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SULLA DIGNHA
DELLUQMQ
A cum di Francesco Bami
ISBN 978-88-8246-455-4
© 2003 Fondazione Pietro Bembo
Seconda edizione marzo 2007
Terza edizione aprile 2014
GIOVANNI
PICC)
DELLA MIRANDQLA
Dlsconso \
SULLA DIGNITA
DELL*uoMo
A cum di Fmncesfo Bmw'
Fd Pfßmø/Ugc; 454
INTRODUZIONE
La fortuna e la fama di Pico in età moderna riposa-
no in gran parte sulla cosiddetta Oratío de /øomims dz'-
gmìfate, che - tra le opere del Mirandolano - è di gran
lunga Ia più letta, studiata e tradotta; in definitiva,
l'unica (accanto alla grande epistola a Ermolao Bar-
baro sullo stile del discorso filosofico) capace di im-
porsi anche al di fuori della ristretta cerchia degli spe-
cialisti. Destino invero singolare, questo, per uno
scritto cui, a quanto si può capire, Pico non doveva
attribuire un rilievo paragonabile a quello di altre sue
opere di ben maggiore impegno e respiro, quali
Iifieptaplus, il Commento az' Salmi, il De ente et uno e
le Dz'sputatz`one.r adversus astrologíam dz'z›z'mztrz'cem.
L'Omtío venne stesa tra la fine del 1486 e l'inizio del
1487 perché fungesse da solenne prolusione alla di-
sputa romana che, progettata dallo stesso Pico per il
gennaio 1487, avrebbe dovuto sottoporre aIl'esame
di un ampio consesso di dotti le novecento tesi filoso-
fiche redatte per I'occasione dal Mirandolanoz ma il
fallimento deII”ambizioso disegno (determinato dalla
decisa opposizione di teologi e uomini di Chiesa, e
daII'intervento del papa Innocenzo VIII) travolse an-
che l'orazione, che Pico - dopo averne riutilizzata Ia
seconda parte nel proemio deII`/lpologia, composta
nella primavera del 1487 per difendere le tredici tesi
messe sotto accusa dalla commissione pontificia -
non volle né pubblicare, né altrimenti divulgare. La
circolazione deII'operetta, infatti, sembra essere stata
molto limitata, e non oltrepassò, verosimilmente, la
X INTRODUZIONE
pàrticne alla sua natura soltanto nel senso che questa natura inclu-
de fra le sue potenzialità quelle forme più alte di vita››. Cfr. anche
PICO, Commento sopra una canzona, II 26, p. 530: «nell”anima no-
stra, la quale è per natura libera, e puossi volgere e alla sensibile
bellezza e alla intelligibile».
"I Cfr. I-Ieptaplus, IV 5, p. 280: <<[propheta] ad eas se transfert,
quorum opus appetere, irae videlícet et libidinis, idest concupi-
scentiae, sedes. Has per bestias designat et irrationale genus viven-
tium, quia sunt nobis cum bestiis communes et, quod est infelicius,
ad brutalem saepe nos vitam compellunt [...] ut non sit creditu dif-
ficile paradoxon Pythagoricorum, si recte intelligatur, improbos
homines migrare in bruta. Intus enim atque in nostris adeo visceri-
bus bruta sunt, ut non procul peregrinandum sit ut migremus in il-
la››; e Commento ai Salmi, p. 152. Alla luce di tutto questo, ROU-
L1ER,]ean Pie, p. 493, osserva giustamente che la dignitas non è una
prerogativa e una proprietà data all'uomo una volta per tutte, ma
una realtà che egli deve conquistare giorno per giorno, esercitando
rettamente il suo libero arbitrio e lottando contro le forze che osta-
colano la sua unione con Dio.
'5 Cfr. O. BOULNOIS, Humanixme et dignité de l'/øomme selon
Pic de la Mirandola, in JEAN Plc DE LA Min/\NDoLE, Oeuvrm- phila-
rop/aiz/uer, p. 336: «La dignité de l'homme atteint paradoxalement
son comble lorsque cet être atteint librement la destination qui lui
a été assignée par la nature». Si tratta, in fondo, del paradosso cri-
stiano della `libera servitù) (l'uomo è veramente libero - perché li-
bero dal peccato, che è la vera schiavitù - quando si assoggetta
spontaneamente e senza riserve alla volontà divina e all`ordine na-
turale delle cose), recuperato e riproposto, in àmbito neoplatonico,
da Marsilio Ficino, da Lorenzo de' Medici e dallo stesso Pico nel
Commento sopra una eanzona (I 24, p. 517): «Di qui si può inten-
dere che al fato non sono sottoposte se non le cose temporali, e
INTRODUZIONE XIX
queste sono quelle che sono corporee; e però, essendo l'anima ra-
zionale incorporea, non è sottoposta al fato, anzi domina a quello,
ma bene è sottoposta alla providenzia e serve a quella; il quale .rer-
vire e una vera liberta, perché, sc la voluntà nostra obbedisce alla
legge della providenzia, e da lei guidata sapientissimamentc alla
consecuzione del suo desiderato fine; e ogni volta che da questa
servitù si vuole liberare, si fa di libera veramente serva, e fassi
schiava del fato, del quale prima era padrona, perche il deviare dal-
la legge della providenzia non è altro che lasciare la ragione e se-
guire il senso e l'appetito irrazionale, el quale è sottoposto al fato
per essere di natura corporeo; e però chi a lui si sottopone, molto
più si fa servo di colui di cui esso è servo›› (e anche III 2, p. 537:
«né mai ritiene la natura inferiore la sua libertà, se non quando del-
la superiore a sé è interamente serva; però convenientemente si
sottopone el nostro poeta alla violenzia dello amor celeste, cogno-
scendo in lei libertà grandissima»). Sulla questione cfr. M/\R'l`I-ILLI,
Proodor ea' epirtrop/né, pp. 1247-56.
If' Cfr. da ultimo BUCK, Ifantropologia, p. 10, che parla, riguardo
all'Omti0, di «una deifica'/.ione <lell'uomo che non tiene conto del-
la macchia del peccato originale e della necessità della grazia divi-
na», e di «una redenzione ad opera dell'uomo fondata [...] sulla fi-
ducia umanistica nella perfettihilità della natura umana attuabile
con le proprie forze» (ma basti, al riguardo, rinviare al coevo Com-
me///o .ro/mi una eanzona, III 4, p. 540, dove la caduta di Adamo è
imputata alla sua «cupidità di assomigliarsi perla scienzia del bene
XX INTRODUZIONE
e del male a esso Dio, e quasi per questa via dal suo governo, come
di quello non più bisognoso, liberarsi››). Il pelagianesimo era la set-
ta eretica che negava la necessità della grazia per la salvezza del-
l”uomo (cfr. il mio commento a U. VERINO, Epigrammi, Messina,
Sicania, 1998, pp. 249-51: epigr. Il 8, intitolato Qi/od bominer libe-
ro arbitrio, .tine Dei gratia, Coelum mereri neø/ueant, et quomodo
procedatur).
'I Cfr. Ileptaplui', VII, prooemium, pp. 324-26: «Est autem feli-
citas (ut theologi praedicant) alia quam per naturam, alia quam per
gratiam consequi possumus. Illam naturalem, hanc supernatura-
lem appellant››, E cfr. al riguardo DI NAPOLI, Giovanni Pico, pp.
411-12, e DF. LUBAC, Pico, pp. 118-19; e qui anche le note 18 e 2o.
I” Cfr. V/\I.(lKE-G/\LIB()IS, Le periple intelleetuel, pp. 1 1o-12,
170, 175-76; e già DE LUBAC, Pico, p. 116. Cfr. inoltre MAILSILIO FI-
CINO, De raptu Pauli (in Prosatori latini, p. 966): «Ama ante omnia
Patrem illum quo feliciter generaris, felicius regenerarir». La rige-
nerazione è anche un tema ermetico: cfr. Corpus Her/neticum, XIII
1-7.
19 <<Verum sicut omnes in primo Adam, qui oboedivit Sathanae
magis quam Deo, cuius filii secundum carnem, deformati ab homi-
ne degeneramur ad brutum, ita in Adam novissimo Iesu Christo
INTRODUZIONE XXI
Il Cfr. per questo KRISTELLER, Sources, pp. 55, 61, 83; DE LU-
BAC, Pico, pp. 95-97, 109. Anche nella lettera al Barbaro del 1485,
Pico contrappone il 'sapiente` Giovanni Scoto al `sacrilego' Lucre-
zio (§§ 126-34).
INTRODUZIONE XXIX
58 Per un”analisi del latino dell`Oratio cfr. BAUSI, Nec r/Jetor, pp.
117-41.
XLII INTRODUZIONE
"*° Cfr. al riguardo DI NAPOLI, Giovanni Pico, pp. 375 e 379; Dli
Lula/xe, Pico, p. 85; C1:/WEN, Un caso, pp. 68-69; (loromuu, Micro-
cosrno, p. 295.
“I Cfr. i luoghi delle Dirputationer citati qui nel commento a
Oratio, S 193 quando manavit; e cfr. DI NAPOLI, Giovanni Pico,
pp. 285-86; FARMER,Syncreti.1m, pp. 142-45.
62 Per questi avvenimenti cfr. ora BIONDI, La doppia inc/aierta.
63 Per quanto segue cfr. il mio Giovanni Pico della Mirandola: fi-
losofia, teologia, religione, in «Interpres», XVIII, 1999, pp. 74-9o.
XLIV INTRODUZIONE
(18
Cfr. Commento ai Salmi, pp. 162-64.
6° Heptaplur, III 2, p. 252: «Domini Spiritus quid erit, potius
quam spiritus amoris? Neque enim spiritum scientiae ita proprie
Domini Spiritum dicemus, quoniam et scientia quandoque abducit
a Deo. Amor autem ad Deum semper adducit››; VII, prooemium,
p. 338: «Quare postquam Christus est agnitus, si qui Christum non
induuntur, non solum prima felicitate, sed et secunda, idest natu-
rali, iure privantur, quia gratiam nolle non nisi corruptae est et la-
befactae naturae. [...] Ad hanc felicitatem religio nos promovet,
dirigit et impellit, quemadmodum ad naturalem duce utimur phi-
losophia; quod si natura rudimentum est gratiae, utique et philo-
sophia inchoatio est religionis, neque est philosophia quae a reli-
gione hominem semovet››.
INTRODUZIONE XLVII
2. Edizioni utilizzate
3. Studi critici
BORI, Pluralita
P.C. BORI, Pluralita delle vie. Alle origini del «Discorso»
sulla dignità umana di Pico della Mirandola, Milano, Fel-
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BUCK, L'antropologia
A. BUCK, Giovanni Pico della Mirandola e l'antropologia
dell'Umanesimo italiano, in Atti' 1997, pp. 1-12.
CASSUTO, Gli ebrei a Firenze
U. CASSUTO, Gli ebrei a Firenze nel Rinascimento, Firen-
ze, Olschki, 1945 (prima ediz. ibid., Galletti e Cocci,
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BIBLIOGRAFIA LXIII
COLOMER, Microcosmo
E. COLOMER, Microeosmo e maerocosmo fra il primo e se-
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COPENHAVER, Lbcculzo
B. COPENHAVER, L'oeeulto in Pico, in/1tti1997, pp. 2 1 3-36.
CRAVEN, Un caso
WG. CRAVEN, Pico della Mirandola. Un caro storiografi-
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DALES, A Medieval View
R.C. DALES, A Medieval View of Human Dignity, in
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DE LUBAC, Pico
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DI NAPOLI, Giovanni Pico
G. DI NAPOLI, Giovanni Pico della Mirandola e la proble-
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DU CANGE
Glossarium mediae et inƒimae Latinitatix, conditum a CA-
LXIV BIBLIOGRAFIA
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LELLI, Un collaboratore
F. LELLI, Un collaboratore ebreo di Giovanni Pico della
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SABBADINI, Il metodo
R. SABBADINI, Il metodo degli umanisti, Firenze, Le Mon-
nier, 1920.
LXVIII BIBLIOGRAFIA
MASO D'AQUINO, Exp. Etb., VII 1, 8: «anima humana media est in-
ter superiores substantias et divinas [...] et animalia bruta». E cfr.
FICINO, Tbeol. Plat., III 2, dove si dice che l`anima umana «talis
existit ut superiora teneat, inferiora non deserat, atque ita in ea su-
pera cum inferis colligantur››. La duplice natura dell'u0mo è sotto-
lineata anche nell'Asclepius (VIII e IX), dove pure si insiste sulla
'parentela' fra uomini e dei (XXIII, p. 325: «de cognatíone et con-
sortio hominum deorumque››). - sensuum lumine: nel suo com-
mento all'Asclepius, Ficino esalta l'«acumen mentis», la «sagacitas»
e la «intentio animi» dell'uomo (Opera, vol. II, p. 1860). - stabilis
bymeneum: nel FICINO, Tbeol. Plat., III 2, l”anima dell'uom0 è
definita «universorum connexio», «vinculum››, «Centrum naturae,
universorum medium, mundi series, vultus omnium nodusque et
copula mundí›› Le locuzioni mundi copula e mundi bymeneus sono
sinonimiche. Cfr. ancora ibid., X 3: «[rationales animae] secun-
dum Chaldaeos in confinio sunt aeternitatis et temporis›› (per que-
sto concetto cfr. anche ibid., III 2). «Imene››, «membrana» (greco
upfiv) è in effetti termine tecnico degli oracoli caldaici (Oracula
Cbaldaica, fr. 6 des Places), dove designa il principio intellettivo di
separazione tra gli esseri (cfr. le note dell'ed. des Places, pp. 124-
25). - ab deminutum: cfr. Ps., 8, 6: «minuisti eum paulo minus
ab angelis›› (e DANTE, Conv., IV 19, 7: «Tu l'hai fatto poco minore
3-6 5
molte parti vengono addotti a proposito dell'eccel-
lenza della natura umana: essere, cioè, l'u0mo mes-
saggero tra le creature, affine a quelle superiori, so-
vrano di quelle inferiori; interprete della natura, in
virtù dell'acutezza dei sensi, della capacità analitica
della ragione, della luce dell'intelletto; interstizio tra
l`immobile eternità e il fluire del tempo, e (come di-
cono i Persiani) vincolo, anzi imeneo del mondo, di
poco meno grande - secondo quanto afferma David
- rispetto agli angeli.
Queste ragioni sono certo di grande rilievo, ma 4
non sono le più importanti: non sono tali, cioè, da
poter rivendicare a sé stesse il privilegio di una supre-
ma ammirazione. Perché infatti, allora, non ammiria- 5
mo maggiormente gli stessi angeli, oppure i beatissi-
mi cori celesti? Alla fine mi parve di aver compreso 6
perché felicissimo tra gli esseri viventi, e quindi de-
gno di ogni ammirazione, sia l”uomo; e quale vera-
che li angeli››); PICO, Commento sopra una canzona, III 1, pp. 539-
40: «rettamente dice David che gli uomini sono poco diminuiti
dalla natura angelica [...] e noi dalla dignitate angelica poco dimi-
nuiti>>; Commento ai Salmi, XVII, p. 166: <<[Deus] qui et nos paulo
minus ab angelis minuit››; Heptaplus, III 7: «hominem deminu-
tum ab angelis›› (c qui il § 97). Per la diffusa idea dell'uomo come
“piccolo mondo), nel quale sono racchiuse, insieme allo spirito di-
vino, le diverse nature di tutto ciò che esiste, cfr. ancora /l.sclepiu.t,
VI, p. 302; NI:MEsIo, De natura boininis, I 63-64; BON/\vnNru1</\,
Itinerarium mentis in Deum, II 2-3; MANE'I`TI, De dignitate, I, p. 30;
e anche PICO, Commento sopra una canzona, I 12, p. 478 («la natu-
ra dell'uomo, quasi vinculo e nodo del mondo, è collocata nel gra-
do mezzo dell”universo; e come ogni mezzo participa de gli extre-
mi, Così lluomo per diverse sue parte con tutte le parti del mondo
ha communione e convenienzia, per la quale cagione si suole chia-
mare Microcosmo, cioè uno piccolo mondo»); Heptaplus, aliud
prooemium, p. 192, e V 7, p. 304; e qui il § 1 17.
6 DISCORSO SULLA DIGNITA DELLYUOMO
12. Sed admiraretur: che l'uomo sia stato creato da Dio per-
ché ne ammiri l'opera afferma, ad esempio, L/\TT/\NZI(), De ira Dei,
XIV 1: «Sicut mundum propter hominem machinatus est [Deus],
ita ipsum propter se tamquam divini templi antistitem, spectato-
rem operum rerumque caelestium››. E cfr. anche MANI;'I'TI, De di-
gnitate, III, p. 96: «Fecit igitur Deus hominem ut per quandam ad-
mirabilium operum suorum intelligentiam certamque cognitionem
eorum opificem recognosceret et coleret››. Si tratta di un motivo
anche ermetico; vedi Corpus Hermeticum, III 3 («Dio ordinò poi
che fossero creati gli uomini, perché conoscessero le opere divine
[...]. Dio creò gli uomini perché contemplassero il cielo, la corsa
degli dei celesti, le opere divine››) e X 15; /lsclepius, VIII-IX.
8 DISCORSO SULLA DIGNITA DELL,UOMO
Per effeta nel senso di `sfinita dai parti' cfr. la «effeta tellus» di LU-
(IREZIO, II 1150. Che «non è proprio di Dio [...] lo stancarsi» si leg-
ge nel Corpus I-Ierinetieum, XVIII 1 (e anche 3: «Dio è un soffio in-
stancabile››); che il mondo sia «divinitatis partum›› afferma l'Ascle-
pius, VIII, p. 305.
17. opifex: il termine, per designare il creatore dell'universo, E-:
già impiegato dai poeti classici (OVIDIO, Met., I 79; LUGANO, X
267), e ricorre con frequenza negli autori cristiani. Qui cfr. in par-
ticolare CALCIDIO, In Timaeum, 26, p. I 86, dove si afferma che Dio
edificò il mondo «tanquam opifex aliquis manibus ceterarumque
artiurn molitione». E cfr. anche il § 56 (e la nota relativa), oltre a
PICO, Commento sopra una canzona, I 9, p. 473 («opefice del mon-
do››) e III 10, p. 570 («l'opifice del mondo»); Commento ai Salmi,
pp. 170, 188, 220.
18. indiscretae imaginis: indiscretus vale qui indeterminato',
IO DISCORSO SULLA DIGNITA DELL›UOMO
20. pro posui: cfr. Eccli., 15, 14: «Deus ab initio constituit ho-
minem, et reliquit illum in manu consilii sui» (V/\Lt:I<I-1-G/\LII1oIs,
Le périple intellectuel).
22. arbitrarius fictor: nel senso di `volontario`, arbitrarius è at-
testato in Plauto e in Gellio; qui la fonte è però M/\I<zI/\No C/\I›uI.-
LA, I 68, dove Giove è definito «fictor arbitrarius [mundi]›› (ed è
notevole che l`espressione sia riferita da Pico all”uomo). L'aggetti-
vo bonorarius è invece tecnicismo giuridico, applicato di norma ai
magistrati designati dal pretore; qui vale `straordinario', ossia “reso
tale da Dio', che è invece plastes et fictor ordinarius (o naturalis).
Cfr. anche la lettera di Poliziano a Pico del 2 maggio 1494: <<non
quidem ut iudex, sed ut arbiter honorarius» (POLIZIANO, Opera
omnia, p. 164). La fonte dell”immagine è PLOTINO, Ennead., l 6
[1], 9, 13: «Non smettere di costruire la statua di te››.
23. Poteris regenerari: per la contrapposizione degenerare / re-
generari (e per i rinvii ai luoghi paralleli dcll'I-Ieptaplus e del Com-
I2 DISCORSO SULLA DIGNITÀ DELLYUOMO
mento ai Salmi) cfr. Introduzione, pp. XX-XXI. E cfr. qui anche l'an-
titesi reformant / deformant al § 35.
25. Bruta sunt: cfr. LUCILIO, 623 Marx (citato in NONI() MAR-
CELLO, De compendiosa doctrina, p. 109 Lindsay): «ita uti quisque
nostrum e bulga est matris in lucem editus» (dove bulga, `borsa`, è -
così come nella nostra traduzione - metafora per `utero'). La cita-
zione tornerà nelle Disputationes adversus astrologiam, IV 5, p. 4 5 8.
26. Supremi aeternitates: come osserva DE LUBAC, Pico, pp.
63-64, la precisazione paulo mox (`poco dopo') si riferisce qui alla
caduta di Lucifero e degli angeli suoi seguaci, che - esercitando un
libero arbitrio analogo a quello dell'uomo - si ribellarono a Dio
all'indomani della creazione.
27. omnifaria: il rarissimo aggettivo omnifarius, attestato in po-
chi autori cristiani (cfr. BAUSI, Nec rbetor, p. 136), ricorre inoltre
nell'I-Ieptaplus (aliud prooemium, p. 186) e nella precedente reda-
zione dell`Oratio (§ 27). Lo impiega anche il Poliziano nei Miscella-
nea, I 74 (Opera omnia, p. 284): «omnifariae historiae».
29. Si filius: cfr. GIAMBLICO, Protrepticus, V, p. 35 Pistelli:
«Privato dei sensi e dell'intelletto, l'uomo diventa simile a una
pianta; privato del solo intelletto, diventa una bestia; privato
dell'irrazionalità, ma restando in possesso della ragione, diviene af-
24-39 13
O somma liberalità di Dio Padre, somma e mirabile
felicità dell'uomo, cui è concesso di ottenere ciò che
desidera, di essere ciò che vuole! Gli animali bruti, ap-
pena vengono alla luce, recano con sé (come dice Lu-
cilio) dalla borsa della madre ciò che sono destinati a
possedere. Le intelligenze supreme furono sin dall”ini-
zio, o da poco dopo, ciò che saranno per l'eternità sen-
za fine. Nell'uomo, all'atto della nascita, il Padre infu-
se i semi di ogni specie e i germi di ogni genere di vita.
Cresceranno, e in lui produrranno i loro frutti, quelli
che ciascuno coltiverà. Se coltiverà quelli vegetali, di-
venterà una pianta; se quelli sensuali, abbrutirà; se
quelli razionali, riuscirà un essere celeste; se quelli in-
tellettuali, sarà un angelo e un figlio di Dio. E se, non
accontentandosi di alcuna delle sorti assegnate alle
creature, si raccoglierà nel centro della sua unità, di-
ventato un solo spirito con Dio, lui che fu stabilito so-
pra tutte le cose sarà superiore a tutte le cose, nella so-
litaria caligine del Padre.
46. cum z'nrz`pic›nlz`/aus: cfr. Ps., 48, 21; <<IIomo, cum in honore
esset, non intellexit. Comparatus est iumentis insipientibus, et si-
milis factus est illis››. Citato anche nell'Hepraplus, IV 6, p. 284, e
nel Co/nƒnento supra una canzona, III 1o, p. 574: «né può essere se
non debile e inferma l`anima che sempre sopra il corpo prostrata
mai in sé non si diriza e in sé stessa rivolgendosi e' sua tesauri mai
riconosce, ma, come dice Asaf, essendo in dignità e onore posta,
non si conosce e simile diventa a' bruti insipienti›› (dove Pico attri-
buisce ad Asaf il salmo 48: cfr. la nota seguente). - .red 0mnv_v:
cfr. Pr., 81, 6: «Ego dixi: Dii estis, et filii Excelsi omncs»; Iob., 1o,
34. Il Salmo 81 reca l'intitolazione «Psalmus Asaph››; Asaf, cantore
e poeta sacro, era il direttore dei musici del tempio (cfr. 1Cr0n., 6.
39; 16, 5 e 7; 25, 1, 2 e 6; 2Cr0n., 5, 12); a lui la tradizione attribui-
sce dodici salmi. Cfr. anche la nota precedente.
22 DISCORSO SULLA DIGNITÀ DELLIUOMO
che ora s'accresce fino ad essere uno solo da molti, ora all'incontro
sua natura scinde a esser molti da uno»; e W. 16-17). Pico parla di
vir Titanica e di vir Phebea alludendo, rispettivamente, a Seth (che
smembrò Osiride, e che i Greci identificarono col titano Tifone) e a
Horos (che, come si è detto, vendicò il padre Osiride, e che eta
identificato con Apollo): cfr. PLUTARCO, De Iride et Oriride, 371b
(«Tifone invece rappresenta quella parte dell'animo vitale soggetta
alle passioni, priva di ordine e di intelligenza, titanica, insomma››),
373c, 375f. Inoltre, l'unità era identificata dai pitagorici con Apol-
lo: cfr. ibid., 354f, 38 1f; ID., De E apud Delp/vor, 388f; PL()TINO, En-
nead., V 5, 6; F1c1No, T/øeol. P/ar., IV 1.
83. iustum Iob: per il «giusto›› Giobbe cfr. Iob, 1, 1: «erat vir ille
simplex, et rectus, ac timens Deum, et recedens a malo». - qui
vitam: i commentatori rinviano qui a Iob, 31, 18: «ab infantia mea
crevit mecum miseratio, et de utero matris meae egressa est me-
cum››; ma forse qui Pico ha confuso Giobbe con Geremia (cfr. in-
fatti Ier., 1, 5: «priusquam te formarem in utero, novi tc; et ante-
quam exires de vulva, sanctificavi te, et prophetam in gentibus de-
di te>›). - decem ei: cfr. Dan., 7, 10: «millia millium ministrabant
ei, et decies millies centena millia assistebant ei›› (così citato nel-
l'Heptaplur, III 6, p. 264: «et verum erit illud Danielis: “decies mi-
lia assistebant ei, et mille milia ministrabant ei”››). Il versetto di
Daniele è citato anche da Gregorio Magno in un luogo sopra ricor-
dato delle Homil. in Evang. (II 34, 12 = PL LXXVI, 1254), e dal
FICINO in Tbeol. Plat., I 5. - Qui excelrir: cfr. Iob, 25, 2: «qui fa-
cit concotdiam in sublimibus eius», così citato nelle Concluriones,
82-Ss 37
nel seno del Padre, che sta al sommo della scala, ci
annienteremo nella teologica felicità.
Interroghiamo anche il giusto Giobbe, che strinse
un patto col Dio della vita prima di esser generato al-
la vita, e chiediamogli che cosa l'eccelso Dio maggior-
mente desideri in quei milioni di angeli che lo assisto-
no: la pace, risponderà senz'altro, giusta quello che
nel suo libro si legge: «Colui che fa la pace nell'alto
dei cieli›>. E poiché l°ordine mezzano si fa interprete
presso le intelligenze inferiori dei decreti dell'ordine
supremo, il filosofo Empedocle interpreti per noi le
parole del teologo Giobbe. Egli, come attestano i
suoi versi, ci indica mediante la contesa e l'amicizia,
I 6 (De divino furore), pp. 25-26: «[Plato] oriri vero poeticum hunc
furorem a Musis existimat. [...] Musis, id est celestibus numinibus
atque cantibus, divini homines conciti, ad eorum imitationem poe-
ticos modos ac numeros meditantur». Per la musica delle sfere ce-
lesti, che può essere udita solo con le orecchie dell”anima, cfr. an-
che PICO, Epistola a Ermolao Bar/raro, 62: «Assume illas Thianei
aures, quibus - cum omnino non erat in corpore - non terrestrem
Marsiam, sed Apollinem caelestem divina cithara universi melos
ineffabilibus temperantem modis exaudiebat».
112. Tum ortendenr: cfr. Rm., 1, 2o: «Invisibilia enim ipsius, a
creatura mundi, per ea quae facta sunt, intellecta, conspiciuntur»
(Progetto Pico [Marchignoli]); citato anche da FICINO, Lettere, I 6
(De divino furore), p. 22: «Itaque Paulus ac Dionisyus [...] invisibi-
lia Dei asserunt per ea quae facta sunt queque hic cernuntur intel-
ligi». Qui l'allusione è al furore iniziatico, ispirato da Bacco; cfr.
l'accenno ai «mysteria›>, e cfr. FICINO, Comm. in Coma., VII 14:
«alter [furor] mysterialis [...] mysterium a Dionysio››. Il «Musarum
dux›› (Mu.rag¢›te,r) è propriamente Apollo, ma l'appellativo veniva
talora assegnato anche a Mercurio, Ercole e - appunto - Bacco
(cfr. FORCELLINI, ru. Musagetes, vol. VI, p. 299); qui l`indicazione
di Bacco quale “guida” delle Muse è però funzionale a una precisa e
complessa simbologia orfica (per cui cfr. l'Intr(›duzz'om›, pp. XXXV-
XXXVI). - inc/rrzkzbíl Dei: cfr. Pr. 35, 9: «[filii hominum] inebria-
buntur ab ubertate domus tuae›› (citato da Pico anche nelle Con-
clurioner, p. 130 = C0nclusz'0ne.r cabalistícac, 17). L'allusione all'eb-
brezza (inc/øriabít) si lega qui, senza dubbio, all”idea 'accessoria' di
Bacco dio della vite e del vino, ma anche alla nozione di *ebbrezza
divina', ossia di estasi mistica e rapimento soprannaturale (cfr. qui
§ 93). Cfr. Pl(l(), Com*/u.\'z'0ne.r, p. 124 (C0ncluríone.r dc modo miel-
/igendz' bymnos Or/2/:ei secundum magiam, 24); «Non inebriabitur
per aliquem Bacchum, qui suae Musae prius copulatus non fuerit››;
e inoltre WIND, Misteri, pp. 336-37. - duplicifurore: si tratta dei
111-113 53
due furori cui Pico allude nel § seguente: quello divinatorio e quel-
lo amoroso, che (dipendenti rispettivamente da Apollo e da Vene-
re) mettono direttamente l'uomo 'invasato` in contatto con la divi-
nità. Cfr. ancora FICINO, Leltcre, I 6 (De dz'vz`noƒurore),' pp. 27-28.
1 13. inde fuerint: il Marchignoli (Progetto Pico) rinvia giusta-
mente a PLUTARCO, De E apud Delpbor, 387b, dove, citando Ome-
ro, si fa riferimento - come qui - all`arte divinatoria che procede
da Apollo: «poiché tutto il presente deriva e dipende dal passato e
tutto il futuro è legato al presente secondo un processo che corre
da un principio a una fine, colui che possiede la scienza di connet-
tere e porre in relazione le cause tra loro secondo il rapporto natu-
rale, è anche in grado di annunciare “il presente e il futuro e il pas-
sato" [OMERO, Il., I 7o]». I-Ia in mente questo verso omerico anche
BOEZIO, Dc mm: pbíl., V m. 2, 11-12; «Quae sint, quae fuerint ve-
niantque, I uno mentis cernit in ictu››; e cfr. Fl(ìlN(), Dc role, VI:
«Apud Aegyptios Minervae templis aureum hoc legebatur inserip-
tum: “Ego sum quae sunt, quae erunt et quae fuerint"» (Pm.ralorz`
/alím', p. 982). - ífzscctilz' acvoz l'1'11_reclilc acvum (letteralmente
`l'evo indivisibile') è l'eternità. Ifaggcttivo m.rectz'/z'.\', derivante da
ínreco, è attestato solo nel latino umanistico, e il primo ad usarlo
sembra essere stato il Barbaro nella sua parafrasi di Temistio. Pico
lo impiega anche nell'epistola allo stesso Barbaro, § 93: «stat punc-
to insectili et individuo›› (cfr. BAUSI, Nec r/Jclor, p. 47). - illorum .;.
amatorcr: il furore divinatorio («illorum Phebei vates», dove illo-
rum si riferisce a «quae sunt, quae erunt quaeque fuerinr››) e quello
amoroso («huius alati erimus amatores», dove /Juzm si riferisce alla
«primaeva pulchritudo››; con alalí Pico allude non solo alle plato-
niche «ali›› dell'anima [per cui cfr. § 94 e nota alatis Mercurííl,
ma anche a quelle di Eros, figlio di Venere e dio dell'amore). Cfr.
FICINO, Comm. in Conv., VII 14: «tertius [furor] vaticinium [...]
vaticinium ab Apolline [...] amatorius affectus est quartus [...]
54 D1scoRso SULLA DIGNITA DELL'UoMo
utriusque linguae›› (cfr. per tutto questo BAUSI, Nec rlwtor, pp.
121-22; RIZZO, Cinnur, pp. 335-46). Qui cynnus designa l'uomo in
quanto partecipe di tutte le cose e di tutte le nature, per la sua po-
sizione di mterrtitzum e per la sua condizione di 'microcosmo' (cfr.
la nota precedente).
1 18. Qui... rcríprerunl: cfr. PLATONE, /llcí/2. I, 131a- 133c.
119. Por/frcmo diceumr: cfr. PLUT/\R(10, De E apua' De/p}J0.t,
392a; 393a-b: «Invece il dio esiste. “Tu sei", dobbiamo proclamare.
Esiste non nel tempo, ma nell`eternità immobile, senza tempo, sen-
za mutamenti, che non ha un prima e un dopo: essa non conosce fu-
turo né passato, vecchiezza e gioventù. Essendo unico, egli abbrac-
cia l'eternità nell”unico suo presente, e solo ciò che esiste a queste
condizioni esiste realmente, non soggetto né al passato né al futuro,
né all'inizio né alla fine». Il saluto «tu sei›› vuole dunque riconosce-
re l'eternità e l'unicità di Dio, di contro alla molteplicità e al diveni-
re cui sono soggetti gli uomini e tutto quanto si trova sulla terra.
120. quod exi.rtzmavíl: allusione al titolo di «filosofo» (`amante
della sapienza') che Pitagora - rifiutando la qualifica di `sapiente` -
coniò per sé stesso. Cfr. ad esempio DIOGENE LAERZIO, Vitae, I 12 e
VIII 8; CICERONE, Tura, V 8: «Cuius [rail Pythagorae] ingenium et
eloquentiam cum admiratus esset Leon, quaesivisse ex eo qua maxi-
me arte confideret; at illum artem quidem se scire nullam, sed esse
58 D1sc0Rso SULLA DIGNITA DELL'u0M0
versi da sé››; 249c: «solo l'anima del filosofo mette le ali» (e anche
FICINO, Comm. in Conu., IV 4, pp. 172-73; Ißttere, I 6 [De a'iz/mo
furon'], p. 21' PICO Commento ai Salmi, p. 168: «nos, resolutis alis
quas paravit nobis artifex Pater, cadimut in torrentem iniquitatis»).
Per gli <<interpretes Chaldei›› cfr. la lettera pichiana al Ficino qui ci-
tata alla nota precedente; il testo cui Pico si riferisce doveva essere,
evidentemente, un'illustrazione dei Carmina di Zoroastro,
132. Percunclanttløur vitae: fonte non identificata. Per questi
misteriosi «interpretes Chaldei›› cfr. qui le note ai §§ 130-131 (e
cfr. Introduzzone, p. XI.).
133. qui moi": cfr. PI(`,(), Crmclurionei', p. 116 (= Conclu.\*1'one.\'
tlc intelligentia dictorum Zoroa.\'trir, Io): «et ipsi lxcil. Chaldaei] si-
cut et Zoroaster aenigmatice loquuntur››.
134. Nomen meridia: per queste quattro lacune, cfr. la Nola al
ter/0, pp. 173-74. Per i quattro biblici fiumi del paradiso terrestre,
cfr. Gen., 2, 10-14: «Et fluvius egrediebatur de loco voluptatis ad
irrigandum paradisum, qui inde dividitur in quatuor capita. No-
men uni Phison [...] Et nome fluvii secundi Gehon [...] Nomen ve-
64 Dtscoaso SULLA DIGNITA DELL”uoMo
ro fluminis tertii, Tigris [...] Fluvius autem quartus, ipse est Euph-
rates» (C PICO, Conclurioner, p. 56 = Conclusione; secundum doctri-
nam rapicntum Hebraeorum Ca/aalirtarum, 1 1).
1 35. profecto perferamur: le quattro discipline attraverso cui si
snoda il percorso gnoseologico tracciato da Pico sono paragonare ai
quattro punti cardinali, dai quali si dipartono i quattro fiumi para-
disiaci (cfr. il § precedente): lioccidente rappresenta la filosofia mo-
rale (che con le sue undae Hibericac - ossia le acque del Mediterra-
neo occidentale -lava le lordure degli occhi: l'accenno alla Spagna
potrebbe forse nascondere un'allusione a «Seneca morale››, nativo
di Cordova), il settentrione la dialettica (che, con la sua boreale li-
vella, aiuta a dirigere rettamente lo sguardo, dissipando le nebbie
della ragione: cfr. § 71, e Commento ai Salmi, p. 226, dove si affer-
ma che il settentrione «serenitatem indicit››), l'oriente la filosofia
naturale (che, con la sua debole luce, simile a quella del sole na-
scente, ci avvicina alla conoscenza di Dio), il meridione la teologia
(che ci consente di contemplare in tutto il suo splendore la luce so-
lare della divinità). Cfr. al riguardo la nota del CI(;0(;N/\NI, pp. 42-
43, e BAUSI, Nec r/aeior, pp. 11 8-19 e 136 (anche per le rarissime vo-
ci borealis e meridiare). Da notare anche i due omeoteleuti, fra loro
consonanti: expiemur / lineemur e arruercamus / perferamus.
136. Hae cognitiones: cfr. Pr., 54, 18: <<Vespere et mane et me-
134-136 65
140. iuxta affecit: cfr. Icr., 9, 21: «Quia ascendit mors per fe-
nestras nostras, ingressa est domos nostras›› (Pico ha certo in men-
te la tradizionale interpretazione allegorica di questo passo, secon-
do la quale Geremia allude alla morte che entra nell'anima attra-
verso le “finestre” dei sensi, e in particolare degli occhi: cfr. MAR-
TELLI, Arcendit mors, pp. 53-64, con esempi di Gerolamo, Agosti-
no e Petrarca). Ricordo anche che il fegato e il petto sono per Pla-
tone, rispettivamente, la sede dell'anima concupiscibile e di quella
irascibile (cfr. sopra, § 79, nota sul) pulvere umbra). - Rapbaelem
medicum: cfr. GREGORIO M/\(;N(), Homil. in Eoang., XXXIV 9
(PL LXXVI, 1251): «Raphael vero dicitur medicina Dei››. E anche
T0/9., 3, 25: «et missus est angelus Domini sanctus Raphael, ut cu-
raret eos ambos›› (cioè Tobia, infermo agli occhi, e Sarra, possedu-
ta da un demone).
141. Dei Gabriel: per questa illustrazione etimologica del no-
me Gabriel cfr. ad esempio GREGORIO MAGNO, Homil. in E1/ang.,
II 34, 9 (PL LXXVI, 1251): «Gabriel autem fortitudo Dei››. - ra-
cerdoti Micbaeli: cfr. ibid.: «Michael namque, quis ut Deus; [...]
et quoties mirae virtutis aliquid agitur, Michael mitti perhibetur, ut
ex ipso actu et nomine detur intelligi quia nullus potest facere
68 D1scoRso SULLA DIGNITA D1-:LL'uoMo
satis implere? Ergo illiberale aut non omnino principis erit non
mercennarium facere studium sapientiae? Quis aequo animo haec
aut ferat aut audiat? Certe nunquam philosophatus est qui ideo
philosophatus est, ut aliquando aut possit, aut nolit philosophari;
mercaturam exercuit ille, non philosophiam›› (PICO, Commeniatio-
ner, f. TT vi r-11 = Opere complete, epistole di Pico, XXXVI).
146. Quin exribilari: cfr. in DANTE, Conti., I 9, 3-5, la polemi-
ca contro coloro che «non acquistano la lettera per lo suo uso, ma
in quanto per quella guadagnano denari o dignitade» e che «per
malvagia disusanza del mondo hanno lasciata la litteratura a coloro
che l'hanno fatta, di donna, meretrice››; e analogamente III 11, 10-
1 1. E si ricordi anche PIETR/\R(IA, RVF, VII 10-1 1: «Povera et nuda
vai, Philosophia, | dice la turba al vil guadagno intesa››. Per la casta
Pallade (Minerva), dea della sapienza, cfr. anche sopra, § 66 e nota
ordo palladicur; «intactae Palladis›› e <<castae Minervae›› sono in
OR/\z1o, Carm., I 7, 5 e III 3, 23; «castae Palladis» in PI101›EI<z1o,
I4s-147 71
deve essere assolutamente coltivata, o deve esserlo
soltanto da pochi: come se avere chiarissime davanti
agli occhi e a portata di mano le cause dei fenomeni,
le vie della natura, il principio ordinatore dell'univer-
so, i disegni divini, i misteri dei cieli e della terra, non
abbia il benché minimo valore, a meno che non si
possa ricavarne un qualche prestigio o procurarsene
un qualche guadagno. Anzi, siamo giunti (ahimè) a I
149. relícla cum: fin dal 1483, Pico aveva rinunciato all”ammi-
nistrazione del suo cospicuo patrimonio, conservando per sé sol-
tanto un terzo delle rendite; tre anni prima della morte, poi, secon-
do quanto narra Giovan Francesco nella Vita (pp. 62-64), decise di
lasciare completamente la cura delle cose temporali, vendendo tut-
ti i suoi beni e destinando ai poveri gran parte del ricavato.
150. Quae omnia again: come osservato da BORI, Plum/ità, p.
76, questo passo (§§ 147-go) riecheggia PLATONE, /lpo/ogía Socr.,
147-Isz 73
rità. Questo riconoscerò a me stesso, e sotto questo 148
aspetto non mi vergognerò di lodarmi: il fatto di es-
sermi dedicato alla filosofia per nessun'altra ragione,
se non per essere filosofo, e di non aver desiderato né
cercato altra ricompensa o altro guadagno dai miei
studi e dalle mie ricerche, se non il nutrimento della
mia anima, e la conoscenza di quella verità sempre da
me sommamente agognata. Della quale sempre sono 149
stato a tal punto bramoso e desiderosissimo, che,
messa da parte ogni cura delle faccende private e
pubbliche, mi sono dedicato interamente all'ozio
contemplativo, dal quale nessuna calunnia degli invi-
diosi, nessuna malignità dei nemici della sapienza ha
fino ad ora potuto, né potrà in futuro distogliermi.
Proprio la filosofia mi ha insegnato a dipendere dalla 150
mia coscienza, piuttosto che dalle opinioni altrui, e a
pensare sempre non tanto a non essere giudicato ma-
le, quanto a non dire o fare io stesso qualcosa di male.
Non ignoravo certamente, venerandissimi padri, 151
che questa mia discussione sarebbe risultata tanto
gradita e piacevole a voi tutti, che proteggere le arti li-
berali e che avete voluto onorarla della vostra augu-
stissima presenza, quanto gravosa e molesta a molti
altri; e so che non mancano quelli che già da prima
hanno condannato questa mia impresa, e che anche
ora sotto molti aspetti la condannano. E così: le azio- 152
ni compiute rettamente e onestamente, a fini virtuosi,
hanno sempre avuto un numero di ringhiosi detratto-
162 saria. Quo forte fit ut et Caldei, in eius genesi qui phi-
losophus sit futurus, illud desiderent, ut Mars Mercu-
rium triquetro aspectu conspiciat, quasi si hos con-
gressus, haec bella substuleris, somniculosa et dormi-
tans futura sit omnis philosophia.
163 At vero cum his qui me huic provinciae imparem
dicunt, difficilior est mihi ratio defensionis: nam si
parem me dixero, forsitan inmodesti et de se nimia
sentientis, si imparem fatebor, temerarii et inconsulti
164 notam videor subiturus. Videte quas incidi angustias,
quo loco sim constitutus, dum non possum sine culpa
de me promittere quod non possum mox sine culpa
165 non praestare. Forte et illud Iob afferre possem, spi-
ritum esse in omnibus, et cum Timotheo audire: «Ne-
cenna. Panno parte degli otto filosofi arabi cui è dedicata la secon-
da sezione della prima parte delle Conc/u›`ione.r (Conclusionex rc-
cundum doctrinam Ara/zum, qui ul plurimum peri'/Jaletícos se profi-
lentur). Per il divinum che e proprio dei platonici cfr. § 190 e nota
illud .tymbolu/n.
188. I filosofi greci di scuola aristotelica: Simplicio, Temistio,
Alessandro di Afrodisia, Teofrasto e Ammonio (quest'ultimo non è
presumibilmente Ammonio Sacca - il maestro di Plotino - né
l`Ammonio menzionato al § 115, bensì Ammonio di Alessandria,
figlio di Ermia e discepolo di Proclo, vissuto nel VI sec., espositore
di Aristotele: cfr. C1<:o(;NAN1, p. 116, e FARMER, Synm-mm, p.
284). Le tesi ad essi relative costituiscono la terza sezione della pri-
ma parte delle Cor/clu.tione.r (Concluxiones secundum Graecos qui
peripalelicam Ieclam profilenlur). L`aggettivo compendiaria, riferito
a Temislio, allude certo alle sue parafrasi di alcune opere aristoteli-
che, latinizzate da Ermolao Barbaro (la versione barbariana, stam-
pata nel 1481, fu apprezzata e studiata a fondo da Pico, anche sot-
to l`aspett0 linguistico: cfr. BAUSI, Per Giovanni Pico, pp. 272-85).
189. laarßarorum mysteria: trasparente allusione all'opera mag-
giore di Giamblico, il De my1'terii.t, dedicato allo studio, e all'inter-
pretazione in chiave neoplatonica, dell'antica sapienza filosofico-
rcligiosa degli Egiziani e dei Caldei (in Pico, come in Proclo, i «bar-
bari›› sono generalmente i Caldei: cfr. FARMIJR, Syncreli.rm, p. 325);
187-189 89
cio. Dei, VIII 12 (dove dei platonici si dice che «de uno Deo qui fe-
cit caelum et terram, quanto melius senserunt, tanto ceteris glorio-
siores et illustriores habcntur››) e IX 1. Qui Pico segue l'opinione
tradizionale (fatta propria, ad esempio, anche dal Ficino) secondo
cui l”aristotelismo, occupandosi prevalentemente delle cose natu-
rali, è in qualche misura propedeutico rispetto al platonismo, che
si occupa, invece, dei divini misteri (cfr. V/\I.()KI5, Il ritorno ad/lrzl
slolele, pp. 339-40). - verbo invidia: la precisazione è probabil-
mente rivolta verso chi - come, in modo particolare, il Ficino -
non poteva certo guardare con favore (né tanto meno sottoscrive-
re) il primato che qui Pico si attribuisce nella moderna riscoperta
della filosofia platonica (cfr. Introduzione, pp. XXXVIII-XXXIX).
196. arymboli: propriamente, atynz/›olu.\: e colui che non porta il
proprio contributo al banchetto; ma la voce e impiegata anche in
senso figurato. Su questo termine si sofferma Poliziano nel capito-
lo 43 della seconda centuria dei Miscellanea (p. 75: «Inde `asymbo-
lus' dicitur eleganter, hoc est cìoúußoltoç, qui nihil ad cenam confe-
rat, idque eleganter transfertur ad eos qui nihil in amicorum ser-
94 DISCORSO SULLA DIGNITÀ DELL'UOMO
50; ID., Tusc., IV 44; VALERIO MASSIMO, VIII 7, ext. 2-3; SENEC/1,
Episl., LVIII 30; GIROLAMO, Epist., LIII 1. Una vera e propria ri-
trattazione, su questo punto, sarà dettata da Pico nelle Dispulatio-
nes, XII 2, pp. 492-94: «Neque vero nos fallat, quod me quoque
adolescentem olim fallebat, celebrata veteribus etiamque Platoni
Aegyptiorum sapientia et Chaldaeorum, quos adisse Pythagoram et
Democritum, Eudoxum, Platonem, alios complures, non ob aliud
quam comparandae sapientiae gratia, memoriae proditum est».
222. Xamolsidem: secondo la tradizione, il tracio Zalmossi era
stato servo di Pitagora, dal quale aveva appreso la dottrina dell'im-
mortalità dell”anima; tornato in patria, sarebbe stato incoronato re
e venerato come un dio. Cfr. ERODOTO, IV 94-96; PL/\T()NE,
Cbarm., 156d-e;STRABoN1:, VII 3, 5;D1oGENE L/11311210, Vi'iae,I 1
(dove è elencato fra i primi cultori della filosofia, insieme - fra gli
altri - ai Magi e a Zoroastro) e VIII 2; APULEIO, /-lpologia, 26;
IO8 DISCORSO SULLA DIGNITA DELL`UOMO
dio, aggiungeva, afferma che, come non si devono curare gli occhi
senza prendere in esame la testa, né la testa indipendentemente dal
corpo, così neppure il corpo senza l'anima, e che questa sarebbe la
ragione per cui ai medici greci sfugge la maggior parte delle malat-
tie [...] Infatti, tutti i mali ed i beni per il corpo e per l'uomo nella
sua interezza, soggiungeva, nascono dall”anima, [...] e l”anima, o
caro, si cura con certi incantesimi e questi incantesimi sono i bei
discorsi, da cui nell'anima si genera la temperanza; una volta che
questa sia nata e si sia radicata, allora è facile ridare la salute alla te-
sta e a tutte le altre parti del corpo››. E anche FICINO, Tbeol. Plat.,
XIII 1: «Scribit et in Charmide Magos illos animae corporisque
medicos, Zalmoxidis Zoroastrique sectatores, arbitrari omnia cor-
poris tum bona tum mala ab anima fluere in ipsum corpus››.
224. Carondas Dartlanus: per questi maghi dell'antichità cfr.
PLINIO, Nat. bist., XXX 8-11 e 14, che menziona Ostane e Darda-
no; TERTULLIANO, De anima, 57 (PL II, 747), che cita Ostane, Dar-
dano e Damigero; APULEIO, Apologia, 27 e 90, che ricorda Ostane,
Caronda (o Carmenda), Damigero e Dardano. Apollonius è Apol-
lonio di Tiana, mago, filosofo e taumaturgo neopitagorico (I sec.
d.C.); Pico possedeva due copie della sua Vita, scritta da Filostrato
e latinizzata da Alamanno Rinuccini (KIBRE, Tbe Library, nn. 43 e
1677). Cfr. anche PICO, Apologia, V, dove è citata l'epistola di Gi-
rolamo a Paolino (Epist, LIII 1): «Appollonius Thianeus sive ma-
gus, ut vulgus, sive philosophus, ut Pythagorici dicunt›› (Commen-
tationes, f. EE i 11 = Opere complete, V 7). - Homerus probabi-
mus; l'inclusi0ne di Omero fra i cultori della magia dipende da
PLINIO, Nat. bist., XXX 5-6: «Maxime tamen mirum est in bello
Troiano tantum de arte ea silentium fuisse Homero tantumque
operis ex eadem in Ulixis erroribus, adeo ut vel totum opus non
aliunde constet, siquidem Protea et Sirenum cantus apud eum non
224-225 111
elementi del cosmo); in questo senso lo impiega qui Pico, che al ri-
guardo dipende da SINESIO, De insomniis, II, pp. 46-48: «Ritengo
perciò che sia necessario che le parti di questo tutto che un unico
respiro anima e un unico sentire, appartengano le une alle altre,
poiché sono appunto le membra di un unico corpo. Probabilmente
è così che si spiegano le iyngi dei maghi caldei. Tutte le cose infatti
si attraggono a vicenda, così come sono segni le une delle altre. Sa-
piente è colui che conosce il legame di parentela che awince le va-
rie parti dell'universo. Egli attira una cosa per mezzo di un'altra,
avendo presso di sé i pegni, per così dire, di ciò che è lontano sotto
forma di figure, incantesimi e sostanze materiali» (e cfr. anche FI-
CINO, Synesius de somniis, in Opera, vol. Il, p. 1969: «illices vel mo-
tacillae magorum», che traduce il uáywv 'íuyycç di Sinesio). Sinesio
(ma quello delle Epistolae) è citato da Pico anche nell`Epistola al
Barbaro, § 36. - sicut vitibus: cfr. ad esempio VIR(;lI.IO, Georg., I
2 («ulmisque adiungere vitis›>) e II 221 («intexet vitibus ulmos››);
ma soprattutto COLUMELLA, De re rustica, XI 2, 79: <<ulmi quoque
vitibus recte maritantur››, e anche ORAZIO, Eporl., II 9-10: «ergo
aut adulta vitium propagine l altas maritat populos››. - ila mari-
tat: cfr. FICINO, Comm. in Cona., VI 10: «Magice opus est attractio
rei unius ab alia ex quadam cognatione nature. Mundi autem huius
partes, ceu animalis unius membra, omnes ab uno auctore penden-
tes, unius nature communione invicem copulantur››; PICO, Conclu-
siones, p. 118 (= Conclusiones magicae, 13): «Magicam operari non
est aliud quam maritare mundum››. E anche ibid., le conclusioni 5
(«Nulla est virtus in caelo aut in terra seminaliter et separata, quam
et actuare et unire magus non possit››) e 1 1 («Mirabilia artis magi-
cae non sunt nisi per unionem et actuationem eorum, quae semina-
liter et separate sunt in natura››).
I I6 DISCORSO SULLA DIGNITA DELL,UOMO
232. Pleni tuae: cfr. Is., 6, 3; «plena est omnis terra gloria
eius››; Habac., 3, 3: «et laudis eius plena est terra››.
233. sicut adlatrant: per un'analoga immagine cfr. il § 264.
234. Venio attuli: si tratta dell'ultima sezione della seconda
parte delle Conclusiones, contenente settantuno tesi cabalistiche ex
ipsis Hebraeorum sapientum fundamentis Cbristianam religionem
maxime confirmantes. Sulla penultima sezione (la decima, relativa
all'interpretazione degli inni orfici) Pico si soffermerà più avanti
(§§ 258-63). - circumlatorum: il sostantivo circumlator è attestato
nel latino medioevale col significato di praestigiator, anche nel sen-
so di 'imbroglione', “ciarlatano', con cui Pico lo impiega qui e al-
230-234 117
235. Hesdras Origenes: cfr. 4Esdr., 14, 3-6, dove così il Signo-
re parla a Esdra: «et enarravi ei [scil. a Mosè] mirabilia multa et
ostendi ei temporum secreta et temporum finem, et praecepi ei di-
cens: “Haec in palam facies verba et haec abscondes"›› (il III e il
IV libro di Esdra, alla cui autenticità Pico evidentemente credeva,
sono oggi ritenuti apocrifi; per il testo del IV libro cfr. Die Esra-
Apokalipse (IV.Esra), herausgegeben von B. VIOLET, Lepizig, ].C.
I'Iinrichs'sche Buchhandlung, 1910); ILARIO, Tractatus in Psalmos,
Il 2 (PL IX, 262-63), da tener presente anche per i §§ seguenti:
«idem Moyses, quamvis Veteris Testamenti verba in litteris condi-
disset, tamen separatim quaedam ex occultis legis secretiora myste-
ria septuaginta senioribus, qui doctores deinceps manerent, inti-
maverat›› (il passo è citato da Pico anche nell'/lpologia, V, in Com-
mentationes, f. EE iiii v = Opere complete, VII 20); ORIGENE,
Comm. in Ioann., XIX 296-97 (PG XIV, 552-53). Cfr. anche il pas-
234-237 I 19
sciocchezze prive di fondamento o frottole di ciarla-
tani, voglio che tutti intendano che cosa e di quale
natura essi siano, donde ricavati, da quali e quanto il-
lustri autori convalidati, e quanto siano riposti, quan-
to divini, quanto necessari a difendere la religione
contro le intollerabili calunnie degli Ebrei. Non solo i 2
della magia naturale (cfr. qui Appendice, II, brano III). Lo ricorda
anche il Ficino nella Tbeologia Platonica (VI 1). - Dactylum
scientiae: Dattilo Ebreo è menzionato, insieme a Flavio Mitridate e
allo stesso Pico (di cui sarebbe stato maestro), in un elenco di sei
umanisti esperti di ebraico, arabo e lingue orientali compreso in G.
GÉNÉBRAND, Cbronograpbiae libri quatuor, Parisiis, apud Ae. Gor-
binum, 1580, p. 433 (cit. in PIEMONTESE, Il Corano, pp. 232-33).
Sono comunque incerte la sua identità (trattandosi di un nome
molto diffuso fra gli ebrei italiani) e la sua origine (ferrarese 0 forse
fiorentina): cfr. CASSUTO, Gliebreia Firenze, p. 317. Altre testimo-
nianze su di lui in BACCHELLI, Giovanni Pico, pp. 65-66 -in ile-
scendere: cfr. PICO, Conclusiones, p. 126 (= Conclusiones cabalisti-
cae, 5): «Quilibet Hebreus cabalista, secundum principia et dicta
scientiae Cabalae, cogitur inevitabiliter concedere de Trinitate et
qualibet persona divina, Patre, Filio et Spiritu sancto, illud praeci-
se, sine additione vel diminutione vel variatione, quod ponit fides
catholica Christianorum››. Di un'analoga 'conversione' operata da
Pico informa Lorenzo de' Medici nella sua lettera a Giovanni Lan-
fredini dell'11 agosto 1488 (citata in Pico, Poliziano, p. 65): «Et tra
gl'altri segni ha convertito uno ebreo giovane assai docto in quella
lingua, al quale faceva tradurre certe opere in casa sua, et con le ar-
me sue medesime è ridocto a farsi christiano››. La locuzione pedi-
bus nianibusque (nel senso di “omnis membris', e quindi `cornpleta-
mente', “in ogni modo') compare in Terenzio e - probabile fonte di
di Pico - nello Pseudo-Quintiliano delle Declamationes, XII 6:
«pedibus manibus íimus in sententiam necessitatis». Cfr. anche, di
Pico, la lettera non datata al Poliziano sulla traduzione di Epitteto:
I 32 DISCORSO SULLA DIGNITÀ DELL,UOMO
feo rivestì gli arcani della sua dottrina con gli involu-
cri delle favole, e li nascose sotto il velame poetico, in
modo tale che chiunque legga i suoi inni non crede vi
sia sotto niente se non storielle e pure e semplici
sciocchezze. Questo l'ho voluto dire perché si sappia 2
' Come scrive il MARCIIIGNOLI (p. roo), F«ha qui alcune lettere
arabe, verosimilmente tracciate da mano inesperta e perciò di diffi-
cile lettura (si potrebbe pensare alla sequenza '-I-r-'-g-w-?-l, ossia
forse al-ragul [(l'uomo'] scritto da chi faccia un uso ingenuo dell'al-
fabeto arabo)››.
I 42 APPENDICE
' Cfr. ORAZIO, /lrs poetica, 39-40: «versate diu quid ferre recu-
sent, I quid valeant umeri››. Al medesimo passo oraziano, Pico ave-
va già fatto riferimento ai §§ 167 e 171 della redazione definitiva.
2 Il Barbaro è definito da Pico «delitias Romanae linguae›› in
una lettera non datata a Girolamo Donà, e «Latinae linguae deli-
cias et bonarum artium omnium insigne promptuarium›› in un'epi-
stola - parimenti non datata - allo stesso Barbaro. Cfr. Commenta-
tiones, rispettivamente ff. SS iiii v e TT v r (= Opere complete,
epistole di Pico, IX e XXXII).
3 Cfr. ERMOLAO BARBARO, Epistolae, vol. I, p. 15: «Qui se doc-
tum credit, non potest non indoctus esse» (è un passo della prefa-
zione del Temistio a Francesco Tron). E cfr. anche POLIZIANO,
Miscellanea I, praef. (Opera, p. 214): «Nihil autem forsan intolera-
bilius, quam ut de te sententiam ferat indoctus, qui tamen sibi ipse
156 APPENDICE
1° Per la forma esatta del nome, cfr. qui il commento alla reda-
zione definitiva, § 208.
NOTA AL TESTO 1 65
nell'Apologia (ma solo in A, giacché A' presenta il medesi-
mo refuso, mentre A2 legge Epimeaide). Del resto, in tre
delle Conclasiones e nel Commento sopra una canzona de
amore di Girolamo Benivieni il titolo del dialogo platonico
è riportato nella forma corretta." Epiaomide è anche lezio-
ne di tutti i moderni editori dell'Oratio.
244: «Quod maxime confirmat Dionysius Areopagita,
qui secretiora mysteria a nostrae religionis auctoribus [...]
idest ex animo in animum, sine litteris, medio intercedente
verbo ait fuisse transfusa››. La princeps, e la sua contraffa-
zione lionese, non disponendo di caratteri greci, recano
uno spazio bianco al posto della citazione dallo Pseudo-
Dionigi Areopagita; la lacuna fu colmata dalle stampe basi-
leensi (Bs' e Bs2), che - seguite da tutti gli editori moderni -
riportano la citazione in questa forma: ÈK voòç sig voñv,
ötà ttéoou Àóyou (De ecclesiastica /Jierarcbia, I 4, in PG III,
376). Credo però che il testo greco da citare sia più ampio,
e coincida con quello che le suddette stampe basileensi ri-
portano nel passo corrispondente dell'Apologia: àlc voòç,
sig voôv, ôtà uéoou Aóyou ocouatucoñ pàv, àvkótápou ôà
öpcoç, ypotcpñg eictòg (“da intelligenza a intelligenza, me-
diante parole, sensibili sì, ma tuttavia più immateriali per-
ché fuori da ogni scritto”).12 E ne sono convinto perché la
traduzione - sia pure abbreviata - fornita da Pico presup-
pone anche le parole che seguono («sine litteris›› corrispon-
de al greco ypacbfig e1<tòg);“ e inoltre perché la lacuna reca-
ta dalla princeps dell'Oratio (nonché da A e A') in luogo
della citazione greca si estende per oltre un rigo, presuppo-
nendo così un testo più lungo di quello riportato da Bs' e
Bs2, e meglio adattandosi al testo che le medesime stampe
basileensi citano nel luogo corrispondente dell'Apologia.
22 Cfr. qui più avanti, pp. 178-79. Meno cauto, a questo propo-
sito, FARMER, Syncretism, p. 171.
Z3 Per quanto segue, nonché per alcune utili indicazioni biblio-
grafiche, ho beneficiato dell'esperta consulenza dell'amico e colle-
ga Fabrizio Lelli, che ringrazio cordialmente.
24 WIRSZUBSKI, Encounter, pp. 199-200.
I 72 NOTA AL TESTO E APPARATI
Redazione definititia
Redazione palatina
Addendum
Evante persiano, 43 AI 25
AI 43
Maometto, 36
Filolao, 208 A136
Francesco, cfr. Francesco di Marte (pianeta), 162
Meyronnes AI 131 (pianeta)
Francesco di Meyronnes, 186, Mauri, cfr. Arabi
193 Mercurio (divinità), 94 (per an-
AI I22 tonomasia), I62 (pianeta)
Al 131 (pianeta)
Gabriele, arcangelo, 141 Mercurio (Mercurio Trismegi-
AI 109 sto), cfr. Ermete Trismegisto
Geremia, 140 Michele, arcangelo, 141
AI 108 AI 109
Gerolamo, san, 254 Mitridate, Guglielmo, cfr.
Gerusalemme, 254 (G. celeste) Moncada, Guiglielmo Rai-
Gesù Nave, cfr. Giosuè mondo de
Giacobbe, patrarica, 73, 81 Moncada, Guiglielmo Raimon-
AI 73, 81 do de, (Mitridate, Gugliel-
Giamblico, 189, 260 mo), 113
AI 1 25 Mosè, 13,64, 98, 102, 112, 235,
Giobbe, 60, 83, 84, 165 245, 246
AI 60, 8 3 AI 13, 63, 84, 87
Giosuè, 2 35 Muse, 111, 112
Giovanni Filòpono, 204
Giovanni Grammatico, cfr. Olimpiodoro, 190
Giovanni Filòpono Al 126
Gorgia di Lentini, 176 Omero, 92, 224
Greci, 104, 188, 193, 202, 215, Orazio, Quinto Flacco, AII 155
23°, 259 Orfeo, 258, 259, 261, 262
A189, 114, 115, 116, 124 Origene, 235, 243
Guglielmo d'Alvernia, 225 Oromaso, 222
Guglielmo di Parigi, cfr. Gu- Osiride, 82
glielmo d'Alvernia A1 82
Ostane, mago, 224
Ilario, sant`, 235
Innocenzo VIII, papa, 251 Pallade, 146, 161
Israeliti, cfr. Ebrei AI 130
Paolo, apostolo, 69, 238, 254
Latini, 201, 251 A168
Lucilio, Caio, 25 Persiani, 3, 216, 223
198 INDICI
Pitagora, 120, 199, 208, 221, Simplicio, 1 8 8, 202
239, 255, 260, 261 Al 124
A1 98 Sisto IV, papa, 251
Platone, 109, 1 18, 157, 158, Socrate, 1 29
183, 192, 200, 203, 204, 208,
209, 212, 221, 223, 241, 255, Temistio, 188
266 AI 124
AI 96, 118 Teofrasto, 188
Alcibiades I, 1 18, 223, A196 AI 124
Epinomis, 209 Timeo di Locri, 13
Cbarmides, 22 3 A1 13
Pbaedrus, 109 Timoteo, 165
Plotino, 189, 226 Tommaso d'Aquino, san, 179,
AI 125 186, 205
Porfirio, 189, 216 Al 122
AI 125
Proclo, 190 Ulisse, 224
Al 126
Proteo, 3 3 Vinciguerra, Antonio (detto
M ss Antonio Cronico), 257
A11 156
Raffaele, arcangelo, 140
AI 108 Zalmossi, 222, 22 3
Zoroastro, I 1 8, 131, 135, 222,
Scoto, cfr. Duns Scoto, Gio- 223, 258, 259, 260
Vanni Al 96, 99, 103
Seneca, Lucio Anneo, 197 Zorobabele, 246
Indice degli autori
XXXVIL 3› 32› }3› 4°› 44› 45› nn. 17-18, XXII n. 23, XXIII n.
57, 68, 74,78, 80, 82, 86,87, 24, xxvI1I n. 33, xxx n. 38,
106, 109 XXXI fl. 40, XLIII fl. 60, XLIV
Cicognani, B., 2, 14, 15, 16, 39, n. 64, XLV n. 67, 12, 17
46, 47, 60, 64, 76, 78, 88, Dell”Acqua, G., 150
113,127, 129, 134, 135, 161, Della Fonte, Bartolomeo (Fon-
162,163, 164,169, 185 zio), 54
Ciro il Vecchio, re di Persia, Democrito, 106, 107
125 Demostene, 87
Cittadini, Antonio, 159 Deng-Su, I 14
Claudio Mamertino, 61 Des Places, E., 4, 20, 1 14
Clemente Alessandrino, XXII, Di Napoli, G., xI1I, xv n. 9, xx
14, 108 n. 17, xxv n. 27, xxxI1I n.
Colomer, E., XLIII n. 60 41, XLIII nn. 60-61, 34, 92,
Columella, Lucio Giunio Mo- 167
derato, 1 15 Diels, H., 16, 35, 37, 38, 40, 97
Copenhaver, B.P., 15, 99 Diodoro Siculo, 35, 108
Copernico, Niccolò, XII Diogene Laerzio, 16, 33, 38, 57,
Corneo, Andrea, XXXVII, 24, 59, 101, 105, 107, 109, 121
68, 180 Dionigi Areopagita, pseudo,
Craven, WG., XIII e n. 7, XLIII XXVII C 1'). 31, XLV, 13, I4,
n. 60 22, 23, 24, 28, 29, 37, 52,
Cronico, Antonio, cfr. Vinci- 123, 162, 165, 190
guerra, Antonio Donà, Girolamo, 155
Cusano, Niccolò, XXII n. 23, 2 Dorez, L., 54, 177
Drachmann, A.B., 1 14
D'Amore, L., 79 Du Cange, Ch., 100, 153
Dabria, 125 Duns Scoto, Giovanni, XXVIII
Dales, R.C., XXII n. 22 n. 33, XXIX, XLII, 19, 84, 86
Dama (Damo), figlia di Pitago-
ra, 121 Egidio Romano, 86
Damascio, 90, 169, 189 Elíano, 16
Damigero, mago, 1 10 Empedocle, xxv, xxvII, xxxIv,
Dan,]., 16 16, 17,35, 37, 38, 82, 106,
Daniele, 36 166
Dardano, mago, 1 10 Enoch, patriarca, 15, 171
Dattilo ebreo, XXXVII, 130, 131, Enrico di Gand, XLII, 87
150 Epitteto, 86, 13 1
Davide, XXVII, XXXIV, XXXVI n. Eraclito, 40, 41, 89
46› 5. 25 Ermete Trismegisto, XXII n. 23,
De Lubac, I-I., XIII e n. 7, XX XLIII, 3, 27, 89, 95, 100
202 INDICI
Introduzione VII
Bibliografia LIII
Appendice I 39
Nota al testo e apparati 157
Indice dei nomi I 95
Indice degli autori I 99
Finito di stampare
nel mese di aprile 2014
per conto della Guanda S.r.l.
da La Tipografica Varese S.p.A. (VA)
Printed in Italy