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Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna

Architettura per le liturgie cristiane:


la basilica di Sant’Apollinare in Classe
a Ravenna

Esercitazione scritta per il Corso di licenza in


Teologia dell’Evangelizzazione TE19LT01

Studente Docente
Loris DERNI Luigi BARTOLOMEI

Anno Accademico 2019-2020


Sommario
Premessa…………………………...……………….….…………...………...…3
Prima parte
1. Simboli archetipici nella costituzione dello spazio
sacro…………………………...………..………………………………….……4
2. La basilica di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna: esempio di
connubio tra arte sacra, liturgia e architettura…………………………….9
3. Sacro naturale e sacro cristiano: il recinto sacro rappresentato
dalla basilica di Sant’Apollinare in Classe……………………..……10
4. Il sacro come immutabilità del rito cristiano o come fonte pre-
cristiana……………………………………………………………………11
5. Il sacro come fedeltà alla dimensione comunitaria e alla
liturgia…………………………………………………….…………….……13

Seconda parte
6. A-temporalità e tipologie storiche nella basilica di Sant’Apollinare
in Classe……………...………………………………………….………..15
7. Memoria evocativa e tipi dello spazio sacro nella basilica di
Sant’Apollinare in classe…………………………….......................…18
8. La conquista di una visione ordinata a concretizzare il cammino
iniziatico……………………….……………………………...……...…..20
9. Il tema della croce nella basilica di Sant’Apollinare in
Classe………………………………………………………….……...…..21
10. Lo spazio come «apparizione» ………………………..……......……23

Terza Parte
11. La basilica di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna…………………….24
11.1. L’esterno della basilica di Sant’Apollinare in Classe……...........25
11.2. L’interno della basilica di Sant’Apollinare in Classe…….………..26
11.3. Decorazione musiva dell’arco trionfale di Sant’Apollinare in Classe...28
11.4. Il mosaico absidale della basilica di Sant’Apollinare in Classe……….32
11.5. Il significato iconologico del mosaico di Sant’Apollinare in classe
a Ravenna…………..……….…………………….…………..…………34
12. Conclusioni…………………….…………….…..……...……….…….39
Bibliografia e sitografia…………………..…………...………………….43

2
Architettura per le liturgie cristiane:
la basilica di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna

Premessa

Se la secolarizzazione ha contribuito a desacralizzare numerosi spazi liturgici, al


contrario la società globalizzata non ha mai cessato di cercare e di creare nuovi luoghi,
in cui riconoscere e condividere forme di sacralità. Se dovessimo infatti individuare i
luoghi oggi considerati scrigno di «sacralità», dovremmo indagare spazi con funzioni
disparate, in cui i protagonisti non paiono più essere le singole persone, né tantomeno
le comunità, quanto piuttosto alcune categorie di oggetti-simbolo che riportano ad
archetipi del «sacro naturale», oramai sempre piu’ presenti nella società di massa,
come ad esempio: i musei e le gallerie d’arte, gli allestimenti di mostre temporanee o
gli show-room aziendali, le navate delle stazioni ferroviarie e degli aeroporti, alcuni
spazi pubblici urbani e quant’altro. «Se le religioni paiono aver talora rinunciato alla
necessità di avere luoghi sacri, l’architettura pare invece non aver cessato di aver
bisogno di sacro»1.
Nasce da queste riflessioni, l’idea e l’esigenza di andare a cercare una Basilica
antica, come quella di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, che allontanandosi da
sperimentazioni architettoniche tipologiche post-conciliari, a volte riuscite a volte no,
ci permetta di poter individuare la presenza del «sacro naturale», che nel suo confluire
nel «sacro cristiano» tramite gli splendidi spazi basilicali, ci possano far riflettere su
queste tematiche.
Tenteremo altresì di dimostrare in questo nostro breve elaborato, come lo spazio
cristiano di questa antichissima basilica del VI secolo, abbia saputo sapientemente
«rimescolare» gli elementi del «sacro naturale», nel sacro «cristiano», anche alla luce
del recente e a mio avviso molto ben riuscito adeguamento liturgico, corrispondendo
pienamente all’attuale sensibilità cristiana.

1
K. HARRIES, Untimely meditations on the need for sacred architecture, in K. CAVARRA BRITTON,
a cura di,,Constructing the ineffable: contemporary sacred architecture, Yale University Press, New
Haven, 2010, 48-59.

3
Prima parte

1. Simboli archetipici nella costituzione dello spazio sacro

Prima di cominciare con l’analisi degli aspetti inerenti il «sacro naturale», confluiti
nel «sacro cristiano», oltre che agli aspetti «tipologici» inerenti la basilica di
Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, partirei da altre importanti riflessioni
preliminari, utili ad indagare la proposizione degli strumenti e dei metodi compositivi
per spazi ed architetture sacre, che nella loro «conformazione delle masse, nella
giustapposizione dei volumi, nel gioco della luce, sappiano avvicinare l’uomo del
nostro tempo al sacro, o ad una dimensione di ricerca ontologica, alle radici dell’essere
e della propria essenza»2.
Sant’Agostino in occasione dell’inaugurazione di una casa di preghiera, cioè di
una chiesa, intervenne con la celebre frase: «questo edificio è divenuto la casa del
nostro culto. Ma noi stessi siamo casa di Dio» 3. Locuzione che ci aiuta a
sottolineare meglio, lo stretto legame intercorrente tra l’edificio inteso come
elemento materico, in cui la comunità si ritrova, ed il tempio che la comunità dei
fedeli, come ogni fedele preso singolarmente dal resto, si trova ad essere.
Si può dunque già delineare chiaramente, da queste parole di Sant’Agostino,
che c’è evidentemente una relazione intercorrente tra la Chiesa, in quanto comunità
dei fedeli, e l’edificio in cui questa comunità si ritrova.
La domanda che sorge spontanea ed a cui in qualche modo Agostino già ci
fornisce la risposta è: perché la Chiesa edifica e costruisce chiese? Ovvero, perché,
data la realtà della Chiesa in quanto Corpo Mistico di Cristo, come sintetizza bene
la Mystici Corporis di Pio XII4, questa stessa comunità che è Chiesa scorge e sente
la necessità di un luogo che definisce sacro ed in cui fa vivere il sacro?
Sant’Agostino, stabilisce dunque un chiaro parallelismo fra ciò che la Chiesa è
e ciò che la Chiesa che ogni fedele è, si trova ad essere.

2
L. BARTOLOMEI, Luoghi e spazi del sacro. Matrici urbane; archetipi architettonici. Prospettive
contemporanee per la progettazione di spazi per la Cristianità, Tesi di Dottorato in Ingegneria Edilizia
e Territoriale, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, 2008, Bologna, 59.
3
Agostino, Disc 336, 1.
4
Lettera Enciclica di PIO PP. XII.

4
Il medesimo parallelismo, tra edificio e comunità, è posto anche da Ignazio di
Antiochia, che seppur per ragioni diverse rispetto a quelle di Sant’Agostino
(l’intento di Ignazio era quello di sottolineare come la Chiesa dovesse essere unita,
una con il Vescovo), afferma infatti che: «Voi battezzati siete “le pietre vive” del
tempio del Padre, preparate per la costruzione di Dio Padre, elevate con l’argano
di Gesù Cristo che è la croce, usando come corda lo Spirito Santo» 5.
Inoltre, sempre alla preliminare «ricerca ontologica alle radici dell’essere e
della propria esistenza» 6, utili al nostro lavoro, nel testo di genesi la creazione da
parte di Dio, viene descritta da Luigi Bartolomei, Professore Incaricato presso la
Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna di corsi relativi all’Architettura Sacra,
come «un’azione che procede di separazione in separazione» 7.
«Le masse caotiche e deserte della terra informe», prosegue Bartolomei,
«vengono ordinate e rispettivamente delimitate secondo la loro funzione».

Il principio di tale ordinamento è la disposizione di due precisi orientamenti: quello verticale dato
dalla separazione delle acque superiori da quelle inferiori, quello circolare del tempo, dato dalla
successione notte e giorno e infine quello orizzontale dello spazio (oceani e terra asciutta). L’azione
separatrice serve a stabilire una fondamentale alterità tra Dio e le cose create: il creatore, ponendo
qualcosa come diverso da sé, fonda l’altro. Tale alterità è anche il principio di ogni dinamica
relazionale (si pensi anche alla relazione trinitaria). Il testo della tradizione sacerdotale, o Javista
(Gn 2; 4b), vede Dio intento a circoscrivere ulteriormente lo spazio da lui creato per delimitare un
luogo particolare che ospiterà la prima coppia umana, il primo sacro recinto: Paradiso è parola che
giunge dal sanscrito paradesha o "paese supremo", più tardi occidentalizzato in pairidaeza (iranico),
composto di pairi- (attorno) e -diz (creare), tracciare un recinto.
Il paradiso costituisce pertanto il primo recinto sacro, la cittadella di Dio, luogo in cui si manifesta
nel mondo terrestre l’attività del cielo, in cui Dio si trova a passeggiare, in cui egli abita insieme
all’uomo, vivendo una relazione di amicizia. Il cielo diventa per l’uomo, grazie a questa
rappresentazione visibile e vivibile, grazie a questa dimensione ordinata e non caotica, luogo in cui
poter essere partecipe della vita divina8.

5
Ignazio di Antiochia, Lettera agli Smirnesi, 8, 1-9.
6
L. BARTOLOMEI, Luoghi e spazi del sacro. Matrici urbane; archetipi architettonici. Prospettive
contemporanee per la progettazione di spazi per la Cristianità, 59.
7
Ivi,79.
8
Ibidem.

5
Come abbiamo appena visto, dunque, il paradiso costituirebbe il primo «recinto
sacro», la «cittadella di Dio», e dunque quello specifico luogo sacro in cui si manifesta
nel mondo terrestre l’attività del cielo, in cui Dio si trova a passeggiare, in cui Egli
abita insieme all’uomo, vivendo una relazione di amicizia.
«Solo dopo la caduta, Caino, ucciso Abele»9, prosegue ancora Bartolomei, «diverrà
costruttore di Città (Gn 4,17)»10, «solo dall’omicidio di Remo, Romolo fonda Roma e
ne diventa monarca: matrici comuni che dal sangue e dalla violenza fanno scaturire un
nuovo ordine civile che si concretizza nella città e che la Scrittura ha sempre visto con
sospetto e riserve, come già i Padri non avevano mancato di sottolineare»11.
Nell’interessante analisi del Bartolomei, Procopio di Gaza, cioè uno dei maggiori
rappresentanti della scuola cristiana del IV secolo a Gaza, definito «il massimo
pensatore cristiano del primo millennio, certamente anche uno dei più grandi geni
dell’umanità in assoluto»12 e Beda, monaco cristiano del VI secolo autore di numerose
opere, tra le quali la Historia ecclesiastica gentis Anglorum, che gli ha valso il titolo
di «Padre della storia inglese», rilevano l’intenzione negativa del testo sacro.
Ruperto di Deutz, monaco benedettino tra i più prolifici del XII secolo, che scrisse
numerosi commenti alla Sacra Scrittura, si spinse ancora più avanti, notando «come
l’omicidio sia la prima causa della costruzione della città sulla terra»13.
Norbert Lohfink, con riferimento alle note tesi sulla violenza dell’antropologo René
Girard, prosegue il Bartolomei nella sua brillante analisi, ribadisce che la Genesi:
«mostra come la città, e così pure la musica e le altre forme di cultura suppongono
l’uccisione»14.
Nella protostoria biblica, inoltre, ritroviamo l’episodio della famosa torre di Babele,
«in cui la costruzione di una città è associata alla torre della sfida15 […] nell’episodio
della torre si vede certo il segno dell’autosufficienza dell’uomo sociale e della sua
inclinazione all’arroganza»16.

9
L. BARTOLOMEI, Luoghi e spazi del sacro. Matrici urbane; archetipi architettonici. Prospettive
contemporanee per la progettazione di spazi per la Cristianità, 79.
10
1 Gen 4,17: “Ora Caino si unì alla moglie che concepì e partorì Enoch; poi divenne costruttore di una
città, che chiamò Enoch, dal nome del figlio”.
11
L. BARTOLOMEI, Luoghi e spazi del sacro. Matrici urbane; archetipi architettonici. Prospettive
contemporanee per la progettazione di spazi per la Cristianità, 79
12
Il giudizio è del filosofo e saggista italiano Antonio Livi, Storia Sociale della Filosofia, vol. I, Roma,
Società Editrice Dante Alighieri, 2004, 242.
13
R. di DEUTZ, De sancta Trinitate et operibus eius, I-IX (R. Haacke) CCCM XXI, Turnhout, 1971,
294.
14
N. LOHFINK, Il Dio violento dell’Antico Testamento e la ricerca di una società non violenta, in La
Civiltà Cattolica, 135, 1984, vol II, 44.
15
Gn 11,4.
16
L. BARTOLOMEI, Luoghi e spazi del sacro. Matrici urbane; archetipi architettonici. Prospettive
contemporanee per la progettazione di spazi per la Cristianità, 80.

6
Come avverte la catena di Isholad de Merv (che ci dà l’eco del cristianesimo più orientale, quello
nestoriano): gli uomini cercano di costruire la torre «per far scendere Dio dal suo rango… e, se Egli
avesse di nuovo provocato il diluvio, salire a combattere contro di Lui». E molti secoli dopo
Ishodad, Calvino insiste ancora su questa punta negativa: «questa moltitudine di genti (…) dopo
essersi estraniata dal puro servizio di Dio e dalla Santa Comunità dei credenti, si congiunge e si
unisce insieme per fare guerra a Dio17».18 19

La città, prosegue Bartolomei, è quindi una chiara manifestazione della caduta, ed


il suo stesso darsi, prova lo stato di una «mancanza» che le sue leggi, i suoi ordinamenti
e i suoi divieti tentano di colmare.

L’ordine che la città umana propone al territorio è la riconquista dei principi ordinatori che hanno
presieduto alla creazione del mondo, di cui l’uomo scopre passo passo le regole e le leggi, in modo
tale che la via con la quale procede la conoscenza umana è speculare a quella con la quale, nella
tradizione Biblica, il Signore via via procede alla separazione degli elementi e alla conseguente
creazione della realtà: la via con la quale Dio via via separa le cose dal tutto, è la medesima risalendo
la quale, l’uomo procede dalla distinzione delle cose alla progressiva percezione dell’unità del tutto,
e alla riscoperta di un ordine cosmico universale20.

A conclusione di queste riflessioni preliminari «di ricerca ontologica, alle radici


dell’essere e della propria essenza»21, che ci torneranno utili per iniziare il nostro breve
lavoro sull’analisi inerente gli aspetti del «sacro naturale» confluito nel «sacro
cristiano» che troviamo nella basilica di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, il
Bartolomei ci ricorda altresì come nel libro dei Proverbi (8; 22-27), la sapienza di Dio
«opera come un architetto al quale Dio stesso comunica il suo progetto»22.
L’opera divina è dunque «un’opera sublime, di circoscrizione, essa traccia un
cerchio sulle acque, fissa l’orizzonte della volta celeste, chiude entro precisi confini le
potenze caotiche degli oceani»23.

17
J. CALVIN, Le livre de la Genèse, in Commentaires de Jean Calvin sur l’Ancie Testament , I, Géneve,
1961,181.
18
G. DOSSETTI, Per la Vita della Città, in La Parola e il Silenzio, discorsi e scritti 1986 – 1995, Il
Mulino, Bologna, 1997
19
L. BARTOLOMEI, Luoghi e spazi del sacro. Matrici urbane; archetipi architettonici. Prospettive
contemporanee per la prog ettazione di spazi per la Cristianità, 81.
20
Ibidem.
21
L. BARTOLOMEI, Luoghi e spazi del sacro. Matrici urbane; archetipi architettonici. Prospettive
contemporanee per la progettazione di spazi per la Cristianità, 59.
22
Ivi, 81.
23
Pr 8, 22-27.

7
Nel libro dell’Esodo, inoltre, è forte il richiamo alle immagini del paradiso terrestre,
poiché ogni volta che l’uomo entra in relazione con Dio in un rapporto di alleanza-
amicizia devono essere necessariamente riprodotte le condizioni iniziali in cui, in
principio, tale rapporto ha avuto inizio.
Il monte Sinai sul quale Dio mostra la sua gloria rimanda esso stesso al giardino
piantato in Eden come Mosè rimanda ad Adamo; in questo luogo preciso e delimitato
l’immensità del cielo si lascia circoscrivere e si rende visibile e abitabile per l’uomo e
per Dio: «Fisserai per il popolo un limite tutto attorno, dicendo: Guardatevi dal salire
sul monte e dal toccare le falde». (Es 19,12) Il popolo non può salire sul monte Sinai,
«perché tu stesso ci hai avvertiti dicendo: Fissa un limite verso il monte e dichiaralo
sacro (Es 19,23)»24.
Sempre il libro dell’Esodo (Es 34,29-35), ci descrive inoltre lo sfolgorio di gloria
che s’irradiava dal volto di Mosè quando discendeva dai suoi incontri con Dio. Il Dio
che nessuno poteva vedere senza morire (Es 33,20), comunicava invece a Mosè il
proprio splendore, la propria bellezza, al punto che Mosè teneva un velo sul suo volto.
Dio dunque, si rivela e si nasconde. II tormento di Mosè di irradiare una gloria che
aveva potuto soltanto avvicinare, assomiglia al lampo intravisto da tanti artisti al di là
di ogni espressione, come una grazia inviolabile ed inaccessibile bellezza, che fugge
via appena intravista.

24
Es 19,23.

8
2. La basilica di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna:
esempio di connubio tra architettura, arte sacra e liturgia
Creato ad immagine di Dio, l’uomo è naturalmente orientato verso di Lui. Non sempre
ne è cosciente, anche se tuttavia risente della forte attrattiva di questo dinamismo.
L’architettura, dunque, conserva in sé stessa, una viva coscienza che la rende capace di
decifrare nell’uomo ciò che egli ignora di se stesso, mentre l’arte sacra e la liturgia,
agevolano e favoriscono, questo compito.
Essa, l’architettura, rende presente la comunicazione di questa gloria, che «non fa quello
che vuole» essendo come l’arte sacra e la liturgia, al servizio della diffusione di un Mistero.
Soprattutto, nell’ambito del «sacro cristiano», i tre termini architettura, arte sacra e liturgia,
hanno la loro importanza, perché l’architettura non celebra un Dio inaccessibile, ma
proclama «Colui che si comunica in un atto salvifico eterno ed unico».
Un architetto, dunque, oppure un artista che non crede, potrà intuire l’orientamento
dell’architettura, ma la sua opera diventerà effettivamente architettonica, quando il suo
simbolismo entra esso stesso nell’azione liturgica, che lascia penetrare nel mondo, la
Presenza. Colui cioè, che crocifisso, redento e vittorioso, «tiene il mondo tra le sue due mani
aperte», presentando la liturgia all’arte sacra e all’architettura.
L’architettura e l’arte sacra, dunque, presentano il mondo; lo rappresentano,
trasformandolo con il lavoro, la ricerca e il genio. Mentre la liturgia, «obbliga» per certi
aspetti l’architettura e l’arte sacra a ridefinirsi, e lungi dall’essere una triste opposizione,
questo lavoro comune dell’architettura e dell’arte sacra sulla propria realtà, diviene invece
il fondamento della loro proficua e vantaggiosa collaborazione.
Non si saprebbe infatti concepire una liturgia adeguata, senza architettura e senza arte
sacra, così come vedremo meglio nell’esempio munifico di questo felice connubio,
rappresentatoci della basilica di Sant’ Apollinare in Classe a Ravenna, capace di cogliere
dalla dimensione religiosa del «sacro cristiano», il primitivo valore catartico e apotropaico
di potenza, capace di rendere co-presente il «sacro naturale», attraverso la sovrapposizione
tra vari piani percettivi, grazie alla sua costruzione architettonica, ma anche attraverso l’arte
sacra, rappresentata dagli splendidi mosaici absidali.
Se è vero come dice M. Eliade che «il tempio è immagine del cosmo»25, e che dunque la
sua costruzione è un rito fondativo e cosmogonico, che drammatizza «la produzione del
mondo a partire dal caos primordiale»26, così anche la Basilica di Sant’Apollinare in Classe
a Ravenna, si delinea essere un luogo che, prima di essere uno spazio del sacro in virtù della
sua dedicazione, è uno spazio sacro in virtù della sua architettura, dimostrandosi «una
macchina spaziale costruita ritualmente e in grado di compiere un processo di ritualizzazione
dell’abitare, tale da traghettare il visitatore da coordinate geografiche a esistenziali e
cosmiche».27

25
M. ELIADE, Il sacro e il profano, Torino, Bollati, Boringhieri, 2006, 26 s.
26
T. BURKHARDT, Considerazioni sulla conoscenza sacra, Milano, SE srl, 1997, 25.
27
L. BARTOLOMEI, L’istante e l’eterno. Luoghi e spazi del sacro tra città degli uomini e città di Dio, in Il
Tempio e il Sacro, a cura di E. MODENA, atti del Convegno 5-6 ottobre 2013, Vittorio Veneto (TV), 76.

9
3. Sacro naturale e sacro cristiano: il recinto sacro
rappresentato dalla basilica di Sant’Apollinare in Classe
Alcuni interessanti spunti preliminari, inerenti la tematica di «sacro naturale»
confluito nel «sacro cristiano», da cui prenderei il via per analizzare in maniera
specifica la basilica di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, ci vengono forniti oltre
che dal Bartolomei, anche da Mario Botta, notoriamente considerato uno dei più
prolifici costruttori di spazi sacri.
Quest’ultimo dice a proposto degli spazi sacri: «E’ l’architettura stessa a coltivare
nel suo grembo l’idea del sacro; infatti porta con sé la nozione di limite, l’atto di
separare la parte dal tutto. L’architettura è separazione fra interno ed esterno, fra terra
e cielo, è distinzione fra spazio finito e immensità dell’intorno»28. E ancora: «Costruire
è di per sé un atto sacro, è una azione che trasforma una condizione di natura in una
condizione di cultura; la storia dell’architettura è la storia di queste trasformazioni»29.
Sempre Mario Botta, a prescindere dal dibattito teologico o dai diversi approcci
pastorali, che non sono oggetto di questo nostro elaborato, formula una propria
personale concezione di che cosa sia uno «spazio sacro» in rapporto con il contesto
«profano»: «un luogo di meditazione, di rapporto con il trascendente e con
l’assoluto»30, che nel nostro caso specifico, è ben rappresentato dalla basilica di
Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, come vedremo più avanti nella prosecuzione di
questo nostro lavoro.
Le chiese generalmente intese, sono infatti per il Botta opere che mirano: «al
silenzio, alla meditazione, alla preghiera, dove la costruzione configura modelli
tridimensionali di luce e forme che relazionano la percezione visiva alla sensazione
emotiva»31.
Inoltre, sempre il tema delle chiese generalmente intese, nella «polverizzazione»
delle attività e degli interessi della vita di oggi:

si propone come un momento di pausa, un attimo di pace e di silenzio dove il mondo profano si
confronta con la trasfigurazione del sacro. […] Nel territorio modellato dall’uomo oggi, la chiesa è
segno della presenza sacra nell’organizzazione della città, così come la sua porta, il suo ingresso; è
segno di transizione fra due mondi distinti, è segno di separazione e di divisione, e l’interno; è segno
di protezione, e la luce è segno del cielo, e il silenzio è segno di immensità dove i luoghi liturgici
indicano accadimenti che la fede permette di dilatare in spirituali»32.

28
M. BOTTA, Architettura e spazi sacri, in A.N. TERRIN, a cura di, Liturgia ed estetica, Messaggero-
Abbazia di Santa Giustina, Padova, 2006, 253-260.
29
M. BOTTA, Lo spazio del sacro, in G. CAPPELLATO, a cura di, Mario Botta. Architetture del Sacro.
Preghiere di pietra, Catalogo della mostra, Firenze, 2005, Compositori, Bologna, 2005, 3.
30
Ibidem.
31
Ibidem.
32
M. BOTTA, La Chiesa e la città, presentazione del progetto, dicembre 2006 in www.diocesi.torino.it.

10
4. Il sacro come immutabilità del rito cristiano o come fonte
pre-cristiana

Quale miglior esempio della basilica del VI secolo di Sant’Apollinare in Classe a


Ravenna, abbiamo dunque per esplorare seppur sommariamente, il concetto di
«sacralità immutabile», cioè di quelle verità che non cambiano nei secoli, che sono
anche il fondamento dell’architettura di chiese, se non per tramite di un breve sguardo
alla splendida struttura basilicale e agli splendidi mosaici di Sant’Apollinare in Classe
a Ravenna, come vedremo nella seconda parte di questo nostro breve lavoro?
Per Augusto Romano Burelli33, ad esempio, la «immutabilità del rito» e le «verità
immutabili della Chiesa» sono il fondamento dell’architettura di chiese; nello
specifico: «lo spazio sacro è, per il culto cattolico, parte integrante del rito; il rito è
indissolubilmente legato alla parola rivelata che non muta; la parola rivelata è parte
sostanziale del Divino; quindi lo spazio sacro non può cambiare secondo i principi
dell’architetto; deve esserci qualcosa che non muta»34.
Inoltre, le opere dell’architettura sacra ricercano la durata più delle altre opere
architettoniche, «vincolate come sono al rispetto perenne dei fini e delle verità
immutabili della Chiesa»35. L’esito è dunque per Burelli, l’atemporalità della chiesa
vista come tempio sacro: «Al tempio va riconosciuta la dimensione mitica; esso va
visto nella sua atemporalità storicamente non determinata»36.

33
Augusto Romano Burelli, professore Ordinario di Composizione architettonica, insegna dal 1970 al
2006 presso l’Istituto Universitario di Architettura a Venezia. Attualmente è presidente del Corso di
Laurea in architettura dell’Università di Udine. Si occupa di progettazione architettonica e urbana con
uno specifico interesse alla cultura architettonica della città, delle tradizioni insediative, della loro
struttura morfologica e tipologica.
34
A. R. BURELLI, Le radici del sacro: il luogo. Considerazioni sull’architettura del sacro, in A.R.
BURELLI - P.S. GENNARO, La dimora del Nome. Considerazioni sull’architettura del sacro, Aión,
Firenze, 2008, 11-16.
35
A. R. BURELLI, La breve eternità del tempio, in A.R. BURELLI – P.S. GENNARO, La dimora del
Nome, Aion, Firenze, 2009, 19-23.
36
Ivi, 23.

11
Chiese a-temporali che esprimono «una religiosità che non è l’appartenenza a
qualcosa di diverso dal cristianesimo, ma a qualche cosa che è precedente e lo
comprende. Queste forme primarie non derivano dalla sola fede ma dalla riflessione
sulla religiosità»37 .
«Chiesa, o meglio, Tempio, è un termine che «fa rientrare l’edificio cristiano nella
prima, originaria tipologia della storia dell’architettura, cioè la Dimora di Dio»38.
Per Margherita Petranzan39, inoltre: «Lo spazio sacrale è lo spazio del silenzio e
della “contemplazione”. Contemplare deriva, appunto, da templum, ed è un gesto
decisivo, iniziatico, con il quale l’uomo ha definito la sua diversità tra le creature,
all’interno della sfera celeste»40.

37
M. SCOLARI, Le forme della religio, in A.R. BURELLI – P.S. GENNARO, La dimora del Nome,
122-123.
38
Ibidem.
39
Margherita Petranzan è un architetto, teorica dell’architettura e accademica italiana. Dal 1992 è
direttore responsabile della rivista di filosofia Paradosso, il cui comitato direttivo è formato da M.
Cacciari, U. Curi, S. Givone, G. Marramao, C. Sini e V. Vitiello.
40
M. PETRANZAN, Stasi. Le parole sulle cose, in Anfione e Zeto. Quaderni di architettura, a. 1, 1992, 63.

12
5. Il sacro come fedeltà alla dimensione comunitaria e alla
liturgia

Recentemente Franco Purini41 spiega che l’edificio «si propone in modo speciale
come casa della comunità, dove il luogo di culto – pur sempre fuori dall’ordinario –
possa essere sentito sacro non in quanto “monumento”, ma in virtù della presenza dei
fedeli, luogo di discontinuità e al tempo stesso di continuità con l’ambiente
circostante»42.

Fin dai suoi caratteri generali la chiesa dichiara una composizione fondata sugli elementi essenziali
del luogo sacro, posti secondo la sequenza iniziatica: sagrato, spazio di mediazione e assieme di
distinzione dal contesto; portale, con acquasantiere, memoria baptismatis, endonartece, fonte
battesimale; aula, con percorso al luogo dell’Eucarestia; abside, ideale apertura alla dimensione
escatologica43.

Tutti elementi questi ben presenti nella basilica di Sant’Apollinare in Classe, a cui
si aggiungono anche le suggestive immagini raffigurate nel suo splendido mosaico
absidale, come vedremo nella seconda parte di questo nostro lavoro.
La basilica di Sant’Apollinare in classe a Ravenna, evidenzia inoltre una
concezione di sacro radicata nella sua impostazione cristologica dello spazio liturgico.
Per dirla con le parole di Sandro Benedetti. «È questa presenza di Cristo nello spazio
della chiesa l’asse costitutivo, non preteribile, del sacro cristiano»44. Tale sacralità non
assume tuttavia mai declinazioni individualiste: «Fatti costitutivi quindi del sacro
cristiano saranno la presenza reale del Cristo-Dio, la presenza della comunità che
prega, il luogo creato»45- Anche Paolo Portoghesi, nota che:

il Concilio puntò soprattutto sull’identificazione tra chiesa e assemblea dei credenti e gli architetti
si cimentarono con zelo nella supina interpretazione del tema funzionale, quello appunto di un
insieme di persone raccolte di fronte ad un sacerdote non più visto di spalle, in colloquio con Dio,
ma visto di fronte, dietro la mensa dell’altare, come un commensale o un conferenziere»; ne
conseguì un atteggiamento funzionalista, fondato sul «tema della chiesa laicizzata, non più “casa di
Dio”, ma luogo di riunione per una assemblea46.

41
Franco Purini, è un architetto, saggista e docente universitario italiano. I suoi progetti sono densi di
linee, rimandi, campiture, e le sue strutture riecheggiano di razionalismo e tradizione classica, che
rimandano a suggestioni di carattere metafisico.
42
F. PURINI - L. THERMES - A. CORNOLDI, Complesso parrocchiale di San Giovanni
Battista, Lecce, 1998, in Fra terra e cielo, 347.
43
Ibidem.
44
S. BENEDETTI, Elementi costitutivi di un’architettura identificativa dello spazio cultuale cristiano,
in L’arte per il culto nel contesto postconciliare, 235-255.
45
Ibidem.
46
P. PORTOGHESI, Tipo e contaminazione, in A.R. BURELLI – P.S. GENNARO, La dimora del Nome, 7-8.

13
Nel rimarcare la diversità della chiesa rispetto ai contesti urbani indifferenziati e da
rievangelizzare, la dimensione comunitaria dell’edificio pare quasi anticipare e
precorrere gli aspetti monumentali o identitari: la chiesa è infatti considerata «casa
delle case del Signore», perché vero tempio sono le persone, «casa in cui si raccolgono
quelle case di Dio che sono i singoli fedeli»47.
Inoltre sempre per Portoghesi: «il modo migliore di costruire “la casa di Dio” è […]
quello di immaginare una casa per l’uomo. […] La casa di Dio quindi come casa per
degli uomini, come luogo dove si raccoglie la comunità, in cui l’immagine di Dio è
presente anzitutto in quanto esiste all’interno di ciascuno dei membri della comunità:
non quindi una Chiesa separata dalla società, ma una Chiesa immersa nella società»48.
Tali considerazioni si rivelano anche nei progetti recenti, in cui permane la tensione
di interpretare la Chiesa come composta da «pietre viventi», composta quindi dalla
comunità dei credenti, in modo da dare al progetto di chiesa «una forma che è
l’immagine dell’assemblea liturgica»49.
Per concludere questa beve riflessione sul sacro come fedeltà alla dimensione
comunitaria e alla liturgia, vediamo come l’attenzione del Portoghesi alla dimensione
comunitaria della liturgia, si associ anche ad una valutazione in merito al ruolo della
presenza «fisica» di Cristo nell’ostia eucaristica; oggetto ed argomento, quest’ultimo,
di intensi e vivaci dibattiti, non oggetto di questa dissertazione.
Il tema di una «lettura sacrificale» del banchetto eucaristico è così sintetizzata dal
Portoghesi:

Se il tempio di Gerusalemme tendeva a fissare le tracce della presenza divina in un luogo “separato
e inaccessibile”, la chiesa, in quanto costruzione spirituale aperta, corpo mistico di Cristo, può ben
esser domus Dei, casa di Dio, purché non si confonda la chiesa delle pietre viventi con l’edificio che
le custodisce, il quale tuttavia può esprimere nel visibile l’invisibile, nella chiesa materiale quella
spirituale. Nella chiesa edificio si svolge la liturgia eucaristica che implica una presenza reale di
Cristo nell’ostia consacrata, così come il Cristo è presente nell’altare in quanto è, nello stesso tempo,
come dice s. Ambrogio, “vittima, sacerdote e altare del suo sacrificio”50.

47
P. PORTOGHESI, Lo spazio sacro, in G. QUATTRONE, a cura di, La chiesa nella città moderna.
Architettura, arte e progetto urbano, Franco Angeli, Milano, 2007, 77-83.
48
P. PORTOGHESI, Chiesa della Sacra Famiglia, Fratte, Salerno, 1970, in Fra terra e cielo, 301.
49
P. PORTOGHESI, Complesso parrocchiale San Giovanni Battista, Lecce, 1998, in Fra terra e cielo, 319.
50
P. PORTOGHESI, Un edificio a forma stellare per Calcata, in Chiesa Oggi 88, 2009, 37.

14
Seconda parte

6. A-temporalità e tipologie storiche nella basilica di


Sant’Apollinare in Classe

Indubbiamente la basilica di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, dimostra una


immutabilità del rito nonché un’assodata ed esplicita stabilità dell’architettura di un
tempo, decisamente più pronunciata e marcata nella sua a-temporalità, rispetto ad
alcuni esempi dell’architettura moderna.
Se oggi gli architetti sembrano aver subito la «disintegrazione della tradizione» e
la discontinuità con la storia, definita da Augusto Romano Burelli come una «desolata
amnesia»51, il percorso progettuale dell’antichissima basilica di Sant’Apollinare in
Classe, pratica un riavvicinamento all’uso dei tipi storici, proposti in chiave
«storicizzata», secondo una lettura a-temporale e archetipica, e dunque in definitiva a-
storica.
Le soluzioni adottate dai costruttori del tempo, focalizzate sull’abside e soprattutto
sui suoi splendi mosaici, ma anche della longitudinalità delle tre navate con copertura
a capriate scoperte, con corpo mediano rialzato e abside poligonale, ha indubbiamente
ridotto il rischio della riduzione dello spazio liturgico a un spazio equipotenziale
evitato proprio dal catino absidale volutamente impreziosito dallo splendido mosaico
raffigurante la figura di Sant’Apollinare, primo vescovo di Ravenna, con le braccia
aperte in atteggiamento orante, affinché conceda la grazia ai fedeli affidati alla sua
cura, qui rappresentati da dodici agnelli bianchi, ovvero gli apostoli.
Figura quella di Sant’Apollinare, che eretta in un prima e fondamentale istanza di
autorappresentazione, esprimerebbe altrettanto il carattere della permanenza,
presentandosi come rappresentazione di un «sacro naturale» archetipico,
simboleggiato da un ideale «stele» incorniciata anche dalla ierofania che si disvela in
Giacobbe, nel racconto che troviamo in Genesi, in riferimento alla realizzazione
dell’altare nel luogo dove Javhe aveva parlato con Giacobbe.

51
A. R. BURELLI, Le radici del sacro, 13.

15
Dio disse a Giacobbe: «Alzati, va’ a Betel e abita là; costruisci in quel luogo un altare al Dio che ti
è apparso quando fuggivi Esaù, tuo fratello […] Qui egli costruì un altare e chiamò quel luogo «El-
Betel», perché là Dio gli si era rivelato, quando sfuggiva al fratello. Dio apparve un'altra volta a
Giacobbe, quando tornava da Paddan-Aram, e lo benedisse. Dio gli disse: «Il tuo nome è Giacobbe.
Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele sarà il tuo nome […] Allora Giacobbe eresse una stele,
dove gli aveva parlato, una stele di pietra, e su di essa fece una libazione e versò olio. Giacobbe
chiamò Betel il luogo dove Dio gli aveva parlato52.

Mentre la direzionalità dell’assemblea verso l’abside e verso lo splendido mosaico,


è segnata ed accompagnata dalla navata centrale, contrassegnata da due file di dodici
colonne con fusti di marmo striato, con capiteli a foglie «mosse dal vento» e da pulvini
con un croce scolpite sul lato della navata, che ci ricordano il «soffio del vento», su
cui ricadono gli archi, al di sopra dei quali si distende un’ampia superficie muraria,
aperta da numerose finestre che rendono luminosissimo il suo interno.
Tagli di luce che ci permettono di rendere visibile il tracciato cristiano, e che ci riportano
inconsciamente a rifarci alle potenti suggestioni di quel «sacro naturale» archetipico
trasformato nel «sacro cristiano», dell’incedere dei fedeli verso la frontalità del simulacro
divino.

Ciò avviene nella concreta esperienza fenomenologica mediante un percorso. Ossia una determinazione
spazio-temporale che assume un valore sacro proprio in quanto capace di alterare la relazione tra tempo e
soggetto introducendo uno iato, ossia uno spazio-tempo intermedio attraverso il quale è possibile dissociarsi
da un tempo concepito come successione per ancorarsi a un tempo percepito come durata. Il pur breve
percorso tra questi poli è pertanto una macchina spaziale di potenza misterica, uno spazio-tempo capace di
collegare luoghi di diversa morfologia esistenziale: lo spazio, così, al pari della musica, si mostra capace di
qualificare il tempo, restringendone o dilatandone la percezione e qualificandolo dal punto di vista formale53.

La basilica di Sant’Apollinare in Classe, replicherebbe inoltre, «meccanismi spazio-


temporali» assai noti, quali ad esempio quello schema percettivo che introduce anche alle
«grotte rituali» del paleolitico superiore, percorse fino a raggiungere le cavità più ampie e
remote, «dove la vasta volta lapidea indiceva naturalmente una assimilazione a quella
celeste, dando così probabilmente avvio a un processo di simulazione e simbolizzazione
esteso attraverso la rappresentazione degli aspetti più significativi dell’esistenza»54.

52
Gn 35,1-15.
53
L. BARTOLOMEI, L’istante e l’eterno. Luoghi e spazi del sacro tra città degli uomini e città di Dio, 76.
54
Ibidem.

16
Il percorso che la basilica di Sant’Apollinare in Classe sintetizza, assimila queste
ascendenze e si propone come una sorta di «itinerario misterico», capace di traghettare i
fedeli dalla loro «routine quotidiana», ad uno spazio originario, primigenio e primordiale,
ricchissimo di contenuti e di significati ontologici, storici e psicologici.
Il fulcro del catino absidale, impreziosito dallo splendido mosaico, fissato nella luce che
lo illumina, astrae inoltre i fedeli dal contesto spaziale e da quello temporale, rendendo
capace attraverso le suggestive liturgie, di «favorire l’auto-trascendimento, in una visione
sub specie aeternitatis che dell’ordine cosmico percepisce tanto la genesi quanto
l’eschaton»55.
Nella basilica di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, vi sarebbe dunque una totale
«circolarità» nello scambio simbolico tra tempio e cosmo, che la sua fondazione potrebbe
essere considerata, al pari di tutte le altre chiese, come una vera e propria cosmogonia, che
ci permetterebbe dunque, sedendoci al suo centro, di poter «stare al centro del mondo e
contemporaneamente al centro del tempo, in modo da contemplarne il suo sorgere come il
suo tramontare»56.
Questa doppia significazione cosmologica ed escatologica dello spazio sacro,
innalzerebbe così in maniera superlativa l’architettura basilicale di Sant’Apollinare in
Classe, tanto a simbolo del cosmo quanto a simbolo del tempo, capace di incastonare
l’esistere del soggetto sia nell’orizzonte spaziale che in quello temporale.
Processo di innesto cosmico che avviene in virtù di segni e di simboli cristologici, tanto
cari al «sacro cristiano», ma anche in virtù della sua articolazione spaziale, permessa
dall’architettura che ne permette e ne amplifica l’auto-trascendimento, capace di traghettare
i fedeli dalla loro condizione «feriale» al tempo mistico della propria auto-contemplazione.

55
Ibidem.
56
Ivi, 77.

17
7. Memoria evocativa e tipi dello spazio sacro in
Sant’Apollinare in classe
La basilica di Sant’Apollinare in classe a Ravenna, garantisce dunque la
dimensione comunitaria del rito e del sentimento del sacro, proponendo potenti
suggestioni date dalla memoria evocativa dei segni eloquenti connotativi, nella storia,
l’identità dell’edificio chiesa. I sapienti costruttori del tempo, utilizzarono infatti un
procedimento analogico ed analitico, allo scopo di poter evocare tramite i segni del
«sacro naturale», il racconto evocativo del «sacro cristiano», capace non soltanto di
suscitare potenti suggestioni archetipali, ma tutt’ora capace di «avvicinare l’uomo del
nostro tempo al sacro, o ad una dimensione di ricerca ontologica, alle radici dell’essere
e della propria essenza»57.
Ad esempio, tramite l’utilizzo del «recinto» inteso come senso primigenio dello
spazio sacro, come abbiamo già avuto modo di vedere precedentemente, delimitato
anche al suo interno, ma non separato e dunque vicino e raggiungibile. Meta peraltro
resa ancora piu’ appetibile e prossima, dai successivi lavori di rifacimento e di
adeguamento liturgico.
Ma anche in definitiva la copertura, lo spazio dell’aula, l’involucro, il dispositivo
planimetrico spaziale interno che organizza e rappresenta il rito collettivo, in dialettica
tra lo spazio unitario e le singole polarità; la luce come rapporto tra recinto e tetto,
fanno indubbiamente della basilica di Sant’Apollinare in Classe, un perfetto esempio
di connubio tra architettura, arte sacra e liturgia.
In altri termini, la basilica di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, sembra
possedere magistralmente tutti quei requisiti di eccezionalità e quello di un linguaggio
che sa parlare in un «tempo lungo», libero dalle contingenze del presente.
Uno spazio basilicale, quello di Sant’Apollinare in Classe, che racchiude
magistralmente in sé i caratteri del «classico», che rendono lo spazio come oggetto di
regole tipologiche compositive, fondate su un principio immutabile del sacro, che,
attraverso il procedimento analogico, organizza e compone frammenti di un racconto
che per via evocativa, rimandando a figure sedimentate nella memoria collettiva.

57
L. BARTOLOMEI, Luoghi e spazi del sacro. Matrici urbane; archetipi architettonici. Prospettive
contemporanee per la progettazione di spazi per la Cristianità, 59.

18
La basilica di Sant’Apollinare in Classe di Ravenna, può dunque diventare un
modello, laddove possibile, per affrontare progettualmente l’attuale sfida degli
architetti, rispetto alla realizzazione di uno spazio sacro, che potrebbe essere quella di
re-inventare di volta in volta gli archetipi del «sacro naturale», nella tradizione
specificamente cristiana, ricercando quella forza espressiva che ha prodotto esempi
eccelsi lungo i secoli, rendendo spesso arduo ricercare certe tipologie, che per
lunghissimo tempo, hanno invece offerto opportunità architettoniche eccezionali.
La ricerca di tipologie storiche, perlopiù cristiane, da parte di alcuni architetti
impegnati nel ridisegnare e nel reinventare nuovi archetipi di sacralità, potrebbe
dunque trovare in questa basilica italica58, spunti e riflessioni specifici sul sacro, in
quanto le soluzioni adottate paiono richiamare i grandi temi dell’architettura
chiesaistica tradizionale, conservando altresì le caratteristiche delle basiliche italiane,
che potrebbero essere sintetizzate nell’assolutezza della geometria, nella dominanza
sul contesto urbano e su una forte riconoscibilità «anti-mimetica» con il contesto; ma
anche dalla straordinarietà dei materiali, dei ruoli dei portali e dell’illuminazione
naturale, dalla spazialità esterna alla quotidianità, dalla tripartizione in navate,
dall’unilateralità dell’assemblea celebrante, tradotti nella basilica di Sant’Apollinare
in Classe in una soluzione d’insieme assolutamente inedita, probabilmente (ed
auspicabilmente), a sua volta non ripetibile.
Se è vero che il lavoro sul rapporto tra tipo e liturgia è il fondamento del progetto
di spazi sacri, la dimensione «sacrale» della basilica di Sant’Apollinare in classe, è
stata perseguita anche e soprattutto attraverso i classici temi e archetipi storici, quali
ad esempio: il porticato e la loggia, intesi come spazio di accoglienza e raduno; di
ricerca della dimora, ma anche attraverso il tiburio e il campanile del IX secolo, che si
innalza con forma cilindrica, mentre le finestre, dal basso verso l’alto, dapprima
monofore, poi bifore ed infine trifore, riportano i fedeli a riflettere anche e soprattutto
sul mistero del Dio uno e trino.

58
http://www.medioevo.org/artemedievale/Pages/EmiliaRomagna/SApollinareinClasseaRavenna.html

19
8. La conquista di una visione ordinata a concretizzare il
cammino iniziatico

La conquista di una visione ordinata a concretizzare il cammino iniziatico che dall’originario terrore
per un mondo caotico gradualmente conduce alla contemplazione e al dominio di un universo
ordinato, è ciò che prima di tutto l’architettura sacra manifesta in percorsi archetipici che l’evolversi
delle strutture religiose non ha cancellato, e che pertanto si può supporre concretizzino i caratteri di
quella istanza religiosa antropologicamente determinata, comune a tutti gli uomini di tutti i tempi e
di tutti i luoghi come il “proprio” della nostra specie, il carattere costitutivo costituito da quella
curiosità ontologica in cui trovano origine comune i cammini della ricerca religiosa, artistica e
scientifica. L’architettura del sacro che si configura in età storica e media l’approccio con il divino,
è quella dunque del tempio e delle sepolture, quella attraverso la quale, si viene introdotti in un
cammino iniziatico progressivo, verso realtà misteriche (i convergenti cammini di unità del reale)
che si instaurano a ponte verso più elevati stadi di comprensione, di sempre più approfondita
intellegibilità del cosmo. 59

Il lavoro su una sacralità fondata sul rapporto tra tipi architettonici e luoghi liturgici,
ad esempio, è esplicito nella sequenza iniziatica della basilica di Sant’Apollinare in
Classe a Ravenna, che porta dal sagrato all’apertura «escatologica» dell’abside,
rappresentato simbolicamente nel suo splendido mosaico, dall’episodio della
Trasfigurazione di Cristo sul Monte Tabor, alla presenza dei profeti Mosè ed Elia60.
Pietro, Giacomo e Giovanni, vengono invece raffigurati nelle sembianze di tre
placidi agnelli, che assistono all’episodio.
Anche la luce è stata magistralmente studiata dai costruttori del tempo, in maniera
da caratterizzare lo spazio come luogo liturgico, per simbolizzare cioè il riferimento a
una «dimensione altra». Innanzitutto essa scende dall’alto, dalle ampie finestre,
conferendo all’interno un senso di leggerezza e di espansione. Luce che entra poi anche
dall’abside, per sottolineare la focalità del presbiterio e per indicare il percorso
iniziatico dei fedeli, quasi ad accompagnarli, come un faro che illumina la rotta, e per
portare luminosità anche frontale sull’altare, per marcarne il significato di luogo della
rinascita dalle tenebre alla luce, tema anch’esso molto caro al «sacro naturale»,
ovviamente rivisto in chiave di «sacro cristiano», all’interno della splendida basilica
di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna.

59
L. BARTOLOMEI, Luoghi e spazi del sacro. Matrici urbane; archetipi architettonici. Prospettive
contemporanee per la progettazione di spazi per la Cristianità, Tesi di Dottorato in Ingegneria Edilizia
e Territoriale, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, 2008, Bologna, 84 -85.
60
A. BENINI, La basilica di S. Apollinare in Classe, 1949, 47.

20
9. Il tema della croce nella basilica di Sant’Apollinare in
Classe

La decorazione del catino absidale della basilica di Sant’Apollinare in Classe a


Ravenna, è divisa in due zone: in quella superiore campeggia un grande disco con 99
stelle e con al centro un visibile croce gemmata, che, nell’incontro dei bracci, presenta,
entro un clipeo, il volto del Cristo.
Il corpo complessivo della basilica, come abbiamo già accennato, è attraversato
dalla luce che entra dalle numerose finestre, e che accompagna il fedele all’altare.
Il potente simbolismo della porta-croce, rappresentato nel mosaico posto
nell’abside della basilica e ben evidente dai fedeli, ed è la figura su cui punta l’asse
focale che riconduce all’asse cristologico porta-altare, che in questo caso non viene
visto attraverso l’immagine dell’assemblea che circonda l’altare, ma che viene visto
attraverso il percorso, attraverso la via, attraverso il «viaggio iniziatico». Soggetto
tematico, quello del viaggio iniziatico, tanto caro al «sacro naturale» e rivisitato anche
in questo caso, come «sacro cristiano», cioè come via, come percorso e come viaggio
da percorrere verso la salvezza.
Porta-altare, che tiene altresì conto di un «sacro cristiano» presente nella basilica
di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, difficilmente ripetibile e replicabile dalla
progettualità di un sacro più «domestico» e più «moderno», inteso anche e soprattutto
su «più passaggi di soglie», istituite per favorire ed incoraggiare le relazioni umane e
soprattutto le relazioni tra l’Uomo e Dio.
La soglia come appare dunque evidente in questo esimio modello di basilica italica
non è più dunque soltanto linea geometrica dividente sacro e profano, ma diviene per
dirla con le parole di Airmaro Isola61, «apertura, varco, incontro. Spazio etico, della
festa e del dolore che sono nella vita: dove si esce sposi, dove si attende il battesimo,
dove i giovani possono fare un “lieto rumore”, o dove si riceve e si dà l’ultimo saluto.

61
Airmaro Isola è Architetto italiano, Professore Emerito del Politecnico di Torino, è Accademico
Nazionale dell'Accademia di San Luca a Roma, Accademico Nazionale dell'Accademia delle Scienze a
Torino.

21
Luogo dell’attesa e del compimento, della speranza e del dubbio. Segno di
ospitalità; per i credenti e no». E la porta-altare stessa viene vista da Airmaro, non
come un rifiuto del mondo, ma come un varco trasparente: «vorremmo camminare
verso l’altare, soglia tra materialità e trascendenza, avendo e sentendo ancora alle
spalle i paesaggi del mondo. Dobbiamo proteggere, capire, questo percorso,
illuminandolo con la luce del nostro cielo e delle nostre lampade […], ma che forse
proprio perché nostra sospinge lo sguardo ad un oltre».
Tornando al nostro straordinario esempio di basilica italica, rappresentato da
Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, anche i poli liturgici, possono essere considerati
«elementi attivi e partecipi della scena liturgica», e non dunque solo manufatti
intrinsecamente sacri. Poli liturgici, che per dirla con le parole di Isola, ci aiutano
meglio a comprendere un moto, un movimento, «attraverso la liturgia, che è parola,
canto, ma anche movimento che continua e ripercorre il cammino del Messia, verso la
mensa, verso il libro, che accoglie le offerte e si dirige verso la croce»62 .

62
A. ISOLA, Arrivare ad una casa, in Aión 12, 2006, 37-38.

22
10. Lo spazio come «apparizione»

Nel saggio La liturgia alla prova del sacro, a cura di Paolo Tomatis, si pone inoltre
in evidenza come le chiese siano anche degli spazi che «annunciano un evento». Forse,
dice Tomatis «è’ proprio qui che si colloca la differenza fra gli architetti moderni e
quelli premoderni nel progettare lo spazio sacro. Essi costruivano un luogo in cui Dio
c’era già. Nella modernità e nella contemporaneità si edifica uno spazio aspettando
che in esso Dio discenda sulla comunità dei fedeli, portando in essa una parola di
salvezza»63. L’architetto, dunque, deve «riuscire a conferire allo spazio sacro la
dimensione di un improvviso manifestarsi – la manifestazione di una potenzialità
sperata – che produca l’effetto di una sorpresa»64.
Nella basilica di Sant’Apollinare in Classe, il sapiente dosaggio, la calibratura tra
l’aprirsi dell’aula a una «dimensione ulteriore», l’atmosfera calda ed accogliente dello
spazio liturgico, pongono la comunità dei fedeli in una «frontalità mistica» con il sacro,
creando un’atmosfera davvero unica, che sa davvero evocare la particolarità e le
potenti suggestioni del luogo.
Lo spazio basilicale, risulta inoltre facilmente leggibile in modo da permettere al
fedele attraverso un solo sguardo, di orientarsi facilmente e di sentirsi a proprio agio
in modo da poter partecipare come protagonista alle celebrazioni liturgiche. Un’idea
di spazio sacro, dove la componente architettonica e l’esperienza personale frutto di
un’illuminazione avvolta nel mistero, si intersecano magistralmente e misticamente,
con quella liturgica.

63
P. TOMATIS, a cura di, Atti della XXXIX Settimana di Studio dell’Associazione Professori di
Liturgia, Brescia, 29 agosto-2 settembre 2011, Edizioni Liturgiche, in Collana Studi Liturgici, Nuova
serie/57, a cura dell’Associazione Professori di Liturgia (APL), 203.
64
F. PURINI, Lo spazio sacro come problema di architettura, in M. TOMASI, a cura di, Progetti di
chiese. Innovazione liturgica e sperimentazione progettuale. Esperienze europee a confronto, Temi,
Trento, 2007, 166.

23
Terza Parte

11. La basilica di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna


La basilica di Sant’Apollinare in Classe, è la più grande basilica paleocristiana
esistente, essa è stata edificata nella prima metà del VI secolo, ed è espressione della
produzione architettonica del periodo di Teodorico re degli Ostrogoti (454 ca.- 526).
La basilica di Sant’Apollinare in Classe, è situata a circa 5 chilometri dal centro di
Ravenna65, è facilmente raggiungibile ed è ben visibile dalla carreggiata con una strada
che conduce direttamente a degli ampi parcheggi, che permettono di apprezzare
meglio la sua caratteristica muratura, composta da un particolare tipo di laterizio,
lungo, sottile e alternato a spessi strati di malta.
Essa, fu fatta edificare dal vescovo Ursicino con la sovvenzione di Giuliano
l’argentario e venne consacrata nel 549, dal primo arcivescovo di Ravenna
Massimiano con la dedicazione a Sant’Apollinare, che fu invece il primo vescovo di
Ravenna.

65
All’inizio del V sec. Ravenna, dove la flotta vigilava sulla sovranità orientale del Mediterraneo,
diventa capitale dell’Impero d’Occidente. […] Ravenna come capitale del regno barbarico di Teodorico
il “Grande”, può essere considerata la prima capitale d’Italia.
https://www.ravennaedintorni.it/casapremium/storia-territorio/ravenna-capitale-la-roma-sulladriatico/

24
11.1. L’esterno della basilica di Sant’Apollinare in Classe

La basilica di Sant’Apollinare in Classe, è a tre navate con corpo mediano rialzato


ed un abside poligonale, affiancata da due cappelle absidate. La facciata esterna, in
parte rifatta come altre parti della basilica, presenta una grande trifora e due lesene
laterali ed è preceduta da un nartece, sotto cui si trovano marmi ed iscrizioni.
A sinistra della basilica, troviamo il campanile del IX secolo, che si innalza con
forma cilindrica, mentre le finestre, dal basso verso l’alto, dapprima sono monofore,
poi bifore ed infine trifore.
L’edificio è a pianta basilicale (m 30.30×48). L’abside, poligonale all’esterno (sette
lati) e semicircolare all’interno, è affiancata da due pastofari cioè da due stanze o
sacrestie in cui i diaconi riponevano, le reliquie del Pane consacrato, terminanti con
piccole absidi poligonali. Sui muri perimetrali, che sono ritmati da lesene culminanti
in arcate cieche che incorniciano le finestre, si aprono tre porte per lato, secondo una
pratica assai diffusa in Siria.

25
11.2. L’interno della basilica di Sant’Apollinare in Classe

All’interno della basilica di Sant’Apollinare in Classe, le pareti sono spoglie, dovuta


alla spoliazione dei marmi operata nel XV secolo da Sigismondo Malatesta, per ornare
il suo Tempio di Rimini66, eccetto la zona absidale che è invece ricoperta da mosaici,
risalenti ad epoche alquanto diverse. Proprio al centro della basilica, sul luogo del
martirio di Sant’Apollinare, è collocato un antico altare con le reliquie del santo.
La pianta planimetrica, presenta proporzioni quasi esatte con la presenza di due
pastophoria (stanze) quadrate ai lati della facciata (quella meridionale è andata
perduta). Inoltre c’è un rapporto equilibrato anche tra l’ampiezza della navata centrale
(quasi 1:1) che ricorda una spazialità tipicamente romana, diversamente dalle altre
chiese di Ravenna.

66
https://scuola.repubblica.it/abruzzo-laquila-icserafinidistefano/2019/04/10/visita-a-ravenna-la-
basilica-di-santapollinare-in-classe/

26
Il suggestivo interno, orientato (ossia con l’abside rivolto a Est), presenta una pianta
basilicale con presbiterio, rialzato sopra la cripta. L'interno è a tre navate, spartite da
due file di dodici colonne con i tipici capitelli bizantini a foglie d’acanto «mosse dal
vento», e pulvini con una croce scolpita sul lato della navata centrale. Si segnala anche
la suggestiva copertura a capriate lignee.

Si possono notare i caratteri orientali, derivati da Costantinopoli, oltre che nei


mosaici dell’abside, anche nelle colonne che hanno per l’appunto i capitelli a foglie
«mosse dal vento» e dai pastophoria sopra citati. Il frammento di pavimento musivo
policromo ritrovato nella navata destra, chiarisce che la stesura era caratterizzata da
motivi geometrici e da epigrafi, in cui erano ricordati i nomi dei privati che avevano
finanziato la realizzazione dell’opera

27
11.3. Decorazione dell’arco trionfale di Sant’Apollinare in classe

Come già accennato, le pareti sono prive di elementi decorativi, eccetto la zona
absidale, ricoperta da splendidi mosaici eseguiti in epoche diverse e da differenti
maestranze, articolato su cinque registri.

Nel primo registro in alto, dell’arco trionfale, troviamo «Gesù Cristo pantocratore
ed i simboli degli evangelisti (673-679), opera di maestranze romane: su uno sfondo
blu notte cosparso di nuvole rosse e azzurre si inserisce al centro un medaglione
contenente il busto di Gesù Cristo pantocratore, fiancheggiato dai simboli degli
evangelisti: a sinistra l’uomo alato (Matteo) e l’aquila (Giovanni); a destra il leone
(Marco) e il vitello (Luca)»67.

67
http://www.mosaicocidm.it/Mosaico/Read_full.action?cardNumber=205&leaves=0

28
Nel secondo registro dell’arco trionfale: «da alte mura dorate e turrite, che
rappresentano le città di Gerusalemme e di Betlemme, escono agnelli immersi in uno
sfondo dorato frastagliato da nuvolette policrome. Le città di Gerusalemme e
Betlemme con dodici pecore convergenti (673-679), realizzato da maestranze romane
[…] rappresentano una l’ecclesia ex circumcisione e l’altra l’ecclesia ex gentibus; sono
quindi la raffigurazione della chiesa degli Ebrei e dei Gentili che separate, solo in Gesù
Cristo, con gli Apostoli (simboleggiate dalle pecore) possono riottenere la loro
unità»68.

Nei fianchi dell’arco trionfale, invece, nel terzo registro, troviamo due palme, l’una
nel riquadro a destra, l’altra in quello di sinistra. «Queste sono ricolme di datteri, su
sfondo azzurro. Quella presente nel riquadro della parte destra ha una forma più
sinuosa. La rappresentazione di queste piante richiamerebbe la simbologia della palma
paradisiaca»69.

68
http://www.mosaicocidm.it/Mosaico/Read_full.action?cardNumber=202&leaves=0
69
http://www.mosaicocidm.it/Mosaico/Read_full.action?cardNumber=210&leaves=0

29
Nel quarto registro, troviamo invece raffigurati «San Michele arcangelo e San
Gabriele arcangelo (535-549), opera di maestranze ravennati. I due Arcangeli,
individuati dai propri nomi, sono rappresentati su uno sfondo oro, in posizione
frontale, poggiano i piedi su un suppedaneo dorato, vestono una tunica bianca e una
clamide purpurea, e con la mano destra sorreggono un labaro su cui sono scritte le
parole del trisagion in greco agios, agios, agios. Hanno i volti austeri con grandi occhi
spalancati ed assorti, resi ancora più splendenti dal proprio nimbo argenteo. Dietro di
essi si aprono, simmetricamente, due ali purpuree»70.

70
https://it.cathopedia.org/wiki/Basilica_di_Sant%27Apollinare_in_Classe_(Ravenna)

30
Infine nell’arcone, troviamo raffigurati «San Matteo e Santo (prima metà del XII
secolo), opera di maestranze veneziane: la scelta della figura dell’evangelista è legata
alla scena centrale della Trasfigurazione, poiché solo per Matteo questa sarebbe
l’annuncio della gloria di Cristo e solo lui nota che il volto di Gesù brillava come il
sole (Mt 17,1-6). L'altra figura di Santo, su sfondo color blu indaco, nell’atto di reggere
un rotolo, era stato erroneamente riconosciuto come san Luca per un’iscrizione dipinta
nel 1721, oggi scomparsa, e priva di qualsiasi riferimento storico, mentre per alcuni
studiosi sarebbe identificabile con san Giovanni evangelista»71.

71
https://it.cathopedia.org/wiki/Basilica_di_Sant%27Apollinare_in_Classe_(Ravenna)

31
11.4. Il mosaico absidale della basilica di Sant’Apollinare in Classe

Il mosaico absidale, che ricopre la vasta abside che occupa quasi totalmente la
larghezza della navata centrale, rappresenta Sant’Apollinare, primo vescovo di
Ravenna, in atteggiamento di orante. Sant’Apollinare, è affiancato da 12 pecore, 6 per
lato, che simboleggiano, con lo stesso numero degli apostoli di Cristo, il gregge
cristiano. In questo caso il gregge raffigura i fedeli ravennati, seguaci del loro pastore,
incaricato da Dio di condurli all’eternità, il giardino rigoglioso, il paradiso terrestre.
Le figure umane sono quasi completamente assenti, ciò sta a significare che tutto è
simbolico. Il prato verdeggiante, costellato di fiori, sassi, cespugli, uccelli, si distende
su tutto il mosaico absidale.

La decorazione del catino absidale è divisa in due zone. In quella superiore


campeggia un grande disco con 99 stelle e con croce gemmata al centro, che,
nell'incontro dei bracci, presenta, entro un clipeo, il volto del Cristo.
All’estremità dei bracci orizzontali della croce vi sono le lettere simboliche Alfa e
Omega. Alla testa e ai piedi del braccio verticale si trovano epigrafi che inneggiano la
grandezza del Figlio di Dio. Ai lati del disco, immersi in un cielo di nuvole variopinte,
i busti di Mosè e di Elia. Assistono a questa scena tre pecorelle.

32
Nella zona sottostante del mosaico absidale, si estende un ampio prato verde
costellato di fiori variopinti, rocce e alberelli, sopra al quale campeggia la figura di
Sant’Apollinare con le braccia aperte in atteggiamento di preghiera. Apollinare veste
una tunica bianca e una clamide color porpora con ricamate sopra delle piccole api
dorate.

33
11.5. Il significato iconologico del mosaico absidale di Sant’Apollinare
in classe a Ravenna

La lettura direzionata dello spazio centralizzato, come abbiamo già accennato im


precedenza, è associata nella basilica di Sant’Apollinare in Classe, al sapiente uso
dell’abside, volutamente contrapposto alla regola geometrica generatrice
dell’organismo per esaltarne «il valore archetipico» e l’insostituibile ruolo del sacro
naturale che il flusso della storia, anche e soprattutto rivisitato dal «sacro cristiano»,
ha colmato di significato e di valore.
Su tale scelta di fondo, che offre una forte visibilità ai luoghi dell’azione liturgica,
si innesta lo splendido mosaico all’interno del catino absidale, le cui elaborazioni
derivano le forme architettoniche dalla natura e dal cosmo, dalle trasformazioni e dalle
connessioni degli organismi viventi.
Nel catino absidale, secondo Benini in «La basilica di S.Apollinare in Classe», è
rappresentato simbolicamente l’episodio della Trasfigurazione di Cristo sul Monte
Tabor72 alla presenza dei profeti Mosè ed Elia73. Pietro, Giacomo e Giovanni,
raffigurati nelle sembianze di tre placidi agnelli, assistono all’episodio.

72
Nella foto a sinistra: interno della Chiesa della Trasfigurazione sul monte Tabor, Israele, Terra Santa.
73
A. BENINI, La basilica di S. Apollinare in Classe, 1949, 47.

34
Nella parte superiore del catino absidale, come abbiamo precedentemente
constatato, spicca un grande disco con 99 stelle che ci riporta al cosmo, con una grande
croce gemmata al centro, che, nell’incontro dei bracci, presenta, entro un clipeo, il
volto del Cristo.
All’estremità dei bracci orizzontali della croce gemmata, vi sono le lettere
simboliche Alfa e Omega, che richiamano la Seconda Venuta del Cristo; la fine dei
tempi74. Interpretazione, quella della parusia, che è stata proposta anche da Erich
Dinkler, il quale sostiene che «l’episodio della Trasfigurazione, sia una sorta di
inquadratura di un avvenimento dai risvolti in parte drammatici, la parusia ovvero la
Seconda Venuta del Cristo»75.
Sant’Apollinare, secondo questa interpretazione, verrebbe dunque a rappresentare
la figura dell’intercessore fra i fedeli e il Cristo venturo, in senso escatologico. Dinkler
cita come testo di riferimento, o comunque di possibile ispirazione per il committente
dell’opera, l’Apocalisse di Pietro76.

74
E. DINKLER, Das Apsismosaik von S. Apollinare, 1964, ed. VS Verlag für Sozialwissenschaften.
75
Ibidem.
76
Ibidem.

35
La Dextera Dei, o mano di Dio, che compare al centro della composizione, sottintende
invece la presenza dell'Altissimo77. La Dextera Dei, è un motivo tipico dell'arte ebraica e
cristiana, specialmente dell'antichità e del primo medioevo, quando la rappresentazione di
Dio Padre, a figura intera, era considerata inaccettabile. La mano, a volte, include una
porzione di un braccio o del polso e vene utilizzata per indicare l’intervento o
l’approvazione di cose terrene da parte di Dio e talvolta come soggetto a sé.

Il grande prato verde della zona sottostante rappresenta il paesaggio incantato del
Paradiso, dominato al centro dalla figura di S. Apollinare verso il quale convergono, a
gruppi di sei, dodici pecorelle da identificarsi, secondo Raffaella Farioli, con i dodici
Apostoli. Paradiso che come abbiamo notato precedentemente, «costituisce il primo
recinto sacro, la cittadella di Dio, il luogo in cui si manifesta nel mondo terrestre
l’attività del cielo, in cui Dio si trova a passeggiare, in cui egli abita insieme all’uomo,
vivendo una relazione di amicizia»78.

77
R. FARIOLI, 1977, Ravenna romana e bizantina, 198-199.
78
L. BARTOLOMEI, Luoghi e spazi del sacro. Matrici urbane; archetipi architettonici. Prospettive
contemporanee per la progettazione di spazi per la Cristianità, 59.

36
Negli spazi tra le finestre, infine, sono rappresentati i quattro vescovi, fondatori
delle principali basiliche ravennati: Ursicino79, Orso80, Severo81 ed Ecclesio82, vestiti
in abito sacerdotale e recanti un libro in mano.

Ai lati dell'abside, troviamo due pannelli del VII secolo: quello di sinistra, molto
rimaneggiato, riproduce l’imperatore bizantino, Costantino IV (668-685), mentre
conferisce i privilegi per l’autocefalia della Chiesa ravennate a Reparato, un inviato
dell’arcivescovo Mauro. Nel pannello di destra, invece, sono rappresentati Abramo,
Abele e Melchisedec attorno ad un altare, mentre offrono un sacrificio al Signore.

79
Ursicino è stato vescovo di Ravenna dal 533 al 536.
80
Orso fu vescovo di Ravenna nei primi decenni del V secolo. È venerato come santo dalla Chiesa
cattolica, che lo ricorda il 13 aprile.
81
Severo deceduto a Ravenna, il 1º febbraio 344, è stato il primo vescovo di Ravenna la cui esistenza è
documentata. E’ considerato santo dalla Chiesa, ed il suo culto è molto diffuso in Germania.
82
Ecclesio fu il ventiquattresimo vescovo ravennate, tra il VII e l’VIII secolo, secondo i testi di Agnello
Ravennate del IX secolo, venerato come santo dalla Chiesa cattolica.

37
Il luminosissimo interno, conserva le caratteristiche delle basiliche italiche. Le tre
navate sono coperte da capriate lignee e sono divise da due file di colonne con striature,
che ricordano il soffio del vento, su cui ricadono gli archi, al di sopra dei quali si
distende un’ampia superficie muraria aperta da numerose finestre.

38
12. Conclusioni

Concluderei questo elaborato, inerente gli aspetti del «sacro naturale», del «sacro
cristiano», e di alcune tipologie presenti nella basilica di Sant’Apollinare in Classe a
Ravenna, con un’ultima riflessione e con un auspicio.
Troppo spesso, infatti, il rapporto tra sacro, sia esso inteso come «sacro naturale»
o come «sacro cristiano», e architettura di chiese, fa emergere nodi critici ed
interpretativi, su cui teologi, storici, progettisti e architetti, potrebbero invece far
convergere, in modo possibilmente programmato, i propri interessi disciplinari.
Così come viene anche ricordato negli Atti della XXXIX Settimana di Studio
dell’Associazione Professori di Liturgia, in merito alla riflessione sulla specificità del
«sacro cristiano», vi sarebbero troppo spesso diversi se non contradditori modi di
intendere il sacro, in un cristianesimo evidentemente globalizzato, plurale e
frammentato.

Parrebbe utile offrire agli architetti i presupposti per distinguere i luoghi di culto cristiani da quelli
di altre religioni o filosofie, ma soprattutto per orientarsi tra le diverse ecclesiologie cattoliche che
condizionano gli assetti delle chiese e le autorappresentazioni spaziali delle comunità, in modo non
sempre dichiarato o consapevole. L’orizzonte ecumenico di tale percorso ecclesiologico pare
imprescindibile, affinché la comunanza di elementi tra le diverse confessioni cristiane possa
coraggiosamente confrontarsi con le sfide poste dal dialogo interreligioso 83.

Nell’ambito di una dimensione pastorale più ampia, parrebbe infatti interessante


non circoscrivere e dunque non limitare la discussione sul rapporto tra sacro e
architettura, alla sola architettura per il culto, ma sarebbe interessante recuperare
l’afflato post-conciliare sulla santificazione del mondo e sulla dimensione sacrale
primigenia dell’architettura, non tanto in una dimensione mitica o panteista, ma
piuttosto come impegno dei cristiani laici e delle comunità per il miglioramento della
società e della qualità di vita urbana.
Ad esempio, sempre negli Atti della XXXIX Settimana di Studio dell’Associazione
Professori di Liturgia, ci si interroga se l’architettura sacra che viene solitamente
circoscritta alla necessaria «differenza» dell’aula liturgica rispetto al contesto secolare
o profano, non possa avere specifiche declinazioni architettoniche, anche in merito «ai
temi della sacralità della vita e della famiglia, che paiono aver monopolizzato
l’interesse del Magistero e dei programmi pastorali degli ultimi decenni».84

83
P. TOMATIS, a cura di, Atti della XXXIX Settimana di Studio dell’Associazione Professori di
Liturgia, 213.
84
Ibidem.

39
Tornando in modo più specifico all’architettura delle chiese, ci si domanda sempre
negli Atti della XXXIX Settimana di Studio dell’Associazione Professori di Liturgia,
se pare fondamentale:

definire e condividere una rilettura non eccessivamente militante del “posto” dell’Eucaristia, aperta
a una pluralità di contributi e di atteggiamenti. Gli architetti vivono probabilmente con un certo
smarrimento il dibattito sul ruolo del tabernacolo, sullo spazio per l’adorazione, sul rapporto tra
celebrazione e conservazione eucaristica, tra Azione liturgica e Presenza, affidandosi alle
interpretazioni personali e alle spiritualità dei singoli committenti o – peggio – a un malinteso senso
di una supposta e strumentale tradizione. In tale direzione, la storia dell’architettura e la storia della
liturgia possono contribuire a de-mitizzare e relativizzare soluzioni e convenzioni “storiche”, che
non necessariamente possono essere considerate come “tradizione”. In particolare, dal punto di vista
del metodo del progetto il “problema tipologico” deve essere sottratto a una lettura banalizzante
formalista, ossia che intende la tipologia come repertorio di soluzioni spaziali cui attingere per
ricomporre un organismo chiesastico tradizionale: il concetto di “tipo” in architettura, infatti, è la
categoria che consente di collegare il patrimonio di esperienze funzionali e simboliche con il
repertorio delle soluzioni materiali e spaziali, in maniera proiettiva e progettuale. Raramente, invece,
nell’ambito della riproposizione dei tipi storici nelle chiese viene effettuato un reale ragionamento
sulle ragioni delle destinazioni d’uso dei manufatti e sulla “storia celebrativa”, vista nel suo
dinamismo85.

«Una rinnovata riflessione sulla tipologia – accantonando i rassicuranti riferimenti


a una storia plurale sovente malintesa come tradizione univoca – potrebbe essere il
terreno d’incontro tra progettisti e liturgisti, in cui fare sintesi delle esperienze del
primo post-concilio e tentare una mediazione creativa tra la fedeltà alla liturgia (che
non necessariamente implica un certo sospetto per il sacro) e la cura per la qualità dello
spazio sacro, aperto a una dimensione personalista, ma non individualista, e
comunitaria»86.
È dunque di primaria importanza, studiando e restaurando una chiesa antica, oppure
progettando una chiesa moderna, avere presente il vero scopo di quell’edificio e
l’insondabile Mistero che in esso accade: l’incontro sacramentale tra Dio e gli uomini,
attraverso segni visibili.

85
Ivi, 214..
86
Ibidem.

40
L’arte e l’architettura, che costituiscono una delle più nobili espressioni dello spirito
umano, sono dunque una partecipazione all’opera creatrice di Dio, che tende a
riprodurre qualche cosa dell’infinita bellezza di Dio, che per noi cristiani, si è resa
tangibile in Cristo Gesù.
L’Arte sacra e l’architettura cristiana, sono dunque chiamate a diventare veicolo di
quella sola Bellezza, che porta a Dio. E’ quindi fondamentale approfondire il rapporto
tra arte e fede e nel nostro specifico caso, tra architettura sacra e liturgia.
L’edificio-chiesa, quale si presentava ad esempio tra il Concilio di Trento ed il
Vaticano II, mostrava infatti in genere, una separazione tra l’edificio sacro e lo spazio
esterno; inoltre all’interno dell’aula, vi era un’ulteriore separazione tra la navata ed il
presbiterio, che in genere erano separati da una balaustra. Queste separazioni, come
ben noto, sono state trasformate con il Concilio Vaticano II, che si è tenuto tra il 1962
ed il 1965.
Le forme architettoniche, così come rappresentate dalla splendida basilica di
Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, assumono un formidabile esempio di funzione
archetipica e mistagogica, destinata a prender per mano il fedele e a condurlo dentro i
significati fondamentali della propria identità.
Basilica, che a seguito di opportuni restauri ed adeguamenti liturgici, ci propone
una nuova visione di Chiesa, popolo di Dio e corpo mistico di Cristo radunato dallo
Spirito, con la riscoperta di una liturgia che come evento, celebra il Mistero pasquale,
a cui tutti i fedeli in quanto popolo di Dio, sono chiamati a partecipare attivamente.
Il Mistero Pasquale, diviene dunque il perno della vita liturgica della Comunità
ecclesiale, e la centralità assoluta di un chiesa viene data dall’altare, che deve essere
unico, non potendo coesistere con altri nella medesima aula, come peraltro è ben
evidente nella basilica di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna.
Vero punto focale, da un punto di vista architettonico, l’altare diviene dunque segno
e simbolo, «voce» che raduna; punto che predispone al convito e che realizza il
sacrificio.
L’aula ecclesiale, dunque, si progetta intorno all’altare e non viceversa, è l’altare
che determina l’orientamento dell’assemblea ed è fonte ispiratrice di ogni
adeguamento liturgico. L’altare è Cristo perché Cristo è l’altare.

41
L’esperienza della mensa eucaristica, non è tuttavia disgiunta dall’ascolto della
Parola di Dio, come ben si può vedere anche nell’esempio specifico qui rappresentato
dalla basilica di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna.
La parola di Dio, riprende così la sua centralità nella vita della Chiesa, per troppo
tempo tenuta ai margini, da impedimenti linguistici e pretese difese di «ortodossia».
Dio, dunque, attraverso un illuminato adeguamento liturgico, torna a parlare al suo
popolo con il suo linguaggio, utilizzando la lingua dell’uomo. Lo elegge diretto
destinatario del proprio messaggio salvifico, e lo rende consapevole del proprio dono.
Questo annuncio della parola, ha bisogno anch’esso di uno spazio adeguato, uno
spazio che celebri l’incarnazione del verbo eterno nel suono modulato della voce. La
proclamazione non è infatti mera lettura, è un vero e proprio evento celebrativo
dell’annunzio del mistero della resurrezione, e l’ambone ne è il luogo. L’ambone,
diviene dunque icona della resurrezione, della resurrezione di Cristo.
Infine, legato da un filo di continuità teologica, è certamente il battistero, che per
sua natura si associa all’ambone. Il fonte battesimale, è infatti il luogo in cui si è sepolti
con Cristo per risorgere assieme lui: è un «discendere» e un «ascendere». Il legame
con l’ambone trova in questa connotazione il suo nodo di incontro, ecco perché
nell’antica tradizione, il fonte era strutturato sotto l’ambone, come si vede ancora ad
esempio, nella Cappella palatina di Palermo.
In conclusione, se davvero vogliamo dare autenticità e pienezza all’architettura del
sacro, sarà necessario un dialogo fecondo tra teologi, liturgisti, artisti, architetti,
urbanisti e tecnici al fine di far partecipare consapevolmente, attivamente ed
efficacemente, il popolo di Dio all’incontro sacramentale e salvifico tra Dio e gli
uomini.
La basilica di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, che è inserita nell’elenco dei
siti italiani patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, all’interno del sito «Monumenti
paleocristiani di Ravenna», ed è tra i monumenti più visitati in Emilia-Romagna,
rappresenta indubbiamente un perfetto esempio di connubio tra architettura, arte sacra
e liturgia.

42
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