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Riassunto carnefici, vittime e spettatori

I carnefici
Chi era Hitler? Nacque il 20 Aprile 1889, suo padre Alois era doganiere, sua madre
Klara era molto più giovane. Adolf era l’unico sopravvissuto, insieme ad una sorella,
di sei figli.
Durante l’adolescenza frequentò le scuole della città senza brillare troppo, aveva
ottimi voti solo in arte e ginnastica. Nonostante la sua passione per l’arte, non fu
accettato all’Accademia di Vienna. Nel 1914 si arruolò volontariamente nell’esercito
tedesco e poco prima della fine del conflitto fu asfissiato dai gas, ma rimase in
uniforme anche dopo essere guarito. Al 1919 risale il suo primo documento esplicito
sugli ebrei: affermava che gli ebrei sfruttano le nazioni, nominavano la forza e le
infettavano con la tubercolosi. Analizzò poi la parola “antisemitismo” sostenendo che
ne esistevano due tipi: quello emotivo caratterizzato da da sfoci temporanei; e quello
razionale che avrebbe dovuto tramutarsi in provvedimenti legali tendenti
all’eliminazione finale degli ebrei. Hitler aveva 30 anni quando scrisse queste cose,
ma il contesto non aveva dei veri precedenti alla base. Si pensava che il medico che
aveva in cura la madre, fosse ebreo. Si spiegherebbe così il perché nella propaganda
nazista il ruolo dei medici ebrei era per Hitler particolarmente pericoloso per i
tedeschi. Nel 9 Novembre 1923, incoraggiato dall’esempio italiano, Hitler tentò un
colpo di stato però fallito che lo portò ad un periodo di carcere dove iniziò a scrivere
Mein Kampf . In seguito a questo periodo decise di intraprendere una strada legala per
entrare nel mondo politico, cosa che riuscì solamente nel 1932. Nel 30 gennaio 1933
venne nominato cancelliere del Reich. L’aspetto di Hitler era quello della semplicità.
Portava un’uniforme normale, senza medaglie, parlava spesso del periodo di guerra
come soldato semplice. Dopo la morte del presidente Hindenburg rifiutò la carica e
infine, rinunciando al rango di Cancelliere del Reich, rimase solo il capo, il Führer. In
questo modo dava l’idea dell’essenzialità e delle totalità. Da quel momento la
Germania percorse un sentiero indicato dalla logica interna, con sempre minore
esitazione e durezza crescente contro i suoi nemici. Gli Ebrei erano il principale
avversario. La battaglia condotta era una difesa, la resa dei conti per tutto ciò che
avevano commesso.
Hitler non decideva nulla da solo. L’apparato burocratico era ben strutturato e dal
momento che la sua persona si poneva al di là della stessa burocrazia, non era
l’autore delle leggi o delle direttive che firmava. Tuttavia non rinunciò mai alla
prerogativa di intervenire, sia per opporre il suo veto a un’azione sia, in casi
straordinari, per sancirla.
L’operazione non fu mai centralizzata. Non venne creato un organismo incaricato
degli affari ebraici e non fu stanziato un fondo per finanziare l’opera di distruzione.
L’attività si svolse semplicemente dalla pubblica amministrazione, dai militari
dell’industria e dal partito. Ciascuna organizzazione facente parte era responsabile di
un segmento specifico del processo di distruzione. Il burocrate incaricato si occupava
di supervisionare che tutti i pezzi del puzzle combaciassero. Ad esempio Eichmann
disponeva di rappresentati in vari paesi satelliti che agivano da consulenti dei diversi
paesi stranieri. Il suo ufficio controllava le comunità ebraiche del Reich in Austria,
Moravia e Boemia e i suoi uomini negoziavano per le deportazioni. Eichmann fu in
seguito processato ed impiccato in Israele. Ma la sorte non fu la stessa per tutti. Ad
esempio Hans Globke redasse numerosi decreti all’epoca. Ma non fu mai giustiziato,
anzi venne promosso all’Ufficio del Cancelliere federale, fino al 1963. E quando
andò in pensione con tutti gli onori si dedico al suo hobby della numismatica.
È interessante notare che davanti al fenomeno i carnefici assumevano degli attributi
differenti: alcuni erano zelanti, altri erano sadici, altri ancora erano rassegnati ad
obbedire.
I primi erano coloro che cercavano di svolgere il loro compito sempre al meglio,
erano instancabili. Un esempio di questa categoria è Adolf Eichmann, scriveva
promemoria, viaggiava e pungolava gli altri.
Diversamente dagli zelanti il cui compito era più amministrativo che sul campo, vi
erano coloro che brutalizzavano deliberatamente le vittime, le torturavano e traevano
piacere da questo. Molto spesso questa era determinata da impazienza. In alcuni casi
addirittura giocavano con le loro vittime: li utilizzavano come cavalli, per esercitarsi
per il tiro a bersaglio, oppure nel caso delle donne a scopi sessuali. La brutalità era
una delle conseguenze di una prassi sempre più distruttiva, tuttavia vi era chi poneva
davanti a sé dei problemi morali.
Coloro che eseguivano solamente gli ordini erano per lo più una fascia di persone
dubbiose, non del tutto convinte di ciò che stavano facendo, con forti dissidi
psicologici dovuti all’immoralità di ciò che stava accadendo.
Questo si riscontrava per lo più in assassini privi di esperienza, alcuni dei quali
rimanevano tremanti davanti alle loro vittime e qualche volta non riuscivano a
sparare per uccidere. Per questo serviva allenamento.
Le vittime
Una caratteristica ubiquitaria della dominazione nazista sulla comunità ebraica fu il
sistema dello judenräte o consigli ebraici. Tali corpi servivano a due scopi: costruire
il tramite delle norme imposte dagli ebrei, ma dovevano anche essere il canale delle
petizioni delle vittime ai carnefici. I tedeschi infatti non volevano trattare con i
singoli ebrei.
Prima che Hitler salisse al potere, tali organizzazioni servivano a garantire il
benessere delle comunità ebraiche. Una volta salito al potere, chiedevamo
attenuazione o differimento delle severe restrizioni e imposizioni. Si ritrovavano
infatti a dover applicare una serie di richieste delle autorità, come fornire
informazioni statistiche, consegnare i nani degli ebrei, reclutare manodopera, ecc.
Nella categoria delle vittime rientrano anche tutte quelle persone riuscire a fuggire
prima del disastro, costrette a lasciare tutto, cambiare vita. Tra i primi a partire furono
i benestanti, alcuni ebrei stranieri, gli insegnanti, gli artisti, studenti che noni avevano
più la possibilità di studiare, ecc. La maggior parte delle partenze furono registrate
intorno al 1933 periodo in cui Hitler salì al potere, ma successivamente calarono
poiché si iniziò a sperare nella fine del regime, molto più che portarsi addosso il peso
dell’esilio dalla propria casa. Crebbero nuovamente intorno al 1930/1939. Sebbene
molti profughi riuscirono a cavarsela, anzi moltissimi furono gli studiosi che tutt’oggi
vengono ricordati, altri invece, soprattutto coloro che arrivarono nei territori con
lingua inglese, subirono un processo di depressione economica e psicologica.
Un aspetto interessante riguarda lo sterminio di genere: l’uccisione colpì gli uomini
in quanto uomini e le donne in quanto donne. Nonostante le donne ebree fossero
numericamente superiori rispetto agli uomini, la percentuale di uomini uccisi è
nettamente superiore rispetto quella delle donne. Uno dei motivi alla base è che il fine
del lavoro e manodopera era ben presente nel piano dello sterminio e dunque il
reclutamento delle donne risultava essere limitato. Ma all’interno dei campi le donne
avevano vita più breve: solo un terzo dei sopravvissuti ad Auschwitz erano donne;
mentre in molti altri campi pochissime o quasi nessuna sopravvisse.
La situazione dei bambini era ancora diversa. Le difficoltà per loro iniziavano
dall’angusta vita che dovevano fare all’interno dei ghetti a causa delle difficili
condizioni in cui vivevano i loro genitori. Tantissimi erano i bambini che vagavano
per le strade in cerca di aiuto; bambini che furono abbandonati; molto meno raro che
riuscissero a fuggire insieme alle famiglie. Il punto è che i bambini rappresentavano
all’interno di questa grande organizzazione un grosso problema: rappresentavano la
garanzia biologica del futuro degli ebrei e non erano utili nemmeno come forza
lavoro. Ecco perché i bambini centro i campi di concentramento avevano vita molto
breve.
Alla fine del processo di sterminio dopo il maggio 1945 erano vivi più di un milione
di ebrei. Si salvarono coloro che vivevano in zone in cui il processo non era ancora
iniziato poiché era stato difficile mobilitare tutta l’Europa; coloro che erano riusciti a
fuggire in vari modi ad esempio assumendo nuove identità e falsi documenti; e poi
coloro che erano sopravvissuti ai campi in condizioni pessime. Tuttavia questi ultimi
ritenevano di essere ben diversi dal resto poiché loro c’erano e non separarono
nettamente se stessi dai morti. Ma tra questi per lo più si evince che essi avevano
delle specifiche caratteristiche fisiche, cioè erano giovani e godevano di ottima salute
prima di entrare nei campi; sociali avevano senz’altro dei vantaggi coloro che
ricoprivano un ruolo importante; psicologiche poiché molti dei sopravvissuti
tenevano troppo alla vita, erano determinati a vivere.
Ma tutti loro condividevano delle cose: avevano perso molto, sia in termini materiali,
che in termini soggettivi: avevano perso la loro identità, il loro essere, il loro nome, il
loro sentirsi uomini davvero.

Gli spettatori
Nei luoghi interessati, sebbene non se ne parlasse esplicitamente, era impossibile non
notare l’assenza di ebrei, la scomparsa delle loro proprietà, troppi erano i segnali, ma
regnava una vera e propria sorda consapevolezza. Nel corso dell’aggressione, alcuni
che non facevano parte della comunità ebraica aiutarono i loro vicini ebrei e un
numero incalcolabile di altri rimasero a guardare. L’aiuto non fu massicciò e fu dato
nella maggior parte dei casi all’ultimo momento.
L’aiuto si poteva dare in due modi. Il primo era occasionale, transitorio è
relativamente esente da rischi: per esempio avvertire una vittima dell’arresto
imminente, sviare gli inseguitori oppure fornire beni, cibo, denaro. Il secondo era un
aiuto più prolungato, cioè offrire rifugio e nascondere. Molto spesso c’erano
questioni di lucro alle spalle.
Nella catastrofe infatti i profittatori furono più numerosi dei soccorritori. Sul mercato,
il ritiro delle proprietà ebree ha avuto un impatto significativo per gli imprenditori. Ci
si era liberati della concorrenza.
Durante la fase del concentramento, della deportazione e dello sterminio i carnefici
cercarono di sottrarre le vittime allo sguardo della gente. I responsabili non volevano
cattiva pubblicità di ciò che stava accadendo. Ma più avanti gli osservatori erano
venuti a conoscenza del segreto; alcuni fecero capire di aver saputo qualcosa, ma
senza manifestare con chiarezza le loro intuizioni.
In seguito alla storica diaspora degli ebrei, si era creata una patina atemporale che li
legava per generazioni. Questo portò alla nascita di consistenti comunità ebraiche per
tutto il mondo. Una vastissima era la comunità inglese. Questi non erano stati vittime
di nessuna discriminazione, per questo in un primo momento poterono aiutare gli
immigrati ebrei, ma successivamente poiché si verificò un incremento troppo grande
del numero di questi, decisero di interrompere gli aiuti.
Una seconda comunità invece era quella palestinese, la quale stava già affrontando
problemi di coesione interna e che nel pieno degli anni della distruzione preferirono
salvaguardare i loro territori da possibili attacchi da parte dei nazisti, piuttosto che
intervenire in ciò che stava accadendo.
In generale, anche per gli alleati il problema principale, non era la questione ebraica,
era la guerra. Anche per gli Stati Uniti e la Gran Bretagna la liberazione degli ebrei
era solamente un prodotto secondario dopo la Vittoria della Guerra.

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