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Ti va di ballare?

Monterosso al mare - Estate 2014.

Carissimo Silvio.

Sono sicuro che ti chiederai come mai a distanza di tanto tempo, abbia deciso di scriverti e
per di più una lettera.
Come ben sai, la mia avversione per le modernità, mi ha relegato nel mio angolo di
mondo, lontano anni luce dalle vostre frenesie, dalle ansie e dalla logorroica ricerca di un
fatuo benessere.
Mi scuso innanzitutto per non essermi fatto sentire in tutti questi anni, ma tu che mi
conosci bene, perché non sei stato solo il mio Pigmalione, ma anche e soprattutto un
amico e consigliere sincero, sai anche della mia insofferenza verso l’umana curiosità.
Tu che mi consigliasti un periodo di riposo, lontano dagli affanni quotidiani, dagli stress, in
un luogo tranquillo, nella mia amata Liguria, quando, invece di dipingere, cominciai a dare
di matto, con l’intenzione di bruciare in un solo falò tutte le mie opere, e non fosti dunque
tu, che un dì m’innalzasti agli onori delle cronache e facesti dei miei dipinti, arte.
Caro Silvio, a te devo ancora molto e nonostante questo periodo di forzato ozio a
contemplare la meravigliosa natura della mia amata riviera, non tutto il tempo trascorso in
quel dolce far niente è andato perduto, anzi, quando invece sembrava che non vi fosse più
ritorno, ecco che accadde qualcosa, che stenterai a crederci, mi destò dal mio torpore.
In gioventù, come ben ricordi, ebbi (ma anche tu non scherzavi comunque), moltissime
avventure, molte donne si avvicendarono sotto le nostre lenzuola, chi in cerca di fama, chi
alla ricerca di soldi, chi invece di un poco di fortuna, a volte invece ero io ad approfittare di
loro, magari con la scusa di un ritratto, ma sappi però, che il più delle volte succedeva il
contrario.
Non essendo per mia natura avvezzo all’innamoramento, quelle occasionali amanti, erano
solo una panacea alla noia, sì, lo confesso adesso, e comunque non credo però che io sia
stato lo stesso per loro.
L’amore si coniugava male con il sesso, con l’arte e la mia vita, ero nato per stare da solo
e le donne erano un capitolo a parte, un post scriptum.

Bene, fino a ora ho solo divagato, non sono mai stato tanto prolisso e credo che ti
meraviglierai anche delle tante parole che troverai qui di seguito. Tu che mi hai visto
dipingere l’essenziale, con pochi tratti di pennello e che mai ti sei fermato a leggere poche
righe, ora troverai ridondante, leggerne parecchie, ma quando capirai il perché, tutto ti
sarà finalmente chiaro, come lo è stato per me.
Procediamo però con ordine, adesso mettiti comodo, perché quello che sto per narrarti
credo sia anche una bella storia.

Ozio.

Le mie giornate da quando mi trasferii in quella graziosa villetta con la sua terrazza a picco
sul mare, trascorrevano tutte uguali; autunno, inverno, primavera ed estate. Freddo e
caldo si avvicendavano come le stagioni, come il giorno con la notte, tanto che neanche vi
facevo più caso. Per me era comunque il paradiso tanto cercato, tanto osannato nei miei
dipinti e ora che mi ero lì stabilito, niente e nessuno lo avrebbe più sostituito.
Certi giorni e anche alcune notti, scendevo sugli scogli a pescare, passavo così intere
giornate in attesa che qualche sprovveduta preda si facesse catturare per poi cucinarla,
ben poche volte invece scendevo in paese a fare provviste, dal mare traevo ciò che mi
necessitava, e più il tempo passava, meno sentivo il bisogno degli altri, della frenesia della
vita in città, tanto che chi avesse avuto la sventura di incontrarmi in quel periodo, avrebbe
faticato alquanto a riconoscere in me, le sembianze di un essere umano.
Capelli e barba oltremodo lunghi, la pelle bruciata dal sole, avevo quasi del tutto
disimparato a parlare, ero diventato così un troglodita a dispetto della società, ma a me
non importava un accidente e stavo bene così.
Era l’ozio dunque, che andavo a cercare, il compiacersi di essere parte della natura, il
sopravvivere giorno dopo giorno senza fare più del necessario, respirare con gli stessi
ritmi delle maree e attendere lo spettacolo del tramonto.

Accadde che un giorno d’estate inoltrata, quando la canicola del meriggio che scende a
picco e il mare e si riverbera in milioni di piccole luci e l’unico riparo sono le verande
vestite glicini sgargianti, mi apprestavo come sempre a gustarmi il meritato riposo. Così mi
siedo sul dondolo e lascio lo sguardo vagare di là dall’orizzonte. Stavo quindi per
addormentarmi, quando il borbottio di un gommone a motore mi fa schiudere un occhio;
ecco una coppietta che ha pensato bene di ancorare la loro imbarcazione a poca distanza
dalla mia vista e probabilmente non troppo curanti della mia presenza, aveva preso ad
amoreggiare. Poco male penso e chiudendo le palpebre tento di riappisolarmi, vana
speranza, perché dopo poco un tuffo mi fa schiudere gli occhi un’altra volta e quello che
sembrava il preludio di un amplesso, ora somigliava di più a un battibecco tra innamorati,
così facendo finta di nulla, cerco di tendere l’orecchio per individuare il motivo dell’alterco
ma ahimè! Una lingua straniera che non comprendo rende vana la mia solerzia.
Santo cielo! Stanno proprio litigando e di brutta maniera; lei è in mare che impreca e lui sul
gommone che inveisce più di lei. Che faccio mi domando, meglio andarsene e svelare la
propria presenza, o fare finta di dormire e godersi il litigio, dopo un lungo attimo di
riflessione, opto quindi per la seconda possibilità.
Avresti dovuto sentire come litigavano e anche se non capivo un accidente di quello che si
urlavano, potevo benissimo intuirlo, poi come un temporale estivo, che senza avviso
comincia e senza preavviso finisce, i due fanno la pace, lei ritorna sul gommone e lui
mette in moto, anzi vorrebbe mettere in moto, ma il motore sembra fare le bizze e non
parte.
L’uomo si danna dietro quel motore, tenta in tutti i modi di farlo partire, ma inutilmente, anzi
più si sforza, più i suoi tentativi sono vani.
Prova e riprova, comincia anche a farsi buio, il mentre cielo si prepara a indossare il suo
pigiama per la notte, quella coppia è ancora lì a tentare di mettere in moto quel dannato
gommone per tornarsene verso casa.
Ora è buio per davvero e quei due sono ancora lì, così mi decido a farmi vedere, prima
che le tenebre inghiottano anche me.
Prima però che inizi qualsiasi azione, è la ragazza che notandomi comincia a urlare verso
di me, poi è la volta dell’uomo e qualunque sia la loro lingua, non mi ci vuole molto a
capire cosa vogliano, così in meno che non si dica, il loro gommone ormeggia sotto al mio
terrazzo.

Sono una coppia di ragazzi francesi, in vacanza qui a Monterosso da una settimana che si
sono portati appresso anche il loro gommone, un bel viaggio comunque da Parigi sin qui in
automobile.
Dunque lui è Armand un architetto, un bel ragazzo sulla trentina, rapato a zero e con una
folta barba, lei è Odette di dieci anni più giovane del compagno, studiosa d’arte, una bella
ragazza che non passa certo inosservata, più alta di lui di un palmo, sfoggia un sorriso
luminoso oltre che un corpo minuto e delizioso. Sarò il loro ospite per stanotte; così ci
accomodiamo in veranda per preparare la cena, ci sono ancora alcuni pesci pescati
stamattina, Odette e il fidanzato sono amanti dell’Italia e della riviera ligure in particolare,
parlano un ottimo italiano, anche se il loro accento tradisce la loro provenienza. E’ la
ragazza che si offre di cucinare il pescato, ma non di pulirli, Armand invece si discosta
dalle faccende culinarie e decide di sedersi sul dondolo, in attesa della cena.
Rimaniamo dunque Odette ed io a cucinare, la ragazza si districa agevolmente tra i fornelli
e io la lascio trafficare, quindi assieme ad Armand (destatosi dal suo ozio), prepariamo
tavola e ci apprestiamo a mangiare.
Un discorso tira l’altro e un bicchiere tira l’altro, la coppietta sembra gradire oltre la cena
anche il buon vino, che fresco si accompagna al pescato.
Il vino fa parlare e a volte anche troppo (specialmente quando se ne beve parecchio), così
i due oltre che a raccontarsi, si spingono oltre e finiscono sul litigio odierno e così prima
che ricominciano a discutere, decido di congedarmi da loro, sperando che la notte porti
consiglio.

I giorno.

Il mattino seguente Odette è già in piedi che si aggira per le stanze. Non c’è bisogno che
dica nulla, perché il suo viso è tutto un programma, ha le occhiaie e credo abbia passato
la notte in bianco, la logica mi forza a pensare che i due abbiano trascorso una notte tutto
sesso, ma l’espressione alquanto corrucciata della ragazza mi fa riflettere a ben altro,
chissà!
Le chiedo solo se gradisce la colazione, lei mi sorride e mi mormora, oui, un espresso,
avec un peu de lait, s'il vous plaît, quindi e ci accomodiamo in cucina. Mentre sorseggia il
caffè, i suoi occhi spaziano nel vuoto, le sue gesta aggraziate e femminili danno un valore
allo scorrere ozioso del tempo e che io mi ricordi, non credo d’aver visto mai tanta
dolcezza nel bere una tazzina di caffè.
Non voglio disturbare l’idillio tra lei e i suoi pensieri, così pensando di farle cosa gradita, le
imburro una fetta biscottata e la poso su un piattino vicino a lei, è per me, mi domanda.
«sì» rispondo con esitazione e meraviglia, non sapendo se il mio gesto le fosse gradito.
A dire il vero, quella mia azione improvvisa e automatica, meravigliò anche me, mai sono
stato avvezzo a questi slanci cavallereschi e tu caro Silvio lo sai bene, fatto sta.
Grazie, sei molto gentile, risponde Odette, che aggiunge, sai non sono abituata a queste
cose, Armand è sempre così scorbutico la mattina e quelle rare volte che facciamo
colazione assieme, sembriamo quasi due estranei.
Non stento a crederlo, penso, però ieri sera mi era apparso molto loquace, le faccio notare
e lei tranquillamente mi risponde, il vino fa gli fa questo effetto, ma solo con le parole.
Leggo il sottinteso, ma non sono nello spirito giusto di controbattere, ah! Se ciò mi fosse
capitato solo pochi anni addietro, non avrei esitato un minuto a risponderle con qualche
battuta sagace, magari maliziosa, giusto per sondare il suo grado di disponibilità nei miei
confronti.

Il nostro dialogo viene però interrotto dall’arrivo di Armand, che senza dire neanche
buongiorno, si siede al tavolo e comincia a servirsi; caffè, pane, burro, marmellata e succo
di frutta, poi quando ha finito, si alza e senza proferir parola, se ne va.
Bell’amico, mi scappa di dire.
Scusalo, ma oggi è così, anzi e da ieri che è in questo stato e temo lo sarà ancora per
molto, puntualizza Odette, poi si prende una pausa, quindi si versa il succo nel bicchiere e
se lo porta alle labbra, lo sorseggia lentamente, come se non volesse aggiungere altro.
Io che conosco un poco la psicologia femminile, so che non è così, lei vorrebbe che io le
domandassi, ma taccio perché so che sarai lei a continuare, infatti dopo un poco Odette
riprende in mano il filo del discorso; sono mezze frasi, buttate lì senza un apparente filo
logico, ma a chi sa leggere tra gli spazi, capisce che la sua è un'invocazione d’aiuto.
Oh, insomma, si sfoga Odette, a lui non va mai bene niente, d’altronde venire qua con
appresso il gommone lo ha deciso lui, per me potevamo farne benissimo anche a meno;
ma allora perché non si è preoccupato di fare rifornimento di carburante? No! Così, per
questa sua dimenticanza, ha incolpato me, ma comunque non è per questo che abbiamo
litigato ieri sera, quando siamo andati a dormire, lui mi ha accusato di essermi offerta di
cucinare, solo per fagli dispetto, perché a lui non piace come faccio da mangiare.
Aspetto ancora un poco senza dire nulla, poi è la ragazza stessa che infine esplode, come
in una liberazione, no! Armand è convinto che tu mi faccia il filo e che io ci stia e solo
perché ti ho aiutato in cucina, ecco perché abbiamo litigato ieri sera e adesso mi tiene il
muso.
Scoperto dunque l’arcano, continuo però a stare in silenzio, so che lei si aspetta ora una
mia reazione; un diniego o un assenso, i suoi occhi mi scrutano ansiosi, “dai, dì qualcosa”,
mi sembra di sentire il suo subconscio che mi parli e m’inciti, così butto lì un e che ci
sarebbe di male.
Accidenti! Mi accorgo quasi subito di avere parlato a sproposito, e di avere usato una frase
trita e ritrita, di quelle che usano i playboy in disuso, ma è troppo tardi oramai.

Che conseguenze potrebbero esserci in un innocente, “e che ci sarebbe di male”, mi dirai


caro Silvio, bhè! Innanzi tutto l’età, io ho quasi cinquant’anni e lei poco più che venti, poi il
suo fidanzato; geloso, irascibile e permettimi di rilevarlo, alquanto inutile, al contrario della
sua ragazza che sembra una principessina di biscuit uscita da una fiaba di Disney, quindi
è logico che mi aspetti una reazione da lei, che invece non arriva, anzi.

Appunto, continua la ragazza come se neanche mi avesse sentito, non vuol dire nulla, mi
sembrava giusto, visto la tua ospitalità, darti una mano e che cavolo!
Odette è veramente arrabbiata nonostante non voglia farlo vedere, alcune piccole rughe si
formano agli angoli degli occhi e dalla bocca, adombrando anche se di poco un così bel
viso.
Non dovresti arrabbiarti così, un bel volto come il tuo, non dovrebbe conoscere la collera,
le faccio notare, un sorriso allora la illumina e mi guarda, come una bambina che vuole
farsi perdonare una marachella.
Un attimo d’imbarazzo gela entrambi, bisognerebbe cambiare discorso e così rompo il
ghiaccio, dai, allora andiamo a raccogliere muscoli per la pasta e chiediamo se anche
Armand si unisce a noi.
Odette gradisce di buon grado, il suo fidanzato invece non è così entusiasta, ma accetta lo
stesso, dato che comunque potrà tenere sotto controllo la fidanzata da ogni mia eventuale
avance.
Tutto procede bene, ognuno bada a raccogliere la sua razione di molluschi senza fiatare e
in questo modo si arriva in santa pace all’ora del pranzo, quindi senza sollevare inutili
discussioni, io stesso mi propongo come cuciniere avviandomi col bottino.
L’odore della pasta con i muscoli, si diffonde nell’aria e non devo aspettare molto, perché
la coppietta di colombi si unisca al desco, finalmente entrambi sono sorridenti, forse hanno
fatto pace e anche Armand è loquace, bene, sono contento, poi più tardi, rifornirò di
benzina il gommone di quei due, così potranno tornare finalmente a casa in pace e letizia.

Così tu sei un pittore, mi domanda a bruciapelo Armand tra una forchettata e un'altra,
rispondo di sì e a quel punto interviene Odette, bene, allora mi piacerebbe farti da
modella.
Non voglio rispondere, quindi mi limito a imboccarmi con un'altra forchettata abbondante
di spaghetti, è Armand invece a continuare il discorso, eperché no, sembra una gran bella
idea Renato.
A dire il vero sono parecchi anni che non impugno più un pennello, perché anche la voglia
di dipingere mi ha abbandonato, così come il desiderio di stare tra la gente, ma questo
loro non lo sanno, come non sanno chi io veramente sia, non sanno nulla di me, a
malapena sanno il mio nome e che dipingo e forse è meglio così.
Così, facendo buon viso a cattivo gioco accetto ma a una condizione, essendo sicuro che
la mia clausola non venga accolta, va benissimo, ma come avrete notato, tutti i miei ritratti
sono dei nudi, quindi gradirei ritrarre anche Odette senza vestiti.
La ragazza sorride aggrottando le sopracciglia, il suo ragazzo, credendo che io
scherzassi, mi dice con nonchalance, se a lei va bene, io allora la guardo e lei annuisce
timidamente; devo dedurre che sia un sì, rivolgendomi a Odette e lei: «oui, bien sûr».
L’espressione di Armand si tramuta in un sol colpo in una maschera scura, quando la sua
ragazza alzandosi mi chiede dove volessi che lei posasse.
Sì lo so, a volte sono talmente bastardo che neanche me ne rendo conto, ma è più forte di
me, così rivolgendomi ad Armand, gli domando se avesse delle preferenze riguardo al
panorama e lui credendo di farmi dispetto, mi indica proprio la veranda con la ringhiera a
picco sul mare.
Il tempo di prendere tutto l’occorrente e di preparare la tela, poi viene la volta di Odette,
che senza batter ciglio, si toglie i vestiti e attende le coordinate per mettersi in posa.

Silvio, tu sai che sono un tipo sbrigativo e le mie modelle mi piace metterle a posto da me,
un po' come si fa con i manichini. Così comincio dal posizionare le braccia, uno lo faccio
poggiare sulla ringhiera, l’altro la lascio scivolare sensualmente su un fianco, la testa
leggermente indietro, una gamba ad angolo e un piede che poggia per terra, poi non
soddisfatto della luce che illumina il volto della mia modella, la faccio spostare e ricomincio
a sistemarla daccapo, in poche parole, mi ci vuole una buona mezz’ora di aggiustamenti e
spostamenti, prima che sia soddisfatto. Molto meno invece è Armand, che stufo di tanti
spostamenti, se n’è andato chissà dove, lasciandomi solo con Odette.
Non sono mai stato attratto dalla perfezione devo dire; tutte le modelle che ho ritratto,
hanno sempre avuto un particolare che se vogliamo usare questo termine, le valorizzava,
ho sempre prediletto i fianchi grandi, le forme abbondanti, le misure giunoniche, ma
questa volta non erano tanto le forme di Odette, che mi attraevano, anzi lei di florido non
aveva nulla, era la sua personalità e per la prima volta, avrei dipinto non la forma ma
l’essenza.

Il carboncino traccia sulla tela i contorni della mia modella mentre lei mi parla della sua
infanzia, sono i pochi ricordi di una madre assente e dell'ombra di suo padre e mentre con
la matita rifinisco i dettagli, lei mi parla dei ricordi di scuola e di bambina; comincio quindi a
cancellare i tratti superflui dalla tela e Odette mi parla del suo primo amore, stendo la
prima mano di colore per lo sfondo e lei mi parla della sua città e dei suoi sogni, dipingo il
sole e lei mi confessa di Armand e dei loro progetti, ho quasi completato lo sfondo e solo
allora lei chiede di me e mi fermo.

Quello che verrebbe fuori di me, non sarebbe un bel ritratto, perché sarebbe la verità;
sono sempre stato un egoista soprattutto con le donne, ho approfittato di loro e della loro
buona fede, sono stato un bastardo, perché chiedevo implicitamente sesso per un ritratto,
eccole qui tutte le mie conquiste e se sono sempre stato solo, lo devo a me stesso, al mio
carattere scontroso, al mio ego smisurato.
Adesso sulla tela, oltre ai perfetti contorni di Odette, vedo la mia brutta ombra che
incombe anche su di lei, come un orco che sta per afferrare la sua preda alle spalle, per
poi divorarla.
Vedo quell’ombra lugubre che sovrasta su quella piccola preda indifesa e per la prima
volta ho paura per lei, so che farò ancora del male e ne sono cosciente e quindi prima che
possa ferirla, getto la maschera e mi svelo per quello che sono.
Provo dunque a ridipingermi con i colori vividi della verità, vestendomi di una realtà che ho
sempre tenuto nascosto sotto l’apparenza di un’assurda asocialità, non mi voglio più
nascondere e seppur ora velo il mio volto dietro una tela, la mia voce è chiara come l’aria
del mattino e ferma come una scogliera.
Odette ascolta in silenzio, mentre continuo a raccontarmi e a dipingerla, la sua pelle brilla
nuda sotto il sole del pomeriggio, piccole gocce di sudore le imperlano il viso mentre mi
fissa e il suo sguardo penetrante m’invade il cuore. Piccola e nuda creatura come una
lucertola sta al sole e un corallo sta al mare, lei posa incurante del sole che le bruci la
pelle, dei miei occhi che le penetrano nell’anima e delle mie mani che vorrebbero
accarezzarla.
Un tempo, non avrei aspettato oltre, avrei cacciato tutto all’aria; pennelli, colori e tela e
l’avrei posseduta così sulla ringhiera e poi?
E poi come sempre sarei rimasto da solo a contemplare un freddo ritratto, ancora una
volta.
Ma non hai paura, le chiedo.
Paura di chi, mi risponde.
Di me.
E perché?
Perché ora sai chi sono veramente.
No, tu non sei realmente così.
Ah, no e come sono?
Diverso da come ti sei descritto, tu sei buono, lo so, lo sento.

Tu sei buono mi ha detto, che strano sentirselo dire, e non so se neanche se prenderlo
come un’offesa, non sono abituato ai complimenti, come non sono più avvezzo a essere
guardato così come sta facendo adesso Odette.
Hai finito, posso vedere, mi domanda dopo un po', io annuisco in silenzio; lei allora scende
dalla ringhiera e senza preoccuparsi di mettersi nulla addosso, viene a sbirciare il mio
lavoro.
Mi passa davanti e ponendosi tra me e il dipinto comincia a scrutare la tela; sento il suo
profumo, il suo collo mi sfiora le labbra, i suoi fianchi sono fin troppo vicini alle mie mani e
il suo corpo è ora esageratamente aderente al mio.
Allora ti piace, le vorrei domandare e invece lo sussurro al suo orecchio e anche se la mia
intenzione, era quella di sviare da quel copro nudo le mie voglie, ottengo invece l’effetto
contrario, lei si volta di scatto e involontariamente le sue labbra si trovano a tiro delle mie
e il bacio diventa quindi una conseguenza inevitabile.
Breve e a occhi aperti, poi, no aspetta, no, non così, Odette mi stupisce, quindi si alza
sulle punte dei piedi e stringendomi le mani nelle sue, mi dice di chiudere gli occhi e mi
bacia ancora, questa volta è più lungo, più intenso e più bello, davvero non mi ricordavo
più che si potesse baciare così.
Poi come se avesse all’improvviso si ricordasse qualcosa, si divincola e spostandosi dalla
tela, comincia a osservarla da diversi punti di vista; si avvicina per poi allontanarsi di
nuovo, mi passa da dietro, facendo capolino dalle mie spalle, ammiro il suo viso fermo in
un’espressione attonita di perplessità, mentre rimugina, poi a un tratto esplode in una
fragorosa risata, Sì! Hai fatto un bel lavoro, bravo.
Vederla ridere così di gusto, fa ridere anche me, e si sa che le risate sono contagiose, poi
d’improvviso la mia modella si fa seria, cosa ci vedi in quel ritratto, mi domanda.
Non ci devo pensare poi molto, perché la risposta è di fianco a me, che mi fissa
impaziente.
Io dipingo solo il bello rispondo.
E allora io sarei bella, mi sfida Odette.
Tu rappresenti la bellezza, ma anche la bellezza paragonata all’eternità è solo un attimo,
un momento che passerà presto, se tu non lo saprai fermare.
E come si può fermate il tempo, mi chiede.
Il tempo non si può fermare, possiamo fissarne solo pochi momenti, la vita è fatta di istanti
che passano troppo veloci, oh! Certo abbiamo le foto, i ricordi, tutto quello che la mente
incamera nella sua memoria, ma i ricordi sono così tanti, che quelli più nuovi si
sostituiranno a quelli più vecchi e via via se non sapremmo mantenerli vivi,
scompariranno, così io per te oggi ho fermato il respiro del tempo e l’ho donato all’eternità.
Odette, per tutto il tempo del mio monologo, non mi ha staccato gli occhi di dosso, non si è
mossa di un millimetro ed è rimasta così come mamma l’ha fatta, come se per lei essere
nuda fosse naturale come respirare.

Hey, avete finito laggiù, ecco la voce di Armand che ci riporta sulla terra ferma, l’uomo è
ancora lontano ma si sta appropinquando velocemente verso di noi, Odette non ha fretta
nel rivestirsi e io a sistemarmi dietro il mio dipinto. Accidenti, sono andato un po' in giro in
cerca di carburante, ma mi sono perso, è tutto un labirinto qui , Armand è deluso,
probabilmente è uscito alla ricerca di benzina per poter fare ripartire il gommone, ma
trovandosi in un dedalo di stradine, viottoli e carruggi, col loro vertiginoso saliscendi e non
riuscendone a venirne a capo ha dovuto tornare indietro con le pive nel sacco.
Bastava che me lo chiedessi, gli faccio con aria scherzosa.
Perché tu ce l’hai, mi domanda.
«No» rispondo e sia Odette che io scopiamo in una fragorosa risata.
Armand non sembra aver preso bene la mia battuta di spirito, tanto che si allontana
stizzito imprecando qualcosa in francese, la ragazza che capisce il momento, si precipita
verso il compagno cercando di calmarlo; vedo che i due confabulano per un poco, poi
spariscono di botto.

Rapsodia delle stelle.

Il fuoco della carbonella arde ancora quando il buio s’impossessa a forza della volta
celeste sfrattando il sole dal suo scranno, così stufo di attendere i miei cortesi ospiti, butto
sulla brace alcuni gamberoni che avevo messo da parte pensando di gustarmeli da solo in
santa pace, ma evidentemente il profumo emanato dai miei semplici manicaretti è un
richiamo troppo forte per chiunque si trovi nei paraggi e in men che non si dica, Armand e
Odette, mano nella mano, fanno la loro ricomparsa.
Hanno fatto pace, penso tra me vedendoli arrivare, poi continuando a trafficare, se ne
volete anche voi, prendete i piatti e le posate e non dimenticate il vino.
Siamo di nuovo riuniti tutti e tre, seduti uno in faccia all’altro senza fiatare, si sente solo,
l’infaticabile lavorio delle mani indaffarate a sbucciare i crostacei e il sommesso masticare
delle mascelle a divorarle.
Tutto fila liscio, il vino scende lieto giù nelle gole, così allegro e a volte senza toccare i
bicchieri, che rimangono immacolati a rifletter la luce delle stelle.

Voglio ballare, non si può lasciare andare una notte così senza musica, dice d’un tratto
Odette alzandosi di scatto, Vado a cercare qualcosa di adatto, non muovetevi, quindi
sparisce nei meandri di casa.
Quando ritorna è raggiante e a passi di danza invita sia me che Armand a darle una mano,
c’è da portare fuori sulla veranda l’impianto stereo; poi quando è tutto sistemato e scelto
con cura la colonna sonora della serata, la musica ha inizio.
La colonna sonora della serata è già bella che decisa, Odette inizia, con una compilation
di disco-music revival e comincia a ballare da sola, a lei si unisce poco dopo Armand,
mentre io rimango in disparte.
Non mi è mai piaciuto dimenarmi al ritmo di musica, preferisco altri contorcimenti che di
solito si fanno in coppia, quindi in questo frangente mi limito a guardare. Osservo il duetto;
lei sinuosa e decisamente sexy nel suo striminzito costume da bagno, la pelle abbronzata
che luccica sotto la luna, le braccia al cielo, come se volesse afferrare le stelle e lui? Un
pezzo di legno con degli incredibili boxer da mare d’indecifrabile colore, a torso nudo, con
una birra in mano che accenna a timide quanto impacciate movenze.
Odette, ripetutamente m’invita a fare parte della combriccola, ma quella non è musica per
me, così quando anche il suo compagno di danze cede alla fatica, la ragazza cambia
musica e quindi anche danze.
“tango” annuncia, ecco! Penso, ora sì che comincia a ragionare, con passi felpati la
ragazza s’avvicina ad Armand, invitandolo ancora a ballare, ma il ragazzo spossato per la
fatica e dalla birra neanche le risponde, allorché anche Odette si siede sbuffando
contrariata.
Bhè! Penso, un tango non si rifiuta mai, così visto che nessuno si muove, mi alzo e mi
dirigo verso Odette, ti va di ballare, le domando, lei senza dire nulla si alza, mi poggia la
mano destra sulla spalla e mi prende l'altra mano, poi fissandomi negli occhi, mi sorride e
solo allora partiamo col tango.
Lunfardia, dipana le sue sensuali note come un tappeto sonoro, i nostri passi sono segnati
e dobbiamo solo seguirli, Armand se la dorme adesso disteso sulla veranda, Odette ben
sveglia, mi stringe ad ogni passo sempre di più, la luna diventa ruffiana e smorza le stelle,
cosicché sono i nostri occhi a brillare nella notte. Le nostre labbra si avvicinano,
sfiorandosi pericolosamente, in un gioco di forza, chi cederà per primo?
Le nostre labbra si toccano ed è Odette che si arrende per prima.

Il resto mio caro Silvio, te lo puoi immaginare, non sono mai stato tanto prolisso con le
parole come tu sai bene che certe cose, quel tipo di cose, ho ancora la pudicizia di tenerle
per me.
Così crudo e vero nei mie dipinti, dove nulla è lasciato all’immaginazione, così morigerato
e timido nei sentimenti, dove lascio che si l’immaginazione a prendere il sopravvento, già!
Che vuoi farci, due parti convivono in me, come il giorno e la notte.

E come la notte lascia il passo la mattina, il nuovo giorno trovò ancora Odette e me a
parlare fitto fitto seduti sul dondolo.

II giorno.

Ma Armand, dov’è, tutto un tratto Odette scatta in piedi, scuotendosi da dosso quel caldo
torpore portato dalla notte e come in preda a un’ansia comincia a cercarlo.
Inutile dirlo la sua agitazione si riversa anche su di me accidenti, presto guarda, guarda,
qui, si mette a strillare, la raggiungo in men che non si dica e la ragazza mi fa notare un
paio di ciabatte, vicino alla ringhiera della veranda a picco sul mare.
Silenzio.
Istintivamente guardiamo giù verso le onde sbattono sulla scogliera sottostante e lo
sguardo si fissa su qualcosa che è sballottato tra i flutti, quelle onde troppo grosse
m’impediscono di vedere meglio, sembrerebbe una sagoma umana, ci mancava anche
quello.
Odette vedendo quello che vedo io urla in preda al panico. Mi ci vuole non poco per
calmarla, la ragazza trema come una foglia ed è incapace di muoversi, siccome le parole
non servono, allora l’abbraccio e la stringo forte e solo così allora finalmente si lascia
andare a un pianto liberatorio.
Per lunghissimi minuti rimaniamo così, con lei che piange a dirotto tra le mie braccia e io
incapace di prendere una qualsiasi decisione logica.
Se è Armand quel coso in mare, non possiamo lasciarlo lì, penso, rimanderemo a dopo
tutto il resto, adesso l’unica priorità è do accertarsi se Armand è quel coso in acqua.
Scuoto Odette; “non è ora di piangere adesso, c’è tempo dopo per le lacrime, semmai” e
la esorto con le buone a darmi una mano.
Scendiamo giù per la scogliera stando ben attenti a non finirci anche noi, le onde sono
davvero grosse e anche adesso che siamo a tiro, è difficile distinguere tra i flutti, cosa
realmente sia quella sagoma sbattuta dalle onde.
Ogni cavallone che giunge sulla riva, rischia di trascinare in mare anche noi, allora io tento
di sporgermi per avere una migliore visuale, ma le onde mi spingono indietro, d’istinto
cerco la mano di Odette, ma lei si è rannicchiata in un angolo con le mani che le
nascondono il viso, come se non volesse vedere.
Non c’è nulla da fare, più io mi avvicino, più i flutti sembrano invece volere inghiottire
quella sagoma, mi ricordo allora che nel magazzino degli arnesi, dove avevo riposto il
gommone in avaria della coppia, ho da qualche parte una canna da pesca col mulinello, a
mala parata userò quella per tentare di portare a riva quella sagoma.
Detto e fatto, ma nel magazzino non c’è più nessuna traccia né del gommone, né della
canna da pesca e quindi un sospetto comincia a farsi strada nella mia mente; vuoi vedere
che quel figlio di buona donna di Armand è scappato col canotto lasciando qui la sua
ragazza? Ma senza benzina come avrà fatto, penso, bhé! Ci sono sempre i remi e avrà
usato quelli e allora quella cosa in mare cos’è.
Odette non si è mossa di un millimetro dalla sua posizione ed io per ora non voglio riferirle
delle mie scoperte e se solo quell’accidente che è lì in mezzo alle onde, venisse un poco
più a riva.
Probabilmente qualche divinità in fondo al mare, ha sentito le mie invocazioni perché
un'onda più grossa delle altre sbattendo sugli scogli riporta a riva quella benedetta
sagoma, facendoci scoprire che non è il corpo senza vita di Armand, bensì un fottutissimo
giubbotto salvagente.
Mostro le spoglie di Armand a Odette, che asciugandosi le lacrime e passata la paura,
comincia invece a inveire contro il ragazzo.
Non ho mai sentito tante offese uscire dalla bocca di una ragazza.
Ah! Silvio, avresti dovuto vederla come si aggirava su e giù per quella spiaggetta,
imprecando e urlando, quanti insulti e quante maledizioni al suo indirizzo, che se solo una
fosse andata a segno, di Armand non sarebbe rimasto più nulla.
Lascio Odette lanciare insulti, mentre seduto sopra uno scoglio, con un giubbotto di
salvataggio in mano, aspetto che passi la buriana.
Anche la tempesta più brutta finito il suo corso, passa, il mare si quieta e Odette, finito il
suo rosario si avvicina, si asciuga le rimanenti lacrime, tira su col naso e poi freddamente
mi dice, ok, adesso voglio tornare a casa mia, non voglio rimanere qui neanche un minuto
di più, io annuisco e senza dire nulla ritorniamo indietro.

Dovrà pur esserci qualche vestito, magari appartenuto a qualche mia ex penso mentre mi
affanno a cercare degli indumenti per Odette. Che diamine, ha solo il costume da bagno e
quell’altro se l’è filata via senza dire nulla, possibile che non ce ne siamo accorti?
D'altronde non posso neanche lasciarla andare via con niente.
Finalmente dopo tanto cercare, trovo qualcosa di decente; è un solo vestitino bianco
estivo di tela ma è meglio che niente e accidenti, allora vorrà dire le comprerò qualcosa.
Odette ci mette due minuti a prepararsi, poi si piazza come una statua a fissare il nulla,
senza fare nulla, in attesa che io mi muova, a vederla in quello stato di trans, mi cadono
tutti i sentimenti e un impulso di fare alla svelta per non vedermela più attorno
s’impadronisce di me.
Ora anche quella remota voglia di farle un qualsiasi piacere mi abbandona, è già tanto che
ti accompagno alla stazione penso, tra me.
Anche durante tutto il tragitto in auto è scena muta, come è silenzio quando le chiedo per
quale destinazione vuole il biglietto, Ventimiglia va bene, chiedo, poi le metto in mano degli
altri soldi e aggiungo, arrivata a destinazione saprai tu dove andare, e quel punto, Odette
scoppia a piangere.
Davvero vuoi che me ne vada, mi borbotta tra le lacrime.
Ma sei tu chete ne vuoi andare, le rispondo seriamente.
Sì, hai ragione è un bene per tutti e due, asserisce asciugandosi le lacrime.
Un lungo e freddo silenzio ci accompagna al treno, credo non ci sia più nulla da dire e un
qualsiasi addio sarebbe comunque di troppo, la guardo per l’ultima volta, ma il suo
sguardo è perso ormai dietro le colline, affretto quindi il passo per guadagnare l’uscita più
in fretta che posso, un ultimo sguardo e lei e il treno sta sbucando dalla galleria.

No, non posso andare via così come ho fatto sempre, senza dire nulla, senza voltarmi
indietro e senza rimpianti.
Così, senti, se un giorno ti volessi venire a trovare, troveresti del tempo per un vecchio
amico, le domando tornando sui miei passi.
Lei, si gira di scatto e come se non aspettasse altro, mi risponde, tutta la vita, per te.
E allora perché aspettare, la vita è adesso, dopo potrebbe essere troppo tardi.

Come vedi caro Silvio, a volte nella vita capitano cose che neanche lontanamente puoi
immaginare e che queste cose ti cambino l’esistenza dall’oggi al domani.
L’età non conta, nulla conta se non l'essere felici e la felicità è un’opzione che non
contempla un certificato di garanzia.

Ti ho voluto scrivere questa lettera senza sapere il perché, forse sentivo solo il bisogno di
comunicare a qualcuno questa mia improvvisa felicità, o forse avevo solo necessità di
scriverla per poi rileggerla e per esserne sicuro.
Tu che mi conosci bene caro Silvio, sai anche che questa lettera non ti arriverà mai,
perché in questo scritto, c’è qualcosa di talmente intimo, talmente “mio”che nessuno mai
neanche Odette dovrà mai sapere.
Spero che capirai.

Con Affetto, Renato.

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