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Sessione 2

Shivaismo Del Kashmir


INTRODUZIONE
Shivaismo del
Kashmir
Lo Shivaismo del kashmir è un sistema filosofico e teologico costituito da
movimenti religiosi e scuole esegetiche sorto nella regione del Kashmir intorno
all’800 DC.

Il termine "shivaismo kashmiro" può generare fraintendimenti.

Il sistema di tradizioni e scuole a cui si fa riferimento, non comprende tutte le


tradizioni śaiva del Kashmir, ma soltanto quelle che condividevano uno specifico
insieme di testi, i tantra non-dualisti (gli Āgama Śāstra).

Non è inclusa, nello Shivaismo kashmiro, un'importante tradizione che ebbe


origine proprio nel Kashmir: lo Śaivasiddhānta, tradizione śaiva essenzialmente
dualista che adottava come testi canonici anche i Veda.

Si conosce poco sulle origini delle tradizioni śaiva nel Kashmir.

Il regno del Kashmir, in quei tempi più esteso dello stato indiano attualmente
noto con questo nome, era stato e ancora era culla di molte tradizioni religiose,
non soltanto hindu, ma anche buddhiste, nonché patria di valenti grammatici,
astronomi e matematici, terra quindi fertile spiritualmente e scientificamente.
Le premess e
In origine esistevano differenti sottoculture religiose che non si
SHIVAISMO DEL KASHMIR rifacevano all'ortodossia brahmanica dei Veda e dei Purāṇa, ma
possedevano carattere tantrico. Queste tradizioni avevano un seguito al
di fuori dei circoli brahmanici, nelle fasce più umili della popolazione,
erano anche trasgressive, con culti e divinità proprie.

L'insieme di queste tradizioni religiose è stato definito Kula. Sono da


considerarsi śakta perché in essi viene venerata l'energia divina
personificata come dea.

In queste tradizioni venivano venerate molte divinità ma Śiva-Bhairava


conserva la supremazia di carattere metafisico: le dee sono da
considerarsi Sue emanazioni.

Nell'insieme delle tradizioni del Kula occorre infine distinguere due


successivi sviluppi: le tradizioni, o scuole religiose, del Trika e del
Krama.

A partire dal IX secolo circa si diede inizio a un'esegesi delle scritture


tradizionali, gli Āgama Śāstra, con l'intento di fornire una base teorica
interpretativa che sancisse queste pratiche nella cultura religiosa
dell'epoca.
Il punto più alto fu raggiunto dal filosofo Abhinavagupta e dal suo
discepolo Kṣemarāja (XI secolo circa).
Ad lui si deve la sistematizzazione delle varie dottrine esposte dalle
tradizioni śaiva del Kashmir, la loro sintesi in una visione chiara,
coerente e completa, tant'è che attualmente col termine Shivaismo del
LE ORIGINI Kashimr ci si riferisce proprio alla visione che questo filosofo riuscì a
dare.
SHIVAISMO DEL KASHMIR Gli Āgama Śāstra sono opere in versi considerate di origine divina. Trasmessi
oralmente da maestro a discepolo, furono messi per iscritto in epoche più recenti.
I contenuti riguardano riti, pratiche culturali e yogiche, regole di vita quotidiane,
con argomenti che comunque spaziano fino all'architettura sacra, alla cosmologia
e all'alchimia.

Comprendono i 64 tantra non-dualisti (ādvaita) che la tradizione vuole enunciati


dal personaggio mitologico Tryambaka, figlio spirituale di Durvāas, cui Śiva stesso
affidò il compito di diffondere lo shivaismo nel mondo.

Tra questi testi ricordiamo:


• Il Mālinīvijaya Tantra
• Lo Svacchanda Tantra
• Il Vijñānabhairava Tantra
• Il Netra Tantra
• Il Mṛgendra Tantra
• Il Rudrayāmala Tantra
• La Parātriṃśikā
• Il Tantrasadbhāva

Questo corpus è anche noto col nome di Bhairava tantra o Bhairava āgama.

Un opera fondamentale per le scuole dello shivaismo kashmiro sono gli Śivasūtra.
Rivelati al mistico Vasugupta (VIII-IX secolo),
LE SCRITTURE: ĀGAMA ŚĀSTRA
SHIVAISMO DEL KASHMIR

Testi che approfondiscono alcuni aspetti enunciati negli Śivaūtra e negli


Āgama Śāstra; sono una letteratura post-scritturale.

Spanda è anche il nome di una delle principali scuole dello Shivaismo


Kashmiro.

L'opera principale è la Spandakārikā (VIII-IX secolo), con i suoi commenti:

• lo Spandasaṃdoha (commento soltanto dei primi sūtra) di Kṣemarāja


• lo Spandanirṇaya (commento del testo completo) di Kṣemarāja.

LE SCRITTURE: SPANDA ŚĀSTRA


SHIVAISMO DEL KASHMIR

Testi di carattere principalmente metafisico e teologico.

Pratyabhijñā è termine usualmente tradotto con “riconoscimento”. 



E’ una delle scuole dello Shivaismo Kashmiro.

Le opere più importanti sono:


• La Śivadṛṣṭi di Somānanda;
• La Īśvarapratyabhijñākārikā opera di Utpaladeva;
• La Īśvarapratyabhijñāvirmaśinī (commento di Abhinavagupta)
• La Īśvarapratyabhijñāvivṛitivirmaśinī (commento di Abhinavagupta)
• La Pratyabhijñāhṛdya di Kṣemarāja.

Accanto a questi occorre poi affiancare la grande sintesi operata da


Abhinavagupta (X-XI secolo) nel suo fondamentale Tantrāloka ("Luce sui
Tantra").

LE SCRITTURE: PRATYABHIJÑĀ ŚĀSTRA


Vasugupta
Kṣemarāja e da Bhāskara scrivono nei loro commentari agli Śivasūtra
che il dio Śiva, apparve in sogno al suo seguace Vasugupta, gli affidò il
compito di diffondere nuovamente nel mondo la dottrina del non-
dualismo.
Seguendo le indicazioni di Śiva Vasugupta si recò sul monte Mahādeva e
qui, su una lastra di roccia, rinvenne i 77 aforismi che costituiscono gli
Śivasūtra, o "aforismi di Śiva", così come il dio stesso li aveva incisi.

Stante alla tradizione, Vasugupta visse fra l’VIII e il IX secolo

Estremamente concisi e spesso enigmatici, gli Śivasūtra costituiscono il


punto di avvio per le tradizioni śaiva del Kashmir: l'opera viene
considerata fondamentale da tutte le scuole e ad essa fanno riferimento
gran parte degli esponenti di queste tradizioni.

Viene attribuita a Vasugupta anche la paternità della Spandakārikā,


opera della quale sarebbe invece più probabilmente autore Bhaṭṭa
Kallaṭa, allievo del nostro.

I ma e s tr i
Somānanda
Somānanda visse nel IX secolo e compose la sua Śivadṛṣṭi ("La Visione di Śiva")
per questo motivo è da ritenersi il fondatore della scuola Pratyabhijñā (la
dottrina del riconoscimento).

Utpaladeva
Utpaladeva, che visse nel X secolo, fu discepolo di Somānanda e portò a
compimento l'opera del suo maestro componendo la Īśvarapratyabhijñākārikā
("Le Strofe di riconoscimento del Signore”).

Bhāskara
Bhāskara vissuto anch’esso nel X secolo fu uno degli esponenti della scuola
dello Spanda: egli si riallaccia a Vasugupta, attraverso la successione di maestri:
Śrīkaṇṭa Bhaṭṭa, Mahādeva Bhaṭṭa, Prajñārjuna, Pradyumna Bhaṭṭa.

I mae st ri
Bhāskara scrisse un commento agli Śivasūtra di Vasugupta, lo Śivasūtravārttika.
Abhinavagupta
Le tradizioni śaiva del Kashmir furono sistematizzate dal filosofo Abhinavagupta
che visse fra il X e l’XI secolo
Nella sua opera più importante, il Tantrāloka ("La Luce dei Tantra"), un'opera in
versi egli presenta una sintesi originale delle tradizioni monistiche esistenti al
suo tempo.

Egli riuscì ad appianare tutte le apparenti differenze e le disparità tra le


differenti scuole, offrendo una visione unitaria, coerente e completa.

A causa della lunghezza eccezionale (5.859 versi) del Tantrāloka, Abhinavagupta


stesso fornì una versione più breve in prosa, nota come Tantrasāra ("L'Essenza
dei Tantra").

Nel lignaggio della Pratyabhijñā egli fu allievo di Lakṣmaṇagupta, e costui di


Utpaladeva, commentando con due testi l'opera di quest'ultimo: la
Īśvarapratyabhijñāvirmaśinī e la Īśvarapratyabhijñāvivṛitivirmaśinī.

Abhinavagupta si riallaccia tuttavia anche alla scuola dello Spanda, essendo


stato anche allievo di Bhāskara; e alla scuola del Krama, essendo stato allievo
indiretto di Utpaladeva.
I ma es tr i
Kṣemarāja
Discepolo illustre di Abhinavagupta, Kṣemarāja visse fra il X e l’XI secolo.
Egli si mosse, come il maestro, fra più scuole e fu principalmente un prolifico
autore di commenti.

Nella tradizione dello Spanda commentò due volte le Spandakārikā con le sue
opere: Spandanirṇaya e lo Spandasaṃdoha.

Nel contesto della scuola della Pratyabhijñā scrisse il Pratyabhijñāhṛdya ("Il


Cuore del Riconoscimento") opera alla quale accluse un commento.

Kṣemarāja scrisse poi uno dei due commenti più importanti agli Śivasūtra: lo
Śivasūtravimarśinī.

Jayaratha
Jayaratha visse fra il 1150 e il1200 d.C.).

Egli dedico tutta la sua vita a comporre il Tantrālokavārttika (o anche


Tantrālokaviveka), il proprio commento al Tantrāloka

In questo lavoro estremamente ambizioso anche alla luce della lunghezza e


complessità dei tantraloka egli fornì spiegazioni contestuali, citazioni e
chiarimenti, senza i quali alcuni passaggi del Tantrāloka sarebbero ancora oggi I ma es tr i
poco accessibili
L E Q U AT T R O S C U O L E
Con il termine Kula, o Kaula, si identifica oggi l’insieme variegato di
tradizioni religiose originatosi da antiche sette shivatite molto (I Kāpālika,
i Pāśupata, i Lākula). I loro insegnamenti erano lontani dall'ortodossia dei
Purāṇa. Molte di queste sette che adottavano culti trasgressivi, visionari,
prediligendo divinità dall’aspetto terrifico.

Non è corretto definire il Kula una scuola: era piuttosto un alveo nel quale
sono confluite visioni differenti con tratti in comune.

Kula significa "famiglia", nel senso di "totalità": nella letteratura religiosa


tradizionale ci si riferisce all'insieme delle potenze divine che dànno
origine alla realtà sensibile, una totalità che è espressione della potenza
dell'Assoluto.

Nell'insieme del Kula, inteso come gruppo di tradizioni, si sono


successivamente distinte quattro correnti principali, che sono associate ai
quattro punti cardinali.

Dalla tradizione orientale, la Pūrva-āmnāya, si ritiene sia originato il Trika,


che in quanto scuola esegetica è stata successivamente sistematizzata
dal filosofo Abhinavagupta.

Trika vuol dire "triade": il sistema interpretativo della scuola è infatti


caratterizzato da un insieme di triadi, espressioni del triplice aspetto della
realtà: Śiva, Potenza, Uomo

IL KULA E IL TRIKA
L E Q U AT T R O S C U O L E

l termine krama significa "progressione", "gradazione" o "successione",


termini intesi come "progressione spirituale", "perfezionamento graduale
dei processi mentali" (vikalpa): "successione degli stati che la coscienza
attraversa nel suo manifestarsi”

Questa scuola, originaria dell'Uḍḍiyana, nell'attuale Pakistan, si è


sviluppata a partire dal VII secolo d.C. come esegesi della tradizione
tantrica del Kula denominata Uttara-āmnāya ("tradizione settentrionale"),
tradizione centrata sul culto della dea Kālī.

La scuola pone l'attenzione sui movimenti energetici, raffigurati come


ruote che girano e tradizionalmente associati alle potenze Divine (śakti).

Lo sviluppo della coscienza consiste nel ritrovare in ogni movimento la


ruota principale, il cui centro è la Coscienza Suprema, attorno a cui girano
le ruote secondarie.

Il divino femminile risveglia e dirige il movimento, la Dea proietta


l'universo – azione centrifuga – e Śiva, Coscienza Suprema, lo riassorbe –
azione centripeta. Concentrandosi sull'azione delle Potenze, il Krama
pone particolare enfasi sulla trasmissione attraverso le donne.

KRAMA
L E Q U AT T R O S C U O L E

Spanda, significa "vibrazione", "energia vibrante", è stato introdotto da


Vasugupta e ripreso dal suo discepolo Bhaṭṭa Kallaṭa nella Spandakārikā
(VIII-IX secolo).

Nella scuola che da quest'opera prende il nome, il Principio ultimo è


concepito come un movimento perpetuo, fonte di ogni creazione e
dissoluzione.

L'essenza di questa vibrazione è l'estatica coscienza, potenza di Śiva, in


perenne rinnovo.

Sebbene il metodo proposto sia graduale, il nucleo di questa filosofia è


definito come un "salto" o un'improvvisa adesione al Reale che trascende
completamente la divisione tra conoscente e conosciuto, e che consente
allo yogi di vedere tutto l'universo come il proprio "corpo" o come
l'espansione della propria energia.

Chi raggiunge tale stato è chiamato Yogeśvara, "Signore degli yogi".

SPANDA
L E Q U AT T R O S C U O L E
Il termine pratyabhijñā significa "riconoscimento": riconoscimento della
propria natura come divina, il riconoscersi cioè in Śiva, Realtà Ultima,
descritto come Suprema Coscienza e Signore Supremo.

La scuola Pratyabhijñā è stata fondata alla fine del IX secolo da


Somānanda e sistematizzata dal suo discepolo Utpaladeva.

Le opere fondamentali sono quelle del Pratyabhijñā Śāstra:

• Gli Śivadṛṣṭi

• La Śāktavijñāna di Somānanda

• La Īśvarapratyabhijñākārikā di Utpaladeva

• I due commenti di Abhinavagupta a quest'opera: la


Īśvarapratyabhijñāvirmaśinī e la Īśvarapratyabhijñāvivṛitivirmaśinī

• Il Pratyabhijñāhṛdya di Kṣemarāja.

Questa scuola può essere definita come anupāya, cioè "priva di mezzi",
dal momento che l'identificazione dell'"io" individuale con l'"io" universale
non richiede nessuna disciplina psicofisica o pratica religiosa particolare,
ma soltanto la comprensione metafisica della natura divina quale essenza
unica nel mondo.

PRATYABHIJÑĀ
Come tutte le altre darśana hindu, anche lo Shivaismo del Kashmir ha come fine la
liberazione (mokṣa). Utpaladeva definisce questo stato il "diventare ciò che si è già
diventati"
In pratica liberarsi per questa scuola significa liberarsi dalle “impurità” (mala) che
offuscano natura del sé, riaquisendo lo stato preesistente.

Queste impurità sono di tre tipi:


• āṇava mala: dà luogo all'ego, al senso dell'io cioè, identificando, erroneamente, la
Coscienza assoluta (Śiva) con quella dell'individuo (aṇu);
• māyīya mala: origina il dualismo soggetto-resto del mondo;
• kārma mala: causa l'azione volontaria (karman) finalizzata all'ottenimento di
qualcosa.
Liberazione significa riconoscere (pratyabhijñā) la propria natura quale Coscienza
assoluta: "Diventare ciò che si è già”, diventare Śiva, riconoscersi Dio.

Colui che raggiunge il moksa è considerato “liberato in vita” (jīvanmukti).

Egli non vive in uno stato di isolamento, non è un rinunciante, egli è ben vivo e unito
al mondo.
Il suo agire non è più finalizzato (non è karman) è kriyā, attività spontanea e gioiosa,
assolutamente non egoistica, puro gioco interamente abbandonato nel Sé.

« Il sole asciuga ogni cosa nel mondo, il fuoco consuma ogni cosa (e ancora il sole e il
fuoco si mantengono puri); così anche lo yogin, pur sperimentando tutti i piaceri, non
è contaminato dal peccato. »
(Kulārṇava Tantra, 9.76)
Sad ha na Ta ntr i c a
upayā
Nel Tantrāloka Abhinavagupta classifica tutti i differenti metodi di liberazione in
quattro categorie (jñānacatuṣka, "quadruplice conoscenza") che egli chiama
upayā (lett. "mezzo", "strumento"):

• anupayā

Mezzo senza mezzi: dominio della trascendenza; livello dell'Assoluto
(Paramaśiva)

• śāmabhavopāya

Mezzo divino: dominio dell'immanenza percepita come unità; livello del divino
(Śiva): supremo (para)

• śāktopāya

Mezzo potenziato: dominio dell'immanenza percepita come unità nella
differenza; livello della potenza divina (Śakti): supremo-non supremo
(parāpara)

• āṇavopāya

Mezzo individuale: dominio dell'immanenza percepita come differenziata;
livello dell'individuo (nara): non supremo (apara).
I mezzi per la liberaz ion e
śāmbhavopāya
« Così come un oggetto appare direttamente a colui i cui occhi sono aperti
senza l'intervento di alcuna riflessione mentale, allo stesso modo, ad alcuni,
appare la natura di Śiva. »
(Abhinavagupta, Tantrāloka, 1.247)

I metodi in questa categoria consentono la comprensione della Realtà Ultima


prima che mezzi di conoscenza (le razionalizzazioni in genere) e oggetti della
conoscenza entrino in gioco. È la percezione immediata che si consegue
fermando la volontà al sorgere della consapevolezza.

Negli Śivasūtra il mezzo divino è inteso nel senso di "slancio" (udyama),


"elevazione" che conduce in modo improvviso, senza alcuna tecnica, a intuire
l'unità di tutte le cose.

Il mezzo divino è anche il risveglio che può avvenire nel praticante per opera
della "grazia di Śiva" (śaktipāta).

I l me zzo div ino


śāktopāya

Pratiche interiori, che si esercitano nel mentale (cetas) con l'attenzione centrata
sul flusso dei mezzi di conoscenza (pramāṇa), quando cioè il soggetto comincia
a operare rappresentazioni mentali (vikalpa) della realtà che lo circonda, e che
egli deve cercare di ricondurre alla pura consapevolezza (percezione sintetica),
prima che queste creino differenziazioni.
L'attenzione del praticante non è pertanto quella del mero esecutore del rito
che resta sul gesto e sugli oggetti, quanto quella che si eleva sulle potenze che
vi operano in quanto espressioni specifiche della potenza della Coscienza, la
Sua Śakti cioè, la potenza di Śiva (da cui il nome: “potenziato").
Gli oggetti si trovano sospesi in un dominio che già non è più quello dell'unità,
essendo cominciate le rappresentazioni mentali, ma ancora non è, quello della
completa differenziazione, là dove invece esercitano la parola e l'azione:

Nel Vijñānabhairava Tantra leggiamo:


« L'adorazione non si fa con i fiori. La vera adorazione è un saldo pensiero
rivolto al grande etere indifferenziato, un dissolversi intensamente in esso. »

il mezzo pote nziat o


āṇavopāya

Questa classe comprende le forme esteriori di realizzazione che il singolo


individuo può praticare, quali ad esempio i riti, l'adorazione, la recitazione di
mantra, la pratica dello yoga del corpo.
Sono pratiche che operano nel dominio della realtà percepita come
differenziata: è questo l'ultimo stadio di emanazione della Coscienza,
frammentata ora in infiniti oggetti apparentemente indipendenti l'uno dall'altro.
La percezione del praticante è qui necessariamente analitica: da un lato
l'individuo completamente identificato col proprio organismo psicofisico,
dall'altro gli oggetti, tutto ciò che è altro da sé.
Al praticante non resta che agire (spiritualmente) in modo da rendere manifesta
la relazione fra sé e il mondo, e in questo modo purificare questa stessa
percezione col fine di espandere la propria consapevolezza.

I l me zzo indiv id ua le
āṇavopāya: yoga
Abhinavagupa reinterpreta lo Yoga come l'azione (kyriyā) che rimuove le tracce
latenti (vāsanā) della percezione differenziata (vikalpa) derivanti dalle impurità
(mala) che hanno contratto la Coscienza.
Il modello di questo yoga è sempre quello degli Yoga Sūtra di Patañjali ma ne
differisce perché non prevede le prime due membra, yama (le proibizioni) e
niyama (le discipline):
Il termine "yoga" acquista qui un senso più vicino al suo significato etimologico
("unione"): unire quegli elementi dell'esperienza (i tattva) che costituiscono
l'interezza della Coscienza.
La via yogica secondo il tantrismo non è altro che lo stesso processo di
emanazione dell'Assoluto che diede origine al mondo, percorso però
"all'incontrario", dagli elementi grossolani e quelli sottili ai sensi di percezione e
azione, alla mente, all'intelletto e quindi oltre il dominio di Māyā, fino alla
Coscienza, che:
« divenuta piena e oggetto di venerazione costante, distrugge, come il fuoco alla
fine del tempo, l'oceano della trasmigrazione. »
(Abhinavagupta, Tantrāloka)

La meta, di questo come degli altri mezzi precedentemente descritti, resta


dunque pur sempre la liberazione (mokṣa) dal ciclo delle rinascite (saṃsāra).

I l me zzo indiv id ua le

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