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Collana diretta da
Mino Chamla, Roberto Diodato e Vittorio Morfino
17
Roberto Evangelista
Il bagaglio politico
degli individui
la ‘dinamica consuetudinaria’
nella riflessione politica di Spinoza
Edizioni Ghibli
Il presente volume viene pubblicato grazie a un contributo della Sede
di Napoli dell’ “Istituto per la storia del pensiero filosofico e scientifico mo-
derno” del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
ABBREVIAZIONI p. 7
PREFAZIONE p. 9
INTRODUZIONE p. 13
APPENDICE :
Glossario ragionato p. 156
BIBLIOGRAFIA p. 165
ABBREVIAZIONI
app. = appendix
ax. = axioma
c. = caput
cor. = corollarium
def. = definitio
dem. = demonstratio
expl. = explicatio
n. = nota
post. = postulatum
pr. = propositio
præf = præfatio
schol. = scholium
lem. = lemma
Prefazione
Manuela Sanna
Se immaginiamo che una cosa a noi simile, e verso il quale non ab-
biamo nutrito nessun affetto, è affetta da un qualche affetto, per ciò
stesso veniamo affetti da un affetto simile5.
14 Di consuetudines parla Bove nel suo La strategia del conatus, cit., ma anche M.
Walther quando ricostruisce la costituzione della civitas nella filosofia politica
di Spinoza. Cfr. M. Walther, Die Trasformation des Naturrechts in der Rechtsphilo-
sophie Spinozas, in ‘Studia spinozana’ 1 (1985), pp. 73-105.
Introduzione 19
una analisi della parte III dell’Etica, questo aspetto non copre tutto
il complesso discorso dell’antropologia spinoziana. Anzi, è proprio
la coesistenza di motivi razionali e motivi affettivo-passionali che
comporta una ambivalenza della natura umana, e pone Spinoza di
fronte al problema di sciogliere o quantomeno codificare questa am-
biguità. La neutralità morale degli affetti e la coesistenza di passioni
e affezioni sociali con impulsi antisociali e antipolitici pone l’indivi-
duo in una condizione di incertezza nel suo naturale rapporto con
gli altri individui. La ricaduta di questa ambiguità è rintracciabile
nella riflessione sui fondamenti della politica e sulla determinazione
del diritto naturale, dove si ribadisce che per l’uomo vivere comple-
tamente secondo i dettami della sana ragione è tanto possibile e do-
veroso quanto lo è per un gatto ‘vivere secondo le leggi della natura
leonina’3. Questo problema è una linea di pensiero che attraversa
tutta la politica spinoziana, ma un passo del capitolo XVI del Trattato
teologico-politico è particolarmente interessante:
3 Cfr. TTP XVI, a cura di P. Totaro, Bibliopolis, Napoli, 2007, p. 375. (d’ora in poi
si citerà fra parentesi la pagina di questa edizione).
4 TTP XVI (p. 375).
24 Il bagaglio politico degli individui
ciò che gli è permesso fare. Nessun uomo può, per natura, vivere
completamente secondo le regole della ragione, mentre invece può
tentare di ottenere ciò che stima utile per se stesso in qualunque
modo, sia spinto dagli affetti sia spinto dalla ragione. Se si ragiona solo
dal punto di vista della natura umana, non si va oltre una afferma-
zione generica di un conflitto interno all’individuo fra le pulsioni e i
ragionamenti. La garanzia di vivere il più possibile secondo una con-
dotta razionale deve essere mediata da qualcosa, e, in effetti, viene
affidata all’unione in società con i propri simili, vale a dire alla so-
cialità propria della natura umana. Vedremo in seguito come all’in-
terno di questa mediazione non scompaiano l’appetito e le pulsioni
del desiderio, che verranno semplicemente ricostituiti in un quadro
unitario che compone le spinte individuali e antipolitiche. Per ora,
però, va rilevato il carattere di trasferimento di una serie di diritti in
favore di una societas composta da individui. Quali siano i diritti che
si trasferiscono alla società è difficile determinarlo. Per esempio, nel
capitolo XVI del Trattato teologico-politico, Spinoza dice che
Con questa legge [nessun affetto può essere inibito se non da un af-
fetto più forte e contrario all’affetto da inibire, e ognuno si astiene
dall’arrecare un danno per il timore di un danno maggiore], dunque,
la società potrà essere resa stabile, purché rivendichi a sé il dirit-
to (jus), che ciascuno ha, di vendicarsi e di giudicare del bene e del
male; società che, pertanto, ha l’autorità di prescrivere una norma
comune del vivere (communem vivendi rationem).6
7 Cfr. Eth IV, pr. 8: «La conoscenza del bene e del male non è altro che l’affetto
della gioia o della tristezza in quanto ne siamo consapevoli».
8 TP III, 3. Trad. it L. Pezillo, Laterza, Bari, 1991, p. 19: “la principale differenza
fra i due stati consiste nel fatto che nello stato civile tutti temono le stesse cose,
e che per tutti vi è una stessa ragione di sicurezza e regola di vita”, (d’ora in poi
si citerà fra parentesi la pagina di questa edizione).
9 TTP V (p.137).
10 La distinzione tra pactus associationis e pactus subjectionis non è accolta da tutte
le teorie contrattualistiche e, se vogliamo parlare in termini di patto, non è ac-
colta neppure da Spinoza. Già in Hobbes, per esempio, questa distinzione viene
messa in crisi anche grazie al ricorso al meccanismo rappresentativo. Cfr. anche
R. Sève, Leibniz et lécole du droit naturel, Paris, PUF, 1989.
26 Il bagaglio politico degli individui
posto, così come non può accettare di indagare l’uomo come dovreb-
be essere (o come non è) invece che secondo la sua stessa natura.
Ogni individuo, infatti, possiede un diritto di natura che coinci-
de con la sua potenza. Questa potenza ha se stessa come unico limi-
te, cioè può fare tutto ciò che è nelle sue possibilità. Vale a dire che
il diritto di un individuo contempla tutto ciò che è possibile per sua
natura.
16 ibidem.
17 TTP XVI (p.377).
28 Il bagaglio politico degli individui
È dunque in tal modo possibile edificare una società che non sia in
contrasto col diritto naturale e onorare ogni patto con la massima
buona fede, purché, cioè, ognuno trasferisca tutta la propria potenza
alla società la quale perciò conserverà essa sola il sommo diritto di
natura su ogni cosa, ovvero la suprema autorità (summum imperium),
cui ciascuno – liberamente, oppure per timore della massima pena .
dovrà obbedire. Il diritto di una tale società si chiama democrazia, la
quale quindi si definisce assemblea universale degli uomini e detiene
collegialmente il sommo diritto a tutto ciò che può18.
una sola mente, è certo che ciascuno di loro ha tanto meno diritto
(juris) , quanto più potenti di lui sono gli altri insieme; ovvero egli
non ha in realtà alcun altro diritto sulla natura, salvo quello che gli
lascia il diritto comune23.
23 TP II, 16 (p.14).
24 TTP XVI (pp.381-382). “Poiché [dopo il patto] la loro sottomissione fu assoluta
(e ciò, come già mostrato, sia perché costretti dalla necessità, sia perché persua-
si dalla ragione stessa), ne consegue che se non vogliamo essere nemici dello
Stato (Imperium) e agire contro la ragione […] dobbiamo eseguire tutti gli ordini
della sovrana potestà, anche ove siano completamente assurdi: la ragione, in-
fatti, comanda di eseguire anche ordini del genere, così da scegliere il minore
tra due mali”. Poco dopo il ragionamento continua: “solo molto raramente può
accadere che le somme potestà diano ordini completamente assurdi, poiché a
esse soprattutto incombe – al fine di badare a sé stesse e di conservare la pro-
pria autorità – di provvedere al bene comune e di ordinare ogni cosa secondo i
dettami della ragione: infatti, come dice Seneca, nessuno ha mai conservato a
lungo un potere fondato sulla violenza”.
25 Cfr. anche Eth IV, pr. 37 sch. II.
26 L’espressione è di Matheron, non la promessa “de réfréner nos passions pour
obéir a la Raison” ma la rinuncia “à suivre nos désir socialement néfastes pour
laisser prévaloir ceux-là seuls que la collectivité n’interdit pas ou encourage”.
Cfr. A. Matheron, Individu et communauté cit., pag. 316. L’autore fa un ragio-
32 Il bagaglio politico degli individui
qualsiasi cosa, per comune consenso, gli sia ordinata, [ciascun indi-
namento sulle differenze tra il meccanismo del capitolo XVI del TTP e quello
descritto in Eth IV, pr. 37 sch. II.
27 Ci sono due ricorrenze di jura che possono essere interessanti. La prima è in
TP VI, 17: “Hujus Concilii primarium officium sit, imperii fundamentalia jura
difendere”; la seconda in VIII, 9: “certum est, ad leges, seu jura fundamentalia
hujus imperii [aristocraticum] non pertinere, ut militia ex ullis aliis, quam ex
subditis, formetur”. In questi casi si parla di jura fundamentalia come di quei
diritti principali su cui si fonda un imperium specifico come quello monarchico
(nel primo passo) oppure aristocratico (nel secondo passo). Oltre al fatto che
si potrebbe aprire una discussione sul senso diverso che assume qui l termine
imperium (rispetto al capitolo II del trattato politico), in seguito al suo essere de-
terminato da una forma di governo specifica, bisogna notare che gli jura funda-
mentalia si collocano in una sorta di punto mediano fra il diritto naturale e gli
jura civitatis, cioè le leggi e i decreti emessi da una summa potestas.
1. Individuo e : la problematica del patto sociale 33
Certo, Spinoza ammette più volte che gli uomini tendono a es-
sere per natura nemici30, ma con la stessa determinazione, ammette
che una condizione di inimicizia incontrastata porterebbe all’estre-
ma impotenza e dunque alla distruzione di ogni individuo, il che è
assurdo, perché ognuno cerca di conservarsi in vita per quanto gli è
possibile. Inoltre, altrettanto naturalmente, succede che un uomo
possa avere in sua potestà un altro:
Bene e Male, o Peccato, sono questo: nient’altro che modi di pensare e non
delle realtà o qualcosa che abbia esistenza36.
34 Ibidem .
35 La contemporaneità fra societas e imperium, rimane un problema aperto. Si può
confrontare, a questo proposito il testo di S. Visentin, La libertà necessaria teoria e
pratica della democrazia in Spinoza, Pisa, ETS, 2001. in particolare la pp.149-177.
36 KV , trad. it. a cura di F. Mignini, in Spinoza. Opere cit. pag. 123, d’ora in poi si
citerà fra parentesi la pagina di questa edizione
36 Il bagaglio politico degli individui
Per dire brevemente che cosa sono in sé stessi bene e male, inizieremo
così.
Alcune cose sono nel nostro intelletto e non nella natura; e perciò
queste sono soltanto opera nostra e servono a intendere distinta-
mente le cose: come tali consideriamo tutte le relazioni che si riferi-
scono a cose diverse e le chiamiamo enti di ragione37.
37 KV (pag. 128)
38 Cfr. Eth III, praef.
39 Eth . IV, praef. (p.232) “La causa che si dice finale non è, dunque, altro che lo
stesso umano appetito, in quanto lo si considera come principio o causa prima-
ria di una certa cosa”.
40 Eth IV, praef. (p. 231).
1. Individuo e : la problematica del patto sociale 37
D’ora in poi, pertanto, intenderò per buono ciò che sappiamo con
certezza che è un mezzo per avvicinarci sempre più al modello della
natura umana che ci siamo proposti. E per male, invece, ciò che sap-
piamo con certezza che impedisce che riproduciamo lo stesso model-
lo. Diremo, inoltre, che gli uomini sono più perfetti o più imperfetti,
in quanto si avvicinano più o meno a questo modello43.
D’altra parte, dal momento che la ragione insegna la pratica dei do-
veri morali e a vivere in bontà e tranquillità d’animo, cosa che non
può avvenire se non in presenza di un potere (in imperio); inoltre,
visto che non può accadere che una moltitudine si guidata come da
una sola mente, come è richiesto in presenza di un potere (in impe-
rio), se non vi è diritto istituito secondo la prescrizione della ragione,
non è dunque così impropriamente che gli uomini, abituati a vivere
con un potere (qui in imperio vivere consueverunt), chiamino peccato
l’azione commessa contro il dettame della ragione45.
45 TP II, 21 (p.16).
40 Il bagaglio politico degli individui
46 TTP XVI (p. 377). In questo passo è utile notare come un meccanismo affettivo
(dunque non necessariamente razionale), quale è quello di cercare la stima dei
propri simili, in questo caso non apparendo insano di mente, possa spingere un
individuo a seguire dei provvedimenti suggeriti dalla ragione o considerati tali.
1. Individuo e : la problematica del patto sociale 41
47 Abbiamo già accennato al fatto che anche A. Matheron si trova davanti a questo
problema, e abbiamo visto come nel suo Individu et communauté chez Spinoza cit.,
ponga su due piano diversi l’Eth e il TTP, affermando che nella proposizione 37
della parte IV dell’Eth è proprio la ragione che passa in secondo piano, rispetto
al TTP, nel momento in cui si tratta di intraprendere una vita sociale.
48 Eth IV, pr. 35 “Gli uomini convengono sempre necessariamente per natura, solo
in quanto vivono sotto la guida della ragione; Eth IV, pr. 34 “In quanto gli uomi-
ni sono combattuti da affetti che sono passioni, possono essere reciprocamente
contrari”.
49 È utile confrontare quanto detto con ciò che scrive E. Balibar in Spinoza e la
politica, cit., pp. 101-117.
50 Eth IV, pr. 37 schol II.
42 Il bagaglio politico degli individui
Concludiamo che un patto non può avere forza alcuna, se non in ra-
gione della sua utilità, tolta la quale anche il patto è tolto e annullato;
e che perciò stoltamente si pretende fedeltà eterna da parte di altri,
se contestualmente non ci si sforza di fare in modo che chi rompa il
patto negoziale riceva da questa rottura più danno che vantaggio53.
Chi esige la fede di un altro solo sulla base della parola data è
stolto perché non conosce la natura umana e non sa che l’individuo,
quando non è totalmente in balía delle passioni, non ha una natura
completamente razionale.
Ha sommo diritto su tutti, colui che dispone di quel sommo potere (et
illum summum jus in omnes habere, qui summam habet potestatem) in virtù
del quale può costringere tutti con la forza, e tenerli a freno col timore
della massima pena, che tutti universalmente temono55.
54 TTP XVI (p. 379-381). Anche qui si vede il confronto di Spinoza con il linguaggio
Hobbesiano. In particolare se si presta attenzione alla puntualità con cui egli
smonti il valore coercitivo di un patto.
55 Ibidem.
44 Il bagaglio politico degli individui
Se, come è stato già detto, non può esistere un individuo iso-
lato, ma l’individuo stesso si presenta in un contesto sociale, allora
risulta difficile immaginare lo stato di natura come una condizione
in cui non esista nessuna regola o norma di comportamento. Per
quanto lo stato naturale stia a indicare una vita misera e priva della
sicurezza della sopravvivenza, essa presenta tutti i presupposti del-
la costituzione di una società civile. Non tanto secondo il principio
dell’utile, ma per lo più secondo la forza delle abitudini, degli affetti
e degli jura communia. Queste condizioni sono irriducibili; lo stato di
natura non può essere considerato come uno stato semplicemente
bestiale. La natura dell’uomo, che di fatto è una natura sociale (an-
che se Spinoza su questo fa delle distinzioni), permane sia all’inter-
no dello stato di natura che all’interno dello stato civile, e non per-
mette che sussista una condizione che ponga l’autodistruzione. Lo
stato di natura spinoziano non è concepito come un branco di ‘lupi’,
né come un circolo di ‘gentiluomini’, ma come una societas che riesce
a tenere unite le varie individualità, anche se in maniera precaria, e
a porre un livello minimo di organizzazione, la quale si compone e
trova la sua naturale espressione in un rapporto di obbedienza che
pone le basi per la fondazione della civitas. L’analisi della storia degli
ebrei aiuta a comprendere questo meccanismo aggiungendone degli
aspetti problematici e interessanti.
Spinoza mostra che una civitas deve essere istituita tenendo
ben presente il carattere del popolo o della moltitudine, e le condizioni
in cui avviene questo processo. Gli ebrei, usciti dall’Egitto, costitui-
scono l’esempio che più si avvicina alla condizione naturale, perciò
è utile ripercorrerne le tappe.
Subito dopo essere fuggiti dall’Egitto, gli Ebrei non erano più tenuti al
rispetto del diritto di un’altra nazione e potevano quindi darsi nuove
leggi a loro piacimento, ossia istituire un nuovo ordinamento giuridi-
co e stabilire il loro Stato (nova jura constituere et imperium) ovunque
volessero, occupando qualsiasi terra volessero. Tuttavia, essi a nulla
erano meno adatti che a istituire con saggezza delle norme e a eser-
citare collegialmente il potere tra di loro, poiché erano tutti di indole
per lo più rozza (rudis fere ingenii) e sfiniti da una miserabile schiavitù.
In queste circostanza il potere (imperium) dovette rimanere nelle mani
di uno solo che comandasse sugli altri e li obbligasse con la forza, che
promulgasse inoltre le leggi e che, infine, le interpretasse57.
Finché infatti vissero fra le altre nazioni, prima della fuga dall’Egit-
to, essi non ebbero alcuna legge particolare, e furono tenuti a os-
servare soltanto il diritto naturale, oltre che, ovviamente, il diritto
dello Stato (jure reipublicae) in cui risiedevano, nella misura in cui
tale diritto non si opponesse alla legge divina naturale. Ritengo in-
vece che i patriarchi facessero sacrifici a Dio, per incitare maggior-
mente alla devozione il proprio animo, avvezzo (assuetum habebant)
sin dall’infanzia, ai sacrifici; fin dal tempo di Enosh, infatti, tutti gli
uomini avevano tale consuetudine (consueverant) con i sacrifici da
poter essere spinti alla devozione soprattutto per mezzo di questo
rito. Dunque i patriarchi facevano sacrifici a Dio non in obbedienza
a un qualche precetto divino o perché istruiti dai principi universali
della legge divina, ma semplicemente per aderire a una consuetudi-
ne dell’epoca (ex sola illius temporis consuetudine)59.
Mosè […], grazie alla virtù divina nella quale eccelleva, poté stabilire
delle leggi e prescriverle al popolo, ponendo in esse la massima cura,
affinché il popolo adempisse il proprio dovere non per paura, ma
spontaneamente. Due ragioni, soprattutto, lo costringevano a questo,
e cioè l’indole (ingenium) ostinata del popolo (che non tollerava di es-
sere piegato dalla sola forza) e la guerra incombente. In quest’ultima
evenienza, infatti, affinché le cose vadano per il meglio, è necessario
esortare i soldati più che atterrirli con castighi e minacce60.
La pace infatti non è assenza di guerra, ma una virtù che nasce dal
vigore dell’animo […]. Quello Stato, inoltre, in cui la pace deriva
dall’inerzia dei sudditi, che sono guidati come pecore perché impa-
rino unicamente a servire, può essere detto più correttamente soli-
tudine anziché Stato3.
2 TP V, 2.
3 TP V, 4 (p. 32).
4 TP IV, 4 (p.28).
54 Il bagaglio politico degli individui
Sebbene diciamo che gli uomini sono soggetti, non a sé stessi, bensì
allo Stato, non intendiamo con questo che gli uomini rinuncino alla
natura umana e ne rivestano un’altra […]; ma che si danno circostan-
ze, poste le quali, si impone il rispetto e il timore (reverentia et metus)
dei sudditi nei confronti dello Stato (civitas), e che, una volta tolte,
vengono meno timore, rispetto e con essi lo Stato. Lo Stato pertanto,
per essere soggetto solo a sé, è tenuto a preservare le condizioni di
timore e rispetto, altrimenti cessa di essere uno Stato5.
5 ibidem
2. Lagovernati e governanti nel 55
Occorre considerare che non è affatto di pertinenza del diritto dello Stato
ciò che suscita l’indignazione della maggioranza. È certo infatti che gli uo-
mini si uniscono per una spinta naturale o per un timore comune, o per il
desiderio di punire qualche danno comune; e poiché il diritto dello Stato
è definito dalla potenza comune della moltitudine, è certo che la potenza
e il diritto dello Stato tanto più diminuiscono, quanto più esso fornisce a
un maggior numero di persone ragioni di unirsi e cospirare7.
6 TP IV, 4.
7 TP IV, 4 (p. 24).
56 Il bagaglio politico degli individui
Gli affetti della Speranza e della Paura non esistono senza Tristezza.
Infatti, la paura è Tristezza; e la Speranza non esiste senza Paura, e
perciò questi affetti non possono essere di per sé buoni, ma soltanto
in quanto possono reprimere un eccesso di Gioia (Laetitiae)11.
Ma dal momento che la retta ragione non insegna niente che sia con-
tro la natura, una retta ragione non può prescrivere che ciascuno
rimanga soggetto solo a sé fin tanto che gli uomini sono soggetti alle
passioni […]. È da aggiungere che la ragione insegna senz’altro a cer-
care la pace che, certo, non si può ottenere se il diritto comune dello
Stato (communia civitatis jura) non rimane inviolato […]. E a questo si
aggiunge che lo stato civile è naturalmente istituito per eliminare la
paura (metum) comune ed allontanare le generali miserie, e quindi si
propone soprattutto ciò che, nello stato di natura, ciascuno guidato
dalla ragione tenterebbe, ma invano; per la qual cosa se l’uomo gui-
dato dalla ragione deve talvolta fare, per ordine dello Stato, un’azio-
ne che sa contraria alla ragione, questo male è di gran lunga com-
pensato dal bene che deriva dallo stesso stato civile; infatti è ancora
una legge della ragione scegliere, fra due mali, il minore12.
[Il Timore] perciò, non è altro che paura, in quanto l’uomo è da essa
disposto ad evitare un male che giudica futuro con un male minore13.
14 TTP XVII
15 TP III, 8 (p. 21).
2. Lagovernati e governanti nel 59
Inoltre chiameremo Favore, l’Amore verso colui che ha fatto del bene a
un altro, e al contrario Indignazione, l’Odio verso colui che ha fatto del
male a un altro18.
In realtà, se con legge intendiamo il diritto civile che può essere fat-
to valere in virtù di se medesimo, e con peccato ciò che dal diritto
civile è proibito, cioè se assumiamo i termini nel loro significato più
autentico, non possiamo dire in alcun modo che lo Stato (civitas) sia
vincolato dalle leggi o che possa peccare. Le regole, infatti, e le con-
dizioni di timore e rispetto che lo Stato è tenuto a preservare nel suo
interesse, riguardano, non il diritto civile, ma il diritto naturale22.
21 TP IV, 4 (p.29).
22 TP IV, 5 (p.29).
23 In proposito si veda L. Bove, la strategia del conatus,cit. In particolare il capitolo
7 e 8.
64 Il bagaglio politico degli individui
All’interno del potere come nel corpo umano, ogni giorno si aggiunge
qualcosa di nuovo che, di tanto in tanto, rende necessarie delle cure; e
dunque per questo […] bisogna che ogni tanto accada qualcosa per
cui il potere (imperium) sia ricondotto al principio sul quale all’origi-
ne è stato istituito24.
24 TP X, 1 (p. 103).
25 Ibidem.
66 Il bagaglio politico degli individui
a) La monarchia
27 Cfr. TP IV, 4.
28 TP VI, 4 (p. 35).
68 Il bagaglio politico degli individui
Sbagliano di grosso coloro che credono sia possibile che uno solo
abbia il sommo diritto dello Stato (summum Civitatis Jus). Il diritto,
infatti, è stabilito dalla sola potenza […]: ma la potenza di un sol
uomo è assolutamente impari a sostenere tale peso. Per cui accade
che colui che la moltitudine elegge come re si cerchi generali, consi-
glieri, amici, nelle cui mani affida la salute sua e di tutti, in modo che
il potere, che viene creduto interamente monarchico, è nella realtà
dei fatti aristocratico, non certo in maniera palese, ma nascosta, e
dunque nel modo peggiore.29
nelle coscienze degli individui e di durare nel migliore dei modi no-
nostante i propri limiti. Il discorso sulla forma migliore e più funzio-
nale di un imperium è volto a stimolare i cittadini stessi a difendere
gli jura fundamentalia di quella civitas.
33 Cfr., TP VI, 5.
34 Cfr. TP VI, articolo 8: “ il re è tanto meno soggetto a sé stesso e la condizione
dei sudditi è tanto più misera, quanto più il diritto dello stato (civitatis jus) gli è
trasferito in modo assoluto”.
35 Eth II pr. 48, dem. (p. 162): “nella Mente non vi è alcuna volontà assoluta ossia
libera; ma la Mente è determinata a volere questo o quello da una causa che è
anch’essa determinata da un’altra, e questa a sua volta da un’altra e così all’in-
finito. Dimostrazione: La mente è un modo certo e determinato del pensare e
perciò non può essere causa libera delle sue azioni, ossia non può avere una
2. Lagovernati e governanti nel 71
Non ripugna in alcun modo alla pratica il fatto che venga istituito un
diritto così saldo da non poter essere abolito neppure dallo stesso
re […] e in nessun luogo, a quanto ne so, si sceglie un monarca in
maniera assoluta, senza imporgli alcuna condizione esplicita. Anzi,
ciò non è in contrasto né con la ragione né con l’obbedienza assoluta
che si deve al re; i fondamenti del potere devono essere considerati
quali eterni decreti del re, in modo che i suoi funzionari non fanno
altro che obbedirgli se rifiutano di voler eseguire gli ordini nel caso
egli comandi qualcosa che ripugna ai fondamenti del potere39.
Il fatto che la civitas si regoli per decreto del re, garantisce l’obbe-
dienza e la stabilità dell’imperium, ma non basta. Perché la monarchia
sia un governo stabile, la volontà del sovrano non deve allargarsi a
coprire tutto il diritto. Non solo perché non è conveniente, ma perché
non è possibile. Il diritto naturale rimane all’interno della civitas pro-
prio perché la civitas non è una costruzione logico-giuridica, che defi-
nisca perfettamente i compiti e i doveri dei sudditi e al di fuori della
quale esiste solo la guerra di tutti contro tutti. Il sovrano non è così
grande da contenere tutti i suoi sudditi, ma ce li ha sempre di fronte
con le loro percezioni, passioni e affetti che determinano le azioni del-
la moltitudine che spesso sono indipendenti, se non contrarie, alla vo-
lontà del sovrano. È impossibile, allora, credere che il sovrano possa
decidere tutto, solo attraverso la sua singola determinazione (volon-
tà). È necessario, infatti, tenere presenti i fondamenti di un imperium
che si mantengono, ancora una volta, sulla base dell’imprescindibile
natura umana e delle sue regole, dalle quali nemmeno il sovrano è
dispensato. Un re che agisca sempre e solo per sua volontà non perse-
Il fatto che il numero dei membri di questo consiglio, una volta fis-
sato, non potrà essere ridotto a un numero inferiore, lo vedremo fa-
cilmente se prenderemo in considerazione le passioni comuni degli
uomini. Tutti, infatti, sono guidati dal desiderio di gloria43.
In natura non esiste alcuna cosa singolare della quale non ne esista
un’altra più potente e più forte. Ma, qualunque sia data, se ne dà
un’altra più potente dalla quale quella può essere distrutta44.
48 TP VI, 5.
76 Il bagaglio politico degli individui
ostacolo nel re. Infatti quanto più saranno detestati dai cittadini,
tanto più saranno vicini al re e pronti ad adularlo49.
Il pericolo più grande, per i re, viene sempre da coloro che sono loro
più vicini. Pertanto, meno i consiglieri sono numerosi, più sono po-
tenti, più il re deve temere il pericolo che costoro trasferiscano il
potere a un altro50.
49 TP VII, 13 (p.54).
50 TP VII, 14 (p. 54).
51 TP VI, 10 (p. 37).
2. Lagovernati e governanti nel 77
governo sostenuto da un solo uomo crea una forte distanza tra chi
detiene la summa potestas e la moltitudine, così avviene che spesso il
re tema i sudditi piuttosto che favorirli e che affermi la sua potenza
attraverso il numero dei soldati.
Quando soprattutto ogni uomo cerca l’utile per sé, allora soprattutto
gli uomini sono utili l’uno all’altro. Infatti, quanto più ognuno cerca
il proprio utile e si sforza di conservare se stesso, tanto più è dotato
di virtù, ossia […] di tanta maggiore potenza è fornito per agire se-
condo le leggi della sua natura, cioè per vivere sotto la guida della
ragione59.
sario far leva sugli affetti61 che, nell’individuo non guidato comple-
tamente da ragione, diventano l’elemento trainante della condotta
umana.
Quando Spinoza si misura con la pratica dell’agire politico, gli
affetti costituiscono lo spazio entro cui costruire la coesione della
moltitudine all’interno di una civitas. La specificità della monarchia
indica la necessità della coesione in maniera più urgente. Infatti, in
questa forma di imperium la moltitudine è completamente esclusa
dal governo (una esclusione maggiore si ha solo nella tirannide o
nella teocrazia, ma nel Trattato politico Spinoza prende in considera-
zione le forme che lui considera più auspicabili perché contemplano
una qualche forma di attività da parte della moltitudine e dunque
perché risultano più stabili), bisogna allora fare in modo che questa
esclusione non implichi la divisione dell’imperium e non incoraggi
comportamenti antisociali e dannosi per la vita in comune.
Innanzitutto non esiste proprietà privata di beni immobili; la
moltitudine è organizzata per familiae; tutti i cittadini fanno parte
dell’esercito; inoltre l’accesso ai consigli della civitas è formalmen-
te aperto a ciascun gruppo di cittadini, cioè a ciascuna famiglia, in
modo tale che l’utile dei consiglieri sia quanto più possibile aderente
all’utile della moltitudine.
Ognuno di questi provvedimenti si fonda sulla conoscenza del-
le dinamiche affettive, per evitare divisioni all’interno della moltitu-
dine e allo stesso tempo rendere la moltitudine un soggetto politico
di cui il re debba tenere conto.
Nella monarchia non esiste proprietà privata di beni immobili:
nessun cittadino possegga beni immobili […] tutti infatti, per rea-
lizzare profitti, si daranno al commercio o si presteranno denaro a
vicenda […] così tutti si occuperanno di affari collegati gli uni con
gli altri o che hanno bisogno degli stessi mezzi per essere condotti
a termine; e dunque la maggior parte [del consiglio] sarà per lo più
di uno stesso parere a proposito degli affari comuni e delle opere di
pace; infatti […] ciascuno in tanto sostiene la causa altrui in quanto
ritiene di rinsaldare, con ciò stesso, il proprio interesse62.
63 Cfr. TP VII, 7.
64 Cfr., TP VII, 13.
65 Cfr., TP VII, 21.
66 TP VII, 2.
82 Il bagaglio politico degli individui
b) l’aristocrazia
68 TP VII, 19.
69 TP VIII, 2.
70 TP VIII, 3.
84 Il bagaglio politico degli individui
costituire diritto, cosa che non può esser detta della volontà di un
consiglio sufficientemente grande. Infatti dal momento che lo stesso
consiglio […] non ha bisogno di alcun consigliere, ogni sua volontà
esplicita deve necessariamente costituire diritto71.
Quanto più grande è in effetti il diritto della somma potestà, tanto più
la forma del potere si accorda con il dettame della ragione e di conse-
guenza è più adatta alla conservazione della pace e della libertà75.
Bisogna che ogni tanto accada qualcosa per cui il potere (imperium)
sia ricondotto al principio sul quale all’origine è stato istituito79.
Il rimedio che esamina Spinoza, per fare in modo che i vizi non in-
tacchino l’imperium è preso dall’antichità classica (vista anche l’influen-
za della lettura dei Discorsi su Tito Livio, dell’acutissimo fiorentino) ed è la
potestas dittatoria. L’adozione di questo rimedio è per Spinoza piuttosto
precaria e pericolosa per i fondamenti di una civitas aristocratica, per-
ché – seppure efficace – inserisce nell’imperium aristocratico un residuo
di potestas regia, il che contraddice un assunto importantissimo:
77 TP X, 8 (p. 107).
78 TP VIII, 19.
79 TP X, 1 (p.103).
88 Il bagaglio politico degli individui
chi cerca di allontanare i mali del potere (imperii), deve applicare dei
rimedi che siano adatti alla sua natura e che possano essere dedotti
dai suoi fondamenti, altrimenti incapperà in Scilla volendo evitare
Cariddi80.
Ma l’autorità dei sindaci non basta, così come non basta una ri-
gida e calcolata forma civile, per garantire la stabilità dell’imperium.
L’autorità dei sindaci può riportare la forma del potere ai suoi jura
fundamentalia, ma non potrà prevenire il naturale diffondersi dei vizi,
che in tempo di pace portano gli uomini all’ozio e alla insofferenza
nei confronti dei costumi patrii83. Non basta istituire leggi contro il
lusso, né vietare direttamente certi vizi, ma bisogna operare un veto
indiretto:
quei vizi, di cui stiamo parlando, propri del tempo di pace, non van-
no mai vietati direttamente, bensì indirettamente col dare al potere
fondamenti tali per cui la maggioranza, se non cerca di vivere con
saggezza (questo infatti è impossibile), almeno sia condotta da quel-
le passioni che sono più utili alla repubblica84.
80 Ibidem .
81 TP X, 2 (p. 194).
82 TP X, 2 (p. 195).
83 Cfr. TP X, 4.
84 TP X, 6 (p. 106).
2. Lagovernati e governanti nel 89
per questo bisogna fare il più possibile in modo che i ricchi, se non
economi, siano almeno avari. Non v’è dubbio infatti che, se questa
passione dell’avarizia, che è universale e costante, è rafforzata dal
desiderio di gloria, i più metteranno il massimo impegno ad accre-
scere le proprie sostanze senza infamia, per accedere agli onori ed
evitare la massima ignominia85.
Il motivo per cui Spinoza dice che gli jura fundametalia dell’im-
perium aristocratico si accordino sulle passioni umane, è facilmente
deducibile anche da quanto detto rispetto alla monarchia. Meno im-
mediato è capire cosa vuol dire quando parla di una base razionale
dell’aristocrazia. Si pongono due domande: 1) l’imperium monarchi-
85 Ibidem .
86 TP X, 7 (p. 107).
87 TP X, 9 (p. 108).
90 Il bagaglio politico degli individui
Sebbene per tale ragione i poteri (imperia) di questo tipo, dove sono
destinati al governo (ad regendam Rempublicam), non i migliori, ma
quelli che per un caso fortuito sono ricchi o coloro che sono nati per
primi, sembrano essere inferiori al potere aristocratico, tuttavia, se
consideriamo la pratica, ossia la comune condizione degli uomini, la
situazione risulterà la stessa. Ai patrizi, infatti sembreranno sempre
migliori coloro che sono più ricchi, o loro parenti stretti, o con i quali
hanno vincoli di amicizia.92
Con buona pace dei criminali, dei servi – cioè di quelli che pra-
ticano un lavoro dipendente – e, naturalmente, (e in questo caso l’av-
verbio è da prendere alla lettera) delle donne. In ogni caso questa è la
forma di democrazia a base più larga e dunque è la forma di gover-
no perfettamente assoluta. Il termine absolutum, riferito all’imperium
può avere due significati che in Spinoza sono piuttosto congruenti:
innanzitutto, vuol dire che l’imperium ha maggiore jus, dunque mag-
giore potenza; inoltre, e allo stesso tempo, indica che quell’imperium è
maggiormente sciolto (absolutum) rispetto alla moltitudine. Un impe-
rium absolutum è un imperium in cui i comportamenti della moltitudine
sono meno pericolosi per la conservazione della civitas. Il rapporto
fra assolutezza dell’imperium e timore nei confronti della moltitudine
viene posto già all’inizio del discorso sull’aristocrazia.
Basta questo per capire che, nell’articolo 4 del capitolo VIII del
Trattato politico, Spinoza intende probabilmente come libertà uno
spazio di azione che sfugge, e deve sfuggire, alle suammae potestates
Infine, poiché tutti gli uomini, siano essi babari o civilizzati, intrec-
ciano ovunque usi sociali (consuetudines) e danno vita a una qualche
Dal momento che non si può dare – se non come ente di ra-
gione – un individuo isolato, ovunque ci siano degli individui – sia
che ci si trovi in uno stato di civiltà, sia che ci si trovi in uno stato di
barbarie – si intrecciano delle consuetudines, ovvero delle usanze,
nel senso più generico del termine. La tendenza a intrecciare usi
sociali e a lasciare che in qualche modo il proprio agire sia condi-
zionato da queste usanze, che funzionano anche come un elemen-
to coagulante delle singole individualità, è una tendenza naturale.
Dunque, necessaria e continua. Innanzitutto perché sussiste in
qualunque condizione si dia la presenza di un gruppo di individui:
nella barbarie – che in questo caso si può intendere come assenza
di un’organizzazione civile – oppure nella civilizzazione – che può
riferirsi a un gruppo di individui che sia già fornito di una espe-
rienza storico-nazionale (per esempio gli ebrei), o che condivida
già delle forme di vita in comune. Inoltre, la necessità delle con-
suetudines è data non dal fondamento all’interno dei dettami della
ragione, ma dalla base nella natura umana e nella condizione co-
mune degli individui. La comune condizione degli uomini, in que-
sto caso, non è tanto la condizione contestuale in cui un gruppo di
individui si trova a condividere l’esistenza, ma le stesse leggi della
natura umana, fatta principalmente di desideri, affetti e passioni.
Spinoza ci sta dicendo che, poiché è impossibile pensare un gruppo
di individui senza la presenza di consuetudines, è impossibile imma-
ginare i fondamenti della civitas se non all’interno della reale na-
tura umana. Così l’imperium, e in seguito la civitas, si costituiscono
laddove le consuetudines, basate sulle naturali dinamiche affettive,
costruiscono uno spazio di comando e laddove questo comando
prende la forma di una civitas determinata. Alla base di questo non
c’è altro che la natura affettiva e passionale degli individui. Quan-
do Spinoza richiama i fondamenti della vita politica, nel capitolo
II del Trattato politico, lo fa con continui richiami agli affetti umani.
A cominciare dalla necessità di non affidarsi completamente alla
lealtà o alla razionalità, ma di istaurare delle condizioni condivise
di metus et spes per garantire l’esercizio e la continuità di un co-
mando.
97 TP I, 7 (p. 7).
2. Lagovernati e governanti nel 99
sola potenza della ragione. Ma gli uomini sono guidati dal cieco de-
siderio più che dalla ragione, e di conseguenza la potenza naturale
degli uomini, o diritto, deve essere definita, non dalla ragione, ma da
qualsiasi appetito dal quale sono determinati ad agire e per il quale
cercano di conservarsi99.
Se immaginiamo che una cosa a noi simile, e verso la quale non ab-
biamo nutrito nessun affetto, è affetta da un qualche affetto, per ciò
stesso veniamo affetti da un affetto simile102.
Noi ci sforzeremo anche di fare tutto ciò che immaginiamo che gli
uomini guardino con Gioia e, viceversa, saremo contrari a fare quel-
lo a cui immaginiamo che gli uomini siano contrari103.
Per il fatto che immaginiamo che gli uomini amino o abbiano in odio
qualcosa, noi stessi la ameremo o la avremo in odio, cioè per ciò stes-
so ci rallegreremo o ci rattristeremo della sua presenza; e perciò (per
la proposizione precedente) ci sforzeremo di fare tutto ciò che im-
maginiamo che gli uomini amino, ossia considerino con gioia105.
Questo però non toglie che gli oggetti, che non siano agli uo-
mini simili, possano creare situazioni di profondo disaccordo e che
dunque ci siano, altrettanto necessariamente, differenze fra i desi-
deri individuali e gli obiettivi che gli uomini si pongono.
Vediamo dunque che è possibile che ciò che uno ama l’altro lo abbia in
odio; e che quel che uno teme l’altro non lo tema; e che uno stesso uomo
ora ami ciò che prima odiava e ora osi quel che prima temeva ecc106.
Accade tuttavia raramente che gli uomini vivano sotto la guida della
ragione […] Ciò nonostante, possono a stento vivere in modo soli-
tario […] e, in effetti, le cose stanno in modo tale che dalla comune
società degli uomini nascono molti più vantaggi che danni108.
Se immaginiamo che una cosa a noi simile, e per la quale non ab-
biamo provato nessun affetto, è affetta da un qualche affetto, per ciò
stesso veniamo affetti da un affetto simile2.
Risulta dunque da tutte queste cose che noi non cerchiamo, voglia-
mo, appetiamo né desideriamo qualcosa perché riteniamo che sia
buona; ma, al contrario, che noi giudichiamo buona qualcosa perché
la cerchiamo, la vogliamo, la appetiamo e la desideriamo7.
Per sommo diritto di natura ognuno giudica che cosa sia bene e che
cosa sia male, e provvede alla sua utilità secondo il suo giudizio (),
e si vendica, e si sforza di conservare ciò che ama e distruggere ciò
che ha in odio12.
19 III (p. 97) “Da cosa mai, infatti, si conoscerà che abbiamo trovato grazia ai tuoi
3. Individuo e comunità: il problema del ‘corpo collettivo’ 115
a Dio.
È del tutto ridicolo pensare che Mosè invidiasse alle altre genti la
presenza di Dio o che egli odiasse chiedere a Dio una cosa simile. Ma
il fatto è che, quando Mosè ebbe conosciuto l’indole e l’animo disob-
bediente della sua stirpe (), vide chiaramente che essi, senza gran-
dissimi miracoli e senza uno specifico aiuto esterno da parte di Dio,
non avrebbero potuto condurre a termine il cammino intrapreso20.
Perciò da qui risulta, in modo assai evidente, che […] la legge secon-
do la quale tutti hanno vissuto, è stata rivelata assolutamente a tutti,
ed è la legge che concerne soltanto la vera virtù, non quella che si
stabilisce conformemente all’ordinamento e alla costituzione di uno
specifico Stato (), adattandosi all’indole di una singola nazione ()22.
legge divina non impone la fede nelle storie, perché questa legge si
riferisce alla natura umana senza alcuna determinazione temporale.
La storia non ci insegna l’amore di Dio, che può essere attinto solo
dalla conoscenza e dalle nozioni comuni. C’è un però: le , se non pos-
sono darci la conoscenza di Dio, sono utili per la vita civile. Non solo
perché offrono degli esempi, in qualche modo, morali o didascalici
ma perché danno il senso della vita in comune:
26 IV (p. 115).
118 Il bagaglio politico degli individui
28 V (p. 131).
29
120 Il bagaglio politico degli individui
30 Questa visione delle come esperienze che detengono un valore educativo, riaggan-
cia Spinoza a una visione della storia profondamente barocca, in particolare vicina
a quella del barocco spagnolo. Per il rapporto fra Spinoza e il barocco spagnolo, cfr.
S. Ansaldi, , Paris, Kime, 2001. in ogni caso – come vedremo fra poco – Spinoza
supera questa concezione e immagina un rapporto con le che vada al di là del mero
intento didascalico.
31 V (p. 147).
3. Individuo e comunità: il problema del ‘corpo collettivo’ 121
Ché, se le donne fossero per natura uguali agli uomini, e per forza
d’animo e per ingegno () – in questo consiste soprattutto la potenza
umana, e di conseguenza il diritto – valessero quanto loro, in tante
e così diverse nazioni () se ne troverebbero alcune in cui ambedue i
sessi governassero () allo stesso modo, e altre in cui gli uomini fos-
sero governati () dalle donne, e fossero educati in modo da essere
intellettualmente () inferiori.
33 X, 5 (p. 106).
34 Entrambi i passi riportati si trovano in XI, 4 (p. 112).
124 Il bagaglio politico degli individui
35 Il carattere progressivo della potenza e dell’ non edulcora la durezza con la qua-
le Spinoza definisce i rapporti fra uomo e donna. Il problema della misoginia è
infatti stato più volte affrontato. Due contributi importnanti in tal senso sono A.
Matheron, ‘Revue philosophique de la France et de l’etranger’, Paris, 102 (1977),
pp. 181-200. e il più recente di R. Caporali, , in R. Caporali, V. Morfino, S. Visen-
tin (a cura di), , cit., pp. 93-104.Nonostante il rapporto tra sessi aiuta a gettare
una luce sul carattere della democrazia, è curioso notare come, se lo si prende
dal punto di vista dell’, vengano fuori delle contraddizioni piuttosto rilevanti.
Per esempio, resterebbe da chiarire come mai, se i servi non hanno l’ adatto a
governare ma possono riscattare il loro essere servi e dunque, col tempo, ac-
quisirlo, per le donne non ci sarebbe speranza di superare la loro condizione
di inferiorità. Le donne sarebbero trattate, allora, al pari di un sordomuto o di
un animale. Un’altra mancanza rilevante è l’espressione di un giudizio negativo
su quegli uomini che si lasciano influenzare dalla bellezza della donna, oppure
che vengono accecati dalla gelosia. La mancanza di questo giudizio da parte di
Spinoza, diventa ancora più rilevante se si confronta quest’ultimo passaggio con
quanto detto nell’Etica sulla gelosia e sull’amore sensuale.
3. Individuo e comunità: il problema del ‘corpo collettivo’ 125
Risulta evidente che non esiste peccato nello stato di natura, o, se qual-
cuno pecca, pecca verso se stesso e non verso gli altri. Infatti nessuno,
per diritto naturale, è tenuto, a meno che non lo voglia, a conformarsi
al volere di un altro, né a ritenere buona o cattiva una cosa, a meno che
non la ritenga buona o cattiva secondo la propria inclinazione (), e per
diritto naturale assolutamente nulla è proibito per diritto di natura se
non ciò che non è in potere di nessuno37.
36 Anche questo per Spinoza è una anomalia. Tant’è vero che si trova solo nell’am-
bito del rapporto fra uomo e donna. A differenza della ricorrenza di X, 5, dove
il “genio” assume ancora un valore individuale. Queste considerazioni spingono
a considerare ancora di più problematico il ragionamento rispetto ai rapporti
fra uomo e donna; e a considerare marginale nella definizione dell’, l’aspetto
riconducibile al termine “genio”
37 II, 18 (p. 15).
126 Il bagaglio politico degli individui
38 I, 5 (p. 6).
3. Individuo e comunità: il problema del ‘corpo collettivo’ 127
41 .
42 A meno che, naturalmente, lo stato ebraico non si fosse fondato sul principio
dell’obbedienza a Mosè, invece che a Dio.
130 Il bagaglio politico degli individui
43 V, 2 (p. 32).
3. Individuo e comunità: il problema del ‘corpo collettivo’ 131
sia il compito della , ma solo uno dei mezzi a sua disposizione (e non
il migliore) per non lasciare le migliori tendenze della natura umana
nelle grinfie della 44.
Si può a questo proposito leggere il metodo con cui Spinoza
organizza la trattazione dei modelli costituzionali che propone. An-
che a un primo sguardo si vede, infatti, che l’ aristocratico risulta
estremamente più complesso e organizzato della monarchia. Que-
sto dipende da diversi fattori. Come è stato già detto, naturalmente
l’aristocrazia si configura come un sistema più complicato, giocato
su condizionamenti indiretti che riguardano un numero maggiore
di persone, come sulla considerazione di una maggiore varietà di
abitudini o di ritualità, o – generalmente – di sensibilità. La mo-
narchia, invece, si caratterizza come un sistema più centralizzato
che, sebbene anch’esso tenda ad indirizzare in maniera favorevole
le naturali tendenze umane, è volto più a schiacciare le diversità che
a contenerle. Oltre a questo, però, si vede anche come il sistema ari-
stocratico – in particolare quello federalista – incontra il favore di
Spinoza, e dunque si trova ad essere adattato alla situazione olande-
se. Questo aspetto porta a una considerazione di carattere generale:
per quanto i modelli costituzionali siano delle tendenze auspicabili,
Spinoza pensa profondamente al loro rapporto con la realtà. Questo
rapporto non è lineare, ma presenta anche deviazioni significative.
44 Moreau considera la come la prima figura della storia. La storia, infatti, si pre-
senta come , vale a dire come un insieme di circostanza esterne che non possono
essere dominate e di cui ciascuno si sente in balìa. Sarebbe proprio questo l’atto
di nascita delle superstizioni e del rapporto fra un popolo e la propria religione,
così come fra un popolo il proprio re. In questo senso, la superstizione non è solo
qualcosa che appartiene al passato, ma il comune approccio umano a ciò che vie-
ne dall’esterno. Una delle tracce della storia nella riflessione di Spinoza, sarebbe
dunque proprio quella che passa per la e la superstizione. Cfr. P. F. Moreau, ,
PUF, Paris, 1994. in particolare, , Parte III, capitolo IV, pp. 467-486.
45 X, 7 (p. 107).
132 Il bagaglio politico degli individui
In effetti, il potere che si propone solo di guidare gli uomini con la paura,
si può considerare senza vizi piuttosto che fornito di virtù. Ma bisogna
condurre gli uomini in modo che a loro paia, non di venir condotti, ben-
sì di vivere secondo il proprio giudizio e per propria libera decisione48.
Per coesione delle parti, dunque, io non intendo altro se non che le
leggi o la natura di una parte si adatta così alle leggi o alla natura
dell’altra, da non contrastare affatto con essa. Circa il tutto e le parti,
intanto, io considero le cose come parti di un tutto, in quanto la loro
natura si adatta vicendevolmente, sì da conformarsi, per quanto è
possibile, le une alle altre51.
Tutti i corpi sono circondati da altri e sono gli uni e gli altri recipro-
camente determinati a esistere e a operare secondo una certa deter-
minata maniera, da tutti insieme costantemente osservata in ogni
circostanza, di qui segue che ogni corpo, in quanto esiste modifica-
to in un certo modo, deve essere considerato come parte dell’intero
universo, convenire col suo tutto e connettersi con tutti gli altri. E
poiché la natura dell’universo non è, come quella del sangue, limita-
ta, ma assolutamente infinita, le sue parti sono governate in infiniti
modi da questa natura di infinita potenza, e sono costrette a subire
variazioni infinite. Ma in ordine alla sostanza io penso che ciascuna
parte abbia col suo tutto una più stretta unione. Infatti [...] essendo
della natura della sostanza di essere infinita, per conseguenza cia-
scuna parte appartiene alla natura della sostanza corporea, senza la
quale non può né essere né essere concepita.
Vedete dunque perché e in qual modo io pensi che il corpo umano
è parte della natura. E in quanto alla mente umana anch’essa io la
considero parte della natura, in quanto affermo che in natura si dà
anche una potenza infinita di pensiero, la quale, in quanto infinita,
136 Il bagaglio politico degli individui
52 . 32 (p. 170).
53 In una riflessione sui generi di conoscenza è interessante questo aggancio per
comprendere come nasca l’esigenza di pensare la scienza intuitiva.
3. Individuo e comunità: il problema del ‘corpo collettivo’ 137
connessione con altri corpi formando a loro volta un tutto più com-
plesso. La mancanza dell’ordine e della simmetria, vanamente cercata
dal suo collega, non è spiegabile in altro modo che nel passaggio dagli
individui più semplici agli individui più complessi, il funzionamento
– e anche la quantità – delle leggi che risultano vigenti subisce uno
scarto in virtù di un gioco di determinazioni reciproche sempre più
complicate e il cui ordine può essere considerato solo in virtù di leggi
naturali di cui gli individui non possono immaginare il funzionamen-
to54. L’accordo fra le parti – quello che a un primo livello abbiamo
definito – se funziona in maniera più semplice e secondo delle leg-
gi determinate per i corpi di ordine inferiore, funziona diversamente
quando si passa a un ordine superiore, non solo in virtù del fatto che
la natura dei corpi inferiori agisce e determina le leggi dell’individuo
di ordine superiore, ma anche in virtù del fatto che gli stessi individui
di ordine superiore, in virtù della loro autonomia, riconducono a leggi
più complesse che ne regolano i movimenti e la quiete mantenendone
il rapporto. Dall’individuo più semplice all’individuo più complesso,
si arriva a un certo punto al cittadino e alla 55, dove il è tutt’altro che
scontato e dove l’accordo tra le parti passa per una riflessione politi-
ca che prende la relazione fra individui come sua parte costituente.
Come si possano prevedere le leggi che regolano la politica e l’agire
54 Ecco anche spiegata la possibilità dei miracoli come uno scarto dalle leggi della
natura che abitualmente conosciamo.
55 Questa ’gerarchia’ di individui (che in realtà mette proprio in discussione un
approccio gerarchico alla natura) è stata – ed è ancora – al centro di diverse
polemiche rispetto allo stabilire se la sia oppure no un individuo di stampo spi-
nozista. Per ricostruire le linee di questo dibattito cfr.: A. Matheron, , cit.; L.J.
Rice, , in E. Curley, P.F. Moreau, , Leiden, Brill, 1990, pp. 271-285; in cui viene
sostenuta l’ipotesi contraria a quella di Matheron, e cioè che la non sarebbe
un individuo nel senso spinozista del termine; P.F. Moreau, , cit.; dove invece
sembra venire accolta l’ipotesi di Matheron, per quanto rimanga da valutare
che tipo di individuo sia la ; ancora, E. Balibar, in R. Caporali, V. Morfino, S.
Visentin (a cura di, cit. pp. 13-46,dove viene ricapitolato il dibattito e vengono
ripercorse le Posizioni di Matheron, Rice e Negri. In più, Balibar propone una
soluzione provvisoria che connette il problema della mente unica con la sua
teoria del transindividuale, concetto cardine dei rapporti interindividuali, sia
dal punto di vista ontologico sia dal punto di vista politico. In sostanza, Bali-
bar mette in discussione la possibilità di pensare l’unicità della mente.Infine, si
veda la risposta di Matheron in: A. Matheron, , cit., pp. 127-145; dove Matheron
risponde alle obiezioni e agli spunti, sembrando sostanzialmente ammettere
che bisogna determinare di quale tipo di individuo si parla quando si consi-
dera la . Bisogna rilevare che Matheron, per sostenere la sua analisi prende ad
esempio proprio la Epistola 32 e l’esempio del chilo e del sangue. Per conto mio,
utilizzerò questo stesso esempio per considerarne le implicazioni rispetto al ,
limitandomi solo a rinviare a questo fervente dibattito.
138 Il bagaglio politico degli individui
degli individui per fare in modo che le parti si accordino fra di loro
è un problema che deve cercare risoluzione nella teoria della cono-
scenza56; quello che cercheremo di considerare noi è l’uso che Spinoza
fa nella sua riflessione del termine per cercare di capire almeno il
livello di complessità che si pone rispetto al meccanismo del consen-
so. Per quanto concerne la ricognizione lessicale il punto di partenza
sarà fissato nell’, dove il termine compare solo due volte, e dove può
trovarsi collegato con la teoria della volontà. In seguito si passerà al
dove c’è una presenza più numerosa del termine e dove il sembra por-
si in maniera interdipendente con l’. Infine completeremo il discorso
con il dove la presenza del termine è molto deludente, ma dove può
essere rintracciata una maniera più diretta – da parte di Spinoza – di
risolvere il problema dell’accordo tra le parti, in relazione al tema del
rapporto fra e .
58 IV (p.121).
3. Individuo e comunità: il problema del ‘corpo collettivo’ 141
59
60 Per quanto questo ponga dei problemi di non facile soluzione. Per esempio: la
natura del saggio è tale da sottomettersi alla società a qualunque costo, oppure
il diritto naturale di indignarsi vale anche per lui?
142 Il bagaglio politico degli individui
61 V (p. 131).
62 Che poi Cristo – nonostante la separazione fra Cesare e Dio – sia finito giudica-
to politicamente proprio da quel potere che lui avrebbe voluto tenere fuori dal
suo discorso, è un problema di altro ordine, ma che merita una menzione.
63 Rispetto al valore delle verità eterne nel e all’uso che Spinoza ne fa, soprattutto
rispetto ai principi della sua filosofia è interessante guardare S. Zac, , Paris,
PUF, 1965. In particolare le pp.167-174 dove l’autore rivela il fatto che Spinoza
3. Individuo e comunità: il problema del ‘corpo collettivo’ 143
faccia di alcune figure – fra cui Cristo – degli antesignani della sua filosofia. Il
vero intento di Spinoza – secondo Zac – sarebbe invece quello di considerare
come nelle scritture sacre ci siano i presupposti per dedurre una religione uni-
versale, che sostanzialmente affermi la libertà di pensiero.
64 Cfr. V.
65 V (p. 139)
144 Il bagaglio politico degli individui
nua messa in rapporto del col . È vero anche, però, che le due opere pre-
sentano dei tratti distintivi molto forti71. Come abbiamo già accennato,
è possibile trovare una differenza fra le due opere proprio dal punto di
vista del linguaggio. Uno degli argomenti principali del è proprio la
critica del linguaggio profetico, e allo stesso tempo un’indagine sulle
possibilità di comunicazione e di interazione fra chi emette e istituisce
le leggi e chi le riceve72. Il allora viene facilmente legato alla concezione
dell’ che viene portata avanti all’interno del . Se l’è sostanzialmente un
carattere individuale o collettivo che si forma e si modifica attraverso
una serie di esperienze anche comunicative e culturali, ecco che il con-
senso diventa una specie di applicazione, coerente con la forma di uno
specifico . C’è qualcosa però che fa pensare che l’elaborazione dell’ e
del come una sua proprietà o meglio come una sua espressione, non
sia ancora completata anche al livello dello stesso . In particolare, ab-
biamo visto che si può rintracciare una differenza fra consenso attivo
e consenso passivo, dove quest’ultimo è sostanzialmente legato a una
condizione di superstizione. Tracciare questa differenza è una propo-
sta, che però ci permette di considerare il passo successivo in modo
che ci dia il senso di una elaborazione ancora e che probabilmente ver-
rà completata nel . A un certo punto, infatti, Spinoza sembra sottrarre
la possibilità di acconsentire a quei popoli schiavi delle superstizioni e
in particolare della superstizione di venerare un re come un dio.
71 Uno dei quali, come dice Zac in , cit. è che il non presupporrebbe la lettura dell’.
Questo punto però è da discutere perché Zac non si pronuncia sul . Per quanto si
può presupporre che il secondo trattato tenga invece ben presenti i presupposti
sviluppati nell’ come dimostrerebbe il secondo capitolo che ne è un riassunto
dal punto di vista del diritto naturale. In ogni caso, questo sarebbe solo uno dei
punti problematici nel rapporto fra le due opere politiche.
72 Cfr. a questo proposito, P.F. Moreau, , cit.
73 XVII (p. 407).
148 Il bagaglio politico degli individui
Per quanto questo passo ponga dei problemi rispetto alla natu-
ra della democrazia nel 76,viene chiaramente menzionato il consenso
degli ebrei per accettare di rivestire di forza giuridica la religione ri-
74 Probabilmente non è un caso che anche qui – come nel capitolo V – Spinoza,
dopo una affermazione che può risultare dubbia in tal senso, passi a fare l’esem-
pio degli ebrei che risulta come esempio chiarificatore.
75 XIX (p.461).
76 Rispetto a questo problema è utile vedere il saggio di A. Matheron , in ‘Studia
Spinozana’ I (1985), pp. 259-273, in cui l’autore considera proprio nel rapporto
alla democrazia la differenza dei due trattati, per quanto schiacci il problema
sul confornto con Hobbes. Di natura più complessa è invece il testo, dello stesso
autore, , in E. Curley, P.F. Moreau, , E.J. Brill, Leiden, New York, Kobenhavn,
Koeln, 1990, pp. 258-270, in cui il rapporto fra i due testi è considerato sulla
base del fatto che il esprima una forma più generale ma anche più compiuta del
diritto naturale. di diversa natura, ma anche da notare è invece P. Cristofolini,
, in ‘Studia Spinozana’ 1 (1985), pp. 53-71, dove il rapporto fra i due testi vie-
ne considerato alla luce della teoria della conoscenza. In tal senso il verrebbe
a porsi come una trattazione della politica, non più sulla base di un esempio
particolare, ma come una trattazione delle essenze singolari alla luce della co-
noscenza di terzo genere. .
3. Individuo e comunità: il problema del ‘corpo collettivo’ 149
79 II, 19 (p.15).
152 Il bagaglio politico degli individui
80 Il problema non si pone infatti per l’individuo che si lascia guidare completa-
mente dalla ragione, il quale probabilmente vedrà nello stato il minore dei mali
possibili aderendovi a qualsiasi condizione. Questa distinzione però è relativa-
mente rilevante. Innanzitutto perché bisogna considerare se esista effettivamente
un individuo completamente razionale. Forse può esserlo Spinoza stesso, il quale
ha raggiunto con la stesura dell’Etica la conoscenza di dio; per quanto anche lui
abbia rischiato di farsi linciare dalla folla contravvenendo al principio di autocon-
servazione) spinto dalla passione di difendere un principio che si ritiene giusto e
razionale. Inoltre, in politica, bisogna fare per lo più i conti con la natura passio-
nale e affettiva degli individui, piuttosto che con la loro capacità di ragionare.
154 Il bagaglio politico degli individui
Civitas
Consensus
2 Cfr. G. Saccaro del Buffa Battisti, “il consenso politico da Hobbes e Spinoza”, in D.
Bostrenghi (a cura di), Hobbes e Spinoza. Scienza e politica, cit., pp. 243-279.
3 Anche Negri sembra accennare a questa possibilità. Cfr. A. Negri, L’anomalia
selvaggia, in A. Negri, Spinoza, Roma, Deriveapprodi, 1998. In particolare p.
152, dove viene indicato il rapporto fra esercizio del potere ed espressione del
consenso come un rapporto aperto, elemento questo decisivo per proporre un
superamento del giusnaturalismo.
160 Il bagaglio politico degli individui
Imperium
Ingenium
4 Per forma di governo, non si intende tanto una azione politica, che effettiva-
mente rientra poco nella determinazione spinoziana del concetto di imperium,
ma una costruzione giuridica. Cfr. S. Visentin, La libertà necessaria, cit., pp.
149-155.
5 A proposito di questo ragionamento, cfr., il glossario a cura di P. Cristofolini, in
B. Spinoza, trattato politico, a cura di P. Cristofolini, cit.
162 Il bagaglio politico degli individui
Jura fundamentalia
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