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Università di Genova – Dipartimento di Scienze della Formazione Corso di Studi in Scienze dell’educazione e della formazione – A.A.

2020/21

Prova intermedia - 18 novembre 2020

Andrea Mancini 4241315

Pensiero critico e argomentazione


Traccia 1

La questione proposta dal filosofo italiano è fondamentale, centrale nella speculazione filosofica, egli
tematizza – dalla mia umile lettura interpretativa – il paradigma dell’approccio relazionale (procedendo con
la lettura del testo spiegherò perché faccio questa asserzione), <<il problema della verità>> nell’ambito
della gnoseologia, inoltre, egli asserisce che quest’ultimo coincida con << il problema critico>>.

Sciacca ha un approccio relazionale in quanto, implicitamente lascia intuire che egli cerca non in sé stesso
ma in altro il principio della realtà, per lui esiste qualcosa di oltre alla “semplice” ragione umana: la
metafisica.

Uno dei capostipiti della speculazione filosofica metafisica è Platone, egli sostiene che la realtà fenomenica
non è in grado di giustificare sé stessa e che quindi esige di un principio metafisico trascendente e
relazionale, Platone teorizza l’esistenza delle idee che sono esse stesse il principio metafisico, esse inoltre,
sono l’essere potremmo dire con la E maiuscola poiché esse sono le fondamenta di ogni essere finito.

Credo che la posizione del filosofo novecentesco sia molto simile alla visione dell’antico greco, l’italiano –
speculando sempre sulla citazione – inoltre, cerca e trova nel vero la radice di ogni problema di tipo critico.

Dal titolo del libro da dove viene tratta la citazione, ovvero “L’interiorità oggettiva” posso anche dedurre la
posizione dell’autore intorno alla questione sul vero, egli credo che possiamo definirlo come relativista
poiché vede la soggettività come mezzo, per aver come fine: l’assoluta verità.

Paradossalmente quest’assoluta verità soggettiva viene messa in discussione, in tal modo nella mia mente
riemergono le speculazioni filosofiche di Cartesio, che del dubbio fa una virtù: e se ci fosse un genio
maligno che quotidianamente inganna le nostre percezioni? Allora i nostri costrutti della realtà sarebbero
del tutto erronei con quel che è veramente la realtà, allora noi essere umani non saremmo mai in grado di
conoscere.

Io personalmente credo che per conoscere sia evidente che ci deve essere un cardine, un chiodo al muro
che tenga il quadro gnoseologico immacolato, esso per me è il principio dialettico, per il quale la
conoscenza avviene per mezzo della comunicazione dinamica e costante fra mente e realtà, senza i filtri di
un genio maligno che ci inganna costantemente. Credo che questa mia posizione sia l’unica che permetta
all’essere umano di rimanere attaccato ad un concetto di realtà comune che verrebbe travolto da quel
vortice mistico solipsista, dove non si riesce mai a staccarsi da sé stessi, ove le uniche speculazioni possibili
sono all’interno di noi – sempre dentro al nostro logos quindi al pensiero e alla sua interpretazione del
linguaggio tramite le parole e la sua esplicazione tramite l’argomentazione, tramite il discorso: il mettere
insieme più parole coerentemente dandogli un valore semantico - e mai al di fuori, apro una questione: il
logos appartiene al soggetto che lo ospita? Platone risponderebbe non credo.

Vorrei concludere il mio tema, con una citazione spero pertinente e coerente con la traccia : <<Alle origini
della filosofia, la ricerca del principio metafisico rappresenta la questione principale se non unica: quale sia
l’elemento costitutivo della realtà, la sua origine il suo scopo è la domanda per eccellenza a cui il filosofo
intende rispondere, non con l’immaginazione propria del mito, ma con le risorse intuitive e argomentative
de logos, assunto come chiave interpretativa dell’essere. >>

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