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Pantone 303

Università Cattolica del Sacro Cuore – Facoltà di giurisprudenza


Testi per le esercitazioni e i seminari romanistici

ANTOLOGIA DEL
DIGESTO DI GIUSTINIANO
Testi tradotti e annotati
ad uso degli studenti
da
Francesca Scotti

Milano 2006
Immagine di copertina: Cesena, Biblioteca Malatestiana, Pluteo sin. IV, cod 2 fol. 206 v: incipit del libro 35
del Digesto, De condicionibus et demonstrationibus et causis et modis eorum quae in testamento scribuntur.
Da: Università e studenti a Bologna nei secoli XIII e XIV, a cura di Carlo Dolcini, UTET, Torino 1988, p. 103.

© 2005-2006 I.S.U. Università Cattolica – Largo Gemelli, 1 – Milano


http://www.unicatt.it/librario
ISBN 88-8311-356-X
Nuova ristampa corretta
INDICE

Prefazione ...................................................................................................5
Avvertenze...................................................................................................9
Abbreviazioni ............................................................................................11
Simboli......................................................................................................11
Testi tradotti e annotati..............................................................................13
Esempi di formule processuali ................................................................207
Elenco alfabetico dei giuristi...................................................................215
Elenco cronologico dei giuristi e degli imperatori ...................................221
Elenco dei frammenti ..............................................................................225
Indice degli argomenti.............................................................................227

3
PREFAZIONE

La presente antologia delle opere della letteratura giuridica romana è destinata


agli studenti del corso di Istituzioni di diritto romano, tenuto nell’Università Catto-
lica del Sacro Cuore di Milano nell’anno accademico 2004-2005 e integrato da
esercitazioni su casi concreti tratti dal Digesto di Giustiniano. L’antologia contiene
una scelta di frammenti dei giuristi dell’età tardo-repubblicana e classica, molti dei
quali spiegati in aula nel corso delle esercitazioni, con traduzione italiana e com-
mento. La scelta dei testi ha lo scopo di offrire agli studenti una succinta esempli-
ficazione dei generi letterari della giurisprudenza romana, dalle opere istituzionali
alle raccolte casistiche, ai Digesta, ai grandi commentari di diritto civile e di dirit-
to pretorio, e di esemplificare il lavoro dei compilatori giustinianei nell’allestire il
Digesto (di cui si riporta per intero il titolo primo Si quadrupes pauperiem fecisse
dicatur del nono libro).
La ragione principale della pubblicazione dell’antologia è soprattutto quella di
indurre gli studenti, fin dal primo anno, ad un approccio con il diritto romano che
non sia limitato alla lettura di un moderno manuale di Istituzioni e alla frequenza
delle lezioni.
Per esperienza didattica, durata per anni in questa e in altre Università, ho
riscontrato che non di rado gli studenti, lettori dei manuali romanistici, si meravi-
gliano di essere tenuti allo studio di un diritto, confinato in un tempo lontano e stra-
namente sopravvissuto ad una società e ad un assetto politico-costituzionale tra-
montati da secoli: se i contenuti normativi, le soluzioni dei problemi pratici, il lin-
guaggio del manuale di Istituzioni di diritto romano sono molto simili a quelli del
manuale di diritto privato attuale, non è facile comprendere il perché della neces-
sità di un doppio sforzo di apprendimento; se regole, soluzioni, linguaggio sono
completamente diversi, come ad es. nel caso del regime della schiavitù, del diritto
di famiglia o di alcune parti del diritto ereditario, è a maggior ragione sconcertan-
te l’obbligo di memorizzarli ai fini dell’esame romanistico. Non basta spiegare la
diffusione del diritto romano nelle Università europee a far tempo dal basso
medioevo e la sua vigenza in Europa come diritto comune: un ponte che lo colle-
ghi al diritto civile attuale attraverso il c.d. diritto intermedio non è stato ancora
costruito nella didattica delle Facoltà giuridiche italiane. Il diritto romano appare
quindi spesso, e non sempre a torto, come un fardello erudito imposto agli studen-
ti di oggi, in virtù di un suo preteso e per loro inesplicabile prestigio, tanto più ine-

5
splicabile quanto più lontano dalla nostra mentalità e dalle conquiste civili del
nostro tempo, ispirato com’è, ad es., alla schiavitù come istituto accettato e minu-
ziosamente disciplinato, alla perpetuità della patria potestas, all’individualismo del
pater (che impronta il diritto di famiglia e il diritto ereditario secondo lo stretto ius
civile, benché non secondo le riforme pretorie) e così via.
Ma la funzione dell’insegnamento delle Istituzioni non è più, a mio avviso (e a
questo avviso ho uniformato da anni i miei corsi), soltanto quello di illustrare i con-
tenuti normativi e il regime degli istituti del diritto romano, bensì quello di intro-
durre alla conoscenza, sia pure molto limitata, elementare e sommaria, del Digesto
di Giustiniano1: il diritto romano è soprattutto qui, nei testi della giurisprudenza
romana, più che nei manuali moderni (molti dei quali sono peraltro eccellenti). “Le
fonti romane hanno essenzialmente per contenuto decisioni di migliaia e migliaia
di casi pratici. Ora, proprio questa circostanza, mentre fa di esse un’opera legisla-
tiva assai difettosa, conferisce loro un valore incomparabile quale mezzo di inse-
gnamento. Uno studio accurato delle decisioni che esse contengono addestra, infat-
ti, a cogliere nei casi decisi i lineamenti di fatto giuridicamente essenziali, a vede-
re, e ad impostare esattamente, le questioni da cui la decisione dipende, ad adope-
rare con sicurezza, nella loro soluzione, i vari metodi dell’argomentazione giuridi-
ca; in pari tempo, fa guadagnare una nozione precisa dei concetti fondamentali e
un’intuizione concreta della efficienza dei principi. Soprattutto, esso educa quello
che si potrebbe chiamare l’occhio clinico del giurista: l’attitudine, cioè, ad intuire
i concetti nelle concrete situazioni di fatto e ad applicare a queste i principi giuri-
dici che le governano... Solo quando sia praticato con questo spirito lo studio del
diritto romano <può> cessare di essere materia di erudizione o mero apprendi-
mento di nozioni da esporre all’esame, per diventare mezzo di vigorosa disciplina
mentale, parte viva e integrante della nostra educazione giuridica”2.

1 A questo metodo è improntato anche il corso di Istituzioni di diritto romano tenuto dalla
prof. Lauretta Maganzani nella Facoltà di giurisprudenza nella sede di Piacenza dell’Università
Cattolica del Sacro Cuore: un’antologia di testi della giurisprudenza romana, per autore, si trova
nella sua opera intitolata Formazione e vicende di un’opera illustre. Il Corpus Iuris nella cultura
del giurista europeo, Torino 2002, p. 212 ss. Della stessa Autrice gli studenti volonterosi, che
desiderino informarsi sul Digesto e imparare a consultarlo, possono attingere al volume Fonti e
strumenti di ricerca. Metodo di consultazione per lo studio del diritto romano ad uso degli stu-
denti, Como 1988, p. 18 ss.
2 E. BETTI, Esercitazioni romanistiche su casi pratici, I (ed unico). Anormalità del negozio
giuridico, Padova 1930, p. 1 s.

6
Le esercitazioni integrative del corso di Istituzioni, tenuto quest’anno nell’Uni-
versità Cattolica di Milano, come i seminari degli anni accademici precedenti, sono
state organizzate in questa prospettiva didattica e affidate alla dott. Francesca Scot-
ti, assegnista di ricerca nell’Università Cattolica. Chi crede che il diritto costitui-
sca un sapere tecnico che ci viene dalla giurisprudenza romana, la quale per seco-
li ha educato intere generazioni di giuristi, che la sopravvivenza dell’insegnamen-
to del diritto romano nelle Facoltà di giurisprudenza è legittimata dallo studio delle
opere dei giuristi, intese come educazione al rigore del metodo e del linguaggio,
alla concisione e alla chiarezza, che sono l’etica dello stile del giurista, come di
qualunque intellettuale investito di responsabilità (e la responsabilità del giurista
verso gli uomini e la società è davvero grande), chi crede in queste cose non trove-
rà probabilmente inutile questo esperimento didattico.
L’antologia, affidata alla dott. Francesca Scotti, riassume il contenuto e il meto-
do delle esercitazioni integrative del corso di Istituzioni di diritto romano, che,
come già detto, la dottoressa ha tenuto quest’anno: metodo e contenuto calati nella
traduzione italiana e nelle note di commento. Chi ha esperienza di traduzione dalle
lingue antiche ne conosce le difficoltà, che aumentano notevolmente quando si ha
a che fare con testi giuridici e, ancor più, con quelli dei giuristi romani. Ogni tra-
duzione presuppone un procedimento analitico, spesso faticoso e complesso, volto
ad interpretare il testo, nell’intento di comprenderne il significato profondo: la tra-
duzione comincia da qui; si tratta infatti di riprodurre il pensiero del giurista anti-
co espresso in una lingua, come quella latina, che dal punto di vista sintattico e
semantico e per la sua peculiarità tecnica è lontana dalla nostra di una ventina di
secoli. Questo spiega certe libertà di traduzione, ad es. nella resa dei tempi e dei
modi verbali: tempi e modi che nel latino dei giuristi esprimono i piani temporali
del caso concreto, non sempre riproducibili in italiano. La traduzione non dovreb-
be peraltro sostituire l’originale, ma aiutare la lettura dell’originale: per agevolarla
l’autrice ha corredato le traduzioni di note di commento, che hanno lo scopo di
chiarire agli studenti i punti più delicati del testo e di giustificarne le scelte inter-
pretative3.
Giovanni Negri

3 Il sottoscritto ha discusso le traduzioni italiane e le note con l’autrice e si assume la


responsabilità di eventuali errori o imprecisioni.

7
AVVERTENZE

Ogni frammento è preceduto da un numero d’ordine convenzionale (si veda


l’Elenco dei frammenti in fondo al volume) ed è identificato dal libro, dal titolo
e dal numero della sua collocazione nel Digesto giustinianeo, nonché dal nome
del giurista, dal titolo e dal libro dell’opera da cui il fr. è tratto. I testi originali
in latino sono riprodotti dall’edizione del Digesto di Teodoro Mommsen (Corpus
iuris civilis, curato dallo stesso Mommsen e da Paolo Krüger, vol.I, 16a ed.,
Berolini [= Berlino] 1954, e successive ristampe). Ho tenuto conto anche del-
l’edizione curata da P. Bonfante, C. Fadda, C. Ferrini, S. Riccobono e V. Scialo-
ia, Mediolani (= Milano) 1931, ristampata nel 1960. Ho talora cambiato la pun-
teggiatura adottata in queste edizioni4, per renderla conforme all’interpretazio-
ne dei frammenti contenuti nella presente Antologia: le note di commento alle
traduzioni giustificano le interpretazioni prescelte.
I numeri in neretto, che suddividono i frammenti più lunghi, indicano i para-
grafi: questa suddivisione risale ai giuristi medievali. La parte iniziale dei fram-
menti divisi in paragrafi non è numerata e si indica con il termine principium
(= principio, abbreviato pr.). I numeri in alto a destra, in corpo piccolo, inter-
calati nel testo italiano e, talvolta, in quello latino richiamano le note di com-
mento.
Alcuni termini o frasi dell’originale, per il loro valore tecnico, cui non corri-
sponde un equivalente italiano (ad es., in iure cessio, legato per damnationem,
azioni in factum, etc.), o per il loro significato pregnante, che non si potrebbe
rendere in italiano senza alterarlo o impoverirlo (ad es. dignitas, publica utili-
tas, fides, etc.), non sono tradotte e sono scritte in corsivo.
Le parole, frasi o lettere dell’alfabeto, racchiuse fra parentesi uncinate (< >)
nel testo latino, nella traduzione italiana o nelle note di commento, sono aggiunte
inserite nel testo per chiarirlo meglio, integrazioni di parti del testo di cui è dub-
bia la lettura, o emendazioni di manifesti errori della tradizione manoscritta indi-
cate nelle edizioni critiche del Digesto.

4 La punteggiatura è introdotta nelle edizioni a stampa, ma non compare nei manoscritti


antichi del Digesto.

9
I rinvii contenuti nelle note di commento ad altri frammenti si riferiscono ai
soli frammenti riportati nell’Antologia, salvo poche eccezioni: un elenco più
completo di riferimenti e di rinvii si trova nell’Indice degli argomenti. Si fa talo-
ra richiamo ai passi delle Istituzioni di Gaio e delle Istituzioni di Giustiniano,
anche se questi non sono in genere trascritti e tradotti in nota.
Nelle note non è indicata la bibliografia. Si fa eccezione per le opere seguen-
ti: O. LENEL, Palingenesia iuris civilis, voll.2, Lipsiae (= Lipsia) 1889 (rist.
Roma 2000); L. MAGANZANI, Fonti e strumenti di ricerca. Metodo di consultazio-
ne per lo studio del diritto romano, ad uso degli studenti, Como 1992; L. MAGAN-
ZANI, Formazione e vicende di un’opera illustre. Il Corpus Iuris nella cultura del
giurista europeo, Torino 2002; D. MANTOVANI, Le formule del processo privato. Per
la didattica delle Istituzioni di diritto romano, Padova 1999 (rist. 2003); G.
NEGRI (a cura di), Il Digesto giustinianeo. Passi scelti, tradotti e annotati ad uso
degli studenti, Como 1995 (da questo libro sono tratte, con mutamenti, alcune
traduzioni, nonché gli esempi di formule processuali); G. NEGRI, Esempio di
interpretazione del legato nel diritto romano e nella giurisprudenza dei tribunali
italiani moderni, in Nozione, formazione e interpretazione del diritto dall’età
romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al prof. F. Gallo, vol.III,
Napoli 1997, p. 605 ss. Si citano inoltre, su alcuni punti, i manuali istituziona-
li più spesso indicati nell’Università Cattolica agli studenti del corso di Istitu-
zioni: V. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano, 14a ed., Jovene, Napoli
1994; B. BIONDI, Istituzioni di diritto romano, 4a ed., Giuffré, Milano 1972, non-
ché M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, ed. Giuffré, Milano 1990. Gli
studenti interessati potranno consultare questi manuali, data la loro diffusione,
senza difficoltà5.
Francesca Scotti

5 Un’utile opera di consultazione è il Dizionario giuridico romano, 3a ed., di Autori Vari, con
introduzione del prof. Antonio Guarino, ed. Simone, Napoli 2000, che consente di informarsi
rapidamente e con precisione sui più importanti istituti del diritto romano privato e pubblico.

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ABBREVIAZIONI

ad es. = ad esempio del paragrafo (o del pr.)


art. = articolo loc. cit. = luogo citato di un’opera
c.c. = Codice civile loc. ult. cit. = luogo di un’opera
c.d. = cosiddetto/a/i/e ultimamente citato
cfr. = confronta nr. = numero
cit. = citato/a nt. = nota
D. = Digesto di Giustiniano p.= pagina
D. eod. = Digesto eodem titulo = pp. = pagine
Digesto, nel medesimo titolo pr. = principio
ed. = edizione RDR = Rivista di Diritto Romano
etc. = eccetera rist. = ristampa
fr. = frammento s. = seguente
Gai. = Istituzioni di Gaio, con ss. = seguenti
indicazione del libro e del v. = vedi
paragrafo
Inst. = Istituzioni di Giustiniano, con
indicazione del libro, del titolo e

SIMBOLI

§ = paragrafo
§§ = paragrafi
<...> = parentesi uncinate

11
TESTI TRADOTTI E ANNOTATI

1. D.2.141.7 pr. e 1 Ulpiano, quarto libro del commentario all’editto2

Iuris gentium conventiones quaedam Certi accordi del ius gentium generano
actiones pariunt, quaedam exceptiones. azioni, altri eccezioni. 1. Quelli che
1. Quae pariunt actiones, in suo generano azioni non si qualificano con
nomine non stant, sed transeunt in un proprio nome, ma acquistano il
proprium nomen contractus: ut emptio nome specifico di un contratto3, come
venditio, locatio conductio, societas, la compravendita, la locazione condu-
commodatum, depositum et ceteri zione, la società, il comodato, il depo-
similes contractus. sito ed altri ancora.

1 Rubrica del titolo: De pactis (= Dei patti).


2 Il commentario all’editto del pretore è un genere letterario diffuso nella giurisprudenza
classica.
3 Sono patti che cadono sulla causa tipica di un contratto e quindi si identificano con esso.

13
2. D.3.54.20(21) pr. Paolo, nono libro del commentario all’editto

Nam et Servius respondit, ut est Com’è riferito nel trentanovesimo libro


relatum apud Alfenum libro trigensimo dei digesti di Alfeno, anche Servio
nono digestorum: cum a Lusitanis tres rispose: tre uomini erano stati cattura-
capti essent et unus ea condicione ti dai Lusitani5 e uno fu lasciato anda-
missus, uti pecuniam pro tribus re a patto6 che portasse la somma del
adferret, et nisi redisset, ut duo pro eo riscatto per tutti e tre e che, se non
quoque pecuniam darent, isque reverti fosse tornato7, gli altri due pagassero
noluisset et ob hanc causam illi pro anche per lui; lui si era rifiutato di tor-
tertio quoque pecuniam solvissent: nare: per questa ragione quelli aveva-
Servius respondit aequum esse no pagato la somma anche per il
praetorem in eum reddere iudicium. terzo8; Servio rispose che era equo9
che il pretore desse un’azione10 contro
costui11.

4 Rubrica del titolo: De negotiis gestis (= Della gestione di affari).


5 Abitanti della Lusitania, regione della Spagna occidentale.
6 Il termine condicio non allude alla condizione come elemento accidentale del contratto,
bensì ad un accordo fra Lusitani e i tre cittadini romani.
7 I Lusitani sanno che vi è il rischio che il prigioniero, una volta rimesso in libertà, non fac-
cia ritorno.
8 Che si era rifiutato di tornare.
9 Aequitas, contrapposta allo strictum ius civile.
10 In factum: “il prigioniero tornato in patria è libero. La somma è stata sborsata dagli altri
due nel proprio interesse, non in quello del terzo: non si tratta dunque di negotiorum gestio. Ser-
vio ritiene tuttavia opportuno che il pretore dia un’azione in factum in via di equità per il recu-
pero della somma sborsata per il terzo. Paolo e Giustiniano intenderanno <invece> questa azio-
ne come actio negotiorum gestorum contraria utile” (Cfr. L. MAGANZANI, Formazione e vicende di
un’opera illustre. Il Corpus Iuris nella cultura del giurista europeo, Torino 2002, p. 311, nt.2).
Cfr. la rubrica del tit.5, libro III del Digesto, in cui è collocato questo fr.: De negotiis gestis =
Della gestione d’affari. Nel IX libro dei suoi digesta, da cui il fr. è tratto, Paolo si occupa di
gestione d’affari: cfr. O. LENEL, Palingenesia iuris civilis, vol. I, Lipsiae 1889 (rist. Roma 2000)
col.981.
11 Cioè contro il terzo che non è tornato.

14
3. D.6.112.5 pr. e 1 Ulpiano, sedicesimo libro del commentario all’editto

Idem Pomponius scribit: si frumentum Lo stesso Pomponio scrive13: se il fru-


duorum non voluntate eorum confusum mento di due persone è stato confuso
sit, competit singulis in rem actio in id, in un’unica massa indipendentemente
in quantum paret in illo acervo suum dalla loro volontà14, compete a ciascu-
cuiusque esse; quod si voluntate eorum no dei due un’azione in rem per la
commixta sunt, tunc communicata parte della massa “che sembra essere
videbuntur et erit communi dividundo sua”15; se invece le cose sono state
actio. 1. Idem scribit, si ex melle meo, mescolate per volontà di costoro16, si
vino tuo factum sit mulsum, quosdam considereranno allora messe in comu-
existimasse id quoque communicari: ne17, e vi sarà l’azione communi divi-
sed puto verius, ut et ipse significat, dundo18. 1. Lo stesso19 scrive: se dal
eius potius esse qui fecit, quoniam mio miele e dal tuo vino è stato fatto
suam speciem pristinam non continet. del mulsum, taluni20 hanno ritenuto
Sed si plumbum cum argento mixtum che anche questo cada in comunio-
sit, quia deduci possit, nec ne21: ma io credo più vero, come

12 Rubrica del titolo: De rei vindicatione (= Dell’azione di rivendica).


13 Ulpiano ha già riportato l’opinione di Pomponio in questo libro del commentario all’edit-
to: cfr. LENEL, Palingenesia cit., vol. II, coll. 508-509.
14 Ad es., ciascuno dei due proprietari ha scaricato nel magazzino il proprio frumento sepa-
ratamente da quello dell’altro; in seguito, il magazziniere ha mescolato le due quantità di fru-
mento in un unico mucchio.
15 Ulpiano cita l’intentio dell’azione di rivendica: “Se sembra al giudice che dieci quintali
di frumento, di cui è causa, siano di Aulo Agerio ex iure Quiritium”.
16 Cioè dei proprietari.
17 Perché la confusione è stata voluta da entrambi i proprietari.
18 Il quantitativo di ciascuno si può ottenere con l’adiudicatio nell’azione di divisione della
massa comune.
19 Pomponio.
20 Giuristi.
21 “Chiunque abbia effettuato la mescolanza, gli elementi che compongono il tutto non posso-
no più essere isolati, come invece avviene nel caso del frumento, ove l’individuazione <della
quantità appartenente> a ciascuno è naturalisticamente possibile” (G. NEGRI (a cura di), Il Dige-
sto giustinianeo. Passi scelti, tradotti e annotati ad uso degli studenti, Como 1995, p. 11, nt. 5).

15
3. D.6.1.5 pr. e 1 Ulpiano, sedicesimo libro del commentario all’editto

communicabitur nec communi anch’egli22 fa intendere, che sia piut-


dividundo agetur, quia separari potest: tosto di chi l’ha fatto, perché non si
agetur autem in rem actio. Sed si identifica con le species originarie che
deduci, inquit, non possit, ut puta si aes lo compongono23. Se però del piombo è
et aurum mixtum fuerit, pro parte esse stato mescolato con dell’argento, dato
vindicandum: nec quaquam erit che si può distinguere24, non cadrà in
dicendum, quod in mulso dictum est, comunione, né si agirà con l’azione
quia utraque materia etsi confusa communi dividundo perché si può
manet tamen. separare, ma si potrà agire con l’actio
in rem. Tuttavia, aggiunge25, se non si
può separare, come ad esempio se si
sono mescolati del rame e dell’oro, si
dovrà rivendicare pro parte: né si
dovrà dire quanto è stato detto a pro-
posito del mulsum, perché ciascuna
delle due materie, benché confusa con
l’altra, tuttavia conserva la propria
natura26.

22 Pomponio.
23 “In modo da poterle isolare come erano prima della mescolanza. Ulpiano attribuisce
all’impossibilità di isolare le componenti un significato diverso da quello datogli dai quidam
(taluni giuristi) richiamati da Pomponio: egli ritiene cioè che il tutto appartenga a chi ha fatto
il mulsum, sia egli il proprietario del miele, sia egli il proprietario del vino” (NEGRI (a cura di),
Digesto cit., p. 11, nt.8).
24 Cioè è possibile separare i due metalli che lo compongono.
25 Sottinteso Pomponio.
26 Mantiene, cioè, la propria identità fisica.

16
4. D.6.1.38 Celso, terzo libro dei digesti

In fundo alieno, quem imprudens Hai costruito o seminato in un fondo


emeras, aedificasti aut conseruisti, altrui, che avevi comprato incauta-
deinde evincitur: bonus iudex varie ex mente27; poi il fondo viene evitto28: un
personis causisque constituet. Finge et buon giudice deciderà diversamente
dominum eadem facturum fuisse: secondo le persone e le circostanze29.
reddat impensam, ut fundum recipiat, Supponi che le stesse cose30 le avreb-
usque eo dumtaxat, quo pretiosior be fatte anche il proprietario31: per
factus est, et si plus pretio fundi riavere il fondo egli rimborsi le
accessit, solum quod impensum est. spese32, nei limiti però in cui il fondo
Finge pauperem, qui, si reddere id è stato migliorato33; e, se il migliora-
mento aumenta il valore del fondo34, si
rimborsi soltanto ciò che è stato effet-
tivamente speso35. Supponi che egli36

27 Cioè senza verificare se il venditore fosse o meno proprietario del fondo, ad es. fidandoti
della sua parola. L’acquisto è stato a non domino, cioè da un non proprietario.
28 Cioè il convenuto soccombe nel giudizio di rivendica intentato contro di lui da chi si vanta
proprietario del fondo. Fino alla litis contestatio il convenuto si considera possessore di buona
fede.
29 La soluzione dipende dalle modalità del caso.
30 Che hai fatto tu: cioè costruire o seminare sul fondo.
31 Supponi cioè che anche il proprietario avrebbe costruito o seminato sul fondo, se solo lo
avesse posseduto, nel qual caso, l’operato del possessore di buona fede avvantaggerebbe il pro-
prietario.
32 Il giudice non inviterà il convenuto a restituire, se l’attore non gli avrà previamente rim-
borsato le spese per le costruzioni o la semina, il che, nel diritto classico, è ammesso soltanto a
favore del possessore di buona fede.
33 Nei limiti, cioè, delle spese utili.
34 Se, ad es., il fondo vale 100 e con le migliorie 120.
35 Cioè, nell’es. della nt. precedente, si deve rimborsare l’ammontare delle sole spese soste-
nute per le migliorie, e non l’eventuale maggior valore ottenuto dal fondo in seguito a queste.
36 Il proprietario del fondo.

17
4. D.6.1.38 Celso, terzo libro dei digesti

cogatur, laribus sepulchris avitis sia povero e, se costretto al rimborso,


carendum habeat: sufficit tibi permitti debba privarsi37 dei lari38 e dei sepol-
tollere ex his rebus quae possis, dum ita cri aviti39: basta che ti sia permesso di
ne deterior sit fundus, quam si initio togliere da queste cose40 ciò che puoi
non foret aedificatum. Constituimus togliere, purché il fondo non diventi
vero, ut, si paratus est dominus tantum peggiore di come sarebbe stato all’ini-
dare, quantum habiturus est possessor zio41, se non si fosse costruito. Deci-
his rebus ablatis, fiat ei potestas: neque diamo42 però che, se il proprietario è
malitiis indulgendum est, si tectorium disposto a dare l’equivalente di quan-
puta, quod induxeris, picturasque to il possessore potrebbe ricavare
corradere velis, nihil laturus nisi ut asportando queste cose, gli si lasci la
facoltà di farlo43: non si deve infatti
indulgere ad atteggiamenti maliziosi,
come, per esempio, se tu voglia
raschiare l’intonaco che hai steso o le

37 Ad es., per venderli allo scopo di procurarsi il denaro per il rimborso delle spese di
miglioria.
38 Divinità domestiche che proteggono la vita e le attività della casa.
39 Degli ascendenti e degli antenati.
40 Da ciò che hai costruito sul fondo.
41 Il ius tollendi è consentito, purché il suo esercizio non rechi danno al fondo, peggioran-
done le condizioni. Si tratta di un’eccezione alla regola delle XII tavole, che vieta la separazio-
ne dei materiali di costruzione dal suolo: tignum iunctum aedibus vineave et concapit ne solvito
(divieto del “distacco delle travi dagli edifici e dei pali dalla vigna. Successivamente mediante
interpretazione estensiva sotto la denominazione di tignum si inte<nde> qualsiasi materiale
da costruzione. La legge non riguarda[...] direttamente la questione dei materiali altrui, ma
<ha> portata generale, cioè vieta[...] il distacco, anche allo stesso dominus del suolo, per esi-
genze edilizie o agricole”, così B. BIONDI, Istituzioni di diritto romano, Milano 1972, p. 245).
42 Sottinteso Ulpiano. Plurale maiestatis.
43 Per evitare il rischio di danneggiare il fondo.

18
4. D.6.1.38 Celso, terzo libro dei digesti

officias. Finge eam personam esse pitture, per nessun altro motivo che
domini, quae receptum fundum mox quello di nuocere al proprietario44.
venditura sit: nisi reddit, quantum Supponi che il proprietario sia uno
prima parte reddi oportere diximus, eo che, appena ricevuto il fondo, lo met-
deducto tu condemnandus es. terà subito in vendita: se non rimborsa
quanto all’inizio abbiamo detto che
deve essere rimborsato, tu sarai con-
dannato, dedotto questo ammontare45.

44 Il ius tollendi non deve essere esercitato a scopo emulativo.


45 Corrispondente all’ammontare delle spese utili.

19
5. D.6.1.57 Alfeno, sesto libro dei digesti46

Is a quo fundus petitus erat ab alio Colui, al quale era stato chiesto un
eiusdem fundi nomine conventus est. fondo con l’azione petitoria47, venne
Quaerebatur, si alterutri eorum iussu convenuto da un altro per lo stesso
iudicis fundum restituisset et postea fondo48. Si chiedeva: se, per ordine del
secundum alterum petitorem res giudice, avesse restituito il fondo ad
iudicaretur, quemadmodum non duplex uno dei due e successivamente la
damnum traheret. Respondi, uter prior causa fosse stata giudicata in senso
iudex iudicaret, eum oportere ita favorevole all’altro rivendicante, come
fundum petitori restitui iubere, ut potesse evitare di subire un doppio
danno49. Risposi50: il giudice che giu-
dica per primo deve ordinare di resti-
tuire il fondo al rivendicante, previo
impegno di costui di prestare al pos-

46 I digesta di Alfeno raccolgono, in gran parte, soluzioni di Servio su questioni postegli dai
suoi auditores o dello stesso Alfeno.
47 Cioè con l’azione di rivendica.
48 Tizio, possessore di un fondo, è stato convenuto da Caio e Sempronio con due distinte
azioni di rivendica, che pendono davanti a giudici diversi.
49 “Se Tizio, possessore soccombente nel processo di rivendica intentato da Caio, restitui-
sce il fondo a Caio per evitare la condanna pecuniaria; e poi anche il giudice della causa inten-
tata da Sempronio riconosce la proprietà di quest’ultimo: Tizio non potrà restituire il fondo
anche a lui avendolo già restituito a Caio, e dovrà quindi subire la condanna pecuniaria a favo-
re di Sempronio” (NEGRI (a cura di), Digesto cit., p. 13, nt.2).
50 Alfeno.

20
5. D.6.1.57 Alfeno, sesto libro dei digesti

possessori caveret vel satisdaret, si alter sessore cautio o satisdatio di indenniz-


fundum evicisset, eum praestare. zarlo qualora l’altro avesse evitto il
fondo51.

51 Il giudice che giudica per primo dovrà ordinare al convenuto (Tizio) di restituire il fondo
all’attore (Caio), purché quest’ultimo prima della restituzione si impegni con una stipulatio ad
indennizzare il convenuto nel caso in cui questi risulti soccombente anche nel secondo proces-
so e debba pagare la summa condemnationis a Sempronio. Ratio decidendi: se entrambi i riven-
dicanti vengono dichiarati proprietari del medesimo fondo da giudici diversi, ciò non deve pre-
giudicare il possessore del fondo, il quale, se consegna il bene al rivendicante che viene dichia-
rato proprietario per primo, è iniquo che debba poi pagare la summa condemnationis all’altro,
qualora anche quest’ultimo sia dichiarato proprietario. Il primo vincitore della causa, pertanto,
deve impegnarsi a rimborsare la litis aestimatio che eventualmente il convenuto sia condanna-
to a pagare nell’altro giudizio di rivendica.

21
6. D.6.1.58 Alfeno, terzo libro dei digesti epitomati da Paolo

A quo servus petebatur et eiusdem servi Colui, dal quale si pretendeva uno
nomine cum eo furti agebatur, schiavo con l’azione petitoria52 e con-
quaerebat, si utroque iudicio tro cui si agiva per un furto commesso
condemnatus esset, quid se facere dal medesimo schiavo53, chiedeva che
oporteret. Si prius servus ab eo evictus cosa avrebbe dovuto fare se fosse stato
esset, respondit, non oportere iudicem condannato in uno dei due processi54.
cogere, ut eum traderet, nisi ei Rispose55 che, se vi è stata prima l’evi-
satisdatum esset, quod pro eo homine zione dello schiavo56, il giudice57 non
iudicium accepisset, si quid ob eam rem deve costringere il possessore58 a con-
datum esset, id recte praestari; sed si segnarlo59 se non gli venga data sati-
prius de furto iudicium factum esset et sdatio60 che, se avrà61 accettato il
iudicium di furto62 relativo allo schia-
vo, gli sarà risarcito63 ciò che egli64

52 Cioè con l’azione di rivendica.


53 Tizio, possessore di uno schiavo, viene convenuto con l’azione di rivendica da Caio e con
l’azione di furto nossale da Sempronio, che afferma di essere stato derubato dal medesimo schia-
vo.
54 Sia l’azione di rivendica, sia quella di furto prevedono, nella rispettiva formula, l’alterna-
tiva fra la consegna dello schiavo e il pagamento della summa condemnationis: per evitare la
condanna nei confronti di Caio il possessore dello schiavo deve restituire lo schiavo all’attore;
per evitarla nei confronti di Sempronio deve darlo a nossa a quest’ultimo: in ambedue i casi egli
rischia di subire la condanna pecuniaria nell’altro processo.
55 Servio.
56 Se il processo di rivendica si è concluso prima del processo di furto con il riconoscimen-
to della proprietà dello schiavo in capo a Caio.
57 Del giudizio di rivendica.
58 Convenuto.
59 In base alla clausola restitutoria.
60 Stipulatio con intervento di garanti.
61 Sottinteso il possessore dello schiavo.
62 Cioè avrà assunto la defensio dello schiavo addivenendo alla litis contestatio.
63 Dall’attore del giudizio di rivendica.
64 Il possessore dello schiavo.

22
6. D.6.1.58 Alfeno, terzo libro dei digesti epitomati da Paolo

hominem noxae dedisset, deinde de avrà dovuto dare a questo titolo65. Ma


ipso homine secundum petitorem se si è concluso per primo il processo
iudicium factum esset, non debere ob di furto ed egli66 ha dato lo schiavo a
eam rem iudicem, quod hominem non nossa67, e poi il processo68 relativo al
traderet, litem aestimare, quoniam medesimo schiavo si è concluso a
nihil eius culpa neque dolo contigisset, favore dell’attore, il giudice69 non
quo minus hominem traderet. dovrà procedere alla litis aestimatio70
per il fatto che egli71 non abbia conse-
gnato lo schiavo, perché la mancata
consegna non dipende né da colpa né
da dolo di lui72.

65 Cioè, la pena pecuniaria al cui pagamento sarà stato condannato: il giudice della riven-
dica inviterà Tizio a restituire lo schiavo a Caio, soltanto se Caio gli presterà satisdatio di inden-
nizzarlo se, contestata la lite nel processo di furto, egli soccombe in questo processo. Ratio deci-
dendi: dal momento che proprietario dello schiavo è Caio e non Tizio, è iniquo che Tizio, dopo
aver consegnato lo schiavo a Caio, debba anche subire la pena pecuniaria nel processo di furto.
66 Il possessore dello schiavo.
67 Per evitare la condanna.
68 Di rivendica.
69 Del giudizio di rivendica.
70 Valutazione economica dello schiavo e del danno subito dal proprietario.
71 Il possessore convenuto.
72 Il convenuto nel processo di rivendica non consegna lo schiavo perché l’ha già dato a
nossa nel corso del processo di furto esercitando con ciò il diritto di darlo a nossa: la mancata
restituzione nel processo di rivendica non può pertanto essere considerata dolosa.

23
7. D.8.173.9 Celso, quinto libro dei digesti

Si cui simplicius via per fundum Se a qualcuno è ceduta74 o lasciata75 la


cuiuspiam cedatur vel relinquatur, in via76 attraverso un fondo senza deter-
infinito, videlicet per quamlibet eius minazione77, sarà lecito esercitare
partem, ire agere licebit, civiliter modo: l’iter78 e l’actus79 ovunque, vale a dire
nam quaedam in sermone tacite in qualsiasi parte di esso, purché lo si
excipiuntur. Non enim per villam ipsam faccia civiliter modo80: in ogni dichia-
nec per medias vineas ire agere razione talune cose si intendono infat-
sinendus est, cum id aeque commode ti tacitamente escluse81, per cui non ci
per alteram partem facere possit minore si deve permettere di esercitare l’iter e
servientis fundi detrimento. Verum l’actus82 attraverso la casa colonica o
constitit, ut qua primum viam in mezzo ai vigneti83, quando si può
farlo da un’altra parte con altrettanta
comodità e minor danno per il fondo

73 Rubrica del titolo: De servitutibus (= Delle servitù).


74 Mediante in iure cessio.
75 Mortis causa, mediante legato.
76 È la servitù di passaggio di contenuto più ampio, che permette di passare con qualunque
mezzo di trasporto.
77 Cioè senza indicare modalità e luogo di esercizio.
78 Servitù di passaggio a piedi o a cavallo.
79 Servitù di passaggio con animali e carri.
80 “Espressione pregnante che allude alle modalità e ai limiti di esercizio della servitù,
come usa fra persone civili e buoni cittadini (NEGRI (a cura di), Digesto cit., p. 15, nt.5) e “nel
modo meno gravoso per il fondo servente (BIONDI, Istituzioni cit., p. 304). Cfr. art.1067 c.c.
81 Cioè è inutile stabilire espressamente che non ci si deve comportare non civiliter modo.
82 Entrambi compresi nella via: cfr. l’inizio del fr.
83 Esempi di esercizio “incivile” del diritto di servitù.

24
7. D.8.1.9 Celso, quinto libro dei digesti

direxisset, ea demum ire agere deberet servente84. È regola certa, invero, che
nec amplius mutandae eius potestatem egli85 debba esercitare l’iter e l’actus
haberet: sicuti Sabino quoque soltanto nel luogo in cui la prima volta
videbatur, qui argumento rivi utebatur, ha tracciato la via e che non abbia più
quem primo qualibet ducere licuisset, il potere di cambiarlo86: così riteneva
posteaquam ductus esset, transferre non anche Sabino, il quale si serviva del-
liceret: quod et in via servandum esse l’argomento del canale, che, se all’ini-
verum est. zio era lecito far passare dovunque,
dopo che è stato fatto passare non è
più lecito trasferirlo altrove87: ed è
vero che ciò si deve osservare anche
nel caso della via.

84 Esercizio “civile” della servitù.


85 Il titolare della via, al quale è stata ceduta o lasciata mortis causa senza alcuna determi-
nazione.
86 Perché il cambiamento sarebbe arbitrario e aggraverebbe la servitù a svantaggio del fondo
servente.
87 Anche in questo caso il cambiamento sarebbe arbitrario e recherebbe disagio al fondo
servente.

25
8. D.8.588.8.5-7 Ulpiano, diciassettesimo libro del commentario all’editto

5. Aristo Cerellio Vitali respondit non 5. Aristone rispose89 a Cerellio Vitale


putare se ex taberna casiaria fumum in di non ritenere che si possa immettere
superiora aedificia iure immitti posse, iure90 il fumo da un caseificio negli
nisi ei rei servitutem talem admittit. edifici superiori, se egli91 non concede
Idemque ait: et ex superiore in inferiora una tale servitù a vantaggio di que-
non aquam, non quid aliud immitti sto92. E lo stesso93 dice che non è nep-
licet: in suo enim alii hactenus facere pure lecito immettere acqua o qualun-
licet, quatenus nihil in alienum que altra cosa nei fondi inferiori94: è
immittat, fumi autem sicut aquae esse infatti lecito a ciascuno fare ciò che
immissionem: posse igitur superiorem vuole nel proprio, ma senza immettere
cum inferiore agere ius illi non esse id alcunché nell’altrui95; e che si può
ita facere. Alfenum denique scribere ait avere immissione tanto di fumo quan-
posse ita agi ius illi non esse in suo to di acqua96: il proprietario superiore
lapidem caedere, ut in meum fundum può quindi agire contro quello inferio-
fragmenta cadant. Dicit igitur Aristo re, sostenendo che “a quello non spet-
eum, qui tabernam casiariam a ta il diritto di fare ciò”97. Egli98 dice

88 Rubrica del titolo: Si servitus vindicetur vel ad alium pertinere negetur (= Se si rivendi-
chi la servitù o si neghi che un altro ne sia titolare).
89 Responsum di Aristone su un caso sottopostogli da Cerellio Vitale.
90 Conformemente al diritto.
91 Cerellio Vitale, proprietario degli edifici superiori.
92 Cioè del caseificio. Cerellio Vitale, proprietario di appartamenti ai piani superiori, subi-
sce le esalazioni di fumo provenienti dal caseificio dei piani inferiori: chiede quindi ad Aristo-
ne se il proprietario del caseificio abbia il diritto di emettere tali esalazioni. Aristone gli rispon-
de che è necessaria la costituzione di un diritto di servitù a vantaggio del caseificio, perché que-
st’ultimo possa continuare ad immettere il fumo.
93 Aristone.
94 Come non si può immettere fumo dai piani inferiori a quelli superiori di un edificio senza
che vi sia un diritto di servitù che lo consenta, così non si può immettere acqua o qualunque
altra cosa dal fondo superiore in quello inferiore senza un diritto di servitù.
95 La libertà dell’esercizio del diritto trova un limite nel diritto altrui.
96 Sul piano del diritto, anche quella di acqua è immissione.
97 Sottinteso “se sembra al giudice che”: intentio della formula dell’actio negatoria.
98 Aristone.

26
8. D.8.5.8.5-7 Ulpiano, diciassettesimo libro del commentario all’editto

Minturnensibus conduxit, a superiore inoltre che Alfeno scrive che si può


prohiberi posse fumum immittere, sed agire sostenendo che “a quello non
Minturnenses ei ex conducto teneri: spetta il diritto di tagliare pietre nel
agique sic posse dicit cum eo, qui eum proprio fondo facendone cadere i fram-
fumum immittat, ius ei non esse fumum menti nel mio”99. Dice pertanto Ari-
immittere. Ergo per contrarium agi stone che a colui che ha preso in affit-
poterit ius esse fumum immittere: quod to100 un caseificio dai Minturnesi101
et ipsum videtur Aristo probare. Sed et può essere proibita102 dal proprietario
interdictum uti possidetis poterit locum superiore l’immissione di fumo, ma
habere, si quis prohibeatur, qualiter che i Minturnesi sono tenuti nei
suoi103 confronti ex conducto104; e
aggiunge105 che si può agire così
anche contro chi immette fumo: che
“non gli spetta il diritto di immettere
fumo”106. Dunque, al contrario, si
potrà agire sostenendo che “spetta il
diritto di immettere fumo”107: conclu-
sione, anche questa, che Aristone
sembra approvare. Ma se a qualcuno si

99 Cfr. nt. 97.


100 Conductor (di cosa).
101 Nella persona del magistrato municipale.
102 Mancando un diritto di servitù.
103 Del conduttore.
104 Come convenuti, in persona del magistrato competente, nel giudizio ex conducto inten-
tato contro di loro dal conduttore per l’impossibilità di gestire il caseificio a causa del divieto di
immissione di fumo impostogli dal proprietario dei piani superiori.
105 Aristone.
106 Sottinteso “se sembra al giudice che”: intentio della formula dell’actio negatoria che il
proprietario degli appartamenti superiori può esperire contro l’autore dell’immissione di fumo,
se non è stata costituita una servitù che obblighi il primo a tollerare le immissioni di fumo del
secondo.
107 Sottinteso “se sembra al giudice che”: intentio della formula dell’azione confessoria servi-
tutis, esperibile contro il proprietario degli appartamenti superiori, per far valere la servitù di
immettere fumo contro il proprietario degli appartamenti serventi che non ne consente l’esercizio.

27
8. D.8.5.8.5-7 Ulpiano, diciassettesimo libro del commentario all’editto

velit, suo uti. 6. Apud Pomponium impedisce di esercitare il proprio dirit-


dubitatur libro quadragensimo primo to come vuole, questi potrà avere anche
lectionum, an quis possit ita agere l’interdetto uti possidetis108. 6. Presso
licere fumum non gravem, puta ex foco, Pomponio, nel quarantunesimo libro
in suo facere aut non licere. Et ait delle lectiones109, si dubita se taluno
magis non posse agi, sicut agi non possa agire sostenendo che gli “sia
potest ius esse in suo ignem facere aut lecito fare nel proprio fondo un fumo
sedere aut lavare. 7. Idem in diversum poco intenso”110, come ad esempio
probat: nam et in balineis, inquit, quello del focolare domestico, o se non
vaporibus cum Quintilla cuniculum gli sia lecito111: e dice che è preferibile
pergentem in Ursi Iuli instruxisset, che non si possa agire112, così come non
placuit potuisse tales servitutes imponi. si può agire affermando che spetta il
diritto di tenere un focolare, di sedere o
di lavare nel proprio fondo113. 7. La
stessa soluzione egli114 approva in un
caso diverso: egli dice infatti che, aven-
do Quintilla costruito nei suoi bagni a
vapore delle condutture sotterranee che
si immettevano nel fondo di Urso Giu-
lio, si ritenne che servitù di tale conte-
nuto si potessero costituire115.

108 Questo interdetto, che riguarda le case (ma viene poi esteso a qualsiasi fondo) ed è con-
cesso a chi possiede nec vi nec clam nec precario, è retinendae possessionis ed ha lo scopo di pro-
teggere il possessore contro molestie o turbative.
109 Titolo di un’opera di Pomponio.
110 Sottinteso “se sembra al giudice che”: intentio della formula dell’azione confessoria ser-
vitutis.
111 Si può esercitare l’azione confessoria per far valere il diritto di tenere nel proprio fondo
un fumo poco intenso? Ratio dubitandi: tenere un fumo poco intenso rientra nel normale eser-
cizio della proprietà, che il vicino è tenuto a tollerare.
112 Dal momento che fare un fumo poco intenso rientra nel normale esercizio del diritto di
proprietà e non occorre quindi dedurre in una servitù.
113 Tutte attività che rientrano nel normale esercizio del dirito di proprietà.
114 Pomponio.
115 In questo caso l’immissione dei tubi nel fondo altrui non rientra nel normale esercizio
della proprietà, ma costituisce un’invasione del fondo, il cui proprietario non è tenuto a tollera-
re, a meno che Urso Giulio non costituisca a favore di Quintilla un diritto di servitù.

28
9. D.9.1.1116 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto

Si quadrupes pauperiem fecisse dicetur, Se si dirà che un quadrupede ha pro-


actio ex lege duodecim tabularum vocato un danno117, spetta l’azione
descendit: quae lex voluit aut dari id prevista dalla legge delle XII tavole118.
quod nocuit, id est id animal quod Questa legge ha stabilito che venga
noxiam commisit, aut aestimationem consegnato ciò che ha provocato il
noxiae offerre. 1. Noxia autem est danno, cioè l’animale che lo ha cagio-
ipsum delictum. 2. Quae actio ad nato119, oppure che si offra l’aestima-
omnes quadrupedes pertinet. 3. Ait tio120 noxiae121. 1. Con il termine
praetor ‘pauperiem fecisse’. Pauperies noxia s’intende il delitto stesso. 2.
est damnum sine iniuria facientis Quest’azione riguarda tutti i quadru-
datum: nec enim potest animal iniuria pedi122. 3. Il pretore dice123 “paupe-
fecisse, quod sensu caret. 4. Itaque, ut riem fecisse”: pauperies è il danno
Servius scribit, tunc haec actio locum inflitto da chi lo provoca senza iniuria;
habet, cum commota feritate nocuit l’animale, infatti, non può aver agito
quadrupes, puta si equus calcitrosus iniuria, dal momento che è privo di
calce percusserit, aut bos cornu petere coscienza. 4. Pertanto, come scrive
solitus petierit, aut mulae propter Servio, questa azione ha luogo ogni
nimiam ferociam: quod si propter loci volta che un quadrupede reca danno
iniquitatem aut propter culpam con particolare e innaturale124 ferocia,

116 Rubrica del titolo: Si quadrupes pauperiem fecisse dicatur (= Se si dica che un quadru-
pede ha provocato un danno).
117 Pauperies: questa parola è diventata il termine tecnico per indicare il danno provocato
da quadrupedi. Cfr. §3.
118 Ulpiano si riferisce all’editto del pretore, che contiene la formula dell’azione de paupe-
rie in ius introdotta dalle XII tavole.
119 Cioè quod noxiam commisit: cfr. il testo latino. Per il significato di noxia in questo fr. cfr. §1.
120 Valutazione economica.
121 La legge delle XII tavole stabilisce che il padrone del quadrupede può scegliere fra la
noxae deditio dell’animale e il noxiam sarcire (cioè il risarcimento del danno). Sul danno cagio-
nato da animali cfr. art.2052 c.c.
122 Domestici: cfr. §10.
123 Nell’editto.
124 Cfr. §7.

29
9. D.9.1.1 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto

mulionis, aut si plus iusto onerata come, ad esempio, se un cavallo che


quadrupes in aliquem onus everterit, ha il vizio di scalciare ti abbia colpito
haec actio cessabit damnique iniuriae con un calcio, o un toro, che suole
agetur. 5. Sed et si canis, cum prendere a cornate, ti abbia incornato,
duceretur ab aliquo, asperitate sua o delle mule ti abbiano ferito con una
evaserit et alicui damnum dederit: si ferocia anormale125. Se, invece, a
contineri firmius ab alio poterit vel si causa del luogo malagevole o della
per eum locum induci non debuit, haec colpa del mulattiere, o perché caricato
actio cessabit et tenebitur qui canem più del giusto, un quadrupede abbia
tenebat. 6. Sed et si instigatu alterius fatto cadere il carico su qualcuno,
fera damnum dederit, cessabit haec quest’azione verrà meno e si potrà
agire per il danno ingiusto126. 5. Ma
poniamo il caso di un cane che, men-
tre veniva portato in giro127, per
l’asprezza della propria indole sia fug-
gito e abbia danneggiato qualcuno128:
se chi lo portava in giro avrebbe potu-
to trattenerlo più saldamente129 o non
avrebbe dovuto condurlo per il luogo
dove è stato condotto130, questa azio-
ne131 verrà meno e sarà chiamato a
rispondere132 chi teneva il cane. 6. Ma
questa azione133 verrà meno anche nel
caso in cui l’animale abbia provocato

125 Quindi innaturale: cfr. §7.


126 Damnique iniuriae agetur (con l’actio legis Aquiliae): cfr. D.9.2.7.2 Ulp. 18 ad ed. e
D.9.2.52.2 Alf. 2 dig.: risponderà del danno in base alla legge Aquilia chi abbia imprudente-
mente condotto delle mule lungo un percorso inadatto o le abbia caricate eccessivamente.
127 Ad es. al guinzaglio.
128 Ad es. lo abbia morsicato.
129 Chi conduceva l’animale non lo ha cioè trattenuto abbastanza.
130 Ad es. il cane è stato condotto in una locanda, nella quale l’accesso è vietato agli ani-
mali ed ivi il cane ha morsicato un cliente.
131 De pauperie.
132 In base alla legge Aquilia.
133 De pauperie.

30
9. D.9.1.1 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto

actio. 7. Et generaliter haec actio un danno per istigazione altrui, 7. e, in


locum habet, quotiens contra naturam generale, questa ha luogo ogni volta
fera mota pauperiem dedit: ideoque si che un animale, contro la propria
equus dolore concitatus calce petierit, natura134, danneggia qualcuno: perciò,
cessare istam actionem, sed eum, qui se un cavallo, innervosito perché
equum percusserit aut vulneraverit, in punto con un pungolo135, ha sferrato
factum magis quam lege Aquilia teneri, un calcio 136 a qualcuno, questa azio-
utique ideo, quia non ipse suo corpore ne137 viene meno138, ma chi ha colpito
damnum dedit. At si, cum equum il cavallo o lo ha ferito è tenuto con
permulsisset quis vel palpatus esset, un’azione in factum139 più che in base
calce eum percusserit, erit actioni locus. alla legge Aquilia, perché non è stato
8. Et si alia quadrupes aliam lui a cagionare materialmente140 il
concitavit ut damnum daret, eius quae danno; ma se un cavallo ha tirato un
concitavit nomine agendum erit. 9. calcio a chi lo aveva accarezzato e
Sive autem corpore suo pauperiem blandito, l’azione141 avrà luogo. 8.
Anche nel caso in cui un quadrupede
ne abbia stuzzicato un altro e quest’ul-
timo142 abbia causato un danno, si
dovrà agire per il fatto dell’animale
che ha stuzzicato143. 9. D’altro canto,

134 Cfr. §10.


135 Nel manoscritto fiorentino delle Pandette si legge dolore, emendabile in dolone (ablati-
vo di dolon, pungolo infisso su un bastone: cfr. D.9.2.52.1 Alf. 2 dig.).
136 Qualcuno, diverso da chi ha percosso il cavallo.
137 De pauperie.
138 Perché l’animale non ha causato il danno contra naturam: è normale che un cavallo pun-
zecchiato con un pungolo reagisca violentemente.
139 Esperibile da chi è stato danneggiato dall’animale.
140 Manca cioè il rapporto causale diretto: il danno non è stato cagionato corpore corpori dal-
l’uomo, ma dal cavallo.
141 De pauperie contro il proprietario del cavallo, perché il danno è stato provocato dall’ani-
male contra naturam: l’indole mansueta del cavallo esclude di solito che, se accarezzato, reagi-
sca tirando calci.
142 L’animale stuzzicato.
143 Benché il danno sia stato causato dall’animale stuzzicato, l’actio de pauperie spetta con-
tro il proprietario dell’animale che lo ha stuzzicato, il che vale anche nel caso di danno provo-
cato da esseri umani su istigazione di altri: cfr. D.9.2.7.3 Ulp. 18 ad ed.

31
9. D.9.1.1 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto

quadrupes dedit, sive per aliam rem, sia che il quadrupede abbia danneg-
quam tetigit quadrupes, haec actio giato con il proprio corpo, sia che il
locum habebit: ut puta si plaustro bos danno sia stato cagionato da una cosa
obtrivit aliquem vel alia re deiecta. 10 . che il quadrupede ha urtato, questa
In bestiis autem propter naturalem azione144 avrà luogo: come, ad esem-
feritatem haec actio locum non habet: pio, se un bue ha schiacciato qualcuno
et ideo si ursus fugit et sic nocuit, non con il carro145 che stava trainando o
potest quondam dominus conveniri, facendogli cadere addosso qualcos’al-
quia desinit dominus esse, ubi fera tro. 10. Questa azione, invece, non ha
evasit: et ideo et si eum occidi, meum luogo per i danni cagionati dalle bestie
corpus est. 11. Cum arietes vel boves caratterizzate da una naturale fero-
commisissent et alter alterum occidit, cia146: perciò, se un orso è scappato e
Quintus Mucius distinxit, ut si quidem ha recato un danno147, chi ne è stato
is perisset qui adgressus erat, cessaret un tempo il padrone non può essere
actio, si is, qui non provocaverat, convenuto in giudizio, perché quando
competeret actio: quamobrem eum sibi la bestia è fuggita148 ha cessato di
aut noxam sarcire aut in noxam dedere esserne proprietario: e, se io l’ho ucci-
so, è soltanto il suo cadavere che
diventa mio149. 11. Se nel corso di una
lotta fra arieti o fra tori uno ne ha ucci-
so un altro, Quinto Mucio ha fatto que-
sta distinzione: se è morto l’animale
che ha aggredito, l’azione viene
meno150, se invece è perito quello che

144 De pauperie.
145 Cfr. D.9.2.52.2 Alf. 2 dig.
146 Cfr. §7.
147 Durante la fuga.
148 L’orso fuggitivo che non ha l’animus revertendi, cioè non vuol tornare dal padrone, ridi-
venta selvatico e la proprietà su di lui si estingue (cfr. D.41.1.55 Proc. 2 ep.): manca pertanto il
legittimato passivo contro cui esperire l’actio de pauperie. Cfr. §§12 e 17.
149 In quanto proprietario attuale, potrei essere convenuto con l’actio de pauperie (cfr. §12);
tuttavia, poiché l’animale è morto (è il cadavere dell’orso che diventa di proprietà dell’ucciso-
re), contro di lui il danneggiato non ha l’azione de pauperie: cfr. §14.
150 Perché era stato lui il primo ad iniziare la lotta, che è un insieme di movimenti incon-

32
9. D.9.1.1 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto

oportere. 12 . Et cum etiam in non ha provocato l’altro, l’azione151


quadrupedibus noxa caput sequitur, spetta152, per cui “si deve risarcire il
adversus dominum haec actio datur, danno o dare l’animale in nossa”153 al
non cuius fuerit quadrupes, cum padrone. 12. E, dato che anche per i
noceret, sed cuius nunc est. 13 . Plane si quadrupedi vale il principio noxa
ante litem contestatam decesserit caput sequitur154, quest’azione è con-
animal, extincta erit actio. 14. Noxae cessa non contro il proprietario del
autem dedere est animal tradere vivum. quadrupede quando questo ha provo-
Demum si commune plurium sit cato il danno, ma contro il padrone
animal, adversus singulos erit in attuale155. 13. È chiaro che, se l’ani-
solidum noxalis actio, sicuti in homine. male è morto prima della litis contesta-
15. Interdum autem dominus in hoc tio, l’azione verrà meno156, 14. perché
non convenietur, ut noxae dedat, sed dare in nossa significa consegnare
etiam in solidum, ut puta si iure l’animale vivo157. Se l’animale appar-
interrogatus, an sua quadrupes esset, tiene a più persone, l’azione nossale ci
responderit non esse suam: nam si sarà contro ciascuna di esse per l’inte-
ro, come nel caso dello schiavo158; 15.
talora, tuttavia, il proprietario non
viene convenuto perché dia in nossa
l’animale, ma per corrisponderne l’in-
tero valore159, come, ad esempio, nel

sulti. Visto che uno degli animali è morto durante la lotta, è questa la causa che ne ha determi-
nato la morte e l’azione spetterà quindi contro il proprietario dell’animale che ha cominciato a
lottare. Cfr. D.9.2.52.1 Alf. 2 dig.
151 De pauperie.
152 Contro il padrone dell’altro animale, perché l’animale ucciso non era quello che aveva
dato inizio alla lotta.
153 Intentio della formula dell’actio de pauperie. Cfr. D. MANTOVANI, Le formule del processo
privato. Per la didattica delle Istituzioni di diritto romano, Padova 1999 (rist. 2003), p. 62.
154 La responsabilità nossale segue il colpevole, come nel caso di delitto commesso dallo
schiavo.
155 Cioè contro chi è proprietario nel momento in cui si esperisce l’azione: cfr. §§10 e 17.
156 Forse perché scopo principale dell’actio de pauperie è la consegna dell’animale?
157 Cfr. i §§10 e 16.
158 Che appartiene a più persone e ha commesso un delitto: la solidarietà cumulativa nelle azio-
ni penali vale anche se sono nossali. Cfr. V. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano, 14a ed. riv.,
Napoli 1994, pp. 367 e 421; M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano 1990, p. 618.
159 Cfr. nt. 156.

33
9. D.9.1.1 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto

constiterit esse eius in solidum caso in cui egli, interrogato in iure160


condemnabitur. 16 . Si post litem se il quadrupede fosse suo161, rispon-
contestatam ab alio sit animal desse che non lo è162: se risultasse
occisum, quia domino legis Aquiliae infatti che è suo, egli sarebbe condan-
actio competit, ratio in iudicio nato all’intero valore163. 16. Se dopo la
habebitur legis Aquiliae; quia dominus litis contestatio l’animale è stato ucci-
noxae dedendae facultatem amiserit, so da un terzo, poiché164 al proprieta-
ergo ex iudicio proposito litis rio165 spetta l’azione di legge Aqui-
aestimationem offeret, nisi paratus lia166, nel giudizio de pauperie si terrà
conto di questa azione; e poiché167 il
proprietario ha perso la facoltà di com-
piere la noxae deditio168, dopo l’in-

160 L’interrogatio in iure è “un mezzo concesso dal pretore all’attore perché questi po<ssa>
ottenere dal convenuto informazioni, in linea di massima sulla legittimazione passiva, che
ven<gono> praticamente a costituire una – parziale – confessione da parte del convenuto stes-
so. Se quest’ultimo risponde[...] affermativamente alla domanda postagli dall’attore, il fatto
oggetto dell’interrogatio in iure non p<uò> più essere messo in discussione...” (TALAMANCA,
Istituzioni cit., p. 327). Si ha interrogatio in iure ad es. quando “il convenuto con un’azione nos-
sale deve dichiarare se abbia o meno in potestate lo schiavo od il figlio presunti autori del delit-
to per cui si agisce” (TALAMANCA, Istituzioni cit., loc. ult. cit.): così nel caso di danno cagiona-
to da animali.
161 Il contenuto della domanda verte sulla legittimazione passiva: legittimato passivo nel-
l’actio de pauperie, infatti, è il proprietario attuale del quadrupede.
162 Per sottrarsi al processo e dunque all’eventuale condanna.
163 A titolo di risarcimento del danno, senza possibilità di liberarsi dando in nossa l’animale.
164 Quia. Cfr. nt. 167.
165 Dell’animale ucciso.
166 Ex capite primo o capite ex tertio, a seconda che l’animale appartenga o meno alla cate-
goria dei pecudes (cfr. Gai. 3.210 e 217; Inst. 4.3 pr.-1 e 13), contro l’uccisore.
167 Quia. In base alla punteggiatura delle edizioni critiche moderne, nel tratto si post litem
contestatam-amiserit la prima proposizione causale introdotta da quia (quia domino legis Aqui-
liae actio competit) è retta dalla principale ratio in iudicio habebitur legis Aquiliae, la quale tut-
tavia non può essere collegata all’altra causale quia dominus noxae dedendae facultatem amise-
rit (come invece suggerisce la punteggiatura delle edizioni critiche moderne): quest’ultima, al
contrario, è logicamente correlata alla frase successiva ergo ex iudicio proposito litis aestimatio-
nem offerret... La traduzione italiana qui proposta tiene conto di questa osservazione.
168 La noxae deditio, infatti, deve avere per oggetto un animale vivo: cfr. §14.

34
9. D.9.1.1 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto

fuerit actionem mandare adversus eum staurazione del giudizio de pauperie


qui occidit. 17. Hanc actionem nemo egli offrirà la litis aestimatio169, a
dubitaverit heredi dari ceterisque meno che non sia disposto a cedere170
successoribus: item adversus heredes l’azione di legge Aquilia, che ha con-
ceterosque non iure successionis, sed eo tro chi ha ucciso l’animale171. 17. Nes-
iure, quo domini sint, competit. suno dubiterà che quest’azione venga
data all’erede172 e agli altri successo-
ri173: allo stesso modo, essa spetta con-
tro gli eredi174 e gli altri successori175,
non per diritto di successione, ma per
il fatto di essere proprietari176.

169 Cioè l’equivalente pecuniario del danno provocato dall’animale.


170 All’attore del giudizio de pauperie.
171 Se dopo la litis contestatio sulla formula dell’azione de pauperie il quadrupede viene
ucciso da un terzo, il proprietario (convenuto nel processo de pauperie) può agire con l’actio
legis Aquiliae contro l’uccisore e ottenere il pagamento della litis aestimatio, che offrirà nella
fase apud iudicem del giudizio de pauperie all’attore, non potendo compiere la noxae deditio;
oppure può cedere l’azione di legge Aquilia, che ha contro l’uccisore dell’animale, all’attore del
giudizio de pauperie, liberandosi così nei confronti di quest’ultimo. La possibilità di cedere
l’azione (nisi paratus-occidit) è giudicata tuttavia un’aggiunta giustinianea da una parte della
dottrina moderna, ma, a mio avviso, a torto.
Per la quantificazione della litis aestimatio nel giudizio aquiliano, cfr. D.9.2.37.1 Iav. 14 ex
Cass.; D.9.2.21.2 Ulp. 18 ad ed.
172 Del danneggiato (legittimazione attiva).
173 Cfr. nt. precedente: per es. ai fedecommissari universali o ai bonorum possessores.
174 Del padrone dell’animale (legittimazione passiva).
175 Cfr. nt. precedente: per es. contro i fedecommissari universali o i bonorum possessores.
176 L’azione spetta contro gli eredi del proprietario danneggiante, non perché essa sia tra-
smissibile dal lato passivo, ma perché gli eredi sono i proprietari al momento dell’esperimento
dell’azione: noxa caput sequitur. Cfr. §§10 e 12.

35
10. D.9.1.2 Paolo, ventiduesimo libro del commentario all’editto

Haec actio non solum domino, sed Questa azione177 non spetta soltanto al
etiam ei cuius interest competit, veluti proprietario178, ma anche a chi vi
ei cui res commodata est, item fulloni, abbia interesse, come, ad esempio,
quia eo quod tenentur damnum alla persona cui la cosa è stata data in
videntur pati. 1. Si quis aliquem comodato o al lavandaio179, perché il
evitans, magistratum forte, in taberna danno subito da costoro consiste in
proxima se immisisset ibique a cane ciò, che ne rispondono nei confronti
feroce laesus esset, non posse agi canis del proprietario180. 1. Se un tale, sfug-
nomine quidam putant: at si solutus gendo a qualcuno, ad esempio ad un
fuisset, contra. magistrato, si fosse introdotto nella
locanda più vicina e lì fosse stato feri-
to da un cane feroce181, alcuni ritengo-
no che non si possa agire a causa del
cane182; e che, al contrario, si possa,
se il cane era slegato183.

177 De pauperie.
178 Del bene danneggiato dall’animale.
179 Conductor operis.
180 Il comodatario e il conduttore d’opera rispondono nei confronti del dominus se la cosa
viene danneggiata da un quadrupede: ciascuno di loro ha la legittimazione attiva all’esperimen-
to dell’actio de pauperie.
181 Tenuto alla catena: cfr. nt. seguente.
182 Il cane era tenuto alla catena, perciò è presumibile un concorso di colpa del fuggiasco,
che, ad es., si è avvicinato incautamente all’animale: in tal caso l’azione de pauperie non è espe-
ribile.
183 Perché il padrone lo aveva lasciato circolare liberamente nella taberna, pur trattandosi
di una bestia pericolosa.

36
11. D.9.1.3 Gaio, settimo libro del commentario all’editto provinciale

Ex hac lege iam non dubitatur etiam Ormai non si dubita più che in base a
liberarum personarum nomine agi questa legge184 sia possibile agire
posse, forte si patrem familias aut anche a tutela di persone libere, come,
filium familias vulneraverit quadrupes: ad esempio, se un quadrupede abbia
scilicet ut non deformitatis ratio ferito un pater familias o un filius
habeatur, cum liberum corpus familias185, nel qual caso non si deve
aestimationem non recipiat, sed prendere in considerazione186 la
impensarum in curationem factarum et menomazione fisica, perché un corpo
operarum amissarum quasque libero non tollera valutazione, ma
amissurus quis esset inutilis factus. l’ammontare delle spese affrontate per
le cure187, le giornate di lavoro perdu-
te188 e quelle che perderà189 chi è
diventato inabile al lavoro190.

184 Delle XII tavole, nella parte in cui disciplina il danno causato da quadrupedi: Cfr. D.
eod. 1 pr. Ulp. 18 ad ed.
185 Se è stato ferito un pater familias, la perdita si ripecuote su di lui; se è stato ferito un
filius familias, sul pater familias. Cfr. D.9.2.7 pr. Ulp. 22 ad ed.
186 Nella valutazione del danno.
187 C.d. danno emergente.
188 Cfr. nt. precedente.
189 C.d. lucro cessante.
190 Pater o filius.

37
12. D.9.1.4 Paolo, ventiduesimo libro del commentario all’editto

Haec actio utilis competit et si non Questa azione spetta in via utile191, se
quadrupes, sed aliud animal a provocare il danno non sia stato un
pauperiem fecit. quadrupede, ma un altro animale192.

191 Il pretore utilizza cioè l’azione de pauperie adattando la formula al caso di danno causa-
to da animale non quadrupede.
192 Ad es., un bipede: cfr. nt. precedente.

38
13. D.9.1.5 Alfeno, secondo libro dei digesti

Agaso cum in tabernam equum Mentre uno stalliere193 accompagnava


deduceret, mulam equus olfecit, mula un cavallo nella scuderia194, il cavallo
calcem reiecit et crus agasoni fregit: annusò una mula, la mula tirò un cal-
consulebatur, possetne cum domino cio e ruppe una gamba allo stallie-
mulae agi, quod ea pauperiem fecisset. re195: ci si chiedeva196 se questi197
Respondi posse. potesse agire198 contro il proprietario
della mula, dal momento che era stata
lei199 a provocare il danno. Risposi200
che poteva.

193 Agaso ha la stessa radice del verbo ago, cioè chi “conduce” gli animali, in questo caso
in tabernam: cfr. nt. seguente. Il problema su cui verte il frammento è se lo stalliere abbia dirit-
to o meno al risarcimento del danno.
194 Taberna significa propriamente tugurio, capanna, ma anche osteria, locanda (cfr.
D.9.2.52.1 Alf. 2 dig.), albergo: qui, dato il contesto, indica la stalla, la scuderia.
195 Descrizione paratattica (Agaso cum in tabernam equum deduceret/ mulam equus olfecit/
mula calcem reiecit/ et crus agasoni fregit) di un episodio di vita quotidiana.
196 Ci si consultava, nel corso di una discussione avvenuta nella scuola di Servio.
197 Cioè lo stalliere.
198 Con l’actio de pauperie.
199 La frase quod ea pauperiem fecisset allude implicitamente alla possibilità che il danno
sia stato cagionato dallo stesso mulattiere (ad es. per negligenza o imperizia): in tal caso sareb-
be iniquo ritenere responsabile il proprietario della mula. Nel quod ea pauperiem fecisset è rac-
chiusa la ratio decidendi (la motivazione, cioè, su cui si fonda la risposta del giurista): chiamia-
mo a rispondere il proprietario se è stata la mula a provocare il danno. Se da un punto di vista
naturalistico è la mula che ha causato il danno allo stalliere, si chiama a rispondere del danno
il padrone, perché si riservano al proprietario non soltanto i commoda (cioè i vantaggi), ma
anche gli incommoda (cioè gli svantaggi) che derivano dalla proprietà dell’animale. Sull’ea (la
mula) verte l’accento della frase: questo spiega a risposta del giurista, apparentemente non
motivata.
200 Alfeno.

39
14. D.9.2201.7 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto202

Qua actione patrem consecuturum ait, Il pretore dice che il padre conseguirà
quod minus ex operis filii sui propter con questa azione203 l’equivalente di
vitiatum oculum sit habiturus, et quanto non avrà potuto ottenere dal
impendia, quae pro eius curatione lavoro del figlio a causa dell’occhio
fecerit. 1. Occisum autem accipere danneggiato, nonché il rimborso delle
debemus, sive gladio sive etiam fuste spese che avrà affrontato per curar-
vel alio telo vel manibus (si forte lo204. 1. Lo205 dobbiamo considerare
strangulavit eum) vel calce petiit vel ucciso206 se lo ha assalito con una
capite vel qualiter qualiter. 2. Sed si spada o anche con un bastone o con
quis plus iusto oneratus deiecerit onus un’altra arma207, o con le mani (se ad
et servum occiderit, Aquilia locum esempio lo abbia strangolato), o a
habet: fuit enim in ipsius arbitrio ita se calci, o con la testa, o in qualche altro
non onerare. Nam et si lapsus aliquis modo208. 2. Ma se uno, caricatosi più
servum alienum onere presserit, del giusto, abbia rovesciato il carico
Pegasus ait lege Aquilia eum teneri ita ed abbia ucciso uno schiavo così, la
legge Aquilia si applica209: dipendeva,
invero, da lui non caricarsi in quel
modo210; infatti, anche se uno, scivo-
lando, abbia schiacciato uno schiavo

201 Rubrica del titolo: Ad legem Aquiliam (= Sulla legge Aquilia).


202 In questo e nei frammenti successivi del XVIII libro del commentario all’editto, relativi
al nesso di causalità nella lex Aquilia, Ulpiano espone un elenco di casi pratici.
203 Di legge Aquilia.
204 Cfr. D.9.1.3 Gai. 7 ad ed. prov.
205 Cioè lo schiavo altrui.
206 Ai fini dell’esperimento dell’actio legis Aquiliae, capo primo: Ulpiano commenta il ter-
mine occisum della lex Aquilia.
207 In ciascuno di questi casi l’uso di un’arma per uccidere non fa venir meno il requisito
del corpore corpori.
208 Casi in cui non si dubita che vi sia il requisito del corpore corpori.
209 L’aver fatto cadere un peso addosso ad uno schiavo (uccidendolo) non esclude il requi-
sito del corpore corpori.
210 La morte è direttamente imputabile a chi ha rovesciato il peso, perché, se costui non si
fosse caricato più del giusto, non avrebbe fatto cadere il fardello addosso allo schiavo.

40
14. D.9.2.7 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto

demum, si vel plus iusto se oneraverit altrui col carico, Pegaso dice che è
vel neglegentius per lubricum tenuto in base alla legge Aquilia sol-
transierit. 3. Proinde si quis alterius tanto se si sia caricato più del giusto o
impulsu damnum dederit, Proculus se sia passato imprudentemente per un
scribit neque eum qui impulit teneri, luogo scivoloso211. 3. Se dunque talu-
quia non occidit, neque eum qui no ha prodotto il danno per la spinta di
impulsus est, quia damnum iniuria non un altro, Proculo scrive che non è
dedit: secundum quod in factum actio tenuto né chi ha spinto, perché non ha
erit danda in eum qui impulit. 4. Si ucciso212, né chi è stato spinto, perché
quis in colluctatione vel in pancratio, non ha causato il danno con iniuria213:
vel pugiles dum inter se exercentur in seguito a ciò si dovrà dare un’azione
alius alium occiderit, si quidem in in factum214 contro chi ha spinto. 4. Se
publico certamine alius alium nel corso di una lotta o di un pancra-
occiderit, cessat Aquilia, quia gloriae zio215, o mentre dei pugili si esercitano
causa et virtutis, non iniuriae gratia fra di loro, uno uccide l’altro, la legge
videtur damnum datum. Hoc autem in Aquilia non si applica se uno ha ucci-
servo non procedit, quoniam ingenui so l’altro in una pubblica gara, perché
solent certare: in filio familias è da ritenere che il danno sia stato pro-
vulnerato procedit. Plane si cedentem vocato per acquistare gloria e valore,
vulneraverit, erit Aquiliae locus, aut si non per commettere iniuria216. Ma ciò
non in certamine servum occidit, nisi si non vale per lo schiavo, perché soltan-
domino committente hoc factum sit: to chi è nato libero suole prendere

211 Il danno è causato corpore corpori dal soggetto agente, se questi si è caricato più del
dovuto o ha intrapreso imprudentemente un cammino malagevole: se non si fosse caricato in
quel modo o se non fosse passato attraverso quel percorso sdrucciolevole, il carico non si sareb-
be rovesciato addosso allo schiavo altrui. Cfr. D.9.1.1.4 Ulp. 18 ad ed.
212 Manca infatti il requisito del corpore corpori.
213 Ingiustamente, cioè in assenza di una causa di giustificazione, che in questo caso con-
siste nella spinta altrui: il danno non è stato causato spontaneamente, ma per effetto della spin-
ta del terzo.
214 L’azione è in factum, perché manca il requisito del corpore corpori.
215 Lotta o pugilato.
216 Cioè, l’uccisione ha come giustificazione la partecipazione alla gara. La lex Aquilia pre-
vede però, di regola, l’uccisione di pecudes o di servi e non di persone libere, che sono le uni-
che alle quali è consentito partecipare al pancrazio e al pugilato: cfr. nt. 221.

41
14. D.9.2.7 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto

tunc enim Aquilia cessat. 5. Sed si quis parte alle gare217, mentre vale nel caso
servum aegrotum leviter percusserit et is del ferimento di un filius familias218.
obierit, recte Labeo dicit lege Aquilia Certo, se egli219 ha ferito chi si stava
eum teneri, quia aliud alii mortiferum ritirando220 o ha ucciso uno schiavo
esse solet. 6. Celsus autem multum fuori della gara, la legge Aquilia sarà
applicabile221, a meno che ciò222 non
sia stato fatto per ordine del padrone:
allora, infatti, l’applicabilità della
legge Aquilia viene meno223. 5. Ma se
uno ha colpito lievemente uno schiavo
già malato224 e questo è morto, giusta-
mente Labeone dice che egli225 è tenu-
to secondo la legge Aquilia, perché
non per tutti sono letali gli stessi
colpi226. 6. Celso dice inoltre che c’è

217 Non è gara in senso proprio la lotta fra liberi e schiavi, ma solo fra persone libere: l’uc-
cisione di uno schiavo altrui da parte di un uomo libero durante una lotta è ingiusta, perché non
è giustificata dalla gara.
218 Benché anch’egli alieni iuris, il filius familias si distingue dal servus per il fatto di esse-
re libero. Pertanto, l’uccisione di un filius familias nel corso di una gara di pancrazio o di pugi-
lato è giustificata.
219 Il filius familias.
220 Dalla lotta: viene quindi meno la causa di giustificazione.
221 Il che è strano per quanto riguarda l’uccisione di un uomo libero fuori dalla gara, dal
momento che la lex Aquilia non prevede l’uccisione di un uomo libero, ma di uno schiavo: cfr.
nt. 216.
222 Cioè l’uccisione dello schiavo altrui. “Questa ipotesi è distinta da quella del lottatore
che si sta ritirando. Il frammento deve essere inteso così: la legge Aquilia è applicabile se uno
ha ferito chi si stava ritirando dalla gara o ha ucciso uno schiavo altrui fuori da una gara. Il
secondo caso non va inteso, a contrario, nel senso che lo schiavo ucciso nel corso di una gara
sarebbe ucciso iure, perché poco sopra Ulpiano ha escluso che la gara a cui partecipa lo schia-
vo costituisca una causa di giustificazione del danno: Ulpiano allude infatti alla gara soltanto
perché ha appena trattato dell’uccisione avvenuta nel corso di una gara fra persone libere”
(NEGRI (a cura di), Digesto cit., p. 21, nt.10).
223 Il padrone ha sugli schiavi il ius vitae ac necis (diritto di vita e di morte).
224 Ad es., Tizio ha punto con un ago un emofiliaco.
225 Cioè chi ha colpito lievemente.
226 Benché la puntura di un ago consista in una ferita molto lieve, essa, tuttavia, può provo-

42
14. D.9.2.7 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto

interesse dicit, occiderit an mortis molta differenza fra chi ha ucciso e chi
causam praestiterit, ut qui mortis ha cagionato la morte, nel senso che
causam praestitit, non Aquilia, sed in chi ha cagionato la morte non è tenuto
factum actione teneatur. Unde adfert in base alla legge Aquilia, ma in base
eum qui venenum pro medicamento ad un’azione in factum227: da ciò
dedit et ait causam mortis praestitisse, adduce l’esempio di chi abbia dato un
quemadmodum eum qui furenti veleno al posto di un farmaco, e dice
gladium porrexit: nam nec hunc lege che ha cagionato la morte228, allo stes-
Aquilia teneri, sed in factum. 7. Sed si so modo di colui che ha messo una
quis de ponte aliquem praecipitavit, spada in mano ad un pazzo: infatti,
Celsus ait, sive ipso ictu perierit aut nemmeno costui è tenuto in base alla
continuo submersus est aut lassatus vi legge Aquilia, ma in factum229. 7. Ma,
fluminis victus perierit, lege Aquilia se uno ha scaraventato un altro da un
ponte, sia che costui sia morto sul
colpo230, sia che sia annegato, perché
sommerso dall’acqua231 o vinto dalla
stanchezza per la violenza del
fiume232, Celso dice che è tenuto in
base alla legge Aquilia, allo stesso

care effetti diversi a seconda delle caratteristiche del soggetto cui essa viene inferta, perciò, se
dalla puntura di un ago ad un emofiliaco deriva la morte di quest’ultimo, si applicherà il primo
capo della lex Aquilia, anche se il medesimo colpo inferto ad un soggetto sano non provoca la
medesima conseguenza.
227 Cfr. D.9.2.9 pr. Ulp. 18 ad ed.; fr.11.1 Ulp. 18 ad ed. D. eod.
228 Perché questa è causata dal veleno, non da un comportamento corpore corpori del dan-
neggiante.
229 Perché non ha ucciso direttamente il pazzo, ma lo ha posto nella condizione di togliersi
la vita consegnadogli l’arma. In entrambi i casi (avvelenamento e consegna della spada) manca
il requisito del corpore corpori: cagiona la morte colui al quale essa non può essere direttamen-
te imputata.
230 Per l’impatto con l’acqua.
231 Cioè per annegamento.
232 Annegato perché travolto dalla corrente.

43
14. D.9.2.7 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto

teneri, quemadmodum si quis puerum modo di chi avesse spinto un ragaz-


saxo inlisisset. 8. Proculus ait, si zo233 contro una rupe. 8. Proculo dice
medicus servum imperite secuerit, vel ex che, se un medico ha operato uno
locato vel ex lege Aquilia competere schiavo con imperizia, compete sia
actionem. l’actio ex locato234, sia quella di legge
Aquilia235.

233 Schiavo altrui.


234 Tra medico e padrone interviene una locatio operis, nella quale locator è il padrone, tenu-
to a pagare una merces, conductor operis il medico, tenuto ad effettuare l’operazione. Se quest’ul-
tima non riesce per imperizia del medico, il locator avrà l’actio ex locato.
235 La condotta del medico costituisce anche un illecito extracontrattuale: pertanto, il padro-
ne potrà esperire anche l’actio legis Aquiliae (concorso cumulativo di azioni). Per un altro caso
di concorso fra actio legis Aquiliae e actio ex locato, cfr. D.19.2.30.2 Alf. 3 dig. a Paul. epit.

44
15. D.9.2.8.1236 Gaio, settimo libro del commentario all’editto provinciale

Mulionem quoque, si per imperitiam Comunemente si dice237 che è tenuto a


impetum mularum retinere non titolo di colpa anche il mulattiere che
potuerit, si eae alienum hominem non sia stato in grado di fermare l’impe-
obtriverint, vulgo dicitur culpae to delle mule per imperizia e queste
nomine teneri. Idem dicitur et si propter abbiano schiacciato uno schiavo
infirmitatem sustinere mularum altrui238. Lo stesso si dice239 anche nel
impetum non potuerit: nec videtur caso in cui egli240 non abbia potuto
iniquum, si infirmitas culpae arrestare l’impeto delle mule per debo-
adnumeretur, cum affectare quisque lezza241. Né è da ritenere iniquo consi-
non debeat, in quo vel intellegit vel derare la debolezza una colpa, perché
intellegere debet infirmitatem suam nessuno deve strafare in una situazione
alii periculosam futuram. Idem iuris in cui comprende o deve comprendere
est in persona eius, qui impetum equi, che la propria debolezza sarà fonte di
quo vehebatur, propter imperitiam vel pericolo per gli altri242. Lo stesso prin-
infirmitatem retinere non poterit. cipio di diritto vale nei confronti di chi
non abbia potuto fermare lo slancio di
un cavallo243, cui stava in groppa, a
causa della propria inesperienza o della
propria debolezza244.
236 Cfr. Inst. 4.3.8.
237 Vulgo dicitur: cfr. D.9.2.51 pr. Iul. 86 dig.
238 Ad es., Tizio, mulattiere, guidando le mule non riesce a fermarle: queste travolgono lo schiavo
Stico, uccidendolo.
239 Idem dicitur, sottinteso vulgo, comunemente.
240 Il mulattiere.
241 La gente osserva l’incidente e tende a pensare che, imperito o debole che fosse, è stato il mulat-
tiere investitore ad uccidere il passante.
242 In realtà, la colpa non è la debolezza né l’inesperienza in sé, bensì l’occuparsi di cose che
richiedono forza o perizia specifica quando se ne è privi, senza calcolare i rischi che possono derivar-
ne a terzi.
243 Che ha ferito o ucciso qualcuno.
244 La colpa del cavaliere consiste nell’aver cavalcato un cavallo senza avere l’esperienza o la forza
sufficienti per fermarlo evitando così danni a terzi. Cfr. D.9.2.52.2 Alf. 2 dig. (si quis asellum cum agi-
tasset non retinuisset... damnum iuniuria daret, cioè chi avesse spronato un asinello e non lo avesse
poi fermato commetterebbe un danno ingiusto se l’asinello avesse investito qualcuno).

45
16. D.9.2.9 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto

Item si obstetrix medicamentum dederit Similmente, se un’ostetrica ha dato un


et inde mulier perierit, Labeo farmaco e in seguito a ciò la donna è
distinguit, ut, si quidem suis manibus morta, Labeone distingue, nel senso
supposuit, videatur occidisse: sin vero che, se glielo ha somministrato con le
dedit, ut sibi mulier offerret, in factum proprie mani245, si deve ritenere che
actionem dandam, quae sententia vera abbia ucciso, se si è invece limitata a
est: magis enim causam mortis darlo perché la donna lo prendesse246,
praestitit quam occidit. 1. Si quis per si deve dare un’azione in factum247: la
vim vel suasum medicamentum alicui quale opinione è vera248, perché
infundit vel ore vel clystere vel si eum l’ostetrica ha piuttosto cagionato la
unxit malo veneno, lege Aquilia eum morte249 che ucciso250. 1. Se uno con
teneri, quemadmodum obstetrix la violenza o con la persuasione propi-
supponens tenetur. 2. Si quis hominem na un farmaco per bocca o per clistere,
fame necaverit, in factum actione teneri o unge qualcuno con una sostanza
velenosa, è tenuto in base alla legge
Aquilia251, come è tenuta l’ostetrica
che ha somministrato il farmaco252. 2.
Se uno ha fatto morire di fame uno
schiavo, Nerazio dice che è tenuto con

245 Corpore corpori.


246 Manca il requisito del corpore corpori.
247 Cfr. D.9.2.7.6 Ulp. 18 ad ed.; fr.11.1 Ulp. 18 ad ed. D. eod.
248 È cioè conforme allo scopo di accertare se vi sia o meno il nesso di causalità diretta fra
la condotta dell’ostetrica e la morte della donna.
249 Limitandosi a dare il farmaco perché la donna lo prendesse.
250 Avrebbe ucciso, se le avesse somministrato il veleno con le proprie mani: cfr. il § suc-
cessivo.
251 Perché in questi casi sussiste il requisito del corpore corpori.
252 Con le proprie mani.

46
16. D.9.2.9 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto

Neratius ait. 3. Si servum meum un’azione in factum253. 3. Se tu, spro-


equitantem concitato equo effeceris in nato il cavallo su cui montava un mio
flumen praecipitari atque ideo homo schiavo, hai fatto precipitare lo schia-
perierit, in factum esse dandam vo in un fiume e in seguito a ciò l’uo-
actionem Ofilius scribit: mo è perito, Ofilio scrive che si deve
quemadmodum si servus meus ab alio dare un’azione in factum254, come nel
in insidias deductus, ab alio esset caso in cui un mio schiavo, attirato da
occisus. 4. Sed si per lusum uno in un agguato, sia stato ucciso da
iaculantibus servus fuerit occisus, un altro255. 4. Ma, se uno schiavo è
Aquiliae locus est: sed si cum alii in stato ucciso da alcuni, che per gioco
campo iacularentur, servus per eum stavano tirando al giavellotto256, si
locum transierit, Aquilia cessat, quia applica la legge Aquilia257; se invece,
non debuit per campum iaculatorium mentre altri tiravano al giavellotto nel-
iter intempestive facere. Qui tamen l’arena, lo schiavo è passato di lì258, la
data opera in eum iaculatus est, utique legge Aquilia non si applica, perché
Aquilia tenebitur. era lui che non doveva passare intem-
pestivamente per un’arena dove si tira-
va il giavellotto259: chi, però, ha fatto
apposta260 a lanciargli il giavellotto
sarà comunque tenuto in base alla
legge Aquilia.

253 Manca il requisito del corpore corpori. Cfr. Gai. 3.219 = Inst. 4.3.16.
254 Cfr. nt. precedente.
255 Chi lo ha attirato nell’agguato risponderà in base ad un’azione in factum.
256 Sulla pubblica via o comunque in un luogo aperto al pubblico, come si desume dal resto
del §.
257 Perché il damnum è iniuria datum: il giavellotto, cioè, non è stato tirato in un luogo adi-
bito a questo scopo, ma in un luogo pubblico.
258 Per l’arena.
259 Il damnum non è iniuria datum, perché il giavellotto è stato tirato in un luogo adibito
all’esercizio di questo sport, perciò ha sbagliato lo schiavo a passare per un luogo pericoloso. La
mancanza di una causa di giustificazione e il concorso di colpa dello schiavo escludono l’espe-
ribilità dell’azione di legge Aquilia. Anche qui, come in D.9.2.52.4 Alf. 2 dig., il danno si è veri-
ficato più per caso che per colpa dei giocatori. Cfr. Inst. 4.3.4.
260 L’espressione data opera pone in rilievo la condotta dolosa del danneggiante. Cfr.
D.9.2.52.1 Alf. 2 dig.

47
17. D.9.2.11 pr.-4 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto

Item Mela scribit, si, cum pila quidam Similmente Mela262 scrive: se, mentre
luderent, vehementius quis pila taluni giocavano a palla, uno, dato un
percussa in tonsoris manus eam colpo troppo forte alla palla, l’ha fatta
deiecerit et sic servi, quem tonsor cadere sulle mani di un barbiere e così
<radebat>261, gula sit praecisa la gola di uno schiavo che il barbiere
adiecto cultello: in quocumque eorum stava radendo è stata recisa per un
culpa sit, eum lege Aquilia teneri. colpo di rasoio263, chiunque di loro264
Proculus in tonsore esse culpam: et sia in colpa265 sarà tenuto con l’azione
sane si ibi tondebat, ubi ex di legge Aquilia; Proculo266, che la
consuetudine ludebatur vel ubi colpa è del barbiere267: e, in effetti, se
transitus frequens erat, est quod ei egli si è messo a radere in un luogo ove
imputetur: quamvis nec illud male di solito si giocava a palla o dove il
transito era frequente, è il caso di
imputarlo268 a lui269: benché non sia
neppure scorretto dire che se uno si è

261 Così negli scholia dei Basilici (sui quali cfr. L. MAGANZANI, Fonti e strumenti di ricerca. Meto-
do di consultazione per lo studio del diritto romano, ad uso degli studenti, Como 1992, p. 52 ss.).
262 Fabius Mela, giurista dell’età augustea.
263 Contro chi si può esperire l’azione di legge Aquilia?
264 Il barbiere e il giocatore che ha lanciato la palla.
265 Cioè abbia causato l’evento dannoso. “Il giurista formula la regola: è in colpa chi ha cau-
sato, con il proprio comportamento, un evento dannoso (che non debba ascriversi al casus).
Applicando la regola, il giudice sarà appunto chiamato a stabilire, in base alle prove, la sussi-
stenza della colpa, cioè il rapporto causale, nel senso della riferibilità dell’evento dannoso al
contegno del danneggiante nel caso concreto” (NEGRI (a cura di), Digesto cit., p. 25, nt.1).
266 Sottinteso scrive.
267 Cioè la morte dello schiavo deve essere attribuita al barbiere.
268 Cioè il danno.
269 Se il barbiere non si fosse messo a radere in quel luogo, la palla non lo avrebbe colpito
mentre radeva lo schiavo, il quale non avrebbe subito il taglio della gola.

48
17. D.9.2.11 pr.-4 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto

dicatur, si in loco periculoso sellam affidato ad un barbiere che ha posto la


habenti tonsori se quis commiserit, sedia in un luogo pericoloso270, deve
ipsum de se queri debere. 1. Si alius dolersi di se stesso271. 1. Se uno ha
tenuit, alius interemit, is qui tenuit, tenuto fermo uno schiavo altrui e un
quasi causam mortis praebuit, in altro l’ha ucciso, quello che l’ha tenu-
factum actione tenetur. 2. Sed si plures to fermo è tenuto con un’azione in fac-
servum percusserint, utrum omnes tum per aver cagionato la morte272. 2.
quasi occiderint teneantur, videamus. Ma se più persone hanno colpito uno
Et si quidem apparet cuius ictu perierit, schiavo, vediamo se tutte siano tenute
ille quasi occiderit tenetur: quod si non per averlo ucciso: ora, se è chiaro chi
apparet, omnes quasi occiderint teneri abbia inferto il colpo mortale, questo
Iulianus ait, et si cum uno agatur, solo è tenuto per averlo ucciso; se
ceteri non liberantur: nam ex lege invece non è chiaro, Giuliano dice che
Aquilia quod alius praestitit, alium tutti sono tenuti per averlo ucciso273 e,
non relevat, cum sit poena. 3. Celsus se si agisce contro uno, gli altri non
scribit, si alius mortifero vulnere sono liberati: infatti, ciò che uno ha
percusserit, alius postea exanimaverit, pagato in base alla legge Aquilia non
priorem quidem non teneri quasi solleva l’altro, perché il pagamento è
occiderit, sed quasi vulneraverit, quia avvenuto a titolo di pena274. 3. Celso
ex alio vulnere periit, posteriorem scrive che, se uno ha colpito infliggen-
do una ferita mortale e poi un altro ha
tolto la vita, il primo non è tenuto per
avere ucciso, ma per aver ferito275,
perché altra è la ferita di cui la vittima
è perita, mentre il secondo è tenuto

270 Vicino, ad es., ad un campo sportivo, o alla pubblica via, lungo la quale transitano per-
sone, mezzi di trasporto, animali, etc.
271 Non avrebbe dovuto recarsi da un barbiere che radeva in un luogo pericoloso e non può
pertanto imputare ad altri l’evento dannoso.
272 Manca il requisito del corpore corpori. Cfr. D.9.2.7.6 Ulp. 18 ad ed.; Ulp. 18 ad ed. fr.9
pr. D. eod.
273 Cfr. D.9.2.51.1 Iul. 86 dig.
274 Cioè non lo libera dall’obbligo di pagamento della pena pecuniaria che ciascuno dei con-
correnti deve pagare per intero (solidarietà cumulativa delle azioni penali: cfr. ARANGIO-RUIZ,
Istituzioni cit., pp. 367,421 ss.; TALAMANCA, Istituzioni cit., pp. 523 e 618). Cfr. §4.
275 Quindi in base al terzo capo della legge Aquilia.

49
17. D.9.2.11 pr.-4 Ulpiano, diciottesimo libro del commentario all’editto

teneri, quia occidit. Quod et Marcello per aver ucciso276: il che ritiene anche
videtur et est probabilius. 4. Si plures Marcello e ciò è più degno di approva-
trabem deiecerint et hominem zione277. 4. Se più persone hanno but-
oppresserint, aeque veteribus placet tato giù una trave e hanno colpito uno
omnes lege Aquilia teneri. schiavo, i veteres278 sono ugualmente
del parere che tutti279 siano tenuti in
base alla legge Aquilia280.

276 Ex primo capite legis Aquiliae. Cfr. D.9.2.51 pr. Iul. 86 dig. La ferita del secondo inter-
rompe il nesso causale fra la condotta del primo (che aveva inflitto una ferita mortale) e il deces-
so dello schiavo.
277 Ulpiano condivide la tesi di Celso, approvata anche da Marcello, perché è quella che
individua con maggiore precisione le responsabilità dei feritori.
278 I giuristi della fine dell’età repubblicana, come Servio e Alfeno. Cfr. D.9.2.51.1 Iul. 86
dig.
279 Cfr. §2.
280 Perché tutti hanno concorso a provocare il danno.

50
18. D.9.2.37.1 Giavoleno, quattordicesimo libro ex Cassio

Si quadrupes, cuius nomine actio esset Se un quadrupede, per il fatto dannoso


cum domino, quod pauperiem fecisset, del quale pendeva un’azione281 contro
ab alio occisa est et cum eo lege Aquilia il proprietario, è stato ucciso da un
agitur, aestimatio non ad corpus terzo e si agisce282 contro quest’ultimo
quadrupedis, sed ad causam eius (in in base alla legge Aquilia, l’aestima-
quo de pauperie actio est) referri debet tio283 non deve riferirsi al corpo del
et tanti damnandus est is qui occidit quadrupede, ma a ciò, che per causa
iudicio legis Aquiliae, quanti actoris dell’animale c’è l’azione de paupe-
rie284; quindi, nel processo di legge
Aquilia l’uccisore deve essere condan-
nato ad una somma equivalente all’in-
teresse285 dell’attore286 a liberarsi con

281 De pauperie.
282 Da parte del proprietario del quadrupede.
283 Cioè la valutazione economica del danno nel giudizio di legge Aquilia (litis aestimatio).
284 A causa dell’uccisione, il proprietario non è più in grado di dare a nossa il quadrupes: la litis
aestimatio pertanto non dovrà riferirsi al valore dell’animale in sé, bensì alla sua condizione di qua-
drupede a causa della cui condotta nociva pende l’actio de pauperie e in seguito alla cui uccisione il
convenuto ha perso la possibilità di darlo a nossa.
285 Cfr. D.9.2.21.2 Ulp. 18 ad ed.: Sed utrum corpus eius solum aestimamus, quanti fuerit cum occi-
deretur, an potius quanti interfuit nostra non esse occisum? Et hoc iure utimur, ut eius quod interest fiat
aestimatio. Ai fini della litis aestimatio nel giudizio di legge Aquilia, Ulpiano si domanda se si debba
fare riferimento al valore del corpo (dello schiavo o dell’animale) al momento dell’uccisione o al valo-
re dell’interesse del proprietario a che quest’ultima non fosse avvenuta. La risposta è che si debba con-
siderare come criterio di valutazione del danno l’interesse del dominus.
286 Del processo de pauperie.

51
18. D.9.2.37.1 Giavoleno, quattordicesimo libro ex Cassio

interest noxae potius deditione defungi la noxae deditio, anziché pagando la


quam litis aestimatione. litis aestimatio287.

287 Perché, ai fini della litis aestimatio, si tiene conto della causa quadrupedis in quo de pauperie
actio est (cfr. nt. 284). Se, come alcuni ritengono, l’uccisione del quadrupede in questo fr. risale ad un
momento successivo alla litis contestatio del processo de pauperie, il fr. concorda con D.9.1.1.16 Ulp.
18 ad ed., ove è esaminato il medesimo caso, benché da un diverso punto di vista: Ulpiano, infatti, si
occupa del processo de pauperie e accenna all’actio legis Aquiliae soltanto nella misura necessaria a
dimostrare l’influenza, sulla sentenza del processo de pauperie, del fatto che il proprietario ha a sua
disposizione l’actio legis Aquiliae. Che la morte dell’animale risalga, nel fr. di Giavoleno, ad un
momento successivo alla litis contestatio del processo de pauperie è dimostrato dal fatto che, se la morte
avvenisse prima della litis contestatio, il processo de pauperie si estinguerebbe (cfr. D.9.1.1.13 Ulp. 18
ad ed.) e con esso l’obbligo di dare a nossa l’animale o pagare la litis aestimatio.

52
19. D.9.2.39 pr. Pomponio, diciassettesimo libro del commentario
a Quinto Mucio

Quintus Mucius scribit: equa cum in Quinto Mucio scrive: una cavalla
alieno pasceretur, in cogendo quod pascolava su un fondo altrui288 e, men-
praegnans erat eiecit: quaerebatur, tre ne veniva spinta289 fuori, poiché
dominus eius possetne cum eo qui era incinta, abortì: si chiedeva se il
coegisset lege Aquilia agere, quia suo padrone potesse agire in base alla
equam in iciendo ruperat. Si legge Aquilia290 contro chi l’aveva
percussisset aut consulto vehementius spinta, perché, nel colpirla, l’aveva
egisset, visum est agere posse. deteriorata291. Qualora l’avesse per-
cossa o spinta di proposito con ecces-
siva violenza, si ritenne che potesse
agire292.

288 Appartenente, cioè, ad un soggetto diverso dal padrone dell’animale.


289 Cogo indica spingere con forza.
290 In particolare in base al terzo capo di questa legge, su cui Gai. 3.217-218 = Inst.
4.3.13-15.
291 Il verbo rumpere, riferito all’aborto subíto dalla cavalla, è quello che meglio si presta a
riassumere l’ampia tipologia di danneggiamento, prevista dal terzo capo della legge.
292 “La cavalla si trova sul fondo altrui ed il proprietario è, dunque, legittimato a spingerla
fuori. Ma se ha ecceduto nella sua reazione, usando violenza e percuotendo la cavalla al punto
da farla abortire, risponderà ex lege Aquilia del danno che ha provocato” (MAGANZANI, Forma-
zione e vicende cit., p. 215, nt.2). Perché si possa agire in base alla legge Aquilia è infatti neces-
sario che il damnum sia iniuria datum, cioè sia stato inflitto in assenza di una causa di giusti-
ficazione. Se il dominus fundi avesse allontanato l’animale senza l’uso della forza o della vio-
lenza (con il conseguente aborto della cavalla), il suo comportamento sarebbe stato giustificato
dall’esigenza di allontanare dal proprio fondo un estraneo. Ma l’esigenza di allontanare dal pro-
prio fondo un animale estraneo non giustifica le percosse o una spinta eccessivamente forte e
violenta (eccesso dell’esercizio del diritto).

53
20. D.9.2.42 Giuliano, quarantottesimo libro dei digesti

Qui tabulas testamenti depositas aut Chi ha cancellato le tavole di un testa-


alicuius rei instrumentum ita delevit, mento o altri documenti depositati
ut legi non possit, depositi actione et ad presso di sé in modo da renderli illeg-
exhibendum tenetur, quia corruptam gibili è tenuto con l’azione di deposito
rem restituerit aut exhibuerit. Legis e con quella ad exhibendum, perché
quoque Aquiliae actio ex eadem causa ha restituito o esibito una cosa deterio-
competit: corrupisse enim tabulas recte rata293. Nel medesimo caso spetta
dicitur et qui eas interleverit. anche l’azione di legge Aquilia294: è
infatti fondato affermare che ha dete-
riorato le tavole anche chi ne abbia
alterato295 il contenuto.

293 L’esibizione delle tavolette prova che sono state alterate: actio ad exhibendum e actio
depositi presuppongono ambedue il dolo e hanno, in questo caso, il medesimo scopo di risarci-
mento del danno (cagionato, qui, agli eredi istituiti). Cfr. D.16.3.1.16 Ulp. 30 ad ed.: la restitu-
zione della cosa deteriorata equivale a mancata restituzione. Così, l’esibizione di cose deterio-
rate equivale a mancata esibizione.
294 La cancellazione delle tavole costituisce sia un illecito contrattuale, sia un illecito extra-
contrattuale (concorso cumulativo di azioni: cfr. D.13.6.18.1 Gai. 9 ad ed. prov.).
295 Interlino significa, in particolare, alterare cancellando o raschiando via le parole.

54
21. D.9.2.51 Giuliano, ottantaseiesimo libro dei digesti

Ita vulneratus est servus, ut eo ictu Uno schiavo era stato ferito in modo da
certum esset moriturum: medio deinde essere certamente destinato a morire
tempore heres institutus est et postea ab per il colpo296: nel frattempo, venne
alio ictus decessit: quaero, an cum istituito erede297 e successivamente
utroque de occiso lege Aquilia agi morì colpito da un altro298. Chiedo se,
possit. Respondit: occidisse dicitur in base alla legge Aquilia, si possa
vulgo quidem, qui mortis causam agire de occiso contro ambedue299.
quolibet modo praebuit: sed lege Rispose300: comunemente, certo, si
Aquilia is demum teneri visus est, qui dice301 che ha ucciso chi ha cagionato
adhibita vi et quasi manu causam in qualsiasi modo la morte, ma secon-
mortis praebuisset, tracta videlicet do la legge Aquilia si ritiene tenuto
interpretatione vocis a caedendo et a soltanto chi ha cagionato la morte
caede. Rursus Aquilia lege teneri usando la forza e quasi con la propria
existimati sunt non solum qui ita mano302, traendosi cioè il significato
vulnerassent, ut confestim vita della parola occidere da caedere303 e da
privarent, sed etiam hi, quorum ex caedes304. D’altra parte, in base alla
vulnere certum esset aliquem vita legge Aquilia si considerano tenuti305
excessurum. Igitur si quis servo non soltanto coloro che hanno ferito

296 Allo schiavo, cioè, è stata inflitta una ferita mortale.


297 Da un terzo.
298 Cfr. Gai. 3.212.
299 La domanda è se entrambi rispondano per la morte dello schiavo (primo capo della legge
Aquilia).
300 Giuliano.
301 Nel linguaggio comune.
302 Corpore corpori. Cfr. Gai. 3.219 = Inst. 4.3.16.
303 Abbattere, tagliare, togliere: qui, togliere la vita.
304 Sostantivo da caedere.
305 De occiso.

55
21. D.9.2.51 Giuliano, ottantaseiesimo libro dei digesti

mortiferum vulnus inflixerit qualcuno privandolo subito della


eundemque alius ex intervallo ita vita306, ma anche coloro per le ferite
percusserit, ut maturius interficeretur, dei quali è certo che la vittima è desti-
quam ex priore vulnere moriturus nata a morire307. Se dunque uno ha
fuerat, statuendum est utrumque eorum inferto ad uno schiavo una ferita mor-
lege Aquilia teneri. 1. Idque est tale308 e, dopo un certo tempo309, un
consequens auctoritati veterum, qui, altro ha colpito il medesimo schiavo
cum a pluribus idem servus ita uccidendolo prima di quando sarebbe
vulneratus esset, ut non appareret cuius morto per la ferita precedente, si deve
stabilire che sia l’uno, sia l’altro ferito-
re siano tenuti in base alla legge Aqui-
lia310. 1. Ciò è conforme all’autorità
dei veteres311, i quali, nel caso in cui il
medesimo schiavo sia stato ferito da
più persone, in modo che non appaia
di quale colpo sia morto312, giudicaro-
no che tutte siano tenute in base alla

306 Come il secondo feritore.


307 Come il primo feritore. Secondo Giuliano, il requisito del corpore corpori sussiste anche
quando la morte non è istantanea: pertanto si risponde de occiso. Cfr. D.9.2.52 pr. Alf. 2 dig. Le
parole Aquilia lege teneri existimati sunt... etiam hi, quorum ex vulnere certum esset aliquem vita
excessurum significano che la condotta del primo feritore rientra anch’essa nella fattispecie del-
l’occidere (come la condotta del secondo).
308 Ma tale da non privare immediatamente lo schiavo della vita.
309 Quando lo schiavo era ancora vivo.
310 De occiso, perché entrambi hanno effettivamente ucciso. Cfr. §2: Eiusdem ergo servi occi-
si nomine... cum uterque eorum ex diversa causa et diversis temporibus occidisse hominem intel-
legatur. Cfr. D.9.2.11.3 Ulp. 18 ad ed. e D.9.2.52 pr. Alf. 2 dig.
311 I giuristi della fine dell’età repubblicana (come, ad es., Servio e Alfeno).
312 Cfr. D.9.2.11.2 Ulp. 18 ad ed.

56
21. D.9.2.51 Giuliano, ottantaseiesimo libro dei digesti

ictu perisset, omnes lege Aquilia teneri legge Aquilia313. 2. L’aestimatio314


iudicaverunt. 2. Aestimatio autem dello schiavo315 non sarà invece la
perempti non eadem in utriusque stessa nei confronti di ambedue le per-
persona fiet: nam qui prior vulneravit, sone316: infatti, chi ha ferito per primo
tantum praestabit, quanto in anno dovrà prestare il maggior valore che lo
proximo homo plurimi fuerit repetitis ex schiavo ha avuto nell’ultimo anno,
die vulneris trecentum sexaginta contando trecentosessantacinque gior-
quinque diebus, posterior in id ni dal giorno del ferimento; il secondo
tenebitur, quanti homo plurimi venire sarà tenuto all’ammontare più alto, cui
poterit in anno proximo, quo vita lo schiavo avrebbe potuto essere ven-
excessit, in quo pretium quoque duto nell’anno precedente l’evento
hereditatis erit. Eiusdem ergo servi della morte: nel quale ammontare sarà
occisi nomine alius maiorem, alius compreso anche il prezzo dell’eredi-
minorem aestimationem praestabit, nec tà317. Per l’uccisione del medesimo
mirum, cum uterque eorum ex diversa schiavo, uno318 presterà dunque un’ae-
causa et diversis temporibus occidisse stimatio maggiore319, l’altro320 una
hominem intellegatur. Quod si quis minore321; né questo è strano, quando
absurde a nobis haec constitui si osservi che ciascuno di loro ha ucci-
putaverit, cogitet longe absurdius so in circostanze diverse322 e in tempi

313 De occiso.
314 Cioè la valutazione economica del danno (litis aestimatio).
315 Cioè dello schiavo ucciso.
316 Cioè di ambedue i feritori.
317 Perché nell’intervallo fra il ferimento e l’uccisione lo schiavo è stato istituito erede ed è
morto prima di accettare l’eredità per ordine del padrone: il valore dello schiavo comprende
quindi l’aestimatio dell’eredità che lo schiavo non ha potuto accettare.
318 Cioè il secondo feritore.
319 Perché in essa è incluso il valore dell’eredità perduta.
320 Cioè il primo feritore.
321 Perché non comprensiva del valore dell’eredità perduta.
322 Primo feritore: lo schiavo non ancora istituito erede; uccisore: lo schiavo era già stato
istituito erede.

57
21. D.9.2.51 Giuliano, ottantaseiesimo libro dei digesti

constitui neutrum lege Aquilia teneri diversi. Chi poi credesse che ciò che
aut alterum potius, cum neque abbiamo stabilito è assurdo, pensi che
impunita maleficia esse oporteat nec sarebbe ben più assurdo ammettere
facile constitui possit, uter potius lege che in base alla legge Aquilia non sia
teneatur. Multa autem iure civili contra tenuto nessuno dei due323, oppure che
rationem disputandi pro utilitate lo sia uno solo di loro324, perché le
communi recepta esse innumerabilibus azioni delittuose non debbono restare
rebus probari potest. Unum interim impunite: né si potrebbe, diversamen-
posuisse contentus ero: cum plures te, scegliere chi dei due dovrebbe
trabem alienam furandi causa essere tenuto secondo la legge. Che,
sustulerint, quam singuli ferre non del resto, nel diritto civile molte cose
possent, furti actione omnes teneri siano state recepite in contrasto col
existimantur, quamvis subtili ratione ragionamento logico, ma in funzione
dici possit neminem eorum teneri, quia dell’utilitas communis, si può provare
neminem verum sit eam sustulisse. in numerosissimi casi, ma qui mi
accontenterò intanto di indicarne uno:
se più persone hanno preso per rubar-
la una trave altrui, che nessuno avreb-
be potuto portar via da solo325, si ritie-
ne che siano tenuti tutti con l’azione di
furto, sebbene, ragionando con sotti-
gliezza, si potrebbe dire che nessuno
di loro è tenuto, perché è pur vero che
nessuno di loro l’ha presa su da solo.

323 Perché il padrone dello schiavo ucciso non conseguirebbe alcun risarcimento.
324 Perché l’altro resterebbe impunito.
325 Perché troppo pesante.

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22. D.9.2.52 Alfeno, secondo libro dei digesti

Si ex plagis servus mortuus esset neque Se lo schiavo è morto in seguito alle


id medici inscientia aut domini ferite327 e ciò non è accaduto per
neglegentia accidisset, recte de iniuria imperizia del medico328 o negligenza
occiso eo agitur. 1. Tabernarius, in del padrone329, si può agire330 fondata-
semita, noctu, supra lapidem lucernam mente331 per la sua uccisione ingiu-
posuerat; quidam praeteriens eam sta332. 1. Un oste, in un vicolo, di
sustulerat; tabernarius, eum
consecutus, lucernam reposcebat et
fugientem retinebat; ille flagello, quod
in manu habebat, in quo dolo<n>326

326 Cfr. D.9.1.1.7 Ulp. 18 ad ed.


327 Qualcuno ha ferito uno schiavo, il quale è successivamente morto a causa delle ferite: è
applicabile il primo capo de occiso della legge Aquilia? Ratio dubitandi: il primo capo prevede
l’uccisione corpore corpori, cioè la morte (dello schiavo) deve essere la conseguenza diretta e
immediata della condotta dell’uccisore. In questo caso, invece, è intercorso un lasso di tempo
fra il ferimento e il decesso: chi ha ferito lo schiavo è tenuto de occiso anche se lo schiavo non
è morto subito dopo essere stato colpito, ma purtuttavia è morto a causa delle ferite?
328 Esempio: lo schiavo ferito riesce a tornare a casa, ove muore dopo essere stato curato da
un medico incapace, nel qual caso la morte è imputata all’imperizia del medico. Il rapporto cau-
sale indiretto ferita mortale-decesso è stato interrotto dall’intervento imperito del medico.
329 Esempio: lo schiavo ferito riesce a tornare a casa, ove muore dissanguato perché il
padrone trascura di curarlo (non cerca di bloccare l’emorragia, né chiama un medico). Anche
in questo caso, come in quello dell’imperizia del medico, sarebbe iniquo addossare la respon-
sabilità della morte dello schiavo al feritore, giacché qui il rapporto causale indiretto ferita mor-
tale-decesso è stato interrotto dalla negligenza del padrone.
330 Contro il feritore.
331 Per la ragione della fondatezza dell’azione, cfr. nt. seguente.
332 Il feritore risponde per aver ucciso lo schiavo corpore corpori (e iniuria: in assenza di
una causa di giustificazione), anche se la morte dello schiavo è avvenuta successivamente al
ferimento (cfr. D.9.2.51 pr. Iul. 86 dig.), purché nel frattempo non sia intervenuta l’imperizia del
medico o la negligenza del padrone. In altri termini, l’intervallo tra ferimento e morte dello
schiavo non esclude il requisito del corpore corpori: ciò che conta, piuttosto, è che non sia inter-
venuta in quel lasso di tempo una concausa ad interrompere il nesso causale tra ferimento mor-
tale e decesso dello schiavo. Se poi il feritore debba rispondere de vulnerato (cioè in base al

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22. D.9.2.52 Alfeno, secondo libro dei digesti

inerat, verberare tabernarium coeperat, notte, aveva posato la lanterna sopra


ut se mitteret: ex eo maiore rixa facta una pietra333: un tale, che passava di
tabernarius ei, qui lucernam sustulerat, lì, l’aveva presa su; l’oste, raggiuntolo,
oculum effoderat: consulebat, num reclamava la lanterna e cercava di
damnum iniuria non videtur dedisse, trattenerlo mentre fuggiva; quello334
quoniam prior flagello percussus esset. cominciò a percuotere l’oste con un
Respondi, nisi data opera effodisset bastone che aveva in mano, sul quale
era infisso un pungolo335, per liberarsi
dalla presa336: scoppiata da ciò una
rissa più grave, l’oste cavò un occhio a
chi aveva preso su la lanterna337:
domandava338 se non fosse da ritenere
che avesse causato il danno senza
iniuria, dato che era stato lui il primo
ad essere percosso col bastone339.

terzo capo della legge) nel caso in cui il nesso di causalità sia stato interrotto da una concausa,
non è questione che interessi qui al giurista: il dubbio riguarda soltanto l’esperibilità o meno
dell’actio legis Aquiliae in base al primo capo de occiso – che richiede il requisito del corpore
corpori – quando sia intercorso un lasso di tempo tra il ferimento e la morte. Quando invece rile-
va l’alternativa fra responsabilità de occiso e responsabilità de vulnerato nel caso di interruzio-
ne del nesso causale fra mortiferum vulnus e morte ad opera di un secondo feritore, i giuristi lo
dicono esplicitamente: cfr. D.9.2.11.3 Ulp. 18 ad ed. e D.9.2.51 pr. Iul. 86 dig.
333 Ad es. un paracarro.
334 Cioè, il passante.
335 Cfr. nt. 326.
336 Dell’oste che cercava di trattenerlo.
337 “Il giurista espone l’evento dannoso senza qualificarlo, evitando la terminologia del furto
notturno flagrante a mano armata. La qualificazione giuridica del comportamento dei protagoni-
sti è fatta in sede di analisi delle modalità del caso, compiuta allo scopo di individuare il sog-
getto da chiamare a rispondere” (NEGRI (a cura di), Digesto cit., p. 30, nt. 5).
338 L’oste.
339 È come se il tabernarius domandasse al giurista: “Non si dovrebbe concludere che io
abbia cavato l’occhio in presenza di una causa di giustificazione, visto che è stato il passante ad
aggredirmi per primo?”. La domanda “di chi è la colpa” è in apparente contraddizione con la
premessa che è stato il tabernarius a cavare l’occhio al passante: non dovrebbero pertanto esser-
vi dubbi sulla responsabilità in capo al primo. Eppure, la soluzione non è così banale, ma dipen-
de dalle modalità del caso: in causa ius positum est.

60
22. D.9.2.52 Alfeno, secondo libro dei digesti

oculum, non videri damnum iniuria Risposi340 che, a meno che egli341 non
fecisse, culpam enim penes eum, qui avesse cavato l’occhio facendolo appo-
prior flagello percussit, residere; sed si sta342, il danno non è da ritenere cau-
ab eo non prior vapulasset, sed cum ei sato iniuria 343: la colpa sta, infatti,
lucernam eripere vellet, rixatus esset, dalla parte di chi aveva cominciato a
tabernarii culpa factum videri. 2. In picchiare col bastone344; ma che, se
clivo Capitolino duo plostra onusta non è stato lui ad essere bastonato per
mulae ducebant; prioris plostri primo, ma ha cominciato a rissare per
muliones conversum plostrum strappargli la lanterna, è da ritenere
sublevabant, quo facile mulae che il fatto sia avvenuto per colpa del-
ducerent; inter superius plostrum l’oste345. 2. Sul colle capitolino, delle
cessim ire coepit et cum muliones, qui mule trainavano346 dei carri completa-
inter duo plostra fuerunt, e medio mente carichi; i mulattieri del primo
exissent, posterius plostrum a priore carro lo stavano spingendo da dietro
percussum retro redierat et puerum perché le mule lo trainassero più age-
cuiusdam obtriverat. Dominus pueri volmente; frattanto, il carro superiore

340 Alfeno.
341 L’oste.
342 Data opera: di proposito, coscientemente, nella piena consapevolezza delle conseguen-
ze. In base a questa ricostruzione del caso, il danno sarebbe da imputare all’oste.
343 Ingiustamente, cioè in assenza di una causa di giustificazione. Se l’oste non ha cavato
l’occhio di proposito, ma nella confusione generale occasionata dalla rissa, occorre stabilire di
chi sia la colpa, cioè chi sia chiamato a rispondere dell’evento dannoso scaturito dalla rissa. Se
quest’ultima è stata iniziata il danneggiato, costui deve dolersi di se stesso (anche se ci ha
rimesso un occhio); se invece l’ha cominciata l’oste, la colpa è sua e il danno causato da chi ha
cominciato a rissare è ingiusto perché non giustificato dal diritto.
344 Ratio decidendi. La rissa è un insieme di comportamenti inconsulti, che non consente di
distinguere e individuare i singoli contributi causali dei partecipanti. Di conseguenza, poiché il
danno è comunque scaturito da essa, la soluzione più ragionevole è dare la colpa a chi ha ini-
ziato a rissare, usando per primo il bastone. Culpa non ha qui il significato soggettivo di negli-
genza, imprudenza, imperizia, ma quello oggettivo di rapporto causale: è in colpa l’autore del-
l’evento dannoso per il fatto di averlo cagionato con il proprio comportamento volontario e con-
sapevole. Il giurista pertanto non indaga sull’atteggiamento psicologico del soggetto agente, ma
si limita a domandarsi a chi il fatto debba essere imputato. Cfr., in tema di actio de pauperie,
D.9.1.1.11 Ulp. 18 ad ed.
345 Se è stato l’oste a dare inizio alla rissa, la colpa è sua e il passante avrà contro di lui
l’azione di legge Aquilia.
346 Ducebant: stavano conducendo.

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22. D.9.2.52 Alfeno, secondo libro dei digesti

consulebat, cum quo se agere oporteret. cominciò a retrocedere e, essendosi


Respondi in causa ius esse positum: tolti di mezzo i mulattieri che erano fra
nam si muliones, qui superius plostrum i due carri, il carro posteriore, urtato
sustinuissent, sua sponte se dal primo, arretrò e schiacciò lo schia-
subduxissent et ideo factum esset, ut vetto di un tale347: il padrone dello
mulae plostrum retinere non possint schiavetto domandava348 contro chi
atque onere ipso retraherentur, cum dovesse agire349. Risposi350 che la
domino mularum nullam esse soluzione giuridica dipende dalle
actionem, cum hominibus, qui modalità del caso351. Infatti, se352 i
conversum plostrum sustinuissent, lege mulattieri che stavano sostenendo il
Aquilia agi posse; nam nihilo minus carro superiore si sono allontanati
eum damnum dare, qui quod sustineret spontaneamente353, ed in seguito a
mitteret sua voluntate, ut id aliquem questo è accaduto che le mule non
feriret: veluti si quis asellum cum abbiano potuto trattenere il carro e
agitasset non retinuisset, aeque si quis siano state trascinate indietro per il
ex manu telum aut aliud quid peso, contro il proprietario delle mule
immisisset, damnum iniuria daret. Sed non c’è azione354, contro gli uomini
si mulae, quia aliquid reformidassent che avevano cominciato a sostenere il
et muliones timore permoti, ne carro355 si può agire in base alla legge
opprimerentur, plostrum reliquissent, Aquilia: infatti, cagiona nondimeno un
cum hominibus actionem nullam esse, danno chi lascia volontariamente
cum domino mularum esse. Quod si andare la cosa che stava sostenendo,

347 Sin qui il caso descritto dal giurista in modo oggettivo.


348 Al giurista.
349 In giudizio, per l’uccisione dello schiavo.
350 Alfeno.
351 In causa ius positum <est>: la soluzione giuridica dipende dalle modalità del caso con-
creto. Cfr. il §1.
352 La particella si introduce una prima modalità del caso: i mulattieri hanno smesso di
spingere sua sponte.
353 Sua sponte: senza una causa di giustificazione.
354 Cioè non c’è l’azione de pauperie.
355 Che poi hanno abbandonato spontaneamente.

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22. D.9.2.52 Alfeno, secondo libro dei digesti

neque mulae neque homines in causa in modo che questa ferisca qualcu-
essent, sed mulae retinere onus no356: così, cagionerebbe un danno
nequissent aut cum coniterentur lapsae ingiusto357 uno che, avendo spronato
concidissent et ideo plostrum cessim un asinello, non lo trattenesse358, o,
redisset atque hi quo conversum fuisset ugualmente, chi avesse scagliato un
onus sustinere nequissent, neque cum dardo o qualcos’altro con la propria
domino mularum neque cum mano359. Ma se360 le mule si sono spa-
hominibus esse actionem. Illud quidem ventate per qualcosa e i mulattieri
certe: quoquo modo res se haberet, cum hanno abbandonato il carro per paura
di essere schiacciati361, non c’è azione
contro gli uomini362, ma c’è contro il
proprietario delle mule363. Che, se364 il
caso non riguarda né le mule, né gli
uomini, ma le mule non hanno potuto
reggere il peso365 o scivolando366

356 Lasciar cadere una cosa che si stava sostenendo (come nel caso del carro spinto dai
mulattieri) è lo stesso che scagliarla contro qualcuno: in entrambi i casi il danno risale dal com-
portamento del danneggiante, come negli esempi dell’asinello e del dardo.
357 Cioè ingiustificato.
358 Cfr. D.9.2.8.1 Gai. 7 ad ed. prov.
359 In conclusione, il primo carro ha cominciato a retrocedere, perché non più sostenuto dai
mulattieri, investendo così il secondo, che, a sua volta, per la violenza dell’urto, è retrocesso e
ha travolto lo schiavetto: il danno è ingiusto, perché i mulattieri hanno smesso di spingere sua
sponte, cioè senza giustificazione.
360 Sed si introduce una seconda modalità del caso: i mulattieri hanno smesso di spingere
per timore di essere schiacciati.
361 Timore permoti. Il timore di essere schiacciati è secondo il diritto una causa di giustifi-
cazione del comportamento dei mulattieri: il danno non è ingiusto.
362 Non c’è l’azione legge Aquilia.
363 C’è l’actio de pauperie, perché il danno dipende dalle mule che, spaventate, si sono
imbizzarrite. Cfr. D.9.1.1.9 Ulp. 18 ad ed.
364 Quod si segna il passaggio ad un’ulteriore modalità del caso: il danno non è stato causa-
to né dalle mule, né dai mulattieri, ma dalla forza maggiore (peso eccessivo insostenibile).
365 Perché troppo cariche.
366 Lungo l’impervia salita del Campidoglio.

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22. D.9.2.52 Alfeno, secondo libro dei digesti

domino posteriorum mularum agi non hanno ceduto sotto lo sforzo367, e per
posse, quoniam non sua sponte, sed questo il carro ha retrocesso e chi
percussae retro redissent. 3. Quidam stava dietro non ha potuto trattenerne
boves vendidit ea lege, uti daret il peso, non c’è azione né contro il pro-
experiundos: postea dedit experiundos: prietario delle mule, né contro gli
emptoris servus in experiundo percussus uomini368. Certo è comunque questo:
ab altero bove cornu est: quaerebatur, in qualunque modo siano andate le
num venditor emptori damnum cose, non si può agire369 contro il pro-
praestare deberet. Respondi, si emptor prietario delle mule posteriori, dal
boves emptos haberet, non debere momento che queste non hanno arre-
praestare: sed si non haberet emptos, trato spontaneamente, ma perché sono
tum, si culpa hominis factum esset, ut a state urtate. 3. Un tale vendette dei
buoi con la clausola di darli in
prova370, quindi li diede in prova;
durante la prova, uno schiavo del com-
pratore venne colpito da uno dei buoi
con una cornata: si chiedeva se il ven-
ditore dovesse risarcire il danno al
compratore. Risposi371 che se il com-
pratore aveva già comprato372 i buoi,
non deve risarcirlo373; ma che, se non

367 Nel trainare il carro.


368 La responsabilità di chi ha caricato eccessivamente gli animali o li ha condotti lungo un
sentiero malagevole non è presa in considerazione (Cfr. D.9.2.7.2 Ulp. 18 ad ed.), perché ad
Alfeno interessa qui soltanto l’intervento della vis maior, che esclude la responsabilità dei
mulattieri.
369 Con l’actio de pauperie.
370 Il perfezionamento della vendita, vale a dire il consenso delle parti, dipende dallo scio-
glimento della riserva di gradimento dell’acquirente.
371 Alfeno.
372 Se, ad es., il compratore aveva già sciolto positivamente la riserva quando i buoi gli sono
stati consegnati, o l’ha sciolta positivamente nonostante l’incidente avvenuto durante la prova.
373 Lo scioglimento della riserva rende definitiva la consegna degli animali, di conseguen-
za il rischio è già passato all’acquirente quando il danno si è verificato.

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22. D.9.2.52 Alfeno, secondo libro dei digesti

bove feriretur, non debere praestari, si li aveva ancora comprati374, allora: se


vitio bovis, debere. 4. Cum pila il fatto della ferita inferta dal bue è
complures luderent, quidam ex his avvenuto per colpa dell’uomo375, non
servulum, cum pilam percipere deve risarcirlo376, se per un vizio del
conaretur, impulit, servus cecidit et crus bue, lo deve377. 4. Mentre più persone
fregit: quaerebatur, an dominus servuli giocavano a palla, nel cercare di impa-
lege Aquilia cum eo, cuius impulsu dronirsi della palla378 uno dei giocato-
ceciderat, agere potest. Respondi non ri investì uno schiavetto, lo schiavetto
posse, cum casu magis quam culpa cadde e si ruppe una gamba: si chie-
videretur factum. deva se il padrone dello schiavetto
potesse agire in base alla legge Aqui-
lia379 contro colui per la spinta del
quale lo schiavetto era caduto. Rispo-
si380 che non poteva, perché il fatto è
da ritenere avvenuto più per caso che
per colpa381.

374 Cioè: se quando si è verificato il danno il compratore non aveva ancora sciolto la riser-
va, la soluzione cambia a seconda delle modalità del caso.
375 Cioè dello schiavo.
376 Il concorso di colpa dello schiavo esclude l’obbligo di risarcimento del danno (con l’ac-
tio de pauperie) a carico del venditore (proprietario dei buoi). Anche in questo contesto culpa
indica il rapporto causale.
377 Il vizio dell’animale giustifica l’esperimento dell’actio de pauperie contro il proprietario
dei buoi.
378 La proposizione cum pilam percipere conaretur è riferita a quidam ex his, non a servulum:
altrimenti, lo schiavo sarebbe uno dei giocatori, il danno non sarebbe iniuria datum (cfr.
D.9.2.7.4 Ulp. 18 ad ed.) e non si capirebbe la domanda circa l’esperibilità o meno dell’actio
legis Aquiliae contro chi ha spinto.
379 In base al terzo capo della legge Aquilia.
380 Alfeno.
381 Ad es., durante una partita di calcio, uno schiavetto attraversa il campo proprio mentre
uno dei giocatori sta cercando di colpire la palla: l’investimento è del tutto casuale, perché l’en-
trata dello schiavetto è improvvisa e inaspettata. Culpa, anche qui, significa nesso causale fra
contegno dannoso e danno (cfr. D.9.2.9.4 Ulp.18 ad ed.; Inst. 4.3.4); ma la colpa è esclusa per-
ché il danno è determinato da caso fortuito.

65
23. D.10.3382.28 Papiniano, sesto libro delle questioni

Sabinus ait in re communi neminem Sabino dice che nessuno dei comproprie-
dominorum iure facere quicquam invito tari può legittimamente fare alcunché
altero posse. Unde manifestum est sulla cosa comune contro la volontà del-
prohibendi ius esse: in re enim pari l’altro: ciò significa che c’è il ius prohi-
potiorem causam esse prohibentis bendi383 ed è quindi evidente che, in con-
constat. Sed etsi in communi prohiberi dizioni di parità384, la posizione di chi lo
socius a socio ne quid faciat potest, ut esercita è quella che prevale385. Ma, ben-
tamen factum opus tollat, cogi non ché il socio possa impedire all’altro di
potest, si, cum prohibere poterat, hoc eseguire delle opere sulla cosa comune,
praetermisit: et ideo per communi l’altro non può tuttavia essere costretto ad
dividundo actionem damnum sarciri eliminare l’opera che vi abbia compiuta,
poterit. Sin autem facienti consensit, se il socio, quando poteva impedirlo,
nec pro damno habet actionem. Quod abbia omesso di farlo386: e in tal caso il

382 Rubrica del titolo: Communi dividundo (= Dell’azione di divisione della cosa comune).
383 Cioè, il diritto di veto “che in forza del suo diritto può opporre ciascun condomino alla
iniziativa degli altri; quindi ognuno è libero di esercitare gli attributi del dominio finché non
intervenga la prohibitio degli altri” (BIONDI, Istituzioni cit., p. 283). Cfr. anche ARANGIO-RUIZ,
Istituzioni cit., p. 229 s.
384 Vi sono due comproprietari, ciascuno dei quali ha una quota ideale pro indiviso, pari alla
metà del valore della cosa comune: la proprietà può essere esercitata nei limiti della quota. Cfr.
BIONDI, Istituzioni cit., loc. ult. cit.
385 Se uno dei condomini non è d’accordo a che l’altro realizzi un’opera sulla cosa comune,
la volontà del primo prevale in virtù del ius prohibendi su quella del secondo.
386 L’esercizio del ius prohibendi è un onere: se un condomino non vuole che l’altro condomino
compia un’opera sulla cosa comune, deve opporvisi tempestivamente, altrimenti non sarà più possibi-
le valersi del diritto di veto. Ritiene che questa parte del fr. sia interpolata dai compilatori giustinianei
l’ARANGIO-RUIZ, Istituzioni cit., p. 230: “... in qualunque momento, chi aveva dedicato ad una deter-
minata opera tempo e spese poteva esser fermato e costretto a distruggere o a riedificare”. Secondo
questo Autore, p. 229 s., benché la concezione del ius prohibendi risponda al medesimo criterio cui si
ispira l’ordinamento della magistratura consolare, in virtù del quale ciascun console “può compiere
qualsiasi atto di governo finché la prosecuzione o esecuzione non ne venga impedita dalla intercessio
del collega” (con l’eccezione della dichiarazione di guerra, contro la quale nessuna intercessio succes-
siva può avere efficacia), “contro il condomino che costrui<sce> o demoli<sce>”, l’efficacia della
prohibitio anche successiva non trova limiti.

66
23. D.10.3.28 Papiniano, sesto libro delle questioni

si quid absente socio ad laesionem eius socio387 potrà ottenere soltanto il risarci-
fecit, tunc etiam tollere cogitur. mento del danno con l’actio communi
dividundo388. Se invece era d’accordo
che l’altro compisse l’opera, non avrà
l’azione neppure per ottenere il risarci-
mento del danno389; ma, se il socio ha
compiuto l’opera danneggiando l’altro
socio mentre quest’ultimo era assente,
Sabino dice che sarà anche390 costretto
ad eliminare l’opera.

387 Che non era d’accordo, ma non ha esercitato il ius prohibendi.


388 L’opus non potrà essere eliminata; tuttavia, se essa ha causato un danno al socio dissen-
ziente, quest’ultimo potrà esercitare l’actio communi dividundo contro l’altro per ottenere il
risarcimento. L’actio communi dividundo non mira soltanto alla divisione della cosa comune, ma
anche “a regolare i rapporti sorti tra i condomini durante lo stato di comunione (cosiddette prae-
stationes personales), che possono riguardare danni subiti e spese erogate da uno dei condomi-
ni rispetto alla cosa comune, nonché i frutti percepiti, oltre la quota di ciascuno” (BIONDI, Isti-
tuzioni cit., p. 285). Cfr. anche ARANGIO-RUIZ, Istituzioni cit., p. 231 s.
389 Cioè, non solo l’opera non potrà essere eliminata, ma il socio danneggiato non potrà nem-
meno pretendere il risarcimento, perché, nel prestare il consenso, si è assunto il rischio del-
l’eventuale danno.
390 Il socio non si deve limitare a risarcire il danno, ma è tenuto anche ad eliminare l’ope-
ra costruita in assenza dell’altro socio.

67
24. D.10.4391.9.1 Ulpiano, ventiquattresimo392 libro del commentario all’editto

Glans ex arbore tua in fundum meum Dal tuo albero sono cadute delle
decidit, eam ego immisso pecore ghiande nel mio fondo ed io, introdot-
depasco: qua actione possum teneri? tovi il bestiame, ve lo faccio pascola-
Pomponius scribit competere actionem re393: in base a quale azione posso
ad exhibendum, si dolo pecus immisi, essere tenuto nei tuoi confronti?394
ut glandem commederet: nam et si Pomponio scrive che a te spetta l’azio-
glans extaret nec patieris me tollere, ad ne ad exhibendum395, se con dolo ho
exhibendum teneberis, quemadmodum indotto il bestiame a mangiare le
si materiam meam delatam in agrum ghiande396: infatti, anche se le ghian-
suum quis auferre non pateretur. Et de ci fossero ancora397 e tu non me le
placet nobis Pomponii sententia, sive lasciassi portar via398, saresti tenuto in
glans extet sive consumpta sit. Sed si base all’azione ad exhibendum399,

391 Rubrica del titolo: Ad exhibendum (= Dell’azione ad exhibendum: cioè per ottenere
l’esibizione della cosa).
392 Uno degli argomenti di cui tratta questo libro è l’actio ad exhibendum. Cfr. LENEL, Palin-
genesia cit., vol.II, col.556 ss.
393 Cfr. l’inizio del fr.14.3 D.19.5 Ulp. 41 ad Sab.
394 Cioè contro di me quale azione avrai tu, che in base alla legge delle XII tavole (tab.7.10)
hai il diritto di raccogliere i frutti caduti nel mio fondo purché i rami del tuo albero sporgano di
almeno 15 piedi (= 4.50 metri circa) sul mio campo? Cfr. TALAMANCA, Istituzioni cit., p. 453;
D.19.5.14.3 Ulp. 41 ad Sab.
395 Tu reclami le ghiande in forza della legge delle XII tavole ed io ti rispondo: “Le ghian-
de non ci sono più”. Esperirai allora contro di me l’actio ad exhibendum per ottenere la presen-
tazione delle ghiande. Se non le esibirò (esse non esistono più), sarò condannato al pagamento
della summa condemnationis pari al valore della mancata esibizione. Cfr. Inst. 4.17.3.
396 Cioè se l’ho fatto apposta: ho consapevolemente fatto mangiare ai miei animali le ghian-
de cadute dal tuo albero.
397 Sul tuo fondo, su cui esse sono cadute dal mio albero.
398 Disattendendo così la norma della legge delle XII tavole: cfr. nt. 394. Inversione dei
ruoli dei soggetti nella motivazione della soluzione.
399 Potrei esperire contro di te l’actio ad exhibendum per ottenere l’esibizione delle ghian-
de.

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24. D.10.4.9.1 Ulpiano, ventiquattresimo libro del commentario all’editto

extet, etiam interdicto de glande come lo sarebbe chi non mi lasciasse


legenda, ut mihi tertio quoque die portar via dei miei materiali gettati nel
legendae glandis facultas esset, uti suo campo400. E noi401 approviamo
potero, si damni infecti cavero. l’opinione di Pomponio402, sia che le
ghiande ci siano ancora403, sia che
siano state mangiate404. Ma, se ci sono
ancora, potrò ricorrere anche all’inter-
dictum de glande legenda, in forza del
quale mi sarà consentito raccogliere le
ghiande entro tre giorni405, se avrò
promesso per il danno temuto406.

400 Si tratta perciò di materiali che appartengono a me e non al proprietario del fondo, nel
quale sono stati gettati.
401 Ulpiano (plurale maiestatis).
402 Secondo il quale, il proprietario della pianta ha l’actio ad exhibendum contro il proprie-
tario del fondo su cui sono caduti i frutti.
403 Se le ghiande ci sono, una volta convenuto con l’actio ad exhibendum, il proprietario
degli animali le deve esibire. Se non lo fa, verrà condannato al pagamento di una somma a tito-
lo di risarcimento del danno, corrispondente al valore della mancata esibizione.
404 Glans consumpta: le ghiande che sono state divorate dagli animali, il cui proprietario
dovrà esibirle; se non lo farà, sarà condannato al pagamento di una somma equivalente al valo-
re della mancata esibizione. Cfr. nt. 399.
405 Cfr. D.43.28.1 Ulp. 71 ad ed.: Ait praetor: ‘Glandem, quae ex illius agro in tuum cadat,
quo minus illi tertio quoque die legere auferre liceat, vim fieri veto’. 1. Glandis nomine omnes
fructus continentur (Dice il pretore: ‘Vieto di far violenza per impedire che le ghiande, che cado-
no dal campo di quel tale nel tuo, siano da lui raccolte e portate via entro tre giorni’. 1. Nel ter-
mine ghianda sono compresi anche gli altri frutti degli alberi).
406 Cautio damni infecti. Potrò avvalermi dell’interdictum de glande legenda, se prima avrò
promesso di risarcire al proprietario del fondo (su cui si trovano le ghiande) gli eventuali danni
che potrebbero verificarsi in seguito alla mia entrata nel fondo stesso (ad es., potrei danneggia-
re le colture camminandoci sopra, rompere i rami degli alberi nel raggiungere il luogo in cui
sono cadute le ghiande, etc.). Non deve stupire il richiamo alla cautio damni infecti, che è uno
strumento di tutela del fondo, la cui integrità è minacciata da aedes ruinosae o vitiosae situate
sul fondo vicino, di un diverso proprietario, o da attività (rientranti nel diritto di proprietà) ivi
esercitate (cfr. BIONDI, Istituzioni cit., p. 280; MAGANZANI, Formazione e vicende cit., p. 35 s.;
D.39.2.43 Alf. 2 dig.): l’ingresso nel fondo del vicino da parte del proprietario delle ghiande
costituisce comunque, per il proprietario del fondo su cui sono cadute, la minaccia di un danno
proveniente dal fondo confinante, dal quale le ghiande stesse sono cadute.

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25. D.12.1407.18 Ulpiano, settimo libro delle disputationes408

Si ego pecuniam tibi quasi donaturus Se ti avrò dato409 una somma di dena-
dedero, tu quasi mutuam accipias, ro per donartela e tu l’abbia ricevuta
Iulianus scribit donationem non esse: come data a mutuo, Giuliano scrive
sed an mutua sit, videndum. Et puto che non c’è donazione410, ma si deve
nec mutuam esse magisque nummos vedere411 se la somma sia data a
accipientis non fieri, cum alia opinione mutuo. Ed io ritengo che non lo sia e
acceperit. Quare si eos consumpserit, che le monete non siano diventate412
licet condictione teneatur, tamen doli di chi le ha ricevute, perché le ha rice-
exceptione uti poterit, quia secundum vute con una diversa intenzione413:
voluntatem dantis nummi sunt pertanto, se le ha spese, egli è tenuto

407 Rubrica del titolo: De rebus creditis si certum petetur e de condictione (= Dei diritti di
credito aventi per oggetto un certum e della condictio).
408 Cioè delle dispute.
409 Con la traditio.
410 In un altro fr., Giuliano, 13 dig. D.41.1.36, dice che, nonostante le parti qualifichino
diversamente la causa della traditio (nam et si pecuniam numeratam tibi tradam donandi gra-
tia, tu eam quasi creditam accipias), la proprietà passa dal tradente all’accipiente perché una
iusta causa traditionis pur tuttavia esiste oggettivamente (sia la donazione, sia il mutuo giusti-
ficano infatti, secondo il ius civile, l’effetto traslativo della proprietà della traditio). Ulpiano
sembra invece di opinione opposta (nummos accipientis non fieri): i romanisti moderni vedono
quindi fra i due frammenti un’insanabile antinomia. Non è peraltro da escludere che Ulpiano
citi un diverso testo giulianeo andato perduto. Si vedano tuttavia le ntt. 413 e 416.
411 La questione se si tratti di mutuo è posta da Giuliano o da Ulpiano a seconda che la frase
sed an mutua sit, videndum la si legga sed an mutua sit, videndum esse (retta da Iulianus scri-
bit) o videndum est.
412 Di proprietà.
413 Sin qui l’antinomia fra il pensiero di Giuliano e quello di Ulpiano è evidente (cfr. nt.
410): secondo il primo, la proprietà passa all’accipiente nonostante il dissenso sulla iusta causa
traditionis (D.41.1.36); ad avviso del secondo, l’accipiente non acquista la proprietà, perché
riceve la somma di denaro cum alia opinione. Ma diverso è l’oggetto dell’indagine: a Giuliano
interessa vedere se la traditio sia traslativa del dominium quando c’è accordo sull’oggetto della
consegna, anche se non c’è accordo sulla iusta causa traditionis; ad Ulpiano se, in mancanza di
accordo sul negozio, ciò nonostante un negozio esista ugualmente e di che tipo. Secondo il
primo, la proprietà passa; ad avviso del secondo, un negozio si conclude, ma non si tratta né di
mutuo, né di donazione, di conseguenza, la proprietà non passa.

70
25. D.12.1.18 Ulpiano, settimo libro delle disputationes

consumpti. 1. Si ego quasi deponens con la condictio414, ma potrà tuttavia


tibi dedero, tu quasi mutuam accipias, opporre415 l’eccezione di dolo, perché
nec depositum nec mutuum est: idem le monete sono state spese conforme-
est et si tu quasi mutuam pecuniam mente alla volontà di chi gliele ha
dederis, ego quasi commodatam date416. 1. Se io ti avrò dato una
ostendendi gratia accepi: sed in somma di denaro con l’intento di
utroque casu consumptis nummis depositarla, e tu l’abbia ricevuta come
condictioni sine doli exceptione locus data a mutuo, non c’è né deposito, né
erit. mutuo417; e lo stesso se tu mi abbia
dato una somma di denaro con l’inten-
to di darla a mutuo e io l’abbia ricevu-
ta come data in comodato418 per farne
mostra419: ma in entrambi i casi, se le
monete sono state spese, la condictio
spetterà senza l’eccezione di dolo420.

414 Azione di ripetizione della somma consegnata.


415 All’attore, nel giudizio instaurato con la condictio.
416 Chi ha dato il denaro lo ha fatto con l’intento di donarlo, perciò, se esercita la condictio,
si comporta scorrettamente: il pretore consente quindi al consegnatario di opporre l’eccezione
di dolo, dolo che consiste nel pretendere la restituzione della somma nonostante l’intento di
donarla. Tornando all’antinomia sull’effetto traslativo della traditio (cfr. nt. 413), si potrebbe
dire (naturalmente senza pretendere di superarla) che, dal punto di vista pratico il risultato è
analogo: secondo Giuliano, in D. 41.1.36, l’accipiente tiene la somma perché è diventata sua;
secondo Ulpiano la tiene per effetto dell’eccezione di dolo.
417 Perché manca l’accordo delle parti sul deposito e sul mutuo.
418 Anche in questo caso non si ha né mutuo, né comodato, perché non vi è accordo fra le
parti sul tipo di negozio.
419 Ad pompam o ad ostentationem: cfr. BIONDI, Istituzioni cit., p. 481.
420 Nel primo caso, perché chi ha dato la somma non lo ha fatto con l’intento di consentir-
ne il consumo (consegna a titolo di deposito); nel secondo, perché chi ha dato il denaro lo ha
fatto affinché la controparte lo spendesse con l’obbligo di restituire il tantundem eiusdem gene-
ris (consegna a titolo di mutuo).

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26. D.12.4421.16 Celso, terzo libro dei digesti

Dedi tibi pecuniam ut mihi Stichum Ti ho dato una somma di denaro per-
dares: utrum id contractus genus pro ché tu mi dessi Stico: questo genere di
portione emptioni et venditoris est, an contratto è in parte una compravendi-
nulla hic alia obligatio est quam ob ta422? Oppure qui non c’è altra obbli-
rem dati re non secuta? In quod gazione che quella nascente dalla con-
proclivior sum: et ideo, si mortuus est segna di una cosa in vista di una con-
Stichuus, repetere possum quod ideo troprestazione che non è seguita, come
tibi dedi ut mihi Stichum dares. Finge io sono più incline a pensare423? Dun-
alienum esse Stichum, sed te tamen que, se Stico è morto, io posso ripetere
eum tradidisse: repetere a te pecuniam quanto ti ho dato affinché tu mi dessi
potero, quia hominem accipientis non Stico424. Immagina poi che Stico
feceris; et rursus, si tuus est Stichus et appartenga ad un altro e che tu, ciò

421 Rubrica del titolo: De condictione causa data causa non secuta (= Della condictio causa
data causa non secuta, cioè dell’azione di ripetizione di una cosa data in vista di una contropre-
stazione che non è seguita).
422 Se così fosse, tu saresti obbligato, come venditore, a consegnarmi Stico.
423 Celso non ritiene che si tratti di compravendita.
424 “In mancanza di un previo accordo fra noi due che cada sulla causa tipica di una com-
pravendita, per il solo fatto che io ti abbia dato la somma, tu non sei affatto tenuto a darmi lo
schiavo: non ho, in altri termini, l’azione ex empto per l’inadempimento di un obbligo di darmi
Stico, che tu non hai mai assunto. Se tuttavia la controprestazione che io mi aspetto non segue
(se cioè non mi dai Stico), tu sei obbligato a restituirmi la somma (obbligazione derivante dal
fatto che ti ho dato una res a cui non è seguita la controprestazione per la quale te l’ho data):
quest’obbligo si fa valere con la condictio (azione di ripetizione) ob rem dati re non secuta o
causa data causa non secuta” (NEGRI (a cura di), Digesto cit., p. 31, nt.2).

72
26. D.12.4.16 Celso, terzo libro dei digesti

pro evictione eius promittere non vis, nonostante, me lo abbia consegnato425:


non liberaberis, quo minus a te potrò ugualmente ripetere la somma da
pecuniam repetere possim. te, perché non hai fatto sì che lo schia-
vo diventasse di chi lo ha ricevuto426;
ed anche se Stico è tuo, ma non sei
disposto a promettere per il caso di
evizione, non sarai liberato dall’azione
con cui io potrò ripetere la somma da
te427.

425 Mi hai dunque consegnato una cosa altrui: anche in questo caso la controprestazione che
mi aspettavo non c’è stata.
426 Ti avevo infatti dato il denaro ut tu Stichum dares, cioè affinché mi trasferissi la proprie-
tà di Stico; ma, se lo schiavo è di un altro, la proprietà non passa: la controprestazione non è
quindi seguita.
427 La controprestazione si considera mancata anche nel caso in cui tu, pur avendomi con-
segnato Stico e questo sia tuo, ti sia rifiutato di prestare garanzia per l’eventualità dell’evizione
(azione di rivendica esperita vittoriosamente dal terzo proprietario contro il consegnatario di
Stico): potrò quindi esperire contro di te la condictio per la restituzione della somma.

73
27. D.13.6428.17.3 Paolo, ventinovesimo libro del commentario all’editto

Sicut autem voluntatis et officii magis Come dare in comodato è un atto spon-
quam necessitatis est commodare, ita taneo e basato sull’officium429, più che
modum commodati finemque sulla necessità430, così fissare le
praescribere eius est qui beneficium modalità del comodato e il termine di
tribuit. Cum autem id fecit, id est restituzione dipende da chi ha conces-
postquam commodavit, tunc finem so il favore431. Quando però lo ha con-
praescribere et retro agere atque cesso, cioè dopo che ha dato in como-
intempestive usum commodatae rei dato, non è soltanto l’officum che
auferre non officium tantum impedit, impedisce di fissare un termine di
sed et suscepta obligatio inter dandum restituzione, di recedere dal proposito
accipiendumque. Geritur enim o di sottrarre intempestivamente l’uso
negotium invicem et ideo invicem della cosa comodata, ma anche il rap-
propositae sunt actiones, ut appareat, porto obbligatorio sorto dalla conse-
quod principio beneficii ac nudae gna432 e dall’accettazione433: infatti, il
voluntatis fuerat, converti in mutuas negozio434 coinvolge ambedue le parti,
praestationes actionesque civiles, ut ed è per questo che vengono date due
accidit in eo, qui absentis negotia azioni reciproche435, cosicché appaia

428 Rubrica del titolo: Commodati vel contra (= Dell’azione di comodato diretta e contra-
ria).
429 Dovere di solidarietà nei rapporti interpersonali: ad es., Tizio deve andare con urgenza
all’ospedale e Caio mette a disposzione l’automobile.
430 Il comodante, cioè, non è giuridicamente tenuto a prestare le proprie cose (si ricordi il
necessitate adstringimur della definizione di obbligazione contenuta in Inst. 3.13 pr.).
431 Di consentire al comodatario l’uso della cosa. È il comodante che stabilisce le modalità
d’impiego della cosa e quando questa dovrà essere restituita, perché è lui che ha deciso di
comodarla. Nell’es. della nt. 429, Caio, al momento della consegna dell’auto, consente al como-
datario di usarla soltanto per recarsi all’ospedale e di restituirgliela al calar del sole.
432 Dalla consegna della cosa nascono infatti obbligazioni a carico del comodatario: cfr. Inst.
3.14.2.
433 Della cosa comodata: ogni comportamento scorretto di entrambi i contraenti è escluso
dal dovere di solidarietà (officium e bona fides) e dagli obblighi nascenti dal contratto.
434 Cioè il contratto di comodato.
435 L’actio commodati diretta e l’actio commodati contraria, esperibili, rispettivamente, dal

74
27. D.13.6.17.3 Paolo, ventinovesimo libro del commentario all’editto

gerere inchoavit: neque enim impune che quanto all’inizio dipendeva dalla
peritura deseret, suscepisset enim concessione di un favore fatto di spon-
fortassis alius, si is non coepisset. tanea volontà si converte in reciproche
Voluntatis est enim suscipere prestazioni436 tutelate da azioni civi-
mandatum, necessitatis consummare. li437, come accade per chi abbia
Igitur si pugillares mihi commodasti, cominciato a gestire gli affari di un
ut debitor mihi caveret, non recte facies assente, giacché il gestore non può
importune repetendo: nam si negasses, abbandonare impunemente affari438
vel emissem vel testes adhibuissem. destinati ad andare altrimenti439 in
Idemque est, si ad fulciendam insulam rovina: se, infatti, non avesse comin-
tigna commodasti, deinde protraxisti ciato a gestirli lui, li avrebbe magari
aut etiam sciens vitiosa commodaveris: assunti un altro; ed anche assumere
adiuvari quippe nos, non decipi un mandato440 è infatti un atto sponta-

comodante contro il comodatario e dal comodatario contro il comodante (quest’ultima per le


spese sostenute a vantaggio del comodante e i danni subiti in occasione dell’uso).
436 Il comodatario è tenuto secondo buona fede alla conservazione della cosa integra in vista
della restituzione: deve pertanto utilizzarla rispettandone la natura e la destinazione sociale,
nonché le clausole contrattuali (cfr. BIONDI, Istituzioni cit., p. 481). Il comodante, a sua volta,
deve risarcire gli eventuali danni e rimborsare le eventuali spese, nonché comportarsi corretta-
mente nei confronti della controparte, ad es. consegnando cose non viziate. Gli obblighi del
comodante, tuttavia, non nascono dal contratto, ma dalla situazione che si instaura quando il
comodatario subisca dei danni o sostenga delle spese sulla cosa comodata, a vantaggio del
comodatario. In questo senso, secondo la dottrina moderna, il comodato è un contratto “bilate-
rale imperfetto” o “imperfettamente bilaterale” (cfr. ARANGIO RUIZ, Istituzioni cit., p. 313; BION-
DI, Istituzioni cit., p. 459).
437 Azione diretta e azione contraria di comodato. Si discute se l’azione contraria abbia natu-
ra civile (sia cioè un’actio in ius) o pretoria (sia un’actio in factum). Cfr. ARANGIO RUIZ, Istitu-
zioni cit., p. 315. Non ha dubbi il BIONDI, Istituzioni cit., loc. ult. cit., secondo il quale il preto-
re concede al comodatario, “per eventuali contropretese, un’actio in factum, chiamata actio con-
traria perché da principio si accorda a guisa di appendice dell’azione civile nascente <dal con-
tratto di comodato> e rispetto alla quale risulta invertita la situazione processuale delle parti,
in quanto il convenuto diventa attore nell’actio contraria. In seguito l’actio contraria si rende
indipendente dall’altra, che in contrapposto si chiama directa...”.
438 Di cui abbia intrapreso spontaneamente la gestione.
439 Qualora ne abbandoni la gestione.
440 La negotiorum gestio si fonda sull’assenza di un previo incarico, il mandato si fonda
invece su un incarico accettato spontaneamente dal mandatario.

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27. D.13.6.17.3 Paolo, ventinovesimo libro del commentario all’editto

beneficio oportet. Ex quibus causis neo, portarlo a termine è un’attività


etiam contrarium iudicium utile esse necessitata441. Se pertanto mi hai
dicendum est. comodato delle tavolette cerate442 per-
ché un debitore mi prestasse cauzio-
ne443, non ti comporterai rettamente
esigendone la restituzione in modo
inopportuno444: infatti, se me le avessi
negate, le avrei comprate o mi sarei
procurato dei testimoni445; lo stesso,
se mi hai comodato delle travi per
riparare un edificio e poi me le hai
portate via, o anche se, sapendolo, mi
hai comodato delle travi difettose, per-
ché un favore si deve fare per giovarci,
non per trarci in inganno. Pure in que-
sti casi, si deve dunque ammettere che
l’azione contraria è opportuna446.

441 Cioè obbligatoria (cfr. l’inizio del fr.), come è obbligatorio per il negotiorum gestor por-
tare a termine la gestione intrapresa.
442 Materiale scrittorio.
443 Ad es., il contenuto di una stipulazione cautelare redatta su tavolette cerate, a scopo pro-
batorio.
444 Ad es., prima che vi si cominci a scrivere, o dopo che si sia redatta la stipulazione cau-
telare.
445 Per provare l’avvenuta stipulazione cautelare.
446 Perché il comodante si è comportato scorrettamente o dolosamente (contro buona fede):
l’azione contraria è dunque opportunamente data dal pretore (di cui Paolo commenta l’editto sul
comodato).

76
28. D.13.6.18 Gaio, nono libro del commentario all’editto provinciale

In rebus commodatis talis diligentia Nella cura delle cose prese in comoda-
praestanda est, qualem quisque to si deve prestare la stessa diligenza
diligentissimus pater familias suis che un pater familias molto diligente
rebus adhibet, ita ut tantum eos casus presta nella cura delle proprie cose447:
non praestet, quibus resisti non possit, il comodatario non risponde dei soli
veluti mortes servorum quae sine dolo et casi, cui non è possibile resistere448,
culpa eius accidunt, latronum come, ad esempio, la morte degli
hostiumve incursus, piratarum schiavi che avviene senza suo dolo o
insidias, naufragium, incendium, colpa449, gli assalti dei rapinatori o dei
fugas servorum qui custodiri non nemici, gli agguati dei pirati, il naufra-
solent. Quod autem de latronibus et gio, l’incendio, la fuga degli schiavi
piratis et naufragio diximus, ita scilicet che non hanno solitamente bisogno di
accipiemus, si in hoc commodata sit sorveglianza450. Quanto poi abbiamo
alicui res, ut eam rem peregre secum detto circa i rapinatori, i pirati e il
ferat: alioquin si cui ideo argentum naufragio vale quando la cosa è stata
commodaverim, quod is amicos ad comodata con facoltà del comodatario
cenam invitaturum se diceret, et id di portarla all’estero451: se invece ho

447 Il comodatario deve diligentiam praestare. Cfr. Inst. 3.14.2: ... At is qui utendum accepit
sane quidem exactam diligentiam custodiendae rei praestare iubetur, nec sufficit ei tantam dili-
gentiam adhibuisse quantam suis rebus adhibere solitus est, si modo alius diligentior poterit eam
rem custodire (... Al contrario, chi ha ricevuto una cosa da usare è certamente obbligato a pre-
stare un’exacta diligentia nella custodia della cosa, né è sufficiente che abbia prestato una dili-
genza equivalente a quella che è solito prestare nelle proprie cose, se risulti che un altro avreb-
be potuto custodire la cosa con maggiore diligenza...). Cfr. D.16.3.32 Cels. 11 dig. (deposito);
D.44.7.1.4 Gai. 2 aur. (comodato).
448 Casus cui resisti non potest = casus maiores. D.44.7.1.4 Gai. 2 aur.
449 Cfr. D.50.17.23 Ulp. 29 ad Sab.
450 Perché non hanno bisogno di essere controllati: sono persone tranquille e fidate dalle
quali non ci si aspetterebbe la fuga, che costituisce un casus: cfr. D.50.17.23 Ulp. 29 ad Sab.
451 Se il comodatario riceve la cosa per portarla con sé all’estero, egli non risponderà del-
l’eventuale perdita della cosa dovuta all’assalto dei rapinatori o dei pirati oppure a naufragio.

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28. D.13.6.18 Gaio, nono libro del commentario all’editto provinciale

peregre secum portaverit, sine ulla comodato dell’argenteria a uno che me


dubitatione etiam piratarum et l’ha chiesta per invitare degli amici a
latronum et naufragii casum paestare cena452 e invece l’ha portata all’estero,
debet. Haec ita, si dumtaxat accipientis senza dubbio costui risponde anche
gratia commodata sit res, at si dei casi dei pirati, dei rapinatori e del
utriusque, veluti si communem amicum naufragio453. Questo regime si applica
ad cenam invitaverimus tuque eius rei se la cosa è stata comodata nel solo
curam suscepisses et ego tibi argentum interesse dell’accipiente454, mentre, se
commodaverim, scriptum quidem apud è stata comodata nell’interesse di
quosdam invenio, quasi dolum tantum entrambi455, come se tu ed io invitiamo
praestare debeas: sed videndum est, ne a cena un amico comune e tu ti assumi
et culpa praestanda sit, ut ita culpae la cura della cena ed io ti presto l’ar-
fiat aestimatio, sicut in rebus pignori genteria, trovo scritto da alcuni456 che
datis et dotalibus aestimari solet. 1. tu457 saresti tenuto a rispondere sol-
Sive autem pignus sive commodata res tanto per dolo: occorre tuttavia vedere
se tu non debba rispondere anche per
colpa, la quale deve essere valutata
con lo stesso criterio che si suole adot-
tare con riguardo alle cose date in
pegno458 o in dote. 1. Se la cosa data in

452 E quindi gli sarebbe servita dell’argenteria.


453 Cfr. Inst. 3.14.2: ... sed propter maiorem vim maioresve casus non tenetur, si modo non
huius culpa is casus intervenerit: alioquin si id quod tibi commodatum est peregre ferre tecum
malueris, et vel incursu hostium praedonumve vel naufragio amiseris, dubium non est quin de
restituenda ea re tenearis... (... ma <il comodatario> non è tenuto per cause di forza maggiore,
purché queste cause non siano intervenute per colpa sua: del resto, se tu hai preferito portare
con te all’estero ciò che ti ho dato in comodato e l’hai perduto per una scorreria di nemici o di
predoni o per naufragio, non vi è dubbio che tu sia tenuto alla restituzione della cosa...). Cfr.
D.44.7.1.4 Gai 2 aur.
454 Cioè del comodatario.
455 Comodante e comodatario.
456 Giureconsulti.
457 Comodatario.
458 Cfr. Inst. 3.14.4: Creditor quoque qui pignus accepit re obligatur, qui et ipse de ea ipsa re
quam accepit restituenda tenetur actione pigneraticia. Sed quia pignus utriusque gratia datur, et
debitoris, quo magis ei pecunia crederetur, et creditoris, quo magis ei in tuto sit creditum, placuit

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28. D.13.6.18 Gaio, nono libro del commentario all’editto provinciale

sive deposita deterior ab eo qui pegno, comodata o depositata è stata


acceperit facta sit, non solum istae sunt deteriorata da chi l’ha ricevuta, non ci
actiones, de quibus loquimur, verum sono soltanto le azioni di cui stiamo
etiam legis Aquiliae: sed si qua earum parlando459, ma c’è anche l’actio legis
actum fuerit, aliae tolluntur. 2. Aquiliae460: se però si è agito con una
Possunt iustae causae intervenire, ex di queste, le altre vengono meno461. 2.
quibus cum eo qui commodasset agi Possono insorgere fondate ragioni per
deberet: veluti de impensis in le quali si deve agire contro il como-
valetudinem servi factis quaeve post dante462, come per ottenere il rimborso
fugam requirendi reducendique eius delle spese sostenute per una malattia
causa factae essent: nam cibariorum dello schiavo463 o per cercarlo e
impensae naturali scilicet ratione ad riprenderlo dopo la fuga464; mentre la
eum pertinent, qui utendum accepisset. naturalis ratio vuole che le spese per il

sufficere, quod ad eam rem custodiendam exactam diligentiam adhiberet: quam si praestiterit et
aliquo fortuito casu rem amiserit, securum esse nec impediri creditum petere (Anche il creditore
che ha ricevuto un pegno è obbligato re, ed è soggetto all’azione pignoratizia per la restituzione
della cosa che ha ricevuto. Ma poiché il pegno è consegnato nell’interesse di entrambe le parti,
del debitore affinché il denaro gli sia dato a credito più facilmente, del creditore affinché il cre-
dito sia più protetto, si è ritenuto sufficiente che il creditore pignoratizio prestasse nella custo-
dia della cosa un’exacta diligentia: se egli ha prestato una simile diligenza e ha perso la cosa
per caso fortuito, può ritenersi al riparo, né gli si può impedire di domandare il credito). Cfr.
anche D.50.17.23 Ulp. 29 ad Sab.
459 Cioè le azioni di pegno, di comodato, di deposito.
460 Perché la condotta, rispettivamente, del creditore pignoratizio, del comodatario e del
depositario, costituisce al contempo un illecito extracontrattuale.
461 Benché fra azioni contrattuali e actio legis Aquiliae vi sia un concorso cumulativo, per
cui, esperita l’una, è possibile esperire anche l’altra (perché le prime perseguono il risarcimen-
to del danno da inadempimento contrattuale, la seconda la poena pecuniaria), per evitare spe-
requazioni, il pretore negherà (denegatio actionis) l’una dopo la conclusione del processo
instaurato con l’esperimento dell’altra.
462 Con l’actio commodati contraria.
463 Il comodatario ha ad es. pagato la visita medica e comprato le medicine necessarie alle
cure dello schiavo preso in comodato, spese che sono a vantaggio del comodante.
464 Lo schiavo è fuggito: il comodatario, ad es., ha pagato un fugitivarius (cercatore di schia-
vi fuggitivi: cfr. D.19.5.18 Ulp. 30 ad ed.) per recuperare il fuggitivo.

79
28. D.13.6.18 Gaio, nono libro del commentario all’editto provinciale

Sed et id, quod de impensis valetudinis vitto spettino a chi ha ricevuto lo


aut fugae diximus, ad maiores schiavo in uso. Ciò che abbiamo detto
impensas pertinere debet: modica enim circa le spese per la malattia o la fuga
impendia verius est, ut sicuti dello schiavo comodato riguarda infat-
cibariorum ad eundem pertineant. 3. ti le spese di maggiore entità465; men-
Item qui sciens vasa vitiosa tre è più ragionevole466 che i piccoli
commodavit, si ibi infusum vinum vel esborsi467, come quelli per il vitto,
oleum corruptum effusumve est, spettino al comodatario. 3. Da aggiun-
condemnandus eo nomine est. gere che anche chi ha comodato con-
sapevolemente dei vasi difettosi, e il
vino o l’olio ivi contenuti siano andati
a male o si siano versati, deve essere
condannato468 per queste ragioni.

465 Maiores impensas: cioè, di regola, le spese straordinarie, che spettano al comodante.
466 Verius (più vero: qui è preferibile intendere più ragionevole) si collega alla naturalis
ratio: le spese per le cure o la ricerca dello schiavo sono a prevalente vantaggio del padrone,
quelle per il vitto sono invece ragionevolmente addossate al comodatario, il quale usa gratuita-
mente dello schiavo comodato e non può quindi pretendere che le spese di vitto durante l’uso
siano sostenute dal padrone.
467 Modica... impendia: spese ordinarie, ad es. per il mantenimento.
468 Al risarcimento del danno e al rimborso delle eventuali spese nel iudicium contrarium
di comodato instaurato dal comodatario.

80
29. D.13.7469.30 Alfeno, quinto libro dei digesti epitomati da Paolo

Qui ratiario crediderat, cum ad diem Un tale, che aveva prestato del dena-
pecunia non solveretur, ratem in ro470 a un barcaiolo471, poiché il dena-
flumine sua auctoritate detinuit: postea ro non gli era stato restituito472 nel ter-
flumen crevit et ratem abstulit. Si invito mine, trattenne una barca473 nel fiume
ratiario retinuisset, eius periculo ratem di propria iniziativa: poi, una piena
fuisse respondit: sed si debitor sua del fiume portò via la barca474. Se
egli475 aveva continuato a trattenerla
contro la volontà del barcaiolo476, Ser-
vio rispose che la perdita della barca è
a rischio del creditore477; ma, se il

469 Rubrica del titolo: De pigneraticia actione vel contra (= Dell’azione pignoratizia diretta
e contraria).
470 Con un contratto di mutuo.
471 Ratis designa la barca: ratiarius è chi la conduce, cioè il barcaiolo.
472 Dal barcaiolo. Il verbo solvo indica lo scioglimento dal vincolo obbligatorio con l’esecu-
zione della prestazione dovuta. Obligatio ha la stessa radice del verbo obligo: ob + lego signi-
fica sono astretto da un vincolo; solvere e obligare sono termini correlati: solvere significa scio-
gliere, liberare dal vincolo.
473 Del debitore mutuatario.
474 Ad es., la corrente l’ha strappata dagli ormeggi: chi risarcisce il danno per la perdita
della barca? La soluzione giuridica dipende dalle modalità del caso.
475 Il creditore del barcaiolo.
476 Il prefisso re- del verbo teneo allude al comportamento del creditore che continua a dete-
nere la barca, nonostante il divieto del barcaiolo, che gliene ha chiesto la restituzione.
477 La perdita della barca deve essere sopportata dal creditore (che deve quindi risarcire il
danno al barcaiolo), perché, trattenendola presso di sé contro la volontà del proprietario, egli
commette furto (sottrazione di cosa altrui nella consapevolezza del divieto del proprietario: dolo)
e in quanto ladro deve sopportare il rischio (periculum) della perdita della cosa, avvenuta pres-
so di lui, qualunque ne sia la causa. Benché il mutuatario non l’abbia ancora pagato, il credi-
tore non può farsi giustizia da sé: nella specie, non c’è il diritto di ritenzione della barca, che è
consentito nei soli casi espressamente previsti dal diritto. Il mutuante, creditore del barcaiolo,
ha tenuto una condotta illecita (extracontrattuale) e deve sopportarne le conseguenze.

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29. D.13.7.30 Alfeno, quinto libro dei digesti epitomati da Paolo

voluntate concessisset, ut retineret, debitore gli aveva concesso di conti-


culpam dumtaxat ei praestandam, non nuare a trattenerla478, egli479 risponde
vim maiorem. nei limiti della colpa480, non nel caso
di forza maggiore481.

478 In questo caso, fra creditore e barcaiolo intercorre un rapporto di garanzia, cioè un con-
tratto di pegno in base al quale il creditore è tenuto a restituire la cosa al debitore quando que-
st’ultimo abbia estinto il proprio debito nei confronti del primo. Il consenso si perfeziona con
l’assenso del barcaiolo, mentre la barca era già presso il creditore: l’assenso del barcaiolo qua-
lifica cioè la detenzione della barca come continuata a titolo di pegno. Sul contratto di pegno,
cfr. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni cit., p. 315; BIONDI, Istituzioni cit., p. 483.
479 Il creditore, presso cui la barca è andata perduta.
480 Il creditore pignoratizio risponde per colpa, perché sa di detenere la cosa a titolo di
garanzia in vista della restituzione, ed è quindi tenuto a custodirla: se, ad es., il creditore non
lega saldamente la barca agli ormeggi e questa viene portata via dal fiume, egli risponde della
mancata restituzione per colpa.
481 Ad es., se tutte le altre imbarcazioni ormeggiate alla riva accanto a quella del debitore
sono state portate via dalla corrente del fiume, si può ritenere che la perdita della barca sia
avvenuta per vis maior; se invece le altre, nello stesso tratto del fiume, sono rimaste attraccate,
si può pensare che sia colpa del creditore se quella del mutuatario è stata trascinata via dalla
forza del fiume. In base a questi criteri, il giudice dell’eventuale processo intentato dal barca-
iolo contro il creditore potrà decidere.

82
30. D.16.3482.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto

Depositum est, quod custodiendum “Deposito”483 è ciò che è stato dato a


alicui datum est, dictum ex eo quod qualcuno da custodire ed è detto così
ponitur: praepositio enim de auget da “ciò che viene posto”484: la prepo-
depositum, ut ostendat totum fidei eius sizione de485 conferisce infatti maggio-
commissum, quod ad custodiam rei re intensità al termine depositum486,
pertinet. 1. Praetor ait: ‘Quod neque indicando che tutto ciò che ha a che
tumultus neque incendii neque ruinae fare con la custodia della cosa deposi-
neque naufragii causa depositum sit, in tata è rimesso alla fides487 di colui al
simplum, earum autem rerum, quae quale è affidata. 1. Il pretore dice488:
supra comprehensae sunt, in ipsum in “Per ciò che non sia stato depositato a
duplum, in heredem eius, quod dolo causa di tumulto, né di incendio, né di
rovina, né di naufragio, darò un’azio-
ne489 in simplum490; mentre per quan-
to riguarda le ipotesi sopra indicate
darò un’azione in duplum491 contro il

482 Rubrica del titolo: Depositi vel contra (= Dell’azione di deposito diretta e contraria).
483 Probabilmente Ulpiano commenta la rubrica dell’editto sul deposito.
484 Presso il depositario. L’etimologia ad sensum sembra sottolineare implicitamente che
l’obbligo del consegnatario si contrae re.
485 Particella rafforzativa.
486 Non è una definizione del contratto di deposito: qui depositum allude alla res deposita,
cioè all’oggetto del deposito.
487 Il fondamento del deposito è la fides: do una cosa a Tizio, perché mi fido di lui e, fidan-
domi, gliel’affido: la fides ha un significato relazionale, interpersonale. Cfr. il fidem frangere del
§4 del fr. Il regime del deposito è infatti esposto insieme a quello dei bonae fidei iudicia. Nel
XXX libro del commentario all’editto Ulpiano scrive anche: commendare (cioè affidare) nihil
aliud est quam deponere. Così anche Papiniano 9 quaest. D.16.3.24: quid est enim aliud com-
mendare quam deponere (che altro vuol dire affidare se non dare in deposito)?
488 Citazione testuale dell’editto introduttivo della formula dell’actio depositi in factum.
489 Iudicium dabo, cioè “autorizzerò un processo con un’azione”.
490 Cioè per il mero valore della cosa.
491 Cioè per il doppio del valore della cosa. Cfr. Inst. 4.6.23.

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30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto

malo eius factum esse dicetur qui depositario medesimo, contro il suo
mortuus sit, in simplum, quod ipsius, in erede la darò in simplum per ciò che si
duplum iudicium dabo’. 2. Merito has dirà sia stato fatto con dolo del defun-
causas deponendi separavit praetor, to, in duplum per ciò che sia stato fatto
quae continent fortuitam causam con dolo dell’erede stesso”492. 2.
depositionis ex necessitate Opportunamente il pretore ha tenuto
descendentem, non ex voluntate distinte queste cause493, che hanno
proficiscentem. 3. Eum tamen deponere indotto a depositare, nelle quali il
tumultus vel incendii vel ceterarum motivo fortuito che ha spinto al depo-
causarum gratia intellegendum est, qui sito non dipende dalla mera volontà
del deponente, ma deriva dalla neces-
sità494. 3. Si deve peraltro495 ritenere
che deponga per tumulto, incendio o
per gli altri casi indicati nell’editto,
chi non abbia altra ragione di deporre
che il pericolo imminente496 dovuto

492 Cfr. Inst. 4.6.17. Nel caso di deposito, detto dai moderni “necessario” (o “necessitato”
o “miserabile”), se il depositario è morto non avendo restituito la cosa con dolo e il suo erede
non l’ha riconsegnata (ad es., l’erede ignora che la cosa che si trova in casa del de cuius appar-
tiene al deponente: cfr. Gai. 2.50 e Inst. 2.6.4), il pretore concederà un’azione di condanna in
simplum, vale a dire nei limiti del valore della cosa depositata, contro l’erede del depositario,
che non risponde in duplum per un comportamento doloso altrui. Se invece è l’erede stesso a
non restituire dolosamente la cosa al deponente (ad es., la vende benché al corrente che era
stata depositata dal vicino, in occasione dell’incendio della villa di questi), anche l’erede
risponde in duplum. L’editto che Ulpiano commenta (cioè l’editto perpetuo di Salvio Giuliano)
conteneva forse anche l’editto, le formule in ius e in factum relative all’azione contraria data
contro il deponente per i danni risentiti e le spese sostenute a causa del deposito, nonché le for-
mule dell’actio depositi sequestraria.
493 Il pretore ha distinto il deposito “necessario” dal deposito “volontario”, quest’ultimo non
effettuato per necessità determinata da eventi pressanti come quelli elencati dal pretore.
494 Il deponente non avrebbe effettuato il deposito se non si fossero verificati gli eventi che
ne hanno determinato, pressantemente, l’iniziativa, nell’intento di salvare il salvabile: il gerun-
divo (causae deponendi) indica che si tratta di cause che hanno indotto a depositare.
495 Il tamen non ha qui un valore astrattamente avversativo: Ulpiano avverte che il pretore non
promette di dare l’actio in duplum per qualunque ipotesi abbia spinto il deponente a deporre (per
es., in occasione di un trasloco o della partenza per le vacanze o per un viaggio urgente).
496 Il deposito è avvenuto per sottrarre le cose al rischio di perderle in occasione di naufra-
gio, tumulto, eventi che ne minacciano l’incolumità (il verbo immineo esprime l’impossibilità e

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30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto

nullam aliam causam deponendi habet alle ipotesi sopra scritte. 4.497 La
quam imminens ex causis supra scriptis ratio498 di questa distinzione di cause
periculum. 4. Haec autem separatio è in effetti ispirata ad un giusto crite-
causarum iustam rationem habet: rio, perché chi può scegliere la perso-
quippe cum quis fidem elegit nec na cui affidarsi, e il deposito499 non
depositum redditur, contentus esse viene restituito, deve ben accontentar-
debet simplo, cum vero extante si del simplum500; quando invece
necessitate deponat, crescit perfidiae deposita per un’incombente necessi-
crimen et publica utilitas coercenda est tà501, il crimen perfidiae502 diventa più
vindicandae rei publicae causa: est grave e la publica utilitas deve essere
enim inutile in causis huiusmodi fidem salvaguardata allo scopo di tutelare
frangere. 5. Quae depositis rebus l’ordine pubblico503: violare la fides504
accedunt, non sunt deposita, ut puta si in questo genere di circostanze è infat-
ti contrario all’utilitas505. 5. Non sono
le cose che accedono a quelle deposi-

il tempo di scegliere a chi affidarsi).


497 Cfr. Inst. 4.6.17 e 23.
498 La distinzione delle cause di deposito spiega la differenza di trattamento da parte del
diritto del pretore.
499 Cioè la cosa depositata: cfr. sopra, il pr. del fr.
500 Cioè, del semplice valore della cosa. È stato il deponente a scegliere una persona poco
affidabile.
501 Exstare indica il sovrastare del pericolo sulla persona e le sue cose. La contrapposizio-
ne è resa dalla correlazione quippe cum quis fidem elegit… cum vero extante necessitate depo-
nat… Quippe conferma spiegando (avverbio causale energico), mentre fidem eligere esprime la
scelta della persona cui affidarsi.
502 Crimen non ha qui il significato di illecito punito in sede di processo criminale pubbli-
co, come in genere nella terminologia dei giuristi, ma pone l’accento sulla gravità della viola-
zione della fides: crimen è, nel linguaggio dei giuristi classici, più grave di delictum, che per lo
più allude all’illecito extracontrattuale fonte di obbligazione (es.: le obbligazioni nascono da
contratto o da delitto). Ulpiano intende l’infrazione della fides nei rapporti fra privati come con-
tegno che viola un interesse pubblico. Le consonanti gutturali e sibilanti esprimono stilistica-
mente la gravità della violazione della fides nel caso di deposito necessario (quippe cum quis
fidem elegit… crescit perfidiae crimen… fidem frangere).
503 Per Ulpiano la ratio dell’intervento del pretore è quella di tutelare l’interesse e l’ordine
pubblico.
504 Fidem frangere.
505 Crescit perfidiae crimen et publica utilitas coercenda est vindicandae rei publicae causa:
est enim inutile… fidem frangere.

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30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto

homo vestitus deponatur, vestis enim tate che s’intendono depositate506,


non est deposita: nec si equus cum come, ad esempio, se venga depositato
capistro, nam solus equus depositus est. uno schiavo vestito: non è infatti il
6. Si convenit, ut in deposito et culpa vestito ad essere depositato507; né un
praestetur, rata est conventio: cavallo con la cavezza: ad essere
contractus enim legem ex conventione depositato è infatti soltanto il caval-
accipiunt. 7. Illud non probabis, dolum lo508. 6. Se ci si accorda che nel depo-
non esse praestandum si convenerit: sito si risponda anche per colpa, l’ac-
nam haec conventio contra bonam cordo è valido509: i contratti possono
fidem contraque bonos mores est et ideo infatti contenere clausole fondate sul-
l’accordo510. 7. Ma non per questo
approverai che non si risponda per
dolo, se ci si è accordati in tal senso:
un accordo del genere è infatti contra-
rio alla buona fede511 e al buon costu-
me e perciò non deve essere osserva-
to512. 8.513 Se gli abiti dati da custodi-

506 Commento del termine depositum nell’editto introduttivo della formula in factum.
507 Se d’inverno deposito uno schiavo impellicciato presso di te e te ne chiedo la restituzio-
ne in primavera, e tu me lo ridai senza pelliccia, per ottenere l’accessorio dovrò indicare nel-
l’intentio della formula in factum (il che vale anche per la demonstratio di quella in ius) che ho
depositato presso di te il mio schiavo, ma che anche questa pelliccia non mi è stata restituita
con tuo dolo.
508 Ulpiano si limita ad asserire che oggetto del deposito non sono il vestito o la cavezza, ma
lo schiavo e il cavallo, e non viceversa: la cosa principale attrae l’accessorio (e non il contra-
rio), che è anch’esso dovuto.
509 Se Tizio non mi restituisce il libro depositato perché lo ha buttato via per errore insieme
ad altri libri vecchi, in base a questa clausola sarà tenuto con l’actio depositi.
510 La ratio dubitandi dipende dalla natura reale del deposito: le obbligazioni del deposita-
rio non si contraggono consensu, ma re, mentre le leges contractus si fondano sull’accordo fra le
parti.
511 Che è il criterio di valutazione del comportamento delle parti. L’actio depositi è un iudi-
cium bonae fidei: cfr. D.16.3.31 Tryph. 9 disp.; D.50.17.23 Ulp. 29 ad Sab.
512 Il regime edittale della responsabilità per dolo del depositario è di ordine pubblico e
quindi inderogabile dalle parti: un patto che escluda il dolo è nullo.
513 Ulpiano, qui e nei §§ segg., apre un excursus sulla qualificazione della fattispecie nego-
ziale, allo scopo di individuare l’azione esperibile in base alla ricognizione dell’id quod actum.

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30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto

nec sequenda est. 8. Si vestimenta re al bagnino sono periti514, ritengo


servanda balneatori data perierunt, si che costui sia tenuto a titolo di deposi-
quidem nullam mercedem servandorum to e che debba rispondere nei limiti
vestimentorum accepit, depositi eum del dolo se per la custodia degli abiti
teneri et dolum dumtaxat praestare non ha ricevuto alcuna mercede; che,
debere puto: quod si accepit, ex se invece l’ha ricevuta, sia tenuto ex
conducto. 9. Si quis servum conducto515. 9516. Se uno ha relegato
custodiendum coniecerit forte in uno schiavo da custodire, ad esempio
pistrinum, si quidem merces intervenit in un mulino, ed è intervenuta una
custodiae, puto esse actionem adversus mercede per la custodia, ritengo che vi
pistrinarium ex conducto: si vero sia contro il mugnaio l’azione ex con-
ducto517; che, se invece la mercede
per lo schiavo, che il mugnaio ha
accolto presso il mulino, l’ho ricevuta
io518, io possa agire ex locato519. Se poi

514 Il bagnino risponde del perimento? Le distictiones determinano le risposte, secondo il


metodo dialettico introdotto in modo sistematico da Servio, come è documentato dalla collezio-
ne di responsi raccolti nei Digesti di Alfeno.
515 Sottinteso con l’azione. Si tratta, in questo caso, di locatio operis: chi paga il canone non
è chi riceve la cosa (da custodire, non da usare come nella locatio rei), ma chi l’ha consegnata.
516 Si discute se i casi dei §§8 e 9 siano o meno diversi. Credo si tratti del medesimo caso
(astratto), ma nel §8 Ulpiano si limita a contrapporre deposito a locazione; nel §9 amplia l’ana-
lisi prospettando anche il caso di azioni ex locato e praescriptis verbis in riferimento allo schia-
vo anziché agli abiti. Si notino le sequenze actio depositi-actio ex conducto (§8), actio ex con-
ducto-actio ex locato-actio praescriptis verbis (§9).
517 Se lo schiavo viene consegnato al mugnaio affinché questi lo sorvegli in cambio di una
mercede, si ha una locatio operis come nel caso del §8, in cui il mugnaio è il conductor, mentre
chi consegna lo schiavo e si impegna a versare il corrispettivo per la custodia è il locator. Se il
servus non viene restituito al dominus, quest’ultimo avrà l’azione ex conducto contro il mugnaio,
il quale non è depositario, ma conduttore: Ulpiano si pone dal punto di vista del mugnaio che
esercita il diritto di conduttore percependo la mercede, ma non restituisce lo schiavo.
518 Si noti la transizione alla prima persona singolare dalla terza singolare.
519 Ho collocato lo schiavo presso il mugnaio perché lo usi: la mercede la percepisco io per-
ché il mugnaio mi paga l’uso dello schiavo che gli ho consentito (locatio rei). Ulpiano si pone
sempre dal punto di vista di chi consegna (locatore): la differenza rispetto al caso precedente
sta nel diverso assetto d’interessi stabilito dalle parti, il che determina l’esperibilità dell’azione
ex locato o ex conducto (da parte del locatore). Credo che si debba resistere all’idea di un’inver-
sione delle parti in termini sostanziali, all’idea, cioè, che l’esperibilità dell’azione di conduzio-
ne da parte del proprietario dello schiavo implichi che il mugnaio diventi locatore della custo-

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30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto

mercedem accipiebam ego pro hoc i servigi dello schiavo si compensava-


servo, quem in pistrinum accipiebat, ex no con la custodia, interviene una
locato me agere posse: quod si operae sorta di locatio-conductio, ma poiché
eius servi cum custodia pensabantur, non viene dato del denaro, si dà
quasi genus locati et conducti un’azione praescriptis verbis520: se

dia ed abbia quindi l’azione ex locato qualora il proprietario dello schiavo non gli paghi la mer-
cede. In altre parole: nel §9 il locatore proprietario dello schiavo ha, a seconda dell’assetto d’in-
teressi, l’azione di deposito, di locazione, di conduzione o praescriptis verbis; mentre il mugna-
io ha sempre e soltanto l’azione di conduzione, con la quale potrà far valere l’obbligo del loca-
tore di consegnargli lo schiavo da custodire e di pagargli la mercede pattuita. Il locatore, con
l’azione ex conducto contro il mugnaio, potrà far valere gli obblighi del conduttore di custodire
lo schiavo e di restituirlo. Potrebbe sembrare un’inutile ripetizione il caso del mugnaio che rice-
ve una merces in cambio della custodia del servus, rispetto a quello precedente (§8) del balnea-
tor che si impegna a custodire i vestiti del bagnante dietro corrispettivo. Ma diverso è il conte-
sto delle due fattispecie. Nel §8, Ulpiano individua due opposte fattispecie, a seconda che il
consegnatario della res abbia ricevuto o meno un compenso: se non è stata pagata alcuna mer-
cede, il balneator risponde a titolo di deposito (depositi eum teneri) e dunque nei soli limiti del
dolo, se invece è stata versata, il bagnino risponde come conduttore (ex conducto, sottinteso eum
teneri). La differente qualificazione delle fattispecie è funzionale all’individuazione del titolo
della responsabilità del consegnatario: se è stato concluso un deposito, il balneator risponde
come depositario, se è stata conclusa una locatio operis faciendi, il balneator risponde come con-
ductor operis. La difforme qualificazione delle fattispecie consente ad Ulpiano di individuare
l’azione con cui si può di volta in volta convenire il consegnatario della res. Se è stato il mugna-
io a ricevere il compenso, il proprietario dello schiavo avrà un’azione contro di lui come conduc-
tor operis, se è stato il proprietario stesso a ricevere una merces, quest’ultimo potrà agire ex loca-
to contro il pistrinarius. Mentre nel §8 si distingue a seconda che il balneator abbia ricevuto o
meno la merces, perché da ciò dipende il criterio di responsabilità, nel §9 si distingue a secon-
da che a ricevere il corrispettivo sia stato il mugnaio o il proprietario, perché da ciò dipende il
tipo di azione esperibile contro il consegnatario della res (ossia il mugnaio). L’individuazione
dell’azione attraverso l’identificazione della fattispecie negoziale prosegue nel resto del §9, ove
si prevede la possibilità di agire con l’azione praescriptis verbis contro il mugnaio in caso di com-
pensazione fra operae dello schiavo e custodia del pistrinarius, o con l’azione di deposito qua-
lora il mugnaio abbia provveduto al mantenimento dello schiavo senza percepire alcun corri-
spettivo. Cfr. nt. 516.
520 Se la custodia dello schiavo si compensa con i servigi prestati da quest’ultimo, il nego-
zio potrebbe sembrare una locatio-conductio, ma questa prevede nel suo assetto causale tipico
che il corrispettivo sia espresso in denaro. Si tratta dunque di un assetto d’interessi non ricon-
ducibile ad alcuna fattispecie contrattuale tipica: chi ha consegnato lo schiavo avrà l’actio prae-
scriptis verbis, cioè un’azione nella formula della quale si enuncia ciò che le parti hanno previ-
sto in un rapporto negoziale che non rientra in alcuna figura contrattuale nominata e tipica.

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30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto

intervenit, sed quia pecunia non datur, invece non si corrispondeva521 nien-
praescriptis verbis datur actio: si vero t’altro che il mantenimento e nulla si è
nihil aliud quam cibaria praestabat convenuto quanto alle opere, c’è
nec de operis quicquam convenit, l’azione di deposito522. 10523. Nel caso
depositi actio est. 10. In conducto et della conduzione e locazione524 e del
locato et in negotio, ex quo diximus negozio in base al quale abbiamo detto
praescriptis verbis dandam actionem, et che si deve dare un’azione praescriptis
dolum et culpam praestabunt qui verbis, coloro525 che hanno ricevuto lo
servum receperunt: at si cibaria schiavo risponderanno sia per dolo, sia
per colpa: ma, se hanno fornito il mero
mantenimento, soltanto per dolo526.
Seguiamo tuttavia, come dice Pompo-
nio, anche ciò che le parti527 hanno
messo per iscritto o hanno convenu-
to528, purché si sappia che, qualunque

521 Sintatticamente, Ulpiano sembra riferirsi al mugnaio, ma il vitto potrebbe essere corri-
sposto da chi consegna lo schiavo. In ambedue i casi il padrone avrebbe l’azione di deposito per
la restituzione dello schiavo; il mugnaio, qualora fosse stato lui a corrispondere il vitto, avreb-
be l’azione di deposito contraria per il rimborso.
522 Se il mugnaio si limita a mantenere lo schiavo e nulla si è convenuto quanto alla custo-
dia, che è perciò prestata gratuitamente, l’id quod actum (cioè, ciò che è stato stabilito dalle
parti) è qualificato come deposito. La custodia implica anche il mantenimento dello schiavo,
che il mugnaio sarà tenuto a restituire nelle stesse condizioni in cui lo ha ricevuto. Egli potrà
agire contro il deponente con l’azione di deposito contraria per il rimborso delle spese di man-
tenimento, che non alterano la gratuità del deposito: non costituiscono cioè, qualora corrisposte
da chi ha consegnato lo schiavo, un corrispettivo della custodia.
523 Cfr. sopra §7.
524 Mentre poco prima, in occasione dell’individuazione dell’azione esperibile, si parla di
quasi genus locati et conducti, ove locati precede conducti, qui conductio precede locatio, pro-
prio perché si sta precisando il titolo della responsabilità del depositario e del conductor (ope-
ris o rei).
525 Transizione generalizzante al plurale.
526 Perché si tratta in tal caso di deposito.
527 Cioè chi ha consegnato e chi ha ricevuto lo schiavo.
528 Proscriptum aut convenerit: prescritto unilateralmente, come dichiarazione di una delle
parti nel proprio prevalente interesse e accettata (anche implicitamente) dall’altra, o clausola
pattuita nel comune interesse delle parti; ma Ulpiano potrebbe semplicemente alludere ad
accordi presi a voce o redatti per iscritto per precauzione e memorizzazione del loro contenuto.

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30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto

tantum, dolum dumtaxat. Sequemur cosa sia stata messa per iscritto529,
tamen, ut Pomponius ait, et quid coloro che hanno ricevuto lo schiavo
habuerunt proscriptum aut quid risponderanno comunque per dolo,
convenerit, dummodo sciamus et si che è il solo530 a venire in considera-
quid fuit proscriptum, dolum tamen eos zione nel deposito. 11. Se ti avrò pre-
praestaturos qui receperunt, qui solus gato di portare una mia cosa a Tizio
in depositum venit. 11. Si te rogavero, perché la conservi lui, presso Pompo-
ut rem meam perferas ad Titium, ut is nio531 ci si chiede con quale azione io
eam servet, qua actione tecum experiri possa agire contro di te. Ed egli532
possum, apud Pomponium quaeritur. pensa: contro di te con l’azione di
Et putat tecum mandati, cum eo vero, mandato, contro chi ha ricevuto le
qui eas res receperit, depositi: si vero cose533 con quella di deposito; se inve-
tuo nomine receperit, tu quidem mihi ce le ha ricevute a tuo nome, tu sei
mandati teneris, ille tibi depositi, quam tenuto nei miei confronti con l’azione
actionem mihi praestabis mandati di mandato, quello nei tuoi con l’azio-
iudicio conventus. 12. Quod si rem tibi ne di deposito, azione che tu mi cede-
rai534, una volta convenuto nel proces-
so di mandato535. 12. Se poi ti ho dato
la cosa perché la custodisca tu qualo-
ra Tizio non l’abbia ricevuta, e Tizio
non l’abbia ricevuta, bisogna vedere

529 Cfr. nt. precedente. La redazione scritta di un deposito non fa che memorizzarne il con-
tenuto, ma non ne altera certo la natura di contratto che si perfeziona re, cioè con la consegna
della cosa.
530 Cfr. il §7.
531 Nei §§11-14, Ulpiano attinge alla casistica tratta da Pomponio.
532 Pomponio.
533 Si noti la transizione da rem meam a eas res (qui eas res receperit): Ulpiano enuncia un
principio consolidato di diritto. Ogni volta che A incarica B di portare una cosa a C affinché
questi la conservi, se B gliela consegna e C non la restituisce ad A, quest’ultimo ha l’azione di
deposito contro C.
534 Cfr. Gai. 4.86.
535 Io ho l’azione di mandato contro di te, ma tu non sarai condannato per inadempimento
(Qualora Tizio non mi restituisca la cosa depositata) se mi cederai l’azione che hai contro Tizio.

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30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto

dedi, ut, si Titius rem non recepisset, tu se ci sia soltanto l’azione di deposito o
custodires, nec eam recepit, videndum anche quella di mandato. Pomponio ne
est, utrum depositi tantum an et dubita536: ma io penso che ci sia
mandati actio sit. et Pomponius l’azione di mandato, perché la fatti-
dubitat: puto tamen mandati esse specie contrattuale più ampia è quella
actionem, quia plenius fuit mandatum di un mandato contenente una clauso-
habens et custodiae legem. 13. Idem la di custodia537. 13538. Il medesimo
Pomponius quaerit, si tibi mandavero, Pomponio si domanda, qualora io ti
ut rem ab aliquo meo nomine receptam abbia dato mandato539 di custodire
custodias, idque feceris, mandati an una cosa che hai ricevuto da qualcuno
depositi tenearis. Et magis probat a mio nome, e tu l’abbia fatto, se tu sia
mandati esse actionem, quia hic est tenuto con l’azione di mandato o di
primus contractus. 14. Idem deposito. Ed egli ritiene preferibile
Pomponius quaerit, si apud te volentem che ci sia l’azione di mandato, perché
me deponere iusseris apud libertum questo è il rapporto540 contratto per
tuum deponere, an possim tecum primo541. 14. Lo stesso Pomponio si
depositi experiri. Et ait, si tuo nomine, chiede se, volendo io depositare pres-
hoc est quasi te custodituro, so di te, tu mi abbia invitato a deposi-
deposuissem, mihi tecum depositi esse tare presso un tuo liberto, io possa

536 Non è verosimile un dubbio irrisolto di Pomponio: per questo ho tradotto “Pomponio ne
dubita”, dubita cioè che ci sia anche l’azione di mandato (cfr. nt. 537).
537 L’actio mandati è di buona fede, l’actio depositi in factum è data per la mancata restitu-
zione dolosa. Pomponio vede nelle fattispecie un deposito, condizionato alla mancata accetta-
zione della cosa da parte di Tizio.
538 Cfr. D.17.1.8 pr. Ulp. 31 ad ed.
539 Nel testo latino c’è il futuro anteriore. Ulpiano prospetta il caso che il contratto sia già
stato concluso. L’uso dei tempi verbali e dei piani temporali denota precisione nell’esposizione
della fattispecie. Per la discussione circa la connessione di questo § col precedente, quanto al
pensiero di Pomponio, cfr. D.17.1.8 pr. Ulp. 31 ad ed.
540 Transizione dall’azione al rapporto sostanziale.
541 Cfr. nt. 537: qui la situazione è inversa. Mentre nel caso del §12 prevale, per Pomponio,
il deposito, nel §13, sempre per Pomponio, si tratta di mandato, per l’opposta ragione.

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30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto

actionem: si vero suaseris mihi, ut esperire contro di te l’azione di depo-


magis apud eum deponam, tecum sito; e dice che se ho depositato a tuo
nullam esse actionem, cum illo depositi nome, cioè come se il vero custode
actio est: nec mandati teneris, quia rem fossi tu, ho l’azione di deposito contro
meam gessi. Sed si mandasti mihi, ut di te; se invece mi avrai piuttosto per-
periculo tuo apud eum deponam, cur suaso a depositare presso di lui, contro
non sit mandati actio, non video. Plane di te non c’è azione, mentre contro di
si fideiussisti pro eo, Labeo omnimodo lui c’è l’azione di deposito542: né tu sei
fideiussorem teneri ait, non tantum si tenuto con quella di mandato, perché
dolo fecit is qui depositum suscepit, sed io ho gestito un affare nel mio stesso
interesse543. Ma, se tu mi hai dato
mandato di depositare presso di lui a
tuo rischio, non vedo perché l’azione
di mandato non dovrebbe esserci544.
Se poi hai prestato fideiussione per
lui545, Labeone dice, com’è chiaro, che
il fideiussore è tenuto in ogni caso546,

542 Questa soluzione risale ad Ulpiano, come sembra apparire dalla transizione mihi tecum
depositi esse actionem, tecum nullam esse actionem (infinitive rette entrambe da et ait <Pompo-
nius>) alla frase cum illo depositi actio est (indicativo presente).
543 Il mandato si conclude nell’interesse del mandante (mea gratia Gai. 3.156) e non nel
mero interesse del mandatario (tua tantum gratia), pertanto “si considera come semplice con-
siglio non produttivo di effetti giuridici” (BIONDI, Istituzioni cit., p. 511).
544 Se tu mi hai dato mandato di depositare una mia cosa presso il tuo liberto periculo tuo
(cioè assumendoti nei miei confronti il rischio della mancata restituzione da parte del liberto),
io agisco come tuo mandatario, perché tu, assumendoti il rischio, hai interesse all’esecuzione
del mandato e alla restituzione della cosa stessa a me (deponente presso il tuo liberto), perciò,
se questa non mi viene restituita, potrò agire contro di te con l’azione di mandato contraria, per-
ché il mandato non è più tua gratia, come nel caso precedente. Poiché tu ti eri assunto il rischio
della mancata restituzione, io (tuo mandatario), nell’esecuzione del mandato, subisco la perdi-
ta della mia cosa: perdita, della quale tu avevi assunto il rischio nei miei confronti.
545 Cioè per il tuo liberto.
546 La soluzione di Labeone contempera le ragioni del fideiussore con quelle del deponen-
te: il fideiussore sarà obbligato in virtù del negozio fideiussorio, ma la litis aestimatio sarà quel-
la che si calcola nel processo di deposito. La litis aestimatio dell’azione derivante dal negozio

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30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto

et si non fecit, est tamen res apud eum. non solo se chi ha accettato il deposi-
Quid enim si fureret is, apud quem to si è comportato con dolo, ma anche
depositum sit, vel pupillus sit, vel neque se non si è comportato così, purché la
heres neque bonorum possessor neque cosa resti tuttavia presso di lui547: che
successor eius exstaret? Tenebitur ergo, dire, infatti, se colui presso il quale si
ut id praestet, quod depositi actione trova la cosa depositata divenisse
praestari solet. 15. An in pupillum, pazzo, oppure fosse un pupillo, o non
apud quem sine tutoris auctoritate vi fosse alcun erede, né bonorum pos-
sessor, né comunque un successore?548
Egli549 sarà dunque tenuto a prestare
ciò che si suole prestare con l’azione
di deposito550. 15. Ci si chiede se si
dia l’azione di deposito contro il pupil-
lo presso il quale il deposito è stato
fatto senza l’auctoritas del tutore551; e
si deve ammettere che si possa agire
se avrai depositato presso un pupillo
già capace di commettere dolo, sempre
che lo abbia commesso: ancorché nei
limiti dell’arricchimento552, questa

fideiussorio comprende di regola sia il valore della cosa depositata, sia l’interesse del debitore
principale all’esecuzione della prestazione (principale) da parte del fideiussore, mentre la litis
aestimatio dell’actio depositi in factum ha per oggetto soltanto il quanti ea res erit, cioè il mero
valore della cosa. Labeone si limita ad affermare che il fideiussore tenebitur ergo, ut id praestet,
quod depositi actione praestare solet. Nei casi di depositario impazzito o pupillo, l’azione contro
il fideiussore potrebbe essere esperita rispettivamente dal curator furiosi e dal tutor pupilli.
547 Cioè presso il depositario: il fideiussore del depositario è tenuto se il depositario non
restituisce con dolo o non restituisce per le cause non dolose elencate nel testo (pazzia, etc.).
548 Del depositario: in caso di deposito garantito da fideiussione, il fideiussore è ugualmen-
te tenuto.
549 Cioè il fideiussore. Cfr. nt. 546.
550 Cioè il valore dell’interesse del deponente alla restituzione della cosa depositata.
551 Ulpiano commenta le parole dolo malo Numerii Negidii della formula in factum.
552 La formula contiene, a questo scopo, la taxatio, cioè una clausola che impone al giudi-
ce un limite alla condanna pecuniaria.

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30. D.16.3.1 pr.-16 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto

depositum est, depositi actio detur, azione553 è data infatti contro di lui554,
quaeritur. Sed probari oportet, si apud anche se il dolo non c’è stato555. 16. Se
doli mali iam capacem deposueris, agi la cosa depositata è restituita deterio-
posse, si dolum commisit: nam et in rata, si può agire con l’azione di depo-
quantum locupletior factus est, datur sito come se non fosse stata restituita:
actio in eum et si dolus non intervenit. si può ben dire, infatti, che una cosa
16. Si res deposita deterior reddatur, che si restituisce deteriorata “non è
quasi non reddita agi depositi potest: stata restituita con dolo”556.
cum enim deterior redditur, potest dici
dolo malo redditam non esse.

553 Di deposito.
554 Cioè contro il pupillo.
555 A maggior ragione è data dunque l’azione di deposito se il dolo lo ha commesso. Sulla
necessità dell’auctoritas tutoris negli atti inter vivos del pupillo, cfr. Inst. 1.21 pr.
556 Citazione testuale della clausola formulare dolo malo redditam non esse.

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31. D.16.3.6 Paolo, secondo libro del commentario all’editto

Proprie autem in sequestre est In senso proprio, per deposito557 pres-


depositum, quod a pluribus in solidum so un sequestratario si intende ciò che
certa condicione custodiendum gli viene consegnato da più persone in
reddendumque traditur. solido558, da conservare e da restituire
sotto una determinata condizione559.

557 Cioè per cosa depositata.


558 Nel senso che ciascuno ha depositato l’intera cosa, non una parte o una quota: cfr.
D.16.3.17 Flor. 7 inst.
559 Ad es., in caso di deposito di una cosa oggetto di controversia sulla proprietà: il seque-
stratario dovrà restituirla al codeponente che avrà vinto la causa.

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32. D.16.3.7 pr. Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto

Si hominem apud se depositum ut Se il sequestratario, mosso da pietà, ha


quaestio de eo haberetur, ac propterea liberato uno schiavo depositato presso
vinctum vel ad malam mansionem di lui, affinché fosse sottoposto a tortu-
extensum sequester solverit ra560 e a tale scopo legato strettamente
misericordia ductus, dolo proximum ad una tavola o steso in una posizione
esse quod factum est arbitror, quia cum dolorosa, ritengo che il suo contegno
sciret, cui rei pararetur, intempestive sia prossimo al dolo561, perché, pur
misericordiam exercuit, cum posset non sapendo a che scopo lo schiavo era
suscipere talem causam quam decipere. stato ridotto così562, ha esercitato
intempestivamente563 la misericordia,
mentre avrebbe potuto evitare di assu-
mersi un compito del genere564, anzi-
ché ingannare chi gliel’aveva affida-
to565.

560 Lo schiavo è imputato in un processo penale pubblico: la tortura ha lo scopo di fargli


confessare il crimen di cui è accusato.
561 La responsabilità del sequestratario è, come quella del depositario, per dolo.
562 Cioè per essere torturato.
563 Avrebbe dovuto esercitare la misericordia prima, al momento della richiesta dei depo-
nenti (ad es., il padrone dello schiavo e la vittima del crimen commesso dallo schiavo stesso),
rifiutando di prenderlo in custodia.
564 Cioè di custodire lo schiavo.
565 La pietà con cui ha agito il sequestratario non ne esclude la responsabilità: egli ha
comunque tradito la fiducia (fides) di chi gli aveva affidato lo schiavo. Nel contrasto misericor-
dia-fides, prevale la seconda e spetta pertanto l’actio depositi sequestraria contro il sequestrata-
rio: Ulpiano non si sente tuttavia di qualificare l’atteggiamento del sequestratario come doloso,
bensì come dolo proximus (il risultato è comunque il medesimo).

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33. D.16.3.13 Paolo, trentunesimo libro del commentario all’editto

Si quis infitiatus sit non adversus Se uno, nel processo di deposito566, ha


dominum, sed quod eum qui rem negato di dover restituire, non tanto al
depositam petebat verum procuratorem proprietario567, ma perché riteneva
non putaret aut eius qui deposuisset che quegli che domandava la restitu-
heredem, nihil dolo malo fecit: postea zione della cosa depositata non fosse il
autem si cognoverit, cum eo agi poterit, vero procuratore o l’erede del depo-
quoniam nunc incipit dolo malo facere, nente, non si è comportato con dolo568:
si reddere eam non vult. 1. Competit ma, se in seguito avrà accertato569 che
etiam condictio depositae rei nomine, quegli lo era, si potrà agire contro di
sed non antequam id dolo admissum lui570, perché comincia a comportarsi
sit: non enim quemquam hoc ipso, quod con dolo571 nel momento in cui conti-
depositum accipiat, condictione nua a non voler restituire572. 1. Per la
obligari, verum quod dolum malum cosa depositata, spetta anche la con-
admiserit. dictio573, non prima tuttavia che sia
stato commesso dolo, perché non si è
soggetti alla condictio per il solo fatto
di aver ricevuto un deposito, ma per
aver commesso dolo.

566 Intentato dal falso procuratore o dal sedicente erede del deponente.
567 Deponente.
568 Perché ha ritenuto in buona fede che il richiedente non fosse legittimato a chiedere la
restituzione.
569 Che il richiedente è effettivamente procuratore o erede del deponente.
570 Contro il depositario, se continua a rifiutare la restituzione.
571 Il dolo consiste nella consapevolezza che la cosa deve essere restituita al richiedente e
nel rifiuto, ciò nonostante, di consegnargliela.
572 Nel momento (nunc: ora) in cui gli è nota la legittimazione del richiedente.
573 Condictio furtiva: azione di ripetizione, che concorre con l’azione di deposito se il depo-
sitario non restituisce con dolo, comportandosi, così, come ladro. Concorrono con l’azione di
deposito anche la rivendica (se il deponente è proprietario della cosa depositata e il deposita-
rio interverte il possesso), l’actio ad exhibendum (se il depositario rifiuta di esibire la cosa a
richiesta del deponente), l’actio furti (se il depositario ruba la cosa o l’uso della cosa deposita-
ta: questa azione concorre con la condictio furtiva), l’actio legis Aquiliae (se il depositario dan-
neggia la cosa).

97
34. D.16.3.17 Fiorentino, settimo libro delle Istituzioni

Licet deponere tam plures quam unus Presso il depositario possono deporre
possunt, attamen apud sequestrem non sia più persone, sia una persona sola,
nisi plures deponere possunt: nam tum presso il sequestratario non depongo-
id fit, cum aliqua res in controversiam no, invece, se non più persone, giac-
deducitur. Itaque hoc casu in solidum ché ciò avviene quando la cosa è
unusquisque videtur deposuisse: quod oggetto di controversia574: in quest’ul-
aliter est, cum rem communem plures timo caso è quindi da ritenere che cia-
deponunt. 1. Rei depositae proprietas scuno abbia depositato in solido575,
apud deponentem manet: sed et mentre diverso è il caso di più persone
possessio, nisi apud sequestrem che depongono una cosa comune576. 1.
La proprietà della cosa depositata
rimane presso il deponente e vi rima-
ne anche il possesso577, a meno che la
cosa non sia stata depositata presso un
sequestratario, nel qual caso possiede
soltanto il sequestratario578, perché,

574 Se la stessa cosa è oggetto di controversia fra due o più parti, ciascuna delle quali affer-
mi, ad es., di esserne l’unica proprietaria, le parti possono affidarla al sequestratario perché la
custodisca fino alla decisione: il sequestratario deve restituire la cosa a chi ha vinto la causa.
Contro il sequestratario è esperibile l’actio depositi sequestraria, nella formula della quale sarà
indicato che la cosa deve essere restituita al vincitore.
575 Cfr. D.16.3.6 Paul. 2 ad ed.
576 Di regola s’intende che ciascuno dei condeponenti depositi in proprorzione della propria
quota di comproprietà sulla cosa.
577 Il depositario è semplice possessore naturale (possidet alieno nomine, cioè detiene nel-
l’interesse del deponente).
578 Il sequestratario ha la possessio alieno nomine, che non è tuttavia civilis o ad usucapio-
nem, ma a titolo di sequestro. La possessio del sequestratario può essere tuttavia tutelata median-
te interdetti possessori. Cfr. TALAMANCA, Istituzioni cit., pp. 489 e 499.

98
34. D.16.3.17 Fiorentino, settimo libro delle Istituzioni

deposita est: nam tum demum sequester col deposito presso di lui579, si vuol580
possidet: id enim agitur ea depositione, raggiungere il solo scopo che il
ut neutrius possessioni id tempus tempo581 non decorra a favore del pos-
procedat. sesso di alcuno dei due contendenti582.

579 Presso il sequestratario.


580 Cioè le parti litiganti vogliono.
581 Ai fini dell’usucapione.
582 Cioè dei due deponenti presso il sequestratario. Le parti, affidando la cosa litigiosa al
sequestratario, rinunciano al possesso (ai fini dell’usucapione) in attesa della soluzione della
controversia: al sequestratario è dunque riconosciuto il possesso ad interdicta per questa sola
ragione pratica.

99
35. D.16.3.31 Trifonino, nono libro delle disputationes

Bona fides quae in contractibus La buona fede che si esige nei contrat-
exigitur aequitatem summam ti583 comporta l’applicazione più piena
desiderat: sed eam utrum aestimamus dell’equità: ma di quest’ultima dob-
ad merum ius gentium an vero cum biamo tenere conto soltanto con riferi-
praeceptis civilibus et praetoriis? Veluti mento al ius gentium584 o anche alle
reus capitalis iudicii deposuit apud te norme civili e pretorie?585 Come nel
centum: is deportatus est, bona eius caso in cui l’imputato in un processo
publicata sunt: utrumne ipsi haec capitale586 abbia depositato cento
reddenda an in publicum deferenda presso di te e abbia poi subito la pena
sint? Si tantum naturale et gentium ius della deportazione e della confisca dei
intuemur, ei qui dedit restituenda sunt: beni: questa somma deve essere resti-
si civile ius et legum ordinem, magis in tuita a chi l’ha data587 o deferita al
patrimonio confiscato? Se facciamo
riferimento soltanto al diritto naturale
e al ius gentium, le cose devono esse-
re restituite al deponente; se invece
prendiamo in considerazione il ius
civile e l’ordinamento delle leggi588,
questa è piuttosto da deferire al patri-

583 Anche il contratto di deposito è di buona fede e così la relativa azione: Gai. 4.47 e 62;
Inst. 4.6.28.
584 I contratti del ius gentium (che cioè possono essere validamente conclusi, a Roma, fra
cittadini romani e stranieri e le relative controversie sono portate dinanzi al tribunale del prae-
tor peregrinus) sono tutelati con azioni in ius di buona fede, come il deposito.
585 Ciascun ordinamento interno al sistema del diritto privato ha natura differente e diver-
se fonti di produzione (leggi, editti dei magistrati, senatoconsulti, costituzioni imperiali, giuri-
sprudenza), che il giurista coordina tra loro nell’unità della soluzione del caso concreto.
586 Per un crimine, che comporta la pena capitale, l’esilio o la deportazione, con la conse-
guenza della confisca dei beni.
587 Cioè al deponente, poi condannato nel processo capitale: così secondo il principio di
buona fede che caratterizza il deposito.
588 Che hanno introdotto la confisca dei beni a danno dei condannati in processi capitali e
ne stabiliscono il regime e gli effetti.

100
35. D.16.3.31 Trifonino, nono libro delle disputationes

publicum deferenda sunt: nam male monio confiscato: infatti chi ha deme-
meritus publice, ut exemplo aliis ad ritato della società in cui vive deve
deterrenda maleficia sit, etiam egestate soffrire anche di questa privazione589,
laborare debet. 1. Incurrit hic et alia affinché il suo esempio costituisca per
inspectio. Bonam fidem inter eos gli altri un deterrente contro i delitti.
tantum, quos contractum est, nullo 1. S’incorre qui in un’ulteriore indagi-
extrinsecus adsumpto aestimare ne: dobbiamo prendere in considera-
debemus an respectu etiam aliarum zione la buona fede soltanto fra i con-
personarum, ad quas id quod geritur traenti, senza riferimento agli estranei
pertinet? Exempli loco latro spolia, al rapporto, oppure rispetto anche ad
quae mihi abstulit, posuit apud Seium altre persone coinvolte nel negozio?
inscium de malitia deponentis: utrum Ad esempio, un bandito ha depositato
latroni an mihi restituere Seius debeat? il bottino, che mi ha sottratto, presso
si per se dantem accipientemque Seio, ignaro della mala fede del depo-
intuemur, haec est bona fides, ut nente: Seio deve restituire al bandito o
commissam rem recipiat is qui dedit: si a me? Se prendiamo in considerazione
totius rei aequitatem, quae ex omnibus chi ha dato la cosa e chi l’ha ricevuta
personis quae negotio isto continguntur in consegna, la buona fede è questa,
impletur, mihi reddenda sunt, quo facto cioè che ottenga la restituzione della
scelestissimo adempta sunt. Et probo cosa affidatagli chi l’aveva consegna-
hanc esse iustitiam, quae suum cuique ta; se invece consideriamo l’equità
ita tribuit, ut non distrahatur ab ullius dell’intera fattispecie, che riguarda
tutte le persone interessate al negozio,
il bottino deve essere restituito a me,
perché le cose sono state sottratte con
un comportamento gravemente delit-
tuoso. E ritengo che questa sia la vera
giustizia: attribuire a ciascuno ciò che
gli appartiene, in modo che non ne sia
privato da nessun altro con un’azione
di ripetizione, ancorché questa sia
conforme al diritto590. Se tuttavia io

589 Dei beni.


590 Come la pretesa del bandito deponente alla restituzione: la iusta repetitio (fondata sul
ius) non realizza sempre la giustizia, che si fonda in questo caso sull’aequitas.

101
35. D.16.3.31 Trifonino, nono libro delle disputationes

personae iustiore repetitione. Quod si non mi presenterò a chiedertene la


ego ad petenda ea non veniam, nihilo restituzione, la cosa dovrà essere resti-
minus ei restituenda sunt qui deposuit, tuita al deponente591, benché questi
quamvis male quaesita deposuit. Quod abbia depositato cose acquistate ille-
et Marcellus in praedone et fure scribit. citamente, il che scrive anche Marcel-
Si tamen ignorans latro cuius filio vel lo a proposito del brigante e del ladro.
servo rem abstulisset apud patrem Se peraltro un bandito ha sottratto la
dominumve eius deposuit ignorantem, cosa senza sapere di chi fosse figlio o
nec ex iure gentium consistet schiavo colui al quale l’ha sottratta e
depositum, cuius haec est potestas, ut l’ha poi depositata presso il padre o il
padrone del derubato592, ignorando
che fossero tali, neppure secondo il ius
gentium ciò consiste in un deposito, la
funzione del quale è di dare una cosa
da conservare ad altri, non di dare al
proprietario una cosa obbiettivamente
sua, ancorché ritenuta altrui. E anche
se un ladro ha depositato presso di me,
quando ero ancora ignaro del suo

591 Cioè, nella specie, al bandito.


592 Il padre o il padrone del derubato.

102
35. D.16.3.31 Trifonino, nono libro delle disputationes

alii, non domino sua ipsius res quasi delitto593, la cosa che mi appartiene e
aliena, servanda detur. Et si rem meam che mi aveva sottratto senza che io lo
fur, quam me ignorante subripuit, apud sapessi, opportunamente si dice che
me etiamnunc delictum eius non è stato contratto deposito, dal
ignorantem deposuerit, recte dicetur momento che è contrario a buona fede
non contrahi depositum, quia non est obbligare il padrone a restituire la pro-
ex fide bona rem suam dominum pria cosa a chi gliel’ha rubata. Ma
praedoni restituere compelli. Sed et si anche se la cosa è stata poi restituita
etiamnunc ab ignorante domino dal padrone, ancora ignaro del
tradita sit quasi ex causa depositi, furto594, come se ciò fosse dovuto a
tamen indebiti dati condictio competet. titolo di deposito, gli spetta la condic-
tio indebiti dati595.

593 Il derubato non ha riconosciuto la propria cosa.


594 Il derubato, ancora ignaro del furto, ha restituito la refurtiva al ladro, che l’aveva depo-
sitata preso di lui, credendo di doverlo fare a titolo di deposito.
595 Al derubato, pseudodepositario, contro il ladro, perché gli ha consegnato una cosa non
dovuta.

103
36. D.16.3.32596 Celso, undicesimo libro dei digesti597

Quod Nerva diceret latiorem culpam L’affermazione di Nerva598, secondo


dolum esse, Proculo displicebat, mihi cui una colpa particolarmente grave599
verissimum videtur. Nam et si quis non è dolo600, lasciava insoddisfatto Procu-
ad eum modum quem hominum natura lo, mentre a me sembra verissima.
desiderat diligens est, nisi tamen ad Infatti, anche chi non è diligente
secondo la misura che esige la natura
umana non è esente da frode601; a

596 Nell’interpretazione di questo fr. assai controverso seguo l’esegesi della prof. L. MAGAN-
ZANI, Casi e questioni di diritto civile nella prospettiva storico-comparatistica: la diligentia quam
suis del depositario dal diritto romano alle codificazioni nazionali, in corso di pubblicazione
sulla rivista “RDR”, vol.III, 2005.
597 Nel testo originale Celso si occupa di tutela: LENEL, Palingenesia cit., vol.I, col.91.
598 Nerva figlio.
599 Cfr. D.50.16.226 Paul. 1 man.: magna neglegentia culpa est: magna culpa dolus est.
600 Nerva non dà una nozione generale di colpa, né equipara in generale la culpa lata al
dolo, ma si limita ad osservare che una negligenza evidentemente molto grave del depositario
nel custodire la cosa affidatagli non può essere tollerata e il depositario è chiamato a risponde-
re per mancata restituzione dolosa. Cfr. D.44.7.1.5 Gai. 2 aur.
601 Fraude non caret chi si comporta con una diligenza che è al di sotto di quella media (che
è la diligenza del bonus pater familias). Quando si affida una cosa in custodia, ci si aspetta, di
regola, che il depositario usi nei confronti della cosa una normale diligenza. Se il deponente ha
affidato la cosa ad una persona che si è comportata con una diligenza inferiore alla media, ha
l’azione di deposito: il depositario risponde infatti nei limiti del dolo (ad es., io deposito un qua-
dro di valore presso Tizio, che lo lascia nell’aia della sua cascina, ove razzolano polli e galline,
esposto agli agenti atmosferici: l’es. è tratto da una conferenza della prof. Maganzani, rielabo-
rata nella pubblicazione indicata nella nt. 596).

104
36. D.16.3.32 Celso, undicesimo libro dei digesti

suum modum curam in deposito meno che, tuttavia, nel caso di deposi-
praestat, fraude non caret: nec enim to, non trascuri di custodire la cosa
salva fide minorem is quam suis rebus con la cura che egli usa abitualmen-
diligentiam praestabit. te602: non rispetterà infatti la fides, se
presterà603 una diligenza minore di
quella impiegata nella cura delle pro-
prie cose604.

602 Nelle proprie cose. Se il depositario si comporta nei confronti delle cose ricevute con la
diligenza che usa nelle proprie, benché inferiore alla media, non risponde e il deponente de se
queri debet (tanto peggio per lui: poteva scegliere una persona più affidabile): cfr. Inst. 3.14.3.
Se il deponente, cioè, si affida ad una persona trasandata e disordinata nella cura delle proprie
cose, non potrà aspettarsi da quest’ultima un comportamento mediamente diligente nei confron-
ti delle cose affidategli e quindi non potrà pretendere il risarcimento del danno qualora il depo-
sitario non gli restituisca la cosa o gliela restituisca deteriorata per disattenzione e noncuranza.
603 Nel custodire le cose del depositario.
604 Se il depositario si comporta nei confronti delle cose affidategli in custodia con una dili-
genza inferiore a quella che usa nelle proprie cose, risponde per dolo, perché ciò è contrario a
buona fede. Se il depositario è meticoloso nella cura delle proprie cose, mentre nei confronti di
quelle depositate impiega una diligenza inferiore, risponde per dolo. Ad es., affido un quadro
ad uno che di regola tiene i propri quadri in un ambiente sterile, illuminato artificialmente, ad
una temperatura costante, etc. Mi aspetto che tratti il mio quadro con la medesima meticolosi-
tà: se invece lo colloca in una soffitta umida, piena di topi, con il tetto sfondato, etc., risponde
per dolo. Riassumendo: fraude non caret il depositario che si comporta nei confronti delle cose
ricevute in custodia con una diligenza inferiore alla media, o si comporta con una diligenza infe-
riore a quella usata nella custodia delle proprie cose. In entrambi i casi il deponente ha l’azio-
ne di deposito. Se il depositario si comporta con le proprie cose con una diligenza inferiore alla
media e cura quelle del deponente allo stesso modo, il deponente non ha l’azione di deposito.

105
37. D.17.1605.8 pr.606 Ulpiano, trentunesimo libro del commentario all’editto

Si procuratorem dedero nec Se avrò nominato un procuratore607 e


instrumenta mihi causae reddat, qua questi non mi restituisce i documenti
actione mihi teneatur? Et Labeo putat della causa, con quale azione sarà
mandati eum teneri nec esse tenuto nei miei confronti? Labeone
probabilem sententiam existimantium ritiene che lo sia con quella di manda-
ex hac causa agi posse depositi: to e che non sia accettabile l’opinione
uniuscuiusque enim contractus initium di coloro, i quali reputano che in que-
spectandum et causam. sto caso si possa agire con quella di
deposito: di ogni contratto si deve
infatti considerare il momeno inizia-
le608 e lo scopo pratico che esso disim-
pegna609.

605 Rubrica del titolo: Mandati vel contra (= Dell’azione di mandato diretta e contraria).
606 Cfr. D.16.3.1.13 Ulp. 30 ad ed.
607 Ad litem, cioè un rappresentante processuale.
608 Ho nominato il procuratore dandogli mandato di rappresentarmi nella causa e gli ho con-
segnato i documenti della causa perché ne prendesse visione ai fini dell’esecuzione del manda-
to: egli detiene dunque i documenti a titolo di mandato.
609 La consegna dei documenti di causa al procuratore legale ai fini dell’esecuzione del
mandato alla lite: non costituisce, secondo Labeone, un deposito dei documenti distinto dal
mandato di cui i documenti rendono possibile l’esecuzione. Si noti la correlazione ex haec
causa-causa contractus.

106
38. D.17.1.39 Nerazio, settimo libro delle membranae610

Et Aristoni et Celso patri placuit posse Aristone e il padre di Celso611 hanno


rem hac condicione deponi ritenuto che si possa effettuare un
mandatumque suscipi, ut res periculo deposito o assumere un mandato, con
eius sit qui depositum vel mandatum la clausola che il rischio del perimen-
suscepit: quod et mihi verum esse to della cosa612 sia a carico di chi ha
videtur. assunto il deposito o il mandato: il che
pare vero anche a me613.

610 Il titolo dell’opera di Nerazio allude probabilmente al materiale scrittorio: l’opera era
scritta su rotoli, ad es. di pergamena o di altro materiale meno diffuso del solito.
611 Padre del giurista Giuvenzio Celso.
612 Oggetto del deposito o della prestazione del mandatario (es.: ti do incarico di recapita-
re una cosa a Tizio).
613 Modificazione pattizia del regime della responsabilità (dolo nel deposito, colpa nel man-
dato): la ratio dubitandi è se la clausola sia valida ed efficace.

107
39. D.17.2614.71 pr. Alfeno, terzo libro dei digesti epitomati da Paolo

Duo societatem coierunt, ut Due persone si misero in società per


grammaticam docerent et quod ex eo insegnare la grammatica e porre in
artificio quaestus fecissent, commune comune gli utili che avessero ricavato
eorum esset: de ea re quae voluerunt da questa professione615: ciò che vole-
fieri in pacto convento societatis vano fosse fatto, lo dedussero in un
proscripserunt, deinde inter se his verbis patto scritto616 di società, poi617 fecero
stipulati sunt: ‘haec, quae supra scripta una stipulatio reciproca618 con queste
sunt, ea ita dari fieri neque adversus ea parole: “Prometti di dare o fare ciò che
fieri? Si ea ita data facta non erunt, è scritto sopra619 e di non far nulla in
tum viginti milia dari?’. Quaesitum contrario? Se ciò non sarà dato o fatto
così, prometti di dare ventimila?”620.
Si chiese se, qualora sia stato fatto
qualcosa in contrario621, si possa agire

614 Rubrica del titolo: Pro socio (= Dell’azione pro socio).


615 Cioè si misero insieme per raggiungere uno scopo comune. La menzione del pactum con-
ventum societatis allude al consenso, cioè al perfezionamento del contratto di società: la reda-
zione scritta del suo contenuto ha una mera portata probatoria. Sul contratto di società, ARAN-
GIO-RUIZ, Istituzioni cit., p. 349 ss.; BIONDI, Istituzioni cit., p. 506 ss.
616 Mettere per iscritto il contenuto del rapporto di società serve a ricordarlo e a precosti-
tuire una prova in vista di eventuali controversie: la scrittura non determina le obbligazioni dei
soci, che nascono dall’accordo (la società è un contratto consensuale). Sui patti contenuti nei
contratti (pacta in continenti) e su quelli conclusi fuori di essi (pacta ex intervallo), cfr. ARAN-
GIO-RUIZ, Istituzioni cit., p. 353 ss.; BIONDI, Istituzioni cit., p. 375 ss.
617 Cioè dopo la conclusione del contratto di società e la redazione scritta del pactum con-
ventum societatis.
618 Cioè ciascuno dei due si impegna nei confronti dell’altro con due distinte stipulationes:
il socio A si impegna nei confronti del socio B con una stipulatio e il socio B si impegna nei con-
fronti del socio A con un’altra stipulatio di identico contenuto: le parti si impegnano cioè reci-
procamente ad eseguire le obbligazioni sociali.
619 Cioè nel documento contenente gli accordi inter partes.
620 Sottinteso: “Prometto” (clausola penale).
621 Cioè contravvenendo agli obblighi del contratto di società.

108
39. D.17.2.71 pr. Alfeno, terzo libro dei digesti epitomati da Paolo

est, an, si quid contra factum esset, con l’azione di società622. Rispose623:
societatis actione agi posset. Respondit, se dopo aver concluso il patto di socie-
si quidem pacto convento inter eos de tà, hanno stipulato624: “Prometti di
societate facto ita stipulati essent, ‘haec dare o fare questo così?”625, e lo hanno
ita dari fieri spondes?’, futurum fuisse, fatto a titolo di novazione626, non si
ut, si novationis causa id fecissent, pro potrà agire pro socio, ma l’intero rap-
socio agi non possit, sed tota res in porto è da ritenere trasferito nella sti-
stipulationem translata videretur. Sed pulazione627. Poiché tuttavia non
quoniam non ita essent stipulati ‘ea ita hanno stipulato: “Prometti di dare o
dari fieri spondes?’ sed ‘si ea ita facta fare questo così?”628, ma: “Se questo
non essent, decem dari?’ non videri sibi non sarà fatto così629, prometti di dare
rem in stipulationem pervenisse, sed dieci?”630, ritiene631 che nella stipula-
dumtaxat poenam (non enim utriusque zione non sia stato dedotto il rapporto
rei promissorem obligari, ut ea daret di società, ma soltanto la penale (il
promittente non è infatti obbligato ad
ambedue le prestazioni, cioè a dare o a

622 Cioè, il socio che non abbia rispettato le clausole del contratto redatte per iscritto può
essere convenuto in giudizio con l’azione che nasce dal contratto di società (actio pro socio)? La
ratio dubitandi sta in ciò, che le parti hanno trasferito le obbligazioni societarie nella stipulatio.
623 Servio.
624 Cioè hanno dedotto nella stipulatio.
625 Sottinteso: “Prometto”.
626 La frase potrebbe essere interpolata, perché nell’epoca di Alfeno l’effetto novativo non
dipende dall’intento soggettivo di novare, ma dal fatto in sé della transfusio atque translatio prio-
ris obligationis in aliam obligationem. Ma novationis causa non allude forse necessariamente,
nel testo di Alfeno, all’animus novandi, cioè all’intento giuridico di effettuare una novazione:
Alfeno dice soltanto, a mio parere, che altro è la novazione, altro la clausola penale (si veda la
parte finale del fr. con la nt. 635).
627 Per effetto della novazione, il rapporto di società si estingue e pertanto l’actio pro socio
non è esperibile. Sulla novazione, cfr. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni cit., p. 396 s.; BIONDI, Istituzio-
ni cit., p. 420 ss.
628 Sottinteso: “Prometto”. Il senso è: non hanno dedotto nella stipulatio il rapporto di socie-
tà trasformandolo in una obligatio verbis.
629 Cioè se le clausole redatte per iscritto del contratto di società non saranno rispettate.
630 Cioè: “Prometti di pagare una penale di dieci?” (sottinteso: “Prometto”). Questo è l’uni-
co obbligo nascente dalla stipulatio, che contiene la sola clausola penale.
631 Servio.

109
39. D.17.2.71 pr. Alfeno, terzo libro dei digesti epitomati da Paolo

faceret et, si non fecisset, poenam fare632, e a subire la pena633 se non


sufferret) et ideo societatis iudicio agi l’abbia fatto634): e pertanto si può agire
posse. con l’azione di società635.

632 Quanto indicato nel contratto di società.


633 Cioè a pagare la penale.
634 Cioè se non abbia adempiuto gli obblighi del contratto di società.
635 Dal momento che nella stipulatio non è confluito il rapporto di società, bensì il mero
obbligo di pagare la penale, l’actio pro socio può essere intentata contro il socio che non abbia
rispettato le clausole del contratto di società. Cfr. nt. 622. Servio reagisce contro l’idea che la
clausola penale comporti novazione delle obbligazioni cui accede.

110
40. D.18.1636.6.1 Pomponio, nono libro del commentario a Sabino

Si fundus annua bima trima die ea Se un fondo è stato venduto con le


lege venisset, ut, si in diem statutum clausole che, se il prezzo non verrà
pecunia soluta non esset, fundus pagato nel termine stabilito di uno,
inemptus foret et ut, si interim emptor due o tre anni, il fondo si considererà
fundum coluerit fructusque ex eo come non comprato637; che, se nel frat-
perceperit, inempto eo facto tempo il compratore avrà coltivato il
restituerentur et ut, quanti minoris fondo percependone i frutti, conside-
postea alii venisset, ut id emptor rato questo come non comprato638, i
venditori praestaret: ad diem pecunia frutti dovranno essere restituiti639; che
non soluta placet venditori ex vendito il compratore rimborserà al venditore
l’eventuale minor somma che egli rica-
verà dalla vendita fatta in seguito ad
un altro640: si ritiene che, se il prezzo
non è stato pagato nel termine, il ven-
ditore abbia a questo titolo l’azione di
vendita641. Non dobbiamo stupirci che

636 Rubrica del titolo: De contrahenda emptione et de pactis inter emptorem vel venditorem
compositis et quae res venire non possunt (= Del contratto di compravendita, dei patti conclusi
fra compratore e venditore e delle cose che non possono essere vendute).
637 Cfr. D.18.3.2 Pomp. 35 ad Sab. “Il venditore si riserva il diritto di considerare come non
avvenuta la vendita, qualora il prezzo non sia stato pagato nel tempo stabilito (D.18.3.2; i giu-
risti dicono: magis est, ut sub condicione resolvi emptio quam sub condicione contrahi videatur...;
pertanto la vendita produce senz’altro gli effetti di cui è capace, i quali però sono revocati dal
giorno in cui la vendita è conchiusa, se il prezzo non è stato pagato...” (BIONDI, Istituzioni cit.,
p. 496). La lex commissoria si considera cioè come condizione risolutiva posta nell’interesse del
venditore, non anche in quello del compratore.
638 La lex commissoria, in quanto condizione risolutiva degli effetti della vendita, ha effica-
cia retroattiva: gli effetti del contratto s’intendono revocati dal momento della sua conclusione.
639 Al venditore. Cfr. D.18.3.5 Ner. 5 membr.
640 “Il compratore si impegna a rimborsare al venditore la differenza fra il prezzo pattuito
con lui e il prezzo che il venditore, una volta sciolto dall’impegno per il mancato pagamento nel
termine stabilito, ottiene vendendo successivamente il fondo ad un altro” (NEGRI (a cura di),
Digesto cit., p. 47, nt.2).
641 Per l’adempimento delle clausole contrattuali.

111
40. D.18.1.6.1 Pomponio, nono libro del commentario a Sabino

eo nomine actionem esse. Nec si dica che ci sarà l’azione di vendi-


conturbari debemus, quod inempto ta642 quando il fondo si considera
fundo facto dicatur actionem ex come non comprato: nei rapporti di
vendito futuram esse: in emptis enim et compravendita si deve, infatti, seguire
venditis potius id quod actum, quam id più quanto è stato effettivamente stabi-
quod dictum sit sequendum est, et cum lito643, che ciò che è stato detto dalle
lege id dictum sit, apparet hoc parti644, e da ciò che è stato detto nella
dumtaxat actum esse, ne venditor clausola645 appare stabilito soltanto
emptori pecunia ad diem non soluta che, in caso di mancato pagamento del
obligatus esset, non ut omnis obligatio prezzo nel termine, il venditore non
empti et venditi utrique solveretur. sarà più obbligato verso il compratore,
non che l’intero rapporto obbligatorio
di compravendita sia sciolto per
entrambe le parti646.

642 La soluzione potrebbe stupire, perché, se il prezzo non è stato versato, in forza della lex
commissoria il contratto di compravendita si intende come non concluso.
643 Cioè quanto è stato obiettivamente concluso dalle parti: id quod actum est.
644 Id quod dictum est: se le parole usate dalle parti esprimono il consenso, eventuali imper-
fezioni o apparenti illogismi sono irrilevanti.
645 Clausola commissoria.
646 La lex commissoria, benché formulata nei termini: “il fondo si considererà come non
comprato” e quindi dal lato del compratore, è posta tuttavia nell’interesse del venditore (cfr.
D.18.3.2 Pomp. 35 ad Sab.); pertanto, si considerano sciolte le obbligazioni del venditore, non
anche quelle del compratore.

112
41. D.18.1.57 pr. Paolo, quinto libro del commentario a Plauzio647

Domum emi, cum eam et ego et Ho comprato una casa, che sia io, sia
venditor combustam ignoraremus. il venditore ignoravamo fosse andata a
Nerva Sabinus Cassius nihil venisse, fuoco: Nerva648, Sabino e Cassio dico-
quamvis area maneat, pecuniamque no che, benché sia rimasta l’area649, la
solutam condici posse aiunt. Sed si pars vendita è nulla650 e si può ottenere651
domus maneret, Neratius ait hac la restituzione del prezzo già paga-
quaestione multum interesse, quanta to652; ma, se una parte della casa fosse
pars domus incendio consumpta stata risparmiata dall’incendio, Nera-
permaneat, ut, si quidem amplior zio dice che, in questo caso, ha molta
domus pars exusta est, non compellatur importanza stabilire quanta parte della
emptor perficere emptionem, sed etiam casa danneggiata sia rimasta in piedi,
quod forte solutum ab eo est repetet: sin nel senso che, se ne è bruciata la mag-
vero vel dimidia pars vel minor quam gior parte, il compratore non solo non
dimidia exusta fuerit, tunc coartandus sarà costretto ad eseguire il contrat-
to653, ma potrà anche ripetere quanto
avesse eventualmente pagato654; se
invece ne è bruciata la metà o meno
della metà, il compratore deve essere
costretto ad adempiere la vendita655,

647 Commento alle opere di Plauzio, o opera dedicata a Plauzio.


648 Nerva padre.
649 Su cui la casa è stata costruita.
650 La casa non esisteva più quando il contratto è stato concluso: la vendita è quindi nulla
perché originariamente priva di oggetto.
651 Cioè: il compratore può ottenere.
652 Condici posse: cioè si può ottenere la restituzione del prezzo con la condictio (sine causa).
Cfr. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni cit., p. 361.
653 Cioè, non dovrà pagare il prezzo.
654 A titolo di prezzo.
655 Cioè a pagare il prezzo.

113
41. D.18.1.57 pr. Paolo, quinto libro del commentario a Plauzio

est emptor venditionem adimplere facendo ricorso alla stima di un arbi-


aestimatione viri boni arbitratu habita, tro656, in modo da essere liberato dalla
ut, quod ex pretio propter incendium prestazione della parte di prezzo, cor-
decrescere fuerit inventum, ab huius rispondente all’accertata diminuzione
praestatione liberetur. di valore, dovuta all’incendio657.

656 Boni viri arbitratu, cioè ricorrendo ad un arbitro o arbitratore (terzi rispetto alle parti)
che accertino l’entità della diminuzione di valore della casa. Cfr. art.1473 c.c.
657 L’arbitro ridurrà il prezzo in relazione al valore della parte della casa risparmiata dalle
fiamme.

114
42. D.18.1.77 Giavoleno, quarto libro delle opere postume di Labeone

In lege fundi vendundi lapidicinae in Nella clausola658 della vendita di un


eo fundo ubique essent exceptae erant, fondo erano state eccettuate le cave di
et post multum temporis in eo fundo pietra659, dovunque si trovassero660;
repertae erant lapidicinae. Eas quoque molto tempo dopo, nel fondo venduto
venditoris esse Tubero respondit: Labeo vennero scoperte nuove cave di pie-
referre quid actum sit: si non appareat, tra661. Tuberone rispose che anche
non videri eas lapidicinas esse queste appartegono al venditore662.
exceptas: neminem enim nec vendere Labeone dice, invece, che ci si deve
nec excipere quod non sit, et lapidicinas riferire a ciò che è stato stabilito dalle
parti663; che, se ciò non appare, le
cave nuovamente scoperte non sono da
ritenere eccettuate664, perché nessuno
può vendere o riservarsi ciò che non
esiste, e non esistono come cave di
pietra se non quelle già scoperte e in

658 Lex contractus vincolante per entrambe le parti.


659 Lapidicinae: da lapis (pietra) e caedere (tagliare). Si tratta cioè di giacimenti minerari da
cui la pietra è estratta. Il venditore si è riservato la proprietà delle cave di pietra del fondo ven-
duto.
660 Ubique essent: ratio della decisione di Tuberone, che si basa sulla lettera della clausola
(le cave nuovamente scoperte sono pur sempre cave ubique essent).
661 Ignote al momento della conclusione del contratto, perché non ancora scoperte nel sot-
tosuolo del fondo: queste appartengono al venditore o all’acquirente?
662 Ai sensi della clausola di riserva delle cave ubique essent: cfr. nt. 660.
663 Interpretando il contratto per riscostruire l’id quod actum sit.
664 Dal venditore: esse appartengono cioè all’acquirente.

115
42. D.18.1.77 Giavoleno, quarto libro delle opere postume di Labeone

nullas esse, nisi quae apparent et attività di esercizio665; che, interpre-


caedantur: aliter interpretantibus tando diversamente666, se nell’intero
totum fundum lapidicinarum fore, si sottosuolo si trovasse della pietra, l’in-
forte toto eo sub terra esset lapis. Hoc tero fondo sarebbe una cava di pie-
probo. tra667. Io approvo668.

665 Le cave di pietra scoperte successivamente non rientrano nella clausola, perché non se
ne conosceva l’esistenza al momento della conclusione del contratto. Le cave di cui si ignora
l’esistenza sono bensì giacimenti di pietra, ma non sono cave: rientrano pertanto nella clausola
soltanto le cave in attività estrattiva al momento della conclusione del contratto. Labeone
costruisce la nozione giuridica di cava come giacimento minerario in attività di esercizio indu-
striale.
666 Cioè come Tuberone.
667 Labeone critica sul piano logico e nei conseguenti effetti pratici la tesi di Tuberone, il
quale identifica lapidicinae (cave) con lapis (pietra). Se fossero riservate al venditore anche le
cave scoperte nuovamente, si intendesse per cava di pietra un mero giacimento in senso geolo-
gico e il sottosulo del fondo fosse interamente composto di pietra, tutto il fondo venduto appar-
terrebbe al venditore e la vendita sarebbe nulla per inesistenza dell’oggetto: una soluzione che
porta ad una conseguenza pratica del genere è per Labeone da disapprovare.
668 Giavoleno approva la tesi di Labeone.

116
43. D.18.3669.2 Pomponio, trentacinquesimo libro del commentario a Sabino

Cum venditor fundi in lege ita caverit: Se il venditore di un fondo in una clau-
‘si ad diem pecunia soluta non sit, ut sola del contratto ha disposto così:
fundus inemptus sit’, ita accipitur “Qualora il prezzo non venga pagato
inemptus esse fundus, si venditor entro il termine pattuito, il fondo si
inemptum eum esse velit, quia id consideri come non comprato”670, il
venditoris causa caveretur: nam si fondo s’intende non comprato, se è il
aliter acciperetur, exusta villa in venditore a volere gli effetti della clau-
potestate emptoris futurum, ut non sola, perché questa è posta nell’inte-
dando pecuniam inemptum faceret resse del venditore671: infatti, se si
fundum, qui eius periculo fuisset. intendesse diversamente672, qualora la
villa673 fosse andata a fuoco, il com-
pratore, non pagandone il prezzo,
potrebbe considerare il fondo come
non comprato, evitando così le conse-
guenze del perimento, che avrebbe
invece dovuto essere a suo rischio674.

669 Rubrica del titolo: De lege commissoria (= Della clausola commissoria).


670 Lex commissoria.
671 Cfr. D.18.1.6.1 Pomp. 9 ad Sab.
672 Cioè, se non si considerasse la clausola nell’interesse del venditore.
673 Rustica, parte del fondo oggetto della compravendita.
674 Se si intendesse la lex commissoria secondo la sua formulazione letterale (“il fondo si
consideri come non comprato”) cioè come clausola posta nell’interesse del compratore, questi,
non pagando il prezzo, potrebbe evitare il rischio del perimento della cosa, rischio che invece
gli incombe.

117
44. D.18.3.5 Nerazio, quinto libro delle membranae675

Lege fundo vendito dicta, ut, si intra Con la clausola della vendita di un
certum tempus pretium solutum non sit, fondo, secondo la quale, se il prezzo
res inempta sit, de fructibus, quos non venga pagato entro un certo termi-
interim emptor percepisset, hoc agi ne, la cosa si considera come non com-
intellegendum est, ut emptor interim prata676, s’intende677, riguardo ai frutti
eos sibi suo quoque iure perciperet: sed che nel frattempo il compratore ha
si fundus revenisset, Aristo existimabat percepito678, che questi li abbia perce-
venditori de his iudicium in emptorem piti legittimamente679: ma se il fondo è
dandum esse, quia nihil penes eum tornato al venditore680, Aristone era
residere oporteret ex re, in qua fidem dell’opinione che si debba dargli, con-
fefellisset. tro il compratore, l’azione681 riguardo
ai frutti682, perché nulla deve rimane-
re a quest’ultimo in una situazione
nella quale egli ha violato la fides683.

675 Cfr. nt. alla rubrica del fr. nr.38.


676 Clausola commissoria.
677 Cioè che le parti abbiano effettivamente inteso (id quod actum sit).
678 Ci si interroga se il compratore abbia il diritto di tenere i frutti, percepiti nell’intervallo
fra la conclusione del contratto e la scadenza del termine previsto dalla clausola, o debba resti-
tuirli al venditore.
679 Secondo Nerazio, il compratore ha percepito legittimamente i frutti, perché il contratto,
fino alla scadenza del termine, produce i propri effetti.
680 Per il mancato pagamento del prezzo.
681 Actio venditi.
682 Per la restituzione dei frutti percepiti dal compratore. Cfr. D.18.1.6.1 Pomp. 9 ad Sab.
683 L’acquirente si era impegnato a versare il prezzo entro un determinato termine. Il man-
cato pagamento costituisce violazione della fides. La lex commissoria ha efficacia retroattiva: gli
effetti del contratto, cioè, s’intendono risolti dal giorno della sua conclusione.

118
45. D.19.2684.15 pr.-2 Ulpiano, trentaduesimo libro del commentario all’editto

Ex conducto actio conductori datur. 1. Al conduttore è data l’azione ex con-


Competit autem ex his causis fere: ut ducto685. 1. Questa compete per lo più
puta si re quam conduxit frui ei non in tali casi: come, per esempio, se non
liceat (forte quia possessio ei aut totius gli sia consentito di godere della cosa
agri aut partis non praestatur, aut villa che ha affittato686 (magari perché non
non reficitur vel stabulum vel ubi gli è dato il possesso687 di tutto o di
greges eius stare oporteat) vel si quid in parte del terreno oppure non vengono
lege conductionis convenit, si hoc non riparate688 la casa colonica, la stalla o
praestatur, ex conducto agetur. 2. Si vis il locale ove debbono ricoverarsi le
tempestatis calamitosae contigerit, an greggi) o non venga eseguita la presta-
locator conductori aliquid praestare zione convenuta in una lex conductio-
debeat, videamus. Servius omnem vim, nis689. 2. Vediamo se il locatore è tenu-
cui resisti non potest, dominum colono to nei confronti del conduttore, nel
praestare debere ait, ut puta fluminum, caso di una grandinata particolarmen-
te dannosa. Servio dice che il proprie-
tario deve garantire il colono690 per
ogni violenza cui non è possibile resi-
stere691, come, ad esempio, quella dei
fiumi, dei corvi o degli storni ed altre
analoghe, o anche nel caso si verifichi

684 Rubrica del titolo: Locati conducti (= Delle azioni di locazione e di conduzione). Sulla
locazione, cfr. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni cit., p. 345 ss.; BIONDI, Istituzioni cit., p. 497 ss.
685 Contro il locatore che non abbia adempiuto i propri obblighi contrattuali.
686 “Il locante ha l’obbligo di lasciar godere al conduttore la cosa locata per tutto il periodo
della locazione. Si parla di frui o perfrui che si concreta nel ricavare le utilità consentite dalla
cosa nella sua naturale ed attuale destinazione...” (BIONDI, Istituzioni cit., p. 500).
687 Nel senso di possessio naturalis, ovvero di detenzione.
688 “Il locante deve mantenere per tutta la durata della locazione la cosa in condizioni tali
da consentire il godimento normale di essa secondo la sua destinazione. Da ciò deriva che le
spese di manutenzione incombono sul locante...” (BIONDI, Istituzioni cit., p. 501).
689 Cioè in una clausola del contratto nell’interesse del conduttore.
690 Cioè il conduttore.
691 Vis, cui resisti non potest: causa di forza maggiore.

119
45. D.19.2.15 pr.-2 Ulpiano, trentaduesimo libro del commentario all’editto

graculorum, sturnorum et si quid un’incursione nemica692. I vizi che


simile acciderit, aut si incursus hanno origine dalla cosa stessa, come
hostium fiat: si qua tamen vitia ex ipsa se il vino sia inacidito o le messi siano
re oriantur, haec damno coloni esse, state rovinate da insetti o erbacce,
veluti si vinum coacuerit, si raucis aut sono invece a danno del colono693. Nel
herbis segetes corruptae sint. Sed et si caso però di una calamità naturale che
labes facta sit omnemque fructum abbia distrutto l’intero raccolto, ciò
tulerit, damnum coloni non esse, ne non sarà a danno del colono, in modo
supra damnum seminis amissi che, oltre ad aver subito la perdita
mercedes agri praestare cogatur. Sed et delle messi, egli non sia costretto a
si uredo fructum oleae corruperit aut corrispondere anche l’affitto del terre-
solis fervore non adsueto id acciderit, no. Ma, se un’anormale siccità694 ha
damnum domini futurum: si vero nihil rovinato il raccolto delle olive, o ciò è
extra consuetudinem acciderit, accaduto per il calore inconsueto del
damnum coloni esse. Idemque sole, il danno sarà a carico del pro-
dicendum, si exercitus praeteriens per prietario; se invece non è accaduto
lasciviam aliquid abstulit. Sed et si niente di inconsueto, il danno è del
ager terrae motu ita corruerit, ut colono. Lo stesso si deve dire se un
nusquam sit, damno domini esse: esercito di passaggio ha portato via
oportere enim agrum praestari qualcosa per dispetto695. Ma, se il ter-
conductori, ut frui possit. reno è stato sconvolto dal terremoto al
punto da non esistere praticamente
più, il danno è del proprietario696: la
disponibilità del terreno deve essere,
infatti, garantita al colono affinché ne
possa godere.

692 Incursus hostium, anch’esso vis, cui resisti non potest. In questi casi, il locatore non pre-
tenderà dal conduttore il pagamento del canone.
693 Il colono non può cioè pretendere una riduzione del canone di locazione o addirittura
l’esenzione dall’obbligo di pagarlo, adducendo, ad es., come giustificazione, il fatto che il vino
prodotto dalle vigne locate è inacidito o che le messi coltivate sul fondo locato sono state dan-
neggiate dagli insetti o da erbe infestanti.
694 Evento straordinario e imprevedibile.
695 Non, ad es., per requisizione a scopo di approvigionamento della truppa.
696 Che non potrà esigere l’affitto.

120
46. D.19.2.19.1 e 6 Ulpiano, trentaduesimo libro del commentario all’editto

1. Si quis dolia vitiosa ignarus 1. Se uno ha dato in locazione delle


locaverit, deinde vinum effluxerit, botti697 senza sapere che erano difetto-
tenebitur in id quod interest nec se e il vino è fuoriuscito, sarà tenuto
ignorantia eius erit excusata: et ita all’id quod interest698 e la sua ignoran-
Cassius scripsit. Aliter atque si saltum za non sarà scusata699: così ha scritto
pascuum locasti, in quo herba mala Cassio. La soluzione è invece diver-
nascebatur: hic enim si pecora vel sa700 se hai dato in locazione un fondo
demortua sunt vel etiam deteriora destinato al pascolo, nel quale cresce-
facta, quod interest praestabitur, si va erba velenosa: in questo caso, infat-
scisti; si ignorasti, pensionem non ti, se le pecore701 sono morte o si sono
petes, et ita Servio Labeoni Sabino anche soltanto ammalate, si dovrà pre-
stare l’id quod interest702 se lo sape-
vi703; se non lo sapevi704, non potrai
chiedere il pagamento della pigio-

697 Locatio rei.


698 Cioè a corrispondere l’equivalente in denaro dell’interesse del conduttore a che il vino
non si versasse. Questo interesse sarà appunto oggetto di valutazione (litis aestimatio) nella fase
apud iudicem del processo ex conducto.
699 Il locatore non potrà sottrarsi alla responsabilità per inadempimento adducendo come
scusa l’ignoranza del vizio della cosa locata. Cfr. D.13.6.18.3 Gai. 9 ad ed.
700 Diverso, invece, secondo Servio, Labeone e Sabino è il regime della responsabilità del
locatore a seconda che sappia o non sappia dell’esistenza dei vizi nella cosa locata, nel caso di
locazione di pascolo.
701 Del conduttore.
702 Cioè si dovrà pagare l’equivalente pecuniario dell’interesse dell’affittuario a che gli ani-
mali non morissero o non si ammalassero per aver mangiato l’erba velenosa che cresceva sul
fondo.
703 Se hai dato in locazione un campo destinato al pascolo sapendo che in esso cresceva del-
l’erba velenosa e gli animali del conduttore sono morti o comunque si sono ammalati per aver-
vi pascolato, dovrai risarcire il danno al conduttore. Cfr. la soluzione di Cassio nel caso in cui
il locatore ignorasse l’esistenza di vizi delle botti locate: l’ignoranza del vizio non esclude la
responsabilità del locatore, perché egli poteva, e quindi doveva, controllare e non ha controlla-
to. Nel caso dell’erba velenosa, il controllo è invece impossibile, quindi l’ignoranza del vizio
esclude la responsabilità del locatore.
704 Cioè, se ignoravi che sul fondo cresceva dell’erba cattiva.

121
46. D.19.2.19.1 e 6 Ulpiano, trentaduesimo libro del commentario all’editto

placuit. 6. Si quis, cum in annum ne705, e così è stato deciso da Servio,


habitationem conduxisset, pensionem Labeone e Sabino. 6. Se uno, avendo
totius anni dederit, deinde insula post preso in conduzione un’abitazione per
sex menses ruerit vel incendio un anno, ha anticipato il canone del-
consumpta sit, pensionem residui l’intero anno e poi, dopo sei mesi,
temporis rectissime Mela scripsit ex l’isolato706 è crollato o è andato
conducto actione repetiturum, non distrutto per un incendio, Mela ha
quasi indebitum condicturum: non scritto molto giustamente che potrà
enim per errorem dedit plus, sed ut sibi ripetere il canone per il tempo resi-
in causam conductionis proficeret. duo707 con l’azione ex conducto; non
Aliter atque si quis, cum decem potrà invece ripeterlo con la condictio,
conduxisset, quindecim solverit: hic quasi si trattasse di un indebito708:
enim si per errorem solvit, dum putat se egli, infatti, non ha pagato di più per
quindecim conduxisse, actionem ex errore, ma per portarsi avanti nel-
conducto non habebit, sed solam l’adempimento degli obblighi derivan-
condictionem. nam inter eum, qui per ti dalla conduzione. Diverso è il caso
errorem solvit, et eum, qui pensionem di uno che abbia pagato quindici,
integram prorogavit, multum interest. avendo preso in conduzione a dieci:
qui, infatti, se ha pagato per errore
credendo di aver preso in conduzione
per quindici, non avrà l’azione ex con-
ducto ma soltanto la condictio. C’è
infatti molta differenza fra chi ha paga-
to per errore e chi ha anticipato il
canone per intero.

705 Cioè il canone di locazione. Secondo Servio, Labeone e Sabino, dunque, l’ignoranza del
vizio esclude l’obbligo di risarcimento del danno.
706 Nel quale si trovava l’abitazione presa in affitto.
707 Per i restanti sei mesi, nei quali non ha goduto della casa.
708 Sulla condictio indebiti, cfr. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni cit., p. 360 s.; BIONDI, Istituzioni
cit., p. 541 s.

122
47. D.19.2.30.2 Alfeno, terzo libro dei digesti epitomati da Paolo

Qui mulas ad certum pondus oneris Chi aveva locato delle mule per il cari-
locaret, cum maiore onere conductor co di un determinato peso709, poiché il
eas rupisset, consulebat de actione. conduttore le aveva storpiate con un
Respondit vel lege Aquilia vel ex locato carico maggiore, chiedeva consiglio
recte eum agere: sed lege Aquilia circa l’azione710. Rispose711 che egli
tantum cum eo agi posse, qui tum può agire fondatamente sia in base alla
legge Aquilia, sia ex locato712, ma che
in base alla legge Aquilia può agire
soltanto contro chi guidava le mule in

709 Il conduttore si è obbligato a non caricare le mule più di quanto previsto dalla lex locationis
(clausola del contratto di locazione).
710 Da esperire per ottenere il risarcimento del danno.
711 Servio.
712 Perché queste hanno natura e scopo diversi: l’una (actio legis Aquiliae) è ex delicto ed è mista
perché mira al risarcimento del danno o anche alla pena pecuniaria, a seconda che il convenuto con-
fessi o si difenda (azione con la quale rem et poenam persequimur: cfr. Gai. 4.9), l’altra (actio ex loca-
to) è un’azione ex contractu con la quale rem persequimur (cfr. Gai. 4.7) perché mira al risarcimento
del danno dovuto all’inadempimento degli obblighi del conduttore. Cfr. D.9.2.7.8 Ulp. 18 ad ed.;
D.13.6.18.1 Gai. 9 ad ed. prov.

123
47. D.19.2.30.2 Alfeno, terzo libro dei digesti epitomati da Paolo

mulas agitasset; ex locato, etiam si quel momento713; ex locato contro il


alius eas rupisset, cum conductore recte conduttore714, anche se le mule le
agi. avesse storpiate un altro.

713 Cioè al momento dell’incidente in occasione del carico delle mule. Ai fini dell’esperibilità del-
l’actio legis Aquiliae il danno deve essere causato corpore corpori: l’azione è dunque fondata se espe-
rita contro chi ha corpore corpori storpiato le mule (legitimato passivo: conduttore o terzo al quale il
conduttore ha affidato il trasporto); è infondata se esperita contro un soggetto diverso, perché, se non
è stato questo a provocare il danno, nei suoi confronti non c’è diritto al risarcimento del danno extra-
contrattuale (ex lege Aquilia).
714 L’azione ex locato è fondata se esperita contro il conduttore (legittimato passivo), anche se a
storpiare le mule è stato un altro, ad es. un suo dipendente libero: il conduttore infatti avrebbe dovu-
to controllare adeguatamente il carico effettuato dal terzo, allo scopo di evitare il verificarsi del danno.
L’actio ex locato è infondata se esperita contro una persona diversa dal conduttore, perché non è que-
st’ultima che ha stipulato il contratto con il locatore. Le azioni concorrono se conduttore e conducen-
te sono la stessa persona (concorso cumulativo di azioni: cfr. D.9.2.7.8 Ulp. 18 ad ed.; D.13.6.18.1 Gai.
9 ad ed. prov.). Il pretore evita tuttavia una doppia condanna mediante lo strumento della denegatio
actionis: se, ad es., l’attore ha esperito vittoriosamente l’actio ex locato contro il convenuto conduttore
che ha caricato personalmente le mule e conviene di nuovo in giudizio quest’ultimo con l’actio legis
Aquiliae, il pretore gli denega l’azione e così nel caso contrario (se l’attore ha esperito l’azione di legge
Aquilia vittoriosamente e poi esperisce quella ex locato contro il medesimo convenuto-conduttore). Il
concorso cumulativo di azioni crea in questo caso, per il conduttore che ha caricato lui le mule, una
situazione iniqua, che il pretore rimuove.

124
48. D.19.2.31 Alfeno, quinto libro dei digesti epitomati da Paolo

In navem Saufeii cum complures Dopo che più persone avevano carica-
frumentum confuderant, Saufeius uni to alla rinfusa sulla nave di Saufeio del
ex his frumentum reddiderat de frumento715, Saufeio aveva restituito
communi et navis perierat: quaesitum parte del frumento comune716 ad una
est, an ceteri pro sua parte frumenti sola di loro, poi la nave era affondata.
cum nauta agere possunt oneris aversi Si chiese se gli altri possano agire con-
actione. Respondit rerum locatarum tro l’armatore717, ciascuno per la pro-
duo genera esse, ut aut idem redderetur pria parte di frumento, con l’actio one-
(sicuti cum vestimenta fulloni curanda ris aversi718. Rispose719 che vi sono
locarentur) aut eiusdem generis due generi di locazione, uno in cui
redderetur (veluti cum argentum deve essere restituita la medesima
cosa (come, ad esempio, quando i
vestiti sono dati in locazione al lavan-
daio720 perché ne abbia cura721), un

715 Affidandolo a Saufeio perché lo trasportasse a destinazione. Il frumento è confuso in


un’unica massa: l’armatore dovrà restituire la stessa quantità di frumento che ha ricevuto all’ini-
zio dai singoli clienti.
716 Saufeio ha restituito una parte di frumento togliendola dalla massa comune. Ad es., sono
stati caricati cento quintali di frumento appartenenti a dieci commercianti, ciascuno dei quali
ha consegnato dieci quintali: dieci sono stati restituiti poi ad uno dei commercianti, mentre gli
altri novanta sono andati perduti con la nave.
717 Saufeio.
718 Azione di carico marittimo che è stato sottratto. È questo l’unico frammento del Digesto
giustinianeo che ne testimonia l’esistenza. I compilatori giustinianei lo hanno probabilmente
conservato per il suo valore teorico: in esso infatti si discute di vari istituti. L’actio oneris aver-
si si esperiva di regola contro l’armatore di una nave su cui fossero state caricate merci che poi
l’armatore stesso avesse fatto sparire, magari simulando un incidente. Dal fr. sembra si possa
desumere che al tempo di Servio l’azione era sussidiaria (cioè esperibile quando, nel caso con-
creto, non lo fosse nessun’altra azione).
719 Servio.
720 Conductor operis.
721 Oggetto della locazione sono i vestiti da custodire, non da usare. Si parla solitamente in
questi casi di locatio operis, ma il fr. parla di locatio rei curandae, un genus rei locatae diverso
dalla locatio rei utendae. Cfr. Ulp. 30 ad ed. D.16.3.1.8-10.

125
48. D.19.2.31 Alfeno, quinto libro dei digesti epitomati da Paolo

pusulatum fabro daretur, ut vasa altro in cui deve essere restituita una
fierent, aut aurum, ut anuli): ex cosa del medesimo genere722 (come,
superiore causa rem domini manere, ex ad esempio, quando si dà a un gioiel-
posteriore in creditum iri. Idem iuris liere dell’argento fuso, perché ne siano
esse in deposito: nam si quis pecuniam fatti dei vasi, o dell’oro, perché ne sia
numeratam ita deposuisset, ut neque tratto un anello). Nel primo caso, la
clusam neque obsignatam traderet, sed cosa continua ad appartenere al pro-
adnumeraret, nihil alius eum debere prietario, nel secondo viene dedotta in
apud quem deposita esset, nisi un rapporto di credito723. Lo stesso
tantundem pecuniae solveret. regime si ha nel deposito: infatti, se
Secundum quae videri triticum factum taluno ha depositato del denaro senza
Saufeii et recte datum. Quod si consegnarlo in sacchetti chiusi o sigil-
separatim tabulis aut heronibus aut in lati, ma in contanti, colui presso il
alia cupa clusum uniuscuiusque quale è stato depositato non deve fare
triticum fuisset, ita ut internosci posset altro che restituire la stessa quanti-
quid cuiusque esset, non potuisse nos tà724 di denaro. Alla stregua di queste
considerazioni si deve ritenere che il
grano725 sia diventato di Saufeio726 e
che sia stato consegnato727 a buon
diritto. Se invece il grano di ciascuno
fosse stato caricato separatamente,
chiuso in casse, sacchi o altri reci-
pienti, in modo da poter riconoscere i

722 Cioè dello stesso genere di metallo, non la medesima cosa (come nel caso dei vestiti).
723 L’orefice deve trasformare l’argento o l’oro nella species richiestagli dal cliente, perché
vi si è impegnato con il contratto di locazione d’opera. Qui Alfeno non dice che l’orefice diven-
ta proprietario dell’oro, ma soltanto che egli deve trarre la species dal metallo del cliente.
724 Tantundem eiusdem generis: nel deposito, avente ad oggetto una quantità di denaro
(pecunia numerata) non racchiusa in un contenitore sigillato, il depositario deve restituire la
stessa quantità di denaro.
725 Caricato alla rinfusa sulla nave di Saufeio.
726 Per essere stato caricato sulla nave alla rinfusa, come nel caso di deposito di denaro con-
tante effettuato da più persone.
727 Al cliente cui è stato dato prima del naufragio.

126
48. D.19.2.31 Alfeno, quinto libro dei digesti epitomati da Paolo

permutationem facere, sed tum posse contenitori appartenenti a ciascuno728,


eum cuius fuisset triticum quod nauta non avremmo potuto scambiare il con-
solvisset vindicare. Et ideo se tenitore di uno con quello di un altro e
improbare actiones oneris aversi: quia colui al quale apparteneva il grano che
sive eius generis essent merces, quae l’armatore aveva restituito729 lo
nautae traderentur, ut continuo eius potrebbe rivendicare730. Servio disap-
fierent et mercator in creditum iret, non prova quindi la tesi dell’esperibilità
videretur onus esse aversum, quippe dell’azione oneris aversi, in quanto, o
quod nautae fuisset: sive eadem res, la natura delle merci consegnate
quae tradita esset, reddi deberet, furti all’armatore era tale che queste sono
esse actionem locatori et ideo diventate immediatamente sue e il
supervacuum esse iudicium oneris commerciante acquista per queste un
aversi. Sed si ita datum esset, ut in diritto di credito, e allora il carico non
si deve considerare sottratto perché
apparteneva già all’armatore, o deve
essere restituita la stessa cosa che è
stata consegnata e allora è data al
locatore l’azione di furto: perciò l’azio-
ne oneris aversi è superflua731. Se poi

728 Cioè a ciascuno dei commercianti che hanno caricato il grano sulla nave di Saufeio.
729 Al commerciante prima del naufragio, ma dandogli il sacco di un altro.
730 Contro il commerciante che lo possiede (o contro il possessore attuale, al quale sia stato
nel frattempo venduto dal commerciante stesso).
731 È superflua in ambedue i casi.

127
48. D.19.2.31 Alfeno, quinto libro dei digesti epitomati da Paolo

simili re solvi possit, conductorem la cosa è stata consegnata in modo che


culpam dumtaxat debere (nam in re, chi l’ha ricevuta si possa liberare dan-
quae utriusque causa contraheretur, done una simile, il conduttore sarà
culpam deberi) neque omnimodo tenuto nei limiti della colpa732 (nei
culpam esse, quod uni reddidisset ex rapporti contrattuali nell’interesse di
frumento, quoniam alicui primum ambedue le parti si risponde infatti per
reddere eum necesse fuisset, tametsi colpa); ma l’armatore non è comunque
meliorem eius condicionem faceret in colpa per aver restituito il frumento
quam ceterorum. a uno solo733, perché egli doveva pur
cominciare a restiturlo a qualcuno,
anche se con ciò ha reso la condizione
di costui migliore di quella degli altri.

732 Cioè non ha fatto apposta a restituire al cliente il sacco di un altro (nel qual caso ci
sarebbe l’azione di furto): egli risponde quindi nei limiti della colpa (ad es. per aver scambiato
un sacco con un altro senza controllarne con attenzione il contrassegno).
733 L’avere restituito ad uno solo non è un comportamento colposo: Saufeio perciò non ne
risponde.

128
49. D.19.5734.14.3 Ulpiano, quarantunesimo libro del commentario a Sabino

Si glans ex arbore tua in meum fundum Se dal tuo albero cadono delle ghiande
cadat eamque ego immisso pecore nel mio fondo ed io, introdottovi736 il
depascam, Aristo scribit non sibi bestiame, ve lo faccio pascolare737,
occurrere legitimam actionem, qua Aristone scrive che non gli viene in
experiri possi<s>735: nam neque ex mente un’azione legitima738, che tu
possa intentare contro di me739: non si
può infatti agire né in base alla legge
delle dodici tavole con l’actio de pastu

734 Rubrica del titolo: De praescriptis verbis et in factum actionibus (= Dell’azione praescrip-
tis verbis e delle azioni in factum).
735 Nel manoscritto Fiorentino del Digesto si legge possim, ma il senso esige la correzione
in possis.
736 L’uso del verbo immittere, che significa “introdurre”, è apparentemente strano nel con-
testo del fr., perché gli animali che appartengono al proprietario del fondo su cui sono cadute le
ghiande dovrebbero già trovarsi nel fondo stesso. Probabilmente qui immittere indica il gesto di
chi, fatti uscire dai recinti ad es. i maiali, li conduce al pascolo.
737 Sul tuo fondo si trova un albero, i cui rami, carichi di ghiande, sporgono sul mio fondo,
sul quale cadono le ghiande. Io porto a pascolare sul mio fondo ad es. un branco di maiali che
mangiano le ghiande cadute. Cfr. il fr.9.1 D.10.4 Ulp. 24 ad ed.
738 Cioè fondata su una legge, fonte di diritto civile.
739 Ratio dubitandi: la legge delle XII tavole (tab.7.10) consente al proprietario dell’albe-
ro, i cui rami sporgono di almeno 15 piedi e da cui cadono frutti, di recarsi a raccoglierli a gior-
ni alterni sul fondo del vicino (cfr. D.10.4.9.1 Ulp. 24 ad ed.). Cfr. l’art.896, 2°comma, c.c.,
secondo cui i frutti naturali caduti spontaneamente nel fondo del vicino appartengono a que-
st’ultimo: nel diritto attuale, il problema di Aristone e Ulpiano, dell’individuazione dell’azione
da intentare contro il proprietario del fondo su cui sono cadute le ghiande, non si pone.

129
49. D.19.5.14.3 Ulpiano, quarantunesimo libro del commentario a Sabino

lege duodecim tabularum de pastu pecoris740 (perché il bestiame non


pecoris (quia non in tuo pascitur) neque viene condotto al pascolo nel tuo
de pauperie neque de damni iniuriae fondo), né con l’actio de pauperie741,
agi posse: in factum itaque erit né con l’azione relativa al damnum
agendum. iniuria datum742: si dovrà pertanto
agire con un’azione in factum743.

740 L’actio de pastu pecoris “si applica al caso in cui il bestiame abbia indebitamente pasco-
lato nel fondo altrui e si rivolge contro il dominus <del bestiame> il quale è obbligato a risar-
cire il danno oppure a consegnare l’animale” (BIONDI, Istituzioni cit., p. 528, nt. 17).
741 Anche nel caso dell’actio de pauperie (come in quello de pastu pecoris), il padrone del-
l’animale può o pagare la summa condemnationis e compiere la noxae deditio (consegna in
nossa) del quadrupede. Spetta in questo caso l’actio de pauperie? Ratio dubitandi: benché siano
stati gli animali a divorare le ghiande, è il padrone che li ha condotti al pascolo (immisso peco-
re depascam). Aristone nega l’esperibilità dell’azione, perché il danno non è stato provocato
spontaneamente dagli animali, ma è il padrone stesso che li ha condotti al pascolo sul proprio
fondo, ove si trovano le ghiande del vicino.
742 Cioè con l’actio legis Aquiliae (capo terzo). Spetta l’actio legis Aquiliae? Aristone lo
esclude, perché mancano i requisiti del corpore (le ghiande sono state mangiate dagli animali,
non dal padrone) corpori (gli animali non hanno staccato le ghiande a morsi dai rami dell’albe-
ro, ma si sono nutriti di quelle cadute naturalmente a terra) e dell’iniuria (le ghiande sono state
mangiate nel fondo del proprietario degli animali e non in quello in cui si trova l’albero).
743 Dal momento che non sono esperibili azioni in ius e il proprietario dell’albero ha comun-
que subito un detrimento economico (le ghiande sono sue e sono state mangiate dagli animali),
l’unica alternativa è agire in factum.

130
50. D.19.5.18 Ulpiano, trentesimo libro del commentario all’editto

Si apud te pecuniam deposuerim, ut Se ho depositato presso di te una


dares Titio, si fugitivum meum somma di denaro perché tu la dessi a
reduxisset, nec dederis, quia non Tizio qualora questi mi avesse ricon-
reduxit: si pecuniam mihi non reddas, dotto un mio schiavo fuggitivo, e tu
melius est praescriptis verbis agere: non non gliel’hai data perché non lo ha
enim ambo pecuniam, ego et ricondotto, se non mi restituisci la
fugitivarius, deposuimus, ut quasi somma è meglio agire con l’azione
apud sequestrem sit depositum. praescriptis verbis744: la somma non
l’abbiamo infatti depositata entrambi,
io e il cercatore di schiavi fuggitivi,
come invece avviene nel caso di depo-
sito presso un sequestratario745.

744 E non con l’actio depositi sequestraria.


745 Si ha sequestro “qualora più persone diano in solidum una cosa in deposito ad alcuno
(sequester) con l’obbligo di custodirla e restituirla a colui tra i più depositanti che, in seguito, si
troverà in una determinata situazione (per es., vincerà la lite relativa alla cosa stessa)” (BION-
DI, Istituzioni cit., p. 479). Cfr. D.16.3.6 Paul. 2 ad ed. Anche se il consegnatario è tenuto a resti-
tuire la somma al cacciatore di schiavi, a condizione che quest’ultimo riporti a casa il servus
fugitivus, il deponente è una sola persona (vale a dire il dominus servi e non anche, con lui, il
fugitivarius): il caso non è pertanto un caso di sequestro. La condizione non si è verificata e il
“depositario” non ha restituito la somma al fugitivarius: se non la restituisce al proprietario,
quest’ultimo avrà contro di lui l’actio praescriptis verbis e non l’azione di deposito sequestraria.
Sul sequestro, cfr. anche D.16.3.7 pr. Ulp. 30 ad ed.

131
51. D.19.5.23 Alfeno, terzo libro dei digesti epitomati da Paolo

Duo secundum Tiberim cum Due persone passeggiavano lungo il


ambularent, alter eorum ei, qui secum Tevere: uno di loro, su richiesta del-
ambulabat, rogatus anulum ostendit, l’altro che passeggiava con lui, gli
ut respiceret: illi excidit anulus et in diede da vedere un anello: all’altro746,
Tiberim devolutus est. Respondit posse l’anello cadde è rotolò nel Tevere.
agi cum eo in factum actione. Rispose747 che si può agire contro di
lui748 con un’azione in factum749.

746 Cioè a chi aveva chiesto di vedere l’anello.


747 Servio.
748 Cioè contro la persona, cui è caduto di mano l’anello.
749 “L’azione di legge Aquilia non è esperibile perché l’anello è rimasto intatto e la sua per-
dita è fortuita: poiché, tuttavia, è scivolato di mano a chi aveva pregato il proprietario di
mostrarglielo (se, al contrario, fosse stato costui ad insistere per farglielo vedere, la soluzione
sarebbe forse diversa), è parso iniquo lasciare il danneggiato senza risarcimento” (NEGRI (a cura
di), Digesto cit., p. 53, nt. 1).

132
52. D.21.1750.1.1,2,6,7,9-11 Ulpiano, primo libro del commentario all’editto
degli edili curuli751

1. Aiunt aediles: ‘Qui mancipia 1. Gli edili dicono752: “Coloro che


vendunt certiores faciant emptores, vendono schiavi nei mercati, rendano
quid morbi vitiive cuique sit, quis edotti i compratori circa la malattia o il
fugitivus errove sit noxave solutus non vizio da cui gli schiavi sono affetti, se
sit: eademque omnia, cum ea mancipia qualcuno ha la tendenza alla fuga o a
venibunt, palam recte pronuntianto. girovagare, o non è sciolto da vincolo
Quodsi mancipium adversus ea nossale753: e quando venderanno que-
venisset, sive adversus quod dictum sti schiavi, dichiarino tutto ciò palese-
mente ed esattamente. Se uno schiavo
sarà venduto nel mancato rispetto di
queste regole754 o qualcosa sarà diffor-
me da ciò che è stato detto o promes-

750 Rubrica del titolo: De aedilicio edicto et redhibitione et quanti minoris (= Dell’editto edi-
lizio e delle azioni redhibitoria e quanti minoris).
751 Edili eletti tra i patrizi, aventi diritto alla sella curulis, che costituisce un’insegna della
carica magistratuale.
752 “Gli edili curuli avevano funzione giurisdizionale sui contratti di vendita di schiavi e di
animali conclusi nei mercati. Nell’esercizio di queste funzioni essi emanavano un editto annua-
le (editto edilizio), di cui si riporta nel testo la clausola introduttiva (riferita da Ulpiano), rela-
tiva agli obblighi dei venditori di schiavi a tutela dei compratori per i vizi occulti della cosa: ai
compratori è data un’azione redhibitoria esperibile entro sei mesi, per il rimborso del prezzo,
previa restituzione della cosa per i casi di violazione” (NEGRI (a cura di), Digesto cit., p. 57,
nt.1). Sugli edili curuli e la compravendita di schiavi ed animali nei mercati da essi controllati
e sull’azione redhibitoria, si vedano ARANGIO-RUIZ, Istituzioni cit., p. 344; BIONDI, Istituzioni
cit., p. 493 ss. I frammenti riportati e tradotti nel testo riguardano l’editto edilizio sulla vendita
di schiavi (l’acquirente, nuovo proprietario dello schiavo, rischia cioè di essere convenuto dal
danneggiato con l’azione da delitto nossale).
753 I venditori devono specificare se lo schiavo messo in vendita può essere oggetto di noxae
deditio, a causa di un delitto che ha commesso: il danno subito dall’acquirente dipenderebbe in
tal caso dal principio secondo il quale noxa caput sequitur (l’acquirente, nuovo proprietario
dello schiavo, rischia cioè di essere convenuto dal danneggiato con l’azione da delitto nossale).
754 Se cioè il venditore non avrà dichiarato quanto è obbligatorio denunciare secondo l’edit-
to edilizio (certiores faciant emptores, quid morbi vitiive cuique sit, quis fugitivus errove sit noxa-
ve solutus non sit: eademque omnia, cum ea mancipia venibunt, palam recte pronuntianto).

133
52. D.21.1.1.1,2,6,7,9-11 Ulpiano, primo libro del commentario all’editto degli edili curuli

promissumve fuerit cum veniret, fuisset, so755 al momento della vendita, dare-
quod eius praestari oportere dicetur: mo un’azione756 per ciò che si dirà che
emptori omnibusque ad quos ea res si deve prestare757 al compratore758 e a
pertinet iudicium dabimus, ut id tutti coloro cui la cosa spetta, affinché
mancipium redhibeatur. Si quid autem lo schiavo venga restituito759; e se
post venditionem traditionemque dopo la vendita e la traditio760 dello
deterius emptoris opera familiae schiavo sia stato fatto qualcosa ad
procuratorisve eius factum erit, sive opera del compratore, della sua fami-
quid ex eo post venditionem natum glia761 o del suo procuratore762, che ne
adquisitum fuerit, et si quid aliud in ha diminuito il valore763, oppure se,
venditione ei accesserit, sive quid ex ea dopo la vendita, allo schiavo sia nato
re fructus pervenerit ad emptorem, ut ea un figlio764, o al momento della vendi-
omnia restituat; item si quas ta allo schiavo sia stato aggiunto qual-
cos’altro765, oppure tramite lo schiavo
sia pervenuto al compratore qualche
frutto, anche tutto questo venga resti-
tuito766; e ugualmente, se lo stesso
venditore vi abbia aggiunto degli
accessori767, ne ottenga la restituzio-

755 Se, ad es., il venditore dichiara che lo schiavo è sciolto dal vincolo nossale, mentre non lo è.
756 Azione redhibitoria, data al compratore contro il venditore.
757 Cioè: che deve dare facere praestare. Ulpiano si riferisce alla terminologia delle azioni
formulari.
758 Contro il venditore.
759 Al venditore.
760 Cioè la consegna dello schiavo venduto.
761 Ad es., da qualcuno dei suoi schiavi.
762 Sul procurator, cfr. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni cit., p. 351 s.; BIONDI, Istituzioni cit., p. 513 s.
763 Dello schiavo, oggetto della vendita.
764 Gli schiavi sono equiparati alle cose, e così i loro figli, anch’essi schiavi del padrone del
loro padre.
765 Ad es., un abito nuovo.
766 Al venditore.
767 Ad es., dei vestiti.

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52. D.21.1.1.1,2,6,7,9-11 Ulpiano, primo libro del commentario all’editto degli edili curuli

accessiones ipse praestiterit, ut recipiat; ne; e ancora, se lo schiavo ha commes-


item si quod mancipium capitalem so un delitto capitale768, ha tentato di
fraudem admiserit, mortis darsi la morte o è stato introdotto nel-
consciscendae sibi causa quid fecerit, l’arena a combattere contro le fiere, i
inve harenam depugnandi causa ad venditori lo dichiarino all’atto della
bestias intromissus fuerit, ea omnia in vendita: daremo infatti azione769
venditione pronuntianto: ex his enim anche per questi casi770; a maggior
causis iudicium dabimus. Hoc amplius ragione, daremo l’azione se si dirà che
si quis adversus ea sciens dolo malo taluno, pur essendo a conoscenza di
vendidisse dicetur, iudicium dabimus’. tutto ciò, abbia venduto lo schiavo
2. Causa huius edicti proponendi est, contravvenendo a queste prescrizioni
ut occurratur fallaciis vendentium et con dolo771”. 2.772 Questo editto è
emptoribus succurratur, quicumque stato emanato allo scopo di prevenire
decepti a venditoribus fuerint: le frodi dei venditori e di tutelare i
dummodo sciamus venditorem, etiamsi compratori nel caso questi vengano
ignoravit ea quae aediles praestari raggirati, affinché sia chiaro che ogni
iubent, tamen teneri debere. Nec est hoc venditore è tenuto anche se ignorasse
quanto è imposto dagli edili773, il che
non è iniquo: il venditore aveva infatti
la possibilità di informarsi774; né al
compratore interessa il motivo per cui

768 Per la cui repressione è necessario un processo criminale pubblico.


769 Redibitoria.
770 Nel caso in cui vengano taciuti al compratore questi vizi redibitori.
771 Sapendo, cioè, da quali vizi fosse affetto lo schiavo o l’animale e tacendoli quindi con-
sapevolemente.
772 Da questo § comincia il commento di Ulpiano alla clausola dell’editto edilizio.
773 Il venditore, se vuole evitare di essere convenuto con l’actio redhibitoria, deve previa-
mente controllare lo stato di salute dello schiavo o dell’animale che venderà. Ulpiano aggiunge
che l’ignoranza delle prescrizioni edittali non scusa la mancata dichiarazione dei vizi da parte
del venditore, che è comunque tenuto.
774 Circa il contenuto dell’editto.

135
52. D.21.1.1.1,2,6,7,9-11 Ulpiano, primo libro del commentario all’editto degli edili curuli

iniquum: potuit enim ea nota habere viene ingannato, se per ignoranza del
venditor: neque enim interest emptoris, venditore o per astuzia di questo. 6. Se
cur fallatur, ignorantia venditoris an il vizio o la malattia dello schiavo sono
calliditate. 6. Si intellegatur vitium riconoscibili (come per lo più avviene
morbusve mancipii (ut plerumque quando i vizi si manifestano con qual-
signis quibusdam solent demonstrare che segno particolare), si può dire che
vitia), potest dici edictum cessare: hoc l’applicazione dell’editto viene
enim tantum intuendum est, ne emptor meno775: questo si deve infatti appli-
decipiatur. 7. Sed sciendum est care al solo scopo di evitare che il
morbum apud Sabinum sic definitum compratore venga raggirato776. 7. Ma
esse habitum cuiusque corporis contra occorre sapere che presso Sabino la
naturam, qui usum eius ad id facit malattia è definita uno stato innatura-
deteriorem, cuius causa natura nobis le del corpo che ne renda l’uso meno
eius corporis sanitatem dedit: id autem adatto a ciò per cui la natura ci ha dato
alias in toto corpore, alias in parte la salute: il che accade ora nell’intero
accidere (namque totius corporis corpo, ora in una sua parte (una
morbus est puta fq…sij febris, partis malattia dell’intero corpo è per esem-
veluti caecitas, licet homo itaque natus pio la fq…sij, cioè la febbre; di una
sua parte, la cecità, anche se lo schia-

775 Cioè non si può esercitare l’azione redibitoria, perché non si tratta di vizi occulti, ma di
vizi riconoscibili dal compratore con la normale diligenza: cfr. nt. seguente.
776 Se i vizi o le malattie sono occulti e il venditore non li denuncia al compratore, quest’ul-
timo subisce un raggiro, mentre non si può dire che sussista inganno quando il vizio o la malat-
tia sono, benché taciuti, evidenti, come la claudicanza, la cecità, le cicatrici, la follia, etc.

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52. D.21.1.1.1,2,6,7,9-11 Ulpiano, primo libro del commentario all’editto degli edili curuli

sit): vitiumque a morbo multum vo è cieco dalla nascita) e che il vizio


differre, ut puta si quis balbus sit, nam è qualcosa di molto diverso dalla
hunc vitiosum magis esse quam malattia, come, ad esempio, se uno è
morbosum... 8. ... exempli itaque gratia balbuziente, nel qual caso questi è
referamus, qui morbosi vitiosique sunt. viziato, più che malato... 8. ... Esem-
9. Apud Vivianum quaeritur, si servus plifichiamo ora chi sono i malati e chi
inter fanaticos non semper caput gli affetti da vizi. 9. Presso Viviano777
iactaret et aliqua profatus esset, an ci si chiede se uno schiavo, che perda
nihilo minus sanus videretur. Et ait occasionalmente la testa e si sia messo
Vivianus nihilo minus hunc sanum a delirare in mezzo a degli ossessi, sia
esse: neque enim nos, inquit, minus ciononostante da ritenere sano: e
animi vitiis aliquos sanos esse Viviano dice che egli è sano. Non dob-
intellegere debere: alioquin, inquit, biamo infatti ritenerci meno sani,
futurum, ut in infinito hac ratione egli778 dice, se siamo affetti da vizi
multos sanos esse negaremus ut puta dell’indole: in caso contrario, aggiun-
levem superstitiosum iracundum ge, accadrebbe che, con tale crite-
rio779, dovremmo ampliare all’infinito
la qualifica di malato e, per esempio,
estenderla all’incostante, al supersti-

777 Giurista classico antecedente ad Ulpiano.


778 Viviano.
779 Cioè se considerassimo i difetti del carattere come malattia.

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52. D.21.1.1.1,2,6,7,9-11 Ulpiano, primo libro del commentario all’editto degli edili curuli

contumacem et si qua similia sunt zioso, all’irascibile, al capriccioso e ad


animi vitia: magis enim de corporis analoghi vizi dell’indole. Si promet-
sanitate, quam de animi vitiis promitti. te780, infatti, per la salute781 del corpo,
Interdum tamen, inquit, vitium non per i vizi dell’indole. Talvolta
corporale usque ad animum pervenire però, egli782 dice ancora, un vizio cor-
et eum vitiare: veluti contingeret porale può coinvolgere l’indole e ren-
frenhtikù, quia id ei ex febribus dere viziata anche questa, come acca-
acciderit. Quid ergo est? si quid sit de al frenhtikÕj783, perché ciò può
animi vitium tale, ut id a venditore avvenire a causa della febbre. Che
excipi oporteret neque id venditor cum dire allora? Se un vizio dell’indole è
sciret pronuntiasset, ex empto eum tale da poter essere individuato dal
teneri. 10. Idem Vivianus ait, quamvis venditore, e il venditore, pur essendo-
aliquando quis circa fana bacchatus sit ne a conoscenza, non lo ha dichiarato,
et responsa reddiderit, tamen, si nunc il venditore è tenuto ex empto784. 10.
Lo stesso Viviano dice inoltre che,
anche se uno abbia occasionalmente
girovagato gridando fra i templi e
abbia dato responsi785, ma adesso non

780 Al compratore, dichiarando il vizio, con l’impegno di riprendere lo schiavo in caso di


mancata dichiarazione, ai sensi dell’editto.
781 Il venditore è tenuto a dichiarare le malattie occulte dello schiavo, non i difetti del suo
carattere.
782 Viviano.
783 Chi cade in delirio, il frenetico.
784 Cioè contro di lui il compratore ha l’actio ex empto, non l’actio redhibitoria. Cfr. nt. 788.
785 Come un invasato, come uno che, ad es., si mette a predicare su una pubblica piazza,
suscitando la curiosità o il fastidio dei passanti.

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52. D.21.1.1.1,2,6,7,9-11 Ulpiano, primo libro del commentario all’editto degli edili curuli

hoc non faciat, nullum vitium esse. lo fa più, non è affetto da un vizio e, se
Neque eo nomine, quod aliquando id lo ha fatto occasionalmente, non c’è
fecit, actio est, sicuti si aliquando azione a questo titolo, come nel caso in
febrem habuit: ceterum si nihilo minus cui abbia avuto occasionalmente la
permaneret in eo vitio, ut circa fana febbre; se, al contrario, gira continua-
bacchari soleret et quasi demens mente gridando fra i templi e continua
responsa daret, etiamsi per luxuriam id a dare responsi come un invasato, per-
factum est, vitium tamen esse, sed severando in queste manifestazioni,
vitium animi, non corporis, ideoque come affetto da un vero e proprio vizio,
redhiberi non posse, quoniam aediles anche se ciò venga fatto per sfrenatez-
de corporalibus vitiis loquuntur: za, si ha bensì un vizio, ma un vizio
attamen ex empto actionem admittit. dell’indole, non del corpo, e non vi è
11. Idem dicit etiam in his, qui praeter quindi luogo a redhibitio786, perché gli
modum timidi cupidi avarique sunt aut edili parlano di vizi corporali: tuttavia,
iracundi. egli787 dice che in tal caso c’è l’azione
ex empto788. 11. La stessa cosa789
egli790 dice a proposito degli schiavi
molto timidi, avidi, avari o irascibili.

786 Restituzione. Pertanto non c’è l’azione redibitoria.


787 Viviano.
788 Esperibile dal compratore contro il venditore. Cfr. nt. 784.
789 Che cioè c’è l’actio ex empto, non l’azione redibitoria.
790 Viviano.

139
53. D.21.1.14.4 Ulpiano, primo libro del commentario
all’editto degli edili curuli

Item de eo qui urinam facit quaeritur. Analogamente791 ci si chiede se lo


Et Pedius ait non ob eam rem sanum schiavo che non trattiene l’urina si
non esse, quod in lecto somno vinoque consideri affetto da un vizio792. E
pressus aut etiam pigritia surgendi Pedio dice che non è meno sano793 chi
urinam faciat: sin autem vitio vesicae orina a letto perché vinto dal sonno e
collectum umorem continere non potest, dal vino o per la pigrizia di alzarsi: se,
non quia urinam in lecto facit, sed quia invece, questo gli accade per un difet-
vitiosam vesicam habet, redhiberi to della vescica e perciò non è in grado
posse: et verius est quod Pedius <ait>. di trattenere il liquido ivi raccolto, può
essere restituito794, ma non perché
orina a letto, bensì perché ha una
vescica difettosa795: ed è più vero ciò
che dice Pedio.

791 Cfr. il pr. del fr.: Quaeritur de ea muliere, quae semper mortuos parit, an morbosa sit... (Si
chiede, a proposito della schiava che partorisce sempre neonati morti, se sia viziata...). La
domanda circa l’esistenza o meno del vizio è finalizzata all’esperimento dell’azione redibitoria.
792 Cioè da un vizio redibitorio.
793 Cioè non è affetto da un vizio redibitorio.
794 Cioè il compratore ha l’azione redibitoria se il venditore non vuol riprendersi lo schiavo
di cui ha taciuto il vizio.
795 Lo schiavo che fa pipì a letto potrà essere restituito al venditore soltanto se ciò dipende
da un vizio della vescica.

140
54. D.28.1796.23 Ulpiano, quarto libro delle disputationes

Si testamentum, quod resignaverit Un testamento, dissigillato dal testato-


testator, iterum signatum fuerit septem re e successivamente sigillato con le
testium signis, non erit imperfectum, firme di sette testimoni797, non sarà
sed utroque iure valebit tam civili quam imperfectum798, ma produrrà effetti
praetorio. tanto secondo il diritto civile quanto
secondo il diritto pretorio799.

796 Rubrica del titolo: Qui testamenta facere possunt et quemadmodum testamenta fiant (=
Di coloro che possono fare testamento e delle forme di testamento).
797 L’ereditando ha fatto un testamento per aes et libram che, dopo l’espletamento delle for-
malità civilistiche, viene riaperto e poi sigillato da sette testimoni.
798 Trattandosi delle medesime tavole, le formalità civilistiche sono già state espletate, né
occorre reiterarle per ragioni attinenti al mero elemento documentale: il testamento perfeziona-
to iure civili non perde validità per essere stato dissigillato.
799 Non c’è dubbio che l’atto sia efficace anche in base al diritto pretorio, secondo il quale
è sufficiente che le tabulae siano sigillate da sette testimoni: quando alla rottura dei sigilli segue
una nuova sigillazione, si ha per il ius honorarium un nuovo testamento, la cui validità è indi-
scutibile. Il fr. è probabilmente estrapolato da un contesto più ampio.

141
55. D.28.2800.28 pr. Trifonino, ventesimo libro delle disputationes

Filius a patre, cuius in potestate est, sub Un figlio in potestà, istituito erede dal
condicione, quae non est in ipsius padre sotto una condizione non pote-
potestate, heres institutus et in stativa801 e diseredato per il caso di
defectum condicionis exheredatus, difetto della condizione802, morì in
decessit pendente etiam tunc pendenza della condizione sia del-
condicione tam institutionis quam l’istituzione, sia della diseredazio-
exheredationis: dixi heredem eum ab ne803: ho detto804 che egli805 è morto

800 Rubrica del titolo: De liberis et postumis heredibus instituendis vel exheredandis (= Del-
l’istituzione d’erede e della diseredazione dei figli e dei postumi).
801 Cioè, casuale: il verificarsi dell’evento non dipende dall’erede, ma dal caso. È ammes-
sa l’apposizione della condizione all’istituzione di erede, purché si tratti di condizione potesta-
tiva, nel qual caso l’acquisto dell’eredità del suus dipende dall’adempimento della condizione:
il suus può cioè evitare, non adempiendo, la necessità dell’acquisto dell’eredità. Se il verificar-
si dell’evento dedotto in condizione dipende dal caso, l’apposizione della condizione all’istitu-
zione d’erede del suus è ammessa, purché il testamento contenga anche l’exheredatio subordi-
nata alla condizione opposta a quella dell’istituzione.
802 Ad es., il pater familias ha intentato una causa contro un debitore che, in caso di con-
danna, pagando la somma dovuta, salverebbe il patrimonio dal dissesto. Il processo potrebbe
tuttavia durare a lungo: il padre vuole, in tal caso, evitare al figlio il rischio del subingresso in
un patrimonio dissestato. Nel testamento scrive: “Tizio mio figlio sia erede se vincerò la causa;
mio figlio Tizio sia diseredato se non la vincerò”; se il giudice condanna il debitore, il figlio
diventerà erede del padre; se lo assolve, il figlio sarà diseredato.
803 Ad es., il testatore muore il 16 gennaio 2005. La causa contro il debitore è assegnata per
la decisione al 20 febbraio 2005. In quella data si saprà se è diventata efficace l’istituzione
d’erede o la diseredazione del figlio. Ma Il 10 febbraio 2005, quando pende ancora la condizio-
ne dell’istituzione, nonché, ovviamente, la condizione opposta della diseredazione, il figlio
muore. Chi diventa erede del padre? Lo diventa il figlio? E se lo diventa, gli subentra come
erede testamentario o ab intestato?
804 Trifonino.
805 Il figlio.

142
55. D.28.2.28 pr. Trifonino, ventesimo libro delle disputationes

intestato mortuum esse, quia, dum come erede806 ab intestato807, perché,


vivit, neque ex testamento heres neque quando era vivo808, nel testamento809
exheredatus fuit. non è stato né istituito erede, né dise-
redato810.

806 Il figlio diventa erede del padre nel momento stesso in cui (il figlio) muore, cioè, nell’es.
della nt. 803, il 10 febbraio 2005.
807 Nel momento in cui il figlio muore, diventa erede del padre, il quale, a sua volta, è morto
il 16 gennaio 2005, secondo l’esempio della nt. 803, con un testamento nullo per preterizione
del figlio suus: cfr. nt. 810.
808 Quando il figlio era vivo.
809 Del padre.
810 Durante la vita del figlio, né l’istituzione d’erede né la diseredazione sono diventate effi-
caci: il padre è quindi morto con un testamento nel quale il figlio è stato preterito, con la con-
seguenza dell’apertura della successione legittima. L’avverarsi della condizione (positiva o
negativa) dopo la morte del figlio è irrilevante, giacché determina l’efficacia dell’istituzione (o
della diseredazione) di una persona inesistente.

143
56. D.28.4811.3 Marcello, ventinovesimo libro dei digesti

Proxime in cognitione principis cum Nel caso, recentemente portato alla


quidam heredum nomina induxisset et cognitio812 del Principe813, di un tale
bona eius ut caduca a fisco che aveva cancellato i nomi degli eredi
vindicarentur, diu de legatis dubitatum e i suoi beni venivano rivendicati dal
Fisco814 come caduca815, si è dubita-

811 Rubrica del titolo: De his quae in testamento delentur inducuntur vel inscribuntur (=
Delle cancellazioni di disposizioni testamentarie). Deleo = cancello (cioè elimino del tutto, ad
es. raschiando la scrittura, che quindi non compare più); induco = copro una parola o una frase
tracciandovi sopra una riga; inscribo = scrivo un’altra parola o frase sopra una parola o frase
sottostanti. Ma, ai fini degli effetti, sono tutti casi di cancellazione.
812 Processo extra ordinem.
813 Marco Aurelio Antonino (161-169 d.C. con Lucio Vero; 169-180 da solo).
814 Originariamente il riferimento era all’aerarium populi Romani (patrimonio dello Stato).
Erario e Fisco sono in età imperiale assimilati. Vindicatio caducorum: azione in rem esperibile
dal Fisco (patrimonio dell’imperatore come detentore del potere statuale) contro i possessori di
beni ereditari (eredità o legati) che perdevano il diritto di acquistare tali beni per incapacità di
succedere, stabilita dalla lex Iulia et Papia Poppaea dell’età di Augusto (erano incapaci i coeli-
bes, cioè i non sposati, e gli orbi, sposati senza figli). Cfr. Gai. 2.286 s.
815 Beni vacanti, cioè beni del patrimonio ereditario sottratti all’erede o al legatario incapa-
ci o indegni, e avocati prima all’Erario poi al Fisco (cfr. nt. precedente): qui i beni sono vacan-
ti per la cancellazione dei nomi degli eredi. Dal momento che il testamento civile è essenzial-
mente orale e la sua efficacia si fonda sulla nuncupatio, ai fini della revoca del testamento sono
irrilevanti sia la distruzione del documento, sia la cancellazione dei nomi degli eredi (cfr. Gai.
2.151); ma poiché “ripugna che l’erede acquisti contro la volontà del defunto, sia pure manife-
stata non nelle forme legali” (BIONDI, Istituzioni cit., p. 684 nt.23), Antonino Pio (138-161 d.C.)
stabilisce che la cancellazione si consideri come tacita dichiarazione di indegnità. Nel testa-
mento pretorio, che è essenzialmente scritto, la cancellazione della heredis institutio comporta
invece la revoca della disposizione cancellata. I beni destinati all’erede cancellato sono equi-
parati ai caduca. In questo fr. si pone tuttavia il problema “se la cancellazione del nome del-
l’erede invalidi l’intero testamento oppure le sole disposizioni cancellate, rimanendo valide ed
efficaci tutte le altre (legati, manomissioni, etc.)” (MAGANZANI, Formazione e vicende cit., p. 292,
nt.4), su cui è chiamato a decidere Marco Aurelio. Sembra quindi affermarsi il principio, secon-
do cui sarebbe ammissibile una revoca testamentaria informale, attuata tramite la cancellazio-
ne della heredis institutio, mentre, di regola, secondo il ius civile, la revoca avviene se il testa-
tore fa un testamento successivo, che revoca appunto quello precedente, che si considera rup-
tum. Cfr. nt. 838.

144
56. D.28.4.3 Marcello, ventinovesimo libro dei digesti

est et maxime de his legatis, quae to816 a lungo circa il destino dei legati,
adscripta erant his, quorum institutio soprattutto di quelli che erano stati
fuerat inducta. Plerique etiam assegnati a favore di coloro la cui isti-
legatarios excludendos existimabant, tuzione era stata cancellata817. I più
quod sane sequendum aiebam, si ritenevano che si dovessero escludere
omnem scripturam testamenti anche i legatari818, opinione che
cancellasset: nonnullos opinari id iure anch’io819 dicevo si dovesse certamen-
ipso peremi quod inductum sit, cetera te accogliere se il testatore avesse can-
omnia valitura. Quid ergo? Non et cellato tutte le disposizioni scritte nel
illud interdum credi potest eum, qui testamento: alcuni ritenevano che
heredum nomina induxerat, satis se cadesse ipso iure820 ciò che era stato
consecuturum putasse, ut intestati cancellato, ma che tutte le altre dispo-
exitum faceret? Sed in re dubia sizioni restassero valide. Che dire
benignorem interpretationem sequi non dunque?821 Non si potrebbe pensare
minus iustius est quam tutius. che chi822 aveva cancellato i nomi
Sententia imperatoris Antonini Augusti degli eredi lo reputasse823 sufficiente
ad ottenere l’apertura della successio-
ne ab intestato? Ma nelle questioni
dubbie, è più giusto, non meno che più
sicuro, seguire l’interpretazione più

816 Poiché Marcello faceva parte del consilium di Marco Aurelio, è probabile che egli accen-
ni qui alle divergenze affiorate nel Consiglio stesso.
817 Cioè i prelegati, disposti a favore degli eredi istituiti e poi cancellati.
818 Per il principio heredis institutio caput atque fundamentum totius testamenti: se cade
l’istituzione d’erede, dovrebbero cadere anche le altre disposizioni contenute nel testamento; a
maggior ragione, dovrebbero cadere i legati a favore degli eredi i cui nomi sono stati cancellati
(cfr. nt. 815).
819 Marcello.
820 Alcuni giuristi di minoranza del consilium di Marco Aurelio pensano che debbano cade-
re ipso iure (cioè, automaticamente) soltanto le disposizioni cancellate e il resto debba rimane-
re valido: Marcello è d’accordo con loro.
821 Dinanzi ad opinioni contrastanti, qual è dunque la soluzione da adottare?
822 Il testatore.
823 Cioè reputasse sufficiente la cancellazione delle istituzioni degli eredi a revocare l’inte-
ro testamento, senza bisogno di cancellare anche le altre disposizioni: cfr. nt. 818.

145
56. D.28.4.3 Marcello, ventinovesimo libro dei digesti

Pudente et Pollione consulibus: ‘Cum liberale824. Sentenza dell’imperatore


Valerius Nepos mutata voluntate et Antonino Augusto, sotto il consolato di
inciderit testamentum suum et Pudente e Pollione825: “Poiché Valerio
heredum nomina induxerit, hereditas Nepote, avendo cambiato idea, ha
eius secundum divi patris mei aperto il suo testamento e ha cancella-
constitutionem ad eos qui scripti fuerint to i nomi degli eredi, non è da ritene-
pertinere non videtur’. Et advocatis re che secondo la costituzione del divo
fisci dixit: ‘Vos habetis iudices vestros’. mio padre826 la sua eredità spetti agli
Vibius Zeno dixit: ‘Rogo, domine eredi che erano stati istituiti”827. E ai
difensori del Fisco828 l’imperatore
disse: “Voi avete i vostri giudici”829.
Vibio Zenone830 disse: “Ti prego,

824 La frase sed in re dubia benigniorem interpretationem sequi non minus iustius est quam
tutius prelude alla decisione dell’imperatore di salvare non soltanto i legati posti a favore del
cancellato, ma addirittura le manomissioni, benché i nomi delle persone cui concedere la liber-
tà siano stati soppressi: cfr la fine del pr. e il §1 di questo fr.
825 Marcello riporta il contenuto della prima parte della sentenza di Marco Aurelio, emana-
ta nel 166 d.C., anno del consolato di Pudente e Pollione, nella quale l’imperatore applica la
costituzione del padre Antonino Pio (secundum divi patris mei constitutionem), in base alla quale
l’eredità non può pertinere ad eos, qui scripti fuerunt, perché Valerio Nepote ha cambiato idea,
tagliando il lino delle tavole e cancellando quindi i nomi degli eredi.
826 Cioè ha tagliato la cordicella e tolto i sigilli per aprire le tabulae e cancellarle: benché
Marcello non dica all’inizio che le cancellazioni sono avvenute post consummationem testamen-
ti, la circostanza che il testamento librale è già perfezionato risulta dal contenuto della senten-
za poco dopo riportata dal giurista: “Cum Valerius Nepos mutata voluntate et inciderit testamen-
tum suum et heredum nomina induxerit, hereditas eius secundum divi patris mei constitutionem
ad eos qui scripti fuerint pertinere non videtur”. La constitutio divi patris mei è probabilmente il
rescritto di Antonino Pio, di cui in Gai. 151a, che stabilisce soltanto l’esclusione dall’eredità
come indegni degli eredi istituiti. Per questo l’imperatore richiama la costituzione del suo padre
adottivo Antonino Pio.
827 I cui nomi sono stati cancellati.
828 Nelle cause fra Fisco e privati, il primo è difeso da funzionari, istituiti all’uopo da Adriano.
829 Marco Aurelio invita gli avvocati del Fisco a dimostrare i diritti di questo: et advocatis
fisci dixit: ‘Vos habetis iudices vestros’. Con queste parole ha inizio la descrizione dell’udienza
dinanzi all’imperatore (descrizione forse abbreviata dai compilatori giustinianei).
830 Zenone è un legatario. Alcuni ritengono preferibile correggere (advocatus) Leonis con
(advocatus) Zenonis (questa emendazione, a quanto ci è noto, risale a Grozio): cfr. nt. 833.

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56. D.28.4.3 Marcello, ventinovesimo libro dei digesti

imperator, audias me patienter: de Imperatore e Signore, di ascoltarmi


legatis quid statues?’. Antoninus pazientemente: cosa statuisci a propo-
Caesar dixit: ‘Videtur tibi voluisse sito dei legati?”. Antonino Cesare831
testamentum valere, qui nomina disse: “Ti pare che chi ha cancellato i
heredum induxit?’. Cornelius nomi degli eredi abbia voluto che il
Priscianus advocatus Leonis dixit: testamento restasse valido?”832. Cor-
‘Nomina heredum tantum induxit’. nelio Prisciano, difensore di Leone833,
Calpurnius Longinus advocatus fisci disse: “Ma ha cancellato soltanto i
dixit: ‘Non potest ullum testamentum nomi degli eredi”. Calpurnio Longino,
valere, quod heredem non habet’. difensore del Fisco, disse: “Un testa-
Priscianus dixit: ‘Manumisit quosdam mento privo dell’istituzione di erede
et legata dedit’. Antoninus Caesar non può essere valido”834. Prisciano
remotis omnibus cum deliberasset et disse: “Ma ha fatto anche delle mano-
admitti rursus eodem iussisset, dixit: missioni, oltre ad aver lasciato dei
‘Causa praesens admittere videtur legati”835. Antonino Cesare836, allonta-
humaniorem interpretationem, ut ea nati tutti, dopo aver riflettuto, ordinò
dumtaxat existimemus Nepotem irrita di farli rientrare e disse: “Questa
esse voluisse, quae induxit’. 1. Nomen causa consente di accogliere l’inter-
pretazione più liberale837: riteniamo
quindi che Nepote abbia voluto che
fossero prive di effetto le sole disposi-
zioni che ha cancellato”838. 1. Il testa-

831 Cioè, Marco Aurelio.


832 L’imperatore gli risponde con una domanda: “Può forse il testatore, che ha cancellato i
nomi degli eredi, aver voluto che altre disposizioni testamentarie restasse ancora in vigore nel
testamento?”.
833 Cioè, di Vibio Zenone: Cfr. nt. 830.
834 Calpurnio Longino, avvocato del Fisco, oppone che un testamento privo di erede è nullo,
quindi l’eredità spetta al Fisco.
835 Prisciano sostiene la conservazione di manomissioni e legati.
836 Marco Aurelio.
837 La decisione dell’imperatore è improntata alla più piena benignitas. Papiniano, nel libro
XIX delle quaestiones (D.31.67.10), definisce questo imperatore princeps providentissimus et
iuris religiosissimus.
838 Irrita: cfr. Gai. 2.147; Inst. 2.17.6. Marco Aurelio decide che siano prive di effetti sol-
tanto le disposizioni cancellate: anche gli eredi, dunque, conservano i legati disposti a loro favo-
re. La soluzione innova rispetto alle regole del diritto testamentario civile.

147
56. D.28.4.3 Marcello, ventinovesimo libro dei digesti

servi, quem liberum esse iusserat, tore ha cancellato il nome di uno


induxit. Antoninus rescripsit liberum schiavo, che aveva disposto839 fosse
eum nihilo minus fore: quod videlicet libero. Antonino840 rescrisse che ciò
favore constituit libertatis. nondimeno lo schiavo diventasse libe-
ro: il che ha evidentemente stabilito a
favore della libertà841.

839 Nel testamento.


840 Antonino Pio.
841 L’imperatore Antonino Pio aveva stabilito con un rescritto che valesse anche la mano-
missione, benché il testatore avesse cancellato il nome dello schiavo. È possibile che Marco
Aurelio, accogliendo la tesi di Prisciano, avvocato dei legatari, che aveva sollevato anche la que-
stione della validità della manomissione, abbia richiamato il rescritto di Antonino Pio a soste-
gno della decisione circa la validità di tutte le disposizioni non cancellate, comprese le mano-
missioni: se Antonino Pio aveva deciso che lo schiavo diventasse libero nonostante la cancella-
zione della manomissione, a maggior ragione la manomissione non cancellata è da ritenere vali-
da.

148
57. D.28.5842.45(44) Alfeno, quinto libro dei digesti

Pater familias testamento duos heredes Nel testamento, un pater familias


instituerat: eos monumentum facere aveva istituito due eredi843 e aveva
iusserat in diebus certis; deinde ita ordinato loro di erigere un monumento
scripserat: ‘Qui eorum non ita fecerit, entro un determinato termine, poi
omnes exheredes sunto’. Alter heres aveva scritto: “Chi di loro non avrà
hereditatem praetermiserat, reliquus fatto così844, siano tutti diseredati”.
heres consulebat, cum ipse Uno degli eredi si era disinteressato
monumentum extruxisset, numquid dell’eredità; l’altro chiedeva se, qualo-
ra il monumento l’avesse eretto lui845,
l’istituzione d’erede sarebbe stata effi-

842 Rubrica del titolo: De heredibus instituendis (= Della istituzione d’erede).


843 Heredes extranei, come si evince dal contesto.
844 Cioè non avrà eretto il monumento entro il termine stabilito dal testatore. Si tratta di una
condizione potestativa, benché non formulata con il periodo ipotetico. Ma si può costruire la for-
mulazione del testamento così: “Tizio e Caio siano eredi se costruiranno un monumento entro il
termine x” (sottinteso dall’apertura della successione); oppure (ma è lo stesso): “Tizio e Caio
siano eredi e impongo loro di erigere un monumento; chiunque di loro non lo costruirà, siano
tutti diseredati” (exheredatio è qui usata in senso diverso da exheredatio riferita ad heredes sui).
In conclusione, Alfeno intende la disposizione così: “Tizio e Caio siano miei eredi se costrui-
ranno un monumento, Tizio e Caio non siano eredi chiunque di loro non lo costruirà”. Il proble-
ma nasce dalla formulazione della disposizione testamentaria, così come è stata scritta dal testa-
tore.
845 Cioè lui da solo, data l’inerzia del coerede.

149
57. D.28.5.45(44) Alfeno, quinto libro dei digesti

minus heres esset ob eam rem, quod cace nei suoi confronti, nonostante il
coheres eius hereditatem non adisset. coerede non avesse adito l’eredità846.
Respondit neminem ex alterius facto Rispose847 che nessuno può essere
hereditati neque alligari neque implicato in un’eredità né può esserne
exheredari posse, sed uti quisque privato per un fatto altrui848 e che s’in-
condicionem implesset, quamvis nemo tende efficacemente istituito erede
adisset praeterea, tamen eum heredem chiunque dei coeredi abbia eseguito la
esse. condizione, anche se nessun altro
abbia in seguito adito l’eredità.

846 La domanda nasce dal fatto che il testatore ha previsto la “diseredazione” di tutti gli
eredi anche se uno solo di essi non abbia eretto il monumento. Si noti la contrapposizione omnes
(tutti)-nemo (nessuno). Il problema è se l’adempimento della condizione da parte di uno solo dei
due eredi renda efficace l’istituzione nei suoi confronti, nonostante la mancata adizione dell’al-
tro.
847 Servio. La risposta che segue contiene l’enunciazione di un principio generale, che trae
spunto dal caso e costituisce la motivazione della soluzione.
848 Cioè l’istituzione, o la diseredazione, non può essere subordinata al contegno di un terzo
(il coerede che non ha accettato è terzo estraneo rispetto all’eredità): come il comportamento del
coerede che ha pretermesso l’eredità non incide su quello dell’erede che ha adempiuto la con-
dizione, così vale il contrario.

150
58. D.29.2849.47 Africano, quarto libro delle questioni

Qui servum suum heredem institutum Un tale, che aveva ordinato al proprio
adire iusserat, priusquam ille adiret, schiavo, istituito erede850, di accettare
furiosus est factus. Negavit recte servum l’eredità851, divenne pazzo852 prima
aditurum, quoniam non nisi voluntate che quello853 accettasse. Negò854 che
domini adquiri hereditas potest, furiosi lo schiavo potrà accettare efficace-
autem voluntas nulla est. mente855, perché l’eredità non può
essere accettata se non per volontà del
padrone, ma un pazzo non può avere
una volontà856.

849 Rubrica del titolo: De adquirenda vel omittenda hereditate (= Dell’acquisto e della
rinuncia all’eredità).
850 Da un terzo.
851 Lo schiavo, istituito erede da un pater familias diverso dal dominus, non può acquistare
l’eredità, in quanto privo della capacità giuridica, ma accettarla (se ha la capacità di agire) per
ordine del dominus, dal quale essa verrà acquistata. Cfr. Gai. 2.189.
852 Il padrone ha quindi perduto la capacità di acquistare l’eredità: cfr. nt. 856.
853 Lo schiavo.
854 Africano. La raccolta di quaestiones è stata pubblicata da un anonimo?
855 Dopo che il padrone è impazzito.
856 Ratio dubitandi: quando il padrone ha ordinato allo schiavo di accettare era sano di
mente, ma è impazzito prima che l’ordine venisse eseguito dallo schiavo. L’accettazione dello
schiavo può ciò nonostante determinare l’acquisto dell’eredità in capo al dominus? Africano
dice di no, perché il padrone deve essere sano di mente non soltanto quando dà l’ordine di
accettare, ma anche quando l’ordine viene attuato: il furiosus non ha quindi la testamentifactio
passiva (cioè la capacità di acquistare l’eredità per testamento).

151
59. D.29.2.60 Giavoleno, primo libro dalle opere postume di Labeone

Filium emancipatum pater solum Un padre istituì un figlio emancipa-


heredem instituit et, si is heres non to857 come unico erede e dispose che,
esset, servum liberum et heredem esse se non diventasse erede, fosse libero
iusserat; filius, tamquam pater demens ed erede uno schiavo858: il figlio,
fuisset, bonorum possessionem ab adducendo che il padre era pazzo,
intestato petit et ita hereditatem chiese la bonorum possessio ab intesta-
possedit. Labeo ait: si probaretur sana to e cominciò così a possedere l’eredi-
mente pater testamentum fecisse, filium tà859. Labeone dice: se si dimostra
ex testamento patri heredem esse. Hoc che, quando ha fatto testamento, il
padre era sano di mente, il figlio è
erede del padre ex testamento860. Ma io

857 L’emancipato è sui iuris. Per effetto dell’emancipazione, cessa ogni legame giuridico con
la famiglia d’origine; pertanto l’emancipato, istituito erede dal padre, è un estraneo, che acqui-
sta con l’accettazione.
858 Sostituzione volgare di uno schiavo (del testatore) al figlio istituito in primo grado (sulla
sostituzione volgare, cfr. Gai. 2.174-178 = Inst. 2.15). Se il testamento contenesse come unica
istituzione d’erede quella a favore dell’emancipato, in caso di rifiuto da parte di quest’ultimo il
testamento sarebbe destituito di effetti e si aprirebbe la successione legittima. Per evitare un sif-
fatto risultato, il de cuius nomina cum libertate uno schiavo come sostituto del primo istituito. Lo
schiavo non può omittere hereditatem (rifiutare l’eredità), perché è erede necessario (cfr. Gai.
2.156 ss.; Inst. 2.19.2), perciò nel caso in cui il primo istituito non acquisti, lo schiavo acqui-
sta la libertà e l’eredità.
859 Il figlio emancipato si rivolge al pretore, prospettando l’infermità mentale del padre al
tempo della confezione del testamento (con conseguente incapacità di agire del padre) e chie-
de e ottiene la bonorum possessio ab intestato: il pretore promette infatti nell’editto di dare il pos-
sesso dell’eredità, nel caso di apertura della successione ab intestato, anche ai figli emancipa-
ti: in questo caso, il magistrato, in applicazione dell’editto, che prevede che il possesso dell’ere-
dità sia concesso all’emancipato (bonorum possessio unde liberi: Gai. 3.26 = Inst. 3.9.3 ss.), lo
immette nel possesso dei beni.
860 Secondo Labeone, il figlio è erede testamentario del padre al momento dell’acquisto del
titolo di erede (pro herede gestio, su cui Gai. 2.166 s. e Inst. 2.19.7), non al momento della prova
che il padre era sano: come si vede dalla critica di Giavoleno, il figlio, avendo chiesto la bono-
rum possessio dell’eredità ab intestato e avendo ottenuto il possesso, si è comportato da erede e,
ad avviso di Labeone, ha pertanto acquistato il titolo di erede per comportamento concludente.

152
59. D.29.2.60 Giavoleno, primo libro dalle opere postume di Labeone

falsum puto: nam filius emancipatus, ritengo che questa soluzione sia
cum hereditatem testamento datam ad falsa861: poiché, infatti, il figlio eman-
se pertinere noluit, continuo ea ad cipato non ha voluto acquistare l’ere-
substitutum heredem transit, nec potest dità offertagli nel testamento, questa
videri pro herede gessisse, qui, ut passa senza soluzione di continuità al
hereditatem omitteret, ex alia parte sostituto862 e non si può ritenere che
edicti possessionem bonorum petat. colui, che per omettere l’eredità ha
Paulus: et Proculus Labeonis chiesto la bonorum possessio basandosi
sententiam improbat et in Iavoleni su una diversa parte dell’editto863,
sententia est. abbia gestito pro herede. Paolo: anche
Proculo disapprova il parere di Labeo-
ne ed è del parere di Giavoleno.

861 Giavoleno non condivide questa tesi, che definisce “falsa”. Gli aggettivi verus e falsus
assumono diversi significati a seconda del contesto: qui, la soluzione del caso concreto è falsa,
perché non conduce al risultato pratico che Giavoleno ritiene meritevole di essere perseguito,
cioè la libertà e l’acquisto dell’eredità da parte dello schiavo. Secondo Giavoleno, la richiesta
della bonorum possessio sine tabulis da parte del figlio dimostra che quest’ultimo non ha voluto
acquistare l’eredità paterna in base al testamento: si è quindi verificata la condizione della
sostituzione.
862 Al momento dell’apertura della successione, cioè alla morte del testatore, l’eredità è
acquistata dal servus istituito erede con la libertà come sostituto.
863 Quella nella quale il pretore promette la bonorum possessio ab intestato.

153
60. D.32864.60865 Alfeno, secondo libro dei digesti epitomati da Paolo

Cum quaereretur agni legati quatenus Poiché si chiedeva fino a quale età gli
viderentur, quidam aiebant agnum agnelli fossero da ritenere compresi
dumtaxat sex mensum esse: sed verius nel legato866, alcuni867 dicevano fino a
est eos legatos esse, qui minores sei mesi: ma è più conveniente inten-
anniculis essent. 1. Servis et ancillis dere legati quelli di meno di un
urbanis legatis agasonem mulionem anno868. 1. Risposi che nel legato di
legato non contineri respondi: eos enim schiavi e schiave urbane non sono
solos in eo numero haberi, quos pater contenuti lo stalliere869 e il mulattie-
familias circum se ipse sui cultus causa re870: si considerano infatti in tale
haberet. 2. Lana lino purpura uxori novero871 soltanto quelli che il pater
legatis, quae eius causa parata essent, familias tiene al proprio seguito per la
cura della sua persona. 2. Nel caso di
legato alla moglie della lana, del lino e

864 I libri XXX-XXXII del Digesto giustinianeo, sui legati e i fedecommessi, non sono sud-
divisi in titoli.
865 Alfeno elenca i criteri interpretativi dei legati di agnelli (pr.), di schiavi urbani (§1), di
lino, lana e porpora destinata alla moglie (§2), di fondi rustici con le scorte di schiavi e anima-
li (§3).
866 Cioè nel legato di agnelli. Fino a quale età i parti delle pecore si considerano agnelli, ai
fini dell’interpretazione del legato? Per un problema analogo, cfr. Marcello sing. resp. D.32.69.1.
867 Cioè alcuni giuristi, forse auditores di Servio.
868 Verius est: la soluzione è ritenuta più adatta all’economia dell’azienda agricola al tempo
di Alfeno. La pecora comincia di regola ad essere produttiva dall’anno in su. È possibile che i
commissari giustinianei abbiano tagliato un passaggio del ragionamento di Alfeno, conservando
soltanto la conclusione come principio generale, ma non è neppure da escludere che lo stesso
Alfeno concluda una discussione nella scuola di Servio.
869 Agaso, da ago, condurre animali, quindi, qui, stalliere, che secondo Alfeno è uno schia-
vo rustico e non rientra nella categoria economico-sociale degli schiavi urbani, anche se occa-
sionalmente presente nella casa di città del padrone: lo stalliere non fa parte del legato di schia-
vi urbani, pertanto l’erede non dovrà darlo al legatario di schiavi urbani.
870 Anche lo schiavo che conduce le mule, ad es. dalla campagna alla città per poi tornare
in campagna, è uno schiavo rustico.
871 Cioè nel novero degli schiavi urbani.

154
60. D.32.60 Alfeno, secondo libro dei digesti epitomati da Paolo

cum multam lanam et omnis generis della porpora destinati al suo uso872,
reliquisset, quaerebatur an omnis poiché il pater familias aveva lasciato
deberetur. Respondit, si nihil ex ea molta lana di ogni genere, ci si chiede-
destinasset ad usum uxoris, sed omnis va se fosse dovuta tutta873. Rispose874
commixta esset, non dissimilem esse che, se il pater familias875 non avesse
deliberationem, cum penus legata esset specificamente riservato nessuna
et multas res quae penus essent parte della lana all’uso della moglie,
reliquisset, ex quibus pater familias ma la lana si trovasse mescolata tutta
vendere solitus esset. Nam si vina insieme876, la soluzione non sarebbe
diffudisset habiturus usioni ipse et diversa da quella data nel caso di lega-
heres eius, tamen omne in penu to di vettovaglie, molte delle quali il
existimari. Sed cum probaretur eum qui pater familias fosse solito vendere: se
testamentum fecisset partem penus egli soleva infatti travasare del vino da
vendere solitum esse, constitutum esse, riservare all’uso proprio e dell’erede,
ut ex eo, quod ad annum opus esset, anche tutto questo vino sarebbe da
heredes legatario darent. Sic mihi considerare compreso fra le vettova-
glie877. Ma qualora si provasse che chi
aveva fatto testamento era solito ven-
dere una parte delle vettovaglie, è
stato stabilito che gli eredi dessero al
legatario di vettovaglie il necessario

872 Ad uso della moglie (durante la vita del testatore).


873 Cioè tutta la lana che si trovava nel patrimonio del testatore alla sua morte. La ratio dubi-
tandi sta in ciò, che la lana è confusa nello stesso magazzino di casa: quella destinata alla
moglie non è quindi individuabile. Servio risponde con riferimento alla sola lana, non anche al
lino e alla porpora: ma la ratio decidendi vale anche per il resto, giacché, come di regola, Alfe-
no riporta la soluzione di un caso di scuola, enunciando il metodo di soluzione del caso, come
in quello del legato di penus, ove si parla soltanto del vino.
874 Servio.
875 Quando era vivo, ponendola in sacchi separati.
876 Alla morte del testatore.
877 Quindi, nel caso di legato di vettovaglie, tutto il vino sarebbe dovuto al legatario, com-
preso quello travasato per uso personale del testatore e del suo erede. L’alternativa sarebbe che
il testatore avesse, da vivo, riposto in una parte separata della cantina il vino destinato alla ven-
dita.

155
60. D.32.60 Alfeno, secondo libro dei digesti epitomati da Paolo

placet et in lana fieri, ut ex ea quod ad per il consumo di un anno878. Così


usum annuum mulieri satis esset, ea ritengo879 si debba fare anche riguardo
sumeret: non enim deducto eo, quod ad alla lana, cioè che la donna ne prenda
viri usum opus esset, reliquum uxori la quantità sufficiente all’uso di un
legatum esse, sed quod uxoris causa anno: non è stato infatti legato alla
paratum esset. 3. Praediis legatis et moglie ciò che rimane, dedotto quanto
quae eorum praediorum colendorum fosse necessario all’uso del marito880,
causa empta parataque essent, neque ma quanto era destinato all’uso della
topiarium neque saltuarium legatum moglie881. 3. Nel legato dei fondi con
videri ait: topiarium enim ornandi, quanto era stato comprato e destinato
saltuarium autem tuendi et custodiendi alla loro coltivazione882, dice883 che
fundi magis quam colendi paratum non si debbono ritenere compresi né il
esse; asinum machinarium legatum giardiniere, né la guardia campestre:
il giardiniere, infatti, è destinato
all’ornamento del fondo, la guardia
campestre alla sua sorveglianza e
custodia, più che alla sua coltivazione:

878 Gli eredi devono dare le vettovaglie destinate al consumo della casa per un anno, per-
ché quelle destinate alla vendita non erano individuabili, in quanto non riposte in un luogo
apposito della dispensa. E poiché il testatore non ha scritto “lascio a mia moglie quanto resta
delle vettovaglie di cui faccio uso (vendendole)”, ma le vettovaglie “destinate all’uso della fami-
glia”, e i generi della dispensa erano riposti tutti insieme, il criterio di Servio è di quantificare
l’entità dovuta al legatario con la necessità di uso per un anno: la durata è scelta secondo un
criterio di ragionevolezza, dipendente dall’annata agraria di produzione del vino.
879 Alfeno.
880 Ad es., per le sue esigenze commerciali.
881 Le vettovaglie vengono dalla villa rustica: l’erede deve dare le vettovaglie destinate al
consumo di casa in un anno e non quelle destinate alla vendita. Per analogia con la soluzione
in materia di vettovaglie, si è deciso anche nel caso del legato di lana che la moglie si prenda
ciò che le è sufficiente per l’uso di un anno, secondo il bisogno che ne aveva, quando il testa-
tore era vivo, mediamente in un anno.
882 Instrumentum fundi.
883 Servio.

156
60. D.32.60 Alfeno, secondo libro dei digesti epitomati da Paolo

videri, item oves, quae stercorandi è invece da ritenere legato l’asino adi-
fundi causa pararentur, item bito alla macina884, e così le pecore
opilionem, si eius generis oves curaret. destinate alla concimazione del fondo,
nonché il pastore che le cura885.

884 Cioè l’asino che serve a muovere le macine del mulino: l’asino non è adibito alla colti-
vazione, ma alla trasformazione del prodotto; tuttavia sia la coltivazione, sia la trasformazione
del prodotto in farina servono all’alimentazione, in funzione della quale il fondo viene coltivato
(oltre che per la vendita dei prodotti).
885 Né le pecore, né il pastore sono destinati alla coltivazione, ma alla concimazione del
podere, la quale, tuttavia, è funzionale alla coltivazione.

157
61. D.32.61 Alfeno, ottavo libro dei digesti epitomati da Paolo

Textoribus omnibus, qui sui essent cum Ci si è chiesti se nel legato di tutti gli
moreretur, legatis, quaesitum est, an et schiavi tessitori “che saranno miei
is, quem postea ex his ostiarium quando morirò”, fosse contenuto
fecisset, legato contineretur. Respondit anche quello che aveva fatto da porti-
contineri: non enim ad aliud naio886: rispose887 che vi è contenuto,
artificium, sed ad alium usum perché non è stato trasferito ad un
transductum esse. altro mestiere, ma ad un’altra mansio-
ne888.

886 Durante la vita del testatore.


887 Servio.
888 Non ha cambiato artificium, che implica una competenza tecnica, ma mansione, la quale
consiste in un mutamento provvisorio delle funzioni.

158
62. D.32.69 Marcello, libro unico dei responsi

Non aliter a significatione verborum Non ci si deve discostare dal significa-


recedi oportet, quam cum manifestum to delle parole889, se non quando è
est aliud sensisse testatorem. 1. Titius chiaro che il testatore aveva una diver-
codicillis suis ita cavit: ‘Publio Mevio sa intenzione890. 1. Tizio così dispose
omnes iuvenes, quos in ministerio nei suoi codicilli: “Voglio che siano
habeo, dari volo’. Quaero a qua aetate dati a Publio Mevio tutti i giovani
iuvenes et in quam intellegi debeant. schiavi che sono al mio servizio”891:
Marcellus respondit quos verbis quae chiedo da quale età e fino a quale que-
proponerentur demonstrare voluerit sti si debbano considerare “giova-
ni”892. Marcello rispose che dipende
da chi sarà investito della cognitio893
della questione stabilire quali schiavi

889 Cioè dal significato delle parole usate dal testatore.


890 È qui contenuta una regola, di cui il § successivo costituisce l’applicazione.
891 Dari volo: disposizione fedecommissaria.
892 La parola iuvenis (giovane) è per sua natura ambigua.
893 Cioè dipende dal giudice, che in materia di fedecommessi decide extra ordinem.

159
62. D.32.69 Marcello, libro unico dei responsi

testator, ad notionem eius, qui de ea re il testatore abbia voluto indicare con le


cogniturus esset, pertinere: non enim in parole citate. In materia testamentaria
causa testamentorum ad definitionem non si deve, infatti, ricorrere alla defi-
utique descendendum est, cum nizione delle parole in modo assoluto,
plerumque abusive loquantur nec perché i più si esprimono impropria-
propriis nominibus ac vocalibus semper mente, né usano sempre i nomi e i
utantur. Ceterum existimari posset vocaboli pertinenti894. Per il resto, si
iuvenis, qui adulescentis excessit può considerare giovane chi è uscito
aetatem, quoad incipiat inter seniores dall’età dell’adolescenza fin quando
numerari. comincia ad essere annoverato fra i
seniores895.

894 Non di rado, le persone attribuiscono alle parole un significato individuale. Lo sforzo
dell’interprete è di accertare, di volta in volta, il senso attribuito dal testatore alle parole che ha
usato. Nel caso di specie sarà il giudice a stabilire quali schiavi il testatore intendesse per iuve-
nes, indagando sulle sue abitudini: verificando, ad es., se egli fosse solito chiamare “giovane”
anche schiavi di una certa età.
895 Criterio generale, secondo il quale, in un significato oggettivo, iuvenis è chi è uscito dal-
l’adolescenza e non è ancora senior: per es., in relazione a certe cariche pubbliche, fino ai qua-
rantacinque anni.

160
63. D.33.6896.7 Giavoleno, secondo libro delle opere postume di Labeone

Quidam heredem damnaverat dare Un tale aveva imposto all’erede, con


uxori suae vinum oleum frumentum un legato per damnationem, di dare a
acetum mella salsamenta. Trebatius sua moglie897 il vino, l’olio, il frumen-
aiebat ex singulis rebus non amplius to, l’aceto, il miele e la carne salata:
deberi, quam quantum heres mulieri Trebazio diceva che, delle singole
dare voluisset, quoniam non adiectum cose, non era dovuto più di quanto
esset, quantum ex quaque re daretur. l’erede volesse dare alla donna, per-
Ofilius Cascellius Tubero omne, ché di ogni genere non era stata
quantum pater familias reliquisset, aggiunta la quantità che si doveva
legatum putant: Labeo id probat idque dare898. Ofilio, Cascellio e Tuberone
verum est. ritengono che sia stata legata l’intera
quantità lasciata dal pater familias899.
Labeone approva questa soluzione,
che è vera.

896 Rubrica del titolo: De tritico vino vel olio legato (= Dei legati di grano, di vino e di olio).
897 Cioè alla moglie del testatore.
898 Trebazio risponde che, poiché il de cuius non ha specificato la quantità da consegnare
alla legataria, di ciascuno di questi generi l’erede deve dare non più di quanto lui stesso inten-
da dare.
899 Nella dispensa, al momento della morte. Secondo questi giuristi, le parole del pater fami-
lias sono chiare e non debbono quindi essere interpretate (in claris non fit interpretatio): pro-
prio perché il testatore non ha indicato la quantità dei beni, è chiaro che ha inteso lasciare tutto
ciò che è contenuto nella dispensa. Dalla medesima premessa (mancata indicazione della quan-
tità) Trebazio, da un lato, Ofilio, Cascellio e Tuberone, dall’altro, traggono rispettivamente solu-
zioni interpretative opposte. Secondo i suoi critici, la soluzione di Trebazio è arbitraria. In ita-
liano l’uso dell’articolo, determinativo o indeterminativo, non porrebbe il problema ermeneuti-
co negli stessi termini di questo fr. Se il testatore scrive “lascio in legato l’olio della mia dispen-
sa”, la disposizione è chiara e al legatario è dovuta l’intera quantità; se invece il testatore ha
lasciato in legato “dell’olio”, si pone il problema di stabilire quanto olio sia oggetto del legato:
questa seconda formulazione pone quindi un problema interpretativo.

161
64. D.33.7900.16 Alfeno, secondo libro dei digesti epitomati da Paolo

Villae instrumento legato supellectilem È preferibile la tesi secondo cui la


non contineri verius est. 1. Vinea et suppellettile901 non è contenuta nel
instrumento eius legato, instrumentum legato di instrumentum della villa902.
vineae nihil esse Servius respondit: qui 1. Nel caso di legato del vigneto con
eum consulebat, Cornelium respondisse l’instrumentum, Servio rispose che non
aiebat palos perticas rastros ligones c’è niente che costituisca instrumen-
instrumenti vineae esse, quod verius est. tum della vigna903; chi lo consultava904
2. Quidam uxori fundum, uti instructus osservava però che Cornelio905 aveva
esset, in quo ipse habitabat, legavit. risposto che fanno parte dell’instru-
Consultus de mulieribus lanificis an mentum del vigneto i pali, le pertiche,
instrumento continerentur, respondit i rastrelli, le zappe: e questa è l’opi-
nione preferibile906. 2. Un tale ha
lasciato in legato a sua moglie il fondo,
nel quale egli stesso abitava, così
com’era corredato907. Alla richiesta se

900 Rubrica del titolo (= De instructo vel instrumento legato: Del legato di cosa instructa
[cioè corredata degli accessori utili alla sua gestione] e del legato di instrumentum).
901 La suppellettile è l’insieme delle cose di uso comune del padrone della villa rustica e
non fa quindi parte dell’instrumentum villae (cioè del podere: attrezzi agricoli, scorte, etc.), che
rientra in una diversa categoria economico-sociale.
902 Cioè di tutto ciò che serve al funzionamento della villa, nel senso di fattoria, ossia gli
attrezzi da lavoro e così via. Cfr. nt. precedente.
903 La coltivazione del vigneto non esige cioè attrezzi specifici, diversi da quelli necessari
per le altre colture del fondo.
904 Probabilmente un auditor della scuola di Servio.
905 La menzione di un giurista di nome Cornelio si trova in questa sola testimonianza.
906 Alfeno, benché l’opinione di Servio sia autorevole, preferisce quella di Cornelio, perché
più rispondente alla realtà.
907 Al momento della morte del testatore.

162
64. D.33.7.16 Alfeno, secondo libro dei digesti epitomati da Paolo

non quidem esse instrumenti fundi, sed le schiave che si dedicavano alla fila-
quoniam ipse pater familias, qui tura della lana908 facessero parte del-
legasset, in eo fundo habitasset, l’instrumentum del fondo909, rispose910
dubitari non oportere, quin et ancillae che di per sé non ne fanno parte, ma
et ceterae res, quibus pater familias in poiché il pater familias, che ha dispo-
eo fundus esset instructus, omnes sto il legato, aveva abitato nel
legatae viderentur. fondo911, non si deve dubitare che sia
le schiave, sia tutte le altre cose, delle
quali il pater familias lo aveva corre-
dato, siano da ritenere legate912.

908 Schiave che lavoravano nel fondo del testatore.


909 Le schiave dedite alla filatura della lana fanno parte dell’instrumentum fundi, benché
non svolgano un’attività agricola? L’instrumentum fundi consiste infatti in un insieme di cose
destinate alla gestione del fondo come tale.
910 Servio.
911 Nel quale le schiave filavano la lana.
912 Il pater familias ha lasciato in legato il fondo così come egli stesso lo aveva abitato fino
alla morte: il legato quindi comprende tutto quello che il padrone considerava appartenente al
fondo durante la vita. Servio, nel rispetto dell’intenzione del testatore, non fa quindi riferimen-
to alla nozione di instrumentum fundi come categoria economico-sociale: l’oggetto del legato
non è infatti il fundus cum instrumento, ma il fundus uti instructus quando il testatore lo abita-
va.

163
65. D.33.8913.14914 Alfeno, quinto libro dei digesti

Quidam in testamento ita scripserat: Nel testamento un tale aveva scritto


‘Pamphilus servus meus peculium suum così: “Quando morirò, il mio schiavo
cum moriar sibi habeto liberque esto’. Panfilo si tenga il suo peculio915 e sia
Consulebatur, rectene Pamphilo libero916”. Si chiedeva se il peculio
peculium legatum videretur, quod prius fosse da ritenere validamente legato a
quam liber esset peculium sibi habere Panfilo, dal momento che era stato
iussus esset. Respondit in disposto che lo schiavo tenesse il
coniunctionibus ordinem nullum esse peculio prima di essere dichiarato
neque quicquam interesse, utrum libero917. Rispose918 che nelle disposi-
eorum primum diceretur aut zioni congiunte919 non vi è alcun ordi-
scriberetur: quare recte peculium ne920 e che perciò non importa quale
legatum videri, ac si prius liber esse, di esse sia stata detta o scritta per
deinde peculium sibi habere iussus est. prima921: è quindi da ritenere che il
peculio sia stato legato validamente,
come se si fosse disposto che Panfilo
fosse stato prima dichiarato libero e
poi che tenesse il peculio.

913 Rubrica del titolo: De peculio legato (= Del legato di peculio).


914 Cfr. Gai. 2.186 e 230; Inst. 2.20.34.
915 Legato per vindicationem.
916 Manomissione con efficacia diretta.
917 Il legato del peculio a favore del servus è anteposto alla manomissione.
918 Servio.
919 Come quella in esame.
920 Cioè non è possibile dire quale venga prima e quale venga dopo, data la natura della
congiunzione. Cfr. nt. 921.
921 Sull’ordine della scrittura, cfr. Inst. 2.20.34. Le disposizioni congiunte appartengono ad
un unico contesto: non è rilevante quale venga prima e quale dopo, data la formulazione pecu-
lium habeto liberque esto, che è equivalente a liber esto peculiumque habeto, ove la congiunzio-
ne con il -que non instaura alcun ordine (cronologico nella dichiarazione orale, topografico in
quella scritta). Diversa sarebbe la formulazione Pamphilus peculium habeto e, in una tavoletta
successiva, o andando ad es. a capo nella medesima tavoletta, Pamphilus liber esto. Cfr. la for-
mula dell’istituzione d’erede dello schiavo cum libertate in Gai. 2.186. Alfeno supera il forma-
lismo con un criterio logico-linguistico in funzione conservativa del legato.

164
66. D.33.8.15 Alfeno, secondo libro dei digesti epitomati da Paolo

Servo manumisso peculium legatum Ad uno schiavo manomesso922 era


erat: alio capite omnes ancillas suas stato legato il peculio. In un’altra parte
uxori legaverat: in peculio servi, del testamento, il disponente aveva
ancilla fuit. Servi eam esse respondit legato alla propria moglie “tutte le mie
neque referre, utri prius legatum esse. ancelle923“: del peculio dello schiavo
faceva parte un’ancella924. Rispose925
che questa appartiene allo schiavo
manomesso926 e che non importa a
favore di chi927 il legato sia stato
disposto prima928.

922 Nel testamento: Servus liber esto et peculium habeto.


923 Cioè tutte le mie schiave.
924 Quest’ancella spetta al manomesso o alla moglie del testatore?
925 Servio.
926 Perché il testatore gli ha legato il peculio di cui l’ancella fa parte.
927 Al manomesso o alla moglie.
928 Se anche il legato di tutte le ancelle alla moglie fosse stato scritto prima del legato del
peculio allo schiavo manomesso, ciò non impedirebbe a quest’ultimo di tenersi l’ancella, per-
ché la volontà dell’ereditando è che al manomesso spetti tutto quanto rientra nel peculio al
momento dell’apertura della successione. Alla moglie dell’ereditando appartengono quindi tutte
le ancelle, salvo quella che fa parte del peculio dello schiavo manomesso.

165
67. D.33.10929.7.1 e 2 Celso, diciannovesimo libro dei digesti

1. Tubero hoc modo demonstrare 1. Tuberone cerca di determinare la


supellectilem temptat: instrumentum nozione di suppellettile930 in questo
quoddam patris familiae rerum ad modo: per così dire, un corredo di cose
cottidianum usum paratarum, quod in del pater familias destinate all’uso
aliam speciem non caderet, ut verbi quotidiano, che non cada in un’altra
gratia penum argentum vestem categoria, come, per esempio, le prov-
ornamenta instrumenta agri aut viste, l’argenteria, il vestiario, i gioiel-
domus. Nec mirum est moribus civitatis li, gli attrezzi agricoli o gli utensili
et usu rerum appellationem eius domestici931. Né meraviglia che la sua
mutatam esse: nam fictili aut lignea denominazione sia cambiata secondo i
aut vitrea aut aerea denique supellectili costumi della città e l’uso degli ogget-
utebantur, nunc ex ebore atque ti, giacché prima si usavano suppellet-
testudine et argento, iam ex auro etiam tili di terracotta, di legno, di vetro e
anche di bronzo, ora si usano suppel-
lettili di avorio, di tartaruga, d’argento,
d’oro e perfino di pietre preziose: per

929 Rubrica del titolo: De suppellectile legata (= Del legato di suppellettile).


930 Ai fini dell’interpretazione del legato di suppellettile. Il pater familias, ad es., ha legato
le suppellettili che ha nella casa di campagna, nella quale si trovano parecchi oggetti apparte-
nuti al testatore: sia il legatario, sia l’erede hanno interesse a sapere quali di essi rientrino nella
nozione di suppellettile.
931 Queste cose fanno parte di categorie economico-sociali tipizzate, diverse dalla categoria
delle suppellettili.

166
67. D.33.10.7.1 e 2 Celso, diciannovesimo libro dei digesti

atque gemmis supellectili utuntur. stabilire se si tratti di suppellettile e


Quare speciem potius rerum, quam non di argenteria o di vestiario, si deve
materiam intueri oportet, suppellectilis quindi guardare alla categoria delle
potius an argenti, an vestis sint. 2. cose, anziché alla materia di cui sono
Servius fatetur sententiam eius qui fatte932. 2. Servio afferma che ci si
legaverit aspici oportere, in quam deve riferire all’intenzione di chi ha
rationem ea solitus sit referre: verum si disposto il legato933, tenendo conto
ea, de quibus non ambigeretur, quin in della categoria in cui egli era solito
alieno genere essent, ut puta escarium annoverare le cose: se tuttavia taluno
argentum aut paenulas et togas, soleva ascrivere934 alla suppellettile
supellectili quis adscribere solitus sit, cose delle quali non si dubita che
non idcirco existimari oportere appartengano ad un genere diverso,
come, ad esempio, l’argenteria da
tavola o i mantelli e le toghe, non si
deve per questo ritenere che anch’esse

932 Mentre un tempo era più facile distinguere le suppellettili, ad es., dagli oggetto d’oro o
dall’argenteria, perché erano di materiale diverso, ora è più difficile, perché la materia di cui
sono fatte è la medesima (oro, argento, etc.).
933 Criterio di interpretazione del legato, che si fonda sull’accertamento dell’effettiva volon-
tà del disponente.
934 Nei suoi registri, oppure il testatore era solito riporle insieme ai gioielli.

167
67. D.33.10.7.1 e 2 Celso, diciannovesimo libro dei digesti

supellectili legata ea quoque contineri: siano contenute nel legato di suppel-


non enim ex opinionibus singulorum, lettile935: il significato dei nomi non si
sed ex communi usu nomina exaudiri deve trarre, infatti, dall’opinione dei
debere. Id Tubero parum sibi liquere singoli, ma dall’uso comune936. Tube-
ait: nam quorsum nomina, inquit, nisi rone dice che questo gli è poco chiaro:
ut demonstrarent voluntatem dicentis? infatti, a che servono i nomi, egli
equidem non arbitror quemquam osserva, se non per esprimere la volon-
dicere, quod non sentiret, ut maxime tà di chi parla? Invero, io937 non riten-
nomine usus sit, quo id appellari solet: go che qualcuno dica una cosa che non
nam vocis ministerio utimur: ceterum corrisponde alla sua intenzione, pro-
nemo existimandus est dixisse, quod prio quando usa il nome con cui si è
non mente agitaverit. Sed etsi soliti denominarla938: noi ci serviamo
magnopere me Tuberonis et ratio et infatti della parola come di uno stru-
auctoritas movet, non tamen a Servio mento del pensiero. D’altra parte, si
deve credere che nessuno dica qualco-
sa che non abbia già formulato nella
propria mente. Ma, sebbene l’argo-
mentazione e l’autorità di Tuberone mi
facciano riflettere, tuttavia non dissen-
to da Servio nel ritenere che nessuno

935 Se, ad es., il pater familias era solito tenere esposta nel salotto di casa la toga di seta
donatagli dall’imperatore, senza mai indossarla, questa non deve essere considerata come sup-
pellettile, perché appartiene alla categoria degli abiti.
936 Cfr. D.32.69 Marcell. sing. resp.
937 Celso.
938 Uso del nome secondo il significato che esso ha nel linguaggio comune.

168
67. D.33.10.7.1 e 2 Celso, diciannovesimo libro dei digesti

dissentio non videri quemquam dixisse, possa aver detto qualcosa senza usare
cuius non suo nomine usus sit. Nam etsi il nome che gli è proprio939: benché
prior atque potentior est quam vox mens infatti l’intenzione di chi parla venga
dicentis, tamen nemo sine voce dixisse prima e sia più importante della paro-
existimatur: nisi forte et eos, qui loqui la, tuttavia si ritiene che nessuno
non possunt, conato ipso et sono abbia potuto parlare senza adoperare
quodam kaˆ tÍ ¢n£rqrJ fwnÍ dicere le parole940: a meno che non vogliamo
existimamus. sostenere che anche coloro che non
possono parlare lo facciano ugualmen-
te, magari mediante lo sforzo stesso di
emettere suoni kaˆ tÍ ¢n£rqrJ
fwnÍ941.

939 La gente attribuisce alle parole il significato che esse hanno nel linguaggio comune.
Celso fa peraltro un’osservazione liguistica più profonda, che riguarda il rapporto fra pensiero e
parola che lo esprime.
940 Per capire l’intenzione, bisogna basarsi sulle parole, che sono lo strumento di espressio-
ne dell’intenzione.
941 E mediante la voce inarticolata.

169
68. D.34.2942.28 Alfeno, settimo libro dei digesti

Cum in testamento alicui argentum, Nel caso in cui in un testamento si


quod usus sui causa paratum esset, fosse legata a qualcuno l’argenteria
legaretur, itemque vestis aut supellex, destinata all’uso personale del testato-
quaesitum est, quid cuiusque usus re, oppure un abito o delle supelletti-
causa videretur paratum esse, utrumne li943, ci si chiese che cosa s’intenda
id argentum, quod victus sui causa destinato ad uso personale, se soltanto
paratum pater familias ad cotidianum l’argenteria che il pater familias aveva
usum parasset an et si eas mensas destinato all’uso quotidiano della pro-
argenteas et eius generis argentum pria mensa, o anche i servizi da tavola
haberet, quo ipse non temere uteretur, d’argento e l’altra argenteria del gene-
sed commodare ad ludos et ad ceteras re che egli non usava abitualmente,
apparationes soleret. Et magis placet, ma che era solito dare in comodato per
quod victus sui causa paratum est, festività ed altre occasioni: ed è opi-
tantum contineri. nione prevalente che in un legato del
genere sia contenuto soltanto ciò che è
stato destinato all’uso quotidiano944.

942 Rubrica del titolo: De auro argento mundo ornamentis unguentis veste vel vestimenta et
statuis legatis (= Dei legati di oro, di argenteria, di corredo, di gioielli, di unguenti, di abito o
di abiti, e di statue).
943 La formulazione del caso fa pensare ad una fattispecie discussa nella scuola di Servio,
anziché ad un caso reale.
944 Del pater familias.

170
69. D.34.2.33945 Pomponio, quarto libro del commentario a Quinto Mucio

Inter vestem virilem et vestimenta Fra un abito maschile e l’insieme degli


virilia nihil interest: sed difficultatem abiti maschili non c’è differenza: crea
facit mens legantis, si et ipse solitus tuttavia difficoltà l’intenzione dell’au-
fuerit uti quadam veste, quae etiam tore del legato947, se egli era solito
mulieribus conveniens est. Itaque ante indossare un abito adatto anche alle
omnia dicendum est eam legatam esse, donne948. Si deve dire, innanzi tutto,
de qua senserit testator, non quae re che è compreso nel legato l’abito che il
vera aut muliebris aut virilis sit. Nam testatore ha voluto lasciare in lega-
et Quintus <Mucius>946 ait scire se to949, non quello che è realmente
quendam senatorem, muliebribus maschile o femminile: anche Quinto
cenatoriis uti solutum, qui, si legaret Mucio950 dice infatti di conoscere un
muliebrem vestem, non videretur de ea senatore, abituato ad indossare a cena
sensisse, qua ipse quasi virili utebatur. abiti femminili, il quale, se avesse
legato un abito femminile, non avreb-
be voluto lasciare in legato quello che
egli indossava come abito maschile951.

945 Cfr. D.45.1.110.1 Pomp. 4 ad Q. Muc.


946 Cfr. nt. 950.
947 Di abiti maschili.
948 Il testatore ha legato i suoi abiti maschili, ma in vita era solito indossare un abito adat-
to anche alle donne: è compreso anche questo nel legato?
949 Criterio di ricostruzione della volontà dal comportamento quotidiano del testatore, per il
quale l’abito che indossava era un abito da uomo, benché obiettivamente da donna: per prima
cosa, si deve cioè accertare l’effettiva intenzione dell’ereditando in base alla ricostruzione delle
sue abitudini (cfr. D.34.5.28(29) Iav. 3 ex post. Lab.).
950 Quintus Titius nel manoscritto Fiorentino del Digesto, da correggere in Quintus Mucius
(Scaevola) di cui Pomponio commenta l’opera di diritto civile.
951 Pomponio ha trovato il caso e la soluzione nell’opera di Quinto Mucio e se ne serve come
argomento a contrario: un senatore, che a cena era solito indossare un abito oggettivamente femmi-
nile, se avesse legato un abito femminile del guardaroba, non si sarebbe riferito a quell’abito che,
pur essendo obiettivamente femminile, egli indossava a cena come maschile. Cfr. D.45.1.110.1
(anch’esso tratto dal quinto libro ad Quintum Mucium e verosimilmente contiguo nell’originale), ove
Pomponio espone il criterio di interpretazione di una stipulatio di analogo contenuto.

171
70. D.34.2.40.2 Scevola952, diciassettesimo libro dei digesti

Mulier decedens ornamenta legaverat Una donna, morendo, aveva legato i


ita: ‘Seiae amicae meae ornamenta gioielli così: “Voglio che siano dati953
universa dari volo’. Eodem testamento tutti i gioielli954 alla mia amica
ita scripserat: ‘Funerari me arbitrio viri Seia”955. Nel medesimo testamento
mei volo et inferri mihi quaecumque aveva scritto: “Voglio che i miei fune-
sepulturae meae causa feram, ex rali siano celebrati ad arbitrio di mio
ornamentis lineas duas ex margaritis et marito e che siano sepolti con me,
viriolas ex smaragdis’: sed neque qualunque cosa indosserò in occasio-
heredes neque maritus, cum humi ne della sepoltura956, come gioielli due
corpus daret, ea ornamenta, quae fili di perle e i braccialetti di smeral-
corpori iussus erat adici, dederunt: do”. Ma né gli eredi, né il marito,
quaesitum est, utrum ad eam, cui quando provvide alla sepoltura, diede-
ro i gioielli che era stato disposto
venissero sepolti con il corpo della
donna957. Si è chiesto se questi958

952 Quinto Cervidio Scevola.


953 Anche qui, come altrove, Cervidio Scevola menziona disposizioni codicillari (che non
possono contenere validamente legati, ma soltanto fedecommessi) usando la terminologia dei
legati, il che fa pensare ad una fase avanzata del processo storico di unificazione dei legati e dei
fedecommessi. Cfr. D.32.69 Marcell. sing. resp., in cui l’espressione dari volo designa un fede-
commesso codicillare.
954 Appartenenti alla testatrice.
955 Legataria.
956 I gioielli che la defunta indosserà durante i funerali dovranno essere sepolti con lei.
957 Né gli eredi, né il marito hanno eseguito la volontà della testatrice di sepellire con il suo
corpo i gioielli da lei indicati.
958 Cioè i due fili di perle e i braccialetti di smeraldo.

172
70. D.34.2.40.2 Scevola, diciassettesimo libro dei digesti

ornamenta universa reliquerat, spettino a colei, cui erano stati lascia-


pertineant an ad heredes. Respondit ti959 “tutti i gioielli”960, oppure agli
non ad heredes, sed ad legatariam eredi. Rispose che essi non spettano
pertinere. agli eredi, ma alla legataria961.

959 Cioè alla legataria.


960 Cfr. la formulazione della disposizione: ornamenta universa dari volo.
961 Se si lasciassero agli eredi i gioielli non seppelliti col corpo della defunta, non si rispet-
terebbe la sua volontà, espressa in entrambe le disposizioni: i gioielli indicati non adornereb-
bero il corpo della testatrice nella tomba e nemmeno si troverebbero presso la legataria, cui sono
stati legati “tutti i gioielli”. Il giurista fonda la soluzione sulla lettera della dichiarazione.

173
71. D.34.5962.9(10) pr. Trifonino, ventunesimo libro delle disputationes

Qui duos impuberes filios habebat, ei Uno, che aveva due figli impuberi,
qui supremus moritur Titium substituit; sostituì Tizio a quello che morirà per
duo impuberes simul in nave perierunt: ultimo963; i due impuberi morirono
quaesitum est, an substituto et cuius insieme sulla stessa nave. Si chiese se,
hereditas deferatur. Dixi, si ordine vita e l’eredità di chi, si deferisca al sosti-
decessissent, priori mortuo frater ab tuto964. Ho detto che, se sono deceduti
intestato heres erit, posteriori uno dopo l’altro, a quello morto per
substitutus: in ea tamen hereditate primo sarà erede ab intestato965 il fra-
etiam ante defuncti filii habebit tello, a quello morto dopo966 sarà erede
hereditatem. In proposita tamen il sostituto, il quale in questa eredi-
quaestione ubi simul perierunt, quia, tà967 avrà anche l’eredità del figlio
cum neutri frater superstes fuit, quasi defunto in precedenza968. Ma nella
utrique ultimi decessisse sibi questione proposta, ove essi perirono
videantur? An vero neutri, quia insieme969, dato che nessuno dei due
fratelli è sopravvissuto all’altro, si
deve ritenere che siano deceduti
ambedue per ultimi?970 O invece nes-
suno dei due, dato che l’accertamento

962 Rubrica del titolo: De rebus dubiis (= Delle questioni dubbie).


963 Sostituzione pupillare. Cfr. Gai. 2.179 s.; Inst. 2.16 pr. e 2.
964 “Il dubbio nasce dal fatto che la sostituzione riguarda il solo figlio morto per ultimo, ma
qui i due fratelli sono morti contemporaneamente: ci si chiede quindi se la sostituzione pupil-
lare debba comunque produrre effetti, anche se quanto previsto dal testatore non si è realizzato
alla lettera. Ci si chiede, cioè, se al sostituto spetti l’eredità e, in tal caso, quale fra quelle dei
due fratelli” (MAGANZANI, Formazione e vicende cit., p. 310, nt.2).
965 Come adgnatus proximus.
966 Cioè per ultimo.
967 Del fratello morto per ultimo.
968 Al quale il fratello morto per ultimo era succeduto ab intestato.
969 Cioè contemporaneamente.
970 In questo caso, il sostituto sarebbe erede di entrambi e avrebbe diritto all’eredità del
pater familias, aumentata dei patrimoni dei due figli acquistati durante l’impubertà.

174
71. D.34.5.9(10) pr. Trifonino, ventunesimo libro delle disputationes

comparatio posterioris decedentis ex di chi è deceduto per secondo971


facto prioris mortui sumitur? sed dipende dal fatto della morte del
superior sententia magis admittenda primo972? La precedente opinione, che
est, ut utrique heres sit: nam et qui il sostituto sia erede di ambedue, è
unicum flium habet, si supremum quella preferibile973: infatti, non si
morienti substituit, non videtur ritiene che abbia sostituito invalida-
inutiliter substituisse: et proximus mente neppure chi, anche avendo un
adgnatus intellegitur etiam qui solus figlio solo, nomini un sostituto a “quel-
est quique neminem antecedit: et hic lo che morirà per ultimo”; e per
utrique, quia neutri eorum alter “agnato prossimo” si intende anche
superstes fuit, ultimi primique obierunt. chi è solo e non ha nessuno dopo di
lui974. Ed anche qui, poiché nessuno
dei due975 è sopravvissuto all’altro, si
può dire che essi siano morti sia per
primi che per ultimi976.

971 Cioè per ultimo.


972 E non c’è un fratello morto per primo, perché sono morti contemporaneamente. In tal
caso il sostituto non succederebbe a nessuno dei due ed entrambi morirebbero intestati.
973 “La soluzione è conforme allo scopo della sostituzione pupillare, che è quello di preco-
stituire un testamento all’impubere, incapace di farlo da sé. La sostituzione deve, dunque, pro-
durre i suoi effetti, anche se quanto richiesto dal testatore non si è verificato” (MAGANZANI, For-
mazione e vicende cit., p. 310, nt.3).
974 “Il giurista richiama la disciplina civilistica della successione intestata, che, in mancan-
za di sui, deferisce l’eredità all’adgnatus ‘proximus’, cioè più vicino al defunto, anche nel caso
in cui il defunto non abbia, oltre a quello chiamato a succedere, altri agnati di grado ulteriore”
(MAGANZANI, Formazione e vicende cit., p. 310, nt.5).
975 Figli del testatore.
976 E dunque il sostituto sarà erede di entrambi e conseguirà il patrimonio del pater fami-
lias, arricchito di quelli dei due figli acquistati durante la impubertà.

175
72. D.34.5.28(29) Giavoleno, terzo libro delle opere postume di Labeone

Qui habebat Flaccum fullonem et Un tale, che aveva il lavandaio Flacco


Philonicum pistorem, uxori Flaccum e il fornaio Filonico, aveva lasciato in
pistorem legaverat: qui eorum et num legato alla moglie “Flacco il forna-
uterque deberetur? Placuit primo eum io”977: quale di loro è dovuto? O lo
legatum esse, quem testator legare sono forse ambedue?978: è stato deci-
sensisset. Quod si non appareret, so979 che, innanzi tutto980, sia stato
primum inspiciendum esse, an nomina legato quello che il testatore ha avuto
servorum dominus nota habuisset: intenzione di legare981; che, se ciò non
quod si habuisset, eum deberi, qui fosse chiaro982, si debba dapprima
indagare se il padrone conoscesse gli
schiavi per nome e, se li conosceva,

977 La dichiarazione è di per sé chiara, ma priva di significato concreto, perché un fornaio


Flacco non c’è: occorre dunque darle un significato conforme all’intenzione del testatore. La
rinuncia all’interpretazione avrebbe comunque una ricaduta pratica, perché il legato sarebbe
nullo e ambedue gli schiavi cadrebbero nella massa ereditaria, contrariamente alla volontà del
de cuius.
978 “... all’inizio si chiarisce che oggetto dell’interpretazione è soltanto il testo della dichia-
razione così come è stata redatta dal testatore: la ricerca della volontà è cioè limitata a uno solo
degli schiavi... la premessa di fatto esclude... che s’indaghi circa un’intenzione esulante dal
tenore del legato, che s’indaghi cioè circa l’eventuale e ben possibile intenzione di lasciare un
terzo schiavo o circa quella di lasciarli ambedue...” (G. NEGRI, Esempio di interpretazione del
legato nel diritto romano e nella giurisprudenza dei tribunali italiani moderni, in Nozione, for-
mazione e interpretazione del diritto dall’età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate
al prof. F. Gallo, vol.III, Napoli 1997, p. 608 s.): la frase et num uterque deberetur? (e sono forse
dovuti entrambi?) è probabilmente una glossa postclassica pregiustinianea caduta nel testo nel
corso della tradizione manoscritta.
979 Da Labeone.
980 Priorità rispetto agli altri criteri interpretativi.
981 Ricostruzione dell’intenzione effettiva del defunto, in base ad elementi extratestamenta-
ri, come testimonianze di amici, della moglie, dei familiari del defunto o documenti, come, ad
es., il suo diario, la sua corrispondenza, etc.
982 Se questa ricerca non porta ad alcun risultato, opera un criterio interpretativo subordi-
nato a quello precedente.

176
72. D.34.5.28(29) Giavoleno, terzo libro delle opere postume di Labeone

nominatus esset, tametsi in artificio sia dovuto quello che è stato indicato
erratum esset. Sin autem ignota col nome983, anche se c’è stato un erro-
nomina servorum essent, pistorem re sul mestiere984; e che, se i nomi
legatum videri, perinde ac si nomen ei degli schiavi gli fossero invece scono-
adiectum non esset. sciuti, sia da ritenere legato “il forna-
io”985, come se il nome non gli fosse
stato aggiunto986.

983 Quindi Flacco. Mentre il primo criterio interpretativo consiste in un’indagine storico-
ricostruttiva, volta ad accertare l’effettiva intenzione del defunto, il secondo, benché basato
anch’esso su un’investigazione circa le abitudini dell’ereditando, implica una ricerca extrado-
cumentale più limitata. Infatti, se si accerta che il testatore era solito apostrofare gli schiavi per
nome, si può trarne che egli abbia inteso lasciare lo schiavo indicato con il nome, ed abbia erra-
to nella menzione del mestiere: si tratta di un’illazione dell’interprete, giacché non è certo che
il pater familias volesse lasciare lo schiavo Flacco per il solo fatto che lo conoscesse per nome;
ma il criterio induttivo è ragionevole.
984 La frase tametsi in artificio erratum esset (come quella conclusiva ac si nomen ei adiec-
tum non esset) allude alla correzione privativa del testo della dichiarazione, che si considera
come non scritta: la menzione del mestiere contraddirebbe infatti il risultato dell’applicazione
del criterio ermeneutico.
985 Pistorem legatum videri: “... il giurista imputa al testatore la volontà di lasciare Flacco,
non perché sia stato accertato che il defunto identificava gli schiavi dalle mansioni, ma perché
s’ignora come egli usasse identificarli: al testo negoziale è attribuito il significato che risulta
dalla parola pistor, sopravvissuta alla correzione privativa del nome. In conclusione, la ricostru-
zione della volontà effettiva si ha soltanto nel primo caso; nel secondo c’è ancora un riferimen-
to alla realtà: da questa è tratta un’illazione giustificata dall’id quod plerumque accidit e quindi
plausibile; nel terzo si tratta di una scelta tecnica a cui il giurista non si sottrae per ragioni di
conservazione del legato. Un’inversione dell’ordine dei criteri ermeneutici sarebbe arbitraria...”
(NEGRI, Esempio di interpretazione del legato cit., p. 610). Cfr. nt. 977.
986 La frase ac si nomen ei adiectum non esset, come la precedente tametsi in artificio erra-
tum esset, si intendono come non scritte: cfr. nt. 984.

177
73. D.35.1987.17 Gaio, secondo libro, in materia di legati, del commentario
all’editto del pretore

Demonstratio falsa est, veluti si ita Si ha falsa demonstratio988 quando, ad


scriptum sit: ‘Servum Stichum, quem de esempio, sia stato scritto così: “lo
Titio emi’, ‘Fundum Tusculanum, qui schiavo Stico, che ho comprato da
mihi a Seio donatus est’. Nam si Tizio”, “il fondo Tuscolano, che mi è
constat, de quo homine, de quo fundo stato donato da Seio”: se è chiaro
senserit testator, ad rem non pertinet, si quale schiavo o quale fondo il testato-
is, quem emisse significavit, donatus re abbia inteso, non importa se quello
esset, aut quem donatum sibi esse che ha indicato di aver comprato gli
significaverat, emerit. 1. Igitur et si ita fosse stato donato, o quello che aveva
servus legatus sit: ‘Stichum cocum’, indicato essergli stato donato, l’avesse
‘Stichum sutorem Titio lego’, licet comprato989. 1. Dunque, anche se uno
neque cocus neque sutor sit, ad schiavo è stato legato così: “Do in
legatarium pertinebit, si de eo sensisse legato a Tizio il cuoco Stico”, “il cia-
testatorem conveniat: nam et si in battino Stico”, e non vi sono dubbi che
persona legatarii designanda aliquid il testatore abbia inteso riferirsi a
erratum fuerit, constat autem, cui Stico, quest’ultimo spetterà al legata-
legare voluerit, perinde valet legatum rio, benché non sia né cuoco né cia-
ac si nullus error interveniret. 2. Quod battino. Ed anche se è stato commesso
un errore sulla persona da designare
come legatario, ma è chiaro a favore di
chi il testatore ha voluto disporre il
legato, il legato è valido, come se l’er-
rore non fosse intervenuto. 2. La rego-

987 Rubrica del titolo: De condicionibus et demonstrationibus et causis et modis eorum, quae
in testamento scribuntur (= Delle condizioni, delle demonstrationes, delle cause e dei modi che
si è soliti scrivere nei testamenti).
988 La demonstratio è l’indicazione, o le indicazioni, che si aggiungono all’oggetto o al nome
del beneficiario di una disposizione mortis causa. Cfr. Inst. 2.20.30.
989 “Il principio ‘falsa demonstratio non nocet’ significa che è normalmente considerato irri-
levante l’errore nella designazione di un soggetto o di un oggetto, che non comporti equivoco
circa la sua identificazione” (MAGANZANI, Formazione e vicende cit., p. 287 nt. 1).

178
73. D.35.1.17 Gaio, secondo libro, in materia di legati, del commentario all’editto del pretore

autem iuris est in falsa demonstratione, la della falsa demonstratio990 vale a


hoc vel magis est in falsa causa, veluti maggior ragione nel caso di falsa
ita ‘Titio fundum do, quia negotia mea causa991, come ad es.: “Do il tal fondo
curavit’, item ‘Fundum Titius filius a Tizio, perché si è occupato dei miei
meus praecipito, quia frater eius ipse ex affari”, e così pure, “Tizio, mio figlio,
arca tot aureos sumpsit’: licet enim si prenda il tal fondo, perché suo fra-
frater huius pecuniam ex arca non tello ha già prelevato tot992 aurei dalla
sumpsit, utile legatum est. 3. At si cassa di famiglia”: il legato è efficace,
condicionaliter concepta sit causa, anche se suo fratello non ha prelevato
veluti hoc modo: ‘Titio, si negotia mea denaro dalla cassa993. 3. Ma, se la
curavit, fundum do’. ‘Titius filius causa è stata formulata come condizio-
meus, si frater eius centum ex arca ne, ad es. in questo modo: “Do il tal
sumpsit, fundum praecipito’, ita utile fondo a Tizio, se si è occupato dei miei
erit legatum, si et ille negotia curavit et affari”, “Tizio, mio figlio, si prenda il
huius frater centum ex arca sumpsit. 4. tal fondo, se suo fratello ha prelevato
Quod si cui in hoc legatum sit ut ex eo cento dalla cassa”, il legato sarà effi-
aliquid faceret, veluti monumentum cace soltanto se egli si è occupato
testatori vel opus aut epulum degli affari o suo fratello ha prelevato
municipibus faceret, vel ex eo ut partem cento dalla cassa. 4. Se poi a taluno è
alii restitueret: sub modo legatum stato lasciato un legato con l’onere di
videtur. fare qualcosa, come un monumento al
testatore, o un’opera, o offrire un ban-
chetto agli abitanti di un municipio, o
restituire una parte del legato a qual-
cuno, il legato è modale994.

990 Cioè che falsa demonstratio non nocet, nel senso precisato nel pr. di questo fr.: cfr. nt.
precedente.
991 Causa è la dichiarazione aggiunta a una disposizione di ultima volontà, di cui il testato-
re spiega il motivo: anche la falsa causa non nuoce se non sorgono equivoci sull’identificazione
del destinatario.
992 Una certa quantità di denaro non specificata, perché si tratta di un esempio.
993 Oppure, nel primo es., il legato è efficace anche se non è vero che il legatario ha curato
gli affari del disponente.
994 Sull’onere, o modus, e la sua differenza rispetto alla condizione, si veda il commento al
fr. successivo.

179
74. D.35.1.27995 Alfeno, quinto libro dei digesti

In testamento quidam scripserat, ut sibi Un tale aveva scritto nel testamento


monumentum ad exemplum eius, quod che gli fosse eretto un monumento
in via Salaria esset Publii Septimii come quello di Publio Settimio Deme-
Demetrii, fieret: nisi factum esset, trio nella via Salaria996: e che, se gli
heredes magna pecunia multare; et, eredi non l’avessero fatto, li multava di
cum id monumentum Publii Septimii una grossa somma. Poiché non si tro-
Demetrii nullum repperiebatur, sed vava nessun monumento di Publio Set-
Publii Septimii Damae erat, ad quod timio Demetrio, ma ce n’era uno di
exemplum suspicabatur eum qui Publio Settimio Dama997, sul cui
testamentum fecerat monumentum sibi modello si poteva sospettare che il
fieri voluisse, quaerebant heredes, testatore avesse voluto gli fosse eretto
cuiusmodi monumentum se facere il monumento998, gli eredi chiedevano

995 In LENEL, Palingenesia cit., vol.I, col.42, il fr. D.34.8.2, anch’esso tratto dal quinto libro
dei digesti di Alfeno (quae in testamento scripta essent neque intellegerentur quid significarent,
ea perinde sunt ac si scripta non essent: reliqua autem per se ipsa valent = le parole, scritte in
un testamento, il cui significato è incomprensibile, si considerano come non scritte: le altre val-
gono di per se stesse) e D.35.1.27 sono riportati uno dopo l’altro. Il primo sembrerebbe costi-
tuire la premessa del secondo: per evitare che le parole oscure o ambigue incidano sul resto di
una disposizione di per sé chiara, le indicazioni erronee si considerano come non scritte; ma il
primo fr. potrebbe essere estrapolato da un contesto diverso che non ci è pervenuto.
996 Modus o onere, apponibile agli atti di liberalità. Mentre la condizione sospensiva
“sospende” gli effetti del negozio, “il negozio cui è apposto un modus produce senz’altro tutti i
suoi effetti ma l’accipiente è tenuto ad eseguire l’onere”. Mentre la condizione “subordina, ma
non obbliga, il modus obbliga ma non subordina”. Non sempre è facile distinguere l’onere dalla
condizione. I giuristi talvolta usano il termine condicio per indicare il modus. In caso di dispo-
sizione ambigua, “bisogna considerare la volontà di colui che fa la liberalità: bisogna cioè vede-
re se abbia inteso subordinare l’attribuzione all’adempimento dell’onere oppure attribuire il
diritto obbligando l’accipiente all’adempimento del modus”. Nel fr. in esame, il testatore impo-
ne agli eredi una multa, ad es. da corrispondere al Fisco, come di regola avveniva, nel caso di
mancata escuzione del modus: il Fisco è così interessato a controllare che il modus venga ese-
guito. Sul modus, cfr. BIONDI, Istituzioni cit., p. 201 s (da cui sono tratte le citazioni fra virgolet-
te nella presente nota).
997 Nella via Salaria.
998 Il testatore può aver confuso Dama con Demetrio.

180
74. D.35.1.27 Alfeno, quinto libro dei digesti

oporteret et, si ob eam rem nullum che tipo di monumento avrebbero


monumentum fecissent, quia non dovuto fare e, se non ne avessero fatto
repperirent ad quod exemplum facerent, alcuno, per la ragione che non trovava-
num poena tenerentur. Respondit, si no il modello999, fossero ugualmente
intellegeretur quod monumentum tenuti alla pena1000. Rispose1001 che,
demonstrare voluisset is qui se si comprende quale monumento il
testamentum fecisset, tametsi in testatore avesse voluto indicare, que-
scriptura mendum esset, tamen ad id, sto deve essere fatto secondo ciò che
quod ille se demonstrare animo egli aveva avuto intenzione di indica-
sensisset, fieri debere; sin autem re1002, nonostante l’errore della dichia-
voluntas eius ignoraretur, poenam razione scritta1003; che, se invece si
quidem nullam vim habere, quoniam ignora la sua volontà1004, la pena non
ha effetto1005, perché ciò sul cui
modello egli aveva ordinato che fosse

999 Indicato dal testatore.


1000 Cioè alla multa.
1001 Servio.
1002 In caso di mancata realizzazione del monumento, si applicherà la multa.
1003 La clausola testamentaria va intesa conformemente all’intenzione del testatore:se que-
sta è chiara, l’erronea indicazione (in questo caso del modello di monumento) non è rilevante.
Cfr. D.35.1.17 Gai. 2 de leg. ad ed. praet.
1004 Non si comprende, cioè, quale monumento il testatore intendesse indicare.
1005 Gli eredi non devono pagare la multa.

181
74. D.35.1.27 Alfeno, quinto libro dei digesti

ad quod exemplum fieri iussisset, id fatto, non si trova da nessuna parte1006;


nusquam exstaret; monumentum tamen ma che deve essere comunque eretto
omnimodo secundum substantiam et un monumento, secondo le sostanze e
dignitatem defuncti exstruere debere. la dignitas del defunto1007.

1006 La multa prevista nel caso di mancata costruzione del monumento sul modello voluto
dal testatore: ma questo non è possibile accertarlo.
1007 Dignitas designa la posizione (politica, economica, giuridica) che il testatore occupava
da vivo nel contesto sociale di cui faceva parte. Chi è dotato di auctoritas ha anche dignitas: ad
es., il console ha sia auctoritas, sia dignitas (ha dignitas infatti chi ricopre cariche politiche):
auctoritas e dignitas sono dunque nozioni correlative. Il termine dignitas non si può rendere con
l’italiano “dignità”, senza impoverirne il significato profondo. Secondo alcuni studiosi moderni,
substantia e dignitas sarebbero aggiunte dei compilatori giustinianei; si tratterebbe infatti di
termini propri dell’età postclassica, nella quale soprattutto dignitas acquista un significato poli-
tico-burocratico: il dignitario di corte, ad es., è chi ricopre una carica amministrativa partico-
larmente elevata, mentre, al tempo di Alfeno, dignitas ha un significato ben diverso, e così sub-
stantia, che indica la ricchezza o consistenza del patrimonio. La frase finale del fr. sarebbe inol-
tre, secondo altri, in contraddizione con quanto precede: se non si trova il modello di monumen-
to, la pena non ha effetto, il che dovrebbe esimere gli eredi dal costruire il monumento, mentre
nel testo se ne prevede comunque l’obbligo. Una cosa tuttavia è sicura, che il testatore vuole la
costruzione di un monumento allo scopo di perpetuare la propria memoria, secondo il ruolo eco-
nomico-sociale che egli occupava da vivo, secondo “una concezione terrestre e sociale dell’im-
mmortalità che ne comporta una gradazione conforme all’ampiezza e all’intensità dei vincoli e
dei rapporti sociali dell’individuo. Il console è fornito di dignitas più di quanto non lo sia un
magistrato inferiore, il liberto lo è meno dell’ingenuus. Il plebeo nullatenente, quando muore,
muore del tutto: nessuno gli erigerà un monumento, né a lui verrà mai in mente di chiederlo a
nessuno, perché non ha mai avuto un posto nel mondo dei rapporti politici e sociali. Egli è privo
di dignitas: la sua morte è definitiva” (NEGRI, Esempio di interpretazione del legato cit., p. 612).

182
75. D.35.1.28.1 Alfeno, secondo libro dei digesti epitomati da Paolo

‘Attia uxor mea optato Philargyrum “Mia moglie Azia scelga1008 il fanciul-
puerum, Agatheam ancillam, qui mei lo Filargiro1009 o l’ancella Agatea, che
erunt cum moriar’: is qui testamentum saranno miei quando morirò”. Il testa-
fecit, Agatheam, quam testamenti tore vendette l’Agatea che aveva al
tempore habuit, vendidit et postea tempo del testamento, poi comperò
ancillas emit, ex his uni Agatheae altre ancelle, ad una delle quali diede
nomen imposuit: quaesitum est, an il nome di Agatea: si chiese se anche
haec legata videretur. Respondit questa sia da ritenere legata1010.
legatam videri. Rispose1011 che si deve ritenere lega-
ta1012.

1008 Legatum optionis. La forma è quella del legato per vindicationem: il verbo optato inve-
ste direttamente la legataria della facoltà di scelta. L’esercizio della scelta determina l’acquisto
della proprietà dello schiavo scelto dalla legataria. La riforma giustinianea del legatum optionis
è esposta in Inst. 2.20.23.
1009 Cioè lo schiavo Filargiro.
1010 La vendita della schiava Agatea dopo la confezione del testamento revoca il legato?
1011 Servio.
1012 La soluzione non è motivata, perché è insita nelle parole stesse del testatore Philargy-
rum puerum, Agatheam ancillam, qui mei erunt cum moriar: al tempo dell’apertura della suc-
cessione, nel patrimonio del de cuius c’è comunque un’ancella Agatea. In questo caso, l’inter-
pretazione si basa sulla forma della dichiarazione, per consentire la conservazione della volon-
tà del disponente. La legataria può dunque esercitare l’opzione fra Filargiro e la nuova Agatea.

183
76. D.39.21013.43 Alfeno, secondo libro dei digesti

Damni infecti quidam vicino Un tale aveva promesso al vicino per il


repromiserat: ex eius aedificio tegulae danno temuto1014: le tegole del suo
vento deiectae ceciderant in vicini edificio1015, divelte dal vento, caddero
tegulas easque fregerant: quaesitum sulle tegole del vicino e le infransero:
est, an aliquid praestari oportet. si chiese se in questo caso si deve
Respondit, si vitio aedificii et risarcire il danno. Rispose1016 che, se
infirmitate factum esset, debere il fatto dipende da un vizio o dall’in-
praestari: sed si tanta vis venti fuisset, stabilità dell’edificio, il danno si deve
risarcire1017; ma, che, se la forza del
vento è stata tale da sconvolgere anche
gli altri edifici della zona, per quanto
stabili fossero, non si deve1018; e che a
lui1019 pare che quanto previsto nella

1013 Rubrica del titolo: De damno infecto et de suggrundis et proiectionibus (= Del danno
temuto, dei cornicioni e degli sporti).
1014 Il proprietario del fondo pericolante ha prestato la cautio damni infecti, cioè si è impe-
gnato, mediante stipulatio, a risarcire al proprietario del fondo minacciato il danno “eventual-
mente derivante all’edificio o al terreno di lui dal crollo o dalla nuova opera” (ARANGIO-RUIZ,
Istituzioni cit., pp. 222). Cfr. anche BIONDI, Istituzioni cit., p. 280.
1015 Di chi ha prestato la cautio damni infecti.
1016 Servio.
1017 “L’evento dannoso può dipendere da un vitium o dall’infirmitas dell’edificio: in questo
caso il vento ha costituito la causa occasionale della caduta delle tegole, che stavano ad esem-
pio in bilico sul tetto perché mal riposte dal costruttore o perché l’assetto ne è stato alterato, ad
es., dai topi o dai piccioni. Se le cose sono andate così, il risarcimento ex stipulatione damni
infecti è dovuto e il danneggiato può esperire fondatamente l’actio ex stipulatu” (NEGRI (a cura
di), Digesto cit., p. 72, nt.2).
1018 Qui, “la caduta delle tegole non dipend<e infatti> dallo stato del tetto, ma dalla forza
stessa del vento, nel qual caso il proprietario dell’edificio danneggiante non deve nulla”. Per
stabilire se sia stata la forza del vento, il giudice “potrà ad es. accertare che gli altri edifici del
quartiere, di analoga età e struttura, sono rimasti indenni, traendone che l’azione del vento ha
inciso su un edificio già compromesso e, quindi, che il factum dannoso non è stato determinato
da questo, ma dal vitium e/o dall’infirmitas” (NEGRI (a cura di), Digesto cit., p. 72, ntt.2 e 3).
1019 A Servio.

184
76. D.39.2.43 Alfeno, secondo libro dei digesti

ut quamvis firma aedificia convelleret, stipulatio, “o se qualcosa ivi crolle-


non debere. Et quod in stipulatione est rà”1020, non sia da intendere nel senso
‘sive quid ibi ruet’, non videri sibi che il termine “crollare” alluda a ciò
ruere, quod aut vento aut omnino che è caduto a causa del vento o in
aliqua vi extrinsecus admota caderet, genere di una forza proveniente dal-
sed quod ipsum per se concideret. 1. l’esterno, ma a ciò che è caduto di per
Cum parietem communem aedificare sé in rovina1021. 1. Volendo uno risco-
quis cum vicino vellet, priusquam struire un muro comune, insieme col
veterem demoliret, damni infecti vicino vicino, prima di demolire il vecchio
repromisit adeoque restipulatus est: promise al vicino per il danno temuto
posteaquam paries sublatus esset et e stipulò altrettanto da lui1022: poiché
habitatores ex vicinis cenaculis il muro è stato demolito e gli inquilini
emigrassent, vicinus ab eo mercedem, se ne sono andati dalle stanze vici-
quam habitatores non redderent, petere ne1023, il vicino pretende di chiedere a
lui1024 i canoni che gli inquilini non gli
pagano più: si chiese se la pretesa è
fondata1025. Rispose1026 che, rico-
struendo un muro comune, i due vici-

1020 Parte del testo della stipulatio damni infecti contenuta nell’editto pretorio.
1021 Uno dei presupposti della stipulatio damni infecti è che sul fondo pericolante sussista-
no aedes ruinosae o vitiosae, cioè opere “in tale stato da minacciare rovina sul fondo altrui”
(BIONDI, Istituzioni cit., loc. ult. cit.): le parti devono attenersi al significato che il pretore ha
dato alle parole della formula della stipulatio da lui predisposta.
1022 Il proprietario A si impegna, con la stipulatio damni infecti, a risarcire l’eventuale
danno al proprietario B, il quale, a sua volta, si impegna, con un’altra stipulatio damni infecti,
a risarcire l’eventuale danno ad A.
1023 Gli inquilini del vicino, che abitavano nell’appartamento confinante, separato dall’ap-
partamento vicino dal muro comune, se ne sono andati prima della scadenza dei contratti d’af-
fitto, a causa dei lavori di demolizione e ricostruzione del muro.
1024 Al vicino.
1025 In base alla stipulatio damni infecti, a titolo di risarcimento del danno subito a causa della
demolizione del muro, danno che consiste, secondo il richiedente, nella perdita degli affitti.
1026 Servio.

185
76. D.39.2.43 Alfeno, secondo libro dei digesti

vult: quaesitum est, an recte petet. ni non erano tenuti a promettere fra
Respondit non oportuisse eos, cum loro1027, né avrebbero in alcun modo
communem parietem aedificarent, inter potuto reciprocamente costringersi a
se repromittere neque ullo modo farlo1028; ma che, se proprio volevano
alterum ab altero cogi potuisse: sed si promettere, avrebbero potuto impe-
maxime repromitterent, tamen non gnarsi nei limiti della metà1029, e
oportuisse amplius quam partis comunque per non più di quanto uno,
dimidiae, quo amplius ne extrario che ricostruisse un muro comune,
quidem quisquam, cum parietem dovrebbe promettere ad un estra-
communem aedificaret, repromittere neo1030; che, tuttavia, dal momento
deberet. Sed quoniam iam in totum che avevano promesso per l’intero, chi
repromisissent, omne, quod detrimenti ha ricostruito il muro dovrà rispondere
ex mercede vicinus fecisset, dell’intero pregiudizio che il vicino ha
praestaturum. 2. Idem consulebat, subito per la perdita dei canoni1031. 2.
possetne, quod ob eam rem dedisset, Lo stesso1032 domandava se avrebbe
rursus repetere, quoniam restipulatus potuto ripetere quanto avesse even-

1027 Cioè a prestare reciprocamente la cautio damni infecti.


1028 In presenza delle circostanze indicate nell’editto, soltanto il pretore può imporre la sti-
pulatio damni infecti. D’altra parte, sarebbe bastato il regime del condominio a disciplinare i
rapporti di vicinato quanto alla ricostruzione del muro comune.
1029 Del danno causato dal crollo del muro comune. “La promessa è stata assunta sponta-
neamente, indipendentemente, cioè, dal regime previsto nell’editto. Alla stregua delle regole del
condominio, il danno causato dal vicino alla cosa comune è inoltre, in parte, un danno proprio
di costui: anche sotto questo profilo la stipulatio è quindi superflua” (NEGRI (a cura di), Dige-
sto cit., p. 72, nt.7).
1030 “Se uno dei condomini del muro si accinge a ricostruirlo e i lavori minacciano l’edifi-
cio di un terzo, questo potrà bensì chiedere la prestazione della cautio, ma il costruttore avrà
l’onere di prestarla in proporzione della sua quota (nella specie le quote si suppongono uguali):
per il resto, il terzo dovrà rivolgersi all’altro condomino. Se questo è vero fra condomini e terzi,
sarà vero, a maggior ragione, nei rapporti dei condomini tra loro” (NEGRI (a cura di), Digesto
cit., p. 73, nt.8).
1031 “Se le parti hanno stipulato (potendo evitarlo) e lo hanno fatto per l’intero (potendo
limitarsi alla metà) non c’è ragione di negare che l’impegno assunto dal promittente per l’inte-
ro comprenda la totalità dei canoni d’affitto perduti dallo stipulante” (NEGRI (a cura di), Dige-
sto cit., p. 73, nt.9).
1032 Il vicino che voleva ripetere i canoni d’affitto.

186
76. D.39.2.43 Alfeno, secondo libro dei digesti

esset a vicino, si quid ob eam rem, quod tualmente dato a questo titolo1033, dal
ibi aedificatum esset, sibi damnum momento che aveva a sua volta stipu-
datum esset, id reddi, cum et ipsam lato dal vicino che, se gli fosse stato
hanc pecuniam, quam daret, propter cagionato un danno a causa di ciò che
illud opus perderet. Respondit non veniva ivi ricostruito1034, questo gli
posse propterea quia non operis vitio, sarebbe stato risarcito, posto che la
sed ex stipulatione id amitteret. stessa somma di denaro, che aveva
dato, l’aveva perduta a motivo del-
l’opera1035. Rispose1036 che non pote-
va, per la ragione che la somma non
l’aveva sborsata per un vizio dell’ope-
ra, ma in forza della stipulazione1037.

1033 Cioè, se ha corrisposto al vicino gli affitti perduti, chiede se può recuperare quanto ha
sborsato, perché anche lui aveva ottenuto la cautio damni infecti.
1034 Cioè del muro demolito e ricostruito.
1035 Di demolizione e ricostruzione del muro.
1036 Servio.
1037 Cioè, se il vicino ha pagato, lo ha fatto per adempiere alla stipulatio, non a causa del
crollo del muro.

187
77. D.39.41038.15 Alfeno, secondo libro dei digesti

<Censor>1039 cum insulae Cretae Il censore1040, nella locazione1041 delle


cotorias locaret, legem ita dixerat: ‘Ne cave di pietra cote dell’isola di Creta,
quis praeter redemptorem post idus aveva dettato la clausola: “Nessuno,
martias cotem ex insula Creta fodito salvo il redemptor1042, scavi, nè estrag-
neve eximito neve avellito’. Cuiusdam ga, né asporti coti dall’isola di Creta
navis onusta cotibus ante idus martias dopo le idi di marzo1043”. La nave di
ex portu Cretae profecta, vento relata in un tale1044, carica di coti, partita da un
portum erat, deinde iterum post idus porto di Creta prima delle idi di
martias profecta erat. Consulebatur, marzo1045, era stata riportata nel porto
num contra legem post idus martias ex dal vento, poi era ripartita dopo le idi
di marzo1046. Si domandava se le coti
si dovessero ritenere uscite dall’isola
di Creta dopo le idi di marzo, contro il
divieto stabilito nella clausola1047.

1038 Rubrica del titolo: De publicanis et vectigalibus et commissis (= Dei pubblicani, dei vec-
tigalia e delle confische).
1039 Cfr. nt. seguente.
1040 “Nel manoscritto Fiorentino... si legge Caesar, probabilmente da emendare in censor
(censore), competente per la gestione delle risorse minerarie della provincia di Creta, che ha
dato in concessione ad un imprenditore privato l’esercizio delle cave di pietra cote, stipulando
con lui una locazione con clausola di esclusiva, la cui efficacia nei confronti dei terzi si spiega
con il potere di supremazia del magistrato concedente” (NEGRI (a cura di), Digesto cit., p. 74,
nt.1).
1041 Cioè nel contratto di locazione, vale a dire nella concessione al redemptor (privato
imprenditore) di sfruttamento dei giacimenti cretesi appartenenti allo Stato romano.
1042 conduttore concessionario: cfr. nt. precedente.
1043 Cioè, dopo il 15 marzo.
1044 Cioè di un cavatore locale.
1045 Ad es., il 14 marzo.
1046 Ad es., il 16 marzo.
1047 Ratio dubitandi: benché ripartita il 16 marzo, la nave aveva regolarmente levato l’an-
cora, la prima volta, il 14 marzo.

188
77. D.39.4.15 Alfeno, secondo libro dei digesti

insula Creta cotes exisse viderentur. Rispose1048 che, quantunque si debba


Respondit, tametsi portus quoque, qui ritenere che anche i porti che si trova-
insulae essent, omnes eius insulae esse no nell’isola, facciano tutti parte del-
viderentur, tamen eum, qui ante idus l’isola1049, tuttavia chi era partito da
martias profectus ex portu esset et un porto prima delle idi di marzo e,
relatus tempestate in insulam deductus spinto dalla tempesta1050, era stato
esset, si inde exisset non videri contra nuovamente riportato nell’isola, se ne
legem fecisse, praeterea quod iam initio è uscito dopo, non si deve ritenere che
evectae cotes viderentur, cum et ex portu l’abbia fatto contro la clausola, per la
navis profecta esset. ragione che le coti si debbono ritenere
portate fuori fin dall’inizio, cioè quan-
do la nave era partita dal porto1051.

1048 Servio.
1049 Forse uno degli auditores della scuola di Servio osserva che l’equazione porto-isola con-
duce a due risultati opposti, logicamente altrettanto plausibili: la nave è partita da un porto del-
l’isola sia prima, sia dopo il 15 marzo, con la conseguenza paradossale che essa ha rispettato e,
al tempo stesso, violato la clausola dettata dal censore, giacché, partendo dal porto dopo il 15,
è partita dall’isola.
1050 Causa di forza maggiore.
1051 “Il giurista non può eludere la scelta fra le due soluzioni limitandosi a prendere atto del
paradosso: egli deve stabilire se il terzo risponda della violazione della clausola censoria”
(NEGRI (a cura di), Digesto cit., p. 74, nt.3). Servio risponde all’osservazione capziosa di uno
degli auditores (cfr. nt. 1049): delle due partenze, quella volontaria è soltanto la prima, mentre
la seconda esula dalla sfera di controllo del conducente della nave. Il metodo del giurista non
si fonda sulla mera logica, ma di questa disattende, ove occorre, le implicazioni pratiche, per
realizzare la giustiza del caso concreto, dando la soluzione più ragionevole e plausibile: il
richiamo alla forza maggiore interrompe la logica dell’argomentazione dell’auditor.

189
78. D.41.11052.5.1 Gaio, secondo libro delle res cottidianae o aurea1053

Illud quaesitum est, an fera bestia, Si è posto il quesito se l’animale selva-


quae ita vulnerata sit, ut capi possit, tico, che sia stato ferito in modo da
statim nostra esse intellegatur. Trebatio poter essere catturato, s’intenda subito
placuit statim nostram esse et eo usque nostro1054. Trebazio ha deciso che
nostram videri, donec eam diventa subito nostro ed è da ritenere
persequamur, quod si desierimus eam tale fino a che continuiamo ad inse-
persequi, desinere nostram esse et guirlo, mentre, se cessiamo di inse-
rursus fieri occupantis: itaque si per guirlo, cessi di essere nostro e diventi
hoc tempus, quo eam persequimur, alius di chi lo occupa nuovamente1055: e
eam ceperit eo animo, ut ipse lucri così, se mentre lo stiamo inseguendo
un altro lo cattura con l’intento di trar-
ne lucro1056, è da ritenere che commet-
ta furto1057. I più1058 hanno invece rite-

1052 Rubrica del titolo: De adquirendo rerum dominio (= Dell’acquisto della proprietà).
1053 Opera forse di età postclassica, ma attribuita a Gaio. Cfr. D.44.7.1 Gaio, secondo libro
aureorum: il titolo è diverso, ma l’opera è la medesima (nelle rubriche del Digesto giustinianeo
le res cottidianae sono talvolta intitolate aurea).
1054 Cioè se il feritore ne acquisti la proprietà per averlo ferito.
1055 Secondo Trebazio, il cacciatore acquista per occupazione la proprietà sull’animale sel-
vatico nel momento stesso in cui lo ferisce in modo da poterlo catturare, ma per conservarne il
dominium deve continuare ad inseguirlo: quando l’inseguimento cessa, viene meno il diritto di
proprietà, l’animale torna ad essere nullius e può essere di nuovo acquistato per occupazione da
un altro cacciatore.
1056 Cioè per appropriarsene, non, ad es., per curarne le ferite e poi liberarlo.
1057 La contrectatio rei alterius (impossessamento di cosa altrui), accompagnata dall’animus
lucri faciendi, costituisce furtum rei. Sugli altri requisiti del furto, si vedano ARANGIO-RUIZ, Isti-
tuzioni cit., p. 368 ss.; BIONDI, Istituzioni cit., p. 523 ss.
1058 La maggior parte dei giuristi. Gaio riporta l’opinione che ha prevalso rispetto a quella
di Trebazio.

190
78. D.41.1.5.1 Gaio, secondo libro delle res cottidianae o aurea

faceret, furtum videri nobis eum nuto che l’animale selvatico non sia
commisisse. Plerique non aliter nostro se non quando l’abbiamo effet-
putaverunt eam nostram esse, quam si tivamente catturato1059, perché posso-
eam ceperimus, quia multa accidere no accadere molte cose che ne impedi-
possunt, ut eam non capiamus: quod scono la cattura1060: il che è più
verius est. vero1061.

1059 Cioè quando ce ne siamo impossessati.


1060 Cioè, dopo il ferimento: ad es., il feritore continua ad inseguire l’animale, ma ne perde
le tracce, oppure l’animale va a morire da qualche parte da solo, o viene azzannato da un lupo,
oppure un terzo lo prende ignorando che qualcuno l’ha ferito e lo sta inseguendo: i critici di Tre-
bazio ritengono insomma che la sua tesi sull’elemento oggettivo dell’occupazione sia troppo
labile e si presti ad obiezioni dal punto di vista pratico, cioè dal punto di vista di quello che può
accadere e spesso accade durante la caccia.
1061 Di quanto sostenuto da Trebazio. Gaio condivide l’opinione dei plerique, che meglio si
adatta alla pratica della caccia.

191
79. D.41.1.36 Giuliano, tredicesimo libro dei digesti1062

Cum in corpus quidem quod traditur Non vedo perché la traditio dovrebbe
consentiamus, in causis vero essere inefficace1063 quando siamo
dissentiamus, non animadverto, cur d’accordo sull’oggetto della consegna,
inefficax sit traditio, veluti si ego ma dissentiamo sulla causa di essa1064,
credam me ex testamento tibi come nel caso in cui io creda di esse-
obligatum esse, ut fundum tradam, tu re obbligato a consegnarti un fondo ex
existimes ex stipulatu tibi eum deberi. testamento1065 e tu ritenga che il fondo
Nam et si pecuniam numeratam tibi ti sia dovuto ex stipulatu1066: è noto
tradam donandi gratia, tu eam quasi infatti che, anche se ti consegno del
creditam accipias, constat proprietatem denaro contante per donartelo e tu lo
ad te transire nec impedimento esse, ricevi come dato a credito1067, la pro-
quod circa causam dandi atque prietà passa1068, senza che il dissenso
accipiendi dissenserimus. sulla causa, rispettivamente, della
consegna e dell’accettazione lo impe-
disca1069.

1062 Cfr. D.12.1.18 pr. Ulp. 7 disp.


1063 Ai fini del trasferimento della proprietà.
1064 Iusta causa traditionis.
1065 In base ad un legato per damnationem, che ha effetto obbligatorio: se l’erede consegna
la cosa a titolo di legato, è il legato che giustifica l’effetto traslativo della traditio.
1066 In base ad una stipulatio, con la quale io mi sono impegnato a consegnarti il fondo. Il
fondo è bensì una res mancipi per il cui trasferimento in proprietà occorre l’atto solenne (man-
cipatio o in iure cessio): ma Celso tratta qui dell’efficacia della traditio sotto il profilo del trasfe-
rimento della cosa, che poi il consegnatario acquisterà con l’usucapione e che il tradente non
potrebbe rivendicare efficacemente perché l’azione sarebbe paralizzata dal consegnatario con
l’exceptio rei venditae ac traditae e, in caso di insistenza dell’attore, con la replicatio doli.
1067 Con un contratto di mutuo.
1068 In capo a te consegnatario.
1069 Una iusta causa traditionis esiste oggettivamente, giacché sia la donazione, sia il mutuo
giustificano il trasferimento della proprietà della cosa consegnata. In altri termini, la diversa
qualificazione soggettiva della iusta causa traditionis è dunque, secondo Giuliano, irrilevante.
Contraria sembrerebbe l’opinione di Ulpiano: cfr. D.12.1.18 pr. e le note ivi.

192
80. D.41.1.55 Proculo, secondo libro delle epistole

In laqueum, quem venandi causa Nella trappola che avevi teso a scopo
posueras, aper incidit: cum eo haereret, di caccia incappò un cinghiale: essen-
exemptum eum abstuli: num tibi videor dovi rimasto impigliato, io l’ho libera-
tuum aprum abstulisse? Et si tuum putas to e tolto di lì. Ti pare che il cinghiale
fuisse, si solutum eum in silvam che ho tolto di lì fosse già tuo1071? E se
dimisissem, eo casu tuus esse desisset an pensi che fosse tuo, se io l’ho sciolto e
maneret? Et quam actionem mecum lasciato andare nel bosco ha cessato di
haberes, si desisset tuus esse, num in essere tuo o continua ad esserlo? Chie-
factum dari oportet, quaero. Respondit: do che azione avrai contro di me1072,
laqueum videamus ne intersit in publico se avesse cessato di essere tuo1073, e se
an in privato posuerim et, si in privato eventualmente non si debba dare
posui, utrum in meo an in alieno, et, si in un’azione in factum. Rispose1074:
alieno, utrum permissu eius cuius fundus
erat an non permissu eius posuerim:
praeterea utrum in eo ita haeserit aper, ut
expedire se non possit ipse, an diutius
luctando expediturus se fuerit. Summam
tamen hanc puto esse, ut, si in meam
potestatem pervenit, meus factus sit. Sin
autem aprum meum <factum>1070 in

1070 Secondo gli editori moderni, si dovrebbe sostituire ferum con factum.
1071 Per il fatto, cioè, di essere rimasto impigliato nella tua trappola. La domanda nasce dal-
l’esigenza di stabilire se il cacciatore abbia o meno il diritto al risarcimento del danno. Se il
terzo ha rimesso in libertà una bestia che non è ancora diventata di proprietà del cacciatore,
quest’ultimo non avrà azione contro il terzo; se il cinghiale apparteneva già al cacciatore quan-
do il terzo l’ha liberato, c’è azione contro quest’ultimo? Chi ha liberato il cinghiale non se ne è
impossessato, dunque anche se il cacciatore ha acquistato la proprietà per occupazione, non c’è
l’azione di rivendica e neppure l’actio furti: cfr. D.41.1.5.1 Gai. 2 rer. cott. Tuttavia, il terzo ha
pur sempre interferito con l’attività del cacciatore liberando il cinghiale, incappato nella trap-
pola posta a scopo di cattura.
1072 Che l’ho liberato.
1073 Dopo che l’ho sciolto e lasciato andare nel bosco.
1074 Proculo. Anche in altri casi l’opinione del giurista è alla terza persona singolare (Pro-
culus respondit): forse le lettere di Proculo sono state pubblicate da altri?

193
80. D.41.1.55 Proculo, secondo libro delle epistole

suam naturalem laxitatem dimisisses et vediamo se non occorra distinguere se


eo facto meus esse desisset, actionem io abbia teso la trappola in un terreno
pubblico o privato e, se l’ho tesa in ter-
reno privato, se il fondo sia mio o
altrui1075, nonché, se in un fondo
altrui, io l’abbia fatto con o senza per-
messo del proprietario1076 del fondo;
inoltre, se il cinghiale sia rimasto
impigliato nella trappola in modo da
non potersi liberare da solo1077 o se, a
furia di dibattersi, avrebbe potuto riu-
scire a liberarsi1078. Ritengo tuttavia
che il punto essenziale1079 sia questo:
che il cinghiale è diventato mio1080 se

1075 Predisporre le trappole per catturare animali selvatici è un modo di cacciare la selvag-
gina. Di regola si acquista la proprietà delle ferae bestiae anche se queste vengono catturate nel
fondo altrui, a meno che la caccia non costituisca il reddito normale del fondo (cfr. D.22.1.26
Iul. 6 ex Minic.: Venationem fructus fundi negavit esse, nisi fructus fundi ex venatione constet:
negò che la caccia costituisse frutto del fondo, a meno che il frutto del fondo non fosse costitui-
to dalla caccia) che spetta al proprietario. Cfr. BIONDI, Istituzioni cit., p. 236.
1076 Di regola, l’acquisto della proprietà da parte del cacciatore delle ferae bestiae cattura-
te sul fondo altrui avviene anche se il proprietario ha vietato la caccia. Il dominus fundi potrà
“esercitare eventualmente le azioni a tutela del dominio del fondo qualora la caccia leda il suo
diritto” (BIONDI, Istituzioni cit., loc. ult. cit.).
1077 La questione rileva sul piano dell’acquisto della proprietà del cinghiale da parte del
cacciatore: se l’animale si era impigliato nella trappola al punto da non riuscire a liberarsi da
solo, si potrebbe dire che il cacciatore ne sarebbe divenuto proprietario. Cfr. D.41.1.5.1 Gai. 2
rer. cott. Cfr. nt. 1073.
1078 In tal caso il cacciatore non lo avrebbe catturato, né quindi acquistato la proprietà. Cfr.
nt. precedente.
1079 Proculo osserva che le questioni elencate non determinano tuttavia la soluzione del
caso, che riguarda se ci sia un’azione contro il terzo che ha liberato il cinghiale.
1080 Cioè del cacciatore che ha messo la trappola.

194
80. D.41.1.55 Proculo, secondo libro delle epistole

mihi in factum dari oportere, veluti è entrato nel mio potere materiale1081;
responsum est, cum quidam poculum se, invece, benché fosse già mio1082, tu
alterius ex nave eiecisset. lo abbia rimesso nel suo stato naturale
di libertà1083 e il cinghiale, tornato sel-
vatico, abbia cessato per questo di
essere mio1084, deve essermi data
un’azione in factum1085, come è stato
risposto nel caso di un tale che, da una
nave, aveva gettato in mare una tazza
altrui1086.

1081 Risposta all’interrogativo num tibi videor tuum aprum abstulisse? La cattura per mezzo
della trappola determina l’acquisto della proprietà della preda, perché questa non poteva libe-
rarsi da sola. Il terzo, con il suo intervento, ha quindi liberato un animale altrui.
1082 Perché catturato nella mia trappola, senza la possibilità di liberarsi da solo.
1083 Cioè lo abbia liberato e tolto di lì: con ciò il cinghiale è tornato ad essere nullius.
1084 Risposta alla domanda Et si tuum putas fuisse, si solutum eum in silvam dimisissem, eo
casu tuus esse desisset an maneret?: quando il terzo lo ha liberato, l’animale era già del caccia-
tore, ma la sua liberazione ne ha fatto venir meno la proprietà.
1085 Risposta al quesito Et quam actionem mecum haberes, si desisset tuus esse, num in fac-
tum dari oportet, quaero. Il terzo non ha liberato dolosamente il cinghiale per impadronirsene:
non c’è quindi contro di lui l’azione di furto. Il terzo non se n’è comunque impossessato e il cac-
ciatore non ha quindi l’azione di rivendica. Cfr. nt. 1073.
1086 Proculo richiama la soluzione della tazza come argomento analogico.

195
81. D.44.71087.1 pr.-5 Gaio, secondo libro aureorum1088

Obligationes aut ex contractu Le obbligazioni nascono da contratto,


nascuntur aut ex maleficio aut proprio da maleficium1089, o da varie figure di
quodam iure ex variis causarum cause obbligatorie, secondo il regime
figuris. 1. Obligationes ex contractu di ciascuna di esse1090. 1. Le obbliga-
aut re contrahuntur aut verbis aut zioni da contratto si contraggono re,
consensu. 2. Re contrahitur obligatio verbis o consensu. 2. L’obbligazione si
mutui datione. Mutui autem datio contrae re nel caso della consegna a
consistit in his rebus, quae pondere titolo di mutuo. La consegna a titolo di
numero mensurave constant, veluti vino mutuo ha per oggetto le cose che
oleo frumento pecunia numerata, quas s’identificano in base al peso, al
res in hoc damus, ut fiant accipientis, numero, alla misura, come il vino,
postea alias recepturi eiusdem generis l’olio, il frumento, il denaro contante:
et qualitatis. 3. Is quoque, cui rem cose, queste, che consegniamo facen-
aliquam commodamus, re nobis dole acquistare all’accipiente per poi
obligatur, sed is de ea ipsa re quam riceverne indietro altrettante dello
stesso genere e qualità1091. 3. Anche
colui al quale diamo una cosa in como-
dato si obbliga re nei nostri confronti,
ma è tenuto alla restituzione della

1087 Rubrica del titolo: De obligationibus et actionibus (= Delle obbligazioni e delle azioni).
1088 Cfr. nt. alla rubrica del fr. nr.78.
1089 Sinonimo di delictum = atto illecito extracontrattuale.
1090 Da atto lecito non contrattuale: come il pagamento dell’indebito, la gestione di affari
altrui, la tutela, la comunione incidentale.
1091 Cfr. Gai 3.90; Inst.3.14 pr.

196
81. D.44.7.1 pr.-5 Gaio, secondo libro aureorum

acceperit restituenda tenetur. 4. Et ille stessa cosa che ha ricevuto1092. 4. Ed


quidem qui mutuum accepit, si quolibet invero, se chi ha ottenuto un mutuo ha
casu quod accepit amiserit, nihilo perduto ciò che ha ricevuto per un
minus obligatus permanet: is vero qui qualsivoglia caso, rimane ciò nondi-
utendum accepit, si maiore casu, cui meno obbligato1093: se, invece, chi ha
humana infirmitas resistere non potest, ottenuto una cosa da usare1094 ha per-
veluti incendio ruina naufragio, rem duto la cosa che ha ricevuto per causa
quam accepit amiserit, securus est. di forza maggiore, cui la debolezza
Alias tamen exactissimam diligentiam umana non può opporre resistenza1095,
custodiendae rei praestare compellitur, come, ad esempio, un incendio, una
nec sufficit ei eandem diligentiam rovina, un naufragio, può ritenersi al
adhibere, quam suis rebus adhibet, si riparo1096. Egli tuttavia è obbligato a
alius diligentior custodire poterit. Sed prestare un’exactissima diligentia1097
et in maioribus casibus, si culpa eius nella custodia della cosa e non basta
che usi la stessa diligenza che usa
nella cura delle proprie cose1098, se un
altro avrebbe potuto custodire la cosa
con una diligenza maggiore. Ma egli è
tenuto anche per i casi di forza mag-

1092 Cioè non il tantundem eiusdem generis.


1093 Cfr. Inst. 3.14.2.
1094 Cioè in comodato.
1095 Casus maiores = casus cui resisti non potest.
1096 Cioè non è responsabile. Cfr. Inst. 3.14.2.
1097 Cfr. Inst. 3.14.2.
1098 Cfr. D.16.3.32 Cels. 11 dig.; Cfr. Inst. 3.14.2.

197
81. D.44.7.1 pr.-5 Gaio, secondo libro aureorum

interveniat, tenetur, veluti si quasi giore, se è intervenuta una sua colpa,


amicos ad cenam invitaturus come, ad esempio, nel caso in cui, pur
argentum, quod in eam rem utendum avendo ottenuto in uso dell’argenteria
acceperit, peregre proficiscens secum per invitare a cena degli amici, si sia
portare voluerit et id aut naufragio aut messo in viaggio e abbia portato con sé
praedonum hostiumve incursu amiserit. l’argenteria all’estero e l’abbia poi
5. Is quoque, apud quem rem aliquam perduta in un naufragio o in un assal-
deponimus, re nobis tenetur: qui et ipse to di rapinatori o di nemici. 5. Anche
de ea re quam acceperit restituenda colui, presso il quale depositiamo una
tenetur. Sed is etiamsi neglegenter rem cosa, nei nostri confronti è tenuto re:
custoditam amiserit, securus est: quia anch’egli è infatti tenuto alla restitu-
enim non sua gratia accipit, sed eius a zione della cosa che ha ricevuto, ma
quo accipit, in eo solo tenetur, si quid può ritenersi al riparo se l’ha perduta
dolo perierit: neglegentiae vero nomine per averla custodita negligentemente;
ideo non tenetur, quia qui neglegenti poiché infatti non riceve nel proprio
amico rem custodiendam committit, de interesse, ma nell’interesse di colui
se queri debet. Magnam tamen dal quale riceve, egli è tenuto nel solo
neglegentiam placuit in doli crimine caso in cui la cosa sia perita per suo
cadere. dolo, mentre non lo è se è perita per
sua negligenza, perché chi affida una
cosa da conservare ad un amico negli-
gente deve dolersi di se stesso. Si è
tuttavia ritenuto che una negligenza
particolarmente grave ricada nella fat-
tispecie del dolo1099.

1099 Cfr. D.16.3.32 Cels. 11 dig.

198
82. D.45.11100.110.11101 Pomponio, quarto libro del commentario
a Quinto Mucio

Si stipulatus fuero de te: ‘Vestem tuam, Se avrò stipulato da te: “Ti impegni a
quaecumque muliebris est, dare dare tutti i tuoi abiti femminili?”1102,
spondes?’, magis ad mentem si deve tener conto più dell’intenzione
stipulantis quam ad mentem dello stipulante che di quella del pro-
promittentis id referri debet, ut quid in mittente, prendendo quindi in consi-
re sit, aestimari debeat, non quid derazione1103 l’abito realmente femmi-
senserit promissor. Itaque si solitus nile, non quello cui ha pensato il pro-
fuerat promissor muliebri quadam veste mittente1104; e perciò, se il promitten-
uti, nihilo minus debetur. te era solito indossare un abito femmi-
nile, ciononostante anche questo è
dovuto.

1100 Rubrica del titolo: De verborum obligationibus (= Delle obbligazioni che si contraggo-
no verbis).
1101 Cfr. D.34.2.33 Pomp. 4 ad Q. M., tratto dal medesimo contesto: in questo fr. e in quel-
lo riportato nel testo Pomponio confronta la tecnica ermeneutica del testamento e del contratto.
1102 È sottintesa la risposta del promittente “Mi impegno”.
1103 Pomponio, o Quinto Mucio, potrebbero riferirsi alla litis aestimatio nel processo ex sti-
pulatu eventualmente promosso dallo stipulante per inadempimento del promittente.
1104 Io (stipulator o reus stipulandi) sono proprietario di un negozio di abiti da donna e tu
(promissor o reus promittendi) un grossista: “Ti impegni a consegnarmi tutti gli abiti femminili
che tieni in magazzino?”. “Mi impegno”. Lo stipulante, scaduto il termine di consegna, si accor-
ge che manca un abito. Il promittente rifiuta di darglielo, perché lo considera da uomo, valutan-
do il proprio impegno diversamente da come lo intende lo stipulante alla stregua della doman-
da, ma ciò che conta non è l’intenzione del promittente, bensì quella dello stipulante, per cui si
deve guardare all’abito obiettivamente femminile, non a quello cui ha pensato il promittente.

199
83. D.45.1.137 pr.-2 Venuleio, primo libro sulle stipulazioni

Continuus actus stipulantis et L’atto, dello stipulante e del promitten-


promittentis esse debet (ut tamen te, deve avvenire senza soluzione di
aliquod momentum naturae intervenire continuità (pur potendo tuttavia inter-
possit) et comminus responderi correre il tempo che la natura
stipulanti oportet: ceterum si post esige)1105 e allo stipulante si deve
interrogationem aliud acceperit, nihil rispondere personalmente1106; ma, se
proderit, quamvis eadem die dopo la formulazione della domanda il
spopondisset. 1. Si hominem stipulatus promittente ha trattato qualche altro
sim et ego de alio sensero, tu de alio, affare, la stipulatio non avrà effetto,
nihil acti erit: nam stipulatio ex anche se la risposta venisse data lo
utriusque consensu perficitur. 2. Cum stesso giorno1107. 1. Se nella stipulatio
di uno schiavo io ho inteso riferirmi ad
uno e tu ad un altro, l’atto non avrà
effetto: la stipulatio esige infatti che ci
sia l’accordo delle parti sull’oggetto
del contratto1108. 2. Se ho stipulato

1105 La domanda deve essere formulata senza interruzioni, anche se tra una parola e l’altra
è naturale che intervenga una pausa.
1106 Il promittente non può affidare ad un terzo l’incarico di rispondere allo stipulante, ma
deve farlo egli stesso.
1107 Il requisito dell’unitas actus impone che la risposta del promittente sia contestuale alla
domanda e il promittente non rinvii la risposta trattando nel frattempo un altro affare: in caso
contrario, la stipulatio non produrrà effetti. Fiorentino, nell’ottavo libro delle sue Istituzioni,
D.41.1.65 pr. (Quae extrinsecus et nihil ad praesentem actum pertinentia adieceris stipulationi,
pro supervacuis habebuntur nec vitiabunt obligationem, veluti si dicas: ‘Arma virumque cano:
spondeo’, nihilominus valet = le aggiunte che non hanno a che fare con la stipulatio si conside-
rano superflue e non invalidano l’obbligazione come se, ad es., si dica “ti impegni a darmi
cento?”: “canto le armi e l’eroe [inizio dell’Eneide di Virgilio], mi impegno”), fa un es. nel
quale l’unitas actus (contestualità anche temporale fra domanda e risposta) non è interrotta per-
ché non si tratta di aliud negotium.
1108 La stipulatio si perfeziona verbis, ma, se lo stipulante e il promittente non sono d’accor-
do sull’oggetto del contratto, il negozio non produce effetti, perché la risposta non è congrua
rispetto alla domanda.

200
83. D.45.1.137 pr.-2 Venuleio, primo libro sulle stipulazioni

ita stipulatus sum ‘Ephesi dari?’ inest “che si desse ad Efeso”1109, nella sti-
tempus: quod autem accipi debeat, pulatio è implicito il tempo necessario
quaeritur. Et magis est, ut totam eam alla sua esecuzione1110. Si chiede però
rem ad iudicem, id est ad virum bonum come questo si debba intendere: ed è
remittamus, qui aestimet, quanto preferibile rimettere l’intera questione
tempore diligens pater familias al giudice, vale a dire ad un vir
conficere possit, quod facturum se bonus1111, il quale valuti in quanto
promiserit, ut qui Ephesi daturum se tempo un pater familias diligente
spoponderit, neque duplomate diebus possa portare a termine ciò che ha pro-
ac noctibus et omni tempestate messo, senza pretendere che chi ha
contempta iter continuare cogatur promesso di dare ad Efeso si munisca
neque tam delicate progredi debeat, ut di un duploma1112 e viaggi ininterrot-
reprehensione dignus appareat, sed tamente giorno e notte affrontando
habita ratione temporis aetatis sexus ogni tipo di intemperie, ma, al contem-
po, senza tollerare che proceda tanto
lentamente da incorrere in contesta-
zioni1113. Il giudice dovrà insomma
tener conto delle circostanze di tempo,
di età, di sesso, di stato di salute di chi

1109 Tenore della domanda dello stipulante. Efeso era una città della provincia d’Asia.
1110 La stipulatio avente ad oggetto la consegna di una cosa nella città di Efeso è stata con-
clusa a Roma: poiché occorre del tempo per giungere ad Efeso, si intende che il promittente
impiegherà il tempo necessario all’adempimento.
1111 Il giudice deve cioè decidere tenendo conto, con prudente apprezzamento, delle circo-
stanze del caso.
1112 “Lettera di accompagnamento per il viaggio, rilasciata dall’imperatore, che attribuiva
la facoltà di requisire carrozze e cavalli nelle stazioni di posta” (NEGRI (a cura di), Digesto cit.,
p. 80, nt.3).
1113 Da parte del creditore: il bonus vir dovrà determinare il tempo normalmente necessario
per raggiungere Efeso da Roma.

201
83. D.45.1.137 pr.-2 Venuleio, primo libro sulle stipulazioni

valetudinis, cum id agat, ut mature fa quello che può per giungere solleci-
perveniat, id est eodem tempore, quo tamente a destinazione, cioè nel tempo
plerique eiusdem condicionis homines in cui la gente della medesima condi-
solent pervenire. Eoque transacto, zione1114 è solita arrivare. Se, trascor-
quamvis Romae remanserit nec possit so questo tempo, il promittente sia
Ephesi pecuniam dare, nihilo minus ei rimasto a Roma e non possa quindi
recte condicetur, vel quia per ipsum dare il denaro ad Efeso, si potrà fonda-
steterit, quo minus Ephesi daret, vel tamente esperire la condictio1115 con-
quoniam per alium Ephesi possit dari tro di lui, sia che l’impossibilità di
vel quia ubique potest solvere: nam et darlo ad Efeso sia dipesa da lui, sia
quod in diem debetur, ante solvi potest, che il danaro si potesse dare ad Efeso
licet peti non potest. Quod si duplomate tramite un altro1116, o si potesse paga-
usus aut felici navigatione maturius re dovunque1117. Infatti, anche ciò che
quam quisque pervenerit Ephesum, si deve entro un certo termine può
confestim obligatus est, quia in eo, essere pagato in anticipo, benché non
quod tempore atque facto finitum est, si possa chiedere in anticipo: dunque,
nullus est coniecturae locus. se il promittente si è servito del duplo-
ma, o per una rapida navigazione è
giunto prima del previsto, è obbligato
a pagare subito, perché, quando tempo
e circostanze non sono di impedimen-
to, non c’è bisogno di ricorrere ad ulte-
riori indagini1118.

1114 Rispetto alla condizione del promittente, come l’età, il sesso, la salute.
1115 Fondata sulla stipulatio di dare una somma certa di danaro.
1116 Che il promittente avrebbe potuto (e quindi dovuto, in caso di impossibilità da parte
sua) incaricare di darlo.
1117 Cioè anche altrove, se questo era previsto nella stipulatio o anche successivamente con-
sentito dallo stipulante, e ciò nonostante il promittente non abbia provveduto.
1118 Sulle difficoltà del debitore di adempiere, come quelle indicate nel testo.

202
84. D.47.21119.77(76).1 Pomponio, trentottesimo libro del commentario a
Quinto Mucio

Si quis alteri furtum fecerit et id quod Se uno ha commesso furto a danno di


subripuit alius ab eo subripuit, cum un altro e un terzo gli ha a sua volta
posteriore fure dominus eius rei furti sottratto ciò che egli aveva sottrat-
agere potest, fur prior non potest, ideo to1120, il proprietario della cosa potreb-
quod domini interfuit, non prioris furis, be agire con l’azione di furto contro il
ut id quod subreptum est salvum esset. secondo ladro1121, mentre il primo
Haec Quintus Mucius refert et vera ladro non potrebbe, per la ragione che
sunt: nam licet intersit furis rem l’interesse alla conservazione di ciò
salvam esse, quia condictione tenetur, che è stato sottratto è del proprietario
e non del primo ladro. Ciò è quanto
riferisce Quinto Mucio ed è vero:
infatti, benché il ladro sia interessato
alla conservazione della cosa perché
tenuto con la condictio1122, tuttavia

1119 Rubrica del titolo: De furtis (= Del furto).


1120 A ruba una cosa a B. C ruba la medesima cosa ad A.
1121 Nell’es. della nt. precedente, B (proprietario della cosa) ha l’azione di furto contro C
(secondo ladro).
1122 Ex causa furtiva, azione a tutela della proprietà, spettante soltanto al dominus (anche
contro gli eredi del ladro), nella cui intentio è dedotto l’obbligo di trasferire in proprietà la cosa
all’attore (il che è strano, dato che non è possibile che un’obbligazione abbia per oggetto il tra-
sferimento in proprietà -dare in senso tecnico- di una cosa del creditore). Cfr. ARANGIO-RUIZ,
Istituzioni cit., p. 371; BIONDI, Istituzioni cit., p. 527 s.; TALAMANCA, Istituzioni cit., pp. 336
s.,338,624.

203
84. D.47.2.77(76).1 Pomponio, trentottesimo libro del commentario a Quinto Mucio

tamen cum eo is cuius interest furti contro di lui ha l’azione di furto chi vi
habet actionem, si honesta ex causa ha interesse1123, soltanto se questo
interest. Nec utimur Servii sententia, interesse è moralmente giustificato; e
qui putabat, si rei subreptae dominus non adottiamo l’opinione di Servio, il
nemo exstaret nec exstaturus esset, quale riteneva che, se il proprietario
furem habere furti actionem: non della cosa rubata non si presenta né si
magis enim tunc eius esse intellegitur, presenterà a pretendere la restituzio-
qui lucrum facturus sit. Dominus igitur ne, l’azione di furto ce l’ha il ladro1124:
habebit cum utroque furti actionem, ita è meglio infatti ritenere1125 che l’azio-
ut, si cum altero furti actionem ne non spetti a chi ne trarrebbe un
inchoat, adversus alterum nihilo minus lucro1126. Il proprietario avrà dunque
duret: sed et condictionem, quia ex l’azione di furto contro entrambi i ladri
diversis factis tenentur. e se la esperisce contro uno, l’azione
gli rimane anche contro l’altro1127: ma
egli1128 avrà anche la condictio1129, dal
momento che i due ladri sono tenuti in
base a fatti diversi1130.

1123 Cioè il primo ladro.


1124 Il secondo ladro ha l’azione di furto contro il primo ladro.
1125 Secondo Pomponio.
1126 Il primo ladro, con l’azione di furto, esperita vittoriosamente contro il secondo ladro,
otterrebbe la condanna di quest’ultimo al doppio del valore della refurtiva.
1127 Le due azioni di furto concorrono cumulativamente contro i due ladri, né la contesta-
zione della lite su di una estinguerà l’altra.
1128 Il proprietario.
1129 Cfr. nt. 1122.
1130 Concorso cumulativo fra actio furti e condictio ex causa furtiva, su cui cfr. ARANGIO-
RUIZ, Istituzioni cit., pp. 160 e 367; TALAMANCA, Istituzioni cit., loc. ult. cit.

204
85. D.50.171131.23 Ulpiano, ventinovesimo libro del commentario a Sabino

Contractus quidam dolum malum Alcuni contratti prevedono soltanto il


dumtaxat recipiunt, quidam et dolum dolo1132, altri, sia il dolo, sia la colpa:
et culpam. Dolum tantum: depositum soltanto il dolo, il deposito e il preca-
et precarium. Dolum et culpam rio1133; il dolo e la colpa, il mandato, il
mandatum, commodatum, venditum, comodato, la vendita, il pegno, la loca-
pignori acceptum, locatum, item dotis zione e così pure1134 la costituzione di
datio, tutelae, negotia gesta: in his dote, la tutela, la gestione d’affari: in
quidem et diligentiam. Societas et questi ultimi è prevista anche la dili-
rerum communio et dolum et culpam genza1135. La società e la comunione
recipit. Sed haec ita, nisi si quid prevedono sia il dolo, sia la colpa.
nominatim convenit (vel plus vel Tutto questo, a meno che, nei singoli
minus) in singulis contractibus: nam contratti, non sia stato espressamente
hoc servabitur, quod initio convenit convenuto un aggravamento o un’atte-
nuazione della responsabilità: si dovrà
infatti rispettare ciò che le parti hanno
pattuito sin dall’inizio (il contratto può

1131 Rubrica del titolo: De diversis regulis iuris antiqui (= Regole varie del diritto antico).
1132 Come criterio di responsabilità.
1133 Concessione in uso di una cosa, a istanza dell’interessato (precarista), che deve resti-
tuirla a richiesta del concedente: in caso di rifiuto, il concedente aveva la rivendica o un inter-
detto possessorio, oppure, più tardi, l’actio praescriptis verbis: quest’ultima a tutela del precario
inteso come contratto innominato.
1134 Ulpiano aggiunge figure di atto lecito non contrattuale fonte di obbligazioni, in cui il
regime della responsabilità è analogo a quello dei contratti elencati nel testo.
1135 Cioè si esige la diligenza, con conseguente responsabilità per negligenza: colpa e negli-
genza sono criteri distinti.

205
85. D.50.17.23 Ulpiano, ventinovesimo libro del commentario a Sabino

(legem enim contractus dedit), excepto in effetti contenere clausole obbligato-


eo, quod Celsus putat non valere, si rie)1136, salvo però il caso di un accor-
convenerit, ne dolus praestetur: hoc do, che Celso ritiene invalido1137, che
enim bonae fidei iudicio contrarium escluda la responsabilità per dolo,
est: et ita utimur. Animalium vero casus accordo che è infatti contrario alla
mortesque, quae sine culpa accidunt, natura delle azioni di buona fede1138
fugae servorum qui custodiri non ed è inefficace: ed è questo il regime
solent, rapinae, tumultus, incendia, vigente. Nessuno invece risponde
aquarum magnitudines, impetus delle morti di animali fortuite, o che
praedonum a nullo praestantur. comunque avvengono senza colpa,
della fuga degli schiavi che non occor-
re sorvegliare1139, delle rapine1140, dei
tumulti, degli incendi, delle piene dei
fiumi, degli attacchi dei banditi.

1136 Deroghe pattizie al regime tipico della responsabilità: un es. di clausole di attenuazio-
ne o aggravamento della responsabilità, con riferimento al deposito, si trova in D.16.3.1.6 Ulp.
30 ad ed.
1137 Cfr. D.16.3.1.7 Ulp. 30 ad ed.
1138 Azioni che tutelano le fattispecie negoziali indicate nel testo. Cfr. Gai. 4.62; Inst.
4.6.28.
1139 Perché tranquilli e fidati, dai quali non ci si aspetterebbe la fuga, che costituisce quin-
di un casus: cfr. D.13.6.18 pr. Gai. 9 ad ed. prov.
1140 La rapina si distingue dal furto per il fatto che alla sottrazione si accompagna l’uso della
violenza.

206
ESEMPI DI FORMULE PROCESSUALI

Condictio certae creditae pecuniae

Rei vindicatio

207
Actio negatoria (usufructus)

Actio Publiciana

208
Actio depositi in factum

Actio depositi in ius (diretta)

Actio ex vendito

209
Actio ex locato

Formula institoria (actio ex empto)

210
Actio legis Aquiliae (adversus infitiantem)

Actio furti nec manifesti

Actio familiae erciscundae

211
Exceptio doli

Exceptio pacti

Interdictum de vi

212
213
ELENCO ALFABETICO DEI GIURISTI

I cenni biografici sono tratti, in parte, da L. MAGANZANI, Formazione e vicende


di un’opera illustre. Il Corpus Iuris nella cultura del giurista europeo, Torino
2002, p. 212 ss.
Nell’elenco che segue sono menzionati i giuristi di cui si riportano i frammenti
nella presente Antologia o sono citati nei frammenti stessi.

Africano, allievo di Giuliano, vive sotto Adriano e Antonino Pio. È autore di


nove libri di quaestiones di cui si trovano, nel Digesto giustinianeo, parecchi
frammenti. Dei libri di epistulae è rimasta invece una sola citazione in D.30.39
pr. Ulp. 21 ad Sab.
Alfeno, di origine cisalpina (Cremona), discepolo di Servio Sulpicio Rufo.
Consul suffectus nel 39 a.C. Nei suoi digesta sono raccolti molti responsi servia-
ni. Di questa opera esistono due epitomi dell’età classica, una anonima, l’altra
del giurista Paolo (III sec. d.C.), dalle quali hanno attinto i compilatori del Dige-
sto (LENEL, Palingenesia cit., vol.I, coll.37-53). Alfeno è anche autore di due
libri di coniectanea.
Aristone, allievo di Cassio, muore dopo il 105 d.C. È membro del consilium
di Traiano. I suoi digesta sono noti grazie alle citazioni dei giuristi delle epoche
successive.
Cascellio, nato nel 104 a.C., è questore prima del 73 a.C., ma ben presto
abbandona il cursus honorum. Nei primi anni del Principato disdegna la carica
di console offertagli da Augusto. Le opinioni di Cascellio sono citate nelle opere
successive della giurisprudenza, mentre i suoi scritti sono assenti nel Digesto.
Cassio, allievo di Sabino, succede al maestro nella guida della scuola dei
Sabiniani. È consul suffectus nel 30 d.C., proconsole in Asia nel 40-41 d.C. e
legato imperiale in Siria dal 45 d.C. al 49 d.C. In seguito, Nerone ne ordina la
deportazione in Sardegna, mentre Vespasiano, sotto il cui dominio egli morirà,
lo fa rientrare a Roma. A lui si devono libri iuris civilis, la cui impostazione dif-
ferisce dalla sistematica sabiniana e di cui non esistono frammenti nel Digesto,
ma soltanto citazioni dei giuristi delle epoche successive.

215
Celso, pretore nel 106 o 107 d.C., legatus in Tracia, due volte console (la
seconda nel 129 d.C.), proconsole d’Asia, membro del consilium di Adriano, è
capo della scuola dei Proculiani. L’unica sua opera di cui il Digesto giustinia-
neo conserva dei frammenti sono i digesta. Il suo pensiero è spesso citato nelle
opere dei giureconsulti successivi. Nel Digesto giustinianeo sono talora citate
anche le opinioni del padre di Celso.
Fiorentino, di età incerta, forse contemporaneo di Cervidio Scevola. È auto-
re di un’opera di institutiones in 12 libri, da cui è tratta la famosa definizione di
obbligazione contenuta nelle Istituzioni di Giustiniano.
Gaio nasce forse sotto l’impero di Traiano e muore dopo il 178 d.C. È autore
delle institutiones, manuale didattico in quattro libri destinato a diventare famo-
so in epoca post-classica (su di esso sono modellate le Istituzioni giustinianee):
un manoscritto di questa opera venne scoperto dal Niebuhr nel 1816 in un
palinsesto della Biblioteca capitolare di Verona. Salvo qualche lacuna, questa è
l’unica opera della giurisprudenza classica pervenutaci per intero fuori dal
Digesto giustinianeo. Gaio ha scritto inoltre commentari agli editti pretorio, pro-
vinciale ed edilizio e alle dodici tavole. Incerta la paternità delle c.d. res cotti-
dianae o libri aureorum.
Giavoleno nasce prima del 60 d.C. e muore dopo il 120 d.C. Allievo di Cas-
sio, è a capo della scuola dei Sabiniani. Fa parte del consilium di Traiano; rico-
pre rilevanti incarichi militari in Dalmazia, Mesia e Africa; è iuridicus della Bri-
tannia, consul suffectus, poi legato consolare in Siria e proconsole in Africa.
Nonostante gli impegni politici e militari, non trascura l’insegnamento: è, ad es.,
maestro di Salvio Giuliano. Scrive quindici libri di commento a Cassio, quattor-
dici libri di epistulae, cinque libri di note a Plauzio, dieci libri ex posterioribus
Labeonis (raccolta di opere postume di Labeone, corredata di osservazioni cri-
tiche).
Giuliano, vissuto fra il 100 e il 169 d.C. circa, partecipa al consilium di
Adriano e degli imperatori successivi fino a Marco Aurelio. Su incarico di
Adriano, fra il 134 e il 138 d.C., riordina l’editto del pretore. Discepolo di Gia-
voleno, è l’ultimo capo della scuola dei Sabiniani. È console, legatus Germaniae
inferioris (sotto Antonino Pio), Hispaniae citerioris (sotto Marco Aurelio e Lucio
Vero), proconsole d’Africa. È autore di novanta libri di digesta (presenti in gran
numero nel Digesto giustinianeo); di un liber singularis de ambiguitatibus; di

216
libri di commento all’editto, ad Minicium, ad Urseium Ferocem.
Labeone nasce intorno al 45 a.C. e muore nel 10 o 11 d.C. Intrapreso il cur-
sus honorum fino alla pretura, rifiuta il consolato offertogli da Augusto. È tradi-
zionalmente considerato il fondatore della scuola dei Proculiani. Di lui si ricor-
dano un commentario all’editto e uno alle dodici tavole, nonché responsa, epi-
stulae e pithana (epitomati da Paolo). Il suo pensiero ci è noto soprattutto trami-
te le citazioni di giureconsulti successivi. Dopo la sua morte, vengono pubblica-
ti, commentati da Giavoleno, i libri posteriores, copiosamente utilizzati dai com-
missari giustinianei nei Digesta.
Marcello, membro del consilium di Antonino Pio e Marco Aurelio, compila
trentun libri di digesta. Scrive anche un liber singularis responsorum (raccolta
di responsi in un unico libro), un commentario alla lex Iulia et Papia, notae ai
digesta di Giuliano, notae ad Pomponii regularum librum singularem e ad Pom-
ponii libros ad Sabinum, monografie de officio consulis, de officio praesidis, de
publicis iudiciis.
Nerazio vive nell’età di Traiano e di Adriano. Fa parte del consilium di Adria-
no e forse anche di quello di Traiano. È praefectus aerarii Saturni, consul suffec-
tus nel 97 d.C., legatus Augusti pro praetore in Pannonia. Capo della scuola dei
Proculiani. Scrive sette libri membranarum, quindici di regulae, tre di responsa.
Di lui si conoscono parzialmente, da citazioni di giuristi delle epoche successi-
ve, epistulae, libri ex Plautio e un liber singularis de nuptiis.
Nerva (padre), vissuto sotto Tiberio e allievo di Labeone, al quale succede
nella guida della scuola dei Proculiani. Console nel 22 d.C. e in seguito curator
aquarum, si toglie la vita nel 33 d.C. per la disperazione dinanzi alla definitiva
caduta delle libertà repubblicane. La sua opera ci è nota da citazioni dei giuri-
sti delle epoche successive, che tuttavia ne tacciono i titoli.
Nerva (figlio), contemporaneo di Proculo, pretore nel 65 d.C., autore di libri
de usucapionibus, di cui non v’è traccia diretta nel Digesto, ma si hanno notizie
delle sue opere dalle citazioni dei giuristi posteriori.
Ofilio, del I sec. a.C., allievo di Servio. A differenza dei suoi amici Cicerone
e Cesare, non intraprende la carriera politica. Redige un commentario all’edit-
to, libri di diritto civile e de legibus. Benché i suoi scritti non siano presenti
nella compilazione giustinianea, se ne conosce in parte il contenuto dalle cita-

217
zioni dei giureconsulti delle epoche successive.
Paolo, allievo di Cervidio Scevola, adsessor di Papiniano quando quest’ulti-
mo è prefetto del pretorio, membro del consilium di Settimio Severo e di Cara-
calla. Esiliato da Elagabalo, poi richiamato a Roma, ove diviene prefetto del
pretorio sotto Alessandro Severo. Scrive ottanta libri ad edictum, sedici ad Sabi-
num, ventisei di quaestiones, ventitré di responsa; commentari alle opere di
Plauzio, Nerazio, Vitellio, Labeone e Alfeno, note a Papiniano; tre libri decreto-
rum, institutiones e regulae, nonché varie monografie. Le sue opere sono ampia-
mente utilizzate nel Digesto giustinianeo.
Papiniano, di età severiana (II-III sec. d.C.), advocatus fisci e adsessor di pre-
fetti del pretorio, prefetto del pretorio sotto Settimio Severo nel 203 d.C., desti-
tuito da Caracalla nel 211 d.C. e ucciso nel 212 d.C. per suo ordine. Autore di
quaestiones in trentasette libri, di responsa in diciannove libri, di definitiones e
monografie.
Pedio vive sotto Nerone e i suoi successori. È autore di commentari, all’edit-
to del pretore e all’editto degli edili curuli, nonché di una monografia de stipu-
lationibus. Paolo e Ulpiano lo citano spesso riportandone il pensiero. Il Digesto
di Giustiniano non contiene frammenti delle sue opere.
Plauzio vive nella stessa epoca di Pegaso (prima metà del I sec. d.C.). Le sue
opere non ci sono note, né se ne conoscono i titoli, anche se egli è citato spes-
so dai giuristi successivi, fra cui Nerazio, Giavoleno, Pomponio e Paolo.
Pomponio, contemporaneo di Giuliano, vive sotto Adriano, Antonino Pio,
Marco Aurelio e Lucio Vero. Scrive, fra l’altro, commentari ad edictum, ad
Quintum Mucium, ad Sabinum; epistulae; monografie de fideicommissis, de sti-
pulationibus e un commentario a Plauzio. È autore, inoltre, del liber singularis
enchiridii: un compendio prezioso (traduzione italiana parziale in MAGANZANI,
Formazione e vicende cit., p. 37 ss.) di storia delle magistrature, delle fonti del
diritto e della giurisprudenza fino al suo tempo.
Proculo, contemporaneo di Nerva figlio, succede a Nerva padre nella guida
della scuola dei Proculiani, che dal suo nome si qualifica così. È autore di epi-
stulae (di cui sono contenuti nel Digesto di Giustiniano numerosi frammenti) e
di notae a Labeone.
Sabino, allievo di Capitone e suo successore alla guida della scuola dei Sabi-

218
niani, dal quale essa prende il nome. Vive fino al periodo neroniano. Di umili
condizioni, viene mantenuto dai suoi allievi. A cinquant’anni diviene cavaliere.
Dall’imperatore Tiberio viene insignito del ius publice respondendi. I suoi tre
libri iuris civilis sono oggetto di commentari di giuristi successivi (commentari
ad Sabinum). A lui si devono inoltre un commentario ad edictum praetoris urba-
ni; un liber singularis de furtis e uno de officio adsessorum, nonché memoralia e
responsa.
Scevola (Quinto Mucio), console nel 95 a.C. Pontifex maximus. Autore di
diciotto libri iuris civilis e di un liber singularis Órwn sive definitionum: della
seconda opera esiste ancora qualche frammento nel Digesto, della prima si
conosce il contenuto grazie alle opere di commento dei giuristi classici. Di
Quinto Mucio Scevola, Pomponio, nel liber singularis enchiridii (cfr., sopra,
Pomponio) D.1.2.2.41, dice che ius civile primus constituit generatim in libros
decem et octo redigendo: per primo trattò, in diciotto libri, di diritto civile secon-
do le classificazioni per generi.
Scevola (Quinto Cervidio), dell’epoca di Marco Aurelio del cui consilium fa
parte, di Commodo, sotto il cui governo è praefectus vigilum nel 175 d.C., e di
Settimio Severo. A lui si devono quaranta libri di digesta, venti di quaestiones,
quattro di regulae, sei di responsa.
Servio, contemporaneo e amico di Cicerone, con il quale studia retorica a
Rodi. È console nel 51 a.C. e governatore dell’Acaia nel 46 a.C. È autore di un
commentario critico ai diciotto libri iuris civilis di Quinto Mucio, intitolato repre-
hensa Scaevolae capita o notata Mucii; di due monografie, rispettivamente, de
dotibus e de sacris detestandis; di due libri ad Brutum. Alfeno Varo, suo allievo,
riporta molti dei suoi responsi nei propri digesta. Ha introdotto, in modo siste-
matico, il metodo dialettico nell’analisi giuridica dei casi concreti.
Trebazio, amico di Cicerone (che gli ha dedicato i Topica), fa parte del con-
silium di Cesare e lo segue in Gallia nel 54 a.C. Sotto Augusto, rifiuta il conso-
lato e si dedica all’attività respondente e all’insegnamento. Le sue opere sono
spesso citate dai giuristi successivi. Si ignora se all’epoca di Ulpiano se ne
conoscessero ancora gli originali.
Trifonino, forse di famiglia orientale romanizzata, allievo di Cervidio Scevo-
la, opera sotto Settimio Severo e i suoi successori. È collega di Papiniano nel
consilium di Settimio Severo. La sua opera maggiore sono i ventuno libri dispu-

219
tationum (raccolta di discussioni su casi controversi).
Tuberone, discepolo di Ofilio; si dedica alla retorica, per poi passare al dirit-
to. È autore di responsa e di una monografia de officio iudicis. Quantunque i suoi
scritti non compaiano nel Digesto giustinianeo, del loro contenuto è fatta men-
zione nelle opere dei giuristi successivi.
Ulpiano nasce a Tiro (Siria). Adsessor di Papiniano quando questi è praefec-
tus del pretorio. Esiliato da Elagabalo, viene richiamato a Roma nel 222 d.C. da
Alessandro Severo e con lui diviene magister libellorum, praefectus annonae e
praefectus praetorio. Il suo assassinio (ad opera dei pretoriani ammutinati), le
cui ragioni sono avvolte in una fitta nube di mistero, risale forse al 223 d.C. I
suoi scritti sono i più largamente utilizzati nel Digesto giustinianeo (quasi un
terzo dei frammenti ivi contenuti è estratto dalle opere di Ulpiano). La sua pro-
duzione letteraria è assai vasta: fra l’altro, ottantun libri ad edictum praetoris,
due libri di commento all’editto degli edili curuli; cinquantun libri ad Sabinum;
opere didattiche e casistiche (institutiones, regulae e disputationes); monografie
su vari argomenti.
Venuleio vive sotto Antonino Pio e Marco Aurelio e Lucio Vero. A lui si devo-
no dieci libri sulle actiones, libri di disputationes, un commentario ad edictum,
sei libri de interdictis, tre de iudiciis publicis, quattro de officio proconsulis,
diciannove de stipulationibus, nonché un liber singularis de poenis paganorum.

220
ELENCO CRONOLOGICO DEI GIURISTI E DEGLI IMPERATORI*

A) I principali giuristi romani

* Gli elenchi sono tratti da V. ARANGIO-RUIZ e A. GUARINO, Breviarum iuris romani, 8a ed.,
Milano 1998, p. 436 ss.

221
222
B) Cronologia degli imperatori romani

223
224
ELENCO DEI FRAMMENTI
I numeri indicano, nell’ordine, la collocazione del frammento nella presente
Antologia e il libro, titolo e frammento del Digesto di Giustiniano

1 = 2.14.7 pr.-1 31 = 16.3.6


2 = 3.5.21(20) pr. 32 = 16.3.7 pr.
3 = 6.1.5 pr.-1 33 = 16.3.13
4 = 6.1.38 34 = 16.3.17
5 = 6.1.57 35 = 16.3.31
6 = 6.1.58 36 = 16.3.32
7 = 8.1.9 37 = 17.1.8 pr.
8 = 8.5.8.5-7 38 = 17.1.39
9 = 9.1.1 39 = 17.2.71 pr.
10 = 9.1.2 40 = 18.1.6.1
11 = 9.1.3 41 = 18.1.57 pr.
12 = 9.1.4 42 = 18.1.77
13 = 9.1.5 43 = 18.3.2
14 = 9.2.7 44 = 18.3.5
15 = 9.2.8.1 45 = 19.2.15 pr.-2
16 = 9.2.9 46 = 19.2.19.1,6
17 = 9.2.11 pr.-4 47 = 19.2.30.2
18 = 9.2.37.1 48 = 19.2.31
19 = 9.2.39 49 = 19.5.14.3
20 = 9.2.42 50 = 19.5.18
21 = 9.2.51 51 = 19.5.23
22 = 9.2.52 52 = 21.1.1.1-2,6-7,9-11
23 = 10.3.28 53 = 21.1.14.4
24 = 10.4.9.1 54 = 28.1.23
25 = 12.1.18 55 = 28.2.28 pr.
26 = 12.4.16 56 = 28.4.3
27 = 13.6.17.3 57 = 28.5.45(44)
28 = 13.6.18 58 = 29.2.47
29 = 13.7.30 59 = 29.2.60
30 = 16.3.1 pr.-16 60 = 32.60

225
61 = 32.61 74 = 35.1.27
62 = 32.69 75 = 35.1.28.1
63 = 33.6.7 76 = 39.2.43
64 = 33.7.16 77 = 39.4.15
65 = 33.8.14 78 = 41.1.5.1
66 = 33.8.15 79 = 41.1.36
67 = 33.10.7.1-2 80 = 41.1.55
68 = 34.2.28 81 = 44.7.1 pr.-5
69 = 34.2.33 82 = 45.1.110.1
70 = 34.2.40.2 83 = 45.1.137 pr.-2
71 = 34.5.9(10) pr. 84 = 47.2.77.1
72 = 34.5.28(29) 85 = 50.17.23
73 = 35.1.17

226
INDICE DEGLI ARGOMENTI
I numeri indicano i frammenti

Acquisto dell’eredità 55, 57, 58, 59 Acquedotto 7


Acquisto della proprietà: v. Occupa- Aestimatio litis: v. Litis aestimatio
zione; unione e commistione; tra- Atti emulativi 4
ditio Azione confessoria 8
Actio communi dividundo 3, 23 Azione negatoria 8
Actio commodati contraria: v. Como- Azione petitoria: v. Azione di rivendi-
dato ca
Actio de pastu pecoris 49 Azione di rivendica 3, 5, 48
Actio de pauperie 9, 10, 11, 12, 13, 18, Azioni edilizie: v. Actio redhibitoria
22 Azioni utili 12
Actio depositi: v. Deposito Bonorum possessio 54, 59
Actio ex conducto 8, 30, 45, 46 Buona fede 35
Actio ex empto 52 Caccia: v. Occupazione
Actio ex locato 30, 47 Caduca 56
Actio ex vendito 39, 40 Causa: v. Falsa causa
Actio ad exhibendum 20, 24 Cautio damni infecti 24, 76
Actio furti 6, 48, 84 Cauzioni giudiziarie 5, 6
Actio legis Aquiliae 14, 16, 17, 19, 21, Cave 77
22, 47 Clausola arbitraria: v. Azione di riven-
Actio mandati 30, 37 dica
Actio negotiorum gestorum: v. Gestio- Clausola penale 39
ne d’affari Codicilli 62
Actio oneris aversi 48 Cognitio principis 56
Actio praescriptis verbis 30, 50 Colpa 15, 17, 22, 29, 36, 48, 81, 85;
Actio pro socio 39 v. Contratti (in generale); Actio
Actio redhibitoria 52, 53 legis Aquiliae
Actiones in factum 2, 9, 14, 16, 17, 49, Commorienza 71
51, 80 Comodato 27, 28, 81
Actus 7 Compravendita: v. Vendita

227
Comunione 3, 23; v. Actio communi Furto 6, 29, 84
dividundo, Ius prohibendi Gestione di affari 27
Concorso di azioni 5, 6, 14, 20, 28, Immissioni 8
33, 47 In iure cessio 7
Condictiones 25 (sine causa), 26 Interdictum de glande legenda 24
(causa data re non secuta), 33 (fur- Interdictum uti possidetis 8
tiva), 35, 41, 46 (indebiti), 83, 84 Interpretazione negoziale 60, 61, 62,
Condizione 57, 73 63, 64, 65, 67, 68, 69, 70, 72, 74,
Contratti (in generale) 1, 30 (leges 75, 82
contractus), 35 (buona fede), 37, Istituzione di erede: v. Testamento
38 (leges contractus), 77 (leges con- (cancellazione dei nomi degli
tractus), 81 (responsabilità), 85 eredi)
(responsabilità) Iter 7
Contratti innominati 26 Ius gentium 1, 35
Damnum iniuria datum: v. Actio legis Ius naturale 35
Aquiliae Ius prohibendi 23
Danno temuto: v. Cautio damni infecti Iusta causa traditionis: v. Traditio
Deposito 30, 33, 35, 36, 38, 48, 81; v. Iustitia 35
Sequestro Legati 56, 60, 61, 63, 64, 65, 66, 67,
Diseredazione 55 68, 69, 70, 72, 73, 75
Dolo 30, 32, 33, 36, 81, 85; v. Con- Leges contractus: v. Contratti (in gene-
tratti (in generale) rale), Colpa, Deposito, Dolo, Lex
Edictum aedilium curulium: v. Actio commissoria
redhibitoria Lex Aquilia: v. Actio legis Aquiliae
Eredi necessari 55 Lex commissoria 40, 43, 44
Evizione 4, 6, 26 Lex Duodecim Tabularum 11
Exceptiones 25 (doli) Litis aestimatio 6, 14, 18, 21
Exheredatio: v. Diseredazione Locazione 46, 47, 48, 77; v. Actio ex
Falsa causa 73 conducto, Actio ex locato
Falsa demonstratio 73 Mandato 27, 38; v. Actio mandati
Favor libertatis 56 Manomissioni 65
Fedecommessi 70 Modus 73, 74
Fideiussione 30 Multe testamentarie 74
Fonti delle obbligazioni 81 Mutuo 81
Forza maggiore: v. Vis maior Negotiorum gestio: v. Gestione d’affari
Frutti 44 Novazione 39

228
Noxae deditio 6 (actio furti), 9 (actio Società 39
de pauperie), 18 (actio de pauperie) Sostituzioni 59, 71
Occupazione 78, 80 Stipulatio 39, 82, 83; v. Cautio damni
Peculio 66 infecti
Pegno 29 Testamento 54, 55, 56 (cancellazione
Periculum 29, 43 dei nomi degli eredi), 57, 59, 65,
Pro herede gestio: v. Acquisto dell’ere- 70, 74; v. Condizione, Interpreta-
dità zione negoziale, Legati, Modus,
Proprietà (acquisto): v. Acquisto della Manomissioni, Sostituzioni
proprietà Traditio 25, 79
Proprietà (esercizio) 8 Unione e commistione 3
Publicatio bonorum 35 Vendita 41, 42, 44, 52; v. Actio redhi-
Rei vindicatio: v. Azione di rivendica bitoria, Evizione, Lex commissoria,
Responsabilità contrattuale: v. Con- Vizi occulti
tratti (in generale) Via 7
Satisdationes: v. Cauzioni giudiziarie Vis maior 29, 77, 81, 85
Servitù 7, 8 Vizi occulti: v. Azione redibitoria
Sequestro 31, 32, 34, 50

229
finito di stampare
nel mese di luglio 2006
presso la TIPOGRAFIA SOLARI
Peschiera Borromeo (Milano)
Francesca Scotti

ANTOLOGIA DEL
DIGESTO DI GIUSTINIANO
Pubblicazioni dell’I.S.U. Università Cattolica
ISBN 88-8311-356-X

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