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ANTOLOGIA DEL
DIGESTO DI GIUSTINIANO
Testi tradotti e annotati
ad uso degli studenti
da
Francesca Scotti
Milano 2006
Immagine di copertina: Cesena, Biblioteca Malatestiana, Pluteo sin. IV, cod 2 fol. 206 v: incipit del libro 35
del Digesto, De condicionibus et demonstrationibus et causis et modis eorum quae in testamento scribuntur.
Da: Università e studenti a Bologna nei secoli XIII e XIV, a cura di Carlo Dolcini, UTET, Torino 1988, p. 103.
Prefazione ...................................................................................................5
Avvertenze...................................................................................................9
Abbreviazioni ............................................................................................11
Simboli......................................................................................................11
Testi tradotti e annotati..............................................................................13
Esempi di formule processuali ................................................................207
Elenco alfabetico dei giuristi...................................................................215
Elenco cronologico dei giuristi e degli imperatori ...................................221
Elenco dei frammenti ..............................................................................225
Indice degli argomenti.............................................................................227
3
PREFAZIONE
5
splicabile quanto più lontano dalla nostra mentalità e dalle conquiste civili del
nostro tempo, ispirato com’è, ad es., alla schiavitù come istituto accettato e minu-
ziosamente disciplinato, alla perpetuità della patria potestas, all’individualismo del
pater (che impronta il diritto di famiglia e il diritto ereditario secondo lo stretto ius
civile, benché non secondo le riforme pretorie) e così via.
Ma la funzione dell’insegnamento delle Istituzioni non è più, a mio avviso (e a
questo avviso ho uniformato da anni i miei corsi), soltanto quello di illustrare i con-
tenuti normativi e il regime degli istituti del diritto romano, bensì quello di intro-
durre alla conoscenza, sia pure molto limitata, elementare e sommaria, del Digesto
di Giustiniano1: il diritto romano è soprattutto qui, nei testi della giurisprudenza
romana, più che nei manuali moderni (molti dei quali sono peraltro eccellenti). “Le
fonti romane hanno essenzialmente per contenuto decisioni di migliaia e migliaia
di casi pratici. Ora, proprio questa circostanza, mentre fa di esse un’opera legisla-
tiva assai difettosa, conferisce loro un valore incomparabile quale mezzo di inse-
gnamento. Uno studio accurato delle decisioni che esse contengono addestra, infat-
ti, a cogliere nei casi decisi i lineamenti di fatto giuridicamente essenziali, a vede-
re, e ad impostare esattamente, le questioni da cui la decisione dipende, ad adope-
rare con sicurezza, nella loro soluzione, i vari metodi dell’argomentazione giuridi-
ca; in pari tempo, fa guadagnare una nozione precisa dei concetti fondamentali e
un’intuizione concreta della efficienza dei principi. Soprattutto, esso educa quello
che si potrebbe chiamare l’occhio clinico del giurista: l’attitudine, cioè, ad intuire
i concetti nelle concrete situazioni di fatto e ad applicare a queste i principi giuri-
dici che le governano... Solo quando sia praticato con questo spirito lo studio del
diritto romano <può> cessare di essere materia di erudizione o mero apprendi-
mento di nozioni da esporre all’esame, per diventare mezzo di vigorosa disciplina
mentale, parte viva e integrante della nostra educazione giuridica”2.
1 A questo metodo è improntato anche il corso di Istituzioni di diritto romano tenuto dalla
prof. Lauretta Maganzani nella Facoltà di giurisprudenza nella sede di Piacenza dell’Università
Cattolica del Sacro Cuore: un’antologia di testi della giurisprudenza romana, per autore, si trova
nella sua opera intitolata Formazione e vicende di un’opera illustre. Il Corpus Iuris nella cultura
del giurista europeo, Torino 2002, p. 212 ss. Della stessa Autrice gli studenti volonterosi, che
desiderino informarsi sul Digesto e imparare a consultarlo, possono attingere al volume Fonti e
strumenti di ricerca. Metodo di consultazione per lo studio del diritto romano ad uso degli stu-
denti, Como 1988, p. 18 ss.
2 E. BETTI, Esercitazioni romanistiche su casi pratici, I (ed unico). Anormalità del negozio
giuridico, Padova 1930, p. 1 s.
6
Le esercitazioni integrative del corso di Istituzioni, tenuto quest’anno nell’Uni-
versità Cattolica di Milano, come i seminari degli anni accademici precedenti, sono
state organizzate in questa prospettiva didattica e affidate alla dott. Francesca Scot-
ti, assegnista di ricerca nell’Università Cattolica. Chi crede che il diritto costitui-
sca un sapere tecnico che ci viene dalla giurisprudenza romana, la quale per seco-
li ha educato intere generazioni di giuristi, che la sopravvivenza dell’insegnamen-
to del diritto romano nelle Facoltà di giurisprudenza è legittimata dallo studio delle
opere dei giuristi, intese come educazione al rigore del metodo e del linguaggio,
alla concisione e alla chiarezza, che sono l’etica dello stile del giurista, come di
qualunque intellettuale investito di responsabilità (e la responsabilità del giurista
verso gli uomini e la società è davvero grande), chi crede in queste cose non trove-
rà probabilmente inutile questo esperimento didattico.
L’antologia, affidata alla dott. Francesca Scotti, riassume il contenuto e il meto-
do delle esercitazioni integrative del corso di Istituzioni di diritto romano, che,
come già detto, la dottoressa ha tenuto quest’anno: metodo e contenuto calati nella
traduzione italiana e nelle note di commento. Chi ha esperienza di traduzione dalle
lingue antiche ne conosce le difficoltà, che aumentano notevolmente quando si ha
a che fare con testi giuridici e, ancor più, con quelli dei giuristi romani. Ogni tra-
duzione presuppone un procedimento analitico, spesso faticoso e complesso, volto
ad interpretare il testo, nell’intento di comprenderne il significato profondo: la tra-
duzione comincia da qui; si tratta infatti di riprodurre il pensiero del giurista anti-
co espresso in una lingua, come quella latina, che dal punto di vista sintattico e
semantico e per la sua peculiarità tecnica è lontana dalla nostra di una ventina di
secoli. Questo spiega certe libertà di traduzione, ad es. nella resa dei tempi e dei
modi verbali: tempi e modi che nel latino dei giuristi esprimono i piani temporali
del caso concreto, non sempre riproducibili in italiano. La traduzione non dovreb-
be peraltro sostituire l’originale, ma aiutare la lettura dell’originale: per agevolarla
l’autrice ha corredato le traduzioni di note di commento, che hanno lo scopo di
chiarire agli studenti i punti più delicati del testo e di giustificarne le scelte inter-
pretative3.
Giovanni Negri
7
AVVERTENZE
9
I rinvii contenuti nelle note di commento ad altri frammenti si riferiscono ai
soli frammenti riportati nell’Antologia, salvo poche eccezioni: un elenco più
completo di riferimenti e di rinvii si trova nell’Indice degli argomenti. Si fa talo-
ra richiamo ai passi delle Istituzioni di Gaio e delle Istituzioni di Giustiniano,
anche se questi non sono in genere trascritti e tradotti in nota.
Nelle note non è indicata la bibliografia. Si fa eccezione per le opere seguen-
ti: O. LENEL, Palingenesia iuris civilis, voll.2, Lipsiae (= Lipsia) 1889 (rist.
Roma 2000); L. MAGANZANI, Fonti e strumenti di ricerca. Metodo di consultazio-
ne per lo studio del diritto romano, ad uso degli studenti, Como 1992; L. MAGAN-
ZANI, Formazione e vicende di un’opera illustre. Il Corpus Iuris nella cultura del
giurista europeo, Torino 2002; D. MANTOVANI, Le formule del processo privato. Per
la didattica delle Istituzioni di diritto romano, Padova 1999 (rist. 2003); G.
NEGRI (a cura di), Il Digesto giustinianeo. Passi scelti, tradotti e annotati ad uso
degli studenti, Como 1995 (da questo libro sono tratte, con mutamenti, alcune
traduzioni, nonché gli esempi di formule processuali); G. NEGRI, Esempio di
interpretazione del legato nel diritto romano e nella giurisprudenza dei tribunali
italiani moderni, in Nozione, formazione e interpretazione del diritto dall’età
romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al prof. F. Gallo, vol.III,
Napoli 1997, p. 605 ss. Si citano inoltre, su alcuni punti, i manuali istituziona-
li più spesso indicati nell’Università Cattolica agli studenti del corso di Istitu-
zioni: V. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano, 14a ed., Jovene, Napoli
1994; B. BIONDI, Istituzioni di diritto romano, 4a ed., Giuffré, Milano 1972, non-
ché M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, ed. Giuffré, Milano 1990. Gli
studenti interessati potranno consultare questi manuali, data la loro diffusione,
senza difficoltà5.
Francesca Scotti
5 Un’utile opera di consultazione è il Dizionario giuridico romano, 3a ed., di Autori Vari, con
introduzione del prof. Antonio Guarino, ed. Simone, Napoli 2000, che consente di informarsi
rapidamente e con precisione sui più importanti istituti del diritto romano privato e pubblico.
10
ABBREVIAZIONI
SIMBOLI
§ = paragrafo
§§ = paragrafi
<...> = parentesi uncinate
11
TESTI TRADOTTI E ANNOTATI
Iuris gentium conventiones quaedam Certi accordi del ius gentium generano
actiones pariunt, quaedam exceptiones. azioni, altri eccezioni. 1. Quelli che
1. Quae pariunt actiones, in suo generano azioni non si qualificano con
nomine non stant, sed transeunt in un proprio nome, ma acquistano il
proprium nomen contractus: ut emptio nome specifico di un contratto3, come
venditio, locatio conductio, societas, la compravendita, la locazione condu-
commodatum, depositum et ceteri zione, la società, il comodato, il depo-
similes contractus. sito ed altri ancora.
13
2. D.3.54.20(21) pr. Paolo, nono libro del commentario all’editto
14
3. D.6.112.5 pr. e 1 Ulpiano, sedicesimo libro del commentario all’editto
15
3. D.6.1.5 pr. e 1 Ulpiano, sedicesimo libro del commentario all’editto
22 Pomponio.
23 “In modo da poterle isolare come erano prima della mescolanza. Ulpiano attribuisce
all’impossibilità di isolare le componenti un significato diverso da quello datogli dai quidam
(taluni giuristi) richiamati da Pomponio: egli ritiene cioè che il tutto appartenga a chi ha fatto
il mulsum, sia egli il proprietario del miele, sia egli il proprietario del vino” (NEGRI (a cura di),
Digesto cit., p. 11, nt.8).
24 Cioè è possibile separare i due metalli che lo compongono.
25 Sottinteso Pomponio.
26 Mantiene, cioè, la propria identità fisica.
16
4. D.6.1.38 Celso, terzo libro dei digesti
27 Cioè senza verificare se il venditore fosse o meno proprietario del fondo, ad es. fidandoti
della sua parola. L’acquisto è stato a non domino, cioè da un non proprietario.
28 Cioè il convenuto soccombe nel giudizio di rivendica intentato contro di lui da chi si vanta
proprietario del fondo. Fino alla litis contestatio il convenuto si considera possessore di buona
fede.
29 La soluzione dipende dalle modalità del caso.
30 Che hai fatto tu: cioè costruire o seminare sul fondo.
31 Supponi cioè che anche il proprietario avrebbe costruito o seminato sul fondo, se solo lo
avesse posseduto, nel qual caso, l’operato del possessore di buona fede avvantaggerebbe il pro-
prietario.
32 Il giudice non inviterà il convenuto a restituire, se l’attore non gli avrà previamente rim-
borsato le spese per le costruzioni o la semina, il che, nel diritto classico, è ammesso soltanto a
favore del possessore di buona fede.
33 Nei limiti, cioè, delle spese utili.
34 Se, ad es., il fondo vale 100 e con le migliorie 120.
35 Cioè, nell’es. della nt. precedente, si deve rimborsare l’ammontare delle sole spese soste-
nute per le migliorie, e non l’eventuale maggior valore ottenuto dal fondo in seguito a queste.
36 Il proprietario del fondo.
17
4. D.6.1.38 Celso, terzo libro dei digesti
37 Ad es., per venderli allo scopo di procurarsi il denaro per il rimborso delle spese di
miglioria.
38 Divinità domestiche che proteggono la vita e le attività della casa.
39 Degli ascendenti e degli antenati.
40 Da ciò che hai costruito sul fondo.
41 Il ius tollendi è consentito, purché il suo esercizio non rechi danno al fondo, peggioran-
done le condizioni. Si tratta di un’eccezione alla regola delle XII tavole, che vieta la separazio-
ne dei materiali di costruzione dal suolo: tignum iunctum aedibus vineave et concapit ne solvito
(divieto del “distacco delle travi dagli edifici e dei pali dalla vigna. Successivamente mediante
interpretazione estensiva sotto la denominazione di tignum si inte<nde> qualsiasi materiale
da costruzione. La legge non riguarda[...] direttamente la questione dei materiali altrui, ma
<ha> portata generale, cioè vieta[...] il distacco, anche allo stesso dominus del suolo, per esi-
genze edilizie o agricole”, così B. BIONDI, Istituzioni di diritto romano, Milano 1972, p. 245).
42 Sottinteso Ulpiano. Plurale maiestatis.
43 Per evitare il rischio di danneggiare il fondo.
18
4. D.6.1.38 Celso, terzo libro dei digesti
officias. Finge eam personam esse pitture, per nessun altro motivo che
domini, quae receptum fundum mox quello di nuocere al proprietario44.
venditura sit: nisi reddit, quantum Supponi che il proprietario sia uno
prima parte reddi oportere diximus, eo che, appena ricevuto il fondo, lo met-
deducto tu condemnandus es. terà subito in vendita: se non rimborsa
quanto all’inizio abbiamo detto che
deve essere rimborsato, tu sarai con-
dannato, dedotto questo ammontare45.
19
5. D.6.1.57 Alfeno, sesto libro dei digesti46
Is a quo fundus petitus erat ab alio Colui, al quale era stato chiesto un
eiusdem fundi nomine conventus est. fondo con l’azione petitoria47, venne
Quaerebatur, si alterutri eorum iussu convenuto da un altro per lo stesso
iudicis fundum restituisset et postea fondo48. Si chiedeva: se, per ordine del
secundum alterum petitorem res giudice, avesse restituito il fondo ad
iudicaretur, quemadmodum non duplex uno dei due e successivamente la
damnum traheret. Respondi, uter prior causa fosse stata giudicata in senso
iudex iudicaret, eum oportere ita favorevole all’altro rivendicante, come
fundum petitori restitui iubere, ut potesse evitare di subire un doppio
danno49. Risposi50: il giudice che giu-
dica per primo deve ordinare di resti-
tuire il fondo al rivendicante, previo
impegno di costui di prestare al pos-
46 I digesta di Alfeno raccolgono, in gran parte, soluzioni di Servio su questioni postegli dai
suoi auditores o dello stesso Alfeno.
47 Cioè con l’azione di rivendica.
48 Tizio, possessore di un fondo, è stato convenuto da Caio e Sempronio con due distinte
azioni di rivendica, che pendono davanti a giudici diversi.
49 “Se Tizio, possessore soccombente nel processo di rivendica intentato da Caio, restitui-
sce il fondo a Caio per evitare la condanna pecuniaria; e poi anche il giudice della causa inten-
tata da Sempronio riconosce la proprietà di quest’ultimo: Tizio non potrà restituire il fondo
anche a lui avendolo già restituito a Caio, e dovrà quindi subire la condanna pecuniaria a favo-
re di Sempronio” (NEGRI (a cura di), Digesto cit., p. 13, nt.2).
50 Alfeno.
20
5. D.6.1.57 Alfeno, sesto libro dei digesti
51 Il giudice che giudica per primo dovrà ordinare al convenuto (Tizio) di restituire il fondo
all’attore (Caio), purché quest’ultimo prima della restituzione si impegni con una stipulatio ad
indennizzare il convenuto nel caso in cui questi risulti soccombente anche nel secondo proces-
so e debba pagare la summa condemnationis a Sempronio. Ratio decidendi: se entrambi i riven-
dicanti vengono dichiarati proprietari del medesimo fondo da giudici diversi, ciò non deve pre-
giudicare il possessore del fondo, il quale, se consegna il bene al rivendicante che viene dichia-
rato proprietario per primo, è iniquo che debba poi pagare la summa condemnationis all’altro,
qualora anche quest’ultimo sia dichiarato proprietario. Il primo vincitore della causa, pertanto,
deve impegnarsi a rimborsare la litis aestimatio che eventualmente il convenuto sia condanna-
to a pagare nell’altro giudizio di rivendica.
21
6. D.6.1.58 Alfeno, terzo libro dei digesti epitomati da Paolo
A quo servus petebatur et eiusdem servi Colui, dal quale si pretendeva uno
nomine cum eo furti agebatur, schiavo con l’azione petitoria52 e con-
quaerebat, si utroque iudicio tro cui si agiva per un furto commesso
condemnatus esset, quid se facere dal medesimo schiavo53, chiedeva che
oporteret. Si prius servus ab eo evictus cosa avrebbe dovuto fare se fosse stato
esset, respondit, non oportere iudicem condannato in uno dei due processi54.
cogere, ut eum traderet, nisi ei Rispose55 che, se vi è stata prima l’evi-
satisdatum esset, quod pro eo homine zione dello schiavo56, il giudice57 non
iudicium accepisset, si quid ob eam rem deve costringere il possessore58 a con-
datum esset, id recte praestari; sed si segnarlo59 se non gli venga data sati-
prius de furto iudicium factum esset et sdatio60 che, se avrà61 accettato il
iudicium di furto62 relativo allo schia-
vo, gli sarà risarcito63 ciò che egli64
22
6. D.6.1.58 Alfeno, terzo libro dei digesti epitomati da Paolo
65 Cioè, la pena pecuniaria al cui pagamento sarà stato condannato: il giudice della riven-
dica inviterà Tizio a restituire lo schiavo a Caio, soltanto se Caio gli presterà satisdatio di inden-
nizzarlo se, contestata la lite nel processo di furto, egli soccombe in questo processo. Ratio deci-
dendi: dal momento che proprietario dello schiavo è Caio e non Tizio, è iniquo che Tizio, dopo
aver consegnato lo schiavo a Caio, debba anche subire la pena pecuniaria nel processo di furto.
66 Il possessore dello schiavo.
67 Per evitare la condanna.
68 Di rivendica.
69 Del giudizio di rivendica.
70 Valutazione economica dello schiavo e del danno subito dal proprietario.
71 Il possessore convenuto.
72 Il convenuto nel processo di rivendica non consegna lo schiavo perché l’ha già dato a
nossa nel corso del processo di furto esercitando con ciò il diritto di darlo a nossa: la mancata
restituzione nel processo di rivendica non può pertanto essere considerata dolosa.
23
7. D.8.173.9 Celso, quinto libro dei digesti
24
7. D.8.1.9 Celso, quinto libro dei digesti
direxisset, ea demum ire agere deberet servente84. È regola certa, invero, che
nec amplius mutandae eius potestatem egli85 debba esercitare l’iter e l’actus
haberet: sicuti Sabino quoque soltanto nel luogo in cui la prima volta
videbatur, qui argumento rivi utebatur, ha tracciato la via e che non abbia più
quem primo qualibet ducere licuisset, il potere di cambiarlo86: così riteneva
posteaquam ductus esset, transferre non anche Sabino, il quale si serviva del-
liceret: quod et in via servandum esse l’argomento del canale, che, se all’ini-
verum est. zio era lecito far passare dovunque,
dopo che è stato fatto passare non è
più lecito trasferirlo altrove87: ed è
vero che ciò si deve osservare anche
nel caso della via.
25
8. D.8.588.8.5-7 Ulpiano, diciassettesimo libro del commentario all’editto
88 Rubrica del titolo: Si servitus vindicetur vel ad alium pertinere negetur (= Se si rivendi-
chi la servitù o si neghi che un altro ne sia titolare).
89 Responsum di Aristone su un caso sottopostogli da Cerellio Vitale.
90 Conformemente al diritto.
91 Cerellio Vitale, proprietario degli edifici superiori.
92 Cioè del caseificio. Cerellio Vitale, proprietario di appartamenti ai piani superiori, subi-
sce le esalazioni di fumo provenienti dal caseificio dei piani inferiori: chiede quindi ad Aristo-
ne se il proprietario del caseificio abbia il diritto di emettere tali esalazioni. Aristone gli rispon-
de che è necessaria la costituzione di un diritto di servitù a vantaggio del caseificio, perché que-
st’ultimo possa continuare ad immettere il fumo.
93 Aristone.
94 Come non si può immettere fumo dai piani inferiori a quelli superiori di un edificio senza
che vi sia un diritto di servitù che lo consenta, così non si può immettere acqua o qualunque
altra cosa dal fondo superiore in quello inferiore senza un diritto di servitù.
95 La libertà dell’esercizio del diritto trova un limite nel diritto altrui.
96 Sul piano del diritto, anche quella di acqua è immissione.
97 Sottinteso “se sembra al giudice che”: intentio della formula dell’actio negatoria.
98 Aristone.
26
8. D.8.5.8.5-7 Ulpiano, diciassettesimo libro del commentario all’editto
27
8. D.8.5.8.5-7 Ulpiano, diciassettesimo libro del commentario all’editto
108 Questo interdetto, che riguarda le case (ma viene poi esteso a qualsiasi fondo) ed è con-
cesso a chi possiede nec vi nec clam nec precario, è retinendae possessionis ed ha lo scopo di pro-
teggere il possessore contro molestie o turbative.
109 Titolo di un’opera di Pomponio.
110 Sottinteso “se sembra al giudice che”: intentio della formula dell’azione confessoria ser-
vitutis.
111 Si può esercitare l’azione confessoria per far valere il diritto di tenere nel proprio fondo
un fumo poco intenso? Ratio dubitandi: tenere un fumo poco intenso rientra nel normale eser-
cizio della proprietà, che il vicino è tenuto a tollerare.
112 Dal momento che fare un fumo poco intenso rientra nel normale esercizio del diritto di
proprietà e non occorre quindi dedurre in una servitù.
113 Tutte attività che rientrano nel normale esercizio del dirito di proprietà.
114 Pomponio.
115 In questo caso l’immissione dei tubi nel fondo altrui non rientra nel normale esercizio
della proprietà, ma costituisce un’invasione del fondo, il cui proprietario non è tenuto a tollera-
re, a meno che Urso Giulio non costituisca a favore di Quintilla un diritto di servitù.
28
9. D.9.1.1116 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto
116 Rubrica del titolo: Si quadrupes pauperiem fecisse dicatur (= Se si dica che un quadru-
pede ha provocato un danno).
117 Pauperies: questa parola è diventata il termine tecnico per indicare il danno provocato
da quadrupedi. Cfr. §3.
118 Ulpiano si riferisce all’editto del pretore, che contiene la formula dell’azione de paupe-
rie in ius introdotta dalle XII tavole.
119 Cioè quod noxiam commisit: cfr. il testo latino. Per il significato di noxia in questo fr. cfr. §1.
120 Valutazione economica.
121 La legge delle XII tavole stabilisce che il padrone del quadrupede può scegliere fra la
noxae deditio dell’animale e il noxiam sarcire (cioè il risarcimento del danno). Sul danno cagio-
nato da animali cfr. art.2052 c.c.
122 Domestici: cfr. §10.
123 Nell’editto.
124 Cfr. §7.
29
9. D.9.1.1 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto
30
9. D.9.1.1 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto
31
9. D.9.1.1 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto
quadrupes dedit, sive per aliam rem, sia che il quadrupede abbia danneg-
quam tetigit quadrupes, haec actio giato con il proprio corpo, sia che il
locum habebit: ut puta si plaustro bos danno sia stato cagionato da una cosa
obtrivit aliquem vel alia re deiecta. 10 . che il quadrupede ha urtato, questa
In bestiis autem propter naturalem azione144 avrà luogo: come, ad esem-
feritatem haec actio locum non habet: pio, se un bue ha schiacciato qualcuno
et ideo si ursus fugit et sic nocuit, non con il carro145 che stava trainando o
potest quondam dominus conveniri, facendogli cadere addosso qualcos’al-
quia desinit dominus esse, ubi fera tro. 10. Questa azione, invece, non ha
evasit: et ideo et si eum occidi, meum luogo per i danni cagionati dalle bestie
corpus est. 11. Cum arietes vel boves caratterizzate da una naturale fero-
commisissent et alter alterum occidit, cia146: perciò, se un orso è scappato e
Quintus Mucius distinxit, ut si quidem ha recato un danno147, chi ne è stato
is perisset qui adgressus erat, cessaret un tempo il padrone non può essere
actio, si is, qui non provocaverat, convenuto in giudizio, perché quando
competeret actio: quamobrem eum sibi la bestia è fuggita148 ha cessato di
aut noxam sarcire aut in noxam dedere esserne proprietario: e, se io l’ho ucci-
so, è soltanto il suo cadavere che
diventa mio149. 11. Se nel corso di una
lotta fra arieti o fra tori uno ne ha ucci-
so un altro, Quinto Mucio ha fatto que-
sta distinzione: se è morto l’animale
che ha aggredito, l’azione viene
meno150, se invece è perito quello che
144 De pauperie.
145 Cfr. D.9.2.52.2 Alf. 2 dig.
146 Cfr. §7.
147 Durante la fuga.
148 L’orso fuggitivo che non ha l’animus revertendi, cioè non vuol tornare dal padrone, ridi-
venta selvatico e la proprietà su di lui si estingue (cfr. D.41.1.55 Proc. 2 ep.): manca pertanto il
legittimato passivo contro cui esperire l’actio de pauperie. Cfr. §§12 e 17.
149 In quanto proprietario attuale, potrei essere convenuto con l’actio de pauperie (cfr. §12);
tuttavia, poiché l’animale è morto (è il cadavere dell’orso che diventa di proprietà dell’ucciso-
re), contro di lui il danneggiato non ha l’azione de pauperie: cfr. §14.
150 Perché era stato lui il primo ad iniziare la lotta, che è un insieme di movimenti incon-
32
9. D.9.1.1 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto
sulti. Visto che uno degli animali è morto durante la lotta, è questa la causa che ne ha determi-
nato la morte e l’azione spetterà quindi contro il proprietario dell’animale che ha cominciato a
lottare. Cfr. D.9.2.52.1 Alf. 2 dig.
151 De pauperie.
152 Contro il padrone dell’altro animale, perché l’animale ucciso non era quello che aveva
dato inizio alla lotta.
153 Intentio della formula dell’actio de pauperie. Cfr. D. MANTOVANI, Le formule del processo
privato. Per la didattica delle Istituzioni di diritto romano, Padova 1999 (rist. 2003), p. 62.
154 La responsabilità nossale segue il colpevole, come nel caso di delitto commesso dallo
schiavo.
155 Cioè contro chi è proprietario nel momento in cui si esperisce l’azione: cfr. §§10 e 17.
156 Forse perché scopo principale dell’actio de pauperie è la consegna dell’animale?
157 Cfr. i §§10 e 16.
158 Che appartiene a più persone e ha commesso un delitto: la solidarietà cumulativa nelle azio-
ni penali vale anche se sono nossali. Cfr. V. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano, 14a ed. riv.,
Napoli 1994, pp. 367 e 421; M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano 1990, p. 618.
159 Cfr. nt. 156.
33
9. D.9.1.1 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto
160 L’interrogatio in iure è “un mezzo concesso dal pretore all’attore perché questi po<ssa>
ottenere dal convenuto informazioni, in linea di massima sulla legittimazione passiva, che
ven<gono> praticamente a costituire una – parziale – confessione da parte del convenuto stes-
so. Se quest’ultimo risponde[...] affermativamente alla domanda postagli dall’attore, il fatto
oggetto dell’interrogatio in iure non p<uò> più essere messo in discussione...” (TALAMANCA,
Istituzioni cit., p. 327). Si ha interrogatio in iure ad es. quando “il convenuto con un’azione nos-
sale deve dichiarare se abbia o meno in potestate lo schiavo od il figlio presunti autori del delit-
to per cui si agisce” (TALAMANCA, Istituzioni cit., loc. ult. cit.): così nel caso di danno cagiona-
to da animali.
161 Il contenuto della domanda verte sulla legittimazione passiva: legittimato passivo nel-
l’actio de pauperie, infatti, è il proprietario attuale del quadrupede.
162 Per sottrarsi al processo e dunque all’eventuale condanna.
163 A titolo di risarcimento del danno, senza possibilità di liberarsi dando in nossa l’animale.
164 Quia. Cfr. nt. 167.
165 Dell’animale ucciso.
166 Ex capite primo o capite ex tertio, a seconda che l’animale appartenga o meno alla cate-
goria dei pecudes (cfr. Gai. 3.210 e 217; Inst. 4.3 pr.-1 e 13), contro l’uccisore.
167 Quia. In base alla punteggiatura delle edizioni critiche moderne, nel tratto si post litem
contestatam-amiserit la prima proposizione causale introdotta da quia (quia domino legis Aqui-
liae actio competit) è retta dalla principale ratio in iudicio habebitur legis Aquiliae, la quale tut-
tavia non può essere collegata all’altra causale quia dominus noxae dedendae facultatem amise-
rit (come invece suggerisce la punteggiatura delle edizioni critiche moderne): quest’ultima, al
contrario, è logicamente correlata alla frase successiva ergo ex iudicio proposito litis aestimatio-
nem offerret... La traduzione italiana qui proposta tiene conto di questa osservazione.
168 La noxae deditio, infatti, deve avere per oggetto un animale vivo: cfr. §14.
34
9. D.9.1.1 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto
35
10. D.9.1.2 Paolo, ventiduesimo libro del commentario all’editto
Haec actio non solum domino, sed Questa azione177 non spetta soltanto al
etiam ei cuius interest competit, veluti proprietario178, ma anche a chi vi
ei cui res commodata est, item fulloni, abbia interesse, come, ad esempio,
quia eo quod tenentur damnum alla persona cui la cosa è stata data in
videntur pati. 1. Si quis aliquem comodato o al lavandaio179, perché il
evitans, magistratum forte, in taberna danno subito da costoro consiste in
proxima se immisisset ibique a cane ciò, che ne rispondono nei confronti
feroce laesus esset, non posse agi canis del proprietario180. 1. Se un tale, sfug-
nomine quidam putant: at si solutus gendo a qualcuno, ad esempio ad un
fuisset, contra. magistrato, si fosse introdotto nella
locanda più vicina e lì fosse stato feri-
to da un cane feroce181, alcuni ritengo-
no che non si possa agire a causa del
cane182; e che, al contrario, si possa,
se il cane era slegato183.
177 De pauperie.
178 Del bene danneggiato dall’animale.
179 Conductor operis.
180 Il comodatario e il conduttore d’opera rispondono nei confronti del dominus se la cosa
viene danneggiata da un quadrupede: ciascuno di loro ha la legittimazione attiva all’esperimen-
to dell’actio de pauperie.
181 Tenuto alla catena: cfr. nt. seguente.
182 Il cane era tenuto alla catena, perciò è presumibile un concorso di colpa del fuggiasco,
che, ad es., si è avvicinato incautamente all’animale: in tal caso l’azione de pauperie non è espe-
ribile.
183 Perché il padrone lo aveva lasciato circolare liberamente nella taberna, pur trattandosi
di una bestia pericolosa.
36
11. D.9.1.3 Gaio, settimo libro del commentario all’editto provinciale
Ex hac lege iam non dubitatur etiam Ormai non si dubita più che in base a
liberarum personarum nomine agi questa legge184 sia possibile agire
posse, forte si patrem familias aut anche a tutela di persone libere, come,
filium familias vulneraverit quadrupes: ad esempio, se un quadrupede abbia
scilicet ut non deformitatis ratio ferito un pater familias o un filius
habeatur, cum liberum corpus familias185, nel qual caso non si deve
aestimationem non recipiat, sed prendere in considerazione186 la
impensarum in curationem factarum et menomazione fisica, perché un corpo
operarum amissarum quasque libero non tollera valutazione, ma
amissurus quis esset inutilis factus. l’ammontare delle spese affrontate per
le cure187, le giornate di lavoro perdu-
te188 e quelle che perderà189 chi è
diventato inabile al lavoro190.
184 Delle XII tavole, nella parte in cui disciplina il danno causato da quadrupedi: Cfr. D.
eod. 1 pr. Ulp. 18 ad ed.
185 Se è stato ferito un pater familias, la perdita si ripecuote su di lui; se è stato ferito un
filius familias, sul pater familias. Cfr. D.9.2.7 pr. Ulp. 22 ad ed.
186 Nella valutazione del danno.
187 C.d. danno emergente.
188 Cfr. nt. precedente.
189 C.d. lucro cessante.
190 Pater o filius.
37
12. D.9.1.4 Paolo, ventiduesimo libro del commentario all’editto
Haec actio utilis competit et si non Questa azione spetta in via utile191, se
quadrupes, sed aliud animal a provocare il danno non sia stato un
pauperiem fecit. quadrupede, ma un altro animale192.
191 Il pretore utilizza cioè l’azione de pauperie adattando la formula al caso di danno causa-
to da animale non quadrupede.
192 Ad es., un bipede: cfr. nt. precedente.
38
13. D.9.1.5 Alfeno, secondo libro dei digesti
193 Agaso ha la stessa radice del verbo ago, cioè chi “conduce” gli animali, in questo caso
in tabernam: cfr. nt. seguente. Il problema su cui verte il frammento è se lo stalliere abbia dirit-
to o meno al risarcimento del danno.
194 Taberna significa propriamente tugurio, capanna, ma anche osteria, locanda (cfr.
D.9.2.52.1 Alf. 2 dig.), albergo: qui, dato il contesto, indica la stalla, la scuderia.
195 Descrizione paratattica (Agaso cum in tabernam equum deduceret/ mulam equus olfecit/
mula calcem reiecit/ et crus agasoni fregit) di un episodio di vita quotidiana.
196 Ci si consultava, nel corso di una discussione avvenuta nella scuola di Servio.
197 Cioè lo stalliere.
198 Con l’actio de pauperie.
199 La frase quod ea pauperiem fecisset allude implicitamente alla possibilità che il danno
sia stato cagionato dallo stesso mulattiere (ad es. per negligenza o imperizia): in tal caso sareb-
be iniquo ritenere responsabile il proprietario della mula. Nel quod ea pauperiem fecisset è rac-
chiusa la ratio decidendi (la motivazione, cioè, su cui si fonda la risposta del giurista): chiamia-
mo a rispondere il proprietario se è stata la mula a provocare il danno. Se da un punto di vista
naturalistico è la mula che ha causato il danno allo stalliere, si chiama a rispondere del danno
il padrone, perché si riservano al proprietario non soltanto i commoda (cioè i vantaggi), ma
anche gli incommoda (cioè gli svantaggi) che derivano dalla proprietà dell’animale. Sull’ea (la
mula) verte l’accento della frase: questo spiega a risposta del giurista, apparentemente non
motivata.
200 Alfeno.
39
14. D.9.2201.7 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto202
Qua actione patrem consecuturum ait, Il pretore dice che il padre conseguirà
quod minus ex operis filii sui propter con questa azione203 l’equivalente di
vitiatum oculum sit habiturus, et quanto non avrà potuto ottenere dal
impendia, quae pro eius curatione lavoro del figlio a causa dell’occhio
fecerit. 1. Occisum autem accipere danneggiato, nonché il rimborso delle
debemus, sive gladio sive etiam fuste spese che avrà affrontato per curar-
vel alio telo vel manibus (si forte lo204. 1. Lo205 dobbiamo considerare
strangulavit eum) vel calce petiit vel ucciso206 se lo ha assalito con una
capite vel qualiter qualiter. 2. Sed si spada o anche con un bastone o con
quis plus iusto oneratus deiecerit onus un’altra arma207, o con le mani (se ad
et servum occiderit, Aquilia locum esempio lo abbia strangolato), o a
habet: fuit enim in ipsius arbitrio ita se calci, o con la testa, o in qualche altro
non onerare. Nam et si lapsus aliquis modo208. 2. Ma se uno, caricatosi più
servum alienum onere presserit, del giusto, abbia rovesciato il carico
Pegasus ait lege Aquilia eum teneri ita ed abbia ucciso uno schiavo così, la
legge Aquilia si applica209: dipendeva,
invero, da lui non caricarsi in quel
modo210; infatti, anche se uno, scivo-
lando, abbia schiacciato uno schiavo
40
14. D.9.2.7 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto
demum, si vel plus iusto se oneraverit altrui col carico, Pegaso dice che è
vel neglegentius per lubricum tenuto in base alla legge Aquilia sol-
transierit. 3. Proinde si quis alterius tanto se si sia caricato più del giusto o
impulsu damnum dederit, Proculus se sia passato imprudentemente per un
scribit neque eum qui impulit teneri, luogo scivoloso211. 3. Se dunque talu-
quia non occidit, neque eum qui no ha prodotto il danno per la spinta di
impulsus est, quia damnum iniuria non un altro, Proculo scrive che non è
dedit: secundum quod in factum actio tenuto né chi ha spinto, perché non ha
erit danda in eum qui impulit. 4. Si ucciso212, né chi è stato spinto, perché
quis in colluctatione vel in pancratio, non ha causato il danno con iniuria213:
vel pugiles dum inter se exercentur in seguito a ciò si dovrà dare un’azione
alius alium occiderit, si quidem in in factum214 contro chi ha spinto. 4. Se
publico certamine alius alium nel corso di una lotta o di un pancra-
occiderit, cessat Aquilia, quia gloriae zio215, o mentre dei pugili si esercitano
causa et virtutis, non iniuriae gratia fra di loro, uno uccide l’altro, la legge
videtur damnum datum. Hoc autem in Aquilia non si applica se uno ha ucci-
servo non procedit, quoniam ingenui so l’altro in una pubblica gara, perché
solent certare: in filio familias è da ritenere che il danno sia stato pro-
vulnerato procedit. Plane si cedentem vocato per acquistare gloria e valore,
vulneraverit, erit Aquiliae locus, aut si non per commettere iniuria216. Ma ciò
non in certamine servum occidit, nisi si non vale per lo schiavo, perché soltan-
domino committente hoc factum sit: to chi è nato libero suole prendere
211 Il danno è causato corpore corpori dal soggetto agente, se questi si è caricato più del
dovuto o ha intrapreso imprudentemente un cammino malagevole: se non si fosse caricato in
quel modo o se non fosse passato attraverso quel percorso sdrucciolevole, il carico non si sareb-
be rovesciato addosso allo schiavo altrui. Cfr. D.9.1.1.4 Ulp. 18 ad ed.
212 Manca infatti il requisito del corpore corpori.
213 Ingiustamente, cioè in assenza di una causa di giustificazione, che in questo caso con-
siste nella spinta altrui: il danno non è stato causato spontaneamente, ma per effetto della spin-
ta del terzo.
214 L’azione è in factum, perché manca il requisito del corpore corpori.
215 Lotta o pugilato.
216 Cioè, l’uccisione ha come giustificazione la partecipazione alla gara. La lex Aquilia pre-
vede però, di regola, l’uccisione di pecudes o di servi e non di persone libere, che sono le uni-
che alle quali è consentito partecipare al pancrazio e al pugilato: cfr. nt. 221.
41
14. D.9.2.7 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto
tunc enim Aquilia cessat. 5. Sed si quis parte alle gare217, mentre vale nel caso
servum aegrotum leviter percusserit et is del ferimento di un filius familias218.
obierit, recte Labeo dicit lege Aquilia Certo, se egli219 ha ferito chi si stava
eum teneri, quia aliud alii mortiferum ritirando220 o ha ucciso uno schiavo
esse solet. 6. Celsus autem multum fuori della gara, la legge Aquilia sarà
applicabile221, a meno che ciò222 non
sia stato fatto per ordine del padrone:
allora, infatti, l’applicabilità della
legge Aquilia viene meno223. 5. Ma se
uno ha colpito lievemente uno schiavo
già malato224 e questo è morto, giusta-
mente Labeone dice che egli225 è tenu-
to secondo la legge Aquilia, perché
non per tutti sono letali gli stessi
colpi226. 6. Celso dice inoltre che c’è
217 Non è gara in senso proprio la lotta fra liberi e schiavi, ma solo fra persone libere: l’uc-
cisione di uno schiavo altrui da parte di un uomo libero durante una lotta è ingiusta, perché non
è giustificata dalla gara.
218 Benché anch’egli alieni iuris, il filius familias si distingue dal servus per il fatto di esse-
re libero. Pertanto, l’uccisione di un filius familias nel corso di una gara di pancrazio o di pugi-
lato è giustificata.
219 Il filius familias.
220 Dalla lotta: viene quindi meno la causa di giustificazione.
221 Il che è strano per quanto riguarda l’uccisione di un uomo libero fuori dalla gara, dal
momento che la lex Aquilia non prevede l’uccisione di un uomo libero, ma di uno schiavo: cfr.
nt. 216.
222 Cioè l’uccisione dello schiavo altrui. “Questa ipotesi è distinta da quella del lottatore
che si sta ritirando. Il frammento deve essere inteso così: la legge Aquilia è applicabile se uno
ha ferito chi si stava ritirando dalla gara o ha ucciso uno schiavo altrui fuori da una gara. Il
secondo caso non va inteso, a contrario, nel senso che lo schiavo ucciso nel corso di una gara
sarebbe ucciso iure, perché poco sopra Ulpiano ha escluso che la gara a cui partecipa lo schia-
vo costituisca una causa di giustificazione del danno: Ulpiano allude infatti alla gara soltanto
perché ha appena trattato dell’uccisione avvenuta nel corso di una gara fra persone libere”
(NEGRI (a cura di), Digesto cit., p. 21, nt.10).
223 Il padrone ha sugli schiavi il ius vitae ac necis (diritto di vita e di morte).
224 Ad es., Tizio ha punto con un ago un emofiliaco.
225 Cioè chi ha colpito lievemente.
226 Benché la puntura di un ago consista in una ferita molto lieve, essa, tuttavia, può provo-
42
14. D.9.2.7 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto
interesse dicit, occiderit an mortis molta differenza fra chi ha ucciso e chi
causam praestiterit, ut qui mortis ha cagionato la morte, nel senso che
causam praestitit, non Aquilia, sed in chi ha cagionato la morte non è tenuto
factum actione teneatur. Unde adfert in base alla legge Aquilia, ma in base
eum qui venenum pro medicamento ad un’azione in factum227: da ciò
dedit et ait causam mortis praestitisse, adduce l’esempio di chi abbia dato un
quemadmodum eum qui furenti veleno al posto di un farmaco, e dice
gladium porrexit: nam nec hunc lege che ha cagionato la morte228, allo stes-
Aquilia teneri, sed in factum. 7. Sed si so modo di colui che ha messo una
quis de ponte aliquem praecipitavit, spada in mano ad un pazzo: infatti,
Celsus ait, sive ipso ictu perierit aut nemmeno costui è tenuto in base alla
continuo submersus est aut lassatus vi legge Aquilia, ma in factum229. 7. Ma,
fluminis victus perierit, lege Aquilia se uno ha scaraventato un altro da un
ponte, sia che costui sia morto sul
colpo230, sia che sia annegato, perché
sommerso dall’acqua231 o vinto dalla
stanchezza per la violenza del
fiume232, Celso dice che è tenuto in
base alla legge Aquilia, allo stesso
care effetti diversi a seconda delle caratteristiche del soggetto cui essa viene inferta, perciò, se
dalla puntura di un ago ad un emofiliaco deriva la morte di quest’ultimo, si applicherà il primo
capo della lex Aquilia, anche se il medesimo colpo inferto ad un soggetto sano non provoca la
medesima conseguenza.
227 Cfr. D.9.2.9 pr. Ulp. 18 ad ed.; fr.11.1 Ulp. 18 ad ed. D. eod.
228 Perché questa è causata dal veleno, non da un comportamento corpore corpori del dan-
neggiante.
229 Perché non ha ucciso direttamente il pazzo, ma lo ha posto nella condizione di togliersi
la vita consegnadogli l’arma. In entrambi i casi (avvelenamento e consegna della spada) manca
il requisito del corpore corpori: cagiona la morte colui al quale essa non può essere direttamen-
te imputata.
230 Per l’impatto con l’acqua.
231 Cioè per annegamento.
232 Annegato perché travolto dalla corrente.
43
14. D.9.2.7 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto
44
15. D.9.2.8.1236 Gaio, settimo libro del commentario all’editto provinciale
45
16. D.9.2.9 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto
46
16. D.9.2.9 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto
253 Manca il requisito del corpore corpori. Cfr. Gai. 3.219 = Inst. 4.3.16.
254 Cfr. nt. precedente.
255 Chi lo ha attirato nell’agguato risponderà in base ad un’azione in factum.
256 Sulla pubblica via o comunque in un luogo aperto al pubblico, come si desume dal resto
del §.
257 Perché il damnum è iniuria datum: il giavellotto, cioè, non è stato tirato in un luogo adi-
bito a questo scopo, ma in un luogo pubblico.
258 Per l’arena.
259 Il damnum non è iniuria datum, perché il giavellotto è stato tirato in un luogo adibito
all’esercizio di questo sport, perciò ha sbagliato lo schiavo a passare per un luogo pericoloso. La
mancanza di una causa di giustificazione e il concorso di colpa dello schiavo escludono l’espe-
ribilità dell’azione di legge Aquilia. Anche qui, come in D.9.2.52.4 Alf. 2 dig., il danno si è veri-
ficato più per caso che per colpa dei giocatori. Cfr. Inst. 4.3.4.
260 L’espressione data opera pone in rilievo la condotta dolosa del danneggiante. Cfr.
D.9.2.52.1 Alf. 2 dig.
47
17. D.9.2.11 pr.-4 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto
Item Mela scribit, si, cum pila quidam Similmente Mela262 scrive: se, mentre
luderent, vehementius quis pila taluni giocavano a palla, uno, dato un
percussa in tonsoris manus eam colpo troppo forte alla palla, l’ha fatta
deiecerit et sic servi, quem tonsor cadere sulle mani di un barbiere e così
<radebat>261, gula sit praecisa la gola di uno schiavo che il barbiere
adiecto cultello: in quocumque eorum stava radendo è stata recisa per un
culpa sit, eum lege Aquilia teneri. colpo di rasoio263, chiunque di loro264
Proculus in tonsore esse culpam: et sia in colpa265 sarà tenuto con l’azione
sane si ibi tondebat, ubi ex di legge Aquilia; Proculo266, che la
consuetudine ludebatur vel ubi colpa è del barbiere267: e, in effetti, se
transitus frequens erat, est quod ei egli si è messo a radere in un luogo ove
imputetur: quamvis nec illud male di solito si giocava a palla o dove il
transito era frequente, è il caso di
imputarlo268 a lui269: benché non sia
neppure scorretto dire che se uno si è
261 Così negli scholia dei Basilici (sui quali cfr. L. MAGANZANI, Fonti e strumenti di ricerca. Meto-
do di consultazione per lo studio del diritto romano, ad uso degli studenti, Como 1992, p. 52 ss.).
262 Fabius Mela, giurista dell’età augustea.
263 Contro chi si può esperire l’azione di legge Aquilia?
264 Il barbiere e il giocatore che ha lanciato la palla.
265 Cioè abbia causato l’evento dannoso. “Il giurista formula la regola: è in colpa chi ha cau-
sato, con il proprio comportamento, un evento dannoso (che non debba ascriversi al casus).
Applicando la regola, il giudice sarà appunto chiamato a stabilire, in base alle prove, la sussi-
stenza della colpa, cioè il rapporto causale, nel senso della riferibilità dell’evento dannoso al
contegno del danneggiante nel caso concreto” (NEGRI (a cura di), Digesto cit., p. 25, nt.1).
266 Sottinteso scrive.
267 Cioè la morte dello schiavo deve essere attribuita al barbiere.
268 Cioè il danno.
269 Se il barbiere non si fosse messo a radere in quel luogo, la palla non lo avrebbe colpito
mentre radeva lo schiavo, il quale non avrebbe subito il taglio della gola.
48
17. D.9.2.11 pr.-4 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto
270 Vicino, ad es., ad un campo sportivo, o alla pubblica via, lungo la quale transitano per-
sone, mezzi di trasporto, animali, etc.
271 Non avrebbe dovuto recarsi da un barbiere che radeva in un luogo pericoloso e non può
pertanto imputare ad altri l’evento dannoso.
272 Manca il requisito del corpore corpori. Cfr. D.9.2.7.6 Ulp. 18 ad ed.; Ulp. 18 ad ed. fr.9
pr. D. eod.
273 Cfr. D.9.2.51.1 Iul. 86 dig.
274 Cioè non lo libera dall’obbligo di pagamento della pena pecuniaria che ciascuno dei con-
correnti deve pagare per intero (solidarietà cumulativa delle azioni penali: cfr. ARANGIO-RUIZ,
Istituzioni cit., pp. 367,421 ss.; TALAMANCA, Istituzioni cit., pp. 523 e 618). Cfr. §4.
275 Quindi in base al terzo capo della legge Aquilia.
49
17. D.9.2.11 pr.-4 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto
teneri, quia occidit. Quod et Marcello per aver ucciso276: il che ritiene anche
videtur et est probabilius. 4. Si plures Marcello e ciò è più degno di approva-
trabem deiecerint et hominem zione277. 4. Se più persone hanno but-
oppresserint, aeque veteribus placet tato giù una trave e hanno colpito uno
omnes lege Aquilia teneri. schiavo, i veteres278 sono ugualmente
del parere che tutti279 siano tenuti in
base alla legge Aquilia280.
276 Ex primo capite legis Aquiliae. Cfr. D.9.2.51 pr. Iul. 86 dig. La ferita del secondo inter-
rompe il nesso causale fra la condotta del primo (che aveva inflitto una ferita mortale) e il deces-
so dello schiavo.
277 Ulpiano condivide la tesi di Celso, approvata anche da Marcello, perché è quella che
individua con maggiore precisione le responsabilità dei feritori.
278 I giuristi della fine dell’età repubblicana, come Servio e Alfeno. Cfr. D.9.2.51.1 Iul. 86
dig.
279 Cfr. §2.
280 Perché tutti hanno concorso a provocare il danno.
50
18. D.9.2.37.1 Giavoleno, quattordicesimo libro ex Cassio
281 De pauperie.
282 Da parte del proprietario del quadrupede.
283 Cioè la valutazione economica del danno nel giudizio di legge Aquilia (litis aestimatio).
284 A causa dell’uccisione, il proprietario non è più in grado di dare a nossa il quadrupes: la litis
aestimatio pertanto non dovrà riferirsi al valore dell’animale in sé, bensì alla sua condizione di qua-
drupede a causa della cui condotta nociva pende l’actio de pauperie e in seguito alla cui uccisione il
convenuto ha perso la possibilità di darlo a nossa.
285 Cfr. D.9.2.21.2 Ulp. 18 ad ed.: Sed utrum corpus eius solum aestimamus, quanti fuerit cum occi-
deretur, an potius quanti interfuit nostra non esse occisum? Et hoc iure utimur, ut eius quod interest fiat
aestimatio. Ai fini della litis aestimatio nel giudizio di legge Aquilia, Ulpiano si domanda se si debba
fare riferimento al valore del corpo (dello schiavo o dell’animale) al momento dell’uccisione o al valo-
re dell’interesse del proprietario a che quest’ultima non fosse avvenuta. La risposta è che si debba con-
siderare come criterio di valutazione del danno l’interesse del dominus.
286 Del processo de pauperie.
51
18. D.9.2.37.1 Giavoleno, quattordicesimo libro ex Cassio
287 Perché, ai fini della litis aestimatio, si tiene conto della causa quadrupedis in quo de pauperie
actio est (cfr. nt. 284). Se, come alcuni ritengono, l’uccisione del quadrupede in questo fr. risale ad un
momento successivo alla litis contestatio del processo de pauperie, il fr. concorda con D.9.1.1.16 Ulp.
18 ad ed., ove è esaminato il medesimo caso, benché da un diverso punto di vista: Ulpiano, infatti, si
occupa del processo de pauperie e accenna all’actio legis Aquiliae soltanto nella misura necessaria a
dimostrare l’influenza, sulla sentenza del processo de pauperie, del fatto che il proprietario ha a sua
disposizione l’actio legis Aquiliae. Che la morte dell’animale risalga, nel fr. di Giavoleno, ad un
momento successivo alla litis contestatio del processo de pauperie è dimostrato dal fatto che, se la morte
avvenisse prima della litis contestatio, il processo de pauperie si estinguerebbe (cfr. D.9.1.1.13 Ulp. 18
ad ed.) e con esso l’obbligo di dare a nossa l’animale o pagare la litis aestimatio.
52
19. D.9.2.39 pr. Pomponio, diciassettesimo libro del commentario
a Quinto Mucio
Quintus Mucius scribit: equa cum in Quinto Mucio scrive: una cavalla
alieno pasceretur, in cogendo quod pascolava su un fondo altrui288 e, men-
praegnans erat eiecit: quaerebatur, tre ne veniva spinta289 fuori, poiché
dominus eius possetne cum eo qui era incinta, abortì: si chiedeva se il
coegisset lege Aquilia agere, quia suo padrone potesse agire in base alla
equam in iciendo ruperat. Si legge Aquilia290 contro chi l’aveva
percussisset aut consulto vehementius spinta, perché, nel colpirla, l’aveva
egisset, visum est agere posse. deteriorata291. Qualora l’avesse per-
cossa o spinta di proposito con ecces-
siva violenza, si ritenne che potesse
agire292.
53
20. D.9.2.42 Giuliano, quarantottesimo libro dei digesti
293 L’esibizione delle tavolette prova che sono state alterate: actio ad exhibendum e actio
depositi presuppongono ambedue il dolo e hanno, in questo caso, il medesimo scopo di risarci-
mento del danno (cagionato, qui, agli eredi istituiti). Cfr. D.16.3.1.16 Ulp. 30 ad ed.: la restitu-
zione della cosa deteriorata equivale a mancata restituzione. Così, l’esibizione di cose deterio-
rate equivale a mancata esibizione.
294 La cancellazione delle tavole costituisce sia un illecito contrattuale, sia un illecito extra-
contrattuale (concorso cumulativo di azioni: cfr. D.13.6.18.1 Gai. 9 ad ed. prov.).
295 Interlino significa, in particolare, alterare cancellando o raschiando via le parole.
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21. D.9.2.51 Giuliano, ottantaseiesimo libro dei digesti
Ita vulneratus est servus, ut eo ictu Uno schiavo era stato ferito in modo da
certum esset moriturum: medio deinde essere certamente destinato a morire
tempore heres institutus est et postea ab per il colpo296: nel frattempo, venne
alio ictus decessit: quaero, an cum istituito erede297 e successivamente
utroque de occiso lege Aquilia agi morì colpito da un altro298. Chiedo se,
possit. Respondit: occidisse dicitur in base alla legge Aquilia, si possa
vulgo quidem, qui mortis causam agire de occiso contro ambedue299.
quolibet modo praebuit: sed lege Rispose300: comunemente, certo, si
Aquilia is demum teneri visus est, qui dice301 che ha ucciso chi ha cagionato
adhibita vi et quasi manu causam in qualsiasi modo la morte, ma secon-
mortis praebuisset, tracta videlicet do la legge Aquilia si ritiene tenuto
interpretatione vocis a caedendo et a soltanto chi ha cagionato la morte
caede. Rursus Aquilia lege teneri usando la forza e quasi con la propria
existimati sunt non solum qui ita mano302, traendosi cioè il significato
vulnerassent, ut confestim vita della parola occidere da caedere303 e da
privarent, sed etiam hi, quorum ex caedes304. D’altra parte, in base alla
vulnere certum esset aliquem vita legge Aquilia si considerano tenuti305
excessurum. Igitur si quis servo non soltanto coloro che hanno ferito
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313 De occiso.
314 Cioè la valutazione economica del danno (litis aestimatio).
315 Cioè dello schiavo ucciso.
316 Cioè di ambedue i feritori.
317 Perché nell’intervallo fra il ferimento e l’uccisione lo schiavo è stato istituito erede ed è
morto prima di accettare l’eredità per ordine del padrone: il valore dello schiavo comprende
quindi l’aestimatio dell’eredità che lo schiavo non ha potuto accettare.
318 Cioè il secondo feritore.
319 Perché in essa è incluso il valore dell’eredità perduta.
320 Cioè il primo feritore.
321 Perché non comprensiva del valore dell’eredità perduta.
322 Primo feritore: lo schiavo non ancora istituito erede; uccisore: lo schiavo era già stato
istituito erede.
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21. D.9.2.51 Giuliano, ottantaseiesimo libro dei digesti
constitui neutrum lege Aquilia teneri diversi. Chi poi credesse che ciò che
aut alterum potius, cum neque abbiamo stabilito è assurdo, pensi che
impunita maleficia esse oporteat nec sarebbe ben più assurdo ammettere
facile constitui possit, uter potius lege che in base alla legge Aquilia non sia
teneatur. Multa autem iure civili contra tenuto nessuno dei due323, oppure che
rationem disputandi pro utilitate lo sia uno solo di loro324, perché le
communi recepta esse innumerabilibus azioni delittuose non debbono restare
rebus probari potest. Unum interim impunite: né si potrebbe, diversamen-
posuisse contentus ero: cum plures te, scegliere chi dei due dovrebbe
trabem alienam furandi causa essere tenuto secondo la legge. Che,
sustulerint, quam singuli ferre non del resto, nel diritto civile molte cose
possent, furti actione omnes teneri siano state recepite in contrasto col
existimantur, quamvis subtili ratione ragionamento logico, ma in funzione
dici possit neminem eorum teneri, quia dell’utilitas communis, si può provare
neminem verum sit eam sustulisse. in numerosissimi casi, ma qui mi
accontenterò intanto di indicarne uno:
se più persone hanno preso per rubar-
la una trave altrui, che nessuno avreb-
be potuto portar via da solo325, si ritie-
ne che siano tenuti tutti con l’azione di
furto, sebbene, ragionando con sotti-
gliezza, si potrebbe dire che nessuno
di loro è tenuto, perché è pur vero che
nessuno di loro l’ha presa su da solo.
323 Perché il padrone dello schiavo ucciso non conseguirebbe alcun risarcimento.
324 Perché l’altro resterebbe impunito.
325 Perché troppo pesante.
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22. D.9.2.52 Alfeno, secondo libro dei digesti
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22. D.9.2.52 Alfeno, secondo libro dei digesti
terzo capo della legge) nel caso in cui il nesso di causalità sia stato interrotto da una concausa,
non è questione che interessi qui al giurista: il dubbio riguarda soltanto l’esperibilità o meno
dell’actio legis Aquiliae in base al primo capo de occiso – che richiede il requisito del corpore
corpori – quando sia intercorso un lasso di tempo tra il ferimento e la morte. Quando invece rile-
va l’alternativa fra responsabilità de occiso e responsabilità de vulnerato nel caso di interruzio-
ne del nesso causale fra mortiferum vulnus e morte ad opera di un secondo feritore, i giuristi lo
dicono esplicitamente: cfr. D.9.2.11.3 Ulp. 18 ad ed. e D.9.2.51 pr. Iul. 86 dig.
333 Ad es. un paracarro.
334 Cioè, il passante.
335 Cfr. nt. 326.
336 Dell’oste che cercava di trattenerlo.
337 “Il giurista espone l’evento dannoso senza qualificarlo, evitando la terminologia del furto
notturno flagrante a mano armata. La qualificazione giuridica del comportamento dei protagoni-
sti è fatta in sede di analisi delle modalità del caso, compiuta allo scopo di individuare il sog-
getto da chiamare a rispondere” (NEGRI (a cura di), Digesto cit., p. 30, nt. 5).
338 L’oste.
339 È come se il tabernarius domandasse al giurista: “Non si dovrebbe concludere che io
abbia cavato l’occhio in presenza di una causa di giustificazione, visto che è stato il passante ad
aggredirmi per primo?”. La domanda “di chi è la colpa” è in apparente contraddizione con la
premessa che è stato il tabernarius a cavare l’occhio al passante: non dovrebbero pertanto esser-
vi dubbi sulla responsabilità in capo al primo. Eppure, la soluzione non è così banale, ma dipen-
de dalle modalità del caso: in causa ius positum est.
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oculum, non videri damnum iniuria Risposi340 che, a meno che egli341 non
fecisse, culpam enim penes eum, qui avesse cavato l’occhio facendolo appo-
prior flagello percussit, residere; sed si sta342, il danno non è da ritenere cau-
ab eo non prior vapulasset, sed cum ei sato iniuria 343: la colpa sta, infatti,
lucernam eripere vellet, rixatus esset, dalla parte di chi aveva cominciato a
tabernarii culpa factum videri. 2. In picchiare col bastone344; ma che, se
clivo Capitolino duo plostra onusta non è stato lui ad essere bastonato per
mulae ducebant; prioris plostri primo, ma ha cominciato a rissare per
muliones conversum plostrum strappargli la lanterna, è da ritenere
sublevabant, quo facile mulae che il fatto sia avvenuto per colpa del-
ducerent; inter superius plostrum l’oste345. 2. Sul colle capitolino, delle
cessim ire coepit et cum muliones, qui mule trainavano346 dei carri completa-
inter duo plostra fuerunt, e medio mente carichi; i mulattieri del primo
exissent, posterius plostrum a priore carro lo stavano spingendo da dietro
percussum retro redierat et puerum perché le mule lo trainassero più age-
cuiusdam obtriverat. Dominus pueri volmente; frattanto, il carro superiore
340 Alfeno.
341 L’oste.
342 Data opera: di proposito, coscientemente, nella piena consapevolezza delle conseguen-
ze. In base a questa ricostruzione del caso, il danno sarebbe da imputare all’oste.
343 Ingiustamente, cioè in assenza di una causa di giustificazione. Se l’oste non ha cavato
l’occhio di proposito, ma nella confusione generale occasionata dalla rissa, occorre stabilire di
chi sia la colpa, cioè chi sia chiamato a rispondere dell’evento dannoso scaturito dalla rissa. Se
quest’ultima è stata iniziata il danneggiato, costui deve dolersi di se stesso (anche se ci ha
rimesso un occhio); se invece l’ha cominciata l’oste, la colpa è sua e il danno causato da chi ha
cominciato a rissare è ingiusto perché non giustificato dal diritto.
344 Ratio decidendi. La rissa è un insieme di comportamenti inconsulti, che non consente di
distinguere e individuare i singoli contributi causali dei partecipanti. Di conseguenza, poiché il
danno è comunque scaturito da essa, la soluzione più ragionevole è dare la colpa a chi ha ini-
ziato a rissare, usando per primo il bastone. Culpa non ha qui il significato soggettivo di negli-
genza, imprudenza, imperizia, ma quello oggettivo di rapporto causale: è in colpa l’autore del-
l’evento dannoso per il fatto di averlo cagionato con il proprio comportamento volontario e con-
sapevole. Il giurista pertanto non indaga sull’atteggiamento psicologico del soggetto agente, ma
si limita a domandarsi a chi il fatto debba essere imputato. Cfr., in tema di actio de pauperie,
D.9.1.1.11 Ulp. 18 ad ed.
345 Se è stato l’oste a dare inizio alla rissa, la colpa è sua e il passante avrà contro di lui
l’azione di legge Aquilia.
346 Ducebant: stavano conducendo.
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22. D.9.2.52 Alfeno, secondo libro dei digesti
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22. D.9.2.52 Alfeno, secondo libro dei digesti
neque mulae neque homines in causa in modo che questa ferisca qualcu-
essent, sed mulae retinere onus no356: così, cagionerebbe un danno
nequissent aut cum coniterentur lapsae ingiusto357 uno che, avendo spronato
concidissent et ideo plostrum cessim un asinello, non lo trattenesse358, o,
redisset atque hi quo conversum fuisset ugualmente, chi avesse scagliato un
onus sustinere nequissent, neque cum dardo o qualcos’altro con la propria
domino mularum neque cum mano359. Ma se360 le mule si sono spa-
hominibus esse actionem. Illud quidem ventate per qualcosa e i mulattieri
certe: quoquo modo res se haberet, cum hanno abbandonato il carro per paura
di essere schiacciati361, non c’è azione
contro gli uomini362, ma c’è contro il
proprietario delle mule363. Che, se364 il
caso non riguarda né le mule, né gli
uomini, ma le mule non hanno potuto
reggere il peso365 o scivolando366
356 Lasciar cadere una cosa che si stava sostenendo (come nel caso del carro spinto dai
mulattieri) è lo stesso che scagliarla contro qualcuno: in entrambi i casi il danno risale dal com-
portamento del danneggiante, come negli esempi dell’asinello e del dardo.
357 Cioè ingiustificato.
358 Cfr. D.9.2.8.1 Gai. 7 ad ed. prov.
359 In conclusione, il primo carro ha cominciato a retrocedere, perché non più sostenuto dai
mulattieri, investendo così il secondo, che, a sua volta, per la violenza dell’urto, è retrocesso e
ha travolto lo schiavetto: il danno è ingiusto, perché i mulattieri hanno smesso di spingere sua
sponte, cioè senza giustificazione.
360 Sed si introduce una seconda modalità del caso: i mulattieri hanno smesso di spingere
per timore di essere schiacciati.
361 Timore permoti. Il timore di essere schiacciati è secondo il diritto una causa di giustifi-
cazione del comportamento dei mulattieri: il danno non è ingiusto.
362 Non c’è l’azione legge Aquilia.
363 C’è l’actio de pauperie, perché il danno dipende dalle mule che, spaventate, si sono
imbizzarrite. Cfr. D.9.1.1.9 Ulp. 18 ad ed.
364 Quod si segna il passaggio ad un’ulteriore modalità del caso: il danno non è stato causa-
to né dalle mule, né dai mulattieri, ma dalla forza maggiore (peso eccessivo insostenibile).
365 Perché troppo cariche.
366 Lungo l’impervia salita del Campidoglio.
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22. D.9.2.52 Alfeno, secondo libro dei digesti
domino posteriorum mularum agi non hanno ceduto sotto lo sforzo367, e per
posse, quoniam non sua sponte, sed questo il carro ha retrocesso e chi
percussae retro redissent. 3. Quidam stava dietro non ha potuto trattenerne
boves vendidit ea lege, uti daret il peso, non c’è azione né contro il pro-
experiundos: postea dedit experiundos: prietario delle mule, né contro gli
emptoris servus in experiundo percussus uomini368. Certo è comunque questo:
ab altero bove cornu est: quaerebatur, in qualunque modo siano andate le
num venditor emptori damnum cose, non si può agire369 contro il pro-
praestare deberet. Respondi, si emptor prietario delle mule posteriori, dal
boves emptos haberet, non debere momento che queste non hanno arre-
praestare: sed si non haberet emptos, trato spontaneamente, ma perché sono
tum, si culpa hominis factum esset, ut a state urtate. 3. Un tale vendette dei
buoi con la clausola di darli in
prova370, quindi li diede in prova;
durante la prova, uno schiavo del com-
pratore venne colpito da uno dei buoi
con una cornata: si chiedeva se il ven-
ditore dovesse risarcire il danno al
compratore. Risposi371 che se il com-
pratore aveva già comprato372 i buoi,
non deve risarcirlo373; ma che, se non
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22. D.9.2.52 Alfeno, secondo libro dei digesti
374 Cioè: se quando si è verificato il danno il compratore non aveva ancora sciolto la riser-
va, la soluzione cambia a seconda delle modalità del caso.
375 Cioè dello schiavo.
376 Il concorso di colpa dello schiavo esclude l’obbligo di risarcimento del danno (con l’ac-
tio de pauperie) a carico del venditore (proprietario dei buoi). Anche in questo contesto culpa
indica il rapporto causale.
377 Il vizio dell’animale giustifica l’esperimento dell’actio de pauperie contro il proprietario
dei buoi.
378 La proposizione cum pilam percipere conaretur è riferita a quidam ex his, non a servulum:
altrimenti, lo schiavo sarebbe uno dei giocatori, il danno non sarebbe iniuria datum (cfr.
D.9.2.7.4 Ulp. 18 ad ed.) e non si capirebbe la domanda circa l’esperibilità o meno dell’actio
legis Aquiliae contro chi ha spinto.
379 In base al terzo capo della legge Aquilia.
380 Alfeno.
381 Ad es., durante una partita di calcio, uno schiavetto attraversa il campo proprio mentre
uno dei giocatori sta cercando di colpire la palla: l’investimento è del tutto casuale, perché l’en-
trata dello schiavetto è improvvisa e inaspettata. Culpa, anche qui, significa nesso causale fra
contegno dannoso e danno (cfr. D.9.2.9.4 Ulp.18 ad ed.; Inst. 4.3.4); ma la colpa è esclusa per-
ché il danno è determinato da caso fortuito.
65
23. D.10.3382.28 Papiniano, sesto libro delle questioni
Sabinus ait in re communi neminem Sabino dice che nessuno dei comproprie-
dominorum iure facere quicquam invito tari può legittimamente fare alcunché
altero posse. Unde manifestum est sulla cosa comune contro la volontà del-
prohibendi ius esse: in re enim pari l’altro: ciò significa che c’è il ius prohi-
potiorem causam esse prohibentis bendi383 ed è quindi evidente che, in con-
constat. Sed etsi in communi prohiberi dizioni di parità384, la posizione di chi lo
socius a socio ne quid faciat potest, ut esercita è quella che prevale385. Ma, ben-
tamen factum opus tollat, cogi non ché il socio possa impedire all’altro di
potest, si, cum prohibere poterat, hoc eseguire delle opere sulla cosa comune,
praetermisit: et ideo per communi l’altro non può tuttavia essere costretto ad
dividundo actionem damnum sarciri eliminare l’opera che vi abbia compiuta,
poterit. Sin autem facienti consensit, se il socio, quando poteva impedirlo,
nec pro damno habet actionem. Quod abbia omesso di farlo386: e in tal caso il
382 Rubrica del titolo: Communi dividundo (= Dell’azione di divisione della cosa comune).
383 Cioè, il diritto di veto “che in forza del suo diritto può opporre ciascun condomino alla
iniziativa degli altri; quindi ognuno è libero di esercitare gli attributi del dominio finché non
intervenga la prohibitio degli altri” (BIONDI, Istituzioni cit., p. 283). Cfr. anche ARANGIO-RUIZ,
Istituzioni cit., p. 229 s.
384 Vi sono due comproprietari, ciascuno dei quali ha una quota ideale pro indiviso, pari alla
metà del valore della cosa comune: la proprietà può essere esercitata nei limiti della quota. Cfr.
BIONDI, Istituzioni cit., loc. ult. cit.
385 Se uno dei condomini non è d’accordo a che l’altro realizzi un’opera sulla cosa comune,
la volontà del primo prevale in virtù del ius prohibendi su quella del secondo.
386 L’esercizio del ius prohibendi è un onere: se un condomino non vuole che l’altro condomino
compia un’opera sulla cosa comune, deve opporvisi tempestivamente, altrimenti non sarà più possibi-
le valersi del diritto di veto. Ritiene che questa parte del fr. sia interpolata dai compilatori giustinianei
l’ARANGIO-RUIZ, Istituzioni cit., p. 230: “... in qualunque momento, chi aveva dedicato ad una deter-
minata opera tempo e spese poteva esser fermato e costretto a distruggere o a riedificare”. Secondo
questo Autore, p. 229 s., benché la concezione del ius prohibendi risponda al medesimo criterio cui si
ispira l’ordinamento della magistratura consolare, in virtù del quale ciascun console “può compiere
qualsiasi atto di governo finché la prosecuzione o esecuzione non ne venga impedita dalla intercessio
del collega” (con l’eccezione della dichiarazione di guerra, contro la quale nessuna intercessio succes-
siva può avere efficacia), “contro il condomino che costrui<sce> o demoli<sce>”, l’efficacia della
prohibitio anche successiva non trova limiti.
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23. D.10.3.28 Papiniano, sesto libro delle questioni
si quid absente socio ad laesionem eius socio387 potrà ottenere soltanto il risarci-
fecit, tunc etiam tollere cogitur. mento del danno con l’actio communi
dividundo388. Se invece era d’accordo
che l’altro compisse l’opera, non avrà
l’azione neppure per ottenere il risarci-
mento del danno389; ma, se il socio ha
compiuto l’opera danneggiando l’altro
socio mentre quest’ultimo era assente,
Sabino dice che sarà anche390 costretto
ad eliminare l’opera.
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24. D.10.4391.9.1 Ulpiano, ventiquattresimo392 libro del commentario all’editto
Glans ex arbore tua in fundum meum Dal tuo albero sono cadute delle
decidit, eam ego immisso pecore ghiande nel mio fondo ed io, introdot-
depasco: qua actione possum teneri? tovi il bestiame, ve lo faccio pascola-
Pomponius scribit competere actionem re393: in base a quale azione posso
ad exhibendum, si dolo pecus immisi, essere tenuto nei tuoi confronti?394
ut glandem commederet: nam et si Pomponio scrive che a te spetta l’azio-
glans extaret nec patieris me tollere, ad ne ad exhibendum395, se con dolo ho
exhibendum teneberis, quemadmodum indotto il bestiame a mangiare le
si materiam meam delatam in agrum ghiande396: infatti, anche se le ghian-
suum quis auferre non pateretur. Et de ci fossero ancora397 e tu non me le
placet nobis Pomponii sententia, sive lasciassi portar via398, saresti tenuto in
glans extet sive consumpta sit. Sed si base all’azione ad exhibendum399,
391 Rubrica del titolo: Ad exhibendum (= Dell’azione ad exhibendum: cioè per ottenere
l’esibizione della cosa).
392 Uno degli argomenti di cui tratta questo libro è l’actio ad exhibendum. Cfr. LENEL, Palin-
genesia cit., vol.II, col.556 ss.
393 Cfr. l’inizio del fr.14.3 D.19.5 Ulp. 41 ad Sab.
394 Cioè contro di me quale azione avrai tu, che in base alla legge delle XII tavole (tab.7.10)
hai il diritto di raccogliere i frutti caduti nel mio fondo purché i rami del tuo albero sporgano di
almeno 15 piedi (= 4.50 metri circa) sul mio campo? Cfr. TALAMANCA, Istituzioni cit., p. 453;
D.19.5.14.3 Ulp. 41 ad Sab.
395 Tu reclami le ghiande in forza della legge delle XII tavole ed io ti rispondo: “Le ghian-
de non ci sono più”. Esperirai allora contro di me l’actio ad exhibendum per ottenere la presen-
tazione delle ghiande. Se non le esibirò (esse non esistono più), sarò condannato al pagamento
della summa condemnationis pari al valore della mancata esibizione. Cfr. Inst. 4.17.3.
396 Cioè se l’ho fatto apposta: ho consapevolemente fatto mangiare ai miei animali le ghian-
de cadute dal tuo albero.
397 Sul tuo fondo, su cui esse sono cadute dal mio albero.
398 Disattendendo così la norma della legge delle XII tavole: cfr. nt. 394. Inversione dei
ruoli dei soggetti nella motivazione della soluzione.
399 Potrei esperire contro di te l’actio ad exhibendum per ottenere l’esibizione delle ghian-
de.
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24. D.10.4.9.1 Ulpiano, ventiquattresimo libro del commentario all’editto
400 Si tratta perciò di materiali che appartengono a me e non al proprietario del fondo, nel
quale sono stati gettati.
401 Ulpiano (plurale maiestatis).
402 Secondo il quale, il proprietario della pianta ha l’actio ad exhibendum contro il proprie-
tario del fondo su cui sono caduti i frutti.
403 Se le ghiande ci sono, una volta convenuto con l’actio ad exhibendum, il proprietario
degli animali le deve esibire. Se non lo fa, verrà condannato al pagamento di una somma a tito-
lo di risarcimento del danno, corrispondente al valore della mancata esibizione.
404 Glans consumpta: le ghiande che sono state divorate dagli animali, il cui proprietario
dovrà esibirle; se non lo farà, sarà condannato al pagamento di una somma equivalente al valo-
re della mancata esibizione. Cfr. nt. 399.
405 Cfr. D.43.28.1 Ulp. 71 ad ed.: Ait praetor: ‘Glandem, quae ex illius agro in tuum cadat,
quo minus illi tertio quoque die legere auferre liceat, vim fieri veto’. 1. Glandis nomine omnes
fructus continentur (Dice il pretore: ‘Vieto di far violenza per impedire che le ghiande, che cado-
no dal campo di quel tale nel tuo, siano da lui raccolte e portate via entro tre giorni’. 1. Nel ter-
mine ghianda sono compresi anche gli altri frutti degli alberi).
406 Cautio damni infecti. Potrò avvalermi dell’interdictum de glande legenda, se prima avrò
promesso di risarcire al proprietario del fondo (su cui si trovano le ghiande) gli eventuali danni
che potrebbero verificarsi in seguito alla mia entrata nel fondo stesso (ad es., potrei danneggia-
re le colture camminandoci sopra, rompere i rami degli alberi nel raggiungere il luogo in cui
sono cadute le ghiande, etc.). Non deve stupire il richiamo alla cautio damni infecti, che è uno
strumento di tutela del fondo, la cui integrità è minacciata da aedes ruinosae o vitiosae situate
sul fondo vicino, di un diverso proprietario, o da attività (rientranti nel diritto di proprietà) ivi
esercitate (cfr. BIONDI, Istituzioni cit., p. 280; MAGANZANI, Formazione e vicende cit., p. 35 s.;
D.39.2.43 Alf. 2 dig.): l’ingresso nel fondo del vicino da parte del proprietario delle ghiande
costituisce comunque, per il proprietario del fondo su cui sono cadute, la minaccia di un danno
proveniente dal fondo confinante, dal quale le ghiande stesse sono cadute.
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25. D.12.1407.18 Ulpiano, settimo libro delle disputationes408
Si ego pecuniam tibi quasi donaturus Se ti avrò dato409 una somma di dena-
dedero, tu quasi mutuam accipias, ro per donartela e tu l’abbia ricevuta
Iulianus scribit donationem non esse: come data a mutuo, Giuliano scrive
sed an mutua sit, videndum. Et puto che non c’è donazione410, ma si deve
nec mutuam esse magisque nummos vedere411 se la somma sia data a
accipientis non fieri, cum alia opinione mutuo. Ed io ritengo che non lo sia e
acceperit. Quare si eos consumpserit, che le monete non siano diventate412
licet condictione teneatur, tamen doli di chi le ha ricevute, perché le ha rice-
exceptione uti poterit, quia secundum vute con una diversa intenzione413:
voluntatem dantis nummi sunt pertanto, se le ha spese, egli è tenuto
407 Rubrica del titolo: De rebus creditis si certum petetur e de condictione (= Dei diritti di
credito aventi per oggetto un certum e della condictio).
408 Cioè delle dispute.
409 Con la traditio.
410 In un altro fr., Giuliano, 13 dig. D.41.1.36, dice che, nonostante le parti qualifichino
diversamente la causa della traditio (nam et si pecuniam numeratam tibi tradam donandi gra-
tia, tu eam quasi creditam accipias), la proprietà passa dal tradente all’accipiente perché una
iusta causa traditionis pur tuttavia esiste oggettivamente (sia la donazione, sia il mutuo giusti-
ficano infatti, secondo il ius civile, l’effetto traslativo della proprietà della traditio). Ulpiano
sembra invece di opinione opposta (nummos accipientis non fieri): i romanisti moderni vedono
quindi fra i due frammenti un’insanabile antinomia. Non è peraltro da escludere che Ulpiano
citi un diverso testo giulianeo andato perduto. Si vedano tuttavia le ntt. 413 e 416.
411 La questione se si tratti di mutuo è posta da Giuliano o da Ulpiano a seconda che la frase
sed an mutua sit, videndum la si legga sed an mutua sit, videndum esse (retta da Iulianus scri-
bit) o videndum est.
412 Di proprietà.
413 Sin qui l’antinomia fra il pensiero di Giuliano e quello di Ulpiano è evidente (cfr. nt.
410): secondo il primo, la proprietà passa all’accipiente nonostante il dissenso sulla iusta causa
traditionis (D.41.1.36); ad avviso del secondo, l’accipiente non acquista la proprietà, perché
riceve la somma di denaro cum alia opinione. Ma diverso è l’oggetto dell’indagine: a Giuliano
interessa vedere se la traditio sia traslativa del dominium quando c’è accordo sull’oggetto della
consegna, anche se non c’è accordo sulla iusta causa traditionis; ad Ulpiano se, in mancanza di
accordo sul negozio, ciò nonostante un negozio esista ugualmente e di che tipo. Secondo il
primo, la proprietà passa; ad avviso del secondo, un negozio si conclude, ma non si tratta né di
mutuo, né di donazione, di conseguenza, la proprietà non passa.
70
25. D.12.1.18 Ulpiano, settimo libro delle disputationes
71
26. D.12.4421.16 Celso, terzo libro dei digesti
Dedi tibi pecuniam ut mihi Stichum Ti ho dato una somma di denaro per-
dares: utrum id contractus genus pro ché tu mi dessi Stico: questo genere di
portione emptioni et venditoris est, an contratto è in parte una compravendi-
nulla hic alia obligatio est quam ob ta422? Oppure qui non c’è altra obbli-
rem dati re non secuta? In quod gazione che quella nascente dalla con-
proclivior sum: et ideo, si mortuus est segna di una cosa in vista di una con-
Stichuus, repetere possum quod ideo troprestazione che non è seguita, come
tibi dedi ut mihi Stichum dares. Finge io sono più incline a pensare423? Dun-
alienum esse Stichum, sed te tamen que, se Stico è morto, io posso ripetere
eum tradidisse: repetere a te pecuniam quanto ti ho dato affinché tu mi dessi
potero, quia hominem accipientis non Stico424. Immagina poi che Stico
feceris; et rursus, si tuus est Stichus et appartenga ad un altro e che tu, ciò
421 Rubrica del titolo: De condictione causa data causa non secuta (= Della condictio causa
data causa non secuta, cioè dell’azione di ripetizione di una cosa data in vista di una contropre-
stazione che non è seguita).
422 Se così fosse, tu saresti obbligato, come venditore, a consegnarmi Stico.
423 Celso non ritiene che si tratti di compravendita.
424 “In mancanza di un previo accordo fra noi due che cada sulla causa tipica di una com-
pravendita, per il solo fatto che io ti abbia dato la somma, tu non sei affatto tenuto a darmi lo
schiavo: non ho, in altri termini, l’azione ex empto per l’inadempimento di un obbligo di darmi
Stico, che tu non hai mai assunto. Se tuttavia la controprestazione che io mi aspetto non segue
(se cioè non mi dai Stico), tu sei obbligato a restituirmi la somma (obbligazione derivante dal
fatto che ti ho dato una res a cui non è seguita la controprestazione per la quale te l’ho data):
quest’obbligo si fa valere con la condictio (azione di ripetizione) ob rem dati re non secuta o
causa data causa non secuta” (NEGRI (a cura di), Digesto cit., p. 31, nt.2).
72
26. D.12.4.16 Celso, terzo libro dei digesti
425 Mi hai dunque consegnato una cosa altrui: anche in questo caso la controprestazione che
mi aspettavo non c’è stata.
426 Ti avevo infatti dato il denaro ut tu Stichum dares, cioè affinché mi trasferissi la proprie-
tà di Stico; ma, se lo schiavo è di un altro, la proprietà non passa: la controprestazione non è
quindi seguita.
427 La controprestazione si considera mancata anche nel caso in cui tu, pur avendomi con-
segnato Stico e questo sia tuo, ti sia rifiutato di prestare garanzia per l’eventualità dell’evizione
(azione di rivendica esperita vittoriosamente dal terzo proprietario contro il consegnatario di
Stico): potrò quindi esperire contro di te la condictio per la restituzione della somma.
73
27. D.13.6428.17.3 Paolo, ventinovesimo libro del commentario all’editto
Sicut autem voluntatis et officii magis Come dare in comodato è un atto spon-
quam necessitatis est commodare, ita taneo e basato sull’officium429, più che
modum commodati finemque sulla necessità430, così fissare le
praescribere eius est qui beneficium modalità del comodato e il termine di
tribuit. Cum autem id fecit, id est restituzione dipende da chi ha conces-
postquam commodavit, tunc finem so il favore431. Quando però lo ha con-
praescribere et retro agere atque cesso, cioè dopo che ha dato in como-
intempestive usum commodatae rei dato, non è soltanto l’officum che
auferre non officium tantum impedit, impedisce di fissare un termine di
sed et suscepta obligatio inter dandum restituzione, di recedere dal proposito
accipiendumque. Geritur enim o di sottrarre intempestivamente l’uso
negotium invicem et ideo invicem della cosa comodata, ma anche il rap-
propositae sunt actiones, ut appareat, porto obbligatorio sorto dalla conse-
quod principio beneficii ac nudae gna432 e dall’accettazione433: infatti, il
voluntatis fuerat, converti in mutuas negozio434 coinvolge ambedue le parti,
praestationes actionesque civiles, ut ed è per questo che vengono date due
accidit in eo, qui absentis negotia azioni reciproche435, cosicché appaia
428 Rubrica del titolo: Commodati vel contra (= Dell’azione di comodato diretta e contra-
ria).
429 Dovere di solidarietà nei rapporti interpersonali: ad es., Tizio deve andare con urgenza
all’ospedale e Caio mette a disposzione l’automobile.
430 Il comodante, cioè, non è giuridicamente tenuto a prestare le proprie cose (si ricordi il
necessitate adstringimur della definizione di obbligazione contenuta in Inst. 3.13 pr.).
431 Di consentire al comodatario l’uso della cosa. È il comodante che stabilisce le modalità
d’impiego della cosa e quando questa dovrà essere restituita, perché è lui che ha deciso di
comodarla. Nell’es. della nt. 429, Caio, al momento della consegna dell’auto, consente al como-
datario di usarla soltanto per recarsi all’ospedale e di restituirgliela al calar del sole.
432 Dalla consegna della cosa nascono infatti obbligazioni a carico del comodatario: cfr. Inst.
3.14.2.
433 Della cosa comodata: ogni comportamento scorretto di entrambi i contraenti è escluso
dal dovere di solidarietà (officium e bona fides) e dagli obblighi nascenti dal contratto.
434 Cioè il contratto di comodato.
435 L’actio commodati diretta e l’actio commodati contraria, esperibili, rispettivamente, dal
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27. D.13.6.17.3 Paolo, ventinovesimo libro del commentario all’editto
gerere inchoavit: neque enim impune che quanto all’inizio dipendeva dalla
peritura deseret, suscepisset enim concessione di un favore fatto di spon-
fortassis alius, si is non coepisset. tanea volontà si converte in reciproche
Voluntatis est enim suscipere prestazioni436 tutelate da azioni civi-
mandatum, necessitatis consummare. li437, come accade per chi abbia
Igitur si pugillares mihi commodasti, cominciato a gestire gli affari di un
ut debitor mihi caveret, non recte facies assente, giacché il gestore non può
importune repetendo: nam si negasses, abbandonare impunemente affari438
vel emissem vel testes adhibuissem. destinati ad andare altrimenti439 in
Idemque est, si ad fulciendam insulam rovina: se, infatti, non avesse comin-
tigna commodasti, deinde protraxisti ciato a gestirli lui, li avrebbe magari
aut etiam sciens vitiosa commodaveris: assunti un altro; ed anche assumere
adiuvari quippe nos, non decipi un mandato440 è infatti un atto sponta-
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27. D.13.6.17.3 Paolo, ventinovesimo libro del commentario all’editto
441 Cioè obbligatoria (cfr. l’inizio del fr.), come è obbligatorio per il negotiorum gestor por-
tare a termine la gestione intrapresa.
442 Materiale scrittorio.
443 Ad es., il contenuto di una stipulazione cautelare redatta su tavolette cerate, a scopo pro-
batorio.
444 Ad es., prima che vi si cominci a scrivere, o dopo che si sia redatta la stipulazione cau-
telare.
445 Per provare l’avvenuta stipulazione cautelare.
446 Perché il comodante si è comportato scorrettamente o dolosamente (contro buona fede):
l’azione contraria è dunque opportunamente data dal pretore (di cui Paolo commenta l’editto sul
comodato).
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28. D.13.6.18 Gaio, nono libro del commentario all’editto provinciale
In rebus commodatis talis diligentia Nella cura delle cose prese in comoda-
praestanda est, qualem quisque to si deve prestare la stessa diligenza
diligentissimus pater familias suis che un pater familias molto diligente
rebus adhibet, ita ut tantum eos casus presta nella cura delle proprie cose447:
non praestet, quibus resisti non possit, il comodatario non risponde dei soli
veluti mortes servorum quae sine dolo et casi, cui non è possibile resistere448,
culpa eius accidunt, latronum come, ad esempio, la morte degli
hostiumve incursus, piratarum schiavi che avviene senza suo dolo o
insidias, naufragium, incendium, colpa449, gli assalti dei rapinatori o dei
fugas servorum qui custodiri non nemici, gli agguati dei pirati, il naufra-
solent. Quod autem de latronibus et gio, l’incendio, la fuga degli schiavi
piratis et naufragio diximus, ita scilicet che non hanno solitamente bisogno di
accipiemus, si in hoc commodata sit sorveglianza450. Quanto poi abbiamo
alicui res, ut eam rem peregre secum detto circa i rapinatori, i pirati e il
ferat: alioquin si cui ideo argentum naufragio vale quando la cosa è stata
commodaverim, quod is amicos ad comodata con facoltà del comodatario
cenam invitaturum se diceret, et id di portarla all’estero451: se invece ho
447 Il comodatario deve diligentiam praestare. Cfr. Inst. 3.14.2: ... At is qui utendum accepit
sane quidem exactam diligentiam custodiendae rei praestare iubetur, nec sufficit ei tantam dili-
gentiam adhibuisse quantam suis rebus adhibere solitus est, si modo alius diligentior poterit eam
rem custodire (... Al contrario, chi ha ricevuto una cosa da usare è certamente obbligato a pre-
stare un’exacta diligentia nella custodia della cosa, né è sufficiente che abbia prestato una dili-
genza equivalente a quella che è solito prestare nelle proprie cose, se risulti che un altro avreb-
be potuto custodire la cosa con maggiore diligenza...). Cfr. D.16.3.32 Cels. 11 dig. (deposito);
D.44.7.1.4 Gai. 2 aur. (comodato).
448 Casus cui resisti non potest = casus maiores. D.44.7.1.4 Gai. 2 aur.
449 Cfr. D.50.17.23 Ulp. 29 ad Sab.
450 Perché non hanno bisogno di essere controllati: sono persone tranquille e fidate dalle
quali non ci si aspetterebbe la fuga, che costituisce un casus: cfr. D.50.17.23 Ulp. 29 ad Sab.
451 Se il comodatario riceve la cosa per portarla con sé all’estero, egli non risponderà del-
l’eventuale perdita della cosa dovuta all’assalto dei rapinatori o dei pirati oppure a naufragio.
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28. D.13.6.18 Gaio, nono libro del commentario all’editto provinciale
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28. D.13.6.18 Gaio, nono libro del commentario all’editto provinciale
sufficere, quod ad eam rem custodiendam exactam diligentiam adhiberet: quam si praestiterit et
aliquo fortuito casu rem amiserit, securum esse nec impediri creditum petere (Anche il creditore
che ha ricevuto un pegno è obbligato re, ed è soggetto all’azione pignoratizia per la restituzione
della cosa che ha ricevuto. Ma poiché il pegno è consegnato nell’interesse di entrambe le parti,
del debitore affinché il denaro gli sia dato a credito più facilmente, del creditore affinché il cre-
dito sia più protetto, si è ritenuto sufficiente che il creditore pignoratizio prestasse nella custo-
dia della cosa un’exacta diligentia: se egli ha prestato una simile diligenza e ha perso la cosa
per caso fortuito, può ritenersi al riparo, né gli si può impedire di domandare il credito). Cfr.
anche D.50.17.23 Ulp. 29 ad Sab.
459 Cioè le azioni di pegno, di comodato, di deposito.
460 Perché la condotta, rispettivamente, del creditore pignoratizio, del comodatario e del
depositario, costituisce al contempo un illecito extracontrattuale.
461 Benché fra azioni contrattuali e actio legis Aquiliae vi sia un concorso cumulativo, per
cui, esperita l’una, è possibile esperire anche l’altra (perché le prime perseguono il risarcimen-
to del danno da inadempimento contrattuale, la seconda la poena pecuniaria), per evitare spe-
requazioni, il pretore negherà (denegatio actionis) l’una dopo la conclusione del processo
instaurato con l’esperimento dell’altra.
462 Con l’actio commodati contraria.
463 Il comodatario ha ad es. pagato la visita medica e comprato le medicine necessarie alle
cure dello schiavo preso in comodato, spese che sono a vantaggio del comodante.
464 Lo schiavo è fuggito: il comodatario, ad es., ha pagato un fugitivarius (cercatore di schia-
vi fuggitivi: cfr. D.19.5.18 Ulp. 30 ad ed.) per recuperare il fuggitivo.
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28. D.13.6.18 Gaio, nono libro del commentario all’editto provinciale
465 Maiores impensas: cioè, di regola, le spese straordinarie, che spettano al comodante.
466 Verius (più vero: qui è preferibile intendere più ragionevole) si collega alla naturalis
ratio: le spese per le cure o la ricerca dello schiavo sono a prevalente vantaggio del padrone,
quelle per il vitto sono invece ragionevolmente addossate al comodatario, il quale usa gratuita-
mente dello schiavo comodato e non può quindi pretendere che le spese di vitto durante l’uso
siano sostenute dal padrone.
467 Modica... impendia: spese ordinarie, ad es. per il mantenimento.
468 Al risarcimento del danno e al rimborso delle eventuali spese nel iudicium contrarium
di comodato instaurato dal comodatario.
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29. D.13.7469.30 Alfeno, quinto libro dei digesti epitomati da Paolo
Qui ratiario crediderat, cum ad diem Un tale, che aveva prestato del dena-
pecunia non solveretur, ratem in ro470 a un barcaiolo471, poiché il dena-
flumine sua auctoritate detinuit: postea ro non gli era stato restituito472 nel ter-
flumen crevit et ratem abstulit. Si invito mine, trattenne una barca473 nel fiume
ratiario retinuisset, eius periculo ratem di propria iniziativa: poi, una piena
fuisse respondit: sed si debitor sua del fiume portò via la barca474. Se
egli475 aveva continuato a trattenerla
contro la volontà del barcaiolo476, Ser-
vio rispose che la perdita della barca è
a rischio del creditore477; ma, se il
469 Rubrica del titolo: De pigneraticia actione vel contra (= Dell’azione pignoratizia diretta
e contraria).
470 Con un contratto di mutuo.
471 Ratis designa la barca: ratiarius è chi la conduce, cioè il barcaiolo.
472 Dal barcaiolo. Il verbo solvo indica lo scioglimento dal vincolo obbligatorio con l’esecu-
zione della prestazione dovuta. Obligatio ha la stessa radice del verbo obligo: ob + lego signi-
fica sono astretto da un vincolo; solvere e obligare sono termini correlati: solvere significa scio-
gliere, liberare dal vincolo.
473 Del debitore mutuatario.
474 Ad es., la corrente l’ha strappata dagli ormeggi: chi risarcisce il danno per la perdita
della barca? La soluzione giuridica dipende dalle modalità del caso.
475 Il creditore del barcaiolo.
476 Il prefisso re- del verbo teneo allude al comportamento del creditore che continua a dete-
nere la barca, nonostante il divieto del barcaiolo, che gliene ha chiesto la restituzione.
477 La perdita della barca deve essere sopportata dal creditore (che deve quindi risarcire il
danno al barcaiolo), perché, trattenendola presso di sé contro la volontà del proprietario, egli
commette furto (sottrazione di cosa altrui nella consapevolezza del divieto del proprietario: dolo)
e in quanto ladro deve sopportare il rischio (periculum) della perdita della cosa, avvenuta pres-
so di lui, qualunque ne sia la causa. Benché il mutuatario non l’abbia ancora pagato, il credi-
tore non può farsi giustizia da sé: nella specie, non c’è il diritto di ritenzione della barca, che è
consentito nei soli casi espressamente previsti dal diritto. Il mutuante, creditore del barcaiolo,
ha tenuto una condotta illecita (extracontrattuale) e deve sopportarne le conseguenze.
81
29. D.13.7.30 Alfeno, quinto libro dei digesti epitomati da Paolo
478 In questo caso, fra creditore e barcaiolo intercorre un rapporto di garanzia, cioè un con-
tratto di pegno in base al quale il creditore è tenuto a restituire la cosa al debitore quando que-
st’ultimo abbia estinto il proprio debito nei confronti del primo. Il consenso si perfeziona con
l’assenso del barcaiolo, mentre la barca era già presso il creditore: l’assenso del barcaiolo qua-
lifica cioè la detenzione della barca come continuata a titolo di pegno. Sul contratto di pegno,
cfr. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni cit., p. 315; BIONDI, Istituzioni cit., p. 483.
479 Il creditore, presso cui la barca è andata perduta.
480 Il creditore pignoratizio risponde per colpa, perché sa di detenere la cosa a titolo di
garanzia in vista della restituzione, ed è quindi tenuto a custodirla: se, ad es., il creditore non
lega saldamente la barca agli ormeggi e questa viene portata via dal fiume, egli risponde della
mancata restituzione per colpa.
481 Ad es., se tutte le altre imbarcazioni ormeggiate alla riva accanto a quella del debitore
sono state portate via dalla corrente del fiume, si può ritenere che la perdita della barca sia
avvenuta per vis maior; se invece le altre, nello stesso tratto del fiume, sono rimaste attraccate,
si può pensare che sia colpa del creditore se quella del mutuatario è stata trascinata via dalla
forza del fiume. In base a questi criteri, il giudice dell’eventuale processo intentato dal barca-
iolo contro il creditore potrà decidere.
82
30. D.16.3482.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto
482 Rubrica del titolo: Depositi vel contra (= Dell’azione di deposito diretta e contraria).
483 Probabilmente Ulpiano commenta la rubrica dell’editto sul deposito.
484 Presso il depositario. L’etimologia ad sensum sembra sottolineare implicitamente che
l’obbligo del consegnatario si contrae re.
485 Particella rafforzativa.
486 Non è una definizione del contratto di deposito: qui depositum allude alla res deposita,
cioè all’oggetto del deposito.
487 Il fondamento del deposito è la fides: do una cosa a Tizio, perché mi fido di lui e, fidan-
domi, gliel’affido: la fides ha un significato relazionale, interpersonale. Cfr. il fidem frangere del
§4 del fr. Il regime del deposito è infatti esposto insieme a quello dei bonae fidei iudicia. Nel
XXX libro del commentario all’editto Ulpiano scrive anche: commendare (cioè affidare) nihil
aliud est quam deponere. Così anche Papiniano 9 quaest. D.16.3.24: quid est enim aliud com-
mendare quam deponere (che altro vuol dire affidare se non dare in deposito)?
488 Citazione testuale dell’editto introduttivo della formula dell’actio depositi in factum.
489 Iudicium dabo, cioè “autorizzerò un processo con un’azione”.
490 Cioè per il mero valore della cosa.
491 Cioè per il doppio del valore della cosa. Cfr. Inst. 4.6.23.
83
30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto
malo eius factum esse dicetur qui depositario medesimo, contro il suo
mortuus sit, in simplum, quod ipsius, in erede la darò in simplum per ciò che si
duplum iudicium dabo’. 2. Merito has dirà sia stato fatto con dolo del defun-
causas deponendi separavit praetor, to, in duplum per ciò che sia stato fatto
quae continent fortuitam causam con dolo dell’erede stesso”492. 2.
depositionis ex necessitate Opportunamente il pretore ha tenuto
descendentem, non ex voluntate distinte queste cause493, che hanno
proficiscentem. 3. Eum tamen deponere indotto a depositare, nelle quali il
tumultus vel incendii vel ceterarum motivo fortuito che ha spinto al depo-
causarum gratia intellegendum est, qui sito non dipende dalla mera volontà
del deponente, ma deriva dalla neces-
sità494. 3. Si deve peraltro495 ritenere
che deponga per tumulto, incendio o
per gli altri casi indicati nell’editto,
chi non abbia altra ragione di deporre
che il pericolo imminente496 dovuto
492 Cfr. Inst. 4.6.17. Nel caso di deposito, detto dai moderni “necessario” (o “necessitato”
o “miserabile”), se il depositario è morto non avendo restituito la cosa con dolo e il suo erede
non l’ha riconsegnata (ad es., l’erede ignora che la cosa che si trova in casa del de cuius appar-
tiene al deponente: cfr. Gai. 2.50 e Inst. 2.6.4), il pretore concederà un’azione di condanna in
simplum, vale a dire nei limiti del valore della cosa depositata, contro l’erede del depositario,
che non risponde in duplum per un comportamento doloso altrui. Se invece è l’erede stesso a
non restituire dolosamente la cosa al deponente (ad es., la vende benché al corrente che era
stata depositata dal vicino, in occasione dell’incendio della villa di questi), anche l’erede
risponde in duplum. L’editto che Ulpiano commenta (cioè l’editto perpetuo di Salvio Giuliano)
conteneva forse anche l’editto, le formule in ius e in factum relative all’azione contraria data
contro il deponente per i danni risentiti e le spese sostenute a causa del deposito, nonché le for-
mule dell’actio depositi sequestraria.
493 Il pretore ha distinto il deposito “necessario” dal deposito “volontario”, quest’ultimo non
effettuato per necessità determinata da eventi pressanti come quelli elencati dal pretore.
494 Il deponente non avrebbe effettuato il deposito se non si fossero verificati gli eventi che
ne hanno determinato, pressantemente, l’iniziativa, nell’intento di salvare il salvabile: il gerun-
divo (causae deponendi) indica che si tratta di cause che hanno indotto a depositare.
495 Il tamen non ha qui un valore astrattamente avversativo: Ulpiano avverte che il pretore non
promette di dare l’actio in duplum per qualunque ipotesi abbia spinto il deponente a deporre (per
es., in occasione di un trasloco o della partenza per le vacanze o per un viaggio urgente).
496 Il deposito è avvenuto per sottrarre le cose al rischio di perderle in occasione di naufra-
gio, tumulto, eventi che ne minacciano l’incolumità (il verbo immineo esprime l’impossibilità e
84
30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto
nullam aliam causam deponendi habet alle ipotesi sopra scritte. 4.497 La
quam imminens ex causis supra scriptis ratio498 di questa distinzione di cause
periculum. 4. Haec autem separatio è in effetti ispirata ad un giusto crite-
causarum iustam rationem habet: rio, perché chi può scegliere la perso-
quippe cum quis fidem elegit nec na cui affidarsi, e il deposito499 non
depositum redditur, contentus esse viene restituito, deve ben accontentar-
debet simplo, cum vero extante si del simplum500; quando invece
necessitate deponat, crescit perfidiae deposita per un’incombente necessi-
crimen et publica utilitas coercenda est tà501, il crimen perfidiae502 diventa più
vindicandae rei publicae causa: est grave e la publica utilitas deve essere
enim inutile in causis huiusmodi fidem salvaguardata allo scopo di tutelare
frangere. 5. Quae depositis rebus l’ordine pubblico503: violare la fides504
accedunt, non sunt deposita, ut puta si in questo genere di circostanze è infat-
ti contrario all’utilitas505. 5. Non sono
le cose che accedono a quelle deposi-
85
30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto
506 Commento del termine depositum nell’editto introduttivo della formula in factum.
507 Se d’inverno deposito uno schiavo impellicciato presso di te e te ne chiedo la restituzio-
ne in primavera, e tu me lo ridai senza pelliccia, per ottenere l’accessorio dovrò indicare nel-
l’intentio della formula in factum (il che vale anche per la demonstratio di quella in ius) che ho
depositato presso di te il mio schiavo, ma che anche questa pelliccia non mi è stata restituita
con tuo dolo.
508 Ulpiano si limita ad asserire che oggetto del deposito non sono il vestito o la cavezza, ma
lo schiavo e il cavallo, e non viceversa: la cosa principale attrae l’accessorio (e non il contra-
rio), che è anch’esso dovuto.
509 Se Tizio non mi restituisce il libro depositato perché lo ha buttato via per errore insieme
ad altri libri vecchi, in base a questa clausola sarà tenuto con l’actio depositi.
510 La ratio dubitandi dipende dalla natura reale del deposito: le obbligazioni del deposita-
rio non si contraggono consensu, ma re, mentre le leges contractus si fondano sull’accordo fra le
parti.
511 Che è il criterio di valutazione del comportamento delle parti. L’actio depositi è un iudi-
cium bonae fidei: cfr. D.16.3.31 Tryph. 9 disp.; D.50.17.23 Ulp. 29 ad Sab.
512 Il regime edittale della responsabilità per dolo del depositario è di ordine pubblico e
quindi inderogabile dalle parti: un patto che escluda il dolo è nullo.
513 Ulpiano, qui e nei §§ segg., apre un excursus sulla qualificazione della fattispecie nego-
ziale, allo scopo di individuare l’azione esperibile in base alla ricognizione dell’id quod actum.
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30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto
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30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto
dia ed abbia quindi l’azione ex locato qualora il proprietario dello schiavo non gli paghi la mer-
cede. In altre parole: nel §9 il locatore proprietario dello schiavo ha, a seconda dell’assetto d’in-
teressi, l’azione di deposito, di locazione, di conduzione o praescriptis verbis; mentre il mugna-
io ha sempre e soltanto l’azione di conduzione, con la quale potrà far valere l’obbligo del loca-
tore di consegnargli lo schiavo da custodire e di pagargli la mercede pattuita. Il locatore, con
l’azione ex conducto contro il mugnaio, potrà far valere gli obblighi del conduttore di custodire
lo schiavo e di restituirlo. Potrebbe sembrare un’inutile ripetizione il caso del mugnaio che rice-
ve una merces in cambio della custodia del servus, rispetto a quello precedente (§8) del balnea-
tor che si impegna a custodire i vestiti del bagnante dietro corrispettivo. Ma diverso è il conte-
sto delle due fattispecie. Nel §8, Ulpiano individua due opposte fattispecie, a seconda che il
consegnatario della res abbia ricevuto o meno un compenso: se non è stata pagata alcuna mer-
cede, il balneator risponde a titolo di deposito (depositi eum teneri) e dunque nei soli limiti del
dolo, se invece è stata versata, il bagnino risponde come conduttore (ex conducto, sottinteso eum
teneri). La differente qualificazione delle fattispecie è funzionale all’individuazione del titolo
della responsabilità del consegnatario: se è stato concluso un deposito, il balneator risponde
come depositario, se è stata conclusa una locatio operis faciendi, il balneator risponde come con-
ductor operis. La difforme qualificazione delle fattispecie consente ad Ulpiano di individuare
l’azione con cui si può di volta in volta convenire il consegnatario della res. Se è stato il mugna-
io a ricevere il compenso, il proprietario dello schiavo avrà un’azione contro di lui come conduc-
tor operis, se è stato il proprietario stesso a ricevere una merces, quest’ultimo potrà agire ex loca-
to contro il pistrinarius. Mentre nel §8 si distingue a seconda che il balneator abbia ricevuto o
meno la merces, perché da ciò dipende il criterio di responsabilità, nel §9 si distingue a secon-
da che a ricevere il corrispettivo sia stato il mugnaio o il proprietario, perché da ciò dipende il
tipo di azione esperibile contro il consegnatario della res (ossia il mugnaio). L’individuazione
dell’azione attraverso l’identificazione della fattispecie negoziale prosegue nel resto del §9, ove
si prevede la possibilità di agire con l’azione praescriptis verbis contro il mugnaio in caso di com-
pensazione fra operae dello schiavo e custodia del pistrinarius, o con l’azione di deposito qua-
lora il mugnaio abbia provveduto al mantenimento dello schiavo senza percepire alcun corri-
spettivo. Cfr. nt. 516.
520 Se la custodia dello schiavo si compensa con i servigi prestati da quest’ultimo, il nego-
zio potrebbe sembrare una locatio-conductio, ma questa prevede nel suo assetto causale tipico
che il corrispettivo sia espresso in denaro. Si tratta dunque di un assetto d’interessi non ricon-
ducibile ad alcuna fattispecie contrattuale tipica: chi ha consegnato lo schiavo avrà l’actio prae-
scriptis verbis, cioè un’azione nella formula della quale si enuncia ciò che le parti hanno previ-
sto in un rapporto negoziale che non rientra in alcuna figura contrattuale nominata e tipica.
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30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto
intervenit, sed quia pecunia non datur, invece non si corrispondeva521 nien-
praescriptis verbis datur actio: si vero t’altro che il mantenimento e nulla si è
nihil aliud quam cibaria praestabat convenuto quanto alle opere, c’è
nec de operis quicquam convenit, l’azione di deposito522. 10523. Nel caso
depositi actio est. 10. In conducto et della conduzione e locazione524 e del
locato et in negotio, ex quo diximus negozio in base al quale abbiamo detto
praescriptis verbis dandam actionem, et che si deve dare un’azione praescriptis
dolum et culpam praestabunt qui verbis, coloro525 che hanno ricevuto lo
servum receperunt: at si cibaria schiavo risponderanno sia per dolo, sia
per colpa: ma, se hanno fornito il mero
mantenimento, soltanto per dolo526.
Seguiamo tuttavia, come dice Pompo-
nio, anche ciò che le parti527 hanno
messo per iscritto o hanno convenu-
to528, purché si sappia che, qualunque
521 Sintatticamente, Ulpiano sembra riferirsi al mugnaio, ma il vitto potrebbe essere corri-
sposto da chi consegna lo schiavo. In ambedue i casi il padrone avrebbe l’azione di deposito per
la restituzione dello schiavo; il mugnaio, qualora fosse stato lui a corrispondere il vitto, avreb-
be l’azione di deposito contraria per il rimborso.
522 Se il mugnaio si limita a mantenere lo schiavo e nulla si è convenuto quanto alla custo-
dia, che è perciò prestata gratuitamente, l’id quod actum (cioè, ciò che è stato stabilito dalle
parti) è qualificato come deposito. La custodia implica anche il mantenimento dello schiavo,
che il mugnaio sarà tenuto a restituire nelle stesse condizioni in cui lo ha ricevuto. Egli potrà
agire contro il deponente con l’azione di deposito contraria per il rimborso delle spese di man-
tenimento, che non alterano la gratuità del deposito: non costituiscono cioè, qualora corrisposte
da chi ha consegnato lo schiavo, un corrispettivo della custodia.
523 Cfr. sopra §7.
524 Mentre poco prima, in occasione dell’individuazione dell’azione esperibile, si parla di
quasi genus locati et conducti, ove locati precede conducti, qui conductio precede locatio, pro-
prio perché si sta precisando il titolo della responsabilità del depositario e del conductor (ope-
ris o rei).
525 Transizione generalizzante al plurale.
526 Perché si tratta in tal caso di deposito.
527 Cioè chi ha consegnato e chi ha ricevuto lo schiavo.
528 Proscriptum aut convenerit: prescritto unilateralmente, come dichiarazione di una delle
parti nel proprio prevalente interesse e accettata (anche implicitamente) dall’altra, o clausola
pattuita nel comune interesse delle parti; ma Ulpiano potrebbe semplicemente alludere ad
accordi presi a voce o redatti per iscritto per precauzione e memorizzazione del loro contenuto.
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30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto
tantum, dolum dumtaxat. Sequemur cosa sia stata messa per iscritto529,
tamen, ut Pomponius ait, et quid coloro che hanno ricevuto lo schiavo
habuerunt proscriptum aut quid risponderanno comunque per dolo,
convenerit, dummodo sciamus et si che è il solo530 a venire in considera-
quid fuit proscriptum, dolum tamen eos zione nel deposito. 11. Se ti avrò pre-
praestaturos qui receperunt, qui solus gato di portare una mia cosa a Tizio
in depositum venit. 11. Si te rogavero, perché la conservi lui, presso Pompo-
ut rem meam perferas ad Titium, ut is nio531 ci si chiede con quale azione io
eam servet, qua actione tecum experiri possa agire contro di te. Ed egli532
possum, apud Pomponium quaeritur. pensa: contro di te con l’azione di
Et putat tecum mandati, cum eo vero, mandato, contro chi ha ricevuto le
qui eas res receperit, depositi: si vero cose533 con quella di deposito; se inve-
tuo nomine receperit, tu quidem mihi ce le ha ricevute a tuo nome, tu sei
mandati teneris, ille tibi depositi, quam tenuto nei miei confronti con l’azione
actionem mihi praestabis mandati di mandato, quello nei tuoi con l’azio-
iudicio conventus. 12. Quod si rem tibi ne di deposito, azione che tu mi cede-
rai534, una volta convenuto nel proces-
so di mandato535. 12. Se poi ti ho dato
la cosa perché la custodisca tu qualo-
ra Tizio non l’abbia ricevuta, e Tizio
non l’abbia ricevuta, bisogna vedere
529 Cfr. nt. precedente. La redazione scritta di un deposito non fa che memorizzarne il con-
tenuto, ma non ne altera certo la natura di contratto che si perfeziona re, cioè con la consegna
della cosa.
530 Cfr. il §7.
531 Nei §§11-14, Ulpiano attinge alla casistica tratta da Pomponio.
532 Pomponio.
533 Si noti la transizione da rem meam a eas res (qui eas res receperit): Ulpiano enuncia un
principio consolidato di diritto. Ogni volta che A incarica B di portare una cosa a C affinché
questi la conservi, se B gliela consegna e C non la restituisce ad A, quest’ultimo ha l’azione di
deposito contro C.
534 Cfr. Gai. 4.86.
535 Io ho l’azione di mandato contro di te, ma tu non sarai condannato per inadempimento
(Qualora Tizio non mi restituisca la cosa depositata) se mi cederai l’azione che hai contro Tizio.
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30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto
dedi, ut, si Titius rem non recepisset, tu se ci sia soltanto l’azione di deposito o
custodires, nec eam recepit, videndum anche quella di mandato. Pomponio ne
est, utrum depositi tantum an et dubita536: ma io penso che ci sia
mandati actio sit. et Pomponius l’azione di mandato, perché la fatti-
dubitat: puto tamen mandati esse specie contrattuale più ampia è quella
actionem, quia plenius fuit mandatum di un mandato contenente una clauso-
habens et custodiae legem. 13. Idem la di custodia537. 13538. Il medesimo
Pomponius quaerit, si tibi mandavero, Pomponio si domanda, qualora io ti
ut rem ab aliquo meo nomine receptam abbia dato mandato539 di custodire
custodias, idque feceris, mandati an una cosa che hai ricevuto da qualcuno
depositi tenearis. Et magis probat a mio nome, e tu l’abbia fatto, se tu sia
mandati esse actionem, quia hic est tenuto con l’azione di mandato o di
primus contractus. 14. Idem deposito. Ed egli ritiene preferibile
Pomponius quaerit, si apud te volentem che ci sia l’azione di mandato, perché
me deponere iusseris apud libertum questo è il rapporto540 contratto per
tuum deponere, an possim tecum primo541. 14. Lo stesso Pomponio si
depositi experiri. Et ait, si tuo nomine, chiede se, volendo io depositare pres-
hoc est quasi te custodituro, so di te, tu mi abbia invitato a deposi-
deposuissem, mihi tecum depositi esse tare presso un tuo liberto, io possa
536 Non è verosimile un dubbio irrisolto di Pomponio: per questo ho tradotto “Pomponio ne
dubita”, dubita cioè che ci sia anche l’azione di mandato (cfr. nt. 537).
537 L’actio mandati è di buona fede, l’actio depositi in factum è data per la mancata restitu-
zione dolosa. Pomponio vede nelle fattispecie un deposito, condizionato alla mancata accetta-
zione della cosa da parte di Tizio.
538 Cfr. D.17.1.8 pr. Ulp. 31 ad ed.
539 Nel testo latino c’è il futuro anteriore. Ulpiano prospetta il caso che il contratto sia già
stato concluso. L’uso dei tempi verbali e dei piani temporali denota precisione nell’esposizione
della fattispecie. Per la discussione circa la connessione di questo § col precedente, quanto al
pensiero di Pomponio, cfr. D.17.1.8 pr. Ulp. 31 ad ed.
540 Transizione dall’azione al rapporto sostanziale.
541 Cfr. nt. 537: qui la situazione è inversa. Mentre nel caso del §12 prevale, per Pomponio,
il deposito, nel §13, sempre per Pomponio, si tratta di mandato, per l’opposta ragione.
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30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto
542 Questa soluzione risale ad Ulpiano, come sembra apparire dalla transizione mihi tecum
depositi esse actionem, tecum nullam esse actionem (infinitive rette entrambe da et ait <Pompo-
nius>) alla frase cum illo depositi actio est (indicativo presente).
543 Il mandato si conclude nell’interesse del mandante (mea gratia Gai. 3.156) e non nel
mero interesse del mandatario (tua tantum gratia), pertanto “si considera come semplice con-
siglio non produttivo di effetti giuridici” (BIONDI, Istituzioni cit., p. 511).
544 Se tu mi hai dato mandato di depositare una mia cosa presso il tuo liberto periculo tuo
(cioè assumendoti nei miei confronti il rischio della mancata restituzione da parte del liberto),
io agisco come tuo mandatario, perché tu, assumendoti il rischio, hai interesse all’esecuzione
del mandato e alla restituzione della cosa stessa a me (deponente presso il tuo liberto), perciò,
se questa non mi viene restituita, potrò agire contro di te con l’azione di mandato contraria, per-
ché il mandato non è più tua gratia, come nel caso precedente. Poiché tu ti eri assunto il rischio
della mancata restituzione, io (tuo mandatario), nell’esecuzione del mandato, subisco la perdi-
ta della mia cosa: perdita, della quale tu avevi assunto il rischio nei miei confronti.
545 Cioè per il tuo liberto.
546 La soluzione di Labeone contempera le ragioni del fideiussore con quelle del deponen-
te: il fideiussore sarà obbligato in virtù del negozio fideiussorio, ma la litis aestimatio sarà quel-
la che si calcola nel processo di deposito. La litis aestimatio dell’azione derivante dal negozio
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30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto
et si non fecit, est tamen res apud eum. non solo se chi ha accettato il deposi-
Quid enim si fureret is, apud quem to si è comportato con dolo, ma anche
depositum sit, vel pupillus sit, vel neque se non si è comportato così, purché la
heres neque bonorum possessor neque cosa resti tuttavia presso di lui547: che
successor eius exstaret? Tenebitur ergo, dire, infatti, se colui presso il quale si
ut id praestet, quod depositi actione trova la cosa depositata divenisse
praestari solet. 15. An in pupillum, pazzo, oppure fosse un pupillo, o non
apud quem sine tutoris auctoritate vi fosse alcun erede, né bonorum pos-
sessor, né comunque un successore?548
Egli549 sarà dunque tenuto a prestare
ciò che si suole prestare con l’azione
di deposito550. 15. Ci si chiede se si
dia l’azione di deposito contro il pupil-
lo presso il quale il deposito è stato
fatto senza l’auctoritas del tutore551; e
si deve ammettere che si possa agire
se avrai depositato presso un pupillo
già capace di commettere dolo, sempre
che lo abbia commesso: ancorché nei
limiti dell’arricchimento552, questa
fideiussorio comprende di regola sia il valore della cosa depositata, sia l’interesse del debitore
principale all’esecuzione della prestazione (principale) da parte del fideiussore, mentre la litis
aestimatio dell’actio depositi in factum ha per oggetto soltanto il quanti ea res erit, cioè il mero
valore della cosa. Labeone si limita ad affermare che il fideiussore tenebitur ergo, ut id praestet,
quod depositi actione praestare solet. Nei casi di depositario impazzito o pupillo, l’azione contro
il fideiussore potrebbe essere esperita rispettivamente dal curator furiosi e dal tutor pupilli.
547 Cioè presso il depositario: il fideiussore del depositario è tenuto se il depositario non
restituisce con dolo o non restituisce per le cause non dolose elencate nel testo (pazzia, etc.).
548 Del depositario: in caso di deposito garantito da fideiussione, il fideiussore è ugualmen-
te tenuto.
549 Cioè il fideiussore. Cfr. nt. 546.
550 Cioè il valore dell’interesse del deponente alla restituzione della cosa depositata.
551 Ulpiano commenta le parole dolo malo Numerii Negidii della formula in factum.
552 La formula contiene, a questo scopo, la taxatio, cioè una clausola che impone al giudi-
ce un limite alla condanna pecuniaria.
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30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto
depositum est, depositi actio detur, azione553 è data infatti contro di lui554,
quaeritur. Sed probari oportet, si apud anche se il dolo non c’è stato555. 16. Se
doli mali iam capacem deposueris, agi la cosa depositata è restituita deterio-
posse, si dolum commisit: nam et in rata, si può agire con l’azione di depo-
quantum locupletior factus est, datur sito come se non fosse stata restituita:
actio in eum et si dolus non intervenit. si può ben dire, infatti, che una cosa
16. Si res deposita deterior reddatur, che si restituisce deteriorata “non è
quasi non reddita agi depositi potest: stata restituita con dolo”556.
cum enim deterior redditur, potest dici
dolo malo redditam non esse.
553 Di deposito.
554 Cioè contro il pupillo.
555 A maggior ragione è data dunque l’azione di deposito se il dolo lo ha commesso. Sulla
necessità dell’auctoritas tutoris negli atti inter vivos del pupillo, cfr. Inst. 1.21 pr.
556 Citazione testuale della clausola formulare dolo malo redditam non esse.
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31. D.16.3.6 Paolo, secondo libro del commentario all’editto
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32. D.16.3.7 pr. Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto
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33. D.16.3.13 Paolo, trentunesimo libro del commentario all’editto
566 Intentato dal falso procuratore o dal sedicente erede del deponente.
567 Deponente.
568 Perché ha ritenuto in buona fede che il richiedente non fosse legittimato a chiedere la
restituzione.
569 Che il richiedente è effettivamente procuratore o erede del deponente.
570 Contro il depositario, se continua a rifiutare la restituzione.
571 Il dolo consiste nella consapevolezza che la cosa deve essere restituita al richiedente e
nel rifiuto, ciò nonostante, di consegnargliela.
572 Nel momento (nunc: ora) in cui gli è nota la legittimazione del richiedente.
573 Condictio furtiva: azione di ripetizione, che concorre con l’azione di deposito se il depo-
sitario non restituisce con dolo, comportandosi, così, come ladro. Concorrono con l’azione di
deposito anche la rivendica (se il deponente è proprietario della cosa depositata e il deposita-
rio interverte il possesso), l’actio ad exhibendum (se il depositario rifiuta di esibire la cosa a
richiesta del deponente), l’actio furti (se il depositario ruba la cosa o l’uso della cosa deposita-
ta: questa azione concorre con la condictio furtiva), l’actio legis Aquiliae (se il depositario dan-
neggia la cosa).
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34. D.16.3.17 Fiorentino, settimo libro delle Istituzioni
Licet deponere tam plures quam unus Presso il depositario possono deporre
possunt, attamen apud sequestrem non sia più persone, sia una persona sola,
nisi plures deponere possunt: nam tum presso il sequestratario non depongo-
id fit, cum aliqua res in controversiam no, invece, se non più persone, giac-
deducitur. Itaque hoc casu in solidum ché ciò avviene quando la cosa è
unusquisque videtur deposuisse: quod oggetto di controversia574: in quest’ul-
aliter est, cum rem communem plures timo caso è quindi da ritenere che cia-
deponunt. 1. Rei depositae proprietas scuno abbia depositato in solido575,
apud deponentem manet: sed et mentre diverso è il caso di più persone
possessio, nisi apud sequestrem che depongono una cosa comune576. 1.
La proprietà della cosa depositata
rimane presso il deponente e vi rima-
ne anche il possesso577, a meno che la
cosa non sia stata depositata presso un
sequestratario, nel qual caso possiede
soltanto il sequestratario578, perché,
574 Se la stessa cosa è oggetto di controversia fra due o più parti, ciascuna delle quali affer-
mi, ad es., di esserne l’unica proprietaria, le parti possono affidarla al sequestratario perché la
custodisca fino alla decisione: il sequestratario deve restituire la cosa a chi ha vinto la causa.
Contro il sequestratario è esperibile l’actio depositi sequestraria, nella formula della quale sarà
indicato che la cosa deve essere restituita al vincitore.
575 Cfr. D.16.3.6 Paul. 2 ad ed.
576 Di regola s’intende che ciascuno dei condeponenti depositi in proprorzione della propria
quota di comproprietà sulla cosa.
577 Il depositario è semplice possessore naturale (possidet alieno nomine, cioè detiene nel-
l’interesse del deponente).
578 Il sequestratario ha la possessio alieno nomine, che non è tuttavia civilis o ad usucapio-
nem, ma a titolo di sequestro. La possessio del sequestratario può essere tuttavia tutelata median-
te interdetti possessori. Cfr. TALAMANCA, Istituzioni cit., pp. 489 e 499.
98
34. D.16.3.17 Fiorentino, settimo libro delle Istituzioni
deposita est: nam tum demum sequester col deposito presso di lui579, si vuol580
possidet: id enim agitur ea depositione, raggiungere il solo scopo che il
ut neutrius possessioni id tempus tempo581 non decorra a favore del pos-
procedat. sesso di alcuno dei due contendenti582.
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35. D.16.3.31 Trifonino, nono libro delle disputationes
Bona fides quae in contractibus La buona fede che si esige nei contrat-
exigitur aequitatem summam ti583 comporta l’applicazione più piena
desiderat: sed eam utrum aestimamus dell’equità: ma di quest’ultima dob-
ad merum ius gentium an vero cum biamo tenere conto soltanto con riferi-
praeceptis civilibus et praetoriis? Veluti mento al ius gentium584 o anche alle
reus capitalis iudicii deposuit apud te norme civili e pretorie?585 Come nel
centum: is deportatus est, bona eius caso in cui l’imputato in un processo
publicata sunt: utrumne ipsi haec capitale586 abbia depositato cento
reddenda an in publicum deferenda presso di te e abbia poi subito la pena
sint? Si tantum naturale et gentium ius della deportazione e della confisca dei
intuemur, ei qui dedit restituenda sunt: beni: questa somma deve essere resti-
si civile ius et legum ordinem, magis in tuita a chi l’ha data587 o deferita al
patrimonio confiscato? Se facciamo
riferimento soltanto al diritto naturale
e al ius gentium, le cose devono esse-
re restituite al deponente; se invece
prendiamo in considerazione il ius
civile e l’ordinamento delle leggi588,
questa è piuttosto da deferire al patri-
583 Anche il contratto di deposito è di buona fede e così la relativa azione: Gai. 4.47 e 62;
Inst. 4.6.28.
584 I contratti del ius gentium (che cioè possono essere validamente conclusi, a Roma, fra
cittadini romani e stranieri e le relative controversie sono portate dinanzi al tribunale del prae-
tor peregrinus) sono tutelati con azioni in ius di buona fede, come il deposito.
585 Ciascun ordinamento interno al sistema del diritto privato ha natura differente e diver-
se fonti di produzione (leggi, editti dei magistrati, senatoconsulti, costituzioni imperiali, giuri-
sprudenza), che il giurista coordina tra loro nell’unità della soluzione del caso concreto.
586 Per un crimine, che comporta la pena capitale, l’esilio o la deportazione, con la conse-
guenza della confisca dei beni.
587 Cioè al deponente, poi condannato nel processo capitale: così secondo il principio di
buona fede che caratterizza il deposito.
588 Che hanno introdotto la confisca dei beni a danno dei condannati in processi capitali e
ne stabiliscono il regime e gli effetti.
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35. D.16.3.31 Trifonino, nono libro delle disputationes
publicum deferenda sunt: nam male monio confiscato: infatti chi ha deme-
meritus publice, ut exemplo aliis ad ritato della società in cui vive deve
deterrenda maleficia sit, etiam egestate soffrire anche di questa privazione589,
laborare debet. 1. Incurrit hic et alia affinché il suo esempio costituisca per
inspectio. Bonam fidem inter eos gli altri un deterrente contro i delitti.
tantum, quos contractum est, nullo 1. S’incorre qui in un’ulteriore indagi-
extrinsecus adsumpto aestimare ne: dobbiamo prendere in considera-
debemus an respectu etiam aliarum zione la buona fede soltanto fra i con-
personarum, ad quas id quod geritur traenti, senza riferimento agli estranei
pertinet? Exempli loco latro spolia, al rapporto, oppure rispetto anche ad
quae mihi abstulit, posuit apud Seium altre persone coinvolte nel negozio?
inscium de malitia deponentis: utrum Ad esempio, un bandito ha depositato
latroni an mihi restituere Seius debeat? il bottino, che mi ha sottratto, presso
si per se dantem accipientemque Seio, ignaro della mala fede del depo-
intuemur, haec est bona fides, ut nente: Seio deve restituire al bandito o
commissam rem recipiat is qui dedit: si a me? Se prendiamo in considerazione
totius rei aequitatem, quae ex omnibus chi ha dato la cosa e chi l’ha ricevuta
personis quae negotio isto continguntur in consegna, la buona fede è questa,
impletur, mihi reddenda sunt, quo facto cioè che ottenga la restituzione della
scelestissimo adempta sunt. Et probo cosa affidatagli chi l’aveva consegna-
hanc esse iustitiam, quae suum cuique ta; se invece consideriamo l’equità
ita tribuit, ut non distrahatur ab ullius dell’intera fattispecie, che riguarda
tutte le persone interessate al negozio,
il bottino deve essere restituito a me,
perché le cose sono state sottratte con
un comportamento gravemente delit-
tuoso. E ritengo che questa sia la vera
giustizia: attribuire a ciascuno ciò che
gli appartiene, in modo che non ne sia
privato da nessun altro con un’azione
di ripetizione, ancorché questa sia
conforme al diritto590. Se tuttavia io
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35. D.16.3.31 Trifonino, nono libro delle disputationes
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35. D.16.3.31 Trifonino, nono libro delle disputationes
alii, non domino sua ipsius res quasi delitto593, la cosa che mi appartiene e
aliena, servanda detur. Et si rem meam che mi aveva sottratto senza che io lo
fur, quam me ignorante subripuit, apud sapessi, opportunamente si dice che
me etiamnunc delictum eius non è stato contratto deposito, dal
ignorantem deposuerit, recte dicetur momento che è contrario a buona fede
non contrahi depositum, quia non est obbligare il padrone a restituire la pro-
ex fide bona rem suam dominum pria cosa a chi gliel’ha rubata. Ma
praedoni restituere compelli. Sed et si anche se la cosa è stata poi restituita
etiamnunc ab ignorante domino dal padrone, ancora ignaro del
tradita sit quasi ex causa depositi, furto594, come se ciò fosse dovuto a
tamen indebiti dati condictio competet. titolo di deposito, gli spetta la condic-
tio indebiti dati595.
103
36. D.16.3.32596 Celso, undicesimo libro dei digesti597
596 Nell’interpretazione di questo fr. assai controverso seguo l’esegesi della prof. L. MAGAN-
ZANI, Casi e questioni di diritto civile nella prospettiva storico-comparatistica: la diligentia quam
suis del depositario dal diritto romano alle codificazioni nazionali, in corso di pubblicazione
sulla rivista “RDR”, vol.III, 2005.
597 Nel testo originale Celso si occupa di tutela: LENEL, Palingenesia cit., vol.I, col.91.
598 Nerva figlio.
599 Cfr. D.50.16.226 Paul. 1 man.: magna neglegentia culpa est: magna culpa dolus est.
600 Nerva non dà una nozione generale di colpa, né equipara in generale la culpa lata al
dolo, ma si limita ad osservare che una negligenza evidentemente molto grave del depositario
nel custodire la cosa affidatagli non può essere tollerata e il depositario è chiamato a risponde-
re per mancata restituzione dolosa. Cfr. D.44.7.1.5 Gai. 2 aur.
601 Fraude non caret chi si comporta con una diligenza che è al di sotto di quella media (che
è la diligenza del bonus pater familias). Quando si affida una cosa in custodia, ci si aspetta, di
regola, che il depositario usi nei confronti della cosa una normale diligenza. Se il deponente ha
affidato la cosa ad una persona che si è comportata con una diligenza inferiore alla media, ha
l’azione di deposito: il depositario risponde infatti nei limiti del dolo (ad es., io deposito un qua-
dro di valore presso Tizio, che lo lascia nell’aia della sua cascina, ove razzolano polli e galline,
esposto agli agenti atmosferici: l’es. è tratto da una conferenza della prof. Maganzani, rielabo-
rata nella pubblicazione indicata nella nt. 596).
104
36. D.16.3.32 Celso, undicesimo libro dei digesti
suum modum curam in deposito meno che, tuttavia, nel caso di deposi-
praestat, fraude non caret: nec enim to, non trascuri di custodire la cosa
salva fide minorem is quam suis rebus con la cura che egli usa abitualmen-
diligentiam praestabit. te602: non rispetterà infatti la fides, se
presterà603 una diligenza minore di
quella impiegata nella cura delle pro-
prie cose604.
602 Nelle proprie cose. Se il depositario si comporta nei confronti delle cose ricevute con la
diligenza che usa nelle proprie, benché inferiore alla media, non risponde e il deponente de se
queri debet (tanto peggio per lui: poteva scegliere una persona più affidabile): cfr. Inst. 3.14.3.
Se il deponente, cioè, si affida ad una persona trasandata e disordinata nella cura delle proprie
cose, non potrà aspettarsi da quest’ultima un comportamento mediamente diligente nei confron-
ti delle cose affidategli e quindi non potrà pretendere il risarcimento del danno qualora il depo-
sitario non gli restituisca la cosa o gliela restituisca deteriorata per disattenzione e noncuranza.
603 Nel custodire le cose del depositario.
604 Se il depositario si comporta nei confronti delle cose affidategli in custodia con una dili-
genza inferiore a quella che usa nelle proprie cose, risponde per dolo, perché ciò è contrario a
buona fede. Se il depositario è meticoloso nella cura delle proprie cose, mentre nei confronti di
quelle depositate impiega una diligenza inferiore, risponde per dolo. Ad es., affido un quadro
ad uno che di regola tiene i propri quadri in un ambiente sterile, illuminato artificialmente, ad
una temperatura costante, etc. Mi aspetto che tratti il mio quadro con la medesima meticolosi-
tà: se invece lo colloca in una soffitta umida, piena di topi, con il tetto sfondato, etc., risponde
per dolo. Riassumendo: fraude non caret il depositario che si comporta nei confronti delle cose
ricevute in custodia con una diligenza inferiore alla media, o si comporta con una diligenza infe-
riore a quella usata nella custodia delle proprie cose. In entrambi i casi il deponente ha l’azio-
ne di deposito. Se il depositario si comporta con le proprie cose con una diligenza inferiore alla
media e cura quelle del deponente allo stesso modo, il deponente non ha l’azione di deposito.
105
37. D.17.1605.8 pr.606 Ulpiano, trentunesimo libro del commentario all’editto
605 Rubrica del titolo: Mandati vel contra (= Dell’azione di mandato diretta e contraria).
606 Cfr. D.16.3.1.13 Ulp. 30 ad ed.
607 Ad litem, cioè un rappresentante processuale.
608 Ho nominato il procuratore dandogli mandato di rappresentarmi nella causa e gli ho con-
segnato i documenti della causa perché ne prendesse visione ai fini dell’esecuzione del manda-
to: egli detiene dunque i documenti a titolo di mandato.
609 La consegna dei documenti di causa al procuratore legale ai fini dell’esecuzione del
mandato alla lite: non costituisce, secondo Labeone, un deposito dei documenti distinto dal
mandato di cui i documenti rendono possibile l’esecuzione. Si noti la correlazione ex haec
causa-causa contractus.
106
38. D.17.1.39 Nerazio, settimo libro delle membranae610
610 Il titolo dell’opera di Nerazio allude probabilmente al materiale scrittorio: l’opera era
scritta su rotoli, ad es. di pergamena o di altro materiale meno diffuso del solito.
611 Padre del giurista Giuvenzio Celso.
612 Oggetto del deposito o della prestazione del mandatario (es.: ti do incarico di recapita-
re una cosa a Tizio).
613 Modificazione pattizia del regime della responsabilità (dolo nel deposito, colpa nel man-
dato): la ratio dubitandi è se la clausola sia valida ed efficace.
107
39. D.17.2614.71 pr. Alfeno, terzo libro dei digesti epitomati da Paolo
108
39. D.17.2.71 pr. Alfeno, terzo libro dei digesti epitomati da Paolo
est, an, si quid contra factum esset, con l’azione di società622. Rispose623:
societatis actione agi posset. Respondit, se dopo aver concluso il patto di socie-
si quidem pacto convento inter eos de tà, hanno stipulato624: “Prometti di
societate facto ita stipulati essent, ‘haec dare o fare questo così?”625, e lo hanno
ita dari fieri spondes?’, futurum fuisse, fatto a titolo di novazione626, non si
ut, si novationis causa id fecissent, pro potrà agire pro socio, ma l’intero rap-
socio agi non possit, sed tota res in porto è da ritenere trasferito nella sti-
stipulationem translata videretur. Sed pulazione627. Poiché tuttavia non
quoniam non ita essent stipulati ‘ea ita hanno stipulato: “Prometti di dare o
dari fieri spondes?’ sed ‘si ea ita facta fare questo così?”628, ma: “Se questo
non essent, decem dari?’ non videri sibi non sarà fatto così629, prometti di dare
rem in stipulationem pervenisse, sed dieci?”630, ritiene631 che nella stipula-
dumtaxat poenam (non enim utriusque zione non sia stato dedotto il rapporto
rei promissorem obligari, ut ea daret di società, ma soltanto la penale (il
promittente non è infatti obbligato ad
ambedue le prestazioni, cioè a dare o a
622 Cioè, il socio che non abbia rispettato le clausole del contratto redatte per iscritto può
essere convenuto in giudizio con l’azione che nasce dal contratto di società (actio pro socio)? La
ratio dubitandi sta in ciò, che le parti hanno trasferito le obbligazioni societarie nella stipulatio.
623 Servio.
624 Cioè hanno dedotto nella stipulatio.
625 Sottinteso: “Prometto”.
626 La frase potrebbe essere interpolata, perché nell’epoca di Alfeno l’effetto novativo non
dipende dall’intento soggettivo di novare, ma dal fatto in sé della transfusio atque translatio prio-
ris obligationis in aliam obligationem. Ma novationis causa non allude forse necessariamente,
nel testo di Alfeno, all’animus novandi, cioè all’intento giuridico di effettuare una novazione:
Alfeno dice soltanto, a mio parere, che altro è la novazione, altro la clausola penale (si veda la
parte finale del fr. con la nt. 635).
627 Per effetto della novazione, il rapporto di società si estingue e pertanto l’actio pro socio
non è esperibile. Sulla novazione, cfr. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni cit., p. 396 s.; BIONDI, Istituzio-
ni cit., p. 420 ss.
628 Sottinteso: “Prometto”. Il senso è: non hanno dedotto nella stipulatio il rapporto di socie-
tà trasformandolo in una obligatio verbis.
629 Cioè se le clausole redatte per iscritto del contratto di società non saranno rispettate.
630 Cioè: “Prometti di pagare una penale di dieci?” (sottinteso: “Prometto”). Questo è l’uni-
co obbligo nascente dalla stipulatio, che contiene la sola clausola penale.
631 Servio.
109
39. D.17.2.71 pr. Alfeno, terzo libro dei digesti epitomati da Paolo
110
40. D.18.1636.6.1 Pomponio, nono libro del commentario a Sabino
636 Rubrica del titolo: De contrahenda emptione et de pactis inter emptorem vel venditorem
compositis et quae res venire non possunt (= Del contratto di compravendita, dei patti conclusi
fra compratore e venditore e delle cose che non possono essere vendute).
637 Cfr. D.18.3.2 Pomp. 35 ad Sab. “Il venditore si riserva il diritto di considerare come non
avvenuta la vendita, qualora il prezzo non sia stato pagato nel tempo stabilito (D.18.3.2; i giu-
risti dicono: magis est, ut sub condicione resolvi emptio quam sub condicione contrahi videatur...;
pertanto la vendita produce senz’altro gli effetti di cui è capace, i quali però sono revocati dal
giorno in cui la vendita è conchiusa, se il prezzo non è stato pagato...” (BIONDI, Istituzioni cit.,
p. 496). La lex commissoria si considera cioè come condizione risolutiva posta nell’interesse del
venditore, non anche in quello del compratore.
638 La lex commissoria, in quanto condizione risolutiva degli effetti della vendita, ha effica-
cia retroattiva: gli effetti del contratto s’intendono revocati dal momento della sua conclusione.
639 Al venditore. Cfr. D.18.3.5 Ner. 5 membr.
640 “Il compratore si impegna a rimborsare al venditore la differenza fra il prezzo pattuito
con lui e il prezzo che il venditore, una volta sciolto dall’impegno per il mancato pagamento nel
termine stabilito, ottiene vendendo successivamente il fondo ad un altro” (NEGRI (a cura di),
Digesto cit., p. 47, nt.2).
641 Per l’adempimento delle clausole contrattuali.
111
40. D.18.1.6.1 Pomponio, nono libro del commentario a Sabino
642 La soluzione potrebbe stupire, perché, se il prezzo non è stato versato, in forza della lex
commissoria il contratto di compravendita si intende come non concluso.
643 Cioè quanto è stato obiettivamente concluso dalle parti: id quod actum est.
644 Id quod dictum est: se le parole usate dalle parti esprimono il consenso, eventuali imper-
fezioni o apparenti illogismi sono irrilevanti.
645 Clausola commissoria.
646 La lex commissoria, benché formulata nei termini: “il fondo si considererà come non
comprato” e quindi dal lato del compratore, è posta tuttavia nell’interesse del venditore (cfr.
D.18.3.2 Pomp. 35 ad Sab.); pertanto, si considerano sciolte le obbligazioni del venditore, non
anche quelle del compratore.
112
41. D.18.1.57 pr. Paolo, quinto libro del commentario a Plauzio647
Domum emi, cum eam et ego et Ho comprato una casa, che sia io, sia
venditor combustam ignoraremus. il venditore ignoravamo fosse andata a
Nerva Sabinus Cassius nihil venisse, fuoco: Nerva648, Sabino e Cassio dico-
quamvis area maneat, pecuniamque no che, benché sia rimasta l’area649, la
solutam condici posse aiunt. Sed si pars vendita è nulla650 e si può ottenere651
domus maneret, Neratius ait hac la restituzione del prezzo già paga-
quaestione multum interesse, quanta to652; ma, se una parte della casa fosse
pars domus incendio consumpta stata risparmiata dall’incendio, Nera-
permaneat, ut, si quidem amplior zio dice che, in questo caso, ha molta
domus pars exusta est, non compellatur importanza stabilire quanta parte della
emptor perficere emptionem, sed etiam casa danneggiata sia rimasta in piedi,
quod forte solutum ab eo est repetet: sin nel senso che, se ne è bruciata la mag-
vero vel dimidia pars vel minor quam gior parte, il compratore non solo non
dimidia exusta fuerit, tunc coartandus sarà costretto ad eseguire il contrat-
to653, ma potrà anche ripetere quanto
avesse eventualmente pagato654; se
invece ne è bruciata la metà o meno
della metà, il compratore deve essere
costretto ad adempiere la vendita655,
113
41. D.18.1.57 pr. Paolo, quinto libro del commentario a Plauzio
656 Boni viri arbitratu, cioè ricorrendo ad un arbitro o arbitratore (terzi rispetto alle parti)
che accertino l’entità della diminuzione di valore della casa. Cfr. art.1473 c.c.
657 L’arbitro ridurrà il prezzo in relazione al valore della parte della casa risparmiata dalle
fiamme.
114
42. D.18.1.77 Giavoleno, quarto libro delle opere postume di Labeone
115
42. D.18.1.77 Giavoleno, quarto libro delle opere postume di Labeone
665 Le cave di pietra scoperte successivamente non rientrano nella clausola, perché non se
ne conosceva l’esistenza al momento della conclusione del contratto. Le cave di cui si ignora
l’esistenza sono bensì giacimenti di pietra, ma non sono cave: rientrano pertanto nella clausola
soltanto le cave in attività estrattiva al momento della conclusione del contratto. Labeone
costruisce la nozione giuridica di cava come giacimento minerario in attività di esercizio indu-
striale.
666 Cioè come Tuberone.
667 Labeone critica sul piano logico e nei conseguenti effetti pratici la tesi di Tuberone, il
quale identifica lapidicinae (cave) con lapis (pietra). Se fossero riservate al venditore anche le
cave scoperte nuovamente, si intendesse per cava di pietra un mero giacimento in senso geolo-
gico e il sottosulo del fondo fosse interamente composto di pietra, tutto il fondo venduto appar-
terrebbe al venditore e la vendita sarebbe nulla per inesistenza dell’oggetto: una soluzione che
porta ad una conseguenza pratica del genere è per Labeone da disapprovare.
668 Giavoleno approva la tesi di Labeone.
116
43. D.18.3669.2 Pomponio, trentacinquesimo libro del commentario a Sabino
Cum venditor fundi in lege ita caverit: Se il venditore di un fondo in una clau-
‘si ad diem pecunia soluta non sit, ut sola del contratto ha disposto così:
fundus inemptus sit’, ita accipitur “Qualora il prezzo non venga pagato
inemptus esse fundus, si venditor entro il termine pattuito, il fondo si
inemptum eum esse velit, quia id consideri come non comprato”670, il
venditoris causa caveretur: nam si fondo s’intende non comprato, se è il
aliter acciperetur, exusta villa in venditore a volere gli effetti della clau-
potestate emptoris futurum, ut non sola, perché questa è posta nell’inte-
dando pecuniam inemptum faceret resse del venditore671: infatti, se si
fundum, qui eius periculo fuisset. intendesse diversamente672, qualora la
villa673 fosse andata a fuoco, il com-
pratore, non pagandone il prezzo,
potrebbe considerare il fondo come
non comprato, evitando così le conse-
guenze del perimento, che avrebbe
invece dovuto essere a suo rischio674.
117
44. D.18.3.5 Nerazio, quinto libro delle membranae675
Lege fundo vendito dicta, ut, si intra Con la clausola della vendita di un
certum tempus pretium solutum non sit, fondo, secondo la quale, se il prezzo
res inempta sit, de fructibus, quos non venga pagato entro un certo termi-
interim emptor percepisset, hoc agi ne, la cosa si considera come non com-
intellegendum est, ut emptor interim prata676, s’intende677, riguardo ai frutti
eos sibi suo quoque iure perciperet: sed che nel frattempo il compratore ha
si fundus revenisset, Aristo existimabat percepito678, che questi li abbia perce-
venditori de his iudicium in emptorem piti legittimamente679: ma se il fondo è
dandum esse, quia nihil penes eum tornato al venditore680, Aristone era
residere oporteret ex re, in qua fidem dell’opinione che si debba dargli, con-
fefellisset. tro il compratore, l’azione681 riguardo
ai frutti682, perché nulla deve rimane-
re a quest’ultimo in una situazione
nella quale egli ha violato la fides683.
118
45. D.19.2684.15 pr.-2 Ulpiano, trentaduesimo libro del commentario all’editto
684 Rubrica del titolo: Locati conducti (= Delle azioni di locazione e di conduzione). Sulla
locazione, cfr. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni cit., p. 345 ss.; BIONDI, Istituzioni cit., p. 497 ss.
685 Contro il locatore che non abbia adempiuto i propri obblighi contrattuali.
686 “Il locante ha l’obbligo di lasciar godere al conduttore la cosa locata per tutto il periodo
della locazione. Si parla di frui o perfrui che si concreta nel ricavare le utilità consentite dalla
cosa nella sua naturale ed attuale destinazione...” (BIONDI, Istituzioni cit., p. 500).
687 Nel senso di possessio naturalis, ovvero di detenzione.
688 “Il locante deve mantenere per tutta la durata della locazione la cosa in condizioni tali
da consentire il godimento normale di essa secondo la sua destinazione. Da ciò deriva che le
spese di manutenzione incombono sul locante...” (BIONDI, Istituzioni cit., p. 501).
689 Cioè in una clausola del contratto nell’interesse del conduttore.
690 Cioè il conduttore.
691 Vis, cui resisti non potest: causa di forza maggiore.
119
45. D.19.2.15 pr.-2 Ulpiano, trentaduesimo libro del commentario all’editto
692 Incursus hostium, anch’esso vis, cui resisti non potest. In questi casi, il locatore non pre-
tenderà dal conduttore il pagamento del canone.
693 Il colono non può cioè pretendere una riduzione del canone di locazione o addirittura
l’esenzione dall’obbligo di pagarlo, adducendo, ad es., come giustificazione, il fatto che il vino
prodotto dalle vigne locate è inacidito o che le messi coltivate sul fondo locato sono state dan-
neggiate dagli insetti o da erbe infestanti.
694 Evento straordinario e imprevedibile.
695 Non, ad es., per requisizione a scopo di approvigionamento della truppa.
696 Che non potrà esigere l’affitto.
120
46. D.19.2.19.1 e 6 Ulpiano, trentaduesimo libro del commentario all’editto
121
46. D.19.2.19.1 e 6 Ulpiano, trentaduesimo libro del commentario all’editto
705 Cioè il canone di locazione. Secondo Servio, Labeone e Sabino, dunque, l’ignoranza del
vizio esclude l’obbligo di risarcimento del danno.
706 Nel quale si trovava l’abitazione presa in affitto.
707 Per i restanti sei mesi, nei quali non ha goduto della casa.
708 Sulla condictio indebiti, cfr. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni cit., p. 360 s.; BIONDI, Istituzioni
cit., p. 541 s.
122
47. D.19.2.30.2 Alfeno, terzo libro dei digesti epitomati da Paolo
Qui mulas ad certum pondus oneris Chi aveva locato delle mule per il cari-
locaret, cum maiore onere conductor co di un determinato peso709, poiché il
eas rupisset, consulebat de actione. conduttore le aveva storpiate con un
Respondit vel lege Aquilia vel ex locato carico maggiore, chiedeva consiglio
recte eum agere: sed lege Aquilia circa l’azione710. Rispose711 che egli
tantum cum eo agi posse, qui tum può agire fondatamente sia in base alla
legge Aquilia, sia ex locato712, ma che
in base alla legge Aquilia può agire
soltanto contro chi guidava le mule in
709 Il conduttore si è obbligato a non caricare le mule più di quanto previsto dalla lex locationis
(clausola del contratto di locazione).
710 Da esperire per ottenere il risarcimento del danno.
711 Servio.
712 Perché queste hanno natura e scopo diversi: l’una (actio legis Aquiliae) è ex delicto ed è mista
perché mira al risarcimento del danno o anche alla pena pecuniaria, a seconda che il convenuto con-
fessi o si difenda (azione con la quale rem et poenam persequimur: cfr. Gai. 4.9), l’altra (actio ex loca-
to) è un’azione ex contractu con la quale rem persequimur (cfr. Gai. 4.7) perché mira al risarcimento
del danno dovuto all’inadempimento degli obblighi del conduttore. Cfr. D.9.2.7.8 Ulp. 18 ad ed.;
D.13.6.18.1 Gai. 9 ad ed. prov.
123
47. D.19.2.30.2 Alfeno, terzo libro dei digesti epitomati da Paolo
713 Cioè al momento dell’incidente in occasione del carico delle mule. Ai fini dell’esperibilità del-
l’actio legis Aquiliae il danno deve essere causato corpore corpori: l’azione è dunque fondata se espe-
rita contro chi ha corpore corpori storpiato le mule (legitimato passivo: conduttore o terzo al quale il
conduttore ha affidato il trasporto); è infondata se esperita contro un soggetto diverso, perché, se non
è stato questo a provocare il danno, nei suoi confronti non c’è diritto al risarcimento del danno extra-
contrattuale (ex lege Aquilia).
714 L’azione ex locato è fondata se esperita contro il conduttore (legittimato passivo), anche se a
storpiare le mule è stato un altro, ad es. un suo dipendente libero: il conduttore infatti avrebbe dovu-
to controllare adeguatamente il carico effettuato dal terzo, allo scopo di evitare il verificarsi del danno.
L’actio ex locato è infondata se esperita contro una persona diversa dal conduttore, perché non è que-
st’ultima che ha stipulato il contratto con il locatore. Le azioni concorrono se conduttore e conducen-
te sono la stessa persona (concorso cumulativo di azioni: cfr. D.9.2.7.8 Ulp. 18 ad ed.; D.13.6.18.1 Gai.
9 ad ed. prov.). Il pretore evita tuttavia una doppia condanna mediante lo strumento della denegatio
actionis: se, ad es., l’attore ha esperito vittoriosamente l’actio ex locato contro il convenuto conduttore
che ha caricato personalmente le mule e conviene di nuovo in giudizio quest’ultimo con l’actio legis
Aquiliae, il pretore gli denega l’azione e così nel caso contrario (se l’attore ha esperito l’azione di legge
Aquilia vittoriosamente e poi esperisce quella ex locato contro il medesimo convenuto-conduttore). Il
concorso cumulativo di azioni crea in questo caso, per il conduttore che ha caricato lui le mule, una
situazione iniqua, che il pretore rimuove.
124
48. D.19.2.31 Alfeno, quinto libro dei digesti epitomati da Paolo
In navem Saufeii cum complures Dopo che più persone avevano carica-
frumentum confuderant, Saufeius uni to alla rinfusa sulla nave di Saufeio del
ex his frumentum reddiderat de frumento715, Saufeio aveva restituito
communi et navis perierat: quaesitum parte del frumento comune716 ad una
est, an ceteri pro sua parte frumenti sola di loro, poi la nave era affondata.
cum nauta agere possunt oneris aversi Si chiese se gli altri possano agire con-
actione. Respondit rerum locatarum tro l’armatore717, ciascuno per la pro-
duo genera esse, ut aut idem redderetur pria parte di frumento, con l’actio one-
(sicuti cum vestimenta fulloni curanda ris aversi718. Rispose719 che vi sono
locarentur) aut eiusdem generis due generi di locazione, uno in cui
redderetur (veluti cum argentum deve essere restituita la medesima
cosa (come, ad esempio, quando i
vestiti sono dati in locazione al lavan-
daio720 perché ne abbia cura721), un
125
48. D.19.2.31 Alfeno, quinto libro dei digesti epitomati da Paolo
pusulatum fabro daretur, ut vasa altro in cui deve essere restituita una
fierent, aut aurum, ut anuli): ex cosa del medesimo genere722 (come,
superiore causa rem domini manere, ex ad esempio, quando si dà a un gioiel-
posteriore in creditum iri. Idem iuris liere dell’argento fuso, perché ne siano
esse in deposito: nam si quis pecuniam fatti dei vasi, o dell’oro, perché ne sia
numeratam ita deposuisset, ut neque tratto un anello). Nel primo caso, la
clusam neque obsignatam traderet, sed cosa continua ad appartenere al pro-
adnumeraret, nihil alius eum debere prietario, nel secondo viene dedotta in
apud quem deposita esset, nisi un rapporto di credito723. Lo stesso
tantundem pecuniae solveret. regime si ha nel deposito: infatti, se
Secundum quae videri triticum factum taluno ha depositato del denaro senza
Saufeii et recte datum. Quod si consegnarlo in sacchetti chiusi o sigil-
separatim tabulis aut heronibus aut in lati, ma in contanti, colui presso il
alia cupa clusum uniuscuiusque quale è stato depositato non deve fare
triticum fuisset, ita ut internosci posset altro che restituire la stessa quanti-
quid cuiusque esset, non potuisse nos tà724 di denaro. Alla stregua di queste
considerazioni si deve ritenere che il
grano725 sia diventato di Saufeio726 e
che sia stato consegnato727 a buon
diritto. Se invece il grano di ciascuno
fosse stato caricato separatamente,
chiuso in casse, sacchi o altri reci-
pienti, in modo da poter riconoscere i
722 Cioè dello stesso genere di metallo, non la medesima cosa (come nel caso dei vestiti).
723 L’orefice deve trasformare l’argento o l’oro nella species richiestagli dal cliente, perché
vi si è impegnato con il contratto di locazione d’opera. Qui Alfeno non dice che l’orefice diven-
ta proprietario dell’oro, ma soltanto che egli deve trarre la species dal metallo del cliente.
724 Tantundem eiusdem generis: nel deposito, avente ad oggetto una quantità di denaro
(pecunia numerata) non racchiusa in un contenitore sigillato, il depositario deve restituire la
stessa quantità di denaro.
725 Caricato alla rinfusa sulla nave di Saufeio.
726 Per essere stato caricato sulla nave alla rinfusa, come nel caso di deposito di denaro con-
tante effettuato da più persone.
727 Al cliente cui è stato dato prima del naufragio.
126
48. D.19.2.31 Alfeno, quinto libro dei digesti epitomati da Paolo
728 Cioè a ciascuno dei commercianti che hanno caricato il grano sulla nave di Saufeio.
729 Al commerciante prima del naufragio, ma dandogli il sacco di un altro.
730 Contro il commerciante che lo possiede (o contro il possessore attuale, al quale sia stato
nel frattempo venduto dal commerciante stesso).
731 È superflua in ambedue i casi.
127
48. D.19.2.31 Alfeno, quinto libro dei digesti epitomati da Paolo
732 Cioè non ha fatto apposta a restituire al cliente il sacco di un altro (nel qual caso ci
sarebbe l’azione di furto): egli risponde quindi nei limiti della colpa (ad es. per aver scambiato
un sacco con un altro senza controllarne con attenzione il contrassegno).
733 L’avere restituito ad uno solo non è un comportamento colposo: Saufeio perciò non ne
risponde.
128
49. D.19.5734.14.3 Ulpiano, quarantunesimo libro del commentario a Sabino
Si glans ex arbore tua in meum fundum Se dal tuo albero cadono delle ghiande
cadat eamque ego immisso pecore nel mio fondo ed io, introdottovi736 il
depascam, Aristo scribit non sibi bestiame, ve lo faccio pascolare737,
occurrere legitimam actionem, qua Aristone scrive che non gli viene in
experiri possi<s>735: nam neque ex mente un’azione legitima738, che tu
possa intentare contro di me739: non si
può infatti agire né in base alla legge
delle dodici tavole con l’actio de pastu
734 Rubrica del titolo: De praescriptis verbis et in factum actionibus (= Dell’azione praescrip-
tis verbis e delle azioni in factum).
735 Nel manoscritto Fiorentino del Digesto si legge possim, ma il senso esige la correzione
in possis.
736 L’uso del verbo immittere, che significa “introdurre”, è apparentemente strano nel con-
testo del fr., perché gli animali che appartengono al proprietario del fondo su cui sono cadute le
ghiande dovrebbero già trovarsi nel fondo stesso. Probabilmente qui immittere indica il gesto di
chi, fatti uscire dai recinti ad es. i maiali, li conduce al pascolo.
737 Sul tuo fondo si trova un albero, i cui rami, carichi di ghiande, sporgono sul mio fondo,
sul quale cadono le ghiande. Io porto a pascolare sul mio fondo ad es. un branco di maiali che
mangiano le ghiande cadute. Cfr. il fr.9.1 D.10.4 Ulp. 24 ad ed.
738 Cioè fondata su una legge, fonte di diritto civile.
739 Ratio dubitandi: la legge delle XII tavole (tab.7.10) consente al proprietario dell’albe-
ro, i cui rami sporgono di almeno 15 piedi e da cui cadono frutti, di recarsi a raccoglierli a gior-
ni alterni sul fondo del vicino (cfr. D.10.4.9.1 Ulp. 24 ad ed.). Cfr. l’art.896, 2°comma, c.c.,
secondo cui i frutti naturali caduti spontaneamente nel fondo del vicino appartengono a que-
st’ultimo: nel diritto attuale, il problema di Aristone e Ulpiano, dell’individuazione dell’azione
da intentare contro il proprietario del fondo su cui sono cadute le ghiande, non si pone.
129
49. D.19.5.14.3 Ulpiano, quarantunesimo libro del commentario a Sabino
740 L’actio de pastu pecoris “si applica al caso in cui il bestiame abbia indebitamente pasco-
lato nel fondo altrui e si rivolge contro il dominus <del bestiame> il quale è obbligato a risar-
cire il danno oppure a consegnare l’animale” (BIONDI, Istituzioni cit., p. 528, nt. 17).
741 Anche nel caso dell’actio de pauperie (come in quello de pastu pecoris), il padrone del-
l’animale può o pagare la summa condemnationis e compiere la noxae deditio (consegna in
nossa) del quadrupede. Spetta in questo caso l’actio de pauperie? Ratio dubitandi: benché siano
stati gli animali a divorare le ghiande, è il padrone che li ha condotti al pascolo (immisso peco-
re depascam). Aristone nega l’esperibilità dell’azione, perché il danno non è stato provocato
spontaneamente dagli animali, ma è il padrone stesso che li ha condotti al pascolo sul proprio
fondo, ove si trovano le ghiande del vicino.
742 Cioè con l’actio legis Aquiliae (capo terzo). Spetta l’actio legis Aquiliae? Aristone lo
esclude, perché mancano i requisiti del corpore (le ghiande sono state mangiate dagli animali,
non dal padrone) corpori (gli animali non hanno staccato le ghiande a morsi dai rami dell’albe-
ro, ma si sono nutriti di quelle cadute naturalmente a terra) e dell’iniuria (le ghiande sono state
mangiate nel fondo del proprietario degli animali e non in quello in cui si trova l’albero).
743 Dal momento che non sono esperibili azioni in ius e il proprietario dell’albero ha comun-
que subito un detrimento economico (le ghiande sono sue e sono state mangiate dagli animali),
l’unica alternativa è agire in factum.
130
50. D.19.5.18 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto
131
51. D.19.5.23 Alfeno, terzo libro dei digesti epitomati da Paolo
132
52. D.21.1750.1.1,2,6,7,9-11 Ulpiano, primo libro del commentario all’editto
degli edili curuli751
750 Rubrica del titolo: De aedilicio edicto et redhibitione et quanti minoris (= Dell’editto edi-
lizio e delle azioni redhibitoria e quanti minoris).
751 Edili eletti tra i patrizi, aventi diritto alla sella curulis, che costituisce un’insegna della
carica magistratuale.
752 “Gli edili curuli avevano funzione giurisdizionale sui contratti di vendita di schiavi e di
animali conclusi nei mercati. Nell’esercizio di queste funzioni essi emanavano un editto annua-
le (editto edilizio), di cui si riporta nel testo la clausola introduttiva (riferita da Ulpiano), rela-
tiva agli obblighi dei venditori di schiavi a tutela dei compratori per i vizi occulti della cosa: ai
compratori è data un’azione redhibitoria esperibile entro sei mesi, per il rimborso del prezzo,
previa restituzione della cosa per i casi di violazione” (NEGRI (a cura di), Digesto cit., p. 57,
nt.1). Sugli edili curuli e la compravendita di schiavi ed animali nei mercati da essi controllati
e sull’azione redhibitoria, si vedano ARANGIO-RUIZ, Istituzioni cit., p. 344; BIONDI, Istituzioni
cit., p. 493 ss. I frammenti riportati e tradotti nel testo riguardano l’editto edilizio sulla vendita
di schiavi (l’acquirente, nuovo proprietario dello schiavo, rischia cioè di essere convenuto dal
danneggiato con l’azione da delitto nossale).
753 I venditori devono specificare se lo schiavo messo in vendita può essere oggetto di noxae
deditio, a causa di un delitto che ha commesso: il danno subito dall’acquirente dipenderebbe in
tal caso dal principio secondo il quale noxa caput sequitur (l’acquirente, nuovo proprietario
dello schiavo, rischia cioè di essere convenuto dal danneggiato con l’azione da delitto nossale).
754 Se cioè il venditore non avrà dichiarato quanto è obbligatorio denunciare secondo l’edit-
to edilizio (certiores faciant emptores, quid morbi vitiive cuique sit, quis fugitivus errove sit noxa-
ve solutus non sit: eademque omnia, cum ea mancipia venibunt, palam recte pronuntianto).
133
52. D.21.1.1.1,2,6,7,9-11 Ulpiano, primo libro del commentario all’editto degli edili curuli
promissumve fuerit cum veniret, fuisset, so755 al momento della vendita, dare-
quod eius praestari oportere dicetur: mo un’azione756 per ciò che si dirà che
emptori omnibusque ad quos ea res si deve prestare757 al compratore758 e a
pertinet iudicium dabimus, ut id tutti coloro cui la cosa spetta, affinché
mancipium redhibeatur. Si quid autem lo schiavo venga restituito759; e se
post venditionem traditionemque dopo la vendita e la traditio760 dello
deterius emptoris opera familiae schiavo sia stato fatto qualcosa ad
procuratorisve eius factum erit, sive opera del compratore, della sua fami-
quid ex eo post venditionem natum glia761 o del suo procuratore762, che ne
adquisitum fuerit, et si quid aliud in ha diminuito il valore763, oppure se,
venditione ei accesserit, sive quid ex ea dopo la vendita, allo schiavo sia nato
re fructus pervenerit ad emptorem, ut ea un figlio764, o al momento della vendi-
omnia restituat; item si quas ta allo schiavo sia stato aggiunto qual-
cos’altro765, oppure tramite lo schiavo
sia pervenuto al compratore qualche
frutto, anche tutto questo venga resti-
tuito766; e ugualmente, se lo stesso
venditore vi abbia aggiunto degli
accessori767, ne ottenga la restituzio-
755 Se, ad es., il venditore dichiara che lo schiavo è sciolto dal vincolo nossale, mentre non lo è.
756 Azione redhibitoria, data al compratore contro il venditore.
757 Cioè: che deve dare facere praestare. Ulpiano si riferisce alla terminologia delle azioni
formulari.
758 Contro il venditore.
759 Al venditore.
760 Cioè la consegna dello schiavo venduto.
761 Ad es., da qualcuno dei suoi schiavi.
762 Sul procurator, cfr. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni cit., p. 351 s.; BIONDI, Istituzioni cit., p. 513 s.
763 Dello schiavo, oggetto della vendita.
764 Gli schiavi sono equiparati alle cose, e così i loro figli, anch’essi schiavi del padrone del
loro padre.
765 Ad es., un abito nuovo.
766 Al venditore.
767 Ad es., dei vestiti.
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iniquum: potuit enim ea nota habere viene ingannato, se per ignoranza del
venditor: neque enim interest emptoris, venditore o per astuzia di questo. 6. Se
cur fallatur, ignorantia venditoris an il vizio o la malattia dello schiavo sono
calliditate. 6. Si intellegatur vitium riconoscibili (come per lo più avviene
morbusve mancipii (ut plerumque quando i vizi si manifestano con qual-
signis quibusdam solent demonstrare che segno particolare), si può dire che
vitia), potest dici edictum cessare: hoc l’applicazione dell’editto viene
enim tantum intuendum est, ne emptor meno775: questo si deve infatti appli-
decipiatur. 7. Sed sciendum est care al solo scopo di evitare che il
morbum apud Sabinum sic definitum compratore venga raggirato776. 7. Ma
esse habitum cuiusque corporis contra occorre sapere che presso Sabino la
naturam, qui usum eius ad id facit malattia è definita uno stato innatura-
deteriorem, cuius causa natura nobis le del corpo che ne renda l’uso meno
eius corporis sanitatem dedit: id autem adatto a ciò per cui la natura ci ha dato
alias in toto corpore, alias in parte la salute: il che accade ora nell’intero
accidere (namque totius corporis corpo, ora in una sua parte (una
morbus est puta fq…sij febris, partis malattia dell’intero corpo è per esem-
veluti caecitas, licet homo itaque natus pio la fq…sij, cioè la febbre; di una
sua parte, la cecità, anche se lo schia-
775 Cioè non si può esercitare l’azione redibitoria, perché non si tratta di vizi occulti, ma di
vizi riconoscibili dal compratore con la normale diligenza: cfr. nt. seguente.
776 Se i vizi o le malattie sono occulti e il venditore non li denuncia al compratore, quest’ul-
timo subisce un raggiro, mentre non si può dire che sussista inganno quando il vizio o la malat-
tia sono, benché taciuti, evidenti, come la claudicanza, la cecità, le cicatrici, la follia, etc.
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52. D.21.1.1.1,2,6,7,9-11 Ulpiano, primo libro del commentario all’editto degli edili curuli
hoc non faciat, nullum vitium esse. lo fa più, non è affetto da un vizio e, se
Neque eo nomine, quod aliquando id lo ha fatto occasionalmente, non c’è
fecit, actio est, sicuti si aliquando azione a questo titolo, come nel caso in
febrem habuit: ceterum si nihilo minus cui abbia avuto occasionalmente la
permaneret in eo vitio, ut circa fana febbre; se, al contrario, gira continua-
bacchari soleret et quasi demens mente gridando fra i templi e continua
responsa daret, etiamsi per luxuriam id a dare responsi come un invasato, per-
factum est, vitium tamen esse, sed severando in queste manifestazioni,
vitium animi, non corporis, ideoque come affetto da un vero e proprio vizio,
redhiberi non posse, quoniam aediles anche se ciò venga fatto per sfrenatez-
de corporalibus vitiis loquuntur: za, si ha bensì un vizio, ma un vizio
attamen ex empto actionem admittit. dell’indole, non del corpo, e non vi è
11. Idem dicit etiam in his, qui praeter quindi luogo a redhibitio786, perché gli
modum timidi cupidi avarique sunt aut edili parlano di vizi corporali: tuttavia,
iracundi. egli787 dice che in tal caso c’è l’azione
ex empto788. 11. La stessa cosa789
egli790 dice a proposito degli schiavi
molto timidi, avidi, avari o irascibili.
139
53. D.21.1.14.4 Ulpiano, primo libro del commentario
all’editto degli edili curuli
791 Cfr. il pr. del fr.: Quaeritur de ea muliere, quae semper mortuos parit, an morbosa sit... (Si
chiede, a proposito della schiava che partorisce sempre neonati morti, se sia viziata...). La
domanda circa l’esistenza o meno del vizio è finalizzata all’esperimento dell’azione redibitoria.
792 Cioè da un vizio redibitorio.
793 Cioè non è affetto da un vizio redibitorio.
794 Cioè il compratore ha l’azione redibitoria se il venditore non vuol riprendersi lo schiavo
di cui ha taciuto il vizio.
795 Lo schiavo che fa pipì a letto potrà essere restituito al venditore soltanto se ciò dipende
da un vizio della vescica.
140
54. D.28.1796.23 Ulpiano, quarto libro delle disputationes
796 Rubrica del titolo: Qui testamenta facere possunt et quemadmodum testamenta fiant (=
Di coloro che possono fare testamento e delle forme di testamento).
797 L’ereditando ha fatto un testamento per aes et libram che, dopo l’espletamento delle for-
malità civilistiche, viene riaperto e poi sigillato da sette testimoni.
798 Trattandosi delle medesime tavole, le formalità civilistiche sono già state espletate, né
occorre reiterarle per ragioni attinenti al mero elemento documentale: il testamento perfeziona-
to iure civili non perde validità per essere stato dissigillato.
799 Non c’è dubbio che l’atto sia efficace anche in base al diritto pretorio, secondo il quale
è sufficiente che le tabulae siano sigillate da sette testimoni: quando alla rottura dei sigilli segue
una nuova sigillazione, si ha per il ius honorarium un nuovo testamento, la cui validità è indi-
scutibile. Il fr. è probabilmente estrapolato da un contesto più ampio.
141
55. D.28.2800.28 pr. Trifonino, ventesimo libro delle disputationes
Filius a patre, cuius in potestate est, sub Un figlio in potestà, istituito erede dal
condicione, quae non est in ipsius padre sotto una condizione non pote-
potestate, heres institutus et in stativa801 e diseredato per il caso di
defectum condicionis exheredatus, difetto della condizione802, morì in
decessit pendente etiam tunc pendenza della condizione sia del-
condicione tam institutionis quam l’istituzione, sia della diseredazio-
exheredationis: dixi heredem eum ab ne803: ho detto804 che egli805 è morto
800 Rubrica del titolo: De liberis et postumis heredibus instituendis vel exheredandis (= Del-
l’istituzione d’erede e della diseredazione dei figli e dei postumi).
801 Cioè, casuale: il verificarsi dell’evento non dipende dall’erede, ma dal caso. È ammes-
sa l’apposizione della condizione all’istituzione di erede, purché si tratti di condizione potesta-
tiva, nel qual caso l’acquisto dell’eredità del suus dipende dall’adempimento della condizione:
il suus può cioè evitare, non adempiendo, la necessità dell’acquisto dell’eredità. Se il verificar-
si dell’evento dedotto in condizione dipende dal caso, l’apposizione della condizione all’istitu-
zione d’erede del suus è ammessa, purché il testamento contenga anche l’exheredatio subordi-
nata alla condizione opposta a quella dell’istituzione.
802 Ad es., il pater familias ha intentato una causa contro un debitore che, in caso di con-
danna, pagando la somma dovuta, salverebbe il patrimonio dal dissesto. Il processo potrebbe
tuttavia durare a lungo: il padre vuole, in tal caso, evitare al figlio il rischio del subingresso in
un patrimonio dissestato. Nel testamento scrive: “Tizio mio figlio sia erede se vincerò la causa;
mio figlio Tizio sia diseredato se non la vincerò”; se il giudice condanna il debitore, il figlio
diventerà erede del padre; se lo assolve, il figlio sarà diseredato.
803 Ad es., il testatore muore il 16 gennaio 2005. La causa contro il debitore è assegnata per
la decisione al 20 febbraio 2005. In quella data si saprà se è diventata efficace l’istituzione
d’erede o la diseredazione del figlio. Ma Il 10 febbraio 2005, quando pende ancora la condizio-
ne dell’istituzione, nonché, ovviamente, la condizione opposta della diseredazione, il figlio
muore. Chi diventa erede del padre? Lo diventa il figlio? E se lo diventa, gli subentra come
erede testamentario o ab intestato?
804 Trifonino.
805 Il figlio.
142
55. D.28.2.28 pr. Trifonino, ventesimo libro delle disputationes
806 Il figlio diventa erede del padre nel momento stesso in cui (il figlio) muore, cioè, nell’es.
della nt. 803, il 10 febbraio 2005.
807 Nel momento in cui il figlio muore, diventa erede del padre, il quale, a sua volta, è morto
il 16 gennaio 2005, secondo l’esempio della nt. 803, con un testamento nullo per preterizione
del figlio suus: cfr. nt. 810.
808 Quando il figlio era vivo.
809 Del padre.
810 Durante la vita del figlio, né l’istituzione d’erede né la diseredazione sono diventate effi-
caci: il padre è quindi morto con un testamento nel quale il figlio è stato preterito, con la con-
seguenza dell’apertura della successione legittima. L’avverarsi della condizione (positiva o
negativa) dopo la morte del figlio è irrilevante, giacché determina l’efficacia dell’istituzione (o
della diseredazione) di una persona inesistente.
143
56. D.28.4811.3 Marcello, ventinovesimo libro dei digesti
811 Rubrica del titolo: De his quae in testamento delentur inducuntur vel inscribuntur (=
Delle cancellazioni di disposizioni testamentarie). Deleo = cancello (cioè elimino del tutto, ad
es. raschiando la scrittura, che quindi non compare più); induco = copro una parola o una frase
tracciandovi sopra una riga; inscribo = scrivo un’altra parola o frase sopra una parola o frase
sottostanti. Ma, ai fini degli effetti, sono tutti casi di cancellazione.
812 Processo extra ordinem.
813 Marco Aurelio Antonino (161-169 d.C. con Lucio Vero; 169-180 da solo).
814 Originariamente il riferimento era all’aerarium populi Romani (patrimonio dello Stato).
Erario e Fisco sono in età imperiale assimilati. Vindicatio caducorum: azione in rem esperibile
dal Fisco (patrimonio dell’imperatore come detentore del potere statuale) contro i possessori di
beni ereditari (eredità o legati) che perdevano il diritto di acquistare tali beni per incapacità di
succedere, stabilita dalla lex Iulia et Papia Poppaea dell’età di Augusto (erano incapaci i coeli-
bes, cioè i non sposati, e gli orbi, sposati senza figli). Cfr. Gai. 2.286 s.
815 Beni vacanti, cioè beni del patrimonio ereditario sottratti all’erede o al legatario incapa-
ci o indegni, e avocati prima all’Erario poi al Fisco (cfr. nt. precedente): qui i beni sono vacan-
ti per la cancellazione dei nomi degli eredi. Dal momento che il testamento civile è essenzial-
mente orale e la sua efficacia si fonda sulla nuncupatio, ai fini della revoca del testamento sono
irrilevanti sia la distruzione del documento, sia la cancellazione dei nomi degli eredi (cfr. Gai.
2.151); ma poiché “ripugna che l’erede acquisti contro la volontà del defunto, sia pure manife-
stata non nelle forme legali” (BIONDI, Istituzioni cit., p. 684 nt.23), Antonino Pio (138-161 d.C.)
stabilisce che la cancellazione si consideri come tacita dichiarazione di indegnità. Nel testa-
mento pretorio, che è essenzialmente scritto, la cancellazione della heredis institutio comporta
invece la revoca della disposizione cancellata. I beni destinati all’erede cancellato sono equi-
parati ai caduca. In questo fr. si pone tuttavia il problema “se la cancellazione del nome del-
l’erede invalidi l’intero testamento oppure le sole disposizioni cancellate, rimanendo valide ed
efficaci tutte le altre (legati, manomissioni, etc.)” (MAGANZANI, Formazione e vicende cit., p. 292,
nt.4), su cui è chiamato a decidere Marco Aurelio. Sembra quindi affermarsi il principio, secon-
do cui sarebbe ammissibile una revoca testamentaria informale, attuata tramite la cancellazio-
ne della heredis institutio, mentre, di regola, secondo il ius civile, la revoca avviene se il testa-
tore fa un testamento successivo, che revoca appunto quello precedente, che si considera rup-
tum. Cfr. nt. 838.
144
56. D.28.4.3 Marcello, ventinovesimo libro dei digesti
est et maxime de his legatis, quae to816 a lungo circa il destino dei legati,
adscripta erant his, quorum institutio soprattutto di quelli che erano stati
fuerat inducta. Plerique etiam assegnati a favore di coloro la cui isti-
legatarios excludendos existimabant, tuzione era stata cancellata817. I più
quod sane sequendum aiebam, si ritenevano che si dovessero escludere
omnem scripturam testamenti anche i legatari818, opinione che
cancellasset: nonnullos opinari id iure anch’io819 dicevo si dovesse certamen-
ipso peremi quod inductum sit, cetera te accogliere se il testatore avesse can-
omnia valitura. Quid ergo? Non et cellato tutte le disposizioni scritte nel
illud interdum credi potest eum, qui testamento: alcuni ritenevano che
heredum nomina induxerat, satis se cadesse ipso iure820 ciò che era stato
consecuturum putasse, ut intestati cancellato, ma che tutte le altre dispo-
exitum faceret? Sed in re dubia sizioni restassero valide. Che dire
benignorem interpretationem sequi non dunque?821 Non si potrebbe pensare
minus iustius est quam tutius. che chi822 aveva cancellato i nomi
Sententia imperatoris Antonini Augusti degli eredi lo reputasse823 sufficiente
ad ottenere l’apertura della successio-
ne ab intestato? Ma nelle questioni
dubbie, è più giusto, non meno che più
sicuro, seguire l’interpretazione più
816 Poiché Marcello faceva parte del consilium di Marco Aurelio, è probabile che egli accen-
ni qui alle divergenze affiorate nel Consiglio stesso.
817 Cioè i prelegati, disposti a favore degli eredi istituiti e poi cancellati.
818 Per il principio heredis institutio caput atque fundamentum totius testamenti: se cade
l’istituzione d’erede, dovrebbero cadere anche le altre disposizioni contenute nel testamento; a
maggior ragione, dovrebbero cadere i legati a favore degli eredi i cui nomi sono stati cancellati
(cfr. nt. 815).
819 Marcello.
820 Alcuni giuristi di minoranza del consilium di Marco Aurelio pensano che debbano cade-
re ipso iure (cioè, automaticamente) soltanto le disposizioni cancellate e il resto debba rimane-
re valido: Marcello è d’accordo con loro.
821 Dinanzi ad opinioni contrastanti, qual è dunque la soluzione da adottare?
822 Il testatore.
823 Cioè reputasse sufficiente la cancellazione delle istituzioni degli eredi a revocare l’inte-
ro testamento, senza bisogno di cancellare anche le altre disposizioni: cfr. nt. 818.
145
56. D.28.4.3 Marcello, ventinovesimo libro dei digesti
824 La frase sed in re dubia benigniorem interpretationem sequi non minus iustius est quam
tutius prelude alla decisione dell’imperatore di salvare non soltanto i legati posti a favore del
cancellato, ma addirittura le manomissioni, benché i nomi delle persone cui concedere la liber-
tà siano stati soppressi: cfr la fine del pr. e il §1 di questo fr.
825 Marcello riporta il contenuto della prima parte della sentenza di Marco Aurelio, emana-
ta nel 166 d.C., anno del consolato di Pudente e Pollione, nella quale l’imperatore applica la
costituzione del padre Antonino Pio (secundum divi patris mei constitutionem), in base alla quale
l’eredità non può pertinere ad eos, qui scripti fuerunt, perché Valerio Nepote ha cambiato idea,
tagliando il lino delle tavole e cancellando quindi i nomi degli eredi.
826 Cioè ha tagliato la cordicella e tolto i sigilli per aprire le tabulae e cancellarle: benché
Marcello non dica all’inizio che le cancellazioni sono avvenute post consummationem testamen-
ti, la circostanza che il testamento librale è già perfezionato risulta dal contenuto della senten-
za poco dopo riportata dal giurista: “Cum Valerius Nepos mutata voluntate et inciderit testamen-
tum suum et heredum nomina induxerit, hereditas eius secundum divi patris mei constitutionem
ad eos qui scripti fuerint pertinere non videtur”. La constitutio divi patris mei è probabilmente il
rescritto di Antonino Pio, di cui in Gai. 151a, che stabilisce soltanto l’esclusione dall’eredità
come indegni degli eredi istituiti. Per questo l’imperatore richiama la costituzione del suo padre
adottivo Antonino Pio.
827 I cui nomi sono stati cancellati.
828 Nelle cause fra Fisco e privati, il primo è difeso da funzionari, istituiti all’uopo da Adriano.
829 Marco Aurelio invita gli avvocati del Fisco a dimostrare i diritti di questo: et advocatis
fisci dixit: ‘Vos habetis iudices vestros’. Con queste parole ha inizio la descrizione dell’udienza
dinanzi all’imperatore (descrizione forse abbreviata dai compilatori giustinianei).
830 Zenone è un legatario. Alcuni ritengono preferibile correggere (advocatus) Leonis con
(advocatus) Zenonis (questa emendazione, a quanto ci è noto, risale a Grozio): cfr. nt. 833.
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56. D.28.4.3 Marcello, ventinovesimo libro dei digesti
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56. D.28.4.3 Marcello, ventinovesimo libro dei digesti
148
57. D.28.5842.45(44) Alfeno, quinto libro dei digesti
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57. D.28.5.45(44) Alfeno, quinto libro dei digesti
minus heres esset ob eam rem, quod cace nei suoi confronti, nonostante il
coheres eius hereditatem non adisset. coerede non avesse adito l’eredità846.
Respondit neminem ex alterius facto Rispose847 che nessuno può essere
hereditati neque alligari neque implicato in un’eredità né può esserne
exheredari posse, sed uti quisque privato per un fatto altrui848 e che s’in-
condicionem implesset, quamvis nemo tende efficacemente istituito erede
adisset praeterea, tamen eum heredem chiunque dei coeredi abbia eseguito la
esse. condizione, anche se nessun altro
abbia in seguito adito l’eredità.
846 La domanda nasce dal fatto che il testatore ha previsto la “diseredazione” di tutti gli
eredi anche se uno solo di essi non abbia eretto il monumento. Si noti la contrapposizione omnes
(tutti)-nemo (nessuno). Il problema è se l’adempimento della condizione da parte di uno solo dei
due eredi renda efficace l’istituzione nei suoi confronti, nonostante la mancata adizione dell’al-
tro.
847 Servio. La risposta che segue contiene l’enunciazione di un principio generale, che trae
spunto dal caso e costituisce la motivazione della soluzione.
848 Cioè l’istituzione, o la diseredazione, non può essere subordinata al contegno di un terzo
(il coerede che non ha accettato è terzo estraneo rispetto all’eredità): come il comportamento del
coerede che ha pretermesso l’eredità non incide su quello dell’erede che ha adempiuto la con-
dizione, così vale il contrario.
150
58. D.29.2849.47 Africano, quarto libro delle questioni
Qui servum suum heredem institutum Un tale, che aveva ordinato al proprio
adire iusserat, priusquam ille adiret, schiavo, istituito erede850, di accettare
furiosus est factus. Negavit recte servum l’eredità851, divenne pazzo852 prima
aditurum, quoniam non nisi voluntate che quello853 accettasse. Negò854 che
domini adquiri hereditas potest, furiosi lo schiavo potrà accettare efficace-
autem voluntas nulla est. mente855, perché l’eredità non può
essere accettata se non per volontà del
padrone, ma un pazzo non può avere
una volontà856.
849 Rubrica del titolo: De adquirenda vel omittenda hereditate (= Dell’acquisto e della
rinuncia all’eredità).
850 Da un terzo.
851 Lo schiavo, istituito erede da un pater familias diverso dal dominus, non può acquistare
l’eredità, in quanto privo della capacità giuridica, ma accettarla (se ha la capacità di agire) per
ordine del dominus, dal quale essa verrà acquistata. Cfr. Gai. 2.189.
852 Il padrone ha quindi perduto la capacità di acquistare l’eredità: cfr. nt. 856.
853 Lo schiavo.
854 Africano. La raccolta di quaestiones è stata pubblicata da un anonimo?
855 Dopo che il padrone è impazzito.
856 Ratio dubitandi: quando il padrone ha ordinato allo schiavo di accettare era sano di
mente, ma è impazzito prima che l’ordine venisse eseguito dallo schiavo. L’accettazione dello
schiavo può ciò nonostante determinare l’acquisto dell’eredità in capo al dominus? Africano
dice di no, perché il padrone deve essere sano di mente non soltanto quando dà l’ordine di
accettare, ma anche quando l’ordine viene attuato: il furiosus non ha quindi la testamentifactio
passiva (cioè la capacità di acquistare l’eredità per testamento).
151
59. D.29.2.60 Giavoleno, primo libro dalle opere postume di Labeone
857 L’emancipato è sui iuris. Per effetto dell’emancipazione, cessa ogni legame giuridico con
la famiglia d’origine; pertanto l’emancipato, istituito erede dal padre, è un estraneo, che acqui-
sta con l’accettazione.
858 Sostituzione volgare di uno schiavo (del testatore) al figlio istituito in primo grado (sulla
sostituzione volgare, cfr. Gai. 2.174-178 = Inst. 2.15). Se il testamento contenesse come unica
istituzione d’erede quella a favore dell’emancipato, in caso di rifiuto da parte di quest’ultimo il
testamento sarebbe destituito di effetti e si aprirebbe la successione legittima. Per evitare un sif-
fatto risultato, il de cuius nomina cum libertate uno schiavo come sostituto del primo istituito. Lo
schiavo non può omittere hereditatem (rifiutare l’eredità), perché è erede necessario (cfr. Gai.
2.156 ss.; Inst. 2.19.2), perciò nel caso in cui il primo istituito non acquisti, lo schiavo acqui-
sta la libertà e l’eredità.
859 Il figlio emancipato si rivolge al pretore, prospettando l’infermità mentale del padre al
tempo della confezione del testamento (con conseguente incapacità di agire del padre) e chie-
de e ottiene la bonorum possessio ab intestato: il pretore promette infatti nell’editto di dare il pos-
sesso dell’eredità, nel caso di apertura della successione ab intestato, anche ai figli emancipa-
ti: in questo caso, il magistrato, in applicazione dell’editto, che prevede che il possesso dell’ere-
dità sia concesso all’emancipato (bonorum possessio unde liberi: Gai. 3.26 = Inst. 3.9.3 ss.), lo
immette nel possesso dei beni.
860 Secondo Labeone, il figlio è erede testamentario del padre al momento dell’acquisto del
titolo di erede (pro herede gestio, su cui Gai. 2.166 s. e Inst. 2.19.7), non al momento della prova
che il padre era sano: come si vede dalla critica di Giavoleno, il figlio, avendo chiesto la bono-
rum possessio dell’eredità ab intestato e avendo ottenuto il possesso, si è comportato da erede e,
ad avviso di Labeone, ha pertanto acquistato il titolo di erede per comportamento concludente.
152
59. D.29.2.60 Giavoleno, primo libro dalle opere postume di Labeone
falsum puto: nam filius emancipatus, ritengo che questa soluzione sia
cum hereditatem testamento datam ad falsa861: poiché, infatti, il figlio eman-
se pertinere noluit, continuo ea ad cipato non ha voluto acquistare l’ere-
substitutum heredem transit, nec potest dità offertagli nel testamento, questa
videri pro herede gessisse, qui, ut passa senza soluzione di continuità al
hereditatem omitteret, ex alia parte sostituto862 e non si può ritenere che
edicti possessionem bonorum petat. colui, che per omettere l’eredità ha
Paulus: et Proculus Labeonis chiesto la bonorum possessio basandosi
sententiam improbat et in Iavoleni su una diversa parte dell’editto863,
sententia est. abbia gestito pro herede. Paolo: anche
Proculo disapprova il parere di Labeo-
ne ed è del parere di Giavoleno.
861 Giavoleno non condivide questa tesi, che definisce “falsa”. Gli aggettivi verus e falsus
assumono diversi significati a seconda del contesto: qui, la soluzione del caso concreto è falsa,
perché non conduce al risultato pratico che Giavoleno ritiene meritevole di essere perseguito,
cioè la libertà e l’acquisto dell’eredità da parte dello schiavo. Secondo Giavoleno, la richiesta
della bonorum possessio sine tabulis da parte del figlio dimostra che quest’ultimo non ha voluto
acquistare l’eredità paterna in base al testamento: si è quindi verificata la condizione della
sostituzione.
862 Al momento dell’apertura della successione, cioè alla morte del testatore, l’eredità è
acquistata dal servus istituito erede con la libertà come sostituto.
863 Quella nella quale il pretore promette la bonorum possessio ab intestato.
153
60. D.32864.60865 Alfeno, secondo libro dei digesti epitomati da Paolo
Cum quaereretur agni legati quatenus Poiché si chiedeva fino a quale età gli
viderentur, quidam aiebant agnum agnelli fossero da ritenere compresi
dumtaxat sex mensum esse: sed verius nel legato866, alcuni867 dicevano fino a
est eos legatos esse, qui minores sei mesi: ma è più conveniente inten-
anniculis essent. 1. Servis et ancillis dere legati quelli di meno di un
urbanis legatis agasonem mulionem anno868. 1. Risposi che nel legato di
legato non contineri respondi: eos enim schiavi e schiave urbane non sono
solos in eo numero haberi, quos pater contenuti lo stalliere869 e il mulattie-
familias circum se ipse sui cultus causa re870: si considerano infatti in tale
haberet. 2. Lana lino purpura uxori novero871 soltanto quelli che il pater
legatis, quae eius causa parata essent, familias tiene al proprio seguito per la
cura della sua persona. 2. Nel caso di
legato alla moglie della lana, del lino e
864 I libri XXX-XXXII del Digesto giustinianeo, sui legati e i fedecommessi, non sono sud-
divisi in titoli.
865 Alfeno elenca i criteri interpretativi dei legati di agnelli (pr.), di schiavi urbani (§1), di
lino, lana e porpora destinata alla moglie (§2), di fondi rustici con le scorte di schiavi e anima-
li (§3).
866 Cioè nel legato di agnelli. Fino a quale età i parti delle pecore si considerano agnelli, ai
fini dell’interpretazione del legato? Per un problema analogo, cfr. Marcello sing. resp. D.32.69.1.
867 Cioè alcuni giuristi, forse auditores di Servio.
868 Verius est: la soluzione è ritenuta più adatta all’economia dell’azienda agricola al tempo
di Alfeno. La pecora comincia di regola ad essere produttiva dall’anno in su. È possibile che i
commissari giustinianei abbiano tagliato un passaggio del ragionamento di Alfeno, conservando
soltanto la conclusione come principio generale, ma non è neppure da escludere che lo stesso
Alfeno concluda una discussione nella scuola di Servio.
869 Agaso, da ago, condurre animali, quindi, qui, stalliere, che secondo Alfeno è uno schia-
vo rustico e non rientra nella categoria economico-sociale degli schiavi urbani, anche se occa-
sionalmente presente nella casa di città del padrone: lo stalliere non fa parte del legato di schia-
vi urbani, pertanto l’erede non dovrà darlo al legatario di schiavi urbani.
870 Anche lo schiavo che conduce le mule, ad es. dalla campagna alla città per poi tornare
in campagna, è uno schiavo rustico.
871 Cioè nel novero degli schiavi urbani.
154
60. D.32.60 Alfeno, secondo libro dei digesti epitomati da Paolo
cum multam lanam et omnis generis della porpora destinati al suo uso872,
reliquisset, quaerebatur an omnis poiché il pater familias aveva lasciato
deberetur. Respondit, si nihil ex ea molta lana di ogni genere, ci si chiede-
destinasset ad usum uxoris, sed omnis va se fosse dovuta tutta873. Rispose874
commixta esset, non dissimilem esse che, se il pater familias875 non avesse
deliberationem, cum penus legata esset specificamente riservato nessuna
et multas res quae penus essent parte della lana all’uso della moglie,
reliquisset, ex quibus pater familias ma la lana si trovasse mescolata tutta
vendere solitus esset. Nam si vina insieme876, la soluzione non sarebbe
diffudisset habiturus usioni ipse et diversa da quella data nel caso di lega-
heres eius, tamen omne in penu to di vettovaglie, molte delle quali il
existimari. Sed cum probaretur eum qui pater familias fosse solito vendere: se
testamentum fecisset partem penus egli soleva infatti travasare del vino da
vendere solitum esse, constitutum esse, riservare all’uso proprio e dell’erede,
ut ex eo, quod ad annum opus esset, anche tutto questo vino sarebbe da
heredes legatario darent. Sic mihi considerare compreso fra le vettova-
glie877. Ma qualora si provasse che chi
aveva fatto testamento era solito ven-
dere una parte delle vettovaglie, è
stato stabilito che gli eredi dessero al
legatario di vettovaglie il necessario
155
60. D.32.60 Alfeno, secondo libro dei digesti epitomati da Paolo
878 Gli eredi devono dare le vettovaglie destinate al consumo della casa per un anno, per-
ché quelle destinate alla vendita non erano individuabili, in quanto non riposte in un luogo
apposito della dispensa. E poiché il testatore non ha scritto “lascio a mia moglie quanto resta
delle vettovaglie di cui faccio uso (vendendole)”, ma le vettovaglie “destinate all’uso della fami-
glia”, e i generi della dispensa erano riposti tutti insieme, il criterio di Servio è di quantificare
l’entità dovuta al legatario con la necessità di uso per un anno: la durata è scelta secondo un
criterio di ragionevolezza, dipendente dall’annata agraria di produzione del vino.
879 Alfeno.
880 Ad es., per le sue esigenze commerciali.
881 Le vettovaglie vengono dalla villa rustica: l’erede deve dare le vettovaglie destinate al
consumo di casa in un anno e non quelle destinate alla vendita. Per analogia con la soluzione
in materia di vettovaglie, si è deciso anche nel caso del legato di lana che la moglie si prenda
ciò che le è sufficiente per l’uso di un anno, secondo il bisogno che ne aveva, quando il testa-
tore era vivo, mediamente in un anno.
882 Instrumentum fundi.
883 Servio.
156
60. D.32.60 Alfeno, secondo libro dei digesti epitomati da Paolo
videri, item oves, quae stercorandi è invece da ritenere legato l’asino adi-
fundi causa pararentur, item bito alla macina884, e così le pecore
opilionem, si eius generis oves curaret. destinate alla concimazione del fondo,
nonché il pastore che le cura885.
884 Cioè l’asino che serve a muovere le macine del mulino: l’asino non è adibito alla colti-
vazione, ma alla trasformazione del prodotto; tuttavia sia la coltivazione, sia la trasformazione
del prodotto in farina servono all’alimentazione, in funzione della quale il fondo viene coltivato
(oltre che per la vendita dei prodotti).
885 Né le pecore, né il pastore sono destinati alla coltivazione, ma alla concimazione del
podere, la quale, tuttavia, è funzionale alla coltivazione.
157
61. D.32.61 Alfeno, ottavo libro dei digesti epitomati da Paolo
Textoribus omnibus, qui sui essent cum Ci si è chiesti se nel legato di tutti gli
moreretur, legatis, quaesitum est, an et schiavi tessitori “che saranno miei
is, quem postea ex his ostiarium quando morirò”, fosse contenuto
fecisset, legato contineretur. Respondit anche quello che aveva fatto da porti-
contineri: non enim ad aliud naio886: rispose887 che vi è contenuto,
artificium, sed ad alium usum perché non è stato trasferito ad un
transductum esse. altro mestiere, ma ad un’altra mansio-
ne888.
158
62. D.32.69 Marcello, libro unico dei responsi
159
62. D.32.69 Marcello, libro unico dei responsi
894 Non di rado, le persone attribuiscono alle parole un significato individuale. Lo sforzo
dell’interprete è di accertare, di volta in volta, il senso attribuito dal testatore alle parole che ha
usato. Nel caso di specie sarà il giudice a stabilire quali schiavi il testatore intendesse per iuve-
nes, indagando sulle sue abitudini: verificando, ad es., se egli fosse solito chiamare “giovane”
anche schiavi di una certa età.
895 Criterio generale, secondo il quale, in un significato oggettivo, iuvenis è chi è uscito dal-
l’adolescenza e non è ancora senior: per es., in relazione a certe cariche pubbliche, fino ai qua-
rantacinque anni.
160
63. D.33.6896.7 Giavoleno, secondo libro delle opere postume di Labeone
896 Rubrica del titolo: De tritico vino vel olio legato (= Dei legati di grano, di vino e di olio).
897 Cioè alla moglie del testatore.
898 Trebazio risponde che, poiché il de cuius non ha specificato la quantità da consegnare
alla legataria, di ciascuno di questi generi l’erede deve dare non più di quanto lui stesso inten-
da dare.
899 Nella dispensa, al momento della morte. Secondo questi giuristi, le parole del pater fami-
lias sono chiare e non debbono quindi essere interpretate (in claris non fit interpretatio): pro-
prio perché il testatore non ha indicato la quantità dei beni, è chiaro che ha inteso lasciare tutto
ciò che è contenuto nella dispensa. Dalla medesima premessa (mancata indicazione della quan-
tità) Trebazio, da un lato, Ofilio, Cascellio e Tuberone, dall’altro, traggono rispettivamente solu-
zioni interpretative opposte. Secondo i suoi critici, la soluzione di Trebazio è arbitraria. In ita-
liano l’uso dell’articolo, determinativo o indeterminativo, non porrebbe il problema ermeneuti-
co negli stessi termini di questo fr. Se il testatore scrive “lascio in legato l’olio della mia dispen-
sa”, la disposizione è chiara e al legatario è dovuta l’intera quantità; se invece il testatore ha
lasciato in legato “dell’olio”, si pone il problema di stabilire quanto olio sia oggetto del legato:
questa seconda formulazione pone quindi un problema interpretativo.
161
64. D.33.7900.16 Alfeno, secondo libro dei digesti epitomati da Paolo
900 Rubrica del titolo (= De instructo vel instrumento legato: Del legato di cosa instructa
[cioè corredata degli accessori utili alla sua gestione] e del legato di instrumentum).
901 La suppellettile è l’insieme delle cose di uso comune del padrone della villa rustica e
non fa quindi parte dell’instrumentum villae (cioè del podere: attrezzi agricoli, scorte, etc.), che
rientra in una diversa categoria economico-sociale.
902 Cioè di tutto ciò che serve al funzionamento della villa, nel senso di fattoria, ossia gli
attrezzi da lavoro e così via. Cfr. nt. precedente.
903 La coltivazione del vigneto non esige cioè attrezzi specifici, diversi da quelli necessari
per le altre colture del fondo.
904 Probabilmente un auditor della scuola di Servio.
905 La menzione di un giurista di nome Cornelio si trova in questa sola testimonianza.
906 Alfeno, benché l’opinione di Servio sia autorevole, preferisce quella di Cornelio, perché
più rispondente alla realtà.
907 Al momento della morte del testatore.
162
64. D.33.7.16 Alfeno, secondo libro dei digesti epitomati da Paolo
non quidem esse instrumenti fundi, sed le schiave che si dedicavano alla fila-
quoniam ipse pater familias, qui tura della lana908 facessero parte del-
legasset, in eo fundo habitasset, l’instrumentum del fondo909, rispose910
dubitari non oportere, quin et ancillae che di per sé non ne fanno parte, ma
et ceterae res, quibus pater familias in poiché il pater familias, che ha dispo-
eo fundus esset instructus, omnes sto il legato, aveva abitato nel
legatae viderentur. fondo911, non si deve dubitare che sia
le schiave, sia tutte le altre cose, delle
quali il pater familias lo aveva corre-
dato, siano da ritenere legate912.
163
65. D.33.8913.14914 Alfeno, quinto libro dei digesti
164
66. D.33.8.15 Alfeno, secondo libro dei digesti epitomati da Paolo
165
67. D.33.10929.7.1 e 2 Celso, diciannovesimo libro dei digesti
166
67. D.33.10.7.1 e 2 Celso, diciannovesimo libro dei digesti
932 Mentre un tempo era più facile distinguere le suppellettili, ad es., dagli oggetto d’oro o
dall’argenteria, perché erano di materiale diverso, ora è più difficile, perché la materia di cui
sono fatte è la medesima (oro, argento, etc.).
933 Criterio di interpretazione del legato, che si fonda sull’accertamento dell’effettiva volon-
tà del disponente.
934 Nei suoi registri, oppure il testatore era solito riporle insieme ai gioielli.
167
67. D.33.10.7.1 e 2 Celso, diciannovesimo libro dei digesti
935 Se, ad es., il pater familias era solito tenere esposta nel salotto di casa la toga di seta
donatagli dall’imperatore, senza mai indossarla, questa non deve essere considerata come sup-
pellettile, perché appartiene alla categoria degli abiti.
936 Cfr. D.32.69 Marcell. sing. resp.
937 Celso.
938 Uso del nome secondo il significato che esso ha nel linguaggio comune.
168
67. D.33.10.7.1 e 2 Celso, diciannovesimo libro dei digesti
dissentio non videri quemquam dixisse, possa aver detto qualcosa senza usare
cuius non suo nomine usus sit. Nam etsi il nome che gli è proprio939: benché
prior atque potentior est quam vox mens infatti l’intenzione di chi parla venga
dicentis, tamen nemo sine voce dixisse prima e sia più importante della paro-
existimatur: nisi forte et eos, qui loqui la, tuttavia si ritiene che nessuno
non possunt, conato ipso et sono abbia potuto parlare senza adoperare
quodam kaˆ tÍ ¢n£rqrJ fwnÍ dicere le parole940: a meno che non vogliamo
existimamus. sostenere che anche coloro che non
possono parlare lo facciano ugualmen-
te, magari mediante lo sforzo stesso di
emettere suoni kaˆ tÍ ¢n£rqrJ
fwnÍ941.
939 La gente attribuisce alle parole il significato che esse hanno nel linguaggio comune.
Celso fa peraltro un’osservazione liguistica più profonda, che riguarda il rapporto fra pensiero e
parola che lo esprime.
940 Per capire l’intenzione, bisogna basarsi sulle parole, che sono lo strumento di espressio-
ne dell’intenzione.
941 E mediante la voce inarticolata.
169
68. D.34.2942.28 Alfeno, settimo libro dei digesti
942 Rubrica del titolo: De auro argento mundo ornamentis unguentis veste vel vestimenta et
statuis legatis (= Dei legati di oro, di argenteria, di corredo, di gioielli, di unguenti, di abito o
di abiti, e di statue).
943 La formulazione del caso fa pensare ad una fattispecie discussa nella scuola di Servio,
anziché ad un caso reale.
944 Del pater familias.
170
69. D.34.2.33945 Pomponio, quarto libro del commentario a Quinto Mucio
171
70. D.34.2.40.2 Scevola952, diciassettesimo libro dei digesti
172
70. D.34.2.40.2 Scevola, diciassettesimo libro dei digesti
173
71. D.34.5962.9(10) pr. Trifonino, ventunesimo libro delle disputationes
Qui duos impuberes filios habebat, ei Uno, che aveva due figli impuberi,
qui supremus moritur Titium substituit; sostituì Tizio a quello che morirà per
duo impuberes simul in nave perierunt: ultimo963; i due impuberi morirono
quaesitum est, an substituto et cuius insieme sulla stessa nave. Si chiese se,
hereditas deferatur. Dixi, si ordine vita e l’eredità di chi, si deferisca al sosti-
decessissent, priori mortuo frater ab tuto964. Ho detto che, se sono deceduti
intestato heres erit, posteriori uno dopo l’altro, a quello morto per
substitutus: in ea tamen hereditate primo sarà erede ab intestato965 il fra-
etiam ante defuncti filii habebit tello, a quello morto dopo966 sarà erede
hereditatem. In proposita tamen il sostituto, il quale in questa eredi-
quaestione ubi simul perierunt, quia, tà967 avrà anche l’eredità del figlio
cum neutri frater superstes fuit, quasi defunto in precedenza968. Ma nella
utrique ultimi decessisse sibi questione proposta, ove essi perirono
videantur? An vero neutri, quia insieme969, dato che nessuno dei due
fratelli è sopravvissuto all’altro, si
deve ritenere che siano deceduti
ambedue per ultimi?970 O invece nes-
suno dei due, dato che l’accertamento
174
71. D.34.5.9(10) pr. Trifonino, ventunesimo libro delle disputationes
175
72. D.34.5.28(29) Giavoleno, terzo libro delle opere postume di Labeone
176
72. D.34.5.28(29) Giavoleno, terzo libro delle opere postume di Labeone
nominatus esset, tametsi in artificio sia dovuto quello che è stato indicato
erratum esset. Sin autem ignota col nome983, anche se c’è stato un erro-
nomina servorum essent, pistorem re sul mestiere984; e che, se i nomi
legatum videri, perinde ac si nomen ei degli schiavi gli fossero invece scono-
adiectum non esset. sciuti, sia da ritenere legato “il forna-
io”985, come se il nome non gli fosse
stato aggiunto986.
983 Quindi Flacco. Mentre il primo criterio interpretativo consiste in un’indagine storico-
ricostruttiva, volta ad accertare l’effettiva intenzione del defunto, il secondo, benché basato
anch’esso su un’investigazione circa le abitudini dell’ereditando, implica una ricerca extrado-
cumentale più limitata. Infatti, se si accerta che il testatore era solito apostrofare gli schiavi per
nome, si può trarne che egli abbia inteso lasciare lo schiavo indicato con il nome, ed abbia erra-
to nella menzione del mestiere: si tratta di un’illazione dell’interprete, giacché non è certo che
il pater familias volesse lasciare lo schiavo Flacco per il solo fatto che lo conoscesse per nome;
ma il criterio induttivo è ragionevole.
984 La frase tametsi in artificio erratum esset (come quella conclusiva ac si nomen ei adiec-
tum non esset) allude alla correzione privativa del testo della dichiarazione, che si considera
come non scritta: la menzione del mestiere contraddirebbe infatti il risultato dell’applicazione
del criterio ermeneutico.
985 Pistorem legatum videri: “... il giurista imputa al testatore la volontà di lasciare Flacco,
non perché sia stato accertato che il defunto identificava gli schiavi dalle mansioni, ma perché
s’ignora come egli usasse identificarli: al testo negoziale è attribuito il significato che risulta
dalla parola pistor, sopravvissuta alla correzione privativa del nome. In conclusione, la ricostru-
zione della volontà effettiva si ha soltanto nel primo caso; nel secondo c’è ancora un riferimen-
to alla realtà: da questa è tratta un’illazione giustificata dall’id quod plerumque accidit e quindi
plausibile; nel terzo si tratta di una scelta tecnica a cui il giurista non si sottrae per ragioni di
conservazione del legato. Un’inversione dell’ordine dei criteri ermeneutici sarebbe arbitraria...”
(NEGRI, Esempio di interpretazione del legato cit., p. 610). Cfr. nt. 977.
986 La frase ac si nomen ei adiectum non esset, come la precedente tametsi in artificio erra-
tum esset, si intendono come non scritte: cfr. nt. 984.
177
73. D.35.1987.17 Gaio, secondo libro, in materia di legati, del commentario
all’editto del pretore
987 Rubrica del titolo: De condicionibus et demonstrationibus et causis et modis eorum, quae
in testamento scribuntur (= Delle condizioni, delle demonstrationes, delle cause e dei modi che
si è soliti scrivere nei testamenti).
988 La demonstratio è l’indicazione, o le indicazioni, che si aggiungono all’oggetto o al nome
del beneficiario di una disposizione mortis causa. Cfr. Inst. 2.20.30.
989 “Il principio ‘falsa demonstratio non nocet’ significa che è normalmente considerato irri-
levante l’errore nella designazione di un soggetto o di un oggetto, che non comporti equivoco
circa la sua identificazione” (MAGANZANI, Formazione e vicende cit., p. 287 nt. 1).
178
73. D.35.1.17 Gaio, secondo libro, in materia di legati, del commentario all’editto del pretore
990 Cioè che falsa demonstratio non nocet, nel senso precisato nel pr. di questo fr.: cfr. nt.
precedente.
991 Causa è la dichiarazione aggiunta a una disposizione di ultima volontà, di cui il testato-
re spiega il motivo: anche la falsa causa non nuoce se non sorgono equivoci sull’identificazione
del destinatario.
992 Una certa quantità di denaro non specificata, perché si tratta di un esempio.
993 Oppure, nel primo es., il legato è efficace anche se non è vero che il legatario ha curato
gli affari del disponente.
994 Sull’onere, o modus, e la sua differenza rispetto alla condizione, si veda il commento al
fr. successivo.
179
74. D.35.1.27995 Alfeno, quinto libro dei digesti
995 In LENEL, Palingenesia cit., vol.I, col.42, il fr. D.34.8.2, anch’esso tratto dal quinto libro
dei digesti di Alfeno (quae in testamento scripta essent neque intellegerentur quid significarent,
ea perinde sunt ac si scripta non essent: reliqua autem per se ipsa valent = le parole, scritte in
un testamento, il cui significato è incomprensibile, si considerano come non scritte: le altre val-
gono di per se stesse) e D.35.1.27 sono riportati uno dopo l’altro. Il primo sembrerebbe costi-
tuire la premessa del secondo: per evitare che le parole oscure o ambigue incidano sul resto di
una disposizione di per sé chiara, le indicazioni erronee si considerano come non scritte; ma il
primo fr. potrebbe essere estrapolato da un contesto diverso che non ci è pervenuto.
996 Modus o onere, apponibile agli atti di liberalità. Mentre la condizione sospensiva
“sospende” gli effetti del negozio, “il negozio cui è apposto un modus produce senz’altro tutti i
suoi effetti ma l’accipiente è tenuto ad eseguire l’onere”. Mentre la condizione “subordina, ma
non obbliga, il modus obbliga ma non subordina”. Non sempre è facile distinguere l’onere dalla
condizione. I giuristi talvolta usano il termine condicio per indicare il modus. In caso di dispo-
sizione ambigua, “bisogna considerare la volontà di colui che fa la liberalità: bisogna cioè vede-
re se abbia inteso subordinare l’attribuzione all’adempimento dell’onere oppure attribuire il
diritto obbligando l’accipiente all’adempimento del modus”. Nel fr. in esame, il testatore impo-
ne agli eredi una multa, ad es. da corrispondere al Fisco, come di regola avveniva, nel caso di
mancata escuzione del modus: il Fisco è così interessato a controllare che il modus venga ese-
guito. Sul modus, cfr. BIONDI, Istituzioni cit., p. 201 s (da cui sono tratte le citazioni fra virgolet-
te nella presente nota).
997 Nella via Salaria.
998 Il testatore può aver confuso Dama con Demetrio.
180
74. D.35.1.27 Alfeno, quinto libro dei digesti
181
74. D.35.1.27 Alfeno, quinto libro dei digesti
1006 La multa prevista nel caso di mancata costruzione del monumento sul modello voluto
dal testatore: ma questo non è possibile accertarlo.
1007 Dignitas designa la posizione (politica, economica, giuridica) che il testatore occupava
da vivo nel contesto sociale di cui faceva parte. Chi è dotato di auctoritas ha anche dignitas: ad
es., il console ha sia auctoritas, sia dignitas (ha dignitas infatti chi ricopre cariche politiche):
auctoritas e dignitas sono dunque nozioni correlative. Il termine dignitas non si può rendere con
l’italiano “dignità”, senza impoverirne il significato profondo. Secondo alcuni studiosi moderni,
substantia e dignitas sarebbero aggiunte dei compilatori giustinianei; si tratterebbe infatti di
termini propri dell’età postclassica, nella quale soprattutto dignitas acquista un significato poli-
tico-burocratico: il dignitario di corte, ad es., è chi ricopre una carica amministrativa partico-
larmente elevata, mentre, al tempo di Alfeno, dignitas ha un significato ben diverso, e così sub-
stantia, che indica la ricchezza o consistenza del patrimonio. La frase finale del fr. sarebbe inol-
tre, secondo altri, in contraddizione con quanto precede: se non si trova il modello di monumen-
to, la pena non ha effetto, il che dovrebbe esimere gli eredi dal costruire il monumento, mentre
nel testo se ne prevede comunque l’obbligo. Una cosa tuttavia è sicura, che il testatore vuole la
costruzione di un monumento allo scopo di perpetuare la propria memoria, secondo il ruolo eco-
nomico-sociale che egli occupava da vivo, secondo “una concezione terrestre e sociale dell’im-
mmortalità che ne comporta una gradazione conforme all’ampiezza e all’intensità dei vincoli e
dei rapporti sociali dell’individuo. Il console è fornito di dignitas più di quanto non lo sia un
magistrato inferiore, il liberto lo è meno dell’ingenuus. Il plebeo nullatenente, quando muore,
muore del tutto: nessuno gli erigerà un monumento, né a lui verrà mai in mente di chiederlo a
nessuno, perché non ha mai avuto un posto nel mondo dei rapporti politici e sociali. Egli è privo
di dignitas: la sua morte è definitiva” (NEGRI, Esempio di interpretazione del legato cit., p. 612).
182
75. D.35.1.28.1 Alfeno, secondo libro dei digesti epitomati da Paolo
‘Attia uxor mea optato Philargyrum “Mia moglie Azia scelga1008 il fanciul-
puerum, Agatheam ancillam, qui mei lo Filargiro1009 o l’ancella Agatea, che
erunt cum moriar’: is qui testamentum saranno miei quando morirò”. Il testa-
fecit, Agatheam, quam testamenti tore vendette l’Agatea che aveva al
tempore habuit, vendidit et postea tempo del testamento, poi comperò
ancillas emit, ex his uni Agatheae altre ancelle, ad una delle quali diede
nomen imposuit: quaesitum est, an il nome di Agatea: si chiese se anche
haec legata videretur. Respondit questa sia da ritenere legata1010.
legatam videri. Rispose1011 che si deve ritenere lega-
ta1012.
1008 Legatum optionis. La forma è quella del legato per vindicationem: il verbo optato inve-
ste direttamente la legataria della facoltà di scelta. L’esercizio della scelta determina l’acquisto
della proprietà dello schiavo scelto dalla legataria. La riforma giustinianea del legatum optionis
è esposta in Inst. 2.20.23.
1009 Cioè lo schiavo Filargiro.
1010 La vendita della schiava Agatea dopo la confezione del testamento revoca il legato?
1011 Servio.
1012 La soluzione non è motivata, perché è insita nelle parole stesse del testatore Philargy-
rum puerum, Agatheam ancillam, qui mei erunt cum moriar: al tempo dell’apertura della suc-
cessione, nel patrimonio del de cuius c’è comunque un’ancella Agatea. In questo caso, l’inter-
pretazione si basa sulla forma della dichiarazione, per consentire la conservazione della volon-
tà del disponente. La legataria può dunque esercitare l’opzione fra Filargiro e la nuova Agatea.
183
76. D.39.21013.43 Alfeno, secondo libro dei digesti
1013 Rubrica del titolo: De damno infecto et de suggrundis et proiectionibus (= Del danno
temuto, dei cornicioni e degli sporti).
1014 Il proprietario del fondo pericolante ha prestato la cautio damni infecti, cioè si è impe-
gnato, mediante stipulatio, a risarcire al proprietario del fondo minacciato il danno “eventual-
mente derivante all’edificio o al terreno di lui dal crollo o dalla nuova opera” (ARANGIO-RUIZ,
Istituzioni cit., pp. 222). Cfr. anche BIONDI, Istituzioni cit., p. 280.
1015 Di chi ha prestato la cautio damni infecti.
1016 Servio.
1017 “L’evento dannoso può dipendere da un vitium o dall’infirmitas dell’edificio: in questo
caso il vento ha costituito la causa occasionale della caduta delle tegole, che stavano ad esem-
pio in bilico sul tetto perché mal riposte dal costruttore o perché l’assetto ne è stato alterato, ad
es., dai topi o dai piccioni. Se le cose sono andate così, il risarcimento ex stipulatione damni
infecti è dovuto e il danneggiato può esperire fondatamente l’actio ex stipulatu” (NEGRI (a cura
di), Digesto cit., p. 72, nt.2).
1018 Qui, “la caduta delle tegole non dipend<e infatti> dallo stato del tetto, ma dalla forza
stessa del vento, nel qual caso il proprietario dell’edificio danneggiante non deve nulla”. Per
stabilire se sia stata la forza del vento, il giudice “potrà ad es. accertare che gli altri edifici del
quartiere, di analoga età e struttura, sono rimasti indenni, traendone che l’azione del vento ha
inciso su un edificio già compromesso e, quindi, che il factum dannoso non è stato determinato
da questo, ma dal vitium e/o dall’infirmitas” (NEGRI (a cura di), Digesto cit., p. 72, ntt.2 e 3).
1019 A Servio.
184
76. D.39.2.43 Alfeno, secondo libro dei digesti
1020 Parte del testo della stipulatio damni infecti contenuta nell’editto pretorio.
1021 Uno dei presupposti della stipulatio damni infecti è che sul fondo pericolante sussista-
no aedes ruinosae o vitiosae, cioè opere “in tale stato da minacciare rovina sul fondo altrui”
(BIONDI, Istituzioni cit., loc. ult. cit.): le parti devono attenersi al significato che il pretore ha
dato alle parole della formula della stipulatio da lui predisposta.
1022 Il proprietario A si impegna, con la stipulatio damni infecti, a risarcire l’eventuale
danno al proprietario B, il quale, a sua volta, si impegna, con un’altra stipulatio damni infecti,
a risarcire l’eventuale danno ad A.
1023 Gli inquilini del vicino, che abitavano nell’appartamento confinante, separato dall’ap-
partamento vicino dal muro comune, se ne sono andati prima della scadenza dei contratti d’af-
fitto, a causa dei lavori di demolizione e ricostruzione del muro.
1024 Al vicino.
1025 In base alla stipulatio damni infecti, a titolo di risarcimento del danno subito a causa della
demolizione del muro, danno che consiste, secondo il richiedente, nella perdita degli affitti.
1026 Servio.
185
76. D.39.2.43 Alfeno, secondo libro dei digesti
vult: quaesitum est, an recte petet. ni non erano tenuti a promettere fra
Respondit non oportuisse eos, cum loro1027, né avrebbero in alcun modo
communem parietem aedificarent, inter potuto reciprocamente costringersi a
se repromittere neque ullo modo farlo1028; ma che, se proprio volevano
alterum ab altero cogi potuisse: sed si promettere, avrebbero potuto impe-
maxime repromitterent, tamen non gnarsi nei limiti della metà1029, e
oportuisse amplius quam partis comunque per non più di quanto uno,
dimidiae, quo amplius ne extrario che ricostruisse un muro comune,
quidem quisquam, cum parietem dovrebbe promettere ad un estra-
communem aedificaret, repromittere neo1030; che, tuttavia, dal momento
deberet. Sed quoniam iam in totum che avevano promesso per l’intero, chi
repromisissent, omne, quod detrimenti ha ricostruito il muro dovrà rispondere
ex mercede vicinus fecisset, dell’intero pregiudizio che il vicino ha
praestaturum. 2. Idem consulebat, subito per la perdita dei canoni1031. 2.
possetne, quod ob eam rem dedisset, Lo stesso1032 domandava se avrebbe
rursus repetere, quoniam restipulatus potuto ripetere quanto avesse even-
186
76. D.39.2.43 Alfeno, secondo libro dei digesti
esset a vicino, si quid ob eam rem, quod tualmente dato a questo titolo1033, dal
ibi aedificatum esset, sibi damnum momento che aveva a sua volta stipu-
datum esset, id reddi, cum et ipsam lato dal vicino che, se gli fosse stato
hanc pecuniam, quam daret, propter cagionato un danno a causa di ciò che
illud opus perderet. Respondit non veniva ivi ricostruito1034, questo gli
posse propterea quia non operis vitio, sarebbe stato risarcito, posto che la
sed ex stipulatione id amitteret. stessa somma di denaro, che aveva
dato, l’aveva perduta a motivo del-
l’opera1035. Rispose1036 che non pote-
va, per la ragione che la somma non
l’aveva sborsata per un vizio dell’ope-
ra, ma in forza della stipulazione1037.
1033 Cioè, se ha corrisposto al vicino gli affitti perduti, chiede se può recuperare quanto ha
sborsato, perché anche lui aveva ottenuto la cautio damni infecti.
1034 Cioè del muro demolito e ricostruito.
1035 Di demolizione e ricostruzione del muro.
1036 Servio.
1037 Cioè, se il vicino ha pagato, lo ha fatto per adempiere alla stipulatio, non a causa del
crollo del muro.
187
77. D.39.41038.15 Alfeno, secondo libro dei digesti
1038 Rubrica del titolo: De publicanis et vectigalibus et commissis (= Dei pubblicani, dei vec-
tigalia e delle confische).
1039 Cfr. nt. seguente.
1040 “Nel manoscritto Fiorentino... si legge Caesar, probabilmente da emendare in censor
(censore), competente per la gestione delle risorse minerarie della provincia di Creta, che ha
dato in concessione ad un imprenditore privato l’esercizio delle cave di pietra cote, stipulando
con lui una locazione con clausola di esclusiva, la cui efficacia nei confronti dei terzi si spiega
con il potere di supremazia del magistrato concedente” (NEGRI (a cura di), Digesto cit., p. 74,
nt.1).
1041 Cioè nel contratto di locazione, vale a dire nella concessione al redemptor (privato
imprenditore) di sfruttamento dei giacimenti cretesi appartenenti allo Stato romano.
1042 conduttore concessionario: cfr. nt. precedente.
1043 Cioè, dopo il 15 marzo.
1044 Cioè di un cavatore locale.
1045 Ad es., il 14 marzo.
1046 Ad es., il 16 marzo.
1047 Ratio dubitandi: benché ripartita il 16 marzo, la nave aveva regolarmente levato l’an-
cora, la prima volta, il 14 marzo.
188
77. D.39.4.15 Alfeno, secondo libro dei digesti
1048 Servio.
1049 Forse uno degli auditores della scuola di Servio osserva che l’equazione porto-isola con-
duce a due risultati opposti, logicamente altrettanto plausibili: la nave è partita da un porto del-
l’isola sia prima, sia dopo il 15 marzo, con la conseguenza paradossale che essa ha rispettato e,
al tempo stesso, violato la clausola dettata dal censore, giacché, partendo dal porto dopo il 15,
è partita dall’isola.
1050 Causa di forza maggiore.
1051 “Il giurista non può eludere la scelta fra le due soluzioni limitandosi a prendere atto del
paradosso: egli deve stabilire se il terzo risponda della violazione della clausola censoria”
(NEGRI (a cura di), Digesto cit., p. 74, nt.3). Servio risponde all’osservazione capziosa di uno
degli auditores (cfr. nt. 1049): delle due partenze, quella volontaria è soltanto la prima, mentre
la seconda esula dalla sfera di controllo del conducente della nave. Il metodo del giurista non
si fonda sulla mera logica, ma di questa disattende, ove occorre, le implicazioni pratiche, per
realizzare la giustiza del caso concreto, dando la soluzione più ragionevole e plausibile: il
richiamo alla forza maggiore interrompe la logica dell’argomentazione dell’auditor.
189
78. D.41.11052.5.1 Gaio, secondo libro delle res cottidianae o aurea1053
1052 Rubrica del titolo: De adquirendo rerum dominio (= Dell’acquisto della proprietà).
1053 Opera forse di età postclassica, ma attribuita a Gaio. Cfr. D.44.7.1 Gaio, secondo libro
aureorum: il titolo è diverso, ma l’opera è la medesima (nelle rubriche del Digesto giustinianeo
le res cottidianae sono talvolta intitolate aurea).
1054 Cioè se il feritore ne acquisti la proprietà per averlo ferito.
1055 Secondo Trebazio, il cacciatore acquista per occupazione la proprietà sull’animale sel-
vatico nel momento stesso in cui lo ferisce in modo da poterlo catturare, ma per conservarne il
dominium deve continuare ad inseguirlo: quando l’inseguimento cessa, viene meno il diritto di
proprietà, l’animale torna ad essere nullius e può essere di nuovo acquistato per occupazione da
un altro cacciatore.
1056 Cioè per appropriarsene, non, ad es., per curarne le ferite e poi liberarlo.
1057 La contrectatio rei alterius (impossessamento di cosa altrui), accompagnata dall’animus
lucri faciendi, costituisce furtum rei. Sugli altri requisiti del furto, si vedano ARANGIO-RUIZ, Isti-
tuzioni cit., p. 368 ss.; BIONDI, Istituzioni cit., p. 523 ss.
1058 La maggior parte dei giuristi. Gaio riporta l’opinione che ha prevalso rispetto a quella
di Trebazio.
190
78. D.41.1.5.1 Gaio, secondo libro delle res cottidianae o aurea
faceret, furtum videri nobis eum nuto che l’animale selvatico non sia
commisisse. Plerique non aliter nostro se non quando l’abbiamo effet-
putaverunt eam nostram esse, quam si tivamente catturato1059, perché posso-
eam ceperimus, quia multa accidere no accadere molte cose che ne impedi-
possunt, ut eam non capiamus: quod scono la cattura1060: il che è più
verius est. vero1061.
191
79. D.41.1.36 Giuliano, tredicesimo libro dei digesti1062
Cum in corpus quidem quod traditur Non vedo perché la traditio dovrebbe
consentiamus, in causis vero essere inefficace1063 quando siamo
dissentiamus, non animadverto, cur d’accordo sull’oggetto della consegna,
inefficax sit traditio, veluti si ego ma dissentiamo sulla causa di essa1064,
credam me ex testamento tibi come nel caso in cui io creda di esse-
obligatum esse, ut fundum tradam, tu re obbligato a consegnarti un fondo ex
existimes ex stipulatu tibi eum deberi. testamento1065 e tu ritenga che il fondo
Nam et si pecuniam numeratam tibi ti sia dovuto ex stipulatu1066: è noto
tradam donandi gratia, tu eam quasi infatti che, anche se ti consegno del
creditam accipias, constat proprietatem denaro contante per donartelo e tu lo
ad te transire nec impedimento esse, ricevi come dato a credito1067, la pro-
quod circa causam dandi atque prietà passa1068, senza che il dissenso
accipiendi dissenserimus. sulla causa, rispettivamente, della
consegna e dell’accettazione lo impe-
disca1069.
192
80. D.41.1.55 Proculo, secondo libro delle epistole
In laqueum, quem venandi causa Nella trappola che avevi teso a scopo
posueras, aper incidit: cum eo haereret, di caccia incappò un cinghiale: essen-
exemptum eum abstuli: num tibi videor dovi rimasto impigliato, io l’ho libera-
tuum aprum abstulisse? Et si tuum putas to e tolto di lì. Ti pare che il cinghiale
fuisse, si solutum eum in silvam che ho tolto di lì fosse già tuo1071? E se
dimisissem, eo casu tuus esse desisset an pensi che fosse tuo, se io l’ho sciolto e
maneret? Et quam actionem mecum lasciato andare nel bosco ha cessato di
haberes, si desisset tuus esse, num in essere tuo o continua ad esserlo? Chie-
factum dari oportet, quaero. Respondit: do che azione avrai contro di me1072,
laqueum videamus ne intersit in publico se avesse cessato di essere tuo1073, e se
an in privato posuerim et, si in privato eventualmente non si debba dare
posui, utrum in meo an in alieno, et, si in un’azione in factum. Rispose1074:
alieno, utrum permissu eius cuius fundus
erat an non permissu eius posuerim:
praeterea utrum in eo ita haeserit aper, ut
expedire se non possit ipse, an diutius
luctando expediturus se fuerit. Summam
tamen hanc puto esse, ut, si in meam
potestatem pervenit, meus factus sit. Sin
autem aprum meum <factum>1070 in
1070 Secondo gli editori moderni, si dovrebbe sostituire ferum con factum.
1071 Per il fatto, cioè, di essere rimasto impigliato nella tua trappola. La domanda nasce dal-
l’esigenza di stabilire se il cacciatore abbia o meno il diritto al risarcimento del danno. Se il
terzo ha rimesso in libertà una bestia che non è ancora diventata di proprietà del cacciatore,
quest’ultimo non avrà azione contro il terzo; se il cinghiale apparteneva già al cacciatore quan-
do il terzo l’ha liberato, c’è azione contro quest’ultimo? Chi ha liberato il cinghiale non se ne è
impossessato, dunque anche se il cacciatore ha acquistato la proprietà per occupazione, non c’è
l’azione di rivendica e neppure l’actio furti: cfr. D.41.1.5.1 Gai. 2 rer. cott. Tuttavia, il terzo ha
pur sempre interferito con l’attività del cacciatore liberando il cinghiale, incappato nella trap-
pola posta a scopo di cattura.
1072 Che l’ho liberato.
1073 Dopo che l’ho sciolto e lasciato andare nel bosco.
1074 Proculo. Anche in altri casi l’opinione del giurista è alla terza persona singolare (Pro-
culus respondit): forse le lettere di Proculo sono state pubblicate da altri?
193
80. D.41.1.55 Proculo, secondo libro delle epistole
1075 Predisporre le trappole per catturare animali selvatici è un modo di cacciare la selvag-
gina. Di regola si acquista la proprietà delle ferae bestiae anche se queste vengono catturate nel
fondo altrui, a meno che la caccia non costituisca il reddito normale del fondo (cfr. D.22.1.26
Iul. 6 ex Minic.: Venationem fructus fundi negavit esse, nisi fructus fundi ex venatione constet:
negò che la caccia costituisse frutto del fondo, a meno che il frutto del fondo non fosse costitui-
to dalla caccia) che spetta al proprietario. Cfr. BIONDI, Istituzioni cit., p. 236.
1076 Di regola, l’acquisto della proprietà da parte del cacciatore delle ferae bestiae cattura-
te sul fondo altrui avviene anche se il proprietario ha vietato la caccia. Il dominus fundi potrà
“esercitare eventualmente le azioni a tutela del dominio del fondo qualora la caccia leda il suo
diritto” (BIONDI, Istituzioni cit., loc. ult. cit.).
1077 La questione rileva sul piano dell’acquisto della proprietà del cinghiale da parte del
cacciatore: se l’animale si era impigliato nella trappola al punto da non riuscire a liberarsi da
solo, si potrebbe dire che il cacciatore ne sarebbe divenuto proprietario. Cfr. D.41.1.5.1 Gai. 2
rer. cott. Cfr. nt. 1073.
1078 In tal caso il cacciatore non lo avrebbe catturato, né quindi acquistato la proprietà. Cfr.
nt. precedente.
1079 Proculo osserva che le questioni elencate non determinano tuttavia la soluzione del
caso, che riguarda se ci sia un’azione contro il terzo che ha liberato il cinghiale.
1080 Cioè del cacciatore che ha messo la trappola.
194
80. D.41.1.55 Proculo, secondo libro delle epistole
mihi in factum dari oportere, veluti è entrato nel mio potere materiale1081;
responsum est, cum quidam poculum se, invece, benché fosse già mio1082, tu
alterius ex nave eiecisset. lo abbia rimesso nel suo stato naturale
di libertà1083 e il cinghiale, tornato sel-
vatico, abbia cessato per questo di
essere mio1084, deve essermi data
un’azione in factum1085, come è stato
risposto nel caso di un tale che, da una
nave, aveva gettato in mare una tazza
altrui1086.
1081 Risposta all’interrogativo num tibi videor tuum aprum abstulisse? La cattura per mezzo
della trappola determina l’acquisto della proprietà della preda, perché questa non poteva libe-
rarsi da sola. Il terzo, con il suo intervento, ha quindi liberato un animale altrui.
1082 Perché catturato nella mia trappola, senza la possibilità di liberarsi da solo.
1083 Cioè lo abbia liberato e tolto di lì: con ciò il cinghiale è tornato ad essere nullius.
1084 Risposta alla domanda Et si tuum putas fuisse, si solutum eum in silvam dimisissem, eo
casu tuus esse desisset an maneret?: quando il terzo lo ha liberato, l’animale era già del caccia-
tore, ma la sua liberazione ne ha fatto venir meno la proprietà.
1085 Risposta al quesito Et quam actionem mecum haberes, si desisset tuus esse, num in fac-
tum dari oportet, quaero. Il terzo non ha liberato dolosamente il cinghiale per impadronirsene:
non c’è quindi contro di lui l’azione di furto. Il terzo non se n’è comunque impossessato e il cac-
ciatore non ha quindi l’azione di rivendica. Cfr. nt. 1073.
1086 Proculo richiama la soluzione della tazza come argomento analogico.
195
81. D.44.71087.1 pr.-5 Gaio, secondo libro aureorum1088
1087 Rubrica del titolo: De obligationibus et actionibus (= Delle obbligazioni e delle azioni).
1088 Cfr. nt. alla rubrica del fr. nr.78.
1089 Sinonimo di delictum = atto illecito extracontrattuale.
1090 Da atto lecito non contrattuale: come il pagamento dell’indebito, la gestione di affari
altrui, la tutela, la comunione incidentale.
1091 Cfr. Gai 3.90; Inst.3.14 pr.
196
81. D.44.7.1 pr.-5 Gaio, secondo libro aureorum
197
81. D.44.7.1 pr.-5 Gaio, secondo libro aureorum
198
82. D.45.11100.110.11101 Pomponio, quarto libro del commentario
a Quinto Mucio
Si stipulatus fuero de te: ‘Vestem tuam, Se avrò stipulato da te: “Ti impegni a
quaecumque muliebris est, dare dare tutti i tuoi abiti femminili?”1102,
spondes?’, magis ad mentem si deve tener conto più dell’intenzione
stipulantis quam ad mentem dello stipulante che di quella del pro-
promittentis id referri debet, ut quid in mittente, prendendo quindi in consi-
re sit, aestimari debeat, non quid derazione1103 l’abito realmente femmi-
senserit promissor. Itaque si solitus nile, non quello cui ha pensato il pro-
fuerat promissor muliebri quadam veste mittente1104; e perciò, se il promitten-
uti, nihilo minus debetur. te era solito indossare un abito femmi-
nile, ciononostante anche questo è
dovuto.
1100 Rubrica del titolo: De verborum obligationibus (= Delle obbligazioni che si contraggo-
no verbis).
1101 Cfr. D.34.2.33 Pomp. 4 ad Q. M., tratto dal medesimo contesto: in questo fr. e in quel-
lo riportato nel testo Pomponio confronta la tecnica ermeneutica del testamento e del contratto.
1102 È sottintesa la risposta del promittente “Mi impegno”.
1103 Pomponio, o Quinto Mucio, potrebbero riferirsi alla litis aestimatio nel processo ex sti-
pulatu eventualmente promosso dallo stipulante per inadempimento del promittente.
1104 Io (stipulator o reus stipulandi) sono proprietario di un negozio di abiti da donna e tu
(promissor o reus promittendi) un grossista: “Ti impegni a consegnarmi tutti gli abiti femminili
che tieni in magazzino?”. “Mi impegno”. Lo stipulante, scaduto il termine di consegna, si accor-
ge che manca un abito. Il promittente rifiuta di darglielo, perché lo considera da uomo, valutan-
do il proprio impegno diversamente da come lo intende lo stipulante alla stregua della doman-
da, ma ciò che conta non è l’intenzione del promittente, bensì quella dello stipulante, per cui si
deve guardare all’abito obiettivamente femminile, non a quello cui ha pensato il promittente.
199
83. D.45.1.137 pr.-2 Venuleio, primo libro sulle stipulazioni
1105 La domanda deve essere formulata senza interruzioni, anche se tra una parola e l’altra
è naturale che intervenga una pausa.
1106 Il promittente non può affidare ad un terzo l’incarico di rispondere allo stipulante, ma
deve farlo egli stesso.
1107 Il requisito dell’unitas actus impone che la risposta del promittente sia contestuale alla
domanda e il promittente non rinvii la risposta trattando nel frattempo un altro affare: in caso
contrario, la stipulatio non produrrà effetti. Fiorentino, nell’ottavo libro delle sue Istituzioni,
D.41.1.65 pr. (Quae extrinsecus et nihil ad praesentem actum pertinentia adieceris stipulationi,
pro supervacuis habebuntur nec vitiabunt obligationem, veluti si dicas: ‘Arma virumque cano:
spondeo’, nihilominus valet = le aggiunte che non hanno a che fare con la stipulatio si conside-
rano superflue e non invalidano l’obbligazione come se, ad es., si dica “ti impegni a darmi
cento?”: “canto le armi e l’eroe [inizio dell’Eneide di Virgilio], mi impegno”), fa un es. nel
quale l’unitas actus (contestualità anche temporale fra domanda e risposta) non è interrotta per-
ché non si tratta di aliud negotium.
1108 La stipulatio si perfeziona verbis, ma, se lo stipulante e il promittente non sono d’accor-
do sull’oggetto del contratto, il negozio non produce effetti, perché la risposta non è congrua
rispetto alla domanda.
200
83. D.45.1.137 pr.-2 Venuleio, primo libro sulle stipulazioni
ita stipulatus sum ‘Ephesi dari?’ inest “che si desse ad Efeso”1109, nella sti-
tempus: quod autem accipi debeat, pulatio è implicito il tempo necessario
quaeritur. Et magis est, ut totam eam alla sua esecuzione1110. Si chiede però
rem ad iudicem, id est ad virum bonum come questo si debba intendere: ed è
remittamus, qui aestimet, quanto preferibile rimettere l’intera questione
tempore diligens pater familias al giudice, vale a dire ad un vir
conficere possit, quod facturum se bonus1111, il quale valuti in quanto
promiserit, ut qui Ephesi daturum se tempo un pater familias diligente
spoponderit, neque duplomate diebus possa portare a termine ciò che ha pro-
ac noctibus et omni tempestate messo, senza pretendere che chi ha
contempta iter continuare cogatur promesso di dare ad Efeso si munisca
neque tam delicate progredi debeat, ut di un duploma1112 e viaggi ininterrot-
reprehensione dignus appareat, sed tamente giorno e notte affrontando
habita ratione temporis aetatis sexus ogni tipo di intemperie, ma, al contem-
po, senza tollerare che proceda tanto
lentamente da incorrere in contesta-
zioni1113. Il giudice dovrà insomma
tener conto delle circostanze di tempo,
di età, di sesso, di stato di salute di chi
1109 Tenore della domanda dello stipulante. Efeso era una città della provincia d’Asia.
1110 La stipulatio avente ad oggetto la consegna di una cosa nella città di Efeso è stata con-
clusa a Roma: poiché occorre del tempo per giungere ad Efeso, si intende che il promittente
impiegherà il tempo necessario all’adempimento.
1111 Il giudice deve cioè decidere tenendo conto, con prudente apprezzamento, delle circo-
stanze del caso.
1112 “Lettera di accompagnamento per il viaggio, rilasciata dall’imperatore, che attribuiva
la facoltà di requisire carrozze e cavalli nelle stazioni di posta” (NEGRI (a cura di), Digesto cit.,
p. 80, nt.3).
1113 Da parte del creditore: il bonus vir dovrà determinare il tempo normalmente necessario
per raggiungere Efeso da Roma.
201
83. D.45.1.137 pr.-2 Venuleio, primo libro sulle stipulazioni
valetudinis, cum id agat, ut mature fa quello che può per giungere solleci-
perveniat, id est eodem tempore, quo tamente a destinazione, cioè nel tempo
plerique eiusdem condicionis homines in cui la gente della medesima condi-
solent pervenire. Eoque transacto, zione1114 è solita arrivare. Se, trascor-
quamvis Romae remanserit nec possit so questo tempo, il promittente sia
Ephesi pecuniam dare, nihilo minus ei rimasto a Roma e non possa quindi
recte condicetur, vel quia per ipsum dare il denaro ad Efeso, si potrà fonda-
steterit, quo minus Ephesi daret, vel tamente esperire la condictio1115 con-
quoniam per alium Ephesi possit dari tro di lui, sia che l’impossibilità di
vel quia ubique potest solvere: nam et darlo ad Efeso sia dipesa da lui, sia
quod in diem debetur, ante solvi potest, che il danaro si potesse dare ad Efeso
licet peti non potest. Quod si duplomate tramite un altro1116, o si potesse paga-
usus aut felici navigatione maturius re dovunque1117. Infatti, anche ciò che
quam quisque pervenerit Ephesum, si deve entro un certo termine può
confestim obligatus est, quia in eo, essere pagato in anticipo, benché non
quod tempore atque facto finitum est, si possa chiedere in anticipo: dunque,
nullus est coniecturae locus. se il promittente si è servito del duplo-
ma, o per una rapida navigazione è
giunto prima del previsto, è obbligato
a pagare subito, perché, quando tempo
e circostanze non sono di impedimen-
to, non c’è bisogno di ricorrere ad ulte-
riori indagini1118.
1114 Rispetto alla condizione del promittente, come l’età, il sesso, la salute.
1115 Fondata sulla stipulatio di dare una somma certa di danaro.
1116 Che il promittente avrebbe potuto (e quindi dovuto, in caso di impossibilità da parte
sua) incaricare di darlo.
1117 Cioè anche altrove, se questo era previsto nella stipulatio o anche successivamente con-
sentito dallo stipulante, e ciò nonostante il promittente non abbia provveduto.
1118 Sulle difficoltà del debitore di adempiere, come quelle indicate nel testo.
202
84. D.47.21119.77(76).1 Pomponio, trentottesimo libro del commentario a
Quinto Mucio
203
84. D.47.2.77(76).1 Pomponio, trentottesimo libro del commentario a Quinto Mucio
tamen cum eo is cuius interest furti contro di lui ha l’azione di furto chi vi
habet actionem, si honesta ex causa ha interesse1123, soltanto se questo
interest. Nec utimur Servii sententia, interesse è moralmente giustificato; e
qui putabat, si rei subreptae dominus non adottiamo l’opinione di Servio, il
nemo exstaret nec exstaturus esset, quale riteneva che, se il proprietario
furem habere furti actionem: non della cosa rubata non si presenta né si
magis enim tunc eius esse intellegitur, presenterà a pretendere la restituzio-
qui lucrum facturus sit. Dominus igitur ne, l’azione di furto ce l’ha il ladro1124:
habebit cum utroque furti actionem, ita è meglio infatti ritenere1125 che l’azio-
ut, si cum altero furti actionem ne non spetti a chi ne trarrebbe un
inchoat, adversus alterum nihilo minus lucro1126. Il proprietario avrà dunque
duret: sed et condictionem, quia ex l’azione di furto contro entrambi i ladri
diversis factis tenentur. e se la esperisce contro uno, l’azione
gli rimane anche contro l’altro1127: ma
egli1128 avrà anche la condictio1129, dal
momento che i due ladri sono tenuti in
base a fatti diversi1130.
204
85. D.50.171131.23 Ulpiano, ventinovesimo libro del commentario a Sabino
1131 Rubrica del titolo: De diversis regulis iuris antiqui (= Regole varie del diritto antico).
1132 Come criterio di responsabilità.
1133 Concessione in uso di una cosa, a istanza dell’interessato (precarista), che deve resti-
tuirla a richiesta del concedente: in caso di rifiuto, il concedente aveva la rivendica o un inter-
detto possessorio, oppure, più tardi, l’actio praescriptis verbis: quest’ultima a tutela del precario
inteso come contratto innominato.
1134 Ulpiano aggiunge figure di atto lecito non contrattuale fonte di obbligazioni, in cui il
regime della responsabilità è analogo a quello dei contratti elencati nel testo.
1135 Cioè si esige la diligenza, con conseguente responsabilità per negligenza: colpa e negli-
genza sono criteri distinti.
205
85. D.50.17.23 Ulpiano, ventinovesimo libro del commentario a Sabino
1136 Deroghe pattizie al regime tipico della responsabilità: un es. di clausole di attenuazio-
ne o aggravamento della responsabilità, con riferimento al deposito, si trova in D.16.3.1.6 Ulp.
30 ad ed.
1137 Cfr. D.16.3.1.7 Ulp. 30 ad ed.
1138 Azioni che tutelano le fattispecie negoziali indicate nel testo. Cfr. Gai. 4.62; Inst.
4.6.28.
1139 Perché tranquilli e fidati, dai quali non ci si aspetterebbe la fuga, che costituisce quin-
di un casus: cfr. D.13.6.18 pr. Gai. 9 ad ed. prov.
1140 La rapina si distingue dal furto per il fatto che alla sottrazione si accompagna l’uso della
violenza.
206
ESEMPI DI FORMULE PROCESSUALI
Rei vindicatio
207
Actio negatoria (usufructus)
Actio Publiciana
208
Actio depositi in factum
Actio ex vendito
209
Actio ex locato
210
Actio legis Aquiliae (adversus infitiantem)
211
Exceptio doli
Exceptio pacti
Interdictum de vi
212
213
ELENCO ALFABETICO DEI GIURISTI
215
Celso, pretore nel 106 o 107 d.C., legatus in Tracia, due volte console (la
seconda nel 129 d.C.), proconsole d’Asia, membro del consilium di Adriano, è
capo della scuola dei Proculiani. L’unica sua opera di cui il Digesto giustinia-
neo conserva dei frammenti sono i digesta. Il suo pensiero è spesso citato nelle
opere dei giureconsulti successivi. Nel Digesto giustinianeo sono talora citate
anche le opinioni del padre di Celso.
Fiorentino, di età incerta, forse contemporaneo di Cervidio Scevola. È auto-
re di un’opera di institutiones in 12 libri, da cui è tratta la famosa definizione di
obbligazione contenuta nelle Istituzioni di Giustiniano.
Gaio nasce forse sotto l’impero di Traiano e muore dopo il 178 d.C. È autore
delle institutiones, manuale didattico in quattro libri destinato a diventare famo-
so in epoca post-classica (su di esso sono modellate le Istituzioni giustinianee):
un manoscritto di questa opera venne scoperto dal Niebuhr nel 1816 in un
palinsesto della Biblioteca capitolare di Verona. Salvo qualche lacuna, questa è
l’unica opera della giurisprudenza classica pervenutaci per intero fuori dal
Digesto giustinianeo. Gaio ha scritto inoltre commentari agli editti pretorio, pro-
vinciale ed edilizio e alle dodici tavole. Incerta la paternità delle c.d. res cotti-
dianae o libri aureorum.
Giavoleno nasce prima del 60 d.C. e muore dopo il 120 d.C. Allievo di Cas-
sio, è a capo della scuola dei Sabiniani. Fa parte del consilium di Traiano; rico-
pre rilevanti incarichi militari in Dalmazia, Mesia e Africa; è iuridicus della Bri-
tannia, consul suffectus, poi legato consolare in Siria e proconsole in Africa.
Nonostante gli impegni politici e militari, non trascura l’insegnamento: è, ad es.,
maestro di Salvio Giuliano. Scrive quindici libri di commento a Cassio, quattor-
dici libri di epistulae, cinque libri di note a Plauzio, dieci libri ex posterioribus
Labeonis (raccolta di opere postume di Labeone, corredata di osservazioni cri-
tiche).
Giuliano, vissuto fra il 100 e il 169 d.C. circa, partecipa al consilium di
Adriano e degli imperatori successivi fino a Marco Aurelio. Su incarico di
Adriano, fra il 134 e il 138 d.C., riordina l’editto del pretore. Discepolo di Gia-
voleno, è l’ultimo capo della scuola dei Sabiniani. È console, legatus Germaniae
inferioris (sotto Antonino Pio), Hispaniae citerioris (sotto Marco Aurelio e Lucio
Vero), proconsole d’Africa. È autore di novanta libri di digesta (presenti in gran
numero nel Digesto giustinianeo); di un liber singularis de ambiguitatibus; di
216
libri di commento all’editto, ad Minicium, ad Urseium Ferocem.
Labeone nasce intorno al 45 a.C. e muore nel 10 o 11 d.C. Intrapreso il cur-
sus honorum fino alla pretura, rifiuta il consolato offertogli da Augusto. È tradi-
zionalmente considerato il fondatore della scuola dei Proculiani. Di lui si ricor-
dano un commentario all’editto e uno alle dodici tavole, nonché responsa, epi-
stulae e pithana (epitomati da Paolo). Il suo pensiero ci è noto soprattutto trami-
te le citazioni di giureconsulti successivi. Dopo la sua morte, vengono pubblica-
ti, commentati da Giavoleno, i libri posteriores, copiosamente utilizzati dai com-
missari giustinianei nei Digesta.
Marcello, membro del consilium di Antonino Pio e Marco Aurelio, compila
trentun libri di digesta. Scrive anche un liber singularis responsorum (raccolta
di responsi in un unico libro), un commentario alla lex Iulia et Papia, notae ai
digesta di Giuliano, notae ad Pomponii regularum librum singularem e ad Pom-
ponii libros ad Sabinum, monografie de officio consulis, de officio praesidis, de
publicis iudiciis.
Nerazio vive nell’età di Traiano e di Adriano. Fa parte del consilium di Adria-
no e forse anche di quello di Traiano. È praefectus aerarii Saturni, consul suffec-
tus nel 97 d.C., legatus Augusti pro praetore in Pannonia. Capo della scuola dei
Proculiani. Scrive sette libri membranarum, quindici di regulae, tre di responsa.
Di lui si conoscono parzialmente, da citazioni di giuristi delle epoche successi-
ve, epistulae, libri ex Plautio e un liber singularis de nuptiis.
Nerva (padre), vissuto sotto Tiberio e allievo di Labeone, al quale succede
nella guida della scuola dei Proculiani. Console nel 22 d.C. e in seguito curator
aquarum, si toglie la vita nel 33 d.C. per la disperazione dinanzi alla definitiva
caduta delle libertà repubblicane. La sua opera ci è nota da citazioni dei giuri-
sti delle epoche successive, che tuttavia ne tacciono i titoli.
Nerva (figlio), contemporaneo di Proculo, pretore nel 65 d.C., autore di libri
de usucapionibus, di cui non v’è traccia diretta nel Digesto, ma si hanno notizie
delle sue opere dalle citazioni dei giuristi posteriori.
Ofilio, del I sec. a.C., allievo di Servio. A differenza dei suoi amici Cicerone
e Cesare, non intraprende la carriera politica. Redige un commentario all’edit-
to, libri di diritto civile e de legibus. Benché i suoi scritti non siano presenti
nella compilazione giustinianea, se ne conosce in parte il contenuto dalle cita-
217
zioni dei giureconsulti delle epoche successive.
Paolo, allievo di Cervidio Scevola, adsessor di Papiniano quando quest’ulti-
mo è prefetto del pretorio, membro del consilium di Settimio Severo e di Cara-
calla. Esiliato da Elagabalo, poi richiamato a Roma, ove diviene prefetto del
pretorio sotto Alessandro Severo. Scrive ottanta libri ad edictum, sedici ad Sabi-
num, ventisei di quaestiones, ventitré di responsa; commentari alle opere di
Plauzio, Nerazio, Vitellio, Labeone e Alfeno, note a Papiniano; tre libri decreto-
rum, institutiones e regulae, nonché varie monografie. Le sue opere sono ampia-
mente utilizzate nel Digesto giustinianeo.
Papiniano, di età severiana (II-III sec. d.C.), advocatus fisci e adsessor di pre-
fetti del pretorio, prefetto del pretorio sotto Settimio Severo nel 203 d.C., desti-
tuito da Caracalla nel 211 d.C. e ucciso nel 212 d.C. per suo ordine. Autore di
quaestiones in trentasette libri, di responsa in diciannove libri, di definitiones e
monografie.
Pedio vive sotto Nerone e i suoi successori. È autore di commentari, all’edit-
to del pretore e all’editto degli edili curuli, nonché di una monografia de stipu-
lationibus. Paolo e Ulpiano lo citano spesso riportandone il pensiero. Il Digesto
di Giustiniano non contiene frammenti delle sue opere.
Plauzio vive nella stessa epoca di Pegaso (prima metà del I sec. d.C.). Le sue
opere non ci sono note, né se ne conoscono i titoli, anche se egli è citato spes-
so dai giuristi successivi, fra cui Nerazio, Giavoleno, Pomponio e Paolo.
Pomponio, contemporaneo di Giuliano, vive sotto Adriano, Antonino Pio,
Marco Aurelio e Lucio Vero. Scrive, fra l’altro, commentari ad edictum, ad
Quintum Mucium, ad Sabinum; epistulae; monografie de fideicommissis, de sti-
pulationibus e un commentario a Plauzio. È autore, inoltre, del liber singularis
enchiridii: un compendio prezioso (traduzione italiana parziale in MAGANZANI,
Formazione e vicende cit., p. 37 ss.) di storia delle magistrature, delle fonti del
diritto e della giurisprudenza fino al suo tempo.
Proculo, contemporaneo di Nerva figlio, succede a Nerva padre nella guida
della scuola dei Proculiani, che dal suo nome si qualifica così. È autore di epi-
stulae (di cui sono contenuti nel Digesto di Giustiniano numerosi frammenti) e
di notae a Labeone.
Sabino, allievo di Capitone e suo successore alla guida della scuola dei Sabi-
218
niani, dal quale essa prende il nome. Vive fino al periodo neroniano. Di umili
condizioni, viene mantenuto dai suoi allievi. A cinquant’anni diviene cavaliere.
Dall’imperatore Tiberio viene insignito del ius publice respondendi. I suoi tre
libri iuris civilis sono oggetto di commentari di giuristi successivi (commentari
ad Sabinum). A lui si devono inoltre un commentario ad edictum praetoris urba-
ni; un liber singularis de furtis e uno de officio adsessorum, nonché memoralia e
responsa.
Scevola (Quinto Mucio), console nel 95 a.C. Pontifex maximus. Autore di
diciotto libri iuris civilis e di un liber singularis Órwn sive definitionum: della
seconda opera esiste ancora qualche frammento nel Digesto, della prima si
conosce il contenuto grazie alle opere di commento dei giuristi classici. Di
Quinto Mucio Scevola, Pomponio, nel liber singularis enchiridii (cfr., sopra,
Pomponio) D.1.2.2.41, dice che ius civile primus constituit generatim in libros
decem et octo redigendo: per primo trattò, in diciotto libri, di diritto civile secon-
do le classificazioni per generi.
Scevola (Quinto Cervidio), dell’epoca di Marco Aurelio del cui consilium fa
parte, di Commodo, sotto il cui governo è praefectus vigilum nel 175 d.C., e di
Settimio Severo. A lui si devono quaranta libri di digesta, venti di quaestiones,
quattro di regulae, sei di responsa.
Servio, contemporaneo e amico di Cicerone, con il quale studia retorica a
Rodi. È console nel 51 a.C. e governatore dell’Acaia nel 46 a.C. È autore di un
commentario critico ai diciotto libri iuris civilis di Quinto Mucio, intitolato repre-
hensa Scaevolae capita o notata Mucii; di due monografie, rispettivamente, de
dotibus e de sacris detestandis; di due libri ad Brutum. Alfeno Varo, suo allievo,
riporta molti dei suoi responsi nei propri digesta. Ha introdotto, in modo siste-
matico, il metodo dialettico nell’analisi giuridica dei casi concreti.
Trebazio, amico di Cicerone (che gli ha dedicato i Topica), fa parte del con-
silium di Cesare e lo segue in Gallia nel 54 a.C. Sotto Augusto, rifiuta il conso-
lato e si dedica all’attività respondente e all’insegnamento. Le sue opere sono
spesso citate dai giuristi successivi. Si ignora se all’epoca di Ulpiano se ne
conoscessero ancora gli originali.
Trifonino, forse di famiglia orientale romanizzata, allievo di Cervidio Scevo-
la, opera sotto Settimio Severo e i suoi successori. È collega di Papiniano nel
consilium di Settimio Severo. La sua opera maggiore sono i ventuno libri dispu-
219
tationum (raccolta di discussioni su casi controversi).
Tuberone, discepolo di Ofilio; si dedica alla retorica, per poi passare al dirit-
to. È autore di responsa e di una monografia de officio iudicis. Quantunque i suoi
scritti non compaiano nel Digesto giustinianeo, del loro contenuto è fatta men-
zione nelle opere dei giuristi successivi.
Ulpiano nasce a Tiro (Siria). Adsessor di Papiniano quando questi è praefec-
tus del pretorio. Esiliato da Elagabalo, viene richiamato a Roma nel 222 d.C. da
Alessandro Severo e con lui diviene magister libellorum, praefectus annonae e
praefectus praetorio. Il suo assassinio (ad opera dei pretoriani ammutinati), le
cui ragioni sono avvolte in una fitta nube di mistero, risale forse al 223 d.C. I
suoi scritti sono i più largamente utilizzati nel Digesto giustinianeo (quasi un
terzo dei frammenti ivi contenuti è estratto dalle opere di Ulpiano). La sua pro-
duzione letteraria è assai vasta: fra l’altro, ottantun libri ad edictum praetoris,
due libri di commento all’editto degli edili curuli; cinquantun libri ad Sabinum;
opere didattiche e casistiche (institutiones, regulae e disputationes); monografie
su vari argomenti.
Venuleio vive sotto Antonino Pio e Marco Aurelio e Lucio Vero. A lui si devo-
no dieci libri sulle actiones, libri di disputationes, un commentario ad edictum,
sei libri de interdictis, tre de iudiciis publicis, quattro de officio proconsulis,
diciannove de stipulationibus, nonché un liber singularis de poenis paganorum.
220
ELENCO CRONOLOGICO DEI GIURISTI E DEGLI IMPERATORI*
* Gli elenchi sono tratti da V. ARANGIO-RUIZ e A. GUARINO, Breviarum iuris romani, 8a ed.,
Milano 1998, p. 436 ss.
221
222
B) Cronologia degli imperatori romani
223
224
ELENCO DEI FRAMMENTI
I numeri indicano, nell’ordine, la collocazione del frammento nella presente
Antologia e il libro, titolo e frammento del Digesto di Giustiniano
225
61 = 32.61 74 = 35.1.27
62 = 32.69 75 = 35.1.28.1
63 = 33.6.7 76 = 39.2.43
64 = 33.7.16 77 = 39.4.15
65 = 33.8.14 78 = 41.1.5.1
66 = 33.8.15 79 = 41.1.36
67 = 33.10.7.1-2 80 = 41.1.55
68 = 34.2.28 81 = 44.7.1 pr.-5
69 = 34.2.33 82 = 45.1.110.1
70 = 34.2.40.2 83 = 45.1.137 pr.-2
71 = 34.5.9(10) pr. 84 = 47.2.77.1
72 = 34.5.28(29) 85 = 50.17.23
73 = 35.1.17
226
INDICE DEGLI ARGOMENTI
I numeri indicano i frammenti
227
Comunione 3, 23; v. Actio communi Furto 6, 29, 84
dividundo, Ius prohibendi Gestione di affari 27
Concorso di azioni 5, 6, 14, 20, 28, Immissioni 8
33, 47 In iure cessio 7
Condictiones 25 (sine causa), 26 Interdictum de glande legenda 24
(causa data re non secuta), 33 (fur- Interdictum uti possidetis 8
tiva), 35, 41, 46 (indebiti), 83, 84 Interpretazione negoziale 60, 61, 62,
Condizione 57, 73 63, 64, 65, 67, 68, 69, 70, 72, 74,
Contratti (in generale) 1, 30 (leges 75, 82
contractus), 35 (buona fede), 37, Istituzione di erede: v. Testamento
38 (leges contractus), 77 (leges con- (cancellazione dei nomi degli
tractus), 81 (responsabilità), 85 eredi)
(responsabilità) Iter 7
Contratti innominati 26 Ius gentium 1, 35
Damnum iniuria datum: v. Actio legis Ius naturale 35
Aquiliae Ius prohibendi 23
Danno temuto: v. Cautio damni infecti Iusta causa traditionis: v. Traditio
Deposito 30, 33, 35, 36, 38, 48, 81; v. Iustitia 35
Sequestro Legati 56, 60, 61, 63, 64, 65, 66, 67,
Diseredazione 55 68, 69, 70, 72, 73, 75
Dolo 30, 32, 33, 36, 81, 85; v. Con- Leges contractus: v. Contratti (in gene-
tratti (in generale) rale), Colpa, Deposito, Dolo, Lex
Edictum aedilium curulium: v. Actio commissoria
redhibitoria Lex Aquilia: v. Actio legis Aquiliae
Eredi necessari 55 Lex commissoria 40, 43, 44
Evizione 4, 6, 26 Lex Duodecim Tabularum 11
Exceptiones 25 (doli) Litis aestimatio 6, 14, 18, 21
Exheredatio: v. Diseredazione Locazione 46, 47, 48, 77; v. Actio ex
Falsa causa 73 conducto, Actio ex locato
Falsa demonstratio 73 Mandato 27, 38; v. Actio mandati
Favor libertatis 56 Manomissioni 65
Fedecommessi 70 Modus 73, 74
Fideiussione 30 Multe testamentarie 74
Fonti delle obbligazioni 81 Mutuo 81
Forza maggiore: v. Vis maior Negotiorum gestio: v. Gestione d’affari
Frutti 44 Novazione 39
228
Noxae deditio 6 (actio furti), 9 (actio Società 39
de pauperie), 18 (actio de pauperie) Sostituzioni 59, 71
Occupazione 78, 80 Stipulatio 39, 82, 83; v. Cautio damni
Peculio 66 infecti
Pegno 29 Testamento 54, 55, 56 (cancellazione
Periculum 29, 43 dei nomi degli eredi), 57, 59, 65,
Pro herede gestio: v. Acquisto dell’ere- 70, 74; v. Condizione, Interpreta-
dità zione negoziale, Legati, Modus,
Proprietà (acquisto): v. Acquisto della Manomissioni, Sostituzioni
proprietà Traditio 25, 79
Proprietà (esercizio) 8 Unione e commistione 3
Publicatio bonorum 35 Vendita 41, 42, 44, 52; v. Actio redhi-
Rei vindicatio: v. Azione di rivendica bitoria, Evizione, Lex commissoria,
Responsabilità contrattuale: v. Con- Vizi occulti
tratti (in generale) Via 7
Satisdationes: v. Cauzioni giudiziarie Vis maior 29, 77, 81, 85
Servitù 7, 8 Vizi occulti: v. Azione redibitoria
Sequestro 31, 32, 34, 50
229
finito di stampare
nel mese di luglio 2006
presso la TIPOGRAFIA SOLARI
Peschiera Borromeo (Milano)
Francesca Scotti
ANTOLOGIA DEL
DIGESTO DI GIUSTINIANO
Pubblicazioni dell’I.S.U. Università Cattolica
ISBN 88-8311-356-X