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Antonia Fiori, Et si haereticus non sit... La condanna dei sola suspicione


notabiles, in RIvista Internazionale di Diritto Comune 27 (2016), p. 185-225

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Antonia Fiori
Sapienza University of Rome
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Ettore Majorana Foundation and
Centre for Scientific Culture

RIVISTA
INTERNAZIONALE
DI
DIRITTO
COMUNE

27

IL CIGNO G.G. EDIZIONI


Roma 2016 Erice
La Rivista Internazionale di Diritto Comune è pubblicata
annualmente.
La pubblicazione di articoli e note proposti alla Rivista è subordinata
alla valutazione positiva espressa (in forma anonima e nel rispetto
dell’anonimato dell’autore) da due lettori scelti dal Direttore in primo
luogo tra i componenti del Comitato Scientifico.
Gli autori sono invitati a inviare alla Rivista, insieme con il testo da
pubblicare, due abstract, uno dei quali in lingua diversa da quella del
contributo, e “parole chiave” nelle due lingue.

con il patrocinio del


Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania
Rivista Internazionale di
Diritto Comune 27 (2016) 185-225

ANTONIA FIORI

Et si haereticus non sit…


La condanna dei sola suspicione notabiles

Era affermazione diffusa nei testi giuridici che le condanne per


eresia dovessero essere sostenute da prove “luce meridiana clariores”1.
L’espressione proveniva da una celebre costituzione del Codice (la l.
Sciant cuncti, C. 4.19.25), secondo la quale i crimini andavano dimostrati
con indizi indubitati e “più chiari della luce”2. Così i doctores, ostentando
fedeltà a una decretale di Innocenzo III (c. Literas vestras, X 2.23.14)3,
ripetevano che per un crimine grave come l’eresia4 nessuno potesse
essere condannato in base a semplici sospetti, per quanto forti5.

* Professore associato di Storia del diritto medievale e moderno – Sapienza


Università di Roma.
1 Così Alberico da Rosciate, In primam partem Codicis Commentaria, ad rubr.

C. de haereticis (Venezia 1586) fol. 40v n. 10: “Deinde quaero utrum ex


suspitionibus etiam vehementibus in hoc crimine quis condemnetur […]. Ex
quibus concluditur quod ex praesumptione non condemnatur quis in isto crimine.
Nam in criminibus debent esse probationes luce meridiana clariores, ut infra de
probationibus l. Sciant (C. 4.19.25). Si hoc est in aliis criminibus, multo fortius in
isto, quod est gravius, et ibi maius periculum vertitur, et ideo cautius est
agendum […]”.
2 “Indiciis ad probationem indubitatis et luce clarioribus”. La norma del

Codice era riportata anche nel Decretum di Graziano, in C.2 q.8 c.2.
3 Innocenzo III, decr. Literas Vestras (1206), 3 Comp. 2.14.1 = X 2.23.14: “cum

propter solam suspicionem, quamvis utique vehementem, nolumus illum de tam


gravi crimine condemnari”. Sull’interpretazione dottrinale di questa norma M.
Schmoeckel, Humanität und Staatsraison. Die Abschaffung der Folter in Europa
und die Entwicklung des gemeinen Strafprozeß- und Beweisrechts seit dem hohen
Mittelalter (Norm und Struktur. Studien zum sozialen Wandel in Mittelalter und
Früher Neuzeit, 14; Köln-Weimar-Wien 2000) 327-334.
4 In questo senso Oldrado da Ponte, Consilia seu responsa et Quaestiones

Aureae, Consilium CCX (Venezia 1571) fol. 90v: “Regularis habet traditio quod in
omni crimine, ut condemnatio sequi possit, debent esse probationes luce
clariores, ut C. de probationibus l. Sciant (C. 4.19.25) et de procu. (rectius: de
poenis) l. Qui sententiam (C. 9.47.16), et si hoc in aliquo crimine, multo fortius in
crimine haeresis, ubi simul et quis criminaliter condemnatur et civiliter punitur,
et eius posteritas perpetua notatur infamia, sola eis vita quadam levitate relicta
et in quo breviter concurrere videtur omnia cognitionum genera […], cum ubi

185
ANTONIA FIORI

Quattro secoli dopo quella decretale, all’inizio del XVII secolo,


Prospero Farinacci6 poneva però ancora la questione se le presunzioni
potessero essere sufficienti per la prova dell’eresia. La risposta negativa
era la magis communis, ma il tema restava controverso. Giovanni da
Imola, ad esempio, aveva ribaltato completamente il principio,
sostenendo – non senza fondamento – che negli altri crimini erano sì
richieste probationes luce meridiana clariores, ma in crimine haeresis
sufficiunt minores7.

maius periculum vertatur, ibi utique cautius sit agendum […]”. Su questo
consilium, databile agli anni Venti-Trenta del Trecento, e sulla sua fortuna, cfr.
C. Valsecchi, Oldrado da Ponte e i suoi consilia. Un’auctoritas del primo Trecento
(Università degli Studi di Milano-Bicocca, Facoltà di Giurisprudenza 6; Milano
2000) 146 e 713-716.
5 Nel Decretum di Graziano si poteva leggere anche un testo pseudoisidoriano

(C.2 q.1 c.13) che imponeva ai giudici di non condannare in base a un sospetto
(“nullum iudicetis suspicioni arbitrio, sed primum probate”), ma senza specifico
riferimento all’eresia.
6 Prospero Farinacci, Tractatus de haeresi, Quaestio 187 § 1 (Antwerp 1616)

pp. 194-197. Il Tractatus de haeresi costituisce l’ultimo titolo, il XVIII, della


Praxis et theorica criminalis, che Farinacci iniziò a scrivere nel 1581. La prima
edizione del Tractatus è quella romana di Andrea Fei del 1616 (cfr. A.
Mazzacane, ‘Farinacci, Prospero’, Dizionario biografico degli italiani 45 [Roma
1995] 1-5).
7 Giovanni Nicoletti da Imola, Super Clementinis, ad c. Multorum querelam

(Clem. 5.3.1) n. 19 (Lyon 1525) fol. 127vb-130ra: “In § verum querit Guil(lelmus)
quid debeant in dubio facere inquisitores, et episcopus respondet quod licet in
aliis criminibus in dubio tutius sit nocentem absolvere quam innocentem
condemnare, ff. de penis l. Absentem (D. 48.19.5), tamen in hoc crimine in dubio
presumendum est pro heresi […], ad hoc quod notat Innocentius de simonia Sicut
(X 5.3.6) ubi dicit quod licet in aliis criminibus requirantur probationes luce
meridiana clariores, tamen in crimine heresis sufficiunt minores C. de hereticis l.
ii (C. 1.5.2) et quia secundum eum levia signa sufficiunt ad presumendum quem
hereticum, de presumptionibus Literas (X 2.23.14). Certe hoc dictum Innocentii
intelligo secundum no. in d. l. ii et secundum dictum Guil(lelmi)”. L’autore citava
Innocenzo IV, che nel commentare il c. Sicut simoniacas (X 5.3.6), Super libros
quinque Decretalium (Frankfurt 1570) fol. 498vb aveva detto che, a differenza
degli altri crimini, in cui erano necessarie prove “luce clariores”, “in crimine
simoniae minores probationes sufficiunt, quinimo sola signa, sicut in haeresi, C.
de haereticis l. 2 (C. 1.5.2). Nos dicimus quod levia signa sufficiunt ad
praesumendum aliquem haereticum, sed illa signa oportet plene probari”. Tanto
la simonia come l’eresia erano crimina excepta per i quali, ad esempio, le regole
sull’accusa e sulla testimonianza erano diverse da quelle ordinarie; sui rapporti
tra i due crimini O. Ruffino, ‘Ricerche sulla condizione giuridica degli eretici nel
pensiero dei glossatori’, Rivista di storia del diritto italiano 46 (1973) 30-190 (in
particolare alle pp. 100-105). Il Guglielmo citato è il canonista francese
Guillaume de Montlauzun (Guglielmo de Monte Lauduno), Apparatus super

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ET SI HAERETICUS NON SIT... LA CONDANNA DEI SOLA SUSPICIONE NOTABILES

L’argomento era insomma ben più complesso di quanto le asserzioni


teoriche lasciassero intendere, ed esse richiedevano innumerevoli
distinzioni e precisazioni.
In materia di eresia esisteva infatti una categoria di soggetti8 –
sconosciuta alla repressione degli altri crimini, anche enormi9 – che
poteva essere riconosciuta colpevole in assenza di prove, attraverso un
meccanismo di progressivo aggravamento delle presunzioni sfavorevoli.
Sotto il profilo formale, la dottrina elaborata sin dal primo Duecento
in tema di sola suspicione notabiles salvaguardava il principio per il
quale ex praesumptione non condemnatur quis in crimine haeresis10,
come vedremo. Ai giuristi più sensibili non sfuggì mai, tuttavia, che le
condanne dei sospetti eretici, pur irreprensibili sul piano tecnico,
celavano il rischio costante dell’irrogazione di pene ingiuste e gravi a
persone innocenti.

Clementinas ad c. Multorum querelam (Clem. 5.3.1) v. verum (Paris 1517) fol.


149va. Su Giovanni da Imola A. Padovani, ‘Giovanni da Imola. Proposte di
metodo storiografico e appunti per una nuova biografia’, Lavorando al cantiere
del ‘Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX sec.)’, a cura di M.G. di
Renzo Villata (Milano 2013) 79-95; Id., ‘Giovanni Nicoletti (de Calcis) da Imola’,
Dizionario biografico dei giuristi italiani, dir. da I. Birocchi – E. Cortese – A.
Mattone – M.N. Miletti (Bologna 2013) I 1015-1018 e, da ultimo, Id. Dall’alba al
crepuscolo del commento. Giovanni da Imola (1375 ca. – 1436) e la
giurisprudenza del suo tempo (Studien zur europäischen Rechtsgeschichte.
Veröffentlichungen des Max-Planck-Institut für europäische Rechtsgeschichte,
303; Frankfurt a.M. 2017).
8 Il tema è noto soprattutto grazie allo studio di Italo Mereu, Storia

dell’intolleranza in Europa. Sospettare e punire (Milano 1979). Cfr. anche H.


Flatten, Der Häresieverdacht im Codex Iuris Canonici (Amsterdam 1963) 30-66,
A. Prosperi, ‘Fede, giuramento, inquisizione’, Glaube und Eid. Treueformeln,
Glaubensbekentnisse und Sozialdisziplinierung zwischen Mittelalter und Neuzeit,
a cura di P. Prodi (München 1993) 157-171 e K. Siebenhüner, ‘Eresia, sospetto
di’, Dizionario storico dell’Inquisizione, dir. da A. Prosperi con la collaborazione di
Vincenzo Lavenia e John Tedeschi (Pisa 2010) II 547.
9 Sui crimini enormi J. Théry, ‘Atrocitas / enormitas. Per una storia della

categoria di “crimine enorme” nel basso Medioevo (XII-XIV sec.)’, Quaderni storici
131 (2009) 329-375 e D. von Mayenburg, ‘Die enormitas als Argument im
mittelalterlichen Kirchenrecht’, Der Einfluss der Kanonistik auf die europäische
Rechtskultur, Bd. 3: Straf- und Strafprozessrecht, a cura di O. Condorelli – F.
Roumy – M. Schmoeckel (Norm und Struktur. Studien zum sozialen Wandel in
Mittelalter und Früher Neuzeit, 37/3; Köln-Weimar-Wien 2012) 259-292.
10 Supra, nt. 1.

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ANTONIA FIORI

1. I “sola suspicione notabiles”. Normazione pontificia e imperiale

Sui sola suspicione notabiles gravava un sospetto di eresia non


corroborato da indizi idonei ad assurgere al rango di prove semiplenae o
sufficienti all’imposizione della tortura11. L’eventuale condanna – come
vedremo – era fondata interamente su presunzioni.
Non è facile definire cosa costituisse suspicio di eresia. Certamente
ascoltare la predicazione di un eretico, o frequentarlo, o aiutarlo, come
nel 1242 precisava il Directorium di Tarragona di Raimondo di
Peñafort12. Ma anche praticare la magia, sposare due mogli, abusare dei
sacramenti, non provvedere alla confessione annuale, o praticare l’usura,
finirono col rientrare nel novero delle attività “sospette”13. Nel tempo il

11 Niccolò de’ Tedeschi (Abbas Panormitanus), Commentaria in Quartum et

Quintum Decretalium Libros ad c. Ad abolendam (X 5.7.9) n. 8 (Venezia 1582) fol.


129ra: “qui non potest veraciter convinci”.
12 G.D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio 23 (Venezia

1779) col. 555. La Direttiva ha avuto numerose edizioni: l’ultima in ordine di


tempo è in R. Parmeggiani, I consilia procedurali per l’inquisizione medievale
(1235-1330) (Bologna 2011) 13-22 (alla p. 16 il passo sui fautores richiamato). In
senso ampio rientravano nella categoria dei sospetti eretici anche i fautores, e i
suspecti sine fautoria erano considerati piuttosto rari; rimando su questo punto a
quanto detto in A. Fiori, Il giuramento di innocenza nel processo canonico
medievale. Storia e disciplina della purgatio canonica (Studien zur europäischen
Rechtsgeschichte. Veröffentlichungen des Max-Planck-Institut für europäische
Rechtsgeschichte, 277; Frankfurt a.M. 2013) 565s.
A rigore, però, la pena prevista dal IV concilio lateranense per “credentes,
receptatores, defensores et fautores” era diversa da quella dei sospetti eretici,
perché al termine dell’anno di scomunica ai primi era comminata l’infamia, non
la pena di morte, c. 3 Constitutiones Concilii quarti Lateranensis una cum
Commentariis glossatorum, ed. A. García y García (Monumenta Iuris Canonici,
A/2; Città del Vaticano 1981) 48s.
13 Un elenco delle attività “sospette di eresia” è data nel Seicento da Eliseo

Masini nel suo Sacro arsenale, un manuale in volgare per l’Inquisizione romana
di grande successo, pubblicato per la prima volta a Genova nel 1621 (sul quale A.
Errera, Processus in causa fidei. L’evoluzione dei manuali inquisitoriali nei secoli
XVI-XVIII e il manuale inedito di un inquisitore perugino [Archivio per la storia
del diritto medioevale e moderno, 4; Bologna 2000] 105-108 e 264-272 e A.
Santangelo Cordani, ‘“Del modo di procedere contro alle streghe nel Santo
Officio”. Il Sacro Arsenale di Eliseo Masini e gli albori del declino della caccia alle
streghe’, Historia et Ius 7/2015 paper 4): Sacro arsenale overo Prattica dell’Officio
della S. Inquisitione (qui cit. nell’ed. Roma 1705) 7s.
All’inizio del XVIII secolo Anselmo Dandini, cesenate, referendario di
ambedue le Segnature e consultore della Congregazione dell’Indice dei libri
proibiti, diede alle stampe un trattato De suspectis de haeresi (Roma 1703) nel
quale indicava sette attività dalle quali poteva derivare sospetto di eresia: la

188
ET SI HAERETICUS NON SIT... LA CONDANNA DEI SOLA SUSPICIONE NOTABILES

sospetto di eresia si ampliò fino a diventare “un contenitore estendibile a


piacere”14, nel quale potevano rientrare comportamenti a vario titolo
considerati non ortodossi, non solo perché sintomatici di un dissenso sul
piano dogmatico, ma anche perché moralmente disapprovabili.
Del resto, il sospetto di eresia si rivelò subito un utile strumento di
lotta politica, e persino Federico II – proprio il legislatore che più si era
fatto carico, su precisa richiesta della Chiesa, della normazione
antiereticale15 – ne fu colpito al momento della deposizione, inflittagli nel
1245 dal concilio di Lione16.

I sola suspicione notabiles comparvero per la prima volta, come


categoria da perseguire, nella decretale Ad abolendam di Lucio III.
Emanata a Verona nel 1184, nel corso di un concilio svoltosi alla
presenza di Federico Barbarossa, essa fu il primo severo provvedimento
antiereticale di diritto canonico. Alla partecipazione al concilio
dell’imperatore, e dunque al suo consenso alla promulgazione, la dottrina
canonistica attribuì il fondamento di una validità anche civile della
norma che, secondo Tancredi, si sarebbe potuta addirittura definire lex17.
La concordia con l’imperatore, del resto, giustificava le pesanti sanzioni
previste contro le autorità laiche che non avessero collaborato con la
Chiesa per estirpare l’eresia.
La decretale scomunicava tutti gli eretici; coloro che fossero stati
manifeste deprehensi come tali sarebbero stati affidati al braccio secolare
per la punizione, se non avessero abiurato.

blasfemia, la superstizione (alla quale ricollegava l’esercizio della magia,


l’idolatria, la divinazione, i sortilegi, etc.), l’abuso dei sacramenti, il
favoreggiamento degli eretici, la conversazione con loro, la conservazione o
lettura dei libri eretici, la pronuncia di proposizioni interpretabili come eretiche.
14 A. del Col, L’inquisizione in Italia, dal XII al XXI secolo (Milano 2006) 163.
15 Sulla legislazione antiereticale di Federico II rimando a quanto scritto in A.

Fiori, ‘Eresie’, Federico II. Enciclopedia Federiciana (Roma 2005) I 540-553.


16 MGH Const. II, ed. L. Weiland (Hannover 1896) 509: “de haeresi quoque

non dubiis et levibus set difficilibus et evidentibus argumentis suspectus


habetur”; cfr. O. Hageneder, ‘Der Häresiebegriff bei den Juristen des 12. und 13.
Jahrhunderts’, The Concept of Heresy in the Middles Ages (11th-13th C.)
(Mediaevalia Lovaniensia series I studia IV; Leuven 1983) 42-103, trad. it. (qui
cit.) ‘Il concetto di eresia nei giuristi dei secoli XII e XIII’, Il sole e la luna. Papato,
impero e regni nella teoria e nella prassi dei secoli XII e XIII, a cura di M.P.
Alberzoni (Cultura e storia, 20; Milano 2000) 105 e 115; Fiori, ‘Eresie’ 551.
17 P. Diehl, ‘Ad abolendam (X 5.7.9) and Imperial Legislation against Heresy’,

Bullettin of Medieval Canon Law, (n.s.) 19 (1989) 1-11 (in particolare p. 9); cfr.
anche A. Padovani, ‘L’inquisizione del podestà. Disposizioni antiereticali negli
statuti cittadini dell’Italia centro-settentrionale nel secolo XIII’, Clio 21 (1985)
345-393, alle pp. 349-352.

189
ANTONIA FIORI

I sola suspicione notabiles, invece, avrebbero dovuto liberarsi della


diffidenza di cui erano oggetto “purgandosi” con giuramento, nelle
modalità che il giudice ecclesiastico avesse preferito, tenuto conto sia
dell’entità del sospetto, sia della personalità del sospettato (“iuxta
consideratione suspicionis qualitatemque personae”)18. In caso contrario
sarebbero stati anch’essi affidati al braccio secolare:

Qui vero inventi fuerint sola ecclesiae suspicione notabiles, nisi ad


arbitrium episcopi iuxta considerationem suspicionis qualitatemque
personae propriam innocentiam congrua purgatione monstraverint,
simili sententiae subiacebunt19.

La purgatio canonica era un giuramento di innocenza che il processo


canonico richiedeva a chi fosse stato infamato come autore di un crimine,
nell’impossibilità – da parte dell’accusatore o dell’inquisitore – di provare
la sua colpevolezza. Il giuramento del reus era accompagnato da quello di
altre persone, i cd. compurgatores, che giuravano di credere alla sua
affermazione di innocenza, e il cui numero era rimesso all’arbitrio del
giudice. Il mancato giuramento, dell’infamato o dei compurgatori, era
parificato a una confessione e comportava la condanna20. Contrariamente
alla disciplina ordinaria, però, la Ad abolendam non richiedeva come
presupposto del giuramento la mala fama del purgandus (ovvero la
diffusa convinzione che fosse autore del crimine), ma il semplice sospetto
di eresia21.
Due ulteriori disposizioni completavano la disciplina relativa ai
sospetti: se dopo l’avvenuta purgazione o l’eventuale abiura – e dunque
apparentemente liberatisi dell’accusa –, fossero “(ri)caduti” nell’eresia,
“sine ulla audientia” sarebbero stati mandati al braccio secolare per la

Sulla qualitas personarum, valutata in termini di credibilità dell’accusato


18

alla luce della sua vita et conversatio, mi permetto di rimandare ad A. Fiori, ‘La
valutazione processuale della personalità dell’accusato: dall’infamia alla
“capacità a delinquere del colpevole”’, Der Einfluss der Kanonistik auf die
europäische Rechtskultur, bd. 4: Prozessrecht, a cura di Y. Mausen – O.
Condorelli – F. Roumy – M. Schmoeckel (Norm un Struktur. Studien zum
sozialen Wandel in Mittelalter und Früher Neuzeit, 37/4; Köln-Weimar-Wien
2014) 157-172.
19 1 Comp. 5.6.11 = X 5.7.9.
20 Fiori, Il giuramento di innocenza, passim.
21 In questo caso il procedimento sarebbe stato avviato non dallo scandalum,

ma dal pericolo che uno scandalo potesse verificarsi, Flatten, Der Häresieverdacht
34. Sull’infamatio come presupposto della purgazione Fiori, Il giuramento di
innocenza, 377-384 e 480-486, e la letteratura ivi citata.

190
ET SI HAERETICUS NON SIT... LA CONDANNA DEI SOLA SUSPICIONE NOTABILES

debita animadversio, la giusta punizione22. Inoltre, il rifiuto del


giuramento in quanto tale sarebbe stato considerato prova di eterodossia.
La disposizione era diretta contro quelle sette ereticali che, come i
Valdesi, condannavano la prestazione dei giuramenti:

Si qui vero ex eis, iurationem superstitione damnabili respuentes, iurare


forte noluerint, ex hoc ipso haeretici iudicentur, et poenis, quae
praenominatae sunt, percellantur23.

Nel 1215, sotto la ferma conduzione di Innocenzo III, il IV concilio


lateranense tornò, con il c. Excommunicamus (c. 3)24, sulla repressione
dell’eresia. La norma inaspriva le sanzioni contro gli eretici e i loro
fiancheggiatori e – in continuità con la decretale Ad abolendam –
impegnava le autorità secolari e i signori feudali a ripulire le proprie
terre dagli eretici, pena la scomunica, lo scioglimento dei vassalli dal
vincolo di fedeltà e l’esposizione delle loro terre all’altrui occupazione.
Quanto ai sola suspicione notabiles, il c. Excommunicamus intro-
duceva una parziale modifica alla disposizione del 1184:

Qui autem inventi fuerint sola suspicione notabiles, nisi iuxta


considerationem suspicionis qualitatemque persone propriam
innocentiam congrua purgatione monstraverint, anathematis gladio
feriantur, et usque ad satisfactionem condignam ab omnibus evitentur,
ita quod si per annum in excommunicatione perstiterint, ex tunc velut
heretici condempnentur25.

22 Il testo parlava di “ricaduta” (recidisse), ma non si trattava di una vera

recidiva, se non supponendo che la prima liberazione dall’accusa fosse errata.


“Illos quosque, qui post abiurationem erroris vel postquam se, ut diximus, proprii
antistitis examinatione purgaverint, deprehensi fuerint in abiuratam haeresim
recidisse, saeculari iudicio sine ulla penitus audientia decernimos reliquendos” (X
5.7.9).
23 Questa parte della decretale era riportata nella Compilatio I (1 Comp.

5.6.11), ma fu espunta dal Liber Extra (X 5.7.9) dove il medesimo paragrafo era
ripetuto nel c. Excommunicamus (X 5.7.13); per averne la percezione è preferibile
consultare l’edizione di Antonio Agustín, Antiquae Collectiones Decretalium
(Lerida 1576), al fol. 74v, perché l’edizione implicita di Emil Friedberg, Quinque
Compilationes antiquae (Leipzig 1882; rist. anast. Graz 1956) 57, richiama il
corrispondente capitolo nella sua stessa edizione del Liber Extra, in cui le parti di
testo omesse nella vulgata sono riportate in corsivo.
24 Constitutiones Concilii quarti Lateranensis una cum Commentariis

glossatorum, ed. A. García y García (Monumenta Iuris Canonici, A/2; Città del
Vaticano 1981) 47-51.
25 Ibid., p. 47s.

191
ANTONIA FIORI

A coloro che si segnalavano per essere solo sospetti il concilio


imponeva una scomunica annuale qualora non avessero prestato il
giuramento di purgazione; se entro quell’anno non avessero provveduto a
giurare, sarebbero stati condannati come eretici. Era anche rinnovata la
condanna per chi avesse rifiutato il giuramento.

La norma venne riproposta in forma di costituzione da Federico II,


inserita tra le leggi promulgate al momento dell’incoronazione imperiale,
il 22 novembre 1220. La Constitutio in basilica beati Petri26 conteneva in
prevalenza norme dirette alla tutela della libertas Ecclesiae,
rappresentava un omaggio dello Svevo al papa Onorio III, che lo aveva
incoronato, ed era un provvedimento non solo richiesto, ma in parte
materialmente preparato dalla cancelleria pontificia27.
In tema di eresia, i capitoli Catharos e Statuimus28 recepivano le
deliberazioni del concilio lateranense conclusosi cinque anni prima
(quelle del c. Excommunicamus appena ricordato), rafforzandole ed

26 Sulla Constitutio in basilica beati Petri, G. De Vergottini, Studi sulla

legislazione imperiale di Federico II in Italia. Le leggi del 1220 (Pubblicazioni


straordinarie dell’Accademia delle Scienze di Bologna, Cl. Scienze sociali, 11;
Milano 1952); F. Liotta, ‘Vicende bolognesi della constitutio “In basilica beati
Petri” di Federico II’, Vitam impendere magisterio. Profilo intellettuale e scritti in
onore dei professori Reginaldo M. Pizzorni, O.P. e Giuseppe Di Mattia, O.F.M.
Conv., a cura di D.J. Andrés Gutiérrez (Città del Vaticano 1993) 79-92; Id.
‘Constitutio in basilica beati Petri’, Federico II. Enciclopedia Federiciana (Roma
2005) I 366-368; Id., ‘Federico II, la Constitutio in basilica beati Petri e il Liber
Augustalis’, Gli inizi del diritto pubblico. Da Federico I a Federico II, a cura di G.
Dilcher – D. Quaglioni (Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento.
Contributi, 21; Bologna-Berlin 2009) 113-130 ; M.G. Di Renzo Villata, ‘La
‘constitutio in basilica beati Petri’ nella dottrina di diritto comune’, Studi di
storia del diritto II (Milano 1999) 151-301; Fiori, ‘Eresie’ 541-545.
27 De Vergottini, Studi sulla legislazione imperiale 85-96 (sul c. 6 in

particolare p. 92); cfr. anche S. Kuttner – A. García y García, ‘A New Eyewitness


Account of the Fourth Lateran Council’, Traditio 20 (1964) 115-178, alla p. 169,
rist. anast. in S. Kuttner, Medieval Councils, Decretals and Collections of Canon
Law (Variorum, London 1980 e Ashgate 1992) IX; Liotta, ‘Constitutio’ 366s.
Significative le istruzioni del papa Onorio III al legato Niccolò di Tuscia, perché
facesse in modo che il testo inviato dalla cancelleria papale, dopo la redazione e
approvazione di Federico, gli venisse nuovamente inviato: “ut capitularia quae
vobis mittimus […], servata sententia, sub nomine regio in leges publicas
redigantur nobisque mittantur regie bulle roborata munimine”, MGH
Constitutiones et acta publica imperatorum et regum II, ed. L. Weiland
(Hannover 1896; rist. anast. 1963) 104. Bonifacio VIII avrebbe poi detto che la
legge dell’incoronazione era stata promulgata da Federico II “in devotione
Romanae ecclesiae” (VI 5.2.18).
28 C. 6 e 7, MGH Const. II 108s.

192
ET SI HAERETICUS NON SIT... LA CONDANNA DEI SOLA SUSPICIONE NOTABILES

attribuendo alle giurisdizioni civili all’interno dell’impero il ruolo di


“braccio secolare” nell’esecuzione delle condanne. Federico accoglieva
anche la configurazione del crimen haeresis come laesa maiestas aeterna,
elaborata da Innocenzo III ed espressa nella celebre decretale Vergentis
in senium29.
Le disposizioni federiciane furono inserite nel titolo de haereticis
della quinta Compilatio antiqua, voluta dallo stesso Onorio III30, ma non
trovarono posto nel Liber Extra. Invece – considerate, al pari di quelle
giustinianee, novelle imperiali – vennero prima introdotte in forma di
quattro authenticae nel Codex31, poi, con l’intera legge dell’incoronazione,
nella constitutio finalis della decima collatio delle Novelle.
L’authentica Gazaros (ossia Catharos) fu forse la più nota tra le
quattro, e conteneva la norma federiciana sui sola suspicione notabiles:

Qui autem inventi fuerint sola suspicione notabiles, nisi ad mandatum


ecclesiae iuxta considerationem suspicionis qualitatemque personae
propriam innocentiam congrua purgatione monstraverint, tamquam
infames et banniti ab omnibus habeantur, ita quod, si sic per annum
permanserit, ex tunc eos sicut haereticos condempnamus32.

Come si vede, il testo imperiale riprendeva anche letteralmente il


canone lateranense, aggiungendo nei riguardi dei sospetti scomunicati

29 Sulla decretale Vergentis, in particolare, O. Hageneder, ‘Studien zur

Dekretale Vergentis (X V.7.10). Ein Beitrag zur Häretikergesetzgebung Innozenz’


III.’, Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte KA 49 (1963) 138-173,
trad. it. ‘La decretale Vergentis (X V.7.10). Un contributo sulla legislazione
antiereticale di Innocenzo III’, Il sole e la luna 131-163; W. Ullmann, ‘The
Significance of Innocent III’s Decretal Vergentis’, Études d’histoire du droit
canonique dédiées à Gabriel Le Bras (Paris 1965) 729-741, ora in Id., The Papacy
and Political Ideas in the Middle Ages (Variorum, London 1976); K. Pennington,
‘Pro peccatis patrum puniri. A Moral and Legal Problem of the Inquisition’,
Church History 47 (1978) 137-154, ora in Id., Popes, Canonists and Texts, 1150-
1550 (Variorum, Aldershot 1993) XI; W.G. Helmut, ‘Ziele und Mittel päpstlicher
Ketzerpolitik in der Lombardei und im Kirchenstaat 1184-1252’, Die Anfänge der
Inquisition im Mittelalter, a cura di P. Segl (Köln-Weimar-Wien 1993) 103-130;
cfr. anche Fiori, ‘Eresie’ 542s.
30 5 Comp. 5.4.un.
31 I capitoli 6 e 7 della legge dell’incoronazione vennero così inseriti nel

Codice: l’auth. Statuimus nel titolo de episcopali audientia (post l. Iubemus [C.
1.4.19, vulg. C. 1.7.20]); le authenticae Si vero e Credentes (post l. Manichaeos [C.
1.5.4, vulg. C. 1.8.4]), e l’authentica Gazaros (post. l. Cognovimus [C.1.5.19, vulg.
C. 1.8.19]) nel titolo de haereticis et manichaeis.
32 Auth. Gazaros § Qui autem, post. l. Cognovimus C. de haereticis et

manicheis (C.1.5.19, vulg. C. 1.8.19).

193
ANTONIA FIORI

solo la comminazione dell’infamia legale e del bando. Era lasciata alla


Chiesa la decisione di indire la purgazione dei sospetti: il bando seguiva
ipso iure alla scomunica e ne costituiva il corrispettivo temporale33. La
condanna, che interveniva in modo automatico al termine dell’anno,
impegnava il potere secolare nell’esecuzione della pena.
I capitoli antiereticali della legge dell’incoronazione furono poi
confermati da Federico II, il 22 febbraio del 1232 a Ravenna34, e il 14
maggio 1238 a Cremona35. In teoria, le norme della Constitutio in
basilica beati Petri avrebbero dovuto essere recepite dalle legislazioni
locali, ma furono pochi i Comuni che le introdussero nei loro statuti,
tanto che nel 1252 Innocenzo IV ne ordinò l’inserimento con una bolla, la
Cum adversus haereticam36.

Nel 1234, la disposizione del concilio lateranense sui sospetti eretici


fu accolta nel Liber Extra (X 5.7.13, c. Excommunicamus), ed anch’essa
più volte confermata da pontefici successivi, che non la modificarono nel
testo: Gregorio IX nel 123137, Innocenzo IV nel 125438, Alessandro IV nel
126039, Niccolò IV nel 1288 e nel 129140.

Cfr. Fiori, ‘Eresie’ 545.


33

Con l’aggiunta del c. Adicimus insuper, MGH Const. II 195 (n. 157).
34
35 Con l’aggiunta del c. Patarenorum receptatores (che faceva parte del Liber

Augustalis, I.2), MGH Const. II 284 (n. 211).


36 Padovani, ‘L’inquisizione del podestà’ 379.
37 Les registres de Grégoire IX, ed. L. Auvray (Paris 1896) I 351 (n. 539). La

decretale è stata inserita nel titolo de haereticis del Liber Extra (X 5.7.15, c.
Excommunicamus), ma limitatamente alle parti che non ripetevano il contenuto
di X 5.7.13 (che aveva identico incipit ed era il c. 3 del IV concilio lateranense),
quindi senza il paragrafo sui sola suspicione notabiles.
38 Con la decretale Noverit universitas, del 15 giugno 1254 (Potthast 15425),

Les registres d’Innocent IV, ed. É. Berger (Paris 1897) III 465 (n. 7790); G.G.
Sbaraglia, nel Bullarium Franciscanum Romanorum Pontificum (Roma 1759) I
303, la data invece al 1243.
39 La decretale di Alessandro IV è la riproposizione della Noverit universitas

di Innocenzo IV, che a sua volta confermava la Excommunicamus di Gregorio IX;


Potthast (17840) la data al 25 aprile 1260 seguendo il Bullarium ordinis ff.
Praedicatorum, ed. T. Ripoll (Roma 1729) I 391, n. 265. La decretale non è stata
inserita nell’edizione de Les Registres d’Alexandre IV a cura di C. Bourel de La
Roncière – J. de Loye – P. de Cenival – A. Coulon (Bibliothèque des écoles
françaises d’Athènes et de Rome, 2. ser.; Paris 1895-1959) I-III.
40 Si tratta di ulteriori riproposizioni della decretale di Innocenzo IV (supra

nt. 38): Les registres de Nicolas IV, ed. E. Langlois (Bibliothèque des écoles
françaises d’Athènes et de Rome, 2. ser.; Paris 1886-1891) I 83, n. 434 del 23
dicembre 1288 (Potthast 22846) e II 649, n. 4476 del 3 marzo 1291 (Potthast
23589), che in alcuni casi è attribuita a Niccolò III, ad esempio dal Bullarium
diplomatum et privilegiorum SS. Romanarum Pontificum (Torino 1859) IV 47s.

194
ET SI HAERETICUS NON SIT... LA CONDANNA DEI SOLA SUSPICIONE NOTABILES

Nel 1418, durante il concilio di Costanza, Martino V rinnovò ancora


la disposizione nella bolla Inter cunctas, distinguendo però con maggior
precisione tra sospetti soggetti a condanna immediata e sospetti soggetti
a scomunica annuale:

Qui autem de haeresi, per iudicem competentem ecclesiasticum, inventi


fuerint sola suspicione notati seu suspecti, nisi iuxta considerationem et
exigentiam suspicionis qualitatemque personae, ad arbitrium iudicis
huiusmodi propriam innocentiam congrua devotione monstraverint, in
purgatione eis canonice indicta deficientes, et se canonice purgare non
valentes (rectius: volentes), aut pro huiusmodi purgatione facienda,
obstinatione damnabili, iurare renuentes, tamquam haeretici condem-
nentur. Qui vero dictam innocentiam monstrare, ex quadam negligentia
seu desidia, et purgationem huiusmodi facere omiserint, anathematis
gladio feriantur, et usque ad satisfactionem condignam ab omnibus
evitentur; ita quod, si per annum in excommunicatione eiusmodi persti-
terint, ex tunc velut haeretici condemnentur.
Si quis vero, super aliquo saepe dicate pestiferae doctrinae
haeresiarcharum praedictorum, vel aliquibus articulis dumtaxat scanda-
losis, temerariis, seditiosis vel piarum aurium offensivis, culpabilis
repertus fuerit, canonice puniatur. Si vero, propter solam infamiam aut
suspicionem dictorum articulorum vel alicuius ipsorum, quis repertus
fuerit suspectus, et in purgatione canonica propter hoc sibi indicta
deficeret, pro convicto habeatur, et tamquam canonice convictus
puniatur41.

Dopo aver sottolineato che la valutazione sulla suspicio spettava al


giudice ecclesiastico competente, e non ad altri, Martino V distingueva,
da un lato, la posizione di coloro che – una volta indetta la purgazione –
l’avessero fallita (ad esempio per mancanza di compurgatores) o avessero
rifiutato di giurare, dall’altro la posizione di chi fosse stato negligente nel
prestarla, senza opporre alcun preciso rifiuto.
Nel primo caso, i sospetti sarebbero stati subito condannati come
eretici; nel secondo sarebbe scattata la scomunica annuale, al termine
della quale, se non avessero intanto provveduto al giuramento, sarebbero
stati condannati.
Nel contenuto, dunque, la norma offriva solo alcune precisazioni che
rispecchiavano non solo le riflessioni della dottrina, ma anche una
posizione espressa con particolare radicalità proprio a Costanza. Nel
giudizio su Hus e sugli scritti di Wycliff, infatti, il rifiuto del giuramento

41 Bullarium diplomatum et privilegiorum SS. Romanarum Pontificum IV

(Torino 1859) col. 667s. § 9.

195
ANTONIA FIORI

in quanto tale – e in modo particolare dei giuramenti nella loro applica-


zione in campo giusprivatistico e processuale (ivi compreso il giuramento
di innocenza) – venne considerato inequivocabile dimostrazione di
eresia42.

2. “Contemptus” e “pertinacia”: la trasformazione del sospetto in


presunzione violenta

La suspicio che induceva al giuramento di purgazione venne subito


identificata come una praesumptio probabilis.
La dottrina canonistica aveva infatti classificato le presunzioni in
base alla loro influenza sul giudizio: la praesumptio temeraria era quella
sostanzialmente e giuridicamente irrilevante, la praesumptio probabilis
induceva la purgatio canonica o poteva costituire una prova semiplena, la
praesumptio violenta era l’unica in base alla quale si potesse andare a
sentenza, senza bisogno dell’integrazione di altre prove. Se prevista dalla
legge, quest’ultima si sarebbe identificata con una praesumptio iuris et de
iure, che non ammetteva prova contraria43.
Il sospetto di eresia, dunque, poteva determinare l’indizione di un
giuramento di innocenza, ma non poteva portare a sentenza. La decretale
Literas vestras di Innocenzo III (X 2.23.14) aveva specificato, proprio con
riferimento al crimine di eresia, che non era possibile una condanna
“propter solam suspicionem, quamvis utique vehementem”44.
La praesumptio vehemens era una presunzione che per definizione
non arrivava ad essere violenta perché, in effetti, quella violenta era

42 Tra i 45 articoli attribuiti a Wyclif, con riferimento al giuramento il concilio

condannò l’art. 43, “iuramenta illicita sunt, quae fiunt ad corroborandum


humanos contractus et commercia civilia”, H. von der Hardt, Magnum
Oecumenicum Constantiense Concilium de universali Ecclesiae reformatione,
unione et fide (Frankfurt 1698) t. III, col. 331. Al giuramento erano dedicati
anche i c. 7, 12 e 13 del Questionario inquisitorio per i seguaci di Wyclif e Hus in
calce alla bolla Inter cunctas (nt. precedente). Sul punto – e sottolineando come
l’accusa estremizzasse le reali posizioni di Wycliff – H.G. Russell, ‘Lollard
Opposition to Oaths by Creatures’, The American Historical Review 51/4 (1946)
668-684 e P. Prodi, Il sacramento del potere. Il giuramento politico nella storia
costituzionale dell’Occidente (Bologna 1992) 349ss.
43 A. Fiori, ‘Praesumptio violenta o iuris et de iure? Qualche annotazione sul

contributo canonistico alla teoria delle presunzioni’, Der Einfluss der Kanonistik
auf die europäische Rechtskultur, Bd. 1 Zivil- und Zivilprozessrecht, a cura di O.
Condorelli – F. Roumy – M. Schmoeckel (Norm un Struktur. Studien zum
sozialen Wandel in Mittelalter und Früher Neuzeit, 37/1; Köln-Weimar-Wien
2009) 75-106.
44 Supra nt. 3.

196
ET SI HAERETICUS NON SIT... LA CONDANNA DEI SOLA SUSPICIONE NOTABILES

qualcosa di più di ciò che oggi definiremmo una “prova critica”, che
presupponga un’attività inferenziale dell’interprete: si identificava con
una prova piena che induceva il giudice a sentenziare. La praesumptio
vehemens cui si era riferito Innocenzo III, per quanto intensa, era
tecnicamente una presunzione probabile45.

La presunzione indotta dal sospetto di eresia, dunque, almeno


formalmente non giustificava una condanna. Quel che avrebbe potuto
condurre il suspicione notabilis al rogo – o ad altra pena prevista per
l’eretico convinto – erano due modalità di trasformazione in violenta della
praesumptio probabilis. La prima era il fallimento della purgazione, che
ordinariamente – anche per i crimini comuni – comportava la condanna
tamquam auctor sceleris46. La seconda era l’anno trascorso nella
scomunica.
Alla metà del Duecento i canonisti erano arrivati ad esporre questo
meccanismo con una chiarezza quasi geometrica47. All’indomani del IV
concilio lateranense, glossando il c. Excommunicamus, Giovanni
Teutonico aveva spiegato che tre elementi trasformavano in violenta la

45 Alberico da Rosciate, Dictionarium iuris tam civilis quam canonici (Venezia


1573), v. Praesumptio violenta: “Not. quod est differentia inter praesumptionem
violentam et vehementem. Nam vehemens, id est probabilis praesumptio non
plene probat, ut c. Literas de praesumptionibus (X 2.23.14), violenta vero probat,
licet recipiat probationem in contrarium” (il passo è citato da G. Alessi, Prova
legale e pena. La crisi del sistema tra evo medio e moderno [Storia e diritto, Studi
6; Napoli 1979] 50 nt. 27). Baldo, In quartum et quintum Codicis libros
Commentaria, ad l. Sive possidetis (C. 4.19.16) n. 20 (Venezia 1577) fol. 41va:
“Quero, numquid sit differentia inter praesumptionem violentam et
vehementem? Et dic quod sic, quia ex violenta quis condemnatur, ut d.c. Afferte
(X 2.23.2), secus ex vehementi”.
Sulla variabilità delle denominazioni, Fiori, ‘Praesumptio violenta o iuris et
de iure?’ 78s.
46 Fiori, Il giuramento di innocenza 538-543.
47 L’assetto teorico definito nel Duecento permarrà nei secoli seguenti.

All’inizio del Quattrocento il meccanismo era così illustrato da Domenico da San


Gimignano, In Sextum Decretalium Praelectiones, ad c. Cum contumacia (VI
5.2.7) n. 3 (Lyon 1562) fol. 246rb: “quia dicitur violenta quando prima erat
suspicio contra aliquem de delicto: postea facit actum quod inducit etiam
praesumptionem, quod delictum fecerit sicut est hic contumacia, tunc ista
secunda praesumptio tamquam confirmans primam transit in violenta”. La
glossa ha avuto una notevole fortuna: è stata ripresa nello stesso secolo da
Filippo Franchi, In Sextum Decretalium, ad c. Cum contumacia (VI 5.2.7) n. 3
(Lyon 1547), fol. 184va, e nel Cinquecento da Umberto Locati, Opus quod
Iudiciale Inquisitorum dicitur, v. Suspicio n. 28 (Roma 1570) p. 343 e da Giacomo
Menochio, De praesumptionibus, coniecturis, signis et indiciis, l. I q. 100 n. 14
(Torino 1594) fol. 49vb, che la cita nella versione di Franchi.

197
ANTONIA FIORI

praesumptio probabilis: la mancata purgazione, il passare del tempo,


l’essere rimasti nella scomunica per un anno48. L’Ostiense, certamente
l’autore più influente sulla dottrina successiva in materia, descrisse
questo stesso fenomeno come un procedimento in cinque fasi: suspicio –
purgatio – excommunicatio – annalis limitatio – condemnatio49.
Il sospetto di eresia – in quanto considerato praesumptio
probabilis – comportava, se il giudice ecclesiastico l’avesse ritenuta
opportuna, l’indizione di una purgatio canonica. La mancata prestazione
avrebbe determinato una scomunica annuale: la sanzione tipica della
contumacia, che per il diritto canonico era un vero e proprio reato, e che
non rilevava solo per il fatto oggettivo della mancata comparizione in
giudizio, ma per la valutazione di immoralità che vi era sottesa. Quello
tra scomunica e contumacia era un rapporto necessario ed esclusivo:
benché la scomunica costituisse una poena medicinalis irrogabile anche
in presenza di altri crimini, la sua sola iusta causa era stata individuata
dal diritto canonico nella contumacia50. Il contumax era colui che
esprimeva contemptus, cioè “oltraggio, disprezzo, rifiuto d’obbedienza,
ostinazione, presunzione”51, nei confronti della corte o della legge o della
Chiesa.
Il contemptus di chi, richiesto di purgare con proprio giuramento il
sospetto di eresia, non vi avesse provveduto, poteva addirittura essere
configurato come contemptus clavium, cioè disprezzo per il potere delle

48 Giovanni Teutonico, Apparatus in Concilium quartum Lateranense, gl. ex

tunc velut heretici condempnentur ad c. 3, Constitutiones Concilii quarti


Lateranensis 189: “Vehemens praesumptio non statim condempnat aliquem de
heresi, set facit hoc quod est procedendum contra eum quasi contra suspectum.
Et licet presumptio de qua hic agitur primo fuerit probabilis, tamen propter
cursum temporis et quia noluerunt se expurgare et quia per annum steterunt in
excommunicatione et pro convictis habentur, ut xi q.iii Rursus et Quicumque.
Secus tamen est in aliis criminibus”.
49 Ostiense, In Quintum Decretalium librum Commentaria, ad c.
Excommunicamus (X 5.7.13), v. ex tunc, n. 4 (Venezia 1581) fol. 38va.
50 J. Zeliauskas, De excommunicatione vitiata apud glossatores (1140-1350)

(Studia et textus historiae iuris canonici, 4; Zürich 1967) 99-110; S. Kuttner,


Kanonistische Schuldlehre von Gratian bis auf die Dekretalen Gregors IX. (Studi
e testi, 64; Città del Vaticano 1935) 34-35; E. Vodola, Excommunication in the
Middle Ages (Berkeley-Los Angeles-London 1986) 45; cfr. anche R.H. Helmholz,
‘Excommunication in Twelfth Century England’, Journal of Law and Religion 11
(1994) 235-253, e Id., ‘Excommunication as a Legal Sanction: The Attitudes of the
Medieval Canonists’, Zeitschrift der Savigny-Stiftung fur Rechtsgeschichte KA 68
(1982) 202-218, alle pp. 207 e 214.
51 H.J. Berman, Law and Revolution. The Formation of the Western Legal

Tradition (Cambridge Mass. 1983), trad. it. (qui cit.) Diritto e rivoluzione. Le
origini della tradizione giuridica occidentale (Bologna 1998) 220.

198
ET SI HAERETICUS NON SIT... LA CONDANNA DEI SOLA SUSPICIONE NOTABILES

chiavi del papa: il disprezzo poteva consistere nel non osservare una
sentenza di scomunica, oppure – ed è il nostro caso – nell’osservarla
continuando però a non comparire, cioè non facendo nulla per essere
assolto dalla scomunica52.
L’ostinazione nel non giurare, la “perseveratio in excommuni-
catione”53, era sintomo di pertinacia, e la pertinacia – come si sa – era
elemento essenziale del crimine di eresia54. Era la pertinacia nella
scomunica, insomma, la prova dell’eresia; dunque era la persistenza nella
contumacia a trasformare in violenta una presunzione inizialmente solo
probabilis. L’Ostiense aggiungeva che, essendo la condanna al termine
dell’anno prevista dalle norme canoniche, non solo la contumacia
trasformava la presunzione da probabile in violenta, ma la modificava da
presunzione iuris tantum in iuris et de iure, che non ammetteva prova
contraria55.
Il rapporto tra contemptus e pertinacia era talmente stretto che nel
1260 Alessandro IV chiarì, con la decretale Cum contumacia (VI 5.2.7)56,
ciò che molti giuristi erano già stati costretti a ribadire: che non qualsiasi
scomunica annuale avrebbe portato alla condanna per eresia, ma solo
quella dei sospetti eretici. Altrimenti – diceva Gaspare Calderini –
“saremmo tutti eretici”, e gli inquisitori avrebbero svuotato la
giurisdizione vescovile, condannando come eretico qualsiasi scomunicato

52 Ostiense, Lectura ad c. Excommunicamus (X 5.7.13) v. ex tunc, n. 4 fol.


38va: “si postea in hac excommunicatione per annum steterit veluti haereticus
debet iudicari, ut hic dicit, per quod evidenter patet quod maxima est potestas
ecclesiastica et quod nullus debet contemnere Petri claves”. Cfr. anche la lectura
ad c. Gravem (X 5.37.13), v. contemnendo, n. 2 fol. 99ra: “expressum est hic quod
claves ecclesiae dicitur contemnere non solum is, qui excommunicatus divina
celebrat, vel audit, vel celebrari facit, vel qui se communionem hominum ingerit
[…], sive is, qui non servat sententiam sed violat […], sed etiam is qui servat
ipsam sententiam, et tamen iuri parere contemnit per duos annos, vel amplius,
sive super eo non obedit, pro quo sententia lata fuit, et idem est si per annum
[…], et contemnere videtur eo ipso, quod absolutionem non petit”.
Cfr. anche Hageneder, ‘Il concetto di eresia’ 98-108.
53 Antonio da Budrio, In Librum Quintum Decretalium Commentarii, ad c.

Excommunicamus (X 5.7.13) n. 12 (Venezia 1578) fol. 44ra.


54 R. Maceratini, La glossa ordinaria al Decreto di Graziano e la glossa di

Accursio al Codice di Giustiniano: una ricerca sullo status giuridico degli eretici
(Quaderni del Dip. di Scienze giuridiche 39; Trento 2003) 26-28.
55 Ostiense, Lectura ad c. Excommunicamus (X 5.7.13), v. velut haeretici, n. 4

fol. 38va.
56 Bullarium ordinis ff. Praedicatorum I 394, inc. Consultationi vestre breviter

(Potthast 17876).

199
ANTONIA FIORI

per altro crimine57. Nel 1563 il Concilio di Trento affermerà tuttavia il


principio opposto, ovvero che si potesse procedere per eresia al termine di
qualunque scomunica annuale58.

In concreto, a fronte di un sospetto di eresia non suffragato da prove,


il giudice ecclesiastico – vescovo o inquisitore delegato che fosse – poteva
decidere se indire una purgazione. Non era una scelta obbligata, ma
lasciata alla sua discrezionale valutazione, tenuto conto della gravità del
sospetto e della qualitas personae. L’Ostiense sottolineava come nei
confronti di nobili e potenti, per evitare “gravi scismi e gravi scandali”,
non fosse opportuno né indire una purgazione né, di conseguenza,
applicare la scomunica, a meno che non si trattasse di pubblici peccatori
o persone già compromesse in altri crimini59.

Una volta indetta la purgazione, e fissato un termine perentorio per


la stessa, il sospettato poteva (1) presentarsi e giurare, (2) presentarsi e

57 Gaspare Calderini, Consilia. Quibus contexta mistaque sunt responsa

Gasparis ipsius autoris filij, Dominici a S. Geminiano …, tit. de hereticis,


consilium V n. 2 (Lyon 1550) fol. 57ra: “tales absurdum esset dicere hereticos
proprie sumpto vocabulo […]. Et sic omnes essemus heretici, qui nemo sine
crimine vivit: de pen. di. ii Si enim inquit (de pen. di. 2 c. 40). Unde etiam ius
novum declarat quod contra sortilegos divinatores nisi alias manifestam heresim,
sapiant inquisitores procedere non possint, nec contra usurarios vel alios
criminosos: ut in c. Accusatus § Sane, de hereticis Libro VI (VI 5.2.8 §4), alias si
secus diceretur possit inquisitor totam iurisdictionem diocesanam enervare, quod
est absurdum”.
58 Conciliorum oecumenicorum decreta, ed. J. Alberigo et al., Decretum de

reformatione generali c. 3, sess. 25 (Bologna 19733) 786. Cfr. Vodola,


Excommunication in the Middle Ages 33 nt. 21.
59 Ostiense, Lectura ad c. Gravem (X 5.37.13), v. nobili n. 7 fol. 99rb: “sed et

hoc ideo dicit, quia si ecclesia sine delectu personarum semper et indifferenter
per hanc viam vellet procedere, forsan non omnes receperent verbum istud,
maxime laici […] et potissime nobiles et potentes, quibus non possumus esse
pares […] unde non expedit per hanc viam procedere, nisi per raro, et contra
publicum et famosum peccatorem et aliis diversis criminibus irretitum […].
Alioquin si indifferenter procederent hac via, ut dictum est, posset de idem grave
schisma, et grave scandalum suscitari, quod vitandum est”; Giovanni d’Andrea,
In quintum Decretalium librum Novella Commentaria, ad loc. cit., v. scrupulo n.
3 (Venezia 1581) fol. 122vb-123va: “parcit autem huic nobili, quia nec illi
purgationem indicit, nec illum excommunicat, ut possit postea de haeresi
damnari. Licet enim sic possit ecclesia procedere, ut prae. c. Excommunicamus (X
5.7.13), potest etiam praetermittere ex causa, ut propter conditionem personae.
Nam si sine delictu personarum semper illo modo procederet, suscitari possent
scismata, et scandala, quae vitanda sunt”.

200
ET SI HAERETICUS NON SIT... LA CONDANNA DEI SOLA SUSPICIONE NOTABILES

fallire la purgazione, (3) presentarsi e rifiutare il giuramento, oppure (4)


non presentarsi.
Nel primo caso (1), qualora avesse giurato la propria innocenza
(voluit et potuit), coadiuvato dal numero di compurgatores richiesto dal
giudice, avrebbe formalmente rimosso la possibile accusa di eresia
(sebbene in realtà non definitivamente, come vedremo). È dunque agli
altri casi che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione.

3. Fallire la purgazione o ricusare il giuramento. I giuristi dinanzi al


rifiuto

Se (2) lo scomunicato avesse fallito la purgazione (voluit sed non


potuit) – per mancanza di sufficienti compurgatores o perché quelli che
aveva trovato non avevano giurato di credergli60 – sarebbe stato subito
condannato, senza alcun temperamento, come la disciplina del giura-
mento di purgazione ordinariamente prevedeva61, in caso di insuccesso,
per tutti i crimini62.
Anche se (3) si fosse presentato e avesse opposto un rifiuto al
giuramento (noluit), sarebbe stato condannato statim. In questo caso,
però, la dottrina – a differenza della normazione canonica – riteneva
necessaria una valutazione sulle ragioni del diniego. Sia la decretale Ad
abolendam che il c. Excommunicamus (§ Si qui vero), infatti, avevano
indicato il rifiuto del giuramento in sé, dettato da una qualche
deprecabile superstizione63, come causa di condanna per eresia. Il rifiuto
determinava cioè una presunzione iuris et de iure di eresia.

60Antonio da Budrio, ad c. Excommunicamus (X 5.7.13) n. 14 fol. 44ra: “Si


vero indicta est purgatio et ipsam praestare voluit sed non potuit, quia non
invenit compurgatores, vel compurgationes non bene deposuerunt et sic in
purgatione deficit, statim punitur ut haereticus”.
61 Fiori, Il giuramento di innocenza 531ss. In linea generale, in caso di fallita

purgazione la pena veniva comminata secondo la regola del modus agendi, cioè in
base alla forma processuale che aveva preceduto il giuramento (accusatio o
inquisitio). Per alcuni crimini enormi, tra i quali l’eresia, tuttavia, la pena
prevista – anche in caso di inquisitio – era sempre la pena ordinaria, più grave,
prevista in caso di condanna per accusationem (ibid. 543-546).
62 In questo caso la differenza con gli altri crimini era che la purgazione

poteva essere indetta per un sospetto senza che fosse intervenuta l’infamatio,
ordinario presupposto della purgatio canonica (ibid. 377ss.).
63 Le due decretali parlavano di “superstitione damnabili” (così anche nell’ed.

García y García dei canoni del IV Concilio Lateranense, 50), ma nel Liber Extra,
in 5.7.13, si leggeva “obstinatione damnabili”, e sulla parola “ostinazione” si
soffermarono i decretalisti.

201
ANTONIA FIORI

Le ragioni di questa disposizione risiedevano nella posizione rigida


che alcune sette ereticali, specialmente Catari e Valdesi, avevano
assunto nei confronti della prestazione del giuramento64. Una posizione
di rigoroso rispetto del divieto neotestamentario (Mt. 5.33-37 e Gc.
5.12) – pur con delle distinzioni all’interno delle stesse comunità65 –,
condivisa da movimenti religiosi di approccio pauperistico che
perseguivano la piena fedeltà al messaggio evangelico, come gli
Umiliati66, e che per la Chiesa rappresentava un forte segnale di
ribellione sociale67.
La tradizione teologica e quella canonistica avevano nel corso dei
secoli relativizzato il divieto del Nuovo Testamento, limitandolo ai
giuramenti non veritieri, oppure incauti e sine causa68.
Di fatto, nonostante quel divieto il giuramento era divenuto una
pietra miliare dell’ordinamento ecclesiastico: creava obblighi insieme
etici, spirituali e giuridici, determinanti sul piano del diritto sostanziale e
processuale. La sua forza vincolante non era ovviamente limitata al
diritto canonico e dilagava nei rapporti feudali e di diritto civile: ma in
quanto res spiritualis esso rientrava a pieno titolo nella giurisdizione
ecclesiastica, ed era uno strumento che consentiva alla Chiesa di
intervenire ratione iuramenti anche in ambiti che non le erano propri.
L’aspetto dogmatico – il rifiuto del giuramento di purgazione come
prova di eterodossia – sarà sempre presente negli interrogatori svolti
dagli inquisitori, per stanare gli appartenenti a sette che, come i Valdesi,

64 Sul tema è ancora fondamentale A. Vauchez, ‘Le refus du serment chez les

hérétiques médiévaux’, Le Serment, a cura di R. Verdier (Paris 1991) II 257-263,


ora in Id., Les hérétiques au Moyen Âge. Suppôts de Satan ou Chrétiens
dissidents? (Paris 2014) 179-188.
Sui Valdesi, e sugli approcci differenziati al giuramento, G.G. Merlo, Valdesi e
valdismi medievali. Itinerari e proposte di ricerca (Torino 1984) 76ss.
65 Ad esempio ai Perfetti catari era vietato quasiasi tipo di giuramento,

mentre i Credenti potevano giurare in caso di necessità, Vauchez, ‘Les refus’ 257
(ed. 2014, 181).
66 M.T. Brolis, ‘Quibus fuit remissum sacramentum. Il rifiuto di giurare presso

gli Umiliati’, Sulle tracce degli Umiliati, a cura di M.P. Alberzoni – A.


Ambrosioni – A. Lucioni (Milano 1995) 251-265.
67 P. Prodi, Il sacramento del potere. Il giuramento politico nella storia

costituzionale dell’Occidente (Bologna 1992) 339-356, e in particolare 342: “la


negazione dell’istituzione e del diritto non poteva non dirigersi contro l’istituto
che rendeva possibile la fondazione del diritto e della politica, il compromesso
della Chiesa con il mondo”.
68 M. Calamari, ‘Ricerche sul giuramento nel diritto canonico’, Rivista di

storia del diritto italiano 11 (1938), 127-183 e 420-430.

202
ET SI HAERETICUS NON SIT... LA CONDANNA DEI SOLA SUSPICIONE NOTABILES

ritenevano che giurare costituisse peccato69, e verrà realmente


enfatizzato a Costanza agli inizi del Quattrocento, nel caso di Wycliff e
Hus sopra ricordato. Non sembra però aver particolarmente interessato i
giuristi nel Duecento, ed ancora nel Trecento70. Specialmente nel secolo
che aveva visto pontefici come Innocenzo III o Gregorio IX preoccupati di
spiegare ai movimenti religiosi più riluttanti quali giuramenti potevano
essere legittimamente rifiutati, e quali no71, la gran parte dei giuristi
tralasciò di commentare la disposizione che prevedeva l’immediata
condanna in caso di rifiuto del giuramento di purgazione. Essi diedero
così l’impressione di considerare quella condanna più una conseguenza
processuale del mancato giuramento che un problema di ortodossia.
Analizzando la decretale Ad abolendam nella Compilatio I, Damaso
e Tancredi riportavano una glossa di Vincenzo Ispano, nella quale non
solo la connotazione eterodossa del rifiuto del giuramento non era presa
in considerazione ai fini della dimostrazione dell’eresia del sospettato, ma
addirittura chi avesse dichiarato di non voler giurare era equiparato al
negligente, e dunque – possiamo dedurne – non doveva statim subire la
condanna, come la norma sembrava inequivocabilmente indicare, ma
essere dichiarato contumace72. La stessa indicazione sarà data agli
inquisitori, nel secolo seguente, da Nicolas Eymerich73.
Riprodotto verbatim nel c. Excommunicamus del IV concilio
lateranense, il passo della decretale Ad abolendam che prevedeva la
condanna automatica di chi avesse rifiutato il giuramento non venne

69 N. Eymerich, Directorium Inquisitorum (Venezia 1607) p. II, q. 14 p. 278 e


q. 16 p. 291; B. Gui, Practica inquisitionis heretice pravitatis, ed. C. Douais (Paris
1886) 254 e 256, Cfr. Merlo, Valdesi e valdismi medievali 76-82.
70 Nella seconda metà del Trecento Eymerich, Directorium Inquisitorum, p. III

n. 147, p. 476 riteneva che in caso di rifiuto del giuramento si dovesse procedere
alla scomunica annuale, non alla condanna immediata.
71 Il riferimento è alle decretali di Innocenzo III (Incumbit nobis) del 1201, e di

Gregorio IX del 1227, rivolte agli Umiliati, ed edite da G. Tiraboschi nei Vetera
Humiliatorum monumenta (Milano 1767) II 128-134 e 166s. Cfr. Vauchez, ‘Les
refus’ 259s. (ed. 2014, 182-184) e Brolis, ‘Quibus fuit remissum sacramentum’
253.
72 Damaso, gl. iudicentur ad 1 Comp. 5.6.11, ms. Bamberg SB can. 19 fol.

66va: “Qui enim iurare non vult similis est ei qui neque defendit neque exibet, et
condemnatur ut contumax, ff. de noxalibus Quociens § In potestate. Vinc.” La
glossa è riportata sostanzialmente identica, e con la sigla di Vincenzo, da
Tancredi nel suo apparato ordinario, gl. iudicentur ad loc. cit., ms. Vaticano BAV
Borgh. 264 fol. 61vb. Il contenuto della glossa parafrasa il testo del passo del
Digesto allegato, un paragrafo della l. Quotiens dominus (D. 9.4.21.4) che recita
“quod si reus iurare nolit, similis est ei qui neque defendit absentem neque
exhibet: qui condemnantur quasi contumaces”.
73 Supra nt. 70.

203
ANTONIA FIORI

glossato né da Giovanni Teutonico, né dagli stessi Vincenzo Ispano74 e


Damaso nei loro apparati ai canoni del concilio75.
Dopo l’introduzione nel Liber Extra la disposizione attrasse
moderatamente l’attenzione dei giuristi, alcuni dei quali indicarono la
condanna per eresia come necessaria conseguenza del diniego di
giurare76. Tra essi, Goffredo da Trani sottolineò che si trattava di una
“praesumptio iuris et de iure quod sint haeretici”77.
L’Ostiense, tuttavia, fu seguito da una parte significativa della
dottrina nel moderare l’automatismo della presunzione assoluta. Pur
riconoscendo espressamente che chi rifiutava il giuramento doveva
presumersi “de secta Valdensium, qui omnino iurare renuunt”, invitò a
distinguere tra coloro che rifiutavano per eretica ostinazione, e quei
religiosi che si astenevano non per ribellione ma ex honestate78,
mostrando timore e reverenza. In ogni caso, la deprecabile ostinazione
nel rifiutare il giuramento non costituiva a suo avviso una presunzione
assoluta di eresia, piuttosto un leve argumentum: ovvero un’argomen-
tazione facilmente dimostrabile79.

74 Vincenzo Ispano, tuttavia, riproporrà la gl. iudicentur al c. Ad abolendam,

qui riprodotta alla nt. 72, nell’esegesi del c. Excommunicamus nell’apparato al


Liber Extra (infra nt. 76).
75 Per i tre apparati alle Constitutiones Concilii quarti Lateranensis si veda

l’ed. A. García y García degli atti del concilio citata.


76 Non Vincenzo Ispano, che nell’apparato al Liber Extra, uno dei primi

redatti dopo la promulgazione, ripeteva la glossa cit. supra alla nt. 72 (gl.
noluerint ad X 5.7.13, ms. Paris BNF lat. 3967 fol. 185rb).
77 Goffredo da Trani, gl. noluerunt ad X 5.7.13, ms. Montecassino 266 fol. 258:

“est ei praesumptio iuris et de iure quod sint haeretici, eo ipso quod noluerunt
iurare quasi execrentur iuramentum”.
78 Ostiense, Lectura ad c. Excommunicamus (X 5.7.13), v. obstinatione

damnabili n. 28 fol. 40rb: “Hoc ideo dicit, quia et quando religiosi non rebelliter
sed ex quadam honestate iurare renuunt […]. Quod si omnino iurare renuat, de
secta Valdensium, qui omnino iurare renuunt, praesumitur, et hoc solo
haereticus reputatur, ut sequitur, et hoc argumento levi a fide devians haereticus
censetur”. Cfr. anche Giovanni d’Andrea ad loc. cit., v. obstinatione damnabili, n.
23 fol. 52ra, Antonio da Budrio ad loc. cit., v. Si qui vero n. 43 fol. 44vb,
Panormitano ad loc. cit, ver. Si qui vero n.12 fol. 133ra.
79 Ostiense, Summa Aurea ad tit. de haereticis n. 3 (Venezia 1574) col. 1531:

“Sed quod vocas tu leve argumentum? Intelligo leve id est probabile, et quod de
facili apparet. Sic vocatur leve propter levem probationem, puta suspectus est, ne
Valdensis sit, qui non iurat”.

204
ET SI HAERETICUS NON SIT... LA CONDANNA DEI SOLA SUSPICIONE NOTABILES

4. Contumacia e scomunica annuale

Nell’ipotesi (4) che il sospettato non si fosse presentanto per giurare,


sarebbe stato considerato contumace, e scomunicato per un anno, periodo
durante il quale avrebbe mantenuto il diritto di difesa, ossia la possibilità
di purgarsi, per poi perderlo definitivamente. Sotto questo profilo,
sottolinearono Giovanni Teutonico e Tancredi, la contumacia canonica si
mostrava più dura della contumacia civile, che dopo un anno prevedeva
la perdita dei beni adnotati dell’absens, ma non impediva eventuali
tentativi di difesa80.
Trascorso un anno nella scomunica senza giurare, il sospettato
sarebbe stato condannato velut haereticus. Come si è detto, infatti, la
presunzione iniziale sarebbe stata “incrementata”81 dalla pertinacia
dimostrata rimanendo nella scomunica.
Una volta dichiarati contumaci, tuttavia, uscire innocenti dal
procedimento diventava più difficile, perché si era colpiti da una
scomunica maggiore82, che comportava che lo scomunicato fosse evitato
da tutti83: piuttosto arduo, in questa condizione, trovare compurgatori

80D. 48.17.1, 4-5. Giovanni Teutonico, gl. ex tunc velut heretici condempnentur
ad IV Conc. Lat. c. 3, 188 e Tancredi, Ordo iudiciarius, ed. F.C. Bergmann,
Pillius, Tancredus, Gratia. Libri de ordine iudiciorum (Göttingen 1842, rist.
anast. Aalen 1965) 136; cfr. Fiori, Il giuramento di innocenza 569s.
81 L’espressione è di Paolo Grillandi, Tractatus de hereticis et sortilegiis, l. i q.

viii n. 2 (Lyon 1536) fol. 12v: “iste non dicitur ex levi presumptione damnari sed
ex violentissima que facit indicium indubitatum et presumptionem iuris
expressam, quae ut dixi recipit incrementum ex pertinacia illius qui stetit in
excommunicatione per annum et illius contumacia”.
82 Chi aveva contatti con uno scomunicato rischiava a sua volta la scomunica,

Vodola, Excommunication in the Middle Ages 42. Poteva addirittura incorrerre in


una scomunica maggiore se la comunicazione avesse riguardato il crimine (c.
Nuper a nobis, X 5.39.29). Antonio da Budrio ad c. Excommunicamus (X 5.7.13) n.
38 fol. 44va: “Nota casum in quo communicans excommunicato incurrit maiorem
excommunicationem, scilicet quando communicat haeretico vel faventi haeretico.
Quod intellige per sententiam, si intelligis de maiori: alioquin ipso iure
intelligenda de minori”.
Sui rapporti dei terzi innocenti con gli scomunicati V. Piergiovanni, La
punibilità degli innocenti nel diritto canonico dell’età classica, II (Annali della
Fac. di Giurisprudenza dell’Università di Genova, 38; Milano 1974) 91-117.
83 Il c. Excommunicamus lo precisava espressamente: “usque ad condignam

satisfactionem ab omnibus evitentur”. Cfr. anche Raimondo di Peñafort, Summa


de paenitentia, ed. X. Ochoa – A. Diez (Universa bibliotheca iuris I/B; Roma 1976)
lib. I tit. 5 n. 6, 322: “Item qui fuerunt inventi sola suspicione notabiles, nisi
canonice se purgaverint, anathematis gladio feriantur et, usque ad
satisfactionem condignam, ab omnibus evitentur, ita quod, si per annum in
excommunicatione perstiterint, ex tunc velut haeretici condemnentur”.

205
ANTONIA FIORI

“fide catholici et vita probati”84 nel numero richiesto, disposti a giurare


per lui.
Inoltre, come si è detto, Federico II aveva aggiunto alla scomunica le
sanzioni dell’infamia e del bando, ampliando alla vita civile l’esclusione
decretata dalla Chiesa per lo scomunicato.
La Glossa sconsigliava di salutare gli scomunicati85, e Innocenzo IV
riteneva che andassero evitati anche per il solo fatto che differivano il
giuramento86. In controtendenza, il francescano Monaldo da Capodistria
aveva suggerito di aspettare almeno che lo scomunicato avesse rifiutato
di giurare o fallito la purgazione87. Nel Cinquecento, Diego de Simancas
rimarcherà la pericolosità di questo tipo di purgazione “cuius eventus
coecus est et alieno arbitrio pendet”, specialmente per la difficoltà di
trovare compurgatores in regioni dove l’intera popolazione fosse
infamata, ed arriverà a proporre come ragionevole soluzione considerare
purgato colui in favore del quale avesse giurato la maggior parte dei
compurgatori richiesti88. Il riferimento alle nationes infamatae dei suoi
tempi riguardava, principalmente, il diffondersi delle tesi protestanti89:
ma, come si sa, anche nel Duecento esistevano regioni in cui la
concentrazione ereticale era particolarmente intensa, e la ricerca di
idonei compurgatori poteva rivelarsi vana.

84C. Inter sollicitudines, X 5.34.10.


85Gl. salutationis ad X 5.39.41: “excommunicati enim salutandi non sunt, ne
per salutationem videatur eis aliquis consentire”.
86 Innocenzo IV ad c. Cum desideres (X 5.39.15) v. purgaverit 548: “si non

deficit tamen vitandum est propter infamiam si differt praestare”.


87 Monaldo da Capodistria, Summa perutilis atque aurea, tit. Quando quis

excommunicatum vitare tenetur (Lyon 1516) fol. 70ra,: “Si autem publica fama est
aliquem esse excommunicatum ex facto occulto contra quem non est publica
sententia super hoc non teneor vitare talem, nisi tunc demum cum super hoc
recusaverit se purgare vel in purgatione defecerit”. Sulla difficoltà di trovare
compurgatori per i sospetti eretici scomunicati, Fiori, Il giuramento di innocenza
576s. Sull’autore, P. Evangelisti, ‘Monaldo da Capodistria’, Dizionario biografico
degli italiani 75 (2011) 187s.
88 Diego de Simancas, Institutiones Catholicae, cap. 54 n. 6-8 (Valladolid 1552)

fol. 193.
89 I riferimenti alla provenienza da “province sospette” o “infette” come

elemento sfavorevole nella valutazione delle parole degli indagati, in epoca di


espansione delle idee protestanti, si ritrovano anche in Francisco Peña, che
indicherà come “province sospette” quelle inglesi e tedesche, “ubi nunc haereses
pullulant”, in add. al Directorium Inquisitorum di Eymerich, p. III q. 62
Commentarium CXI, p. 601) e in Farinacci, Tractatus, q. 187 §1 n. 14 p. 196, che
farà espresso riferimento ai Luterani (“hac nostra tempestate in haereticis, et
Lutheranis”).

206
ET SI HAERETICUS NON SIT... LA CONDANNA DEI SOLA SUSPICIONE NOTABILES

La condanna, trascorso l’anno, sarebbe dovuta intervenire per


sentenza: questa almeno era la posizione di Vincenzo Ispano, secondo il
quale lo scomunicato avrebbe avuto tempo per purgarsi fino a quando la
pronuncia non fosse intervenuta, anche oltre l’anno90. L’Ostiense fece
però rilevare che la normazione federiciana del 1220 aveva reso inutile la
sentenza: l’authentica Gazaros comminava l’infamia e il bando per coloro
che non avessero prestato il giuramento di purgazione richiesto dalla
Chiesa, e li condannava come eretici dopo un anno in modo automatico,
se non si fossero intanto purgati (“ex tunc eos sicut haereticos
condempnamus”). E non ostava che la norma fosse contenuta in una
costituzione imperiale, benché il crimen haeresis rientrasse nella
giurisdizione ecclesiastica, perché quella costituzione era stata “per
Romanam ecclesiam non solum approbata, sed procurata”91.

5. I “(re)lapsi”

La disciplina sui sospetti eretici introdotta dalla decretale Ad


abolendam non si chiudeva con la loro eventuale purgazione. Qualora
dopo la purgazione o l’abiura – ormai apparentemente liberati dal
sospetto – essi fossero caduti nell’eresia abiurata, senza neanche essere
ascoltati dal giudice ecclesiastico sarebbero stati lasciati alla
giurisdizione secolare per la punizione, come recidivi:

Illos quoque, qui post abiurationem erroris, vel postquam se, ut diximus,
proprii antistitis examinatione purgaverint, deprehensi fuerint in
abiuratam haeresim recidisse, saeculari iudicio sine ulla penitus
audientia decernimus reliquendos92.

90 Vincenzo Ispano, gl. condempnentur ad IV Conc. Lat. c. 3, 290: “videtur ex

verbo futuri temporis quod post annum adhuc necessaria sit sententia. Unde post
annum antequam sententia feratur purgare potest vitium”. La stessa glossa è
anche nell’apparato di Vincenzo al Liber Extra, gl. condempnentur ad X 5.7.13,
ms. Paris BNF lat. 3967, fol. 185ra.
91 Ostiense, Lectura ad c. Excommunicamus (X 5.7.13), n. 7-8, fol. 38vb: “hodie

vero non est necesse, quod tales per ecclesiam condemnetur, sicut patet per l.
Federici positam C. de haereticis in modum auth. quae sic dicit ‘Gazaros’ […].
Ergo hodie non est necesse, quod per ecclesiam excommunicentur, vel
condemnentur, sed sufficit, quod talibus purgationem indicat, quam si
praestiterit bene quidem, alioquin ipso iure banniti et infames habentur, et si sic
per annum permanserit, ipso iure sine aliqua sententia velut haeretici sunt
damnati, ut patet per praedictam constitutionem. Nec obstat, quod crimen
haeresis est de foro ecclesiae: quia dicta constitutio fuit per Romanam ecclesiam
non solum approbata, sed procurata”. Cfr. supra nt. 27.
92 X 5.7.9 § Illos quoque.

207
ANTONIA FIORI

Nel 1260 una decretale di Alessandro IV, poi introdotta nel Liber
Sextus, tornò sul tema, introducendo una significativa distinzione. Il c.
Accusatus (VI 5.2.8)93 precisava, infatti, che solo il vehemens suspectus
che avesse abiurato, qualora dopo l’abiura fosse stato colto nell’eresia,
sarebbe stato considerato relapsus. La sua condizione, in virtù di una
fictio iuris, sarebbe stata equiparata a quella dell’eretico condannato,
ricaduto nell’eresia. Inoltre, poiché l’abiura prevedeva una detestatio di
tutte le eresie, era possibile diventare relapso per un’eresia diversa da
quella di cui si era stati sospettati.
Non sarebbe stato punito come relapso, invece, il leviter suspectus
che fosse caduto nell’eresia dopo l’abiura, fatta salva una più dura
sanzione:

Accusatus de haeresi vel suspectus, contra quem de hoc crimine magna


et vehemens suspicio orta erat, si haeresim in iudicio abiuravit, et postea
committit in ipsa, censeri debet quadam iuris fictione relapsus, licet ante
abiurationem suam haeresis crimen plene probatum non fuerit contra
ipsum.
Si autem levis et modica suspicio illa fuerit, quamquam ex hoc sit
gravius puniendus, non tamen debet in haeresim relapsorum poena
puniri.
Eum vero, qui in una haeresis specie vel secta commisit, aut in uno fidei
articulo seu ecclesiae sacramento erravit, et postmodum haeresim
simpliciter et generaliter abiuravit, si extunc in aliam etiam haeresis
speciem sive sectam, aut alio articulo seu sacramento committat,
volumus ut relapsum in haeresim iudicari.

La pena per i relapsi era maggiormente severa di quella solitamente


riservata agli eretici convinti, che potevano evitare la pena di morte
pentendosi ed abiurando. Ai penitenti non relapsi, in genere, venivano
irrogate sanzioni più lievi, tra le quali specialmente la reclusione in
carcere o in monastero, perpetua o ad tempus94. Secondo la glossa al c.
Accusatus la pena ordinaria per i chierici lapsi era la condanna in

Inc. Quod super nonnullis, Bullarium ordinis ff. Praedicatorum I 388 (n.
93

259), Potthast 17745.


94 Secondo J. Tedeschi, The Prosecution of Heresy. Collected Studies on the

Inquisition in Early Modern Italy (New York 1991), trad. it. qui cit. Il giudice e
l’eretico. Studi sull’Inquisizione romana (Milano 1997) 85s. e 114-120 le pene,
anche quelle ordinarie, potevano essere facilmente mitigate se il condannato
avesse dato segni di pentimento, e anche la reclusione “perpetua” in carcere
poteva concludersi trascorsi i primi tre anni. Tedeschi ha inoltre osservato che,
con riferimento all’Inquisizione romana, la frequenza delle condanne a morte era
piuttosto bassa, proprio perché riservata ai soli impenitenti e relapsi.

208
ET SI HAERETICUS NON SIT... LA CONDANNA DEI SOLA SUSPICIONE NOTABILES

perpetuo ad murum, perché – dopo l’inevitabile degradazione – vivessero


in penitenza “cum pane tristitiae et aqua doloris”95.

I relapsi, invece, erano condannati al rogo96 come gli eretici


incorregibili o impenitenti: coloro cioè che difendevano l’eresia e
rifiutavano di abiurarla97. Diversamente da questi, però, venivano
lasciati al braccio secolare senza neanche essere ascoltati.
Alessandro IV aveva precisato che ai relapsi che avessero mostrato
segni manifesti di pentimento non sarebbero stati negati i sacramenti
della penitenza o dell’eucarestia: ma il pentimento non avrebbe
comportato per essi alcun mitigamento della pena (c. Super eo, VI
5.2.4)98. Il principio per il quale “gremium suum numquam redeuntibus
claudit ecclesia” (C. 1.1.8.35), si applicava in questo caso solo rispetto ai

95 Gl. Accusatus ad c. Accusatus (VI 5.2.8).


96 La pena del rogo era divenuta la pena ordinaria per gli eretici impenitenti
con una costituzione di Federico II del 1224 (MGH Const. II 126s., n. 100), e
formalmente non era imposta dalla Chiesa (in base al principio “Ecclesia non
occidit sed vivificat”): tuttavia la legislazione canonica disponeva l’invio dei
condannati al braccio secolare per la debita animadversio, e la giusta punizione
era stata individuata nella poena ignis o ignis crematio. L’Ostiense e Giovanni
d’Andrea giustificavano l’inflizione della pena del rogo ricorrendo all’allegoria
della vite nel Vangelo di Giovanni (Giov. 15): l’allegoria vedeva il Padre come il
vignaiolo, Gesù come la vite, i credenti come i tralci; tra questi ultimi, quelli che
portavano frutti restavano nella vite, gli altri andavano gettati via e, ormai
secchi, buttati nel fuoco e bruciati. Dunque la legge divina concordava con la
legge canonica, la legge civile e la consuetudine sul fatto che la debita punizione
fosse il rogo: Ostiense, Lectura ad c. Ad abolendam (X 5.7.9) v. debita, n. 7 36rb-
va: “Ultio debita est ignis crematio, sicut probatur ex verbi domini dicentis Ioan.
XV […]. Lex etiam humana in hac poena concordat, dicit enim tales ultimo
supplicio puniendos C. eodem titulo Arriani (C. 1.5.5). Quod ultimum supplicium
alia lex mortem interpretatur, ff. de poenis Ultimum supplicium (D. 48.19.21). Et
tertia lex expresse dicit, quod vivi crematio ultimum supplicium est, ff. de poenis
Capitalium (D. 48.19.28). Hanc etiam penam sic interpretata est generalis
consuetudo, secundum quod igni traduntur haeretici universi. Ergo non solum
secundum legem evangelicam, sed et secundum humanan necnon et generalem
consuetudinem omnibus haereticis debite est haec poena. Sed et ad hoc praestat
ar. lex canonica, supra eodem Firmissime resp. i (X 5.7.3), ubi probatur quod qui
diabolo et angelis eius participant, aeterni ignis incendio puniendi […]”. Giovanni
d’Andrea ad loc. cit. n. 6, fol. 48rb. Cfr. anche Pietro da Ancarano, Super Quinto
Decretalium facundissima Commentaria, ad loc. cit. n. 7 (Bologna 1581) fol. 61rb
e Panormitano, ad loc. cit. n. 13, fol. 130ra.
97 Così nella definizione di Cesare Carena, Tractatus de officio Sanctissimae

Inquisitionis (Bologna 1668) 65.


98 La decretale è del 26 settembre 1258 (Potthast 17381).

209
ANTONIA FIORI

sacramenti, “non quoad evitationem poenae”99. La decretale aveva


chiarito un punto ancora dubbio per la dottrina: infatti, alcuni ritenevano
che un pentimento, per quanto tardivo, consentisse di convertire la pena
del rogo nel carcere perpetuo100.
Nel caso dei sospetti purgati, o che avevano abiurato, e che erano
stati successivamente colti in comportamenti o attività ereticali, il
presupposto dell’inasprimento della pena era una presunzione di
continuità nel delitto ex facinore subsequenti101. Pietro d’Ancarano
espresse una valutazione etica della sanzione, sottolineando che chi
avesse ripetuto un delitto la cui pena era stata prima misericordio-
samente ridotta, doveva essere giudicato più severamente102.

Il c. Accusatus non aveva aggiunto molto a quanto già disposto dalla


decretale Ad abolendam, rispetto almeno al vehementer suspectus. Non
così per il levis suspectus: perché, se è vero che la dottrina classica aveva

Panormitano ad c. Ad abolendam (X 5.7.9) n. 12 fol. 130ra.


99

Così Ostiense, indicando un’opinione che non condivideva (ad c. Ad


100

abolendam (X 5.7.9) n. 9, v. sine ulla audientia, fol. 36va): “Sin autem statim
sponte redire voluerit, admittendus est, secundum quosdam, ita tamen quod in
perpetuum carcerem retrudatur”. Il giurista non sembra a conoscenza della
decretale di Alessandro IV del 1258, che sarà poi inserita nel Liber Sextus (c.
Super eo, VI 5.2.4).
101 Paolo Grillandi, Tractatus de hereticis, l. i q. x n. 2, fol. 13v-14r: “et ratio

est: quia per hanc secundam deprehensionem expressam declaratur animus illius
quod prima vice fuerit in mala opinione contra fidem Christi, in qua semper
praesumitur continuasse usque ad secundam deprehensionem […]. Ex quo nota
casum valde singularem, quod in criminibus atrocioribus quis punitur ultimo
supplicio propter fictas probationes, contra regulam l. Sciant cuncti C. de
probationibus (C. 4.19.25) et 2 q.8 Quisquis et c. Sciant (C.2 q.8 c. 3 e 2) […].
Idem sentit Abbas in c. Excommunicamus I in gl. in ver. condemnetur extra
eodem titulo, quia alias potuisset per penitentiam evitare penam: sed tu dic quod
non punitur propter fictas probationes, imo propter veras et expressas ex quo fuit
deprehensus in heresi, et propterea punitur ultimo supplicio, sed illa prior
suspitio hoc operatur quod presumitur sive fingitur esse relapsus, ex qua fictione
sive presumptione denegatur sibi facultas revocandi et abiurandi heresim, et hoc
est quod in effectu operatur illa suspitio”.
Diego de Simancas, Institutiones Catholicae, cap. I n. 9 fol. 2v: “insurgit enim
ex facinore subsequenti adeo violenta praesumptio praecedentis criminis
perpetrari, ut pro vera illius probatione iure habeatur”.
102 Pietro da Ancarano ad c. Ad abolendam (X 5.7.9) n. 6 fol. 61rb: “no. […]

quod severius iudicatum delictum iteratum ab eo cui pena fuit ex misericordia


relaxata”.

210
ET SI HAERETICUS NON SIT... LA CONDANNA DEI SOLA SUSPICIONE NOTABILES

affermato che il sospetto di eresia poteva provenire da segni lievi103, è pur


vero che sino ad allora qualsiasi forma di praesumptio inferiore alla
probabilis era stata considerata giuridicamente irrilevante, e per essa
non era stata richiesta né purgazione né abiura.
Il levis suspectus era dunque una figura sostanzialmente nuova.

6. “Suspicio” e “praesumptio”

Il dibattito su questo aspetto risentì di un indirizzo dottrinale


autorevolmente affermatosi in campo civilistico nel corso del Trecento,
dunque dopo la promulgazione del Liber Sextus.
Nel commento alla l. Admonendi del Digesto (D. 12.2.31), Bartolo
aveva indicato varie fasi attraverso le quali il giudice avrebbe acquisito il
convincimento pieno, la plena probatio. Prima la dubitatio, che non era
un gradus probationis. Poi la suspicio: il primo grado di prova, nel quale
il giudice iniziava a propendere per la posizione di una delle due parti ex
aliquo levi argumento. Con la formazione di un’opinio, il secondo grado di
prova, si sarebbe avuta una semiplena probatio, per poi arrivare
all’ultimo grado, la plena probatio, che corrispondeva ad una perfecta
credulitas, raggiunta dopo aver superato ogni dubbio, ad esempio per
l’intervento di una confessione104.
A differenza della suspicio, che rappresentava solo un gradino
iniziale nella formazione del convincimento del giudice, dunque, la
praesumptio, secondo Bartolo, contribuiva alla formazione dell’opinio
iudicis in quanto semiplena probatio.
La distinzione introdotta da Bartolo era stata teorizzata poi da
Baldo, e dall’insegnamento di quest’ultimo erano stati tratti due impor-
tanti princìpi. Innanzi tutto, una suspicio non poteva indurre una
presunzione, ma ne occorrevano molte. In secondo luogo, una suspicio

Fondandosi su C. 1.5.2: “Haereticorum autem vocabulo continentur et latis


103

adversus eos sanctionibus debent succumbere, qui vel levi argumento iudicio
catholicae religionis et tramite detecti fuerint deviare”.
104 Bartolo da Sassoferrato, Super Secunda Digesti Veteris Commentaria, cum

addit. Thomae Diplovatatii, ad l. Admonendi (D. 12.2.31) n. 19-23 e 57 (“his


praemissis cui deferendum sit iuramentum adverte, aut actor habet pro se
tantum quod facit suspicionem, non autem facit praesumptionem, vel
semiplenam probationem”) (Venezia 1526, rist. anast. 1996) fol. 30b-va e 31vb-
32ra. Cfr. anche Giason del Maino, In secundam Digesti Veteris partem
Commentaria, Repetitio l. Admonendi (D. 12.2.31) n. 86 (Lyon 1582) fol.101vb.

211
ANTONIA FIORI

non poteva mai portare ad una condanna, mentre la praesumptio


poteva105.
Domenico da San Gimignano attribuì l’introduzione di questa teoria
in ambito canonistico al suo maestro Antonio da Butrio106, nella repetitio
al c. Vestra (X 3.2.7): una repetitio celebre, nella quale però – su questo
tema – Antonio sostanzialmente riproponeva il pensiero di Bartolo107.
Da allora, la suspicio fu sempre distinta dalla praesumptio ed
indicata come inferiore (suspicio est minus quam praesumptio): tuttavia
anch’essa – sulla scorta del c. Accusatus – venne distinta in levis,
vehemens e violenta, al pari della presunzione108. Nel Tractatus de
protestatione di Jean Gerson – un’opera di ampio seguito in merito alla
definizione delle suspiciones – la suspicio levis era descritta come
proveniente da segni esteriori che consentivano di congetturare “non
frequenter sed raro seu contingenter” che qualcuno fosse eretico: ad
esempio, perché spergiuratore frequente109.

105 Baldo degli Ubaldi, In vii. […] xi. Codicis libros Commentaria, ad l.

Quamvis adulterii (C. 9.9.29 [30 vulg.]) n. 6 (Venezia 1577) fol. 221rb: “notate
differentiam inter suspicionem et praesumptionem, quia suspicio stans in suis
finibus, numquam est causa condemnationis, sed praesumptio sic”. Ad auth. Si
quis, post l. Quamvis adulterii, n. 3 fol. 221va: “una suspicio non introducit
praesumptionem, sed multe sic”.
106 Domenico da San Gimignano, ad c. Cum contumacia (VI 5.2.7) n. 2 fol.

246rb. Sugli studi di Domenico, D. Quaglioni, ‘Domenico da san Gimignano’,


Dizionario biografico dei giuristi italiani I 774-775.
107 Antonio da Budrio, In librum Tertium Decretalium Commentarii (Venezia

1578) 7v-16v; la riproposizione dell’opinione di Bartolo è al n. 30, fol. 10r. La


Repetio ad c. Vestra (X 3.2.7) è la più celebre di Antonio da Budrio, redatta nel
1402 (e pubblicata per la prima volta a Bologna nel 1474), cfr. O. Condorelli,
‘Antonio da Budrio’, Dizionario biografico dei giuristi italiani I 80-83, alla p. 82.
108 La classificazione – fondata sul c. Accusatus – si trova, ad esempio, nel

Directorium di Eymerich, che però ancora non distingue tra suspicio e


praesumptio, come farà invece il suo commentatore Francisco Peña. La
classificazione delle suspiciones di Eymerich è nella pars II, q. 46 del Directorium
Inquisitorum 376-378, il pensiero di Peña è espresso nel Commentarium LXXX,
378s.
109 J. Gerson, Tractatus de protestatione circa materiam fidei, Consideratio

XII; il trattato di Gerson, scritto durante il concilio di Costanza, è qui citato


dall’edizione contenuta nella Lucerna Inquisitorum haereticae pravitatis
Bernardi Comensis, annot. F. Peña (Roma 1584) 163-181; la Consideratio XII è
alle pp. 179-181). La classificazione di Gerson ha avuto molto successo,
specialmente dopo essere stata adottata da Diego de Simancas, Institutiones
Catholicae, cap. 49 n. 16-18, fol. 186rb e da Menochio, De praesumptionibus, l. I
q. 100 n. 1 fol. 49rb.

212
ET SI HAERETICUS NON SIT... LA CONDANNA DEI SOLA SUSPICIONE NOTABILES

Il problema era però capire quale fosse la rilevanza giuridica della


levis suspicio, che il c. Accusatus associava ad una abiura, e che i giuristi
subito collegarono anche alla purgatio canonica.
La necessità dell’abiura era dibattuta, ed era stata decisamente
negata da Gaspare Calderini nel consilium qui più volte citato110. Prima
della decretale di Alessandro IV, del resto, in relazione ai sospetti eretici
il piano della purgazione e quello dell’abiura erano stati sostanzialmente
indistinti, ed era cosa nota che non si potesse richiedere purgatio cano-
nica se non in presenza di una praesumptio almeno probabilis.

7. Abiura e “purgatio” dei “leviter suspecti”

Inizialmente le norme canoniche (i cc. Ad abolendam ed


Excommunicamus) avevano indicato la sola purgatio come rimedio per il
sospetto di eresia, senza menzionare l’abiura. E, eccezionalmente, per
questa fattispecie le parole del giuramento di purgazione includevano
anche una professione di fede. La prima formula di purgazione canonica
dei sospetti eretici che ci è nota, quella del Directorium di Tarragona del
1242, di Raimondo di Peñafort, racchiude infatti non solo il consueto
giuramento di innocenza (“non sum vel fui… nec credo nec credidi”), ma
anche un giuramento di fede, l’impegno a non diventare eretici in
futuro111. Il modello testuale al quale, secondo la dottrina, la purgazione
dei sospetti eretici avrebbe dovuto ispirarsi, era – del resto – lo stesso da
prendere ad esempio per le dichiarazioni di abiura, ovvero il c. Ego
Berengarius del Decretum di Graziano (de con. di. 2 c. 42), che
riproduceva la professione di fede di Berengario di Tours112.
In quest’ottica, l’abiuratio era uno strumento simile alla purgatio
canonica – ugualmente costituito da un giuramento prestato corporaliter
sui Vangeli – ma più adatto agli eretici penitenti, che potevano così

110Supra nt. 57.


111“Nec credo nec credidi eorum erroribus, nec credam aliquo tempore vitae
mea; imo profiteor et protestor me credere et semper in posterum crediturum
fidem catholicam quam Sancta Romana et apostolica Ecclesia publice tenet, docet
et praedicat”, Mansi 23 558 e Parmeggiani, I consilia procedurali 19; cfr. Fiori, Il
giuramento di innocenza 567. Sul Directorium di Tarragona supra nt. 12.
112 Che il c. Ego Berengarius fosse utilizzato come modello di abiura è

notissimo (solo a titolo di esempio, Francisco Peña, Commentarium XL,


Directorium Inquisitorum p. III p. 487, Repertorium inquisitorum pravitatis
haereticae, ad v. Abiuratio [Venezia 1575] 2). È indicato come modello per la
purgazione dei sospetti eretici, tra gli altri, da Bernardo da Parma nella Glossa
ordinaria al Liber Extra (gl. iurare ad X. 5.7.13) e dall’Ostiense, ad c.
Excommunicamus (X 5.7.13) n. 28, fol. 40rb.

213
ANTONIA FIORI

rinnegare l’eresia nella quale erano caduti e promettere di non ricadervi,


che non ai semplici sospetti.
Una decretale di Innocenzo III (c. Inter solicitudines, X 5.34.10),
tuttavia, disponeva che un sospetto eretico, se infamato, fosse tenuto sia
ad un giuramento di purgazione per liberarsi dell’infamia, sia all’abiura.
L’abiura non avrebbe avuto ad oggetto l’eresia, rispetto alla quale la
prestazione del giuramento manifestava l’innocenza del sospettato, ma i
fatti che avevano dato origine al sospetto, cioè la familiaritas con gli
eretici.
Commentando questa decretale l’Ostiense – che pure considerava
sostanzialmente equivalenti purgazione ed abiura113 – aveva riconosciuto
che i due rimedi potessero cumularsi in caso di sospetto e cattiva fama114.
In mancanza di infamia, però, sembravano essenzialmente fungibili, ed
entrambi erano rimessi all’arbitrio del giudice, che poteva decidere se
richiederne uno, nessuno, o entrambi.

In sostanza i giuristi, consapevoli del fatto che si trattava di


strumenti molto simili115 e che finivano per sovrapporsi, ebbero la
tendenza nel corso del tempo ad applicare l’abiura alla rimozione del
sospetto, e la purgazione canonica – secondo tradizione – alla rimozione
dell’infamia facti, cioè del discredito sociale cui il sospetto poteva essere
collegato. I due rimedi, nonostante le parole della decretale Ad
abolendam, divennero alternativi o complementari116.

Summa Aurea ad tit. de haereticis n. 3, col. 1531: “et tunc purgat se, id est
113

abiurat haeresim”.
114 Lectura ad c. Inter solicitudines n. 12, fol. 92ra: “sed et merito tenetur

abiurare familiaritatem, ex qua fuit infamatus”.


115 Francisco Peña, Commentarium XXXVIII, Directorium Inquisitorum p. III

p. 480: “sunt enim abiuratio et purgatio duo remedia ad excludendam heresis


suspicionem valde apta, et inter se multum similia: unde que de una dicuntur, de
altera possunt accipi, nisi in his, in quibus ius nominatim aliud disponit”.
116 Su questo punto le posizioni che finirono per affermarsi nel Cinquecento

erano in effetti due: da un lato chi, come Francisco Peña, riteneva – con maggiore
aderenza al testo normativo e alla tradizione dottrinale – che la prestazione del
giuramento di purgazione fosse efficace sia contro l’infamia che contro il sospetto,
e che l’abiura fosse necessaria non in relazione al sospetto di eresia, ma alla sola
familiarità con gli eretici che aveva alimentato il sospetto (Francisco Peña,
Commentarium XIIII, Directorium Inquisitorum p. II p. 115; nel Directorium di
Eymerich che Peña commentava, però era prevista come septimus modus
terminandi processum fidei la prestazione congiunta di purgazione ed abiura per
l’infamato che fosse anche sospetto, p. 500-502). Dall’altro lato chi, come Camillo
Campeggi, riteneva invece che si indicesse la purgazione ratione infamiae e
l’abiura ratione suspicionis; Campeggi espresse questa posizione in una additio al
Tractatus super materia haereticorum di Zanchino Ugolini, opera della quale

214
ET SI HAERETICUS NON SIT... LA CONDANNA DEI SOLA SUSPICIONE NOTABILES

Nicolas Eymerich fece però notare che, mentre il vehementer


suspectus che avesse abiurato diventava relapso anche cadendo in
un’altra eresia (c. Accusatus), quello che si fosse purgato sarebbe stato
considerato relapso solo se fosse ricaduto nella stessa117.

Sulla base del c. Accusatus l’abiura – che consentiva di riconciliarsi


con la Chiesa, e in caso di rifiuto comportava l’invio al braccio secolare –
finì per coprire ogni tipo di suspicio. E dunque, come esistevano tre tipi
di sospetto, così furono creati tre tipi di abiura del sospetto: all’abiura de
formali dell’eretico convinto, si aggiungevano l’abiuratio de levi,
l’abiuratio de vehementi e l’abiuratio de violenta suspicione118.
Nella distinzione tra suspicio e praesumptio, dunque, le tradizionali
categorie della presunzione si erano perse. Se la suspicio vehemens
poteva essere equiparata alla praesumptio vehemens, la suspicio levis non
era parificabile al primo livello di presunzione, che era la presunzione
temeraria, giuridicamente irrilevante.
Tuttavia, ad attribuire rilievo alla levis suspicio erano alcune
espressioni normative (del Codice e del Liber Augustalis)119, in base alle
quali la dottrina aveva affermato che il sospetto di eresia potesse venire
da lievi segni, purché quei segni fossero plene probati120. In questo caso le
prove richieste non erano quelle del crimine, ma solo le prove dei fatti che
davano origine ai sospetti. Dunque si poteva pensare che la levis suspicio

aveva curato l’editio princeps del 1568 (si cita qui la seconda edizione, Roma
1579, con additiones di Campeggi e adnotationes di Diego de Simancas, add. ad c.
11, p. 78). Sul domenicano Camillo Campeggi e sulla sua opera V. Marchetti,
‘Campeggi, Camillo’, Dizionario biografico degli italiani 17 (1974) 439-440 ed
Errera, Processus in causa fidei 112-115.
117 Directorium Inquisitorum, p. III, de secundo modo finiendi processum n.

147, p. 476. L’affermazione appare dubbia a Francisco Peña, che però ne dà


ampia spiegazione nel Commentarium XXXVIII, p. 479s.
118 Eymerich descriveva l’abiura de violenta suspicione come quella fatta

dall’eretico iuris fictione (Directorium Inquisitorum, p. III, de sexto modo


terminandi processum, p. 495-497). In età moderna l’abiura de violenta suspicione
non era in uso, Farinacci, Tractatus de haeresi, Quaestio 187 § 4 n. 51, p. 201 e C.
Carena, Tractatus de officio Sanctissimae Inquisitionis et modo procedendi in
causis fidei, p. III tit. XII § 3 n. 6-7 (Lyon 1649) p. 450.
119 C. 1.5.2 (“Haereticorum autem vocabulo continentur et latis adversus eos

sanctionibus debent succumbere, qui vel levi argumento iudicio catholicae


religionis et tramite detecti fuerint deviare”) e Const. I.1 (c. Inconsutilem
tunicam: “inquisitione notatos, etsi levis suspicionis argumento tangantur, a viris
ecclesiasticis et prelatis examinari iubemus”).
120 Ostiense, Summa Aurea ad tit. de praesumptionibus n. 4 col. 666;

Innocenzo IV, ad c. Sicut simoniacas (X 5.3.6) fol. 498vb; Giovanni d’Andrea, ad c.


Ut officium (VI 5.2.11) 252.

215
ANTONIA FIORI

potesse avviare un’inchiesta, e si sapeva che poteva determinare


un’abiura (c. Accusatus). Nei manuali inquisitoriali, per giustificare la
richiesta di una purgazione si iniziò a dire che il lieve sospetto coincideva
con la praesumptio probabilis121 e, parallelamente ad una abiuratio de
levi, si giunse persino a parlare di una purgatio minor o de levi122.
Al culmine del possibile aggravamento della posizione del levis
suspectus, giuristi autorevoli come Pietro d’Ancarano e Matteo d’Afflitto
arrivarono a ritenere erroneo che il sospetto leviter, caduto nell’eresia,
non potesse considerarsi relapso come accadeva al vehementer suspectus:
perché se nel crimine successivo fosse emersa la prova del precedente,
allora anche chi aveva abiurato de levi avrebbe dovuto essere considerato
a tutti gli effetti un relapso123.

Eymerich, Directorium, p. II q. 46 n. 9 p. 377: “suspicione probabili, hoc est


121

levi, et quae leviter apparet”. Repertorium inquisitorum, ad v. Suspectus, 729:


“nota quod suspicio levis vel leve argumentum dicitur scilicet quando est
probabile, et quod de facili apparet” (sull’opera, di autore anonimo
quattrocentesco ed edita per la prima volta a Venezia nel 1494, Errera, Processus
in causa fidei 93s.). Entrambe le interpretazioni si fondavano sul passo
dell’Ostiense citato supra, nt. 78, forzandone radicalmente il senso: il decretalista
non si riferiva ad una levis suspicio, che ai suoi tempi non era considerata di
alcun rilievo, ma al fatto che il rifiuto del giuramento di purgazione non dovesse
essere inteso come presunzione assoluta di eresia, ma che costituisse
un’argomentazione probabile, cioè facilmente dimostrabile, di eresia.
122 Paolo Grillandi, Tractatus de hereticis, l. i q. viii n. 1, fol. 12va: “que

quidem purgatio quandoque maior quandoque minor sive levior requiritur,


secundum gravitatem vel levitatem suspitionis et conditionem persone”; Umberto
Locati, Iudiciale Inquisitorum ad v. suspicio n. 6, p. 388: “suspectus leviter de
haeresi non est tamquam haereticus habendus, sed potest iniungi purgatio
canonica de levi si tamen laborat infamia, vel abiuratio de levi”.
123 Pietro da Ancarano, Super Sexto Decretalium acutissima Commentaria ad

c. Accusatus (VI 5.2.8) n. 1 (Bologna 1583) p. 388: “nam leviter suspectus post
abiurationem deprehensus non damnatur ut relapsus, ut ibi: quod intelligo, nisi
post deprehensionem constet de illo crimine, de quo prius erat leviter suspectus”.
Il suo pensiero è condiviso da Matteo d’Afflitto, In Utriusque Siciliae Neapolisque
Sanctiones et Constitutiones novissima Praelectio. In primum earundem
Constitutionum Librum, ad c. Inconsutilem tunicam (Const. I.1) n. 32 (Venezia
1580) fol. 28ra. Francisco Peña indicherà come erronea (“haec enim opinio falsa
est”) la tesi dei due giuristi (Commentarium XXXIII alla quaestio 58 p. II del
Directorium Inquisitorum, p. 387).

216
ET SI HAERETICUS NON SIT... LA CONDANNA DEI SOLA SUSPICIONE NOTABILES

8. La mitigazione delle pene. La “doctrina Innocentii” nel Cinquecento

Nella disciplina medievale riguardante i sospetti eretici si possono,


in sintesi, individuare almeno quattro modalità di applicazione del
meccanismo delle presunzioni:
1) il fallimento della purgazione (come negli altri crimini)
trasformava la presunzione probabile in violenta, e causava l’immediata
condanna;
2) il rifiuto del giuramento di purgazione in quanto tale dava luogo
ad una presunzione legislativa assoluta di eresia (pur con qualche
temperamento introdotto dalla dottrina) e, anche in questo caso, portava
alla condanna;
3) il permanere nella scomunica per un anno trasformava la
presunzione probabile in violenta, e giustificava la condanna per eresia al
termine dell’anno; anche in questo caso la presunzione era di legge;
4) l’essere colto nell’eresia dopo l’abiura faceva operare una
presunzione iuris et de iure di continuità nel delitto, che il c. Accusatus
(VI 5.2.8) qualificava come fictio iuris e che determinava la condizione di
relapso.

Per quanto i giuristi potessero trovare impeccabili tecnicamente i


meccanismi di trasformazione della praesumptio probabilis in violenta,
erano però – quasi senza eccezioni – consapevoli del fatto che, in
concreto, prove certe di eresia, indicia indubitata, non vi fossero. Non
tanto per il primo caso, quello del fallimento della purgazione, per il
quale la dottrina non accolse il tentativo, che pure era stato fatto da
Bernardo da Parma, di considerare colui che non era riuscito a giurare
un presumptive convictus124. Le perplessità riguardavano piuttosto la
condanna al termine dell’anno di scomunica, che era generalmente
considerata presuntiva: già la glossa ordinaria al Decretum aveva accolto
l’opinione, secondo la quale il condannato a seguito di contumacia
annuale si poteva considerare convinto iuris interpretatione (“iuris
interpretatione pro convicto habetur”)125.

124 Anche nel caso del fallimento della purgazione canonica Bernardo da

Parma, nella glossa al Liber Extra, aveva indicato la condanna per eresia come
convictio praesumptiva o interpretativa, che richiedeva una pena più mite
rispetto a quella imposta al condannato vere o directe: “huic enim non fuit
probatum quod sit hereticus verus”, gl. in arctum monasterium ad X 5.34.10; cfr.
anche la gl. condemnandi ad X 2.1.4. Sulla posizione di Bernardo da Parma
rinvio ancora a Fiori, Il giuramento di innocenza, 558-563.
125 Gl. rursus ad C.11 q.3 c.36. L’opinione è riferita a Pietro Ispano. I canonisti

indicati come Petrus Hispanus sono diversi, e l’attribuzione delle opere non è

217
ANTONIA FIORI

L’eccessiva rigidità della procedura non sfuggì specialmente


all’Ostiense, che su questo tema offrì i contributi più significativi e
sostanzialmente di buon senso. In veritate, era ben possibile che il
condannato in effetti non fosse eretico:

Licet in veritate possit esset quod non est haereticus, tamen ac si esset
propter tantum contemptum ecclesiae et clavium, ex quo sic
condemnatus est, poena haeretici incurrit […], et ita et si haereticus non
sit, tamen velut haereticus condemnatur126.

La Chiesa – diceva ancora l’Ostiense – avrebbe dovuto de rigore iuris


applicare la pena prevista per gli eretici, ed inviare i sospetti al braccio
secolare, ma aveva scelto una via intermedia, preferendo l’equità al
rigore127, senza per questo essere negligente nella correzione dei peccati.
Questa via intermedia, sostanzialmente, era affidata alla prudenza
del giudice che, di fronte ad un sospettato che, anziché latitare, si fosse
presentato spiegando le sue ragioni, poteva liberamente decidere di non
indire la purgazione128, evitando così di mettere in moto una procedura
pericolosa.

Dopo la promulgazione del Liber Sextus, il dibattito sulla


comparazione tra sospetto condannato allo scadere dell’anno di
scomunica e convinto di eresia non si spense. Fu anzi rivitalizzato dal
fatto che il c. Cum contumacia (VI 5.2.7) ripetesse la formulazione – già

univoca: per orientarsi A. Pérez Martin, El derecho procesal del “ius commune” en
España (Murcia 1999) 60, indicazioni bibliografiche alle nt. 156-157.
126 Ostiense, Lectura ad c. Excommunicamus (X 5.7.13), n. 4, fol. 38va.
127 Ostiense, Lectura ad c. Gravem (X 5.37.13) n. 5, fol. 99r: “Igitur si per

annum excommunicatus in pertinatia sua perstiterit, praesumitur esse infidelis


[…], unde praesumptio iuris est, quod sit hereticus […]. Unde his omnibus
consideratis posset ecclesia etiam de rigore iuris ipsum tamquam haereticum et
incorrigibilem, ex quo tamdiu ipsum expectavit, de haeresi condemnare, et
potestati tradere saeculari […], ipsa tamen maternum affectum attendens […] et
aequitate rigori praeferens […] humanam fatuitatem considerans sequi noluit
hunc rigorem, sed nec ipsum omnino sub dissimulatione transire, ne
correctionem peccatorum negligere videretur […]. Incedens igitur per quadam
viam mediam […], dicit quod talis suspitione non caret haereticae pravitatis”.
128 Ostiense, Lectura ad c. Excommunicamus (X 5.7.13) n. 10, fol. 39ra: “Nec

mireris, quod dixi absenti et contumaci purgationem determinatam et


specificatam indici posse, cui tamen forsan non indiceretur si praesens esset
rationibus suis auditis, nam idem est et de sententia diffinitiva, quae plerumque
datur contra absentem contumacem, et tamen forte non daretur contra
presentem et de iure suo docentem”.

218
ET SI HAERETICUS NON SIT... LA CONDANNA DEI SOLA SUSPICIONE NOTABILES

presente nel c. Excommunicamus – “ex tunc velut haereticus


condemnetur”.
In quel velut Guido da Baisio lesse la manifestazione di una reale
equivalenza tra le due condanne129. La sua posizione, poi ribadita
dall’allievo Giovanni d’Andrea130, venne aspramente contestata da
Gaspare Calderini che riteneva che velut fosse un’espressione di
similitudine, come quasi, che stava ad indicare che non si fosse in
presenza di un vero eretico131, e che dunque il sospettato non fosse tenuto
all’abiura.

La reiterata e costante sottolineatura della diversa posizione dei


condannati per contumacia e per eresia132 portò sporadicamente nel corso
del Trecento a considerare la possibilità di sanzioni differenti, che
tenessero conto della diversa condizione processuale.
Intorno al 1330, nel suo manuale inquisitoriale, Zanchino Ugolini
indicava come penitenziali le pene per i sospetti eretici, chiarendo fra
l’altro che solo ad essi e alle categorie consimili sarebbe stato possibile
infliggere pene pecuniarie, dal momento che il patrimonio degli eretici
era ipso iure tutto confiscato, e che gli inquisitori, in quanto giudici
delegati, non avrebbero potuto moderare la pena di legge133.

129 Guido da Baisio ad c. Cum contumacia (VI 5.2.7) n. 2, In Sextum

Decretalium Commentaria (Venezia 1606) fol. 114 ra


130 Giovanni d’Andrea, Novella in Sextum ad c. Cum contumacia (VI 5.2.7) ad

v. velut, (Venezia 1499, rist. anast. Graz 1963) 249: “quod sequitur est
expressivum veritatis”. Giovanni aggiungeva però anche che la condanna sarebbe
avvenuta “pro convicto, non tamen pro heretico”. Nel commentare la medesima
espressione nel Liber Extra aveva fatto proprio il pensiero dell’Ostiense: ad c.
Excommunicamus v. velut, fol. 50vb: “possibile est, quod non est haereticus,
tamen propter hanc violentam praesumptionem condemnatur ut haereticus,
secundum Hostiensem”.
131 Questa posizione venne espressa da Gaspare Calderini nel già citato, e

rinomato, consilium V (fol. 57ra): “ibi dicit non hereticus sed velut hereticus
condemnantur, sed dictio velut similitudinaria est, quia ponitur pro quasi […].
Dico quod non dicit illum hereticum”. Il dibattito tra l’Arcidiacono e Calderini è
ricordato da Domenico da San Gimignano, ad c. Cum contumacia (VI 5.2.7) n. 12,
fol. 246va.
132 Coloro che fallivano la purgazione erano considerati semplicemente

convinti. Benché anche in questo caso ci fosse una trasformazione della


presunzione da probabile a violenta, il dibattito sulla condanna presuntiva
sembrava riguardare solo la condanna a seguito di contumacia annuale. Cfr.
Fiori, Il giuramento di innocenza 558-563.
133 Zanchino Ugolini, Tractatus super materia haereticorum (Roma 1579) 124,

cap. 18 n. 5: “Et advertendum est, quod haec poena confiscationis, seu adeptionis
bonorum vendicat sibi locum solummodo in illis, quos constat fuisse haereticos,
vel qui de haeresi sunt damnati, ut dicto c. Ad abolendam (X 5.7.9) et de

219
ANTONIA FIORI

Verso la fine del secolo, Pietro da Ancarano fece un rapido accenno


alla possibilità di applicare al caso previsto dal c. Accusatus, dunque ai
sospetti eretici, quella che sarà poi chiamata la doctrina Innocentii134.
Nel glossare il titolo de praesumptionibus del Liber Extra, Innocenzo
IV aveva infatti sostenuto che, quando il giudice avesse condannato in
base a presunzioni, avrebbe dovuto moderare la sanzione, non
infliggendo pene corporali né pecuniarie, se non raramente e in modo
morigerato135. Era una raccomandazione di prudenza ai giudici – non a
caso la sedes abituale del commento era il c. Afferte (X 2.23.2), che aveva
per protagonista Salomone –, e l’opinione aveva avuto ampio seguito136:

verborum significatione c. Super quibusdam (X 5.40.26): non autem in aliis, qui


sunt sola suspicione notabiles”. Ibid. 133, cap. 19 n. 2: “cum igitur relinquatur
arbitrio iudicis ita purgatio, certe pro suo motu imponet poenam pecuniariam vel
aliam”. Sulle pene penitenziali da infliggere ai sospetti ibid. 141ss., cap. 20.
Sul Trattato di Zanchino, che in un’edizione cinquecentesca (Venezia 1571) è
stato erroneamente attribuito a Giovanni Calderini, R. Parmeggiani, Explicatio
super officio inquisitionis. Origini e sviluppi della manualistica inquisitoriale tra
Due e Trecento (Roma 2012; Temi e testi 112) LX-LXIII e Id., ‘Zanchino di Ugolino’,
Dizionario biografico dei giuristi italiani II 2080s. Sul tema trattato nel passo
citato è di particolare interesse l’additio di Camillo Campeggi (che dell’opera di
Ugolini ha curato un’edizione con proprie additiones del 1568, supra nt. 116),
perché nel Cinquecento la confisca dei beni degli eretici e la loro spartizione tra
fisco civile e inquisitoriale divenne un argomento di stringente attualità, cfr. V.
Lavenia, ‘I beni dell’eretico, i conti dell’inquisitore. Confische, Stati italiani,
economia del Sacro Tribunale’, L’Inquisizione e gli storici: un cantiere aperto (Atti
dei Convegni Lincei, 162; Roma 2000) 47-94 e Id., L’infamia e il perdono. Tributi,
pene e confessione nella teologia morale della prima età moderna (Bologna 2004)
286-299.
134 Pietro da Ancarano ad c. Accusatus (VI 5.2.8) 388: “nota quod si iudex

procedit quandoque ad sententiam ex praesumptionibus, numquam tamen debet


imponere penam corporalem, sed civiliter condemnare, quod patet ex sententia
Salomonis, supra de praesumptionibus c. Afferte (X 2.23.2) et notat Innocentius
e. ti. c. Quia verisimile (X 2.23.10)”.
135 Innocenzo IV ad c. Quia verisimile (X 2.23.10), fol. 281rb-va: “Nota tamen

quod ubi ex praesumptionibus proceditur, multum debet iudex moderare


sententiam, et maxime ne condemnet nisi raro et modice ad poenam, nec
pecuniariam, nec corporalem, quod potes bene colligere ex sententia Salomonis,
supra eodem Afferte (X 2.23.2)”.
Sull’importanza del principio innocenziano Alessi, Prova legale e pena 51ss.,
67 e passim.
136 Era stata accolta anche da Guglielmo Durante, Speculum Iudiciale, II.2 §

quot sunt species praesumptionum n.6 (Lyon 1531), II fol. 221.

220
ET SI HAERETICUS NON SIT... LA CONDANNA DEI SOLA SUSPICIONE NOTABILES

ma non con riferimento ai sospetti eretici, per i quali le norme canoniche


prevedevano espressamente la condanna “velut haereticus” 137.
Antonio da Budrio, che di Pietro era stato allievo138, aveva limitato
fortemente la tesi innocenziana, sottolineando che poteva trovare
attuazione nelle cause civili, non in quelle criminali139. Il cardinale
Zabarella sostenne la medesima opinione140, nonostante Baldo si fosse
espresso in modo chiaro per la validità del principio anche nelle cause
criminali141.
Prevalse la soluzione interpretativa del Panormitano142, che circo-
scriveva il raggio d’azione della regola proposta da Innocenzo IV entro i
confini della praesumptio hominis143. I sospetti di eresia in scomunica

137 Ancora Giovanni d’Andrea non prevedeva alcuna applicazione di pene


arbitrarie o straordinarie ai sospetti eretici, come si evince dalla Lectura ad c. Ad
abolendam (X 5.7.9): “Haereticus male sentiens vel docens de sacramentis
ecclesiae excommunicatus est, nisi se corrigat, et errorem abiuret. Si est clericus,
degradatur, et traditur curiae seculari, per quam etiam laicus legitime punietur.
Eadem est poena suspectis, qui se non purgant. Relapsi vero, audientia
denegatur”.
138 Condorelli, ‘Antonio da Budrio’ 81.
139 Antonio da Budrio ad c. Afferte (X 2.23.2) n. 7, Super secunda secundi

Decretalium Commentarii (Venezia 1578) fol. 68rb.


140 Francesco Zabarella ad loc. cit, n. 5-6, Super secundo Decretalium

subtilissima Commentaria (Venezia 1602) fol. 64.


141 Baldo degli Ubaldi ad l. Sciant cuncti (C. 4.19.25) n. 15, In quartum et

quintum Codicis libros Commentaria (Venezia 1577) fol. 46ra: “propter inopiam
probationis minuitur poena, hoc est, quia non potest plus punire in criminali
quam condemnare in civili, haec enim est sententia Innocentii, quod ubi
proceditur ex praesumptione imponatur minor poena […], et ista vocatur
probatio praesumptiva”.
142 Come sottolineava Bartolomeo Bellencini, Apostillae super domini Abbatis

necnon domini Antonii de Butrio Lecturas (Venezia 1477) ad c. Afferte (X 2.23.2),


fol. 63vb-64ra. Cfr. anche Felino Sandei (che di Bellencini fu allievo per il diritto
canonico a Ferrara, M. Montorzi, ‘Sandei, Felino’, Dizionario biografico dei
giuristi italiani, I 1781-1783, alla p. 1782) ad c. Afferte (X 2.23.2) n. 7, Secunda in
quinque Decretalium libros pars (Lyon 1549) fol. 220ra: “Sed ista limita primo,
nisi iudex movetur ex praesumptione quam lex expressa approbaret in
criminibus: quia ex illa potest condemnare in omni causa etiam capitali,
secundum do. Ab. pulchre, in c. Accedens (X 5.1.23) in ii col. ver. Nec obstat, infra
de accusationibus […] sic etiam intelligitur c. Cum contumacia de hereticis in VI
(VI 5.2.7) et c. Excommunicamus § i infra de hareticis (X 5.7.13)”.
143 Niccolò de’ Tedeschi, ad c. Accedens (X 5.1.23) n. 5, Commentaria in

quartum et quintum librum Decretalium Libros (Venezia 1582) fol. 86va (“iudex
debet temperare sententiam suam, quando procedit ex praesumptione hominis,
non autem ex praesumptione iuris”) e ad c. Afferte (X 2.23.2) n. 6, Commentaria
secundae partis in Secundum Decretalium Librum (Venezia 1582) fol. 129ra.

221
ANTONIA FIORI

annuale erano invece condannati in base ad una praesumptio iuris,


dunque l’equiparazione normativa tra le sanzioni ad essi imposte e quelle
inflitte agli eretici convinti non lasciava spazio alla mitigazione della
pena.

Nonostante l’opinione comune della dottrina fosse andata nella


direzione opposta, nel Cinquecento l’irrogazione ai sospetti eretici di pene
straordinarie era entrata in uso: ne danno notizia la Summa Sylvestrina
e il Iudiciale Inquisitorum di Umberto Locati144.
Fu però solo dalla metà del secolo – ovvero all’indomani della prima
edizione delle Institutiones catholicae di Diego de Simancas (1552)145 –
che l’applicazione della teoria innocenziana ai sospetti eretici dilagò
anche nelle opere dei giuristi, nel quadro di una più generale propensione
di quei tempi verso le pene arbitrarie146.
Da allora la doctrina Innocentii fu accolta incondizionatamente,
come testimoniano, tra le altre, le posizioni di Giacomo Menochio e di
Prospero Farinacci147: e dunque fu stabilito il principio che gli eretici
dichiarati tali in base a delle presunzioni dovessero essere condannati a
pene straordinarie, più miti e specificamente pecuniarie.

144 Silvestro Mazzolini, Summae Sylvestrinae, quae summa summarum merito

nuncupatur, pars prima, v. Haeresis II § 9 n. 11 (Venezia 1581) fol. 365rb-va:


“Quid talibus iniungendum sit, diffiniri non potest: quia committitur arbitrio
iudicantium circumstantiis pensatis”. Sull’autore, M. Tavuzzi, Prierias. The Life
and Works of Silvestro Mazzolini da Prierio, 1456-1527 (Durham and London
1997), S. Feci, ‘Mazzolini, Silvestro’, Dizionario biografico degli italiani 72 (2008),
678-681 e M. Turrini, ‘Mazzolini, Silvestro (Prierate, da Prierio)’, Dizionario
biografico dei giuristi italiani II 1313s. Locati, Iudiciale Inquisitorum, v. poena n.
6 p. 266 cita la Summa Sylvestrina: “qua poena autem de haeresi suspecti […]
puniri debeant Iudicis arbitrio, vide per Silvestrum […]”.
145 Institutiones Catholicae, cap. 49 n. 14 fol. 185v-186r.
146 Evidenziata da Alessi, Prova legale e pena. Cfr. anche Lavenia, L’infamia e

il perdono, 298s.
Sul ruolo delle opere di Diego de Simancas (specialmente l’Enchiridion [infra
nt. 148] e la seconda redazione delle Institutiones Catholicae [infra nt. 153]) nel
momento di definizione dei rapporti tra Inquisizione spagnola e romana
all’indomani del Concilio di Trento, S. Pastore, ‘Roma, il Concilio di Trento, la
nuova Inquisizione: alcune considerazioni sui rapporti tra vescovi e inquisitori
nella Spagna del Cinqucento’, L’Inquisizione e gli storici: un cantiere aperto 109-
146, in particolare alle pp. 144-146 ed Ead. Il Vangelo e la spada. L’inquisizione
di Castiglia e i suoi critici (1460-1598) (Temi e testi, 46; Roma 2003) 403s.;
Lavenia, L’infamia e il perdono, 286-294.
147 Farinacci, Tractatus de haeresi, Quaestio 187 § 1 n. 9 p. 195; Giacomo

Menochio, Consiliorum sive Responsorum liber primus, Cons. 82 n. 146s.


(Frankfurt 1605) fol. 171ra.

222
ET SI HAERETICUS NON SIT... LA CONDANNA DEI SOLA SUSPICIONE NOTABILES

La teoria che Simancas riuscì a costruire intorno alla prassi


contemporanea (“quod et usu quotidiano receptum est”148), dunque,
forzava sotto due aspetti il pensiero di Innocenzo IV: non solo perché lo
applicava ad una categoria, quella dei sospetti eretici, per i quali a rigore
l’esistenza di una presunzione di legge avrebbe dovuto escludere la
possibilità di inflizione di sanzioni arbitrarie149; ma anche perché la
lettera del testo innocenziano limitava non solo l’irrogazione di pene
corporali, ma anche pecuniarie.
Quest’ultimo riferimento del giurista spagnolo non era però casuale:
il tema delle pene pecuniarie era considerato parte di un problema più
ampio e di stretta attualità, quello della destinazione dei beni confiscati
agli eretici e della loro ripartizione tra fisco secolare, ecclesiastico e
inquisitoriale. Un problema che – come è stato evidenziato150 –
contrapponeva nel Cinquecento il modello spagnolo a quello romano: in
Spagna i re cattolici devolvevano gli introiti delle confische al
sostentamento e alle spese del Tribunale dell’Inquisizione, mentre in
Italia regole difformi rendevano la materia estremamente magmatica.
Nella seconda edizione delle sue Institutiones catholicae (1575)151,
Simancas specificava che le pene pecuniere inferte ai sospetti eretici
dovevano essere destinate alle spese dell’Ufficio della Santa Inquisizione
e che – eccezionalmente – esse non dovevano gravare sui figli152, dal
momento che i sospetti, “quantumvis vehementes”, si estinguevano con la
morte del reo153.

148 Praxis haereseos sive Enchiridion iudicum violatae religionis (Venezia


1568), tit. de poenis n. 10 fol. 98r.
149 È da sottolineare incidentalmente come anche anche uno dei più

importanti riferimenti giurisprudenziali citati da Simancas sull’applicazione


della doctrina Innocentii ai sospetti eretici, la decisio 164 nella collezione delle
Decisiones Burdegalenses di Nicolas Bohier (Frankfurt 1574, decisio 164 n. 6, alla
p. 361) riguardava le condanne criminali presuntive in generale, non
specificamente l’eresia.
150 Riferimenti alla nt. 133.
151 Sul tema della confisca nelle opere di Simancas, Lavenia, L’infamia e il

perdono, 286-294; sulla seconda versione delle Institutiones (che dava “nuova
legittimazione alle pratiche dell’Inquisizione spagnola”), Pastore, ‘Roma, il
Concilio di Trento, la nuova Inquisizione’ 145s.
152 Sulla confisca dei beni dell’eretico, che colpiva anche gli eredi, per l’epoca

medievale cfr. M. Bellomo, ‘Giuristi e inquisitori del Trecento. Ricerca su testi di


Iacopo Belvisi, Taddeo Pepoli, Riccardo Malombra e Giovanni Calderini’, Per
Francesco Calasso. Studi degli allievi (Roma 1978) 9-57 e Pennington, ‘Pro
peccatis patrum puniri’.
153 Diego de Simancas, De catholicis institutionibus liber, tit. 46 n. 76-77

(Roma 1575) 372: “suspecti autem de crimine haeresis puniri poterunt poenis
pecuniariis arbitrio inquisitorum […]; sed has poenas applicare debent expensis

223
ANTONIA FIORI

Il pensiero di Simancas si dimostrò influente anche rispetto alla


condizione del leviter suspectus. Come abbiamo visto, in teoria tutto ciò
che era al di sotto della presunzione probabile non avrebbe dovuto
comportare conseguenze giuridiche, mentre – dopo il c. Accusatus, e dopo
la distinzione dottrinale tra suspicio e praesumptio – si era
definitivamente affermata l’idea che i lievemente sospetti fossero tenuti a
purgazione e/o abiura, con la conseguenza che se si fossero dimostrati
negligenti nell’una o nell’altra sarebbero stati scomunicati.
Simancas invece affermava, con ampio e qualificato seguito di
dottori, che i lievi segni dovessero essere interpretati in meliorem et
benigniorem partem: ribaltando il principio ormai consolidato che
nell’eresia si dovesse sempre presumere a favore dell’eresia154. Anzi,
sospettare un cristiano per lievi indizi era peccato: trarre in giudizio un
uomo onesto, interrogarlo sulla fede e dubitare se fosse o meno ortodosso
era azione grave e ingiuriosa. Solo a sua tutela avrebbe eventualmente
potuto essere richiesto di purgarsi, oppure di abiurare155.

In qualche modo, con le posizioni dottrinali assunte da Simancas,


tenuto conto della fortuna che ebbero all’epoca dell’Inquisizione romana,
si chiuse un cerchio. La moderazione espressa dal giurista spagnolo su
questo tema era, per sua stessa dichiarazione, un portato sia delle “novae
et singulares opiniones in materia morali” che venivano dalla scuola di
Salamanca156, sia delle riflessioni di Jean Gerson, che aveva concluso il
suo Tractatus de potestatione evidenziando la relatività del sospetto di
eresia, così condizionato dalle consuetudini dei luoghi e dei tempi che una
stessa parola poteva suonare eretica in un contesto e non in un altro157.

officii sanctae inquisitionis […]. Caeterum haeredes eorum, qui suspecti erant de
crimine haeresis, condemnari non debent ad poenas istas pecuniarias
praestandas, etiam si mortui fuerint illi suspecti accusatione pendente: quia
suspiciones quantumvis vehementes morte reorum extinguuntur”.
154 Repertorium inquisitorum, ad v. Praesumptio p. 630: “in crimine haeresis

semper dubio praesumendum est pro haeresi quoad effectum poenitentiae


imponendae”.
155 Institutiones Catholicae, cap. 49 n. 19-20, fol. 185v-186r e De catholicis

institutionibus, tit. 50 n. 28-29, p. 416; Menochio, De praesumptionibus, l. I q.


100, n. 1-6 fol. 49rb.
156 Institutiones Catholicae, cap. 49 n. 22 fol. 186 e De catholicis institu-

tionibus, tit. 50 n. 31 p. 417 (il riferimento è a Francisco de Vitoria).


157 Gerson, Tractatus de protestatione, Consideratio XII n. 6, p. 180s.: “Quo

circa patet valere plurimum circa suspiciones huiusmodi assumendas pro


argumentis, considerare consuetudines patriarum, locorum, temporum,
personarum modos, et indicia. Evenit quippe quod verbum unum dabitur
suspicionem haeresis in uno loco, vel in una persona, quod in alio loco vel persona
nihil reputabitur”.

224
ET SI HAERETICUS NON SIT... LA CONDANNA DEI SOLA SUSPICIONE NOTABILES

La moderazione di Simancas era però anche l’espressione di uno


scrupolo sempre avvertito dai giuristi, che pure – per paradosso –
avevano ampiamente contribuito alla costruzione del meccanismo di
presunzioni che abbiamo descritto. Lo scrupolo era rappresentato dalla
consapevolezza, per dirla con le parole dell’Ostiense, che qualcuno
potesse nella piena applicazione del diritto essere condannato come
eretico, etsi in veritate haereticus non sit.

Sommario: Nel diritto canonico medievale il semplice sospetto di eresia


poteva portare ad una sentenza di condanna, anche capitale, attraverso una
meccanica applicazione di presunzioni legali. Sin dal Duecento parte della
dottrina avvertì come pericolosa e potenzialmente iniqua la condanna per eresia
fondata su presunzioni, ma solo dal Cinquecento si affermò il principio che in
questi casi la pena irrogata doveva essere arbitraria e più mite.
Summary: In medieval canon law, the mere suspicion of heresy could lead to
a conviction (and potentially the death penalty) through an almost automatic
application of legal presumptions. Although from the 13th century onwards some
jurists recognized the danger and the injustice of convictions for heresy based
solely upon legal presumptions, it was not until the 16th century that
punishment was mitigated in such cases.

Parole chiave: eresia; inquisizione; suspicio; presunzioni


Key Words: heresy; inquisition; suspition; legal presumptions

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