verso quindi una sospensione di quei due principi generali in alcuni frangenti: a certe condizioni il subacquirente diventa
insensibile sul piano sostanziale al venire meno del titolo del suo dante causa.
- N.1 art. 2652 CC → Se c’è trascrizione dell’atto di acquisto prima della trascrizione della domanda giudiziale, c’è
completa immunità sul piano sostanziale rispetto alle ipotesi di risoluzione, rescissione, revocazione delle donazioni
ecc. del primo contratto.
- N.2 art. 2652 CC→ Prevalenza della trascrizione della sentenza di obbligo a contrarre che prende data dalla
trascrizione della domanda.
- N.3 art. 2652 CC→ Prevalenza della trascrizione della sentenza che accerta la trascrizione in caso di acquisto tramite
scrittura privata che prende data dalla trascrizione della domanda.
- N.5 Art. 2652 CC → Se c’è trascrizione dell’atto di acquisto unita alla buona fede e al titolo oneroso prima della
trascrizione della domanda giudiziale allora anche qui c’è immunità rispetto all’azione revocatoria.
- N.6 Art. 2652 CC→ Qui ci si riferisce all’ipotesi di nullità del primo contratto e si richiede l’anteriorità della
trascrizione dell’atto di acquisto del terzo rispetto alla trascrizione della domanda di nullità + la buona fede + il
decorso di cinque anni.
E’ chiaro che questa salvezza non ha efficacia erga omnes: se ad esempio si presenta dal terzo un soggetto che dichiara
di essere proprietario e di non aver avuto nessun rapporto con il dante causa del terzo, allora è chiaro che tali meccanismi
non opereranno.
La ratio della norma è quella di invertire il rischio dell’insolvenza che ricade non sul terzo ma sul primo dante causa. In
ogni caso l’art. 2668-bis prevede che la trascrizione della domanda produce questi effetti solo per 20 anni, questo onde
evitare che questa risulti trascritta magari trenta o quaranta anni in attesa di una pronuncia formale.
CAP. 15: La nullità degli atti processuali
56. Procedimento, processo e atto processuale
Mandrioli e Luiso si trovano d’accordo sull’inquadramento del processo nella categoria del “procedimento”. Il proce-
dimento altro non è che un modo speciale di combinarsi tra loro degli atti che si caratterizza per via del fatto che gli
effetti finali vengono prodotti dall’atto finale, ma allo stesso tempo gli atti si trovano in una forma particolare di “inte-
razione” in quanto ciascun atto è presupposto dell’atto successivo e presuppone quello precedente. Il processo è quindi
quella particolare tipologia di procedimento caratterizzata dal principio del contraddittorio e dalla parità delle armi (Se-
condo Mandrioli inoltre il presupposto di ogni atto è il potere che poi trova appunto attuazione nell’atto processuale). Il
processo è dunque un procedimento formato da una serie di atti che prendono appunto il nome di “atti processuali”.
Atto processuale e negozio
L’atto processuale è dunque quello che presenta le caratteristiche di cui abbiamo parlato e anche la definizione Carne-
luttiana di “processualità dell’atto non per il suo compiersi nel processo ma per il suo valere all’interno del processo”,
nel senso di funzione intermediaria tra due atti processuali è piuttosto coerente al discorso in esame. L’atto processuale
secondo parte della dottrina (tra cui Luiso) sarebbe atto giuridico in senso stretto in quanto privo dei connotati del
negozio: nell’atto processuale non si guarda alla volontà dei fini, ma alla volontarietà dei comportamenti, con questo
intendiamo dire che:
- All’interno della disciplina degli atti processuali non si fa riferimento a elementi accidentali, nonché alla volontà,
sia nella sua formazione, sia nella sua estrinsecazione→ E’ impossibile negare la validità degli atti processuali sulla
base di questi profili. Secondo alcuni autori è proprio la natura procedimentale del processo che rende impossibili
indagini difficili e delicate come quelle sugli elementi della volontà: la validità deve emergere da dati obiettivi e
facilmente controllabili.
- In un certo senso anche per sopperire a questa assenza di indagine sulla volontà la legge ha esteso in profondità la
disciplina delle forme che, dunque nonostante il residuale principio di libertà delle forme, è destinata ad essere
protagonista. Il senso è che, per la legge, se l’atto ha quei requisiti formali allora si presume compiuto
consapevolmente e non per caso: in questo senso emerge ancora di più il ruolo della forma come surrogato
dell’accertamento della volontà. Il fatto che in un certo senso la forma surroghi ogni indagine della volontà consente
di enunciare il cd. principio generale dell’ordinamento della cd. congruità della forma dell’atto al suo scopo
obiettivo, ad esempio Tizio potrà citare Caio in giudizio augurandosi in cuor suo che Caio non venga a conoscenza
del processo ma le forme imposte all’atto di citazione consentono all’atto di conseguire il suo scopo obiettivo che
in questo caso è diverso da quello “personale” dell’attore. In un certo senso quindi all’interno del processo lo scopo
obiettivo supera le intenzioni personali.

57. Nullità formale, Inesistenza, Nullità extraformale.


Confronto tra mondo processuale e teoria generale

Art. 156 CPC “Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità
non è comminata dalla legge.
Può tuttavia essere pronunciata quando l'atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello
scopo.
La nullità non può mai essere pronunciata, se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”
La nullità formale prevista dal CPC è differente rispetto a quella di teoria generale sotto diversi profili:
1) Mentre in sede di teoria generale ogni divergenza tra fattispecie astratta e fattispecie concreta rende invalido l’atto,
qui troviamo una nullità possibile solo se espressamente prevista dalla legge oppure laddove tale divergenza renda ini-
doneo l’atto al conseguimento del suo scopo (si pensi all’atto di citazione che non mette il convenuto nelle condizioni
di difendersi).
2) I rapporti tra validità ed efficacia divergono rispetto a quanto avviene in sede di teoria generale. Le ipotesi da analiz-
zare sono quattro:
- Atto valido ed efficace (ipotesi fisiologica)→ nulla quaestio
- Atto valido ma inefficace → Chiaro che in questo caso l’invalidità deve essere temporanea sennò non ha senso. L’ipo-
tesi è quella della Vacatio legis.
- Atto invalido e inefficace→ In questo caso non è necessario esercitare un’azione di impugnativa entro un certo termine,
in quanto basta far constatare in ogni tempo e con ogni mezzo da parte di chiunque che gli effetti non si sono prodotti.
Nel diritto processuale questa categoria prende il nome di inesistenza.
- Atto invalido ed efficace → Questa combinazione deve prevede che l’atto possa si produrre i suoi effetti ma con la
possibilità di essere tolto di mezzo attraverso una impugnativa. Questa categoria nel diritto privato prende il nome di
annullabilità, mentre in quello processuale di nullità: è questa quindi la nullità formale ed a questo fenomeno si rivolge
l’art. 156 CPC che si riferisce appunto a vizi formali.
Art. 156 e il conseguimento dello scopo
Quindi l’art. 156 CPC prevede che la nullità si ha quando espressamente prevista dalla legge e quando l’atto è privo dei
requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo. Infine al terzo comma si dice anche che la nullità non possa
essere pronunciata nei casi previsti dal primo comma quando l’atto abbia raggiunto il suo scopo. L’art. 156 al terzo
comma rende possibile la sanazione di quei vizi previsti al primo comma. Ma cosa dobbiamo intendere per “raggiungi-
mento dello scopo”?
A) Produzione degli effetti giuridici→ Risposta errata perché priva di senso: quello che ci chiediamo è proprio se
quell’atto può produrre quel dato effetto giuridico.
B) Raggiungimento di un certo evento materiale la cui realizzazione quel requisito mancante doveva favorire→ risposta
esatta.
Esempio: L’atto di citazione può presentare tutti i requisiti formali e nonostante ciò essere inidoneo al raggiungimento
del suo scopo obiettivo e quindi essere nulla; L’atto di citazione allo stesso tempo può essere carente sul piano formale
e nullo ai sensi del 1’ comma ma valido in quanto “sanato” dal 3’ comma e cioè idoneo al conseguimento di quello
scopo obiettivo (quindi alla realizzazione di quel dato evento materiale).
Rilevazione della nullità (profilo dinamico)
Art. 157 CPC “Non può pronunciarsi la nullità senza istanza di parte, se la legge non dispone che sia pronunciata di
ufficio.
Soltanto la parte nel cui interesse è stabilito un requisito può opporre la nullità dell'atto per la mancanza del requisito
stesso, ma deve farlo nella prima istanza o difesa successiva all'atto o alla notizia di esso.
La nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa, né da quella che vi ha rinunciato anche tacitamente.”
Lo strumento col quale si fa valere la nullità è detto eccezione di rito che non va confusa con l’eccezione di merito. Se
per le eccezioni di merito il giudice può rilevarle tutte d’ufficio eccetto che quelle espressamente riservate alle parti, per
le eccezioni di rito vale la regola opposta: solo nelle ipotesi espressamente previste il giudice potrà sollevare d’ufficio
l’eccezione di rito.
L’estensione
Art. 159 CPC “La nullità di un atto non importa quella degli atti precedenti, né di quelli successivi che ne sono indi-
pendenti.
La nullità di una parte dell'atto non colpisce le altre parti che ne sono indipendenti.
Se il vizio impedisce un determinato effetto, l'atto può tuttavia produrre gli altri effetti ai quali è idoneo.”
La nullità di un atto non comporta la nullità degli atti precedenti o di quelli successivi che sono indipendenti: questo del
resto è coerente alla definizione del processo come procedimento. In linea di massima si può dire che comunque la
nullità di un atto processuale incide sulla sentenza, rendendo anch’essa nulla. Regola valida e che subisce soltanto un
paio di eccezioni:
1) La prima in caso di riconoscimento da parte del giudice che l’atto è nulla e non ne tiene conto nella sentenza (ad
esempio un testimone non poteva deporre, non si considera la sua testimonianza ai fini della pronuncia).
2) La seconda quando l’atto nullo non è utilizzato dal giudice anche se il giudice non ne dichiari espressamente la nullità
(ad esempio un testimone non poteva deporre ma il giudice emette una pronuncia di rito per carenza di un presupposto
processuale).
Conversione in motivo di impugnazione
Art. 161 CPC “La nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può essere fatta valere soltanto
nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione.
Questa disposizione non si applica quando la sentenza manca della sottoscrizione del giudice.”
La regola prevista al comma 1 è in realtà il riconoscimento processuale di una norma presente anche a livello sostanziale:
se la legge prevede determinati mezzi e modalità di impugnazione per determinati vizi, allora questi non potranno essere
dedotti in una sede diversa da quella prevista. Ad esempio: la nullità non sanata della notificazione della citazione
determina la nullità della sentenza, ma questa non può non essere fatta valere se non con gli ordinari mezzi di impugna-
zione.
Segue. Art. 161 CPC comma 2 (Inesistenza)
“Questa disposizione non si applica quando la sentenza manca della sottoscrizione del giudice”
Il principio dell’onere dell’impugnazione non si applica quando l’atto è inesistente, anziché semplicemente nullo. Quindi
la sentenza senza sottoscrizione può essere si impugnata ma anche senza impugnazione vi sono altri mezzi per far valere
il vizio. Affianco alla mancata sottoscrizione vi sono altre ipotesi di inesistenza della sentenza:
- Ipotesi concernenti il giudice→ es. sentenza emessa da un soggetto privo di potere giurisdizionale (come il sindaco)
o quando è prevista collegialità e questa non viene rispettata.
- Ipotesi concernenti provvedimento emesso verso una parte che era già inesistente (priva di capacità giuridica) al
momento della proposizione della domanda.
- Oggetto della decisione incerto o non individuabile→ Es. il giudice ha accertato il diritto di proprietà di Tizio su un
bene non identificabile.
- Sentenza priva dei requisiti minimi indispensabili per lo svolgimento della propria funzione→ Es. sentenza scritta
a mano con grafia incomprensibile. In questo caso il legislatore si limita a riconoscere una situazione nella quale
ontologicamente la sentenza sarebbe inutile.
Nullità extraformali: i vizi dei presupposti processuali
- Rilevabili normalmente d’ufficio salvo nei casi espressamente previsti (regola inversa rispetto a quella dei vizi
formali).
- Effetti della sanatoria: Si acquisisce la possibilità di pronunciare sul merito, gli atti di trattazione del merito compiuti
prima della sanatoria devono essere nuovamente compiuti salve le ipotesi di ratifica o di trattazione davanti a giudice
incompetente. Gli effetti sostanziali della domanda si sanano ex tunc o ex nunc a seconda dei casi.

CAP. 16: Le spese e i danni processuali


57. Il principio victus victoris
L’attività processuale inevitabilmente ha dei costi: si pensi alle spese necessarie per il difensore e quelle eventuali degli
ausiliari del giudice o dei consulenti tecnici. La regola vuole che le parti debbano anticipare le spese degli atti compiuti,
di quelli che chiede di compiere e di quelli per i quali la legge o il giudice pongono a suo carico l’anticipazione. Partendo
dai costituzionali principi del diritto di azione e di difesa non si potrà però far sì che la necessità di agire o di difendersi
vada a danno della parte che ha ragione, da ciò ricaviamo il principio del victus victoris. Nel nostro ordinamento nulla
impedisce di parlare anche di “diritto di aver torto”, però questo sicuramente non si può pretendere di averlo gratis.
Partendo da ciò Luiso critica l’art. 91 IV comma CPC secondo il quale “nelle cause previste dall’art. 82, primo comma,
le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice non possono superare il valore della domanda”, disposizione
accusata di incostituzionalità in quanto rende “scoraggia” l’esercizio del diritto d’azione e/o di difesa. L’art. 91 prevede
che al termine di ogni fase del processo, il giudice di regola liquida alla parte vincitrice le spese sostenute e le pone a
carico della parte soccombente: importante precisare come per parte si intenda la “parte processuale”, cioè il soggetto
destinatario degli effetti degli atti processuali (le spese non potranno essere liquidate a favore della parte contumace che
per definizione non compie attività processuale). Il fatto che la parte condannata alle spese è quella destinataria degli
effetti della lite è confermato a contrario anche dall’art. 94 CPC che prevede la possibilità di condanna alle spese del
rappresentante della parte seppure per gravi motivi.
Va rilevato come in ogni caso il principio del victus victoris subisca dei contemperamenti:
- all’art. 92 CPC quando afferma che il giudice possa non liquidare le spese sostenute dalla parte vincitrice se ritenute
superflue o eccessive.
- ai sensi dell’art. 92 CPC → il giudice può condannare la parte al rimborso delle spese che l’altra ha dovuto sostenere
a causa della violazione del dovere di lealtà e proibità.
- ai sensi dell’art. 92 comma 2 CPC → Il giudice può compensare le spese in tutto o in parte in caso di soccombenza
reciproca o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti.
Il principio di causalità
Il principio sopra citato non può essere applicato in maniera rigida: andrà infatti bilanciato col principio di causalità, nel
senso che le spese vanno a carico della parte che ha causato la necessità del processo. Sulla base di questo principio si
spiega anche l’art. 91 comma 1 CPC nella parte in cui prevede che nel caso in cui il giudice accolga la domanda in
misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condannerà la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo
tale proposta al pagamento delle spese del processo maturate successivamente alla proposta. Attenzione però perché
anche la portata dell’art. 91 comma 1 va limitata: in caso di domanda di condanna una mera proposta conciliativa del
convenuto non è sufficiente se non accompagnata da almeno una serie offerta di adempimento.
Il principio di globalità
La soccombenza deve essere valutata globalmente: il parametro è l’atto finale del processo, non rileva dunque se in una
fase precedente la parte globalmente vittoriosa abbia avuto torto.
Per quanto riguarda il procedimento cautelare, c’è:
- sia la possibilità che la liquidazione sia fatta dal giudice della fase cautelare nel caso in cui questa preceda il processo
di merito e sia rigettata o si ottenga un provvedimento cautelare anticipatorio: questo perché la fase di merito
potrebbe anche non esserci (eccezione).
- Sia la possibilità che la liquidazione sia fatta dal giudice di merito qualora l’istanza cautelare sia proposta appunto
all’interno di un processo di merito.
Un’altra eccezione si ha in caso di pronuncia di incompetenza: non si determina l’estinzione del processo che potrebbe
ben essere riassunto, eppure la giurisprudenza ritiene che la parte soccombente sia condannata alle spese.
In ogni caso resta fermo il principio secondo cui l’allocazione delle spese dovrà essere rivista qualora il processo conti-
nui, con possibilità di ribaltamento della precedente sentenza.

58. Liquidazione
La liquidazione delle spese è effettuata d’ufficio e costituisce un capo della sentenza, se del caso impugnabile con i
normali mezzi di impugnazione.
Sanzione
Si prevede inoltre che il giudice possa condannare la parte soccombente anche al pagamento, a favore della parte vitto-
riosa, di una somma equitativamente determinata (oltre alle spese). I presupposti sono quelli della colpa lieve o grave e
del dolo e si segnala l’assenza di criteri di calcolo di essa. Questo ha portato la corte costituzionale a ritenere legittima
la norma ma a patto che la sanzione sia parametrata alle spese sopportate per la lite.
Altre regole
- Se vi sono più soccombenti, il giudice provvede alla liquidazione in proporzione al rispettivo interesse in causa e se
le parti hanno un interesse in comune può anche pronunciare condanna solidale.
- Le spese del processo esecutivo sono a carico di chi subisce l’esecuzione.
- Se nel corso del processo si verifica una causa che determina l’estinzione del processo e le parti non trovano un
accordo sulle spese, il giudice deve decidere le sorti delle spese sulla base di quello che sarebbe stato l’ipotetico
esito.
- Il giudice può devolvere le spese direttamente al difensore della parte laddove sia stato egli stesso ad anticipare le
spese della lite.
Danni
Lo svolgimento dell’attività processuale può produrre dei danni a carico della parte che abbia avuto ragione. La disci-
plina del risarcimento di questi danni si può quasi considerare anch’essa diretta conseguenza del protagonista principio
victus victoris: tuttavia vi sono delle differenze rispetto alla liquidazione delle spese, infatti in questo caso sarà richiesto
anche un elemento soggettivo, oltre a quello oggettivo della soccombenza. Le ipotesi sono due:
a) La parte soccombente abbia agito e resistito in processo con mala fede o colpa grave. Malafede, esistenza del danno
e soccombenza devono essere richiesti da chi chiede la condanna risarcitoria. Si ritiene vi possa essere una separazione
del giudizio sull’an da quello sul quantum.
b) La parte soccombente nel merito aveva trascritto una citazione, ottenuto un provvedimento cautelare, iscritta ipoteca
giudiziale o fatto ricorso all’esecuzione forzata.
La domanda per il risarcimento del danno sarà di competenza esclusiva dello stesso giudice di fronte al quale pende la
controversia che vedrà poi soccombente una parte. Essa non costituisce una domanda nuova ed è quindi proponibile la
prima volta anche in appello.

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