Realismo e Macchiaioli

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REALISMO

Il Realismo è una corrente artistica sviluppatasi in Francia nel XIX secolo e che vede in Gustave Courbet il
suo principale esponente;
Nei primi decenni dell’800, intorno al 1840, nasce in Francia il Realismo, un movimento pittorico e letterario
che trova le sue radici nel positivismo, un pensiero filosofico che studia la realtà in modo scientifico. Il
Realismo tentava di cogliere la realtà sociale; si voleva rappresentare una realtà cruda e nuda con meno
allegorie e più attenzione verso i dati di fatto. Esso si fa più acceso negli anni successivi alla rivoluzione del
1848, che aveva risvegliato aneliti democratici in tutta Europa, arriva ai suoi massimi nel periodo del
Secondo Impero,caratterizzato da un forte sviluppo economico e tecnologico della borghesia e dal
conseguente imprenditorialismo imprenditoriale. È in questo periodo che inizia anche a definirsi
l’Impressionismo. La parola “Realismo” generalmente indica la traduzione fedele delle qualità del mondo
reale nella rappresentazione artistica. Il Realismo, inteso come tendenza programmatica, invece, trova la
sua esplicita affermazione nel 1855, anno in cui il pittore Courbet definisce i suoi ideali artistici in un
opuscolo scritto in occasione dell’Esposizione Universale da Parigi: “Ho voluto essere capace di
rappresentare i costumi, le idee, l’aspetto della mia epoca secondo il mio modo di vedere, fare dell’arte viva,
questo è il mio scopo.”. La poetica realista traduceva in pittura il dilatarsi dell’interesse degli storici verso i
problemi della società moderna. Infatti lo storico e filosofo Hippolite Taine invitava a “vedere gli uomini
nelle loro officine, negli uffici, nei campi, con il loro cielo,la loro terra,le case,gli abiti,le culture,i cibi”,
mentre lo scrittore Sainte-Beuve affermava: “la triade bello, vero e buono è certo un bel motto, ma
inganna, se dovessi scegliermi un motto, sceglierei il vero”.

Aya Abul Magd


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GUSTAVE COURBET

Conosciuto soprattutto come il Sergyi del momento (e accreditato anche dell'invenzione del termine stesso), Courbet
è pittore di composizioni figurative, paesaggi e paesaggi marini. Si occupa anche di problematiche sociali, prendendosi
a cuore le difficili condizioni di vita e lavoro dei contadini e dei poveri. Il suo lavoro non può essere classificato come
appartenente né alla scuola romantica, all'epoca predominante, né a quella neoclassica. Courbet crede invece che la
missione dell'artista realista sia la ricerca della verità, che aiuterebbe ad eliminare le contraddizioni e le disuguaglianze
sociali.

Per Courbet il realismo non ha a che fare con la perfezione del tratto e delle forme, ma richiede un uso del colore
spontaneo ed immediato, che suggerisca come l'artista grazie all'osservazione diretta ritragga anche le irregolarità
della natura. Ritrae la durezza della vita e, così facendo, sfida il concetto di arte accademico tipico della sua epoca,
attirando su di sé la critica di aver deliberatamente adottato una sorta di "culto della bruttezza".
Nato ad Ornans (Dipartimento del Doubs) in una prospera famiglia di agricoltori che vorrebbe si dedicasse allo studio
della legge, decide di trasferirsi a Parigi nel 1839, trovando lavoro nello studio di Steuben e Hesse. Spirito
indipendente, abbandona presto i maestri preferendo sviluppare uno stile personale attraverso lo studio dei pittori
spagnoli, francesi e fiamminghi ed eseguendo copie delle loro opere. I suoi primi lavori sono un' Odalisca, ispirata agli
scritti di Victor Hugo, e una Lélia, illustrazione per l'omonimo romanzo di George Sand, ma lascia presto perdere le
ispirazioni di tipo letterario per dedicarsi alla studio della vita reale.
Un viaggio nei Paesi Bassi fatto nel 1847 rafforza la convinzione di Courbet che i pittori dovrebbero ritrarre la vita che
sta attorno a loro, come avevano fatto Rembrandt, Hals e gli altri maestri olandesi.
Tra i suoi primi dipinti vi sono due autoritratti, uno con il suo cane e l'altro con la pipa in bocca: entrambe le opere
vengono rifiutate dalla giuria del Salon di Parigi. Tuttavia i critici più giovani, legati ai movimenti neoromantico e
realista, cominciano ad acclamarlo e lodarlo e già nel 1849 Courbet inizia a diventare abbastanza noto, realizzando
dipinti come Dopocena ad Ornans (per cui il Salon lo premia con una medaglia) e La valle della Loira.
Una delle opere più rappresentative di Courbet è Funerale a Ornans, una tela in cui fissa un avvenimento a cui assiste
nel settembre 1848.
Il quadro, che ritrae il funerale di un prozio dell'artista, è considerato uno dei primi capolavori delle stile realista. Come
modelli l'artista si serve semplicemente delle persone che hanno partecipato alla cerimonia. In precedenza, per
ritrarre i protagonisti di scene a carattere storico ci si serviva di veri modelli; in questo caso invece Courbet afferma
che ha "ritratto le vere persone presenti alla sepoltura, tutte le persone del paese". Il risultato è una rappresentazione
estremamente realistica del funerale stesso e della vita a Ornans.
Il dipinto suscita un vivo dibattito sia tra la critica che tra il pubblico. È un'opera enorme (misura m. 3,1 x 6,6) e ritrae
un rito banale e ordinario in una scala che fino ad allora era stata riservata a soggetti religiosi o relativi alle famiglie
reali. Il pubblico finisce per interessarsi maggiormente al nuovo approccio realistico all'arte di Courbet e il sontuoso e
decadente immaginario del romanticismo finisce per perdere popolarità. L'artista è pienamente consapevole
dell'importanza della sua opera; dice infatti: "Il funerale a Ornans è stato in realtà il funerale del romanticismo."
All'esposizione del Salon del 1850 Courbet riscuote un grande successo grazie a Funerale a Ornans, Gli spaccapietre
(dipinto andato distrutto nel 1945 durante la seconda guerra mondiale) e I contadini di Flagey. Realizza altre opere a
carattere figurativo in cui ritrae persone comuni o suoi amici, come Le fanciulle del villaggio (1852), I lottatori e Le
bagnanti.
Courbet, oltre a sviluppare le basi del movimento realista in campo artistico, abbraccia l'ideologia anarchica e,
sfruttando la propria popolarità, sostiene e diffonde pubblicamente ideali democratici e socialisti scrivendo saggi e
dissertazioni politiche.
Nel 1850 scrive ad un amico:
« ...nella nostra società, così civilizzata, sento il bisogno di vivere la vita di un selvaggio. Devo essere libero anche
dai governi. Le mie simpatie vanno al popolo, e devo rivolgermi direttamente a loro. [2] »
(Gustave Courbet)
Nel 1855 espone al pubblico il monumentale L'atelier dell'artista. Si tratta di un'allegoria della sua vita di pittore, vista
come un'epica avventura, nella quale lo si vede circondato dai suoi amici e ammiratori, tra cui il poeta Charles
Baudelaire.

Aya Abul Magd


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FUNERALE A ORNANS – GUSTAVE COURBET

Il Funerale a Ornans,
del 1849-50 è un
quadro spettacolare
e di dimensioni
enormi (misura oltre
tre metri per sei e
mezzo) che esposto
al Salon viene
giudicato molto
aspramente come
un omaggio alla
volgarità e alla
bruttezza. Le figure
sono state definite rozze, grottesche, senza ''decoro'', ma soprattutto questo quadro è stato
ritenuto offensivo perchè troppo vero.
Il tema della morte, i colori cupi, i personaggi così mesti, e a grandezza naturale, risucchiano lo spettatore in
uno spettacolo desolante, pieno di angoscia. E poi così grande, come se si trattasse di pittura storica o
religiosa, (che è quella a cui sono spesso affidati insegnamenti morali, esempi da seguire) è stata una
miscela esplosiva per il pubblico dell'epoca, l'opera venne considerata come una pericolosa trasgressione.
Di fatto Courbet nel suo lavoro persegue un obiettivo che è l'opposto dell'idealizzazione, sia neoclassica che
romantica e crea uno spettacolo che non solo non è piacevole, ma appare come volutamente sgradevole.
Eppure Courbet mostra la realtà com'è, non la giudica, la lascia senza filtri, alla meditazione dello
spettatore. Il cane in primo piano, la posa dell'uomo in ginocchio e la fossa proprio in primo piano, davanti
allo spettatore sono veramente insopportabili per la mentalità borghese dei suoi tempi.
Per la composizione Courbet fa riferimento all'antichità classica: la disposizione dei personaggi ricorda
quella di un fregio antico e rinvia all'Ara Pacis. Dall'arte romana imperiale riprende anche le componenti 
ritrattistica e della solennità d'insieme. Come è consuetudine per l'artista francese, questo dipinto è stato
realizzato dopo una laboriosa preparazione, poichè è compoposto da oltre cinquanta ritratti degli abitanti
del piccolo borgo di Ornans. Figurano tutti, il padre, gli amici del pittore, il sindaco, le donne più anziane, i
chierichetti, il cane...Ognuno di loro si reca dal pittore per posare in questo quadro.
I colori hanno un'importanza fondamentale: domina il nero e una gamma di colori spenti, sui quali spiccano
a contrasto i bianchi, i rossi e i verdi molto vivi. L'effetto di tristezza è accentuiato anche dal paesaggio
desolato, immerso in un tramonto invernale e con lo sfondo del cielo velato.

Gustave Courbet. Funerale a Ornans. Dett. 1849-50. Olio su tela. Parigi, Museo d'Orsay

Aya Abul Magd


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LO SPACCAPIETRE – GUSTAVE COURBET

lo "Spaccapietre" fu realizzato nel 1849. Il soggetto è totalmente diverso da quelli a cui le accademie ci
avevano abituati: l’artista dipinge la realtà mettendo a nudo ogni suo risvolto, dalle toppe delle maniche
della camicia, al panciotto strappato; dai calzini bucati alla pentola con il pane simbolo del povero pasto del
lavoratore.

Gustave Courbet, Lo spaccapietre, 1849, olio su tela, Collezione privata

Aya Abul Magd


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L’ATELIER DEL PITTORE. ALLEGORIA REALE DETERMINANTE UN PERIODO DI SETTE ANNI DELLA VITA
ARTISTICA E MORALE – GUSTAVE COURBET

L'atelier del pittore, dipinto da


Courbet nel 1854-55 è una altra
opera enorme, molto
impegnativa, che ha richiesto
all'artista parecchi studi
preparatori. Ma è anche molto
complessa, piena di significati e
allegorie, spiegate dello stesso
Courbet in una lettera inviata
all'amico Champfleury. Già il
lungo titolo scelto dal pittore è
molto indicativo sulle sue
intenzioni: "L'atelier del pittore,
allegoria reale che determina
sette anni della mia vita
artistica". L'opera è infatti piena di simboli, metafore e ricordi personali dell'artista.
Il dipinto ha uno sviluppo orizzontale e si presenta come la veduta di un interno. Lo sfondo, velato dalla
penombra appare neutro e porta lo sguardo in primo piano. La scena si apre su un grande studio, affollato
di personaggi, con dimensioni al naturale, ad ognuno di loro Courbet affida un ruolo di metafora e un
significato particolare.

L'artista si rappresenta al centro mentre dipinge un paesaggio, come era solito fare nella natia Ornans. Il
suo lavoro viene osseervato con attenzione osservato da una modella nuda e da un bambino:  due immagini
simboliche della verità, intesa come  fonte di ispirazione della sua pittura.
Il bambino che osserva è una traduzione quasi letterale che sta a significare: "guardare il mondo con gli
occhi di un bambino", cioè con innocenza e in modo obiettivo, senza alcun criterio di giudizio.
La modella nuda è invece un riferimento classico alla figura allegorica della Nuda Verità, come viene
tradizionalmente rappresentata nella pittura fin dai secoli precedenti. Il nudo femminile è anche riferito
all'opera di Rembrandt, uno dei maestri a cui si ispira la pittura di Courbet.

Tutti gli altri personaggi sono divisi in due gruppi, disposti a sinistra e a destra del pittore, riprendendo la
spartizione tipica del "Giudizio universale" delle opere medievali.

Sulla sinistra sono rappresentati tutti personaggi definiti da  Courbet come "la gente che vive della morte",
intendendo come persone legate alle passioni e ai bisogni puramente materiali. Sono riferimenti diretti alla
realtà sociale, alle sue miserie e alle sue necessità, ma anche portatori di signuificati allegorici: il rabbino
indica la religione, ma anche l'emarginazione sociale riferita agli ebrei. Il bracconiere con i cani rinvia allo
svago, ma è rappresentato mentre guarda in basso, dove ci sono uno strumento musicale, un cappello
piumato e un pugnale: simboli di un Romanticismo ormai superato. Il mercante è il simbolo del
commercio, ma allude anche all'attaccamento ai beni materiali, all'avidità. La prostituta allude al vizio e
alla degradazione morale. Il pagliaccio è riferito al teatro, ma anche al trucco alla maschera intese come
indici di falsità. La madre irlandese seduta a terra mentre allatta un bambino, è uno dei simboli più
drammatici. Allude alla grave crisi economica e sociale che aveva travolto l'Irlanda in quegli anni, e diventa
un simbolo di miseria. Sullo sfondo c'è anche una statua di san Sebastiano, che rappresenta l'arte
accademica. Ha una posa innaturale perchè Courbet detestava le sue regole false e soffocanti.
Il teschio sul giornale allude a una frase del filosofo Proudhon, amico del pittore: ''i giornali sono i cimiteri
delle idee''.

A destra ci sono tutti gli amici e i sostenitori di Courbet, da lui definiti come "la gente che vive della vita"
intendendo persone vive intellettualmente, la vita a cui si riferisce Courbet è soprattutto una vita spirituale.
Aya Abul Magd
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Seduto sul tavolo Baudelaire che legge è il rappresentante della poesia. I due visitatori sono le
personificazioni della mondanità e del buon gusto. Il bambino disteso a terra che disegna è metafora
dell'apprendimento, ma è anche indice di un approccio all'arte libero da ciondizionamenti, quindi
"antiaccademico". I due innamorati sono un diretto riferimento all'amore, inteso in senso universale.
L'uomo seduto che osserva il pittore è lo scrittore Champfleury, autore di un saggio sul Realismo, e simbolo
della prosa. Più indietro, verso lo sfondo, si trova Proudhon, filosofo anarchico che ha avuto una forte
influenza sul pensiero politico e rivoluzionario di Courbet, rappresenta la filosofia. Promayet con il suo
violino imn mano, rappresenta la musica.

Da punto di vista tecnico, il trattamento della materia pittorica è molto vario, si notano ampie superfici
vuote, ora levigate da una stesura leggera e distesa, ora dense i colore grumoso, trattato con la
spatola. Courbet ha lavorato alcune zone del dipinto a macchie, in una sorta di trattamento compendiario,
e in altre si concentra su particolari resi con minuzia e precisione, come il gatto, il cane, lo scialle della
donna a destra, ecc. Nell'insieme il dipinto si compone di una gamma scura di colori, su cui si accendono
alcune macchie più pure e luminose. La luce è diffusa e attenuata, ma una vera fonte non si lascia
identificare, rimane un po' misteriosa. Lo spazio è descritto sommariamente, accennato, prevale piuttosto
un'atmosfera sospesa e poetica che suggerisce la rappresentazione simbolica.
Nel quadro ci sono tutti i generi appartenenti alla pittura di Courbet: paesaggio, ritratto, natura morta,
vedute d'interni, animali.

Il quadro, presentato all'esposizione universale di Parigi del 1855, venne rifiutato dalla giuria: Così Courbet
decise di organizzare in proprio una mostra personale in un Padiglione del realismo, eponendo questo e
altri suoi dipinti.

Gustave Courbet, L'atelier del pittore. Dett. 1855 Olio su tela. cm 359 x 598. Parigi,
Museo d'Orsay

I MACCHIAIOLI

Il movimento pittorico dei macchiaioli si è sviluppato a Firenze a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento.

Aya Abul Magd


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Il termine venne coniato nel 1862 da un anonimo recensore della «Gazzetta del Popolo» che così, in senso
dispregiativo, aveva definito quei pittori che intorno al 1855 avevano dato origine ad un rinnovamento
antiaccademico della pittura italiana in senso verista.
Al Caffè Michelangelo in Firenze, attorno al critico Diego Martelli, un gruppo di pittori dà vita al movimento
dei macchiaioli. Questo movimento si propone di rinnovare la cultura pittorica nazionale (italiana). La
poetica macchiaiola è verista opponendosi al Romanticismo, al Neoclassicismo e al Purismo accademico, e
sostiene che l’immagine del vero è un contrasto di macchie di colore e di chiaroscuro, inizialmente ottenuti
tramite una tecnica chiamata dello specchio nero, ossia utilizzando uno specchio annerito col fumo
permettendo di esaltare i contrasti chiaroscurali all’interno del dipinto. L’arte di questi pittori come la definì
Adriano Cecioni, teorico e critico del movimento, consisteva "nel rendere le impressioni che ricevevano dal
vero col mezzo di macchie di colori di chiari e di scuri".
Del gruppo fanno parte i toscani Serafino De Tivoli, Eugenio Cecconi Odoardo Borrani, Raffaello Sernesi,
Niccolò Cannicci, Egisto Ferroni e Adriano Cecioni, scrittore e scultore oltre che pittore; il pesarese Vito
D'Ancona; il napoletano Giuseppe Abbati il trentino Eugenio Prati e il veronese Vincenzo Cabianca, cui si
aggiunse il giovanissimo Diego Martelli, critico e mecenate. In certo senso più isolati, ma considerati fra gli
esponenti principali del movimento: il livornese Giovanni Fattori (che descrive colori e luci della Maremma
Toscana con un rigore compositivo che nulla toglie all’immediatezza delle scene), Silvestro Lega da
Modigliana (che predilige scene di vita borghese ambientate nella provincia toscana) ed il fiorentino
Telemaco Signorini. Il loro luogo di ritrovo fu inizialmente il Caffè Michelangelo a Firenze e successivamente
nella tenuta che nel 1861 ereditò Diego Martelli a Castiglioncello (il Castello Pasquini). I Macchiaioli sono
considerati gli iniziatori della pittura moderna italiana.
La corrente diede luogo a quella dei Postmacchiaioli, cioè dei pittori di origine toscana che furono attivi,
richiamandosi alla pittura di "macchia", tra il 1880 ed il 1930 circa. I principali furono: Giovanni Bartolena,
Leonetto Cappiello, Vittorio Matteo Corcos, Oscar Ghiglia, Francesco Gioli, Luigi Gioli, Ulvi Liegi, Guglielmo
Micheli, Alfredo Müller, Plinio Nomellini, Filadelfo Simi, Adolfo Tommasi, Angiolo Tommasi, Ludovico
Tommasi, Lorenzo Viani, Llewelyn Lloyd, Raffaello Gambogi.
Il nome fu utilizzato per la prima volta nel 1862 in occasione di una esposizione fiorentina e fu
successivamente adottato dal gruppo. Il contenuto paesaggistico tipico del movimento dei Macchiaioli,
viene più volte ripreso per coerenza dell’opposizione verso gli ideali del Purismo, tra cui il sublime
teorizzato da Edmund Burke, un sublime simbolico e non percepito nella realtà dei partigiani. Il sublime
dell’arte italiana invece è molto simile a quello della Vastitas, apprezzato nei paesaggi a campo aperto dagli
stessi partigiani, tra cui Giovanni Fattori.Il nome fa riferimento al fatto che questi pittori eliminavano
totalmente la linea ed il punto geometrico, in quanto non esistenti nella realtà, usando vere e eproprie
macchie di colore.

CAMPO ITALIANO ALLA BATTAGLIA DI MAGENTA – GIOVANNI FATORI

Aya Abul Magd


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Con questa tela Fattori vinse il


concorso bandito da Bettino
Ricasoli nel 1859 per la
realizzazione di quattro tele sulle
principali battaglie in Lombardia.
La battaglia di Magenta fu
combattuta il 4 giugno 1859; alla
battaglia erano stati presenti i
soldati francesi, ma Fattori non
trovò difficoltà a dipingerli perchè
proprio in quell'anno guarnigioni
francesi passarono da Firenze: "mi
dettero agio di studiarli
minutamente da vicino".
Inoltre il quadro fu eseguito dopo
lunghi e attenti studi sui luoghi dei
combattimenti.
Fattori, come sua consuetudine,
mette il rilievo la sosta e il ritorno
dei feriti nelle retrovie, senzaporre
l'enfasi sull'eroismo della prima
linea o sulla gloria dei comandanti.
La composizione è semplice ed equilibrata, tuttavia non la si può ancora dfinire macchiaiola in quanto
disegno e chiaroscuro sono ancora usati secondo le regole accademiche.
Infatti la macchia, nella tela di grandi dimensioni (232x348 cm) non riesce da sola a reggere
schematicamente la composizione, perciò per dare unità e verità al quadro Fattori utilizza la modulazione
del chiaroscuro.
Si tratta di un procedimento misto, in parte macchiaiolo in parte tradizionale, attraverso sia rigorosi
contrasti entro larghi piani campiti a tinte unite, sia attraverso una gradazione di grigi.
Così si fondono il nuovo spirito macchiaiolo e l'insegnamento accademico.
In primo piano gli ufficiali a cavallo seguono le operazioni di ristoro condotte dalle suore sulla diligenza, che
raccolgono i feriti raffigurati sulla parte sinistra.
Sullo sfondo è appena accennato il profilo della città di Magenta, nascosta dai fumi della battaglia ancora in
corso, che rimane però in lontananza.
La parte superiore del quadro è occupata da un cielo azzurro che amplia la prospettiva verso l'orizzonte, e il
cui intenso azzurro trasmette una sensazione di tranquillità all'osservatore.

SOLDATI FRANCESI DEL ’59, 1859 – GIOVANNI FATTORI

Aya Abul Magd


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Soldati francesi del '59 è una delle


opere più famose del pittore
italiano Giovanni Fattori. I tratti
distintivi della grande pittura
macchiaiola sono già perfettamente
riconoscibili in questa tavoletta, un
olio di piccole dimensioni (solo
15,5x32 cm) oggi appartenente ad
una collezione privata milanese.
Come si deduce anche dal titolo,
l'opera risale al 1859, anno in cui
l'artista ebbe modo di osservare
personalmente le truppe di Napoleone III che, sbarcate a Livorno, si stanziarono con il loro accampamento
nei pressi di Firenze, al Pratone delle Cascine. In quel periodo Fattori poté studiare dal vivo i soldati francesi
nei vari momenti della loro vita al campo, dalle attività di addestramento alle ore di riposo o di libera uscita,
ritraendoli in album di schizzi e bozzetti.
Quest'opera rappresenta otto soldati ed un ufficiale in attesa, tutti sinteticamente accennati. Infatti, dal
punto di vista tecnico, l'autore rifiuta il tradizionale chiaroscuro preferendo di gran lunga l'accostamento di
pure e semplici macchie di colore di tonalità diversa, riportando la tecnica tipica dei Macchiaioli. Il dipinto è
organizzato per fasce di colore sovrapposte e sviluppate in larghezza. La prima fascia è più larga, di tonalità
ocra ed è costituita dal terreno; la seconda, di tonalità grigiastra, rappresenta un muro; la terza, sottilissima,
di colore azzurro pallido, indica invece una striscia di cielo al di là del muro, contribuendo così al senso di
profondità dell'intera scena.
I personaggi sono rappresentati in modo estremamente sintetico, con veloci pennellate accostate di colori
puri, ma decisamente più forti, per mettere in risalto le nove figure e distaccarle dallo sfondo in cui prevale
una colorazione neutra.

Autore Giovanni Fattori

Data 1859

Tecnica olio su tavola

Dimensioni 15,5 × 32 cm

Ubicazione Collezione privata,


Milano

LA ROTONDA DI PALMIERI – GIOVANNI FATTORI

Aya Abul Magd


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La rotonda di Palmieri è una delle opere più celebri di Giovanni Fattori. Vi è ritratto un gruppo di signore
sulla "ROTONDA" dello
stabilimento balneare di
Palmieri, sul lungomare di
Livorno. Le donne sono
all'ombra di un grande
tendone: il pittore, con
forme sintetiche e rigorose
e grazie all'accostamento di
tinte contrastanti tra loro,
rende le figure nitidamente definite. I colori sono distesi a macchie, com'è caratteristico della pittura dei
macchiaioli, le tonalità utilizzate non sono molte, ma c'è una particolare attenzione nel giustapporre i colori
complementari. La tavola ha un formato orizzontale allungato, adottato da Fattori per sottolineare la
profonda vastità dell'orizzonte. Il paesaggio però, appare appena accennato: la zona in ombra risalta con
maggior evidenza rispetto all'azzurro intenso del mare, chiuso dalla sagoma più scura del promontorio e il
bianco luminoso del cielo.

Autore Giovanni Fattori

Data 1866

Tecnica olio su tavola

Dimensioni 12 × 35 cm

Ubicazione Galleria d'Arte


moderna, Firenze

IL CANTO DELLO STORNELLO – SILVESTRO LEGA

Si tratta di un'opera ambientata in una stanza di casa Batelli, in un pomeriggio d'estate. I personaggi
rappresentatti sono Virginia Batelli, insegnante di musica, che sta suonando al pianoforte e le sorelle Maria

Aya Abul Magd


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e Isolina che sono rappresentate dietro di lei. In primo piano emergono le figure delle donne, viste di
profilo, il pianoforte, la tenda legata e la finestra, che lascia entrare la luce nella stanza. C'è una perfetta
corrispondenza tra interni ed esterni caratterizzata dalle proporzioni delle forme. La rappresentazione è
serena ed articolata e l'equilibrio visivo è basato sul colore. Le figure sono caratterizzate da vesti molto
morbide e decorate, ricche di dettagli: la volumetria che assumono, grazie alla luce proveniente
dall'esterno, mette in evidenza le tonalità uniformi del colore che vengono utilizzate. C'è contrasto tra
chiaro e scuro poichè non tutta la stanza è illuminata dalla limpida luce che entra dalla finestra. Osservando
l'esterno si scorge un paesaggio tipico di campagna dove la collina, alta e uniforme, sembra quella che
compare nell'opera L'elemosina. I colori sono nitidi, vivaci e accesi, le tonalità dominanti sono l'azzurro
puro del corpetto e il bianco della camicia sottile. Lo spazio prospettico trova il suo punto di fuga nella
tastiera del pianoforte ed è accentuato dal pavimento, ricco di decorazioni floreali. Non c'è staticità nelle
figure, quanto piuttosto un senso di calma, e la scena presenta riferimenti al Quattrocento, in particolare
alle opere di Piero della Francesca. Il tema dell'opera è la musica poichè lo stornello, indicato dal titolo, è
un genere musicale. Essendo però un canto a una sola voce, si può dedurre che la ragazza con la mano
appoggiata al mento, stia solo ascoltando, mentre l'altra canta. Per questo motivo è presente, sopra al
pianoforte, un unico pentagramma. Lega realizza questo quadro per la Promotrice Fiorentina ma l'opera
passò inosservata, e non  ottenne il successo che avrebbe meritato.

Silvestro Lega.Il canto dello stornello. 1867 Olio su tela. 158x98cm. Firenze, Galleria D’Arte
Moderna

Aya Abul Magd

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