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Il regno del Kashmir, in quei tempi più esteso dello stato indiano attualmente
noto con questo nome, era stato e ancora era culla di molte tradizioni religiose,
non soltanto hindu, ma anche buddhiste, nonché patria di valenti grammatici,
astronomi e matematici, terra quindi fertile spiritualmente e scientificamente.
Le premess e
In origine esistevano differenti sottoculture religiose che non si
SHIVAISMO DEL KASHMIR rifacevano all'ortodossia brahmanica dei Veda e dei Purāṇa, ma
possedevano carattere tantrico. Queste tradizioni avevano un seguito al
di fuori dei circoli brahmanici, nelle fasce più umili della popolazione,
erano anche trasgressive, con culti e divinità proprie.
Questo corpus è anche noto col nome di Bhairava tantra o Bhairava āgama.
Un opera fondamentale per le scuole dello shivaismo kashmiro sono gli Śivasūtra.
Rivelati al mistico Vasugupta (VIII-IX secolo),
LE SCRITTURE: ĀGAMA ŚĀSTRA
SHIVAISMO DEL KASHMIR
I ma e s tr i
Somānanda
Somānanda visse nel IX secolo e compose la sua Śivadṛṣṭi ("La Visione di Śiva")
per questo motivo è da ritenersi il fondatore della scuola Pratyabhijñā (la
dottrina del riconoscimento).
Utpaladeva
Utpaladeva, che visse nel X secolo, fu discepolo di Somānanda e portò a
compimento l'opera del suo maestro componendo la Īśvarapratyabhijñākārikā
("Le Strofe di riconoscimento del Signore”).
Bhāskara
Bhāskara vissuto anch’esso nel X secolo fu uno degli esponenti della scuola
dello Spanda: egli si riallaccia a Vasugupta, attraverso la successione di maestri:
Śrīkaṇṭa Bhaṭṭa, Mahādeva Bhaṭṭa, Prajñārjuna, Pradyumna Bhaṭṭa.
I mae st ri
Bhāskara scrisse un commento agli Śivasūtra di Vasugupta, lo Śivasūtravārttika.
Abhinavagupta
Le tradizioni śaiva del Kashmir furono sistematizzate dal filosofo Abhinavagupta
che visse fra il X e l’XI secolo
Nella sua opera più importante, il Tantrāloka ("La Luce dei Tantra"), un'opera in
versi egli presenta una sintesi originale delle tradizioni monistiche esistenti al
suo tempo.
Nella tradizione dello Spanda commentò due volte le Spandakārikā con le sue
opere: Spandanirṇaya e lo Spandasaṃdoha.
Kṣemarāja scrisse poi uno dei due commenti più importanti agli Śivasūtra: lo
Śivasūtravimarśinī.
Jayaratha
Jayaratha visse fra il 1150 e il1200 d.C.).
Non è corretto definire il Kula una scuola: era piuttosto un alveo nel quale
sono confluite visioni differenti con tratti in comune.
IL KULA E IL TRIKA
L E Q U AT T R O S C U O L E
KRAMA
L E Q U AT T R O S C U O L E
SPANDA
L E Q U AT T R O S C U O L E
Il termine pratyabhijñā significa "riconoscimento": riconoscimento della
propria natura come divina, il riconoscersi cioè in Śiva, Realtà Ultima,
descritto come Suprema Coscienza e Signore Supremo.
• Gli Śivadṛṣṭi
• La Śāktavijñāna di Somānanda
• La Īśvarapratyabhijñākārikā di Utpaladeva
• Il Pratyabhijñāhṛdya di Kṣemarāja.
Questa scuola può essere definita come anupāya, cioè "priva di mezzi",
dal momento che l'identificazione dell'"io" individuale con l'"io" universale
non richiede nessuna disciplina psicofisica o pratica religiosa particolare,
ma soltanto la comprensione metafisica della natura divina quale essenza
unica nel mondo.
PRATYABHIJÑĀ
Come tutte le altre darśana hindu, anche lo Shivaismo del Kashmir ha come fine la
liberazione (mokṣa). Utpaladeva definisce questo stato il "diventare ciò che si è già
diventati"
In pratica liberarsi per questa scuola significa liberarsi dalle “impurità” (mala) che
offuscano natura del sé, riaquisendo lo stato preesistente.
Egli non vive in uno stato di isolamento, non è un rinunciante, egli è ben vivo e unito
al mondo.
Il suo agire non è più finalizzato (non è karman) è kriyā, attività spontanea e gioiosa,
assolutamente non egoistica, puro gioco interamente abbandonato nel Sé.
« Il sole asciuga ogni cosa nel mondo, il fuoco consuma ogni cosa (e ancora il sole e il
fuoco si mantengono puri); così anche lo yogin, pur sperimentando tutti i piaceri, non
è contaminato dal peccato. »
(Kulārṇava Tantra, 9.76)
Sad ha na Ta ntr i c a
upayā
Nel Tantrāloka Abhinavagupta classifica tutti i differenti metodi di liberazione in
quattro categorie (jñānacatuṣka, "quadruplice conoscenza") che egli chiama
upayā (lett. "mezzo", "strumento"):
• anupayā
Mezzo senza mezzi: dominio della trascendenza; livello dell'Assoluto
(Paramaśiva)
• śāmabhavopāya
Mezzo divino: dominio dell'immanenza percepita come unità; livello del divino
(Śiva): supremo (para)
• śāktopāya
Mezzo potenziato: dominio dell'immanenza percepita come unità nella
differenza; livello della potenza divina (Śakti): supremo-non supremo
(parāpara)
• āṇavopāya
Mezzo individuale: dominio dell'immanenza percepita come differenziata;
livello dell'individuo (nara): non supremo (apara).
I mezzi per la liberaz ion e
śāmbhavopāya
« Così come un oggetto appare direttamente a colui i cui occhi sono aperti
senza l'intervento di alcuna riflessione mentale, allo stesso modo, ad alcuni,
appare la natura di Śiva. »
(Abhinavagupta, Tantrāloka, 1.247)
Il mezzo divino è anche il risveglio che può avvenire nel praticante per opera
della "grazia di Śiva" (śaktipāta).
Pratiche interiori, che si esercitano nel mentale (cetas) con l'attenzione centrata
sul flusso dei mezzi di conoscenza (pramāṇa), quando cioè il soggetto comincia
a operare rappresentazioni mentali (vikalpa) della realtà che lo circonda, e che
egli deve cercare di ricondurre alla pura consapevolezza (percezione sintetica),
prima che queste creino differenziazioni.
L'attenzione del praticante non è pertanto quella del mero esecutore del rito
che resta sul gesto e sugli oggetti, quanto quella che si eleva sulle potenze che
vi operano in quanto espressioni specifiche della potenza della Coscienza, la
Sua Śakti cioè, la potenza di Śiva (da cui il nome: “potenziato").
Gli oggetti si trovano sospesi in un dominio che già non è più quello dell'unità,
essendo cominciate le rappresentazioni mentali, ma ancora non è, quello della
completa differenziazione, là dove invece esercitano la parola e l'azione:
I l me zzo indiv id ua le
āṇavopāya: yoga
Abhinavagupa reinterpreta lo Yoga come l'azione (kyriyā) che rimuove le tracce
latenti (vāsanā) della percezione differenziata (vikalpa) derivanti dalle impurità
(mala) che hanno contratto la Coscienza.
Il modello di questo yoga è sempre quello degli Yoga Sūtra di Patañjali ma ne
differisce perché non prevede le prime due membra, yama (le proibizioni) e
niyama (le discipline):
Il termine "yoga" acquista qui un senso più vicino al suo significato etimologico
("unione"): unire quegli elementi dell'esperienza (i tattva) che costituiscono
l'interezza della Coscienza.
La via yogica secondo il tantrismo non è altro che lo stesso processo di
emanazione dell'Assoluto che diede origine al mondo, percorso però
"all'incontrario", dagli elementi grossolani e quelli sottili ai sensi di percezione e
azione, alla mente, all'intelletto e quindi oltre il dominio di Māyā, fino alla
Coscienza, che:
« divenuta piena e oggetto di venerazione costante, distrugge, come il fuoco alla
fine del tempo, l'oceano della trasmigrazione. »
(Abhinavagupta, Tantrāloka)
I l me zzo indiv id ua le